INFORMAZIONE - Studi Filosofici
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<strong>INFORMAZIONE</strong><br />
FILOSOFICA<br />
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Viale Monte Nero, 68<br />
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In copertina:<br />
Fibula in oro a<br />
forma di aquila (v. Sec.)
Gentili lettori,<br />
il mondo della filosofia, dei filosofi, è scosso alla radice<br />
dalla successiva scomparsa, in un brevissimo arco di<br />
tempo, di due figure cardine del pensiero filosofico<br />
novecentesco, Ludovico Geymonat e Mario Dal Pra.<br />
Due autori, la cui opera, le cui scelte di vita, la cui<br />
militanza filosofica e culturale hanno profondamente<br />
segnato lo sviluppo della filosofia di questo secolo. In<br />
particolare, un lutto, una perdita che colpisce la tradizione<br />
filosofica milanese, quella tradizione che agli inizi degli<br />
anni ’50 si accingeva a diffondere, a discutere, a riflettere<br />
l’eredità di pensiero lasciata da Antonio Banfi.<br />
Al ricordo di Mario Dal Pra sarà dedicato il prossimo<br />
numero di questa rivista. Qui ricordiamo Ludovico<br />
Geymonat, la cui biografia filosofica, profondamente<br />
caratterizzata da grande generosità culturale e costante<br />
impegno civile, ha nutrito e nutre tutt’oggi in modo<br />
decisivo il panorama e la fisionomia della nostra cultura.<br />
Di Geymonat epistemologo, storico della scienza e della<br />
filosofia, non vogliamo soprattutto dimenticare la<br />
passione per il pensiero scientifico, la sua battaglia per<br />
diffondere la filosofia della scienza, la logica, nel mondo<br />
accademico e nella cultura contemporanea in genere.<br />
Un fervore che traspare, lucido, preciso, nelle parole,<br />
che vorremmo qui in parte riportare, con cui ebbe di<br />
recente a presentare un convegno dal titolo: La filosofia<br />
della scienza oggi (Europa 1993), organizzato a Napoli<br />
(12-14 aprile 1991) dall’ Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />
<strong>Filosofici</strong> e dall’ Istituto Ludovico Geymonat per la<br />
Filosofia della Scienza, la Logica e la Storia della<br />
Scienza e della Tecnica:<br />
«L’era moderna era stata caratterizzata dalla fiducia nelle<br />
capacità conoscitive dell’uomo, capacità che l’avrebbero<br />
portato a cogliere le regolarità dominanti nella natura<br />
fisica e in quella sociale. Conoscere significa dunque<br />
cogliere ciò che resta costante nella continua variazione<br />
dei fenomeni. Questa costanza è il segno dell’oggettività<br />
di ciò che noi osserviamo nel moto dei corpi celesti, come<br />
in quello dei fenomeni umani, e questo è ciò che<br />
caratterizza la conoscenza “vera”. Invece, il disordine è<br />
ciò che caratterizza la semplice presa d’atto della natura<br />
così come si presenta a noi nel momento di osservarla.<br />
Al contrario, ciò che caratterizza il post-moderno è che in<br />
esso l’ordine non è più il carattere distintivo della vera<br />
realtà: si hanno allora fenomeni irregolari e ciò malgrado<br />
oggettivi e questo implica che essi andranno studiati non<br />
con la matematica che regolava i fenomeni ideali secondo<br />
la concezione precedente, ma con una matematica nuova<br />
(del disordine, della probabilità, del caos). Questo ricorso<br />
a una diversa matematica è il primo carattere che distingue<br />
la scienza post-moderna da quella moderna.<br />
Se la scienza post-moderna è soprattutto interessata dalla<br />
complessità ciò comporta che l’epistemologia dovrà<br />
essere a sua volta interessata dalla complessità delle<br />
possibili teorizzazioni scientifiche che nascono nei vari<br />
campi del sapere. Dalla filosofia della scienza alle filosofie<br />
delle singole scienza: questa potrebbe essere la formula<br />
più opportuna per indicare il mutamento di prospettiva<br />
segnato dal patrimonio conoscitivo contemporaneo. Ma<br />
questa formula va complicata dalla consapevolezza che<br />
anche l’epistemologia possiede oramai una storia<br />
complessa, con differenti tradizioni concettuali, cui<br />
occorre necessariamente riferirsi se si vuole avere<br />
un’immagine meno imprecisa dei dibattiti contemporanei.<br />
[...] Si tratta allora di recuperare tutta la ricchezza e la<br />
complessità del dibattito epistemologico del Novecento<br />
per mettere capo ad una riflessione capace di muoversi su<br />
di un orizzonte aperto, da costruirsi attraverso un costante<br />
confronto concettuale tra le differenti tradizioni di<br />
pensiero.<br />
Naturalmente nel momento stesso in cui denunciamo la<br />
complessità delle varie tradizioni epistemologiche non<br />
possiamo non favorire un confronto che sia il più ampio<br />
e libero possibile. [...] Il franco riconoscimento<br />
dell’esistenza di una pluralità di punti di vista presenti<br />
all’interno delle stesse differenti tradizioni<br />
epistemologiche deve infatti indurci a modificare il nostro<br />
atteggiamento culturale di fondo nei confronti della<br />
filosofia della scienza, abbandonando ogni pretesa<br />
aprioristica di ridurla unicamente a questa o quella<br />
componente esclusiva ed unilaterale per favorire un<br />
programma di ricerca più aperto e comprensivo. Un<br />
programma di ricerca sistematicamente in grado di<br />
imparare lavorando anche tra le zone di confine tra le<br />
varie tradizioni epistemologiche senza peraltro rinunciare<br />
ad elaborare un proprio ed autonomo punto di vista.<br />
E’ nostra convinzione che una più seria analisi<br />
epistemologica dell’impresa scientifica possa oggi essere<br />
conseguita unicamente puntando programmaticamente<br />
sulla confrontabilità e sulla traducibilità reciproca tra le<br />
diverse tradizioni, tra le diverse discipline e tra le varie<br />
epistemologie che ne sono scaturite storicamente. Non è<br />
più possibile inseguire il mito di un modello<br />
epistemologico astratto e univoco, buono per tutte le<br />
discipline scientifiche, né è più legittimo concepire la<br />
filosofia della scienza separandola dalla storia della<br />
scienza.<br />
Anche alla luce di queste schematiche considerazioni la<br />
riflessione epistemologica richiede dunque dialogo e<br />
confronto come condizioni essenziali ed indispensabili<br />
per il suo stesso sviluppo. La “nicchia” ambientale della<br />
pratica scientifica in realtà costituisce anche la “nicchia”<br />
ambientale più opportuna per la stessa riflessione<br />
epistemologica la quale si può sviluppare e approfondire<br />
unicamente nella misura in cui sappia difendere uno stile<br />
di razionalità basato su un costante confronto critico tra<br />
posizioni diverse, differenti e persino conflittuali, senza<br />
escludere aprioristicamente alcuna tradizione<br />
epistemologica. [...]
5 PROFILO<br />
5 Ricordo di Ludovico Geymonat<br />
9 RESOCONTO<br />
9 Filosofia e politica in Germania tra le due guerre<br />
21 AUTORI E IDEE<br />
21 Lacan e la filosofia<br />
21 Del simbolo, dell’uomo<br />
22 Un manifesto dell’edonismo<br />
22 L’integrità della ragione umana<br />
23 Breve storia dell’apparenza<br />
24 Isaiah Berlin: il conflitto inevitabile<br />
24 Giustificazioni di Dio<br />
26 Habermas: pensiero post-metafisico ed etica del<br />
27 Michael Dummet: alla base della verità<br />
28 Su Sartre e Beauvoir<br />
29 L’inumano dell’uomo: la morale di André<br />
31 TENDENZE E DIBATTITI<br />
31 Ecce Nietzsche: un filosofo per tutti e per nessuno<br />
32 Chi è Nietzsche?<br />
33 Nietzsche alla ribalta nel mondo anglosassone<br />
34 Il dibattito sul libero arbitrio<br />
35 Ritorno alla Grecia<br />
37 Trasformazione delle scienze dello spirito<br />
39 PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
39 Diverse lingue<br />
40 Maimonide e la cabala<br />
40 Storia dello strutturalismo<br />
41 Husserl<br />
42 La ripetizione di Kierkegaard<br />
42 Ripensando Kant e altri filosofi<br />
43 Il granaio di Montesquieu<br />
43 Wittgenstein: una biografia e un romanzo<br />
44 Felice Tocco e la tradizione filosofica italiana<br />
45 William Whewell<br />
47 CONVEGNI E SEMINARI<br />
47 Il dolore, la sofferenza<br />
47 I problemi del tradurre<br />
SOMMARIO<br />
48 Il ritorno dei neokantiani<br />
49 Michael Walzer sui nuovi comunitarismi<br />
50 La ‘pace perpetua’: storia di un dibattito<br />
51 Wilhelm von Humboldt<br />
52 La filosofia di Michael Dummet<br />
52 Una nuova immagine di Platone<br />
53 Nietzsche tra filologia e attualizzazione<br />
54 Cielo fisico e cielo morale<br />
56 Heidegger e i Greci<br />
56 Filosofia e liberazione<br />
57 Nuove vie della filosofia<br />
58 Da Vienna a Napoli: il viaggio di Lessing in Italia<br />
58 Pluralismo delle religioni<br />
60 CALENDARIO<br />
64 DIDATTICA<br />
64 L’insegnamento della filosofia attraverso i testi<br />
64 Interventi, proposte, ricerche<br />
65 Convegni<br />
67 NOTIZIARIO<br />
68 RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
74 NOVITA’ IN LIBRERIA
PROFILO<br />
Ludovico Geymonat
Per sessant’anni, fin dal primo libro del 1931, aveva<br />
alzato la sua voce per scuotere il panorama filosofico<br />
italiano, aveva condotto una “battaglia culturale” senza<br />
risparmio di impegno contro ogni forma di idealismo e di<br />
soggettivismo, avendo fin da allora riconosciuto «la<br />
possibilità, anzi la necessità, di dare una nuova forma alla<br />
gnoseologia positivistica». E la sua non è stata una<br />
presenza - intellettuale, morale, e addirittura fisica, con<br />
quel suo corpaccione da montanaro - che si potesse far<br />
finta di ignorare o della quale sbarazzarsi facilmente.<br />
Se n’è andato in silenzio, sommessamente, il 29 novembre<br />
dell’anno appena trascorso. Da due anni circa, dopo<br />
un’accidentale caduta a Barge - il paesino del cuneese<br />
dove aveva una casa che tanto amava e che da qualche<br />
anno l’aveva eletto cittadino onorario - era in ospedale:<br />
prima a Saluzzo, con un braccio rotto, poi qualche giorno<br />
a Revello, infine, dalla metà di ottobre, a Passirana di<br />
Rho, per la riabilitazione. Al di là dei problemi della<br />
caduta, aveva subito un forte attacco di parckinsonismo;<br />
ma niente faceva pensare ad una fine così improvvisa: lo<br />
ha stroncato un’influenza virale,<br />
con altissimi accessi febbrili,<br />
proprio il giorno in cui la<br />
moglie, ad una riunione dell’Istituto<br />
Geymonat (sorto a<br />
Milano e Varese nel 1985), ci<br />
aveva annunciato che Ludovico<br />
sarebbe stato dimesso il giovedì<br />
successivo.<br />
Un giorno nella cella mortuaria<br />
dell’ospedale, poi la domenica<br />
il trasporto a Barge: un paese<br />
gli si è stretto attorno con semplicità<br />
per l’ultimo saluto, e<br />
hanno pronunciato parole commosse,<br />
non di circostanza, un<br />
rappresentante del comune,<br />
Norberto Bobbio, una nipote,<br />
un compagno di lotta partigiana,<br />
un allievo, un compagno di Rifondazione Comunista<br />
(cui Geymonat, com’è noto, aveva aderito).<br />
Così ci ha lasciati Ludovico Geymonat. Aveva 83 anni,<br />
essendo nato a Torino l’11 maggio 1908. Nel ’30 si era<br />
laureato in filosofia (con Annibale Pastore), nel ’32 in<br />
matematica (con Guido Fubini); aveva quindi cominciato<br />
giovanissimo, a soli 23 anni, la sua militanza culturale<br />
col volume: Il problema della conoscenza nel positivismo,<br />
nel quale, come si esprimerà qualche anno dopo,<br />
tentava di mettere in luce, con una lettura affatto nuova<br />
del positivismo comtiano, «il carattere positivistico...di<br />
alcune grandi tesi filosofiche»; ma nel “delineare” un<br />
proprio “sistema” sembra al giovane filosofo «già un<br />
liberarmi in qualche modo da esso»: sicchè quel libro<br />
esprime anche un atteggiamento che sarà costante in<br />
Geymonat, quello della ricerca critica continua, che gli<br />
derivava da una reale e sincera apertura di pensiero,<br />
attento ad accogliere criticamente novità, a vagliare soluzioni<br />
e posizioni diverse, a considerare sempre provvisorie<br />
le tappe delle proprie acquisizioni. Un atteggiamento<br />
vitale e dinamico che gli proveniva dalla convinzione che<br />
«la filosofia, essendo puro pensiero, deve essere necessariamente<br />
progresso e vita, non contemplazione statica o<br />
morte».<br />
PROFILO<br />
Ricordo di<br />
Ludovico Geymonat<br />
E’ proprio questa esigenza che lo accompagnerà - se non<br />
lo guiderà - nelle diverse fasi della sua produzione<br />
filosofica, nelle diverse e successive proposte teoretiche<br />
che egli verrà facendo, sostenute da un altro elemento<br />
costante e, per così dire, più intrinseco al razionalismo<br />
forte, caratteristico di tutta questa evoluzione: la convinzione<br />
di una profonda unità fra scienza e filosofia, pur<br />
nelle distinzioni e nelle “tecniche” specifiche. Agli inizi<br />
del suo lungo cammino ebbe a dire che «qualunque<br />
distinzione aprioristica dei due “pensieri” risulta illusoria.<br />
Nel suo reale sviluppo dell’umanità essi sono variamente<br />
interconnessi fra di loro»; e nell’introduzione alla<br />
Storia del pensiero filosofico e scientifico, l’Enciclopedia<br />
Geymonat, come viene familiarmente chiamata dagli<br />
studenti, pubblicata in una prima edizione fra il 1972 e il<br />
1976 riaffermerà: «Pensiero filosofico e pensiero scientifico<br />
non sono affatto in antitesi l’uno con l’altro, ma<br />
sono sue facce della medesima razionalità che faticosamente<br />
si fa strada nella storia dell’uomo. Le “visioni del<br />
mondo” elaborate a grado a grado da filosofi e da scienziati<br />
non risultano mai interamente<br />
soddisfacenti, mai definitive,<br />
mai complete. Ma proprio<br />
in questa non definitività<br />
si rivela il loro autentico carat-<br />
tere razionale, cioè la loro appartenenza<br />
a un vastissimo<br />
processo che rifiuta di concludersi<br />
in qualcosa di dogmatico<br />
e di indiscutibile. Sono visioni<br />
costituitesi sulla base di certi<br />
ben determinati argomenti, e<br />
ricche di stimoli anche per chi<br />
si senta in dovere di criticarle<br />
sulla base di ben altri argomenti.<br />
La loro funzione è di<br />
collaborare all’affermarsi della<br />
ragione, di aprirle nuove<br />
prospettive, di renderla nel<br />
contempo più cauta e più coraggiosa».<br />
Non è certo possibile seguire qui passo passo l’evoluzione<br />
del pensiero di Geymonat, e dovremo accontentarci di<br />
alcuni cenni, collegati ad alcune delle sue opere principali<br />
che in qualche senso segnano altrettante tappe del suo<br />
itinerario intellettuale e culturale.<br />
Dopo l’esordio sopra richiamato, Geymonat viene attratto<br />
(più volte lui stesso dirà “affascinato”) dal neopositivismo<br />
del circolo di Vienna e della scuola di Berlino: va<br />
a studiare con Schlick, introduce in Italia il pensiero<br />
neopositivista (ad esempio, con La nuova filosofia della<br />
natura in Germania, 1934), al quale aderisce, pur con<br />
precise riserve, tra l’altro, circa l’ “assoluto antistoricismo”<br />
dello stesso: «anche se non sono mai stato a rigore<br />
un neopositivista,...è certo che ne subii in misura rimarchevole<br />
l’influenza», dirà nel 1977. Forse il momento più<br />
pregnante di tale influenza è rappresentato dagli <strong>Studi</strong> per<br />
un nuovo razionalismo (1945), dove vengono raccolti in<br />
modo organico molti saggi già pubblicati e dove, accanto<br />
a una “sofferta” adesione “alla cosiddetta filosofia neopositivistica”,<br />
si chiarisce il senso di quel “nuovo” che<br />
figura nel titolo, affermando che il «razionalismo, cui<br />
aspira la cultura moderna, deve essere ben più agguerrito<br />
e penetrante di quelli che caratterizzarono i secoli passati;<br />
di Corrado Mangione
esso deve contemporaneamente essere: critico, ossia<br />
capace di tenere nel dovuto conto le obiezioni mosse<br />
contro la pura ragione dalle filosofie mistiche e decadenti,<br />
fiorite negli ultimi anni; costruttivo, cioè in grado di<br />
soddisfare le esigenze di ricostruzione e di logicità caratteristiche<br />
della nuova epoca; aperto, cioè capace di affrontare<br />
i problemi sempre nuovi che la scienza e la prassi<br />
pongono innanzi allo spirito umano. E’ proprio in tempi<br />
di filosofie “decadenti” che si fa più pressante l’appello<br />
alla ragione, la quale «ha semplicemente deluso coloro<br />
che amavano, per principio, l’oscurità, il mistero, l’imprecisione,<br />
la retorica». Una delle prerogative di questo<br />
nuovo razionalismo è la consapevolezza della natura<br />
postulazionale dei principi «di carattere ineliminabilmente<br />
convenzionale»; ma lungi dal rappresentare una<br />
difficoltà, questo presenta il vantaggio che - come dirà nei<br />
Saggi di filosofia neorazionalistica (1953) - l’indirizzo<br />
neorazionalistico, che «non è, e non pretende, essere un<br />
“sistema di verità assoluta”, ma un puro e semplice<br />
modo...d’impostare il lavoro filosofico», dal momento<br />
che non ha «sistemi precostituiti da difendere», si trova<br />
ad essere «nella migliore disposizione possibile per apprezzare<br />
qualsiasi critica seria e far tesoro di ogni suggerimento<br />
concreto, che non nasconda preconcetti dogmatici<br />
di ordine generale».<br />
E’ un’impostazione democratica del sapere, una visione<br />
di totale apertura, si potrebbe dire “dialettica” in senso<br />
lato (e sta proprio qui - a mio avviso - la reale motivazione<br />
del suo successivo incontro e adesione al materialismo<br />
dialettico, adesione che non fu motivata e mai si ridusse<br />
a stereotipo ideologico) che porta Geymonat, con successive<br />
riflessioni, ad allontanarsi definitivamente dal neoempirismo<br />
(in particolare con Filosofia e filosofia della<br />
scienza, 1960); fa certo parte di queste riflessioni - ed è<br />
sicuramente la base lontana sulla quale Geymonat proporrà<br />
negli anni settanta il suo concetto di “patrimonio<br />
tecnico-scientifico”- la ricerca sui rapporti fra scienza,<br />
tecnica, convinzioni e istituzioni religiose che si concreta,<br />
nel 1957, nel prezioso volumetto su Galileo Galilei.<br />
Questa continua ricerca approda negli anni settanta -<br />
come sopra ho accennato - ad una ripresa di temi essenziali<br />
del materialismo dialettico ispirato alle idee di<br />
Marx, Engels e Lenin col capitolo: “Primi lineamenti di<br />
una teoria della conoscenza materialistico-dialettica”,<br />
contenuto nel volume: Attualità del materialismo dialettico<br />
, pubblicato nel 1974 (gli altri tre capitoli del volume<br />
sono dovuti rispettivamente a E. Bellone, G. Giorello e S.<br />
Tagliagambe), e soprattutto in Scienza e realismo, del<br />
1977 (dove veniva aggiunto uno specifico e significativo<br />
riferimento al pensiero di Mao Tse Tung), che apparve<br />
come diciassettesimo volume della collana di filosofia<br />
della scienza che egli diresse, presso Feltrinelli, dal 1960<br />
ai primi anni Ottanta.<br />
Altro tema ripreso e sviluppato da Geymonat in particolare<br />
negli anni Ottanta è quello del rapporto della filosofia<br />
della scienza con la storia della scienza: dico ripreso<br />
perchè oltre alla ricerca, sopra ricordata, verso la scuola<br />
neopositivistica, risale addirittura al 1947 quella Storia e<br />
filosofia dell’analisi infinitesimale che - a mio parere -<br />
resta in assoluto una delle migliori presentazioni storicoteoriche<br />
della problematica alla base dei fondamenti<br />
della matematica. D’altra parte il suo interesse per la<br />
matematica non venne mai meno, anche se i suoi inter-<br />
PROFILO<br />
venti specifici in questo campo si concentrano sostanzialmente<br />
nei primi anni dopo la laurea. Anzi, una delle<br />
caratteristiche del discorso epistemologico di Geymonat<br />
è proprio l’attenzione ai problemi che la matematica pone<br />
e che rendono impossibili soluzioni troppo facili sul<br />
piano filosofico: è qui opportuno ricordare che a Geymonat<br />
si deve il rinnovato interesse per la filosofia della matematica<br />
e soprattutto per la logica matematica in Italia.<br />
Questo tipo di indagini coinvolse tanto filosofi quanto<br />
matematici e si può dire che la quasi totalità dei docenti<br />
di tali discipline nella Università italiane sia stato, direttamente<br />
o indirettamente, legato a Geymonat.<br />
Altro campo - più vicino a certa problematica neopositivista<br />
- è la filosofia della probabilità, su cui Geymonat<br />
ritornò in parecchi periodi della sua vita, a partire dal<br />
1940, fino al volume: Filosofia della probabilità (1982)<br />
scritto in collaborazione con D. Costantini (un probabilista<br />
puro che proprio il rapporto con Geymonat aveva<br />
indirizzato ad una visione più generale della sua disciplina,<br />
cosa che del resto era avvenuta anche per molti altri<br />
giovani matematici e fisici).<br />
Sullo “storicismo scientifico” di Geymonat mi limiterò a<br />
ricordare il volume Scienza e storia (1985) come pure,<br />
per molti versi, il volume “dialogico” (gli interlocutori<br />
erano E. Agazzi e F. Minazzi) Filosofia, scienza e verità<br />
(1989). Va qui sottolineato che lo “storicismo” di<br />
Geymonat non fu mai puramente dottrinario, ma si concretizzò<br />
in specifiche indagini proprie e in numerose<br />
iniziative editoriali e non (basti ricordare la collana Utet<br />
da lui diretta dei Classici della Scienza, o la sua funzione<br />
determinante nello sviluppo della Domus Galileiana). Ho<br />
nominato di passaggio solo alcuni titoli della copiosissima<br />
produzione geymonatiana, come ho fatto cenno solo<br />
ad un paio delle sue numerose iniziative editoriali; già<br />
questi pochi esempi mostrano tuttavia che Geymonat ha<br />
avuto rapporti con quasi tutti i grandi editori italiani e che<br />
non ha certo disdegnato di “lanciarne” dei nuovi. Comunque,<br />
una bibliografia completa delle sue opere fino al<br />
1977 si può trovare in M. Quaranta e B. Maiorca, L’arma<br />
della critica di Ludovico Geymonat, (1977) mentre una<br />
testimonianza illuminante sull’attività editoriale di<br />
Geymonat si può trovare nel contributo di Emanuele<br />
Vinassa di Regry, “Geymonat e l’editoria italiana”, al<br />
volume Scienza e filosofia. Saggi in onore di Ludovico<br />
Geymonat (1985) che contiene tra l’altro la bibliografia<br />
di Geymonat aggiornata a quell’anno.<br />
E’ difficile, e sarebbe comunque ingiusto “ridurre” una<br />
personalità come quella di Geymonat alla sola dimensione<br />
di studioso: antifascita militante, partigiano combattente,<br />
civilmente e politicamente impegnato (prima nel<br />
PCI, quindi in DP e infine in Rifondazione comunista) era<br />
un entusiasta e un partecipe per natura. E con ciò non<br />
voglio dire che fosse un uomo “perfetto”, come si è soliti<br />
fare quando una persona cara ci lascia. Tutt’altro: aveva<br />
difetti altrettanto marcati delle sue virtù, difetti che lo<br />
rendevano un uomo talora difficile da trattare, con i suoi<br />
scatti d’ira, le sue passioni brucianti seguite da indifferenza<br />
totale, con quel suo dividere la vita, nei comportamenti,<br />
in bianco o in nero, amico o nemico, razionale o<br />
irrazionale, con una sorta di candida ingenuità insospettabile<br />
- e non sempre facilmente perdonabile - in un nome<br />
e in uno studioso della sua levatura; personalmente ho<br />
avuto con lui scontri molto aspri (condotti «con quell’as-
soluta sincerità che è la condizione di un’assoluta amicizia»,<br />
come ebbe a scrivere nel 1964) che hanno veramente<br />
messo a dura prova un’amicizia più che trentennale.<br />
Ma gli debbo anche riconoscere una grande capacità di<br />
ammettere i suoi eventuali torti, o più semplicemente i<br />
suoi sbagli, o abbagli, e una dedizione amicale totale, a<br />
volte quasi imbarazzante.<br />
Contrariamente a quanto più di un commentatore ha detto<br />
in occasione della sua morte, Geymonat è stato lucido e<br />
attivo certamente almeno fino al ricovero in ospedale, e<br />
ne fanno fede, ancora una volta, i suoi interventi, volumi<br />
o articoli, nei quali è rimasta fino alla fine evidente quella<br />
«ricerca, talvolta esasperata, di chiarezza» che egli dichiarava<br />
essere un suo scopo fin dal 1945 e che più d’una<br />
volta ha fatto dire a critici superficiali, e interessati, che<br />
Ludovico Geymonat è scomparso il 29 novembre<br />
1991 a Passirana di Rho. Nato a Torino l’11 maggio<br />
del 1908, si forma nelle scuole dei gesuiti dalle<br />
quali, pur essendo uno dei migliori allievi, è però<br />
espulso a causa di un anomalo tema su Giovanna<br />
d’Arco. Passato al liceo Massimo d’Azeglio vi<br />
frequenta l’ultimo anno per poi iscriversi all’università<br />
torinese dove si laurea, prima in filosofia<br />
(1930) con Annibale Pastore (discutendo una tesi<br />
dedicata a Il problema della conoscenza nel positivismo),<br />
poi in matematica (1932) con Guido Fubini<br />
(discutendo una tesi di analisi superiore), entrando<br />
anche in contatto diretto con Giuseppe Peano.<br />
Nel maggio del 1929 è già arrestato per antifascismo<br />
per aver firmato (insieme ad altri studenti, tra<br />
i quali Massimo Mila, Franco Antonicelli, Umberto<br />
Segre e Paolo Treves, cui si unì anche Umberto<br />
Cosmo) una lettera di solidarietà a Benedetto Croce<br />
il quale, dopo aver difeso in parlamento il laicismo<br />
dello Stato ed aver criticato apertamente i Patti<br />
lateranensi, era stato violentemente attaccato da<br />
Benito Mussolini. In tal modo Geymonat si segnalò<br />
immediatamente alle autorità fasciste per il suo<br />
coerente antifascismo e per la sua tipica coscienza<br />
morale. Durante tutti gli anni seguenti Geymonat<br />
non si piegò mai al regime fascista e conseguentemente<br />
non accettò mai di iscriversi al partito fasci-<br />
Il problema della conoscenza nel positivismo<br />
Bocca, Torino 1931<br />
La nuova filosofia della natura in Germania<br />
Bocca, Torino 1934<br />
<strong>Studi</strong> per un nuovo razionalismo<br />
Chiantore, Torino 1945<br />
Storia e filosofia dell’analisi infinitesimale<br />
Levrotto & Bella, Torino 1947<br />
Saggi di filosofia neorazionalistica<br />
Einaudi, Torino 1953<br />
Il pensiero scientifico<br />
Garzanti, Milano 1954<br />
Galileo Galilei<br />
Einaudi, Torino 1956<br />
Filosofia e filosofia della scienza<br />
Feltrinelli, Milano 1960<br />
Storia della matematica<br />
in Storia delle scienze<br />
a cura di N. Abbagnano,<br />
Utet, Torino 1962 (vol. I, pp.305-662)<br />
Storia del pensiero filosofico e scientifico<br />
Garzanti, Milano 1970-76, 7 voll.<br />
Scienza e realismo<br />
Feltrinelli, Milano 1977<br />
Contro il moderatismo<br />
a cura di M. Quaranta, Feltrinelli, Milano 1970<br />
PROFILO<br />
sta, anche se questa sua ferma e coerente decisione<br />
ebbe un prezzo alquanto salato: lo costrinse ad<br />
abbandonare l’insegnamento presso la Facoltà di<br />
Scienze dell’Università di Torino (dove svolgeva<br />
attività di assistente di analisi algebrica), gli impedì<br />
di insegnare nei licei statali, pur avendo vinto a<br />
pieni voti sia il concorso per l’insegnamento di<br />
filosofia sia quello per l’insegnamento di matematica,<br />
che svolgeva presso il Liceo privato “G. Leopardi”<br />
(dove ebbe come collega di lettere Cesare<br />
Pavese). Durante gli anni Trenta, avendo vinto il<br />
premio Cantoni di filosofia bandito dall’Università<br />
di Firenze, ottenne una borsa di studio con la quale<br />
- anche grazie ad un aiuto finanziario del padre -<br />
potè soggiornare a Vienna per un intero semestre<br />
nel 1935, entrando in diretto contatto con gli esponenti<br />
del Circolo di Vienna. Durante questo soggiorno,<br />
oltre a legarsi in modo particolare con<br />
Moritz Schlich e Friedrich Waismann, studiò con<br />
attenzione le idee direttive del neopositivismo,<br />
diventando ben presto uno dei più acuti e profondi<br />
conoscitori italiani di questo movimento filosofico.<br />
Gli ultimi anni del regime fascista lo vedono<br />
comunque sempre più impegnato nella lotta antifascista:<br />
la discussione e la conoscenza di un operaio<br />
comunista come Luigi Capriolo, proveniente da<br />
dodici anni di carcere e confino, lo inducono non<br />
Opere di Ludovico Geymonat (in volume)<br />
Paradossi e rivoluzioni.<br />
Intervista su scienza e politica<br />
a cura di G. Giorello e M. Mondadori,<br />
Il Saggiatore, Milano 1979<br />
Per Galileo<br />
a cura di M. Quaranta, Bertani, Verona 1981<br />
Filosofia della probabilità<br />
(con D. Costantini), Feltrinelli, Milano 1982<br />
Riflessioni critiche su Kuhn e Popper<br />
Dedalo, Bari 1983<br />
Lineamenti di filosofia della scienza<br />
Mondadori, Milano 1985<br />
Scienza e storia, a cura di F. Minazzi, Bertani,<br />
Verona 1985<br />
Le ragioni della scienza<br />
(con G. Giorello e F. Minazzi),<br />
Laterza, Bari 1986<br />
La ragione e la politica<br />
a cura di M. Quaranta, Bertani, Verona 1987<br />
Del marxismo<br />
a cura di M. Quaranta, Bertani, Verona 1987<br />
La libertà<br />
Rusconi, Milano 1988<br />
Filosofia, scienza e verità<br />
(con E. Agazzi e F. Minazzi),<br />
Rusconi, Milano 1989<br />
nei suoi scritti non era contenuta “abbastanza filosofia”.<br />
Ma sarebbe difficile sopravvalutare il contributo di<br />
Geymonat, del suo razionalismo agguerrito e combattivo,<br />
della sua battaglia per il superamento delle “due<br />
culture”, alla cultura filosofica, storica e scientifica italiana<br />
dagli anni Trenta in poi; e mi piace terminare questo<br />
breve ricordo con le parole con cui egli chiudeva l’introduzione<br />
alla Enciclopedia Geymonat: «Solo se sostenuta<br />
dall’entusiasmo dei propri successi, se temprata dall’esatta<br />
valutazione delle difficoltà tuttora non risolte, l’umanità<br />
può persistere nella difficile via della ragione,<br />
senza farsi tentare da quelle - tanto più comode - del<br />
conformismo dogmatico o del pessimismo irrazionalista».<br />
solo ad uscire dall’isolamento forzato di un generico<br />
antifascismo senza significativi sbocchi pratici<br />
ma anche ad iscriversi senza riserve - nel 1940 - nel<br />
Partito Comunista, nelle cui file partecipò in prima<br />
persona alla lotta di Liberazione in Piemonte, dove<br />
svolse un ruolo di primo piano come commissario<br />
politico della 105 brigata Garibaldi “Carlo<br />
Pisacane”, nonché come redattore capo responsabile<br />
per l’edizione torinese clandestina de “l’Unità”.<br />
Dopo la Liberazione Geymonat torna più direttamente<br />
all’amato mondo degli studi, in primo luogo<br />
pubblicando, negli stessi giorni dell’insurrezione<br />
nazionale, il suo impegnativo volume: <strong>Studi</strong> per un<br />
nuovo razionalismo e dando vita nell’immediato<br />
dopoguerra (insieme ad altri intellettuali come Nicola<br />
Abbagnano, Norberto Bobbio, Eugenio Frola,<br />
ecc.) al Centro di <strong>Studi</strong> Metodologici di Torino con<br />
il quale diffonde in modo critico la lezione neopositivista.<br />
Nel 1949 vince il primo concorso di filosofia<br />
teoretica indetto dalla caduta del fascismo e<br />
diviene professore di filosofia presso l’Università<br />
di Cagliari. Nel ’52 si trasferisce all’Università di<br />
Pavia dove insegna Storia della filosofia per poi<br />
ottenere nel 1957 la prima cattedra italiana di<br />
Filosofia della scienza presso l’Università di Milano,<br />
che tiene fino al 1979. F.M.<br />
I sentimenti<br />
Rusconi, Milano 1989<br />
La società come milizia<br />
a cura di F. Minazzi, Marcos y Marcos,<br />
Milano 1989<br />
La Vienna dei paradossi<br />
a cura di M. Quaranta, Il Poligrafo, Padova 1991<br />
Filosofia e scienza nel ‘900,<br />
a cura di M. Quaranta, Edizioni GB, Padova 1991<br />
L’ultimo scritto di Geymonat, La filosofia dell’empirismo<br />
logico: una testimonianza sul Wiener Kreis,<br />
è apparso nel volume: Il cono d’ombra. La crisi<br />
della cultura agli inizi del '900, (a cura di F. Minazzi,<br />
Marcos y Marcos, Milano 1991, pp. 21-44), ed è<br />
dedicato ad una inedita testimonianza sul Circolo di<br />
Vienna.<br />
Sull’opera di Geymonat si veda:<br />
AA.VV.,<br />
Scienza e filosofia.<br />
Saggi in onore di L. Geymonat,<br />
a cura di C. Mangione, Garzanti, Milano 1985<br />
M. Quaranta e Bruno Maiorca,<br />
L’arma della critica di L. Geymonat,<br />
Garzanti, Milano 1977<br />
F. Minazzi,<br />
Ludovico Geymonat:<br />
dal neopositivismo al materialismo dialettico,<br />
“Marx centouno”, n.7, 1991, pp.155-163
PROFILO<br />
Monaco di Baviera, corteo in occasione dell'inaugurazione della Haus der Kunst (1937)
Presentiamo qui gli atti di un dibattito sul tema: “Filosofia<br />
e politica in Germania tra le due guerre”, organizzato<br />
da “Informazione Filosofica” presso la Casa della Cultura<br />
di Milano (25 novembre 1991), in collaborazione<br />
con l’ Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli e<br />
l’ Istituto Lombardo per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> e Giuridici di<br />
Milano. Occasione del convegno e del dibattito che ne è<br />
seguito è stata la presentazione dell’opera di Domenico<br />
Losurdo: La comunità, la morte, l’Occidente: Heidegger<br />
e l’ «ideologia della guerra» (Bollati Boringhieri 1991).<br />
Ricostruendo attraverso la biografia intellettuale e l’opera<br />
filosofica di pensatori significativi dell’epoca il<br />
clima culturale-ideologico di un’intera generazione di<br />
intellettuali in Germania all’indomani della prima guerra<br />
mondiale e fino alla presa del potere da parte del<br />
partito nazionalsocialista, Losurdo va a cogliere uno dei<br />
nessi fondamentali della tradizione del pensiero occidentale:<br />
il rapporto tra filosofia e ideologia politica.<br />
Soprattutto il modo di questa ricostruzione, a partire cioè<br />
dall’interno del pensiero di<br />
determinati autori, per procedere<br />
poi gradatamente all’esterno,<br />
al contesto cultu-<br />
rale-ideologico,politicosociale, in cui l’opera di<br />
questi viene producendosi,<br />
rende il rapporto tra filosofia<br />
e potere politico un problema<br />
decisamente inquietante<br />
per le domande che<br />
pone circa il ruolo e le responsabilità<br />
del “filosofare”<br />
in determinate situazioni<br />
politiche. Nel caso del<br />
libro di Losurdo, la peculiarità<br />
dell’analisi di questo<br />
rapporto è accresciuta<br />
dal fatto che le varie posizioni<br />
filosofiche prese in esame<br />
non vengono ricondotte<br />
né a un rifiuto di principio del coinvolgimento<br />
politico, né a un aperto schieramento ideologico con il<br />
potere dominante, ma in tutte viene individuato, certo in<br />
maniera ogni volta diversa, un presupposto problematico<br />
comune, che appunto costituisce l'oggetto dell'analisi<br />
di Losurdo: una sorta di “incommensurabilità di fondo”,<br />
tra pensiero filosofico e ideologia politica. In virtù di un<br />
tale presupposto l’autonomia che fonda la riflessione<br />
filosofica in quanto tale non ammetterebbe che anche nel<br />
caso di una evidente e rinnovantesi sovrapposizione, se<br />
non addirittura identificazione tra contenuto filosofico e<br />
contenuto ideologico, si possa parlare di contaminazione<br />
tra filosofia e potere politico.<br />
Permane tuttavia irrisolto il peso del giudizio storico su<br />
un’epoca di crimine sistematico nei confronti dell’umanità,<br />
a cui fa eco, ed è storia dei nostri giorni, il preoccupante<br />
riaccendersi di ideologie razziste di compensazione.<br />
Tutto ciò non permette, oggi come allora, di liquidare<br />
il problema attraverso documentate attribuzioni di colpa.<br />
Il lavoro di Losurdo è in tal senso una testimonianza<br />
eloquente.<br />
RESOCONTO PROFILO<br />
Roberto<br />
Esposito<br />
Filosofia e politica<br />
in Germania<br />
tra le due guerre<br />
Intervengono Cesare Cases,<br />
Roberto Esposito, Domenico Losurdo,<br />
Giorgio Penzo, Stefano Petrucciani<br />
Credo che a La comunità, la morte,<br />
l’Occidente di Domenico Losurdo ci<br />
si debba accostare con il rispetto dovuto<br />
a un libro importante: vale a dire<br />
attraverso una discussione impegnata<br />
e non diplomatica dei problemi che<br />
solleva, delle soluzioni che prospetta, dei presupposti da<br />
cui muove. Un libro importante per almeno tre ordini di<br />
motivi. Intanto per la vastità del materiale che mette in<br />
campo ed esamina con una “filologia” inconsueta per un<br />
saggio di battaglia come pure esso è. Ad essere indagato<br />
in tutte le sue articolazioni interne non è solo il rapporto<br />
tra Heidegger e il nazismo, ma la relazione tra un’intera<br />
generazione europea di intellettuali e quella<br />
Kriegsideologie che costituisce il collante appunto ‘ideologico’<br />
(il saggio di Losurdo appartiene al genere un<br />
tempo assai frequentato della ‘critica ideologica’) di tutta<br />
una serie di opzioni linguistiche, concettuali e politiche:<br />
ad essa rimanda, infatti, non soltanto l’idea di “comunità”<br />
nazionale, saldata misticamente<br />
nella comunanza di<br />
“sangue e suolo” appunto<br />
dal pericolo della guerra,<br />
ma anche, più in generale,<br />
il rifiuto dei valori della<br />
modernità, a partire dai diritti<br />
universali della rivoluzione<br />
dell’89 fino alla democrazia<br />
e al bolscevismo<br />
(nel libro di Losurdo sempre<br />
affiancati in un unico<br />
giudizio positivo).<br />
Il secondo motivo di interesse<br />
del volume è costituito<br />
dal fatto che questo prezioso<br />
lavoro di scavo non<br />
avviene a scapito, ma in<br />
funzione di una tesi assai<br />
netta che lo colloca in maniera<br />
inequivoca all’interno<br />
del dibattito in corso e che è la seguente: quella<br />
“ideologia della guerra” presente in maniera diversamente<br />
calibrata in tutti gli autori trattati e in particolare in<br />
Heidegger porta dritta al nazismo. Quest’ultimo costituisce<br />
il compimento politico - o l’effettuazione - di una<br />
parabola teoretica che ha alla propria base la “deuniversalizzazione”<br />
dell’idea di uomo e la naturalizzazione<br />
della storia già anticipata da Burke e De Maistre e a vario<br />
titolo presente nelle opere di Sombart, Jaspers, Jünger,<br />
Schmitt e naturalmente Heidegger (non senza qualche<br />
eco in autori insospettabili come Freud, Weber, Husserl,<br />
Mann, Croce o Wittgenstein). Quando questa “ideologia”<br />
diffusa come un morbo mortale negli anni Dieci e<br />
Venti arriva a dedurre dalla disfatta della modernità la<br />
necessità di un nuovo inizio miticamente rivestito dei<br />
panni dell’antica polis greca, allora i tempi sono maturi:<br />
la cultura tedesca è pronta a riconoscere nel Führer l’<br />
“eroe” che salverà l’Occidente dall’invasione dei “mercanti”<br />
ariani o ebrei (o peggio ancora “zingari, papuani,<br />
ottentotti”) che ne minacciano la sopravvivenza.<br />
E arriviamo così al terzo merito del libro di Losurdo: la
capacità di distinzione interna che sottrae la propria tesi<br />
ad ogni atteggiamento pregiudiziale. Distinzione non<br />
solo tra antigiudaismo e antisemitismo; non solo tra i vari<br />
intellettuali, diversificati in merito sia alla scelta nei<br />
confronti del nazismo, sia all’itinerario filosofico che ad<br />
essa li ha condotti; ma anche tra i differenti strati interni<br />
dell’opera dei singoli autori. Dei quali comunque, a<br />
partire da Heidegger, Losurdo è ben lontano da negare la<br />
“grandezza” filosofica. Ciò che egli contesta è invece<br />
l’atteggiamento pregiudizialmente “innocentista” di coloro<br />
che pur di arrivare al loro scopo o adottano quell’ermeneutica<br />
sillogistica secondo la quale, dal momento che<br />
cultura e fascismo sono termini contraddittori, chiunque<br />
sia filosofo - e grande filosofo - non può essere fascista;<br />
o trattano l’adesione di Heidegger al nazismo come<br />
episodio marginale e contingente del tutto esterno alla<br />
formazione delle sue categorie filosofiche. Al contrario -<br />
afferma Losurdo - tale adesione deve in qualche modo<br />
originarsi in quelle categorie. E’ vero che esiste una sorta<br />
di “eccedenza” della filosofia - di ogni filosofia, e di<br />
quella di Heidegger in modo del tutto particolare - rispetto<br />
alla pressione del proprio tempo: ma anch’essa va letta<br />
dentro coordinate storicamente determinate. Certo, non<br />
bisogna mai perdere di vista la linea di confine tra<br />
“teoria” e “ideologia”, ma neanche il fatto che tale linea<br />
è per forza di cose segmentata, sfrangiata, interrotta. Non<br />
solo, ma che non taglia orizzontalmente, come vorrebbe<br />
Habermas, la produzione di Heidegger in due fasi distinte<br />
e separate - prima e dopo il ’29 - bensì la attraversa<br />
verticalmente in tutta la sua estensione. Tant’è vero che<br />
già in Sein un Zeit si fanno strada alcune categorie poi piegate<br />
all’esito che sappiamo negli anni oscuri del rettorato.<br />
Ma quali categorie? Proprio qui mi pare vengano alla luce<br />
una serie di problemi non soltanto di interpretazione, ma<br />
anche di coerenza interna rispetto ai presupposti teorici<br />
che la fondano nel libro di Losurdo. Questi giustamente<br />
richiama a sostegno della propria tesi la contrapposizione,<br />
al centro di Essere e Tempo, tra il “Se stesso autentico<br />
della decisione” e l’impersonalità seriale di un “sì” che<br />
«non ha il coraggio dell’angoscia davanti alla morte».<br />
Non mi pare dubbio che siamo qui già in presenza di un<br />
“gergo dell’autenticità” - per dirla con Adorno - che,<br />
ambiguamente storicizzato nel destino della Gemeinschaft<br />
tedesca, porterà al tragico cortocircuito della<br />
Selbsbehauptung. Ma per quale via, per quale transito<br />
teoretico? Secondo Losurdo per quella della “detrascendentalizzazione”<br />
e “deuniversalizzazione” del soggetto.<br />
Per me, al contrario, come anche per altri interpreti, per<br />
quella della sua eccessiva universalizzazione; e cioè per<br />
una mai smaltita caratterizzazione umanistica e spiritualistica<br />
che “tradisce” l’analitica del Dasein e la espone al<br />
rischio di un’indebita traduzione politica: dove per umanesimo<br />
s’intende evidentemente una determinata concezione<br />
dell’umanità dell’uomo necessariamente - cioè<br />
metafisicamente - portata a riconoscersi nella massima<br />
estensione del dominio umano sulla terra. Non erano stati<br />
questi la libertà e il compito affidati all’uomo anche dal<br />
Dio cristiano? E non era stato proprio questo umanesimo<br />
dell’essenza a giustificare in Husserl l’esclusione dal<br />
concetto di uomo occidentale - vale a dire dell’uomo tout<br />
court - di coloro che di quell’umanesimo non si erano fatti<br />
RESOCONTO<br />
PROFILO<br />
ancora né soggetti, né oggetti, come lo stesso Losurdo<br />
sottolinea?<br />
Si direbbe che Heidegger respinga l’umanesimo classico<br />
non perchè troppo, ma perchè troppo poco, spiritualistico;<br />
così che anche il costante richiamo all’essere-per-lamorte<br />
finisce per intrecciarsi indissolubilmente con la<br />
traduzione ultraumanistica che vede nella morte l’estremo<br />
raccoglimento del soggetto intorno al suo inappropriabile<br />
proprium: appunto la propria morte. E’ la stessa<br />
dialettica di prossimità e distanza che fa del pensiero<br />
dell’Essere ancora un pensiero dell’uomo per l’uomo. O<br />
anche: che nella rappresentazione della “distanza” celebra<br />
insieme l’assoluta presenza a se stesso di chi s’interroga<br />
sull’assenza della propria patria e sulla modalità<br />
della sua riconquista, come fin nella Lettera sull’umanismo<br />
è dichiarato. Per non parlare della Einführung in die<br />
Metaphysik, in cui l’oscillazione tra ontologia e antropologia<br />
perviene alla fine a una compiuta sovrapposizione.<br />
Che sia l’Uomo ad essere affidato a una “cura” essenzialmente<br />
umana, umana per essenza, sta di fatto che è da tale<br />
coappartenenza che si mette in moto quella potentissima<br />
macchina mitologica, già pervenuta nella Rektoratsrede<br />
al suo esito “istoriale-operativo”. E’ il punto, precisamente,<br />
in cui l’umanesimo heideggeriano trova compimento<br />
nel mito romantico dell’Opera, come appare chiaro<br />
dalla ripresa in chiave antimoderna dell’ “Inizio” greco<br />
al centro anche del libro di Losurdo. Cos’altro è quella<br />
Grecia, per Heidegger, se non il luogo di sutura filosofico-politico<br />
tra teoria e prassi, funzionalizzato al nuovo<br />
destino della Germania?<br />
E qui veniamo al secondo punto che mi lascia perplesso.<br />
Losurdo batte, anche qui giustamente, sul ruolo politico<br />
assegnato da Heidegger - da un certo Heidegger almeno,<br />
perchè sicuramente esiste un precedente e successivo<br />
Heidegger “impolitico” - alla filosofia. Convengo che sia<br />
proprio questo il rischio ancora implicito nell’heideggerismo.<br />
Ma come contrapporre ad esso - è ciò che fa<br />
implicitamente Losurdo - l’altra grande politicizzazione<br />
europea della filosofia rappresentata dalla “filosofia della<br />
prassi” di Marx? E non era Marx stesso stato influenzato,<br />
in termini evidentemente diversi, dal medesimo<br />
romanticismo dell’Opera, cui anche quell’Heidegger “politico”<br />
attinge a piene mani? Lo si potrebbe negare solo<br />
contrapponendo un Hegel marxiano al Fichte heideggeriano,<br />
cosa che non mi sembra molto reggere da nessun<br />
punto di vista (si pensi anche al ruolo di Schelling). E<br />
d’altra parte debole mi pare anche la lettura del “comunismo”<br />
marxiano come opposizione dell’idea di “società”<br />
a quella di “comunità”: quando è proprio la comunità<br />
come restaurazione della totalità infranta dal capitalismo<br />
al cuore della (storicamente infausta) utopia marxiana<br />
lungo una traiettoria che se non ha al proprio inizio il<br />
comunitarismo di Fichte, sicuramente ha quello di<br />
Rousseau. Anche qui a meno di voler connettere tra di<br />
loro liberalismo, democrazia e bolscevismo come contraltare<br />
“moderno” all’antimodernismo nazista.<br />
Qui c’è un’ultima questione da puntualizzare. Personalmente<br />
trovo il libro di Losurdo utilissimo a combatter<br />
l’assurda tesi - oggi ritornata in circolazione - della<br />
identificazione “totalitaria” di comunismo e nazifascismo.<br />
Poche formule contengono pari potenziale di sem-
plificazione e di vero e proprio travisamento della realtà<br />
storica. E tuttavia qualcosa in più va detto. Se non si vuole<br />
rendere a quella grande potenza storica che è stato il<br />
comunismo in questi settanta anni lo stesso torto che<br />
fanno ad Heidegger coloro che ne negano ogni responsabilità<br />
filosofica, bisogna ammettere che esso si è contrapposto<br />
alla democrazia con la stessa determinazione con<br />
cui lo ha fatto il fascismo. Anche se per motivazioni<br />
opposte e imparagonabili. Lo dico senza nessun entusia-<br />
Giorgio<br />
Penzo<br />
Potrebbe sembrare che Domenico<br />
Losurdo nel suo interessante studio<br />
sull’ideologia della guerra, La comunità,<br />
la morte, l’Occidente, dovesse<br />
prendere in considerazione soltanto<br />
la problematica di Heidegger, dato<br />
che nel sottotitolo si legge Heidegger<br />
e l’ “ideologia della guerra”. In realtà Losurdo allarga la<br />
sua indagine ai principali pensatori della prima metà del<br />
secolo che sono alla base di tale ideologia. Ricorrono<br />
nomi noti, come Nietzsche, Klages, Spengler, Schmidt,<br />
Baeumler, Weber e altri. In modo particolare però, Losurdo<br />
prende in considerazione Jaspers. Ed è questa direi la<br />
novità di tale studio, sulla quale vorrei soffermarmi.<br />
Si è discusso a lungo sul rapporto tra il pensiero di<br />
Heidegger e la cultura del nazionalsocialismo. In queste<br />
discussioni non compare mai il nome di Jaspers. Losurdo<br />
intende invece mostrare come neppure Jaspers si sarebbe<br />
sottratto al fascino ambiguo dell’ideologia della guerra.<br />
Dunque, non solo il pensiero di Heidegger, ma pure<br />
quello di Jaspers deve essere posto sotto processo. Questa<br />
è una tesi nuova nel contesto del dibattito sul germanesimo<br />
in genere e sul nazismo in particolare, ancora vivo in<br />
questi anni. A riguardo vorrei far notare che se è possibile<br />
mettere in luce nella problematica di Heidegger una certa<br />
ambiguità, che potè essere utilizzata dalla cultura del<br />
nazionalsocialismo, non è invece possibile a mio avviso<br />
affermare altrettanto nei confronti del pensiero di Jaspers.<br />
A differenza di Heidegger, Jaspers si è tenuto sempre<br />
lontano da ogni ingaggio con la politica del nazionalsocialismo.<br />
E ciò non soltanto perchè aveva una moglie<br />
ebrea, ma soprattutto perchè Jaspers come uomo è stato<br />
sempre profondamente coerente con il suo pensiero.<br />
Anzi, ritengo che nessun pensatore del nostro secolo<br />
abbia saputo mettere a fuoco una filosofia della libertà<br />
come quella di Jaspers.<br />
Losurdo da parte sua cerca di sottolineare con insistenza<br />
in alcune espressioni prese dagli scritti di Jaspers un<br />
possibile rapporto con i temi di fondo dell’ideologia della<br />
guerra, come quelli della morte, del pericolo, del destino<br />
che si ritrovano nella tematica della comunità. In questo<br />
contesto Losurdo mostra a mio avviso di non tenere ben<br />
presente la distinzione di fondo tra alcune categorie<br />
esistenziali tipiche della filosofia della vita e dell’esistenzialismo<br />
e le stesse categorie esistenziali che vengono<br />
elevate da Jaspers al livello ontologico. Per sottolineare<br />
questa sua profonda distinzione, Jaspers parla più precisamente<br />
di categorie esistentive: si tratta dell’esistenza<br />
aperta alla trascendenza. Ciò comporta che i momenti<br />
RESOCONTO PROFILO<br />
smo per la democrazia presente e senza nessuna enfasi<br />
per il suo ipotetico “valore”. Ma i fatti restano tali da<br />
qualsiasi lato li si guardi. Anche per quanto riguarda la<br />
modernità: se c’è un punto - un solo punto - in cui<br />
comunismo e fascismo si toccano è la percezione che<br />
un’epoca fosse finita e che fosse necessario pensare ad<br />
un’ulteriorità capace insieme di compierla e di superarla.<br />
Comunque ci si collochi, va quantomeno detto che tale<br />
“ulteriorità” è stato meglio perderla che trovarla.<br />
esistenziali della morte, del pericolo, del destino e della<br />
comunità ricevano in questo ambito di trascendenza<br />
jaspersiana un significato del tutto diverso da quello che<br />
Losurdo intende mettere in luce nel contesto di una<br />
ideologia della guerra. In Jaspers le categorie esistenziali<br />
della comunità, del pericolo, della morte e del destino<br />
ricevono un senso ontologico. Esse sono ben distanti<br />
dall’essere considerate nello stesso senso dell’ideologia<br />
della guerra, appunto perchè hanno il solo compito di<br />
portare l’esistenza di fronte alla trascendenza.<br />
Se Jaspers parla della fedeltà alle origini, alla storicità,<br />
ciò non significha che parli di una fedeltà all’esseretedesco<br />
ma piuttosto all’aprirsi al problema ontologico<br />
del fondamento del singolo. Così, se Jaspers esprime il<br />
suo rammarico per il fatto che al posto del destino<br />
dell’uomo subentri un legame alla macchina sociologica,<br />
egli vuole con ciò mettere in luce soltanto la dimensione<br />
inautentica del “si” anonimo, dove l’individuo si trova<br />
alienato. Non si tratta di un disprezzo aristrocratico della<br />
massa, ma solo della preoccupazione che l’individuo<br />
venga massificato. Ed ancora, se Jaspers parla di un<br />
legame alla sostanza della propria storicità, non intende<br />
la coscienza di sentirsi membro della comunità popolare,<br />
ma la coscienza di aprirsi al fondamento dell’uomo, che<br />
è dato soltanto dall’apertura alla trascendenza. Se nello<br />
scritto La situazione spirituale del tempo (1931) Jaspers<br />
asserisce di preferire la morte all’asservimento, questo<br />
non significa un elogio delle morte nel senso dell’ideologia<br />
della guerra, ma solo un elogio della libertà. In uno<br />
degli scritti politici più fondamentali redatti dopo il 1945,<br />
La bomba atomica e il destino dell’uomo, Jaspers arriva<br />
a formulare il paradosso che sarebbe meglio perdere la<br />
vita piuttosto che perdere il dono misterioso della libertà.<br />
Inoltre, la situazione limite, che è una delle categorie<br />
esistentive fondamentali di Jaspers, è lontana dal poter<br />
essere interpretata nel senso della comunità guerresca<br />
tipica dell’ideologia della guerra. La categoria fondamentale<br />
per leggere gli scritti politici di Jaspers dopo il<br />
1945 è quella della “conversione interiore”, che chiarisce<br />
la distinzione di fondo tra politica e sovra-politica. Se si<br />
tiene presente questa categoria esistentiva politica e quella<br />
filosofica della comunicazione, si può capire come la<br />
distinzione che Jaspers fa tra comunità e società non<br />
possa essere racchiusa nello schema dell’ideologia della<br />
guerra.<br />
E’ noto che la problematica della comunicazione si fonda<br />
sulla distinzione tra il conoscere tipico dell’intelletto e il<br />
comprendere tipico della ragione. La ragione non è<br />
estrinseca all’intelletto, ma è lo stesso intelletto quando
questo prende coscienza dei suoi limiti conoscitivi. La<br />
verità tipica del conoscere non riguarda il fondamento<br />
dell’uomo; mentre la verità della ragione riguarda solo il<br />
fondamento dell'uomo, che come tale si sottrae ad ogni<br />
presa dell’intelletto conoscente. La problematica esistentiva<br />
della comunicazione non può perciò essere messa a<br />
fuoco dall’intelletto, ma solo dalla ragione. I tratti caratteristici<br />
della comunicazione esisitentiva sono l’essereunito-a,<br />
cioè all’altro, e l’essere-in-solitudine. Questa<br />
categoria esistentiva è diversa da quella esistenziale di<br />
essere-isolati, poichè questa riguarda il singolo in rapporto<br />
alla società. Si capisce così come Jaspers intenda la<br />
distinzione tra comunità e società. La prima si compone<br />
di più singoli aperti alla solitudine del proprio fondamento<br />
e quindi aperti al nulla. Si tratta di una comunità sotto<br />
l’angolo visivo della comunicazione, grazie alla quale<br />
ogni singolo è aperto alla trascendenza. La seconda<br />
invece è composta da più singoli, aperti solo alla dimensione<br />
dell’intelletto. Nell’unione esistentiva della comunità<br />
viene meno da una parte ogni verità rivelata, nel<br />
senso di una verità religiosa ben delineata, dall’altra ogni<br />
concezione del mondo che è alla base delle diverse<br />
ideologie. Questi due modi inautentici della comunicazione,<br />
l’uno a livello religioso e l’altro al livello politico,<br />
sono invece propri della società.<br />
In una conferenza del 1956, La dimensione collettiva e il<br />
singolo, Jaspers distingue tra comunità sostanziale e<br />
società tecnica. Questa distinzione implica due diversi<br />
modi di concepire l’autorità. Se nella comunità l’autorità<br />
proviene dall’interno, nella società l’autorità proviene<br />
dall’esterno, decadendo così ad autoritarismo, aperto<br />
sempre al pericolo della violenza. Nel contesto dell’autoritarismo<br />
Jaspers non fa distinzione tra Stato e Chiesa,<br />
perchè si è sempre di fronte a una autorità ben definita.<br />
Nella consapevolezza di essere in possesso della verità,<br />
lo Stato e la Chiesa si sentono giustificati ad imporre ai<br />
loro membri tale verità conosciuta. In particolare Jaspers<br />
allude allo stato marxista e soprattutto a quello nazista,<br />
che sarebbe l’espressione più tipica del totalitarismo. In<br />
tal senso la comunità tedesca tipica dell’ideologia della<br />
guerra sarebbe piuttosto espressione della società e non<br />
già della comunità.<br />
Se si vuole comprendere più a fondo la distinzione<br />
jaspersiana tra comunità e società, si deve tener presente<br />
la distinzione che fa Max Stirner tra comunità e società,<br />
alla quale corrisponde rispettivamente la distinzione tra<br />
rivolta e rivoluzione. La rivolta è un atto del tutto esistenziale<br />
in quanto indica l’intima ribellione dell’individuo<br />
che non intende perdere nell’anonima società la sua<br />
interna coerenza. Si tratta di voler superare ogni estraniazione<br />
dell’io nell’anonimo della massa. Il cosidetto egoismo<br />
stirneriano non può a mio avviso essere definito,<br />
come vogliono Marx ed Engels, come un egoismo puramente<br />
anarchico. Stirner intende tematizzare un’esistenza<br />
dalla quale esuli ogni concezione universale, che egli<br />
definisce come “santa”. La dimensione universale del<br />
concetto che è alla base delle diverse ideologie rappresenta<br />
il momento dell’estraniazione dell’io, e perciò<br />
appartiene all’ambito della società, dove l’io non è più<br />
“mia proprietà”. Di qui il titolo dell’opera di Stirner del<br />
1845, L’unico e la sua proprietà.<br />
PROFILO<br />
A differenza della realtà della rivoluzione che morde su<br />
un terreno sociale e presuppone il riconoscere come<br />
valido un vivere secondo leggi, il momento della rivolta<br />
si esaurisce solo in un atto interiore. Più precisamente, si<br />
ha una presa di posizione del soggetto rispetto all’oggetto,<br />
senza curarsi di modificare l’oggetto. In forza di<br />
questo atto l’oggetto perde la sua santità. E caduta la<br />
santità dell’oggetto, il soggetto si trova ad essere per se<br />
stesso nella dimensione di io come proprietà e quindi<br />
nella dimensione di unico. In qualsiasi rivoluzione invece,<br />
per quanto radicale essa sia, muta solo l’oggetto,<br />
mentre rimane intatta la santità di questo. L’ideologia<br />
della guerra verrebbe considerata da Stirner come un’espressione<br />
“santa” e perciò inautentica. Quando Marx ed<br />
Engels scrivono la loro critica all’opera di Stirner, che<br />
apparirà ne L’ideologia tedesca, mostrano di non aver<br />
saputo cogliere la verità profonda della rivolta e quindi<br />
della comunità. In questa, il singolo si trova unito all’altro<br />
singolo al di fuori di ogni dimensione santa della legge e<br />
quindi al di fuori di ogni concezione ideologica.<br />
Posto in chiaro che non è del tutto oggettivo interpretare<br />
la categoria esistentiva di Jaspers di comunità come<br />
categoria esistenziale tipica dell’ideologia della guerra,<br />
riesce facile chiarire il problema che riguarda la realtà<br />
storico-esistenziale di essere-tedesco, tipica di Jaspers,<br />
che secondo Losurdo dipenderebbe anch’essa dall’ideologia<br />
della guerra. A riguardo si può fare una considerazione<br />
di carattere generale. Non c’è dubbio che Jaspers<br />
parli con simpatia dell’essere-tedesco. Però egli dà a<br />
questa espressione un significato ben diverso da quello<br />
tipico dell’ideologia della guerra. La concezione di essere-tedesco<br />
di Jaspers richiama Nietzsche, secondo il<br />
quale essere-tedesco significa dis-germanizzarsi. Purtroppo<br />
il super-uomo di Nietzsche è stato interpretato nei<br />
primi decenni del nostro secolo sotto l’angolo visivo<br />
della filosofia della vita e dell’esistenzialismo. Sotto il<br />
primo aspetto è stato letto per lo più in chiave di un<br />
darwinismo più o meno brutale, e sotto il secondo aspetto<br />
è stato letto in chiave eroica. Jaspers dà di Nietzsche<br />
un’interpretazione a livello di filosofia dell’esistenza.<br />
Secondo Jaspers, come anche secondo Nietzsche, non c’è<br />
un modello fisso rispetto al quale sia possibile definire<br />
l’essere-tedesco. In altre parole, nessuna cultura tedesca<br />
può dire di se stessa di essere un’autentica cultura germanica.<br />
Così, se Losurdo accusa Jaspers di parlare con<br />
simpatia dell’essere-tedesco, ci si rende però conto che<br />
non si tratta di un essere-tedesco ben determinato come<br />
quello sostenuto dall’ideologia della guerra.<br />
Così pure quando Losurdo parla dell’amicizia di Jaspers<br />
con Weber, che indubbiamente nutre delle simpatie per<br />
un certo nazionalismo, ciò non implica che Weber abbia<br />
influenzato Jaspers in questo ambito. E’ noto che Weber<br />
insegna a Heidelberg dal 1897 al 1899 e che durante<br />
questo tempo Jaspers partecipa al suo circolo culturale. Il<br />
nome di Weber ricorre spesso negli scritti di Jaspers. In<br />
particolare Losurdo ricorda la monografia su Weber del<br />
1932, dal titolo Max Weber. Essenza tedesca nel pensiero<br />
politico, scientifico e filosofico. Nella nuova edizione del<br />
1952 viene tralasciato il richiamo all’essenza tedesca che<br />
poteva dare adito a qualche ambiguità. Per chiarire però<br />
il suo particolare modo di vedere l’essenza tedesca,
Jaspers ci tiene a sottolineare che il suo lavoro su Weber<br />
appare per la prima volta nel tempo in cui diventa<br />
pericolosa la violenza nazista. Weber è per Jaspers un<br />
filosofo che non si limita a insegnare filosofia, ma a<br />
viverla. Nella commemorazione tenuta nel 1920 per la<br />
morte di Weber, Jaspers sottoliena che in Weber si può<br />
vedere l’essenza di ogni esistenza filosofica, che si rivela<br />
nella coscienza di fronte all’assoluto nelle sue diverse<br />
espressioni. Questa coscienza si esprime nella ragione<br />
che è l’orizzonte ultimo delle responsabilità. In questa<br />
lettura Jaspers vede Weber non già come un rappresentante<br />
di una determinata concezione di essere-tedesco,<br />
ma come un rappresentante della ragione.<br />
Non c’è alcun dubbio che, se Jaspers parla dell’esseretedesco,<br />
lo fa proprio in polemica con l’interpretazione<br />
dell’ideologia della guerra. Quando dopo il 1945 si<br />
doveva pensare a riproporre un’autentica tradizione culturale<br />
tedesca, Jaspers pensa a figure come Lessing, Kant<br />
e soprattutto Goethe. Sono significative le due conferenze<br />
che egli tiene in onore di Goethe. La prima, del 1947,<br />
porta il titolo Il nostro avvenire e Goethe ed è tenuta<br />
quando Jaspers riceve il premio Goethe della città di<br />
Francoforte. La seconda del 1949 porta il titolo L’umanità<br />
di Goethe ed è tenuta in occasione del secondo centenario<br />
della nascita di Goethe, nella cattedrale di Basilea.<br />
Goethe viene proposto al popolo tedesco come una figura<br />
“tedesca” di primo piano da imitare. E’ il tempo in cui<br />
Jaspers scrive le sue opere politiche e parla di sovrapolitica<br />
come di una nuova dimensione etico-pedagogica<br />
Cesare<br />
Cases<br />
perchè credo che sia il primo tentativo<br />
attuale di far uscire Heidegger<br />
da quella specie di “splendido isolamento”<br />
in cui era finito nel dopoguerra<br />
e in cui il suo indubbio rapporto<br />
con il nazionalsocialismo di-<br />
ventava quasi una questione di scelte personali, una<br />
contesa tra chi optava per una philosophia perennis, di<br />
fronte alla quale ogni errore politico diventa una veniale<br />
debolezza della carne, e chi si accaniva contro il peccatore,<br />
invocando un rogo tardivo, che poi sarebbe stato un<br />
rogo postumo. In questa situazione la messa al bando di<br />
Heidegger decretata dal marxismo si rivela un’arma a<br />
doppio taglio, poichè l’etichettatura come pensatore reazionario<br />
o progressista collocava Heidegger in una compagnia<br />
che, buona o cattiva che fosse, era pur sempre una<br />
compagnia che aveva una sua legittimità storica, non solo<br />
consolante, ma pure conveniente.<br />
Come ricorda Losurdo, Lukács, che certo non esitava ad<br />
amettere o radiare a seconda dell’ideologia politica, in<br />
base al convincimento che nessuna concezione del mondo<br />
è innocente, mostrò un insolito rispetto per Heidegger<br />
sia nella Distruzione della ragione, sia nel saggio<br />
Heidegger redivivus, sulla Lettera sull’umanismo a Jean<br />
Beaufret, sia nel poco noto libro sull’esistenzialismo.<br />
Losurdo conosce benissimo Lukács, che prima di lui<br />
aveva spiegato l’adesione del pensatore al nazismo nel<br />
contesto della “distruzione della ragione”, ma il suo libro<br />
non è affatto un duplicato di quello di Lukács e non solo<br />
RESOCONTO PROFILO<br />
per il popolo tedesco del dopoguerra. Jaspers intende la<br />
dimensione di sovra-politica come un “mutamento interiore”.<br />
In queste conferenze su Goethe egli si pone il<br />
problema fino a che punto i grandi del passato possano<br />
ancora avere un senso per il tempo presente, senza esporsi<br />
con ciò al pericolo di cadere in un culto o peggio in una<br />
divinizzazione di questi “grandi”. Jaspers dà al termine<br />
grandezza un significato fondamentalmente diverso da<br />
quello tipico della cultura eroica dell’ideologia della<br />
guerra. E’ grande per Jaspers solo colui che aiuta il<br />
singolo ad aprirsi al suo fondamento interiore. Così<br />
Goethe è grande, secondo Jaspers, perchè riesce a realizzare<br />
l’esistenza umana in una pienezza spirituale che di<br />
rado si può constatare nella storia. Solo in questo modo<br />
la realtà umana racchiusa nelle opere di Goethe può<br />
essere ancora attuale per il popolo tedesco.<br />
Purtroppo la politica di Jaspers come sovra-politica, cioè<br />
come conversione interiore non può essere capita pienamente<br />
neppure dalla Germania democratica. Per questo<br />
egli pensa di abbandonare la sua amata Germania. Il<br />
dolore del distacco sarà un motivo di polemica con la sua<br />
amica e scolara Hannah Arendt, che non riusciva a capire<br />
perchè Jaspers voleva ancora riconoscersi tedesco. Anche<br />
l’ebrea H. Arendt cade però nell’equivoco che la<br />
Germania dovesse essere circoscritta alla Germania della<br />
cultura prussiana. Ma né Nietzsche né Jaspers si riconoscono<br />
in questa angusta Germania, pur affermando nello<br />
stesso tempo di voler essere ancora tedeschi.<br />
Penso che il libro di Losurdo sia molto importante,<br />
perchè ci sono di mezzo quasi cinquant’anni di ricerche<br />
e di pubblicazione di nuovi documenti, ma perchè quel<br />
libro soffriva delle pastoie che l’autore si era autoimposto.<br />
Heidegger era relativamente ben trattato, ma anche<br />
lui era una sottosezione di una sezione di una totalità<br />
malefica, che restava tale anche se vi capitava dentro un<br />
diavolo più intelligente degli altri. Lukács non poteva<br />
fare a meno di sussumere in qualche categoria e chiedeva<br />
alla totalità la forza di picconare i suoi singoli rappresentanti.<br />
Losurdo invece parte dal concreto, parte da<br />
Heidegger per tastare il terreno intorno a lui, che si rivela<br />
assai fecondo, in cerca di analogie. In questa prospettiva<br />
le contraddizioni interne del filosofo passano in secondo<br />
piano; non si vuole nel libro fare quella critica immanente<br />
cui Lukács aspirava, ma che raramente otteneva, perchè<br />
il pregiudizio ideologico arrivava alla meta prima di<br />
questa critica.<br />
Una critica immanente l’aveva già condotta molto bene<br />
Sternberger nella sua tesi di laurea del 1930, pubblicata<br />
solo alcuni anni fa; la tesi verteva su un solo paragrafo di<br />
Essere e tempo, quello - non ricordo più se il 91 o il 93 -<br />
in cui si pone la morte a fondamento dell’Esserci come<br />
essere per la morte. Sternberger con un’analisi puntuale<br />
dimostrava l’assurdità di fondare l’esistenza umana su<br />
un’esperienza che l’uomo non può mai avere in prima<br />
persona. A Losurdo non interessa la morte come principio<br />
dell’ontologia heideggeriana, ma come tema centrale<br />
dell’epoca nei dintorni della prima guerra mondiale,<br />
tema di cui quella heideggeriana non è altro che la
versione più radicale, una delle versioni più radicali.<br />
L’esaltazione del sacrificio e la mistica della comunità<br />
sono le altre componenti di quella che Losurdo chiama<br />
l’ideologia della guerra. Nel ravvisarne la presenza nei<br />
contemporanei Losurdo non esita a fare i nomi non solo<br />
di Jaspers, di Weber e di Husserl, ma anche di Buber e di<br />
Rosenzweig, che la recuperano a favore dell’ebraismo,<br />
sicchè anche coloro che saranno le future vittime del<br />
nazionalsocialismo hanno atteggiamenti che li portano in<br />
vicinanza del razzismo nazionalsocialista. A questo punto<br />
ci si può chiedere se un fenomeno così vasto, che<br />
coinvolge anche le vittime dell’odio antisemita nutrito<br />
dalle fantasie comunitarie, non abbia un minimo di legittimità<br />
teorica. Losurdo sembra contestarlo e in questo si<br />
accosta a Lukács; per esempio, per quanto riguarda i<br />
francofortesi, egli li porta in vicinanza di Heidegger, ma<br />
all’ultimo momento li distacca, dimostrando come in essi<br />
viva sempre la speranza di realizzare l’illuminismo,<br />
mutando le basi della società. Questo è filologicamente<br />
corretto ed è valido contro Lucio Colletti che fin dalla sua<br />
recensione della Dialettica dell’Illuminismo, contemporanea<br />
alla versione italiana, mostra di non aver capito<br />
nulla di questo libro e di ritenere che sia un libro rivolto<br />
contro l’Illuminismo. In realtà però, se faceva eccezione<br />
per Heidegger e Schmitt, soprattutto per ragione politiche,<br />
il nazionalsocialismo era un trauma difficilmente<br />
superabile per degli emigrati ebrei antinazisti. Horkheimer<br />
e Adorno avevano seguito la massima di Benijamin,<br />
secondo la quale bisogna imparare dal nemico.<br />
Losurdo parla di “eccedenza di teoria” sull’ideologia; ma<br />
in che cosa consiste questa eccedenza? A mio avviso nel<br />
fatto che il romanticismo anticapitalistico, non avendo<br />
prospettive positive che passino necessariamente attraverso<br />
il capitalismo, come le ha il marxismo, è molto più<br />
sensibile agli aspetti negativi di questo e al tipo di uomo<br />
che incarna questi aspetti negativi. Per fare la mia parte di<br />
pedante, chiamato come esperto di tedesco, dirò che in<br />
Losurdo c’è un unico errore terminologico che mi sembra<br />
significativo, dato che negli errori vien fuori l’inconscio,<br />
soprattutto in un uomo come Losurdo, che esamina tutto<br />
alla luce della ragione. A un certo punto del testo si parla<br />
del richiamo alla grecità in Heidegger, che non può essere<br />
Stefano<br />
Petrucciani<br />
nità, la morte, l’Occidente.<br />
Heidegger e l’ideologia della guerra)<br />
sta certamente nel modo in cui<br />
esso reimposta e ricontestualizza la<br />
questione del nazismo di<br />
Heidegger. Il libro, infatti, va oltre<br />
la questione delle scelte filonaziste del filosofo, scelte<br />
ormai comprovate e sulle quali non rimane molto da dire.<br />
Non si ferma a riflettere solo sulla circostanza inquietante<br />
di un filosofo che si fa nazista: mostra anche come vi sia<br />
un legame forte, non scindibile tra molti aspetti del<br />
pensiero di Heidegger e le sue scelte politiche. Queste, in<br />
altri termini, non sono certo l’incidente di percorso che<br />
capita a un filosofo perso nel cielo delle idee (come Talete<br />
quando cade nel pozzo e viene deriso dalla servetta tracia,<br />
nell’aneddoto cui recentemente Hans Blumenberg ha<br />
PROFILO<br />
un elemento unificante per tutta l’umanità, ma serve a<br />
definire gli schieramenti in lotta: «il nome di Eraclito non<br />
è la formula per il pensiero di un’umanità in sé abbracciante<br />
l’intero globo». Si tratta di una citazione da<br />
Heidegger, a cui tra parentesi fa seguito il termine tedesco,<br />
Allerweltsmenschheit an sich. Losurdo traduce «l’umanità<br />
in sé abbracciante l’intero globo», dando l’impressione<br />
che si tratti di una polemica contro l’umanesimo<br />
in generale, contro la retorica umanistica, mentre non<br />
è così, perchè Allerweltsmenschheit non vuol dire l’umanità<br />
che abbraccia l’intero globo, ma vuol dire un’umanità<br />
buona per tutti gli usi. L’espressione Allerwelt ha<br />
sempre una connotazione negativa; in questo caso indica<br />
un’umanità da quattro soldi. Cioè qui la polemica è<br />
contro l’umanesimo come ideologia del piccolo borghese<br />
alienato, americano o russo che sia. Heidegger aveva<br />
questi due bersagli, così come in generale l’ideologia<br />
della guerra esaminata da Losurdo. Si tratta quindi di una<br />
polemica contro l’ultimo uomo di Nietzsche; e questa<br />
polemica, a mio parere, prescindendo dalle implicazioni<br />
politiche che ne ha tratto Heidegger e in generale l’ideologia<br />
della guerra, prescindendo dalla esaltazione della<br />
bionda bestia ellenico-germanica, questa polemica ha il<br />
suo aspetto legittimo.<br />
Penso che questa sia la ragione della tenace sopravvivenza<br />
dell’anticapitalismo romantico, benchè Lukács credesse<br />
di essersene sbarazzato non solo personalmente,<br />
ma anche sul piano teorico. E penso anche che questa sia<br />
la ragione per cui la Germania, e in fondo tutto il mondo,<br />
dopo essersi di nuovo adagiati nel capitalismo, hanno<br />
proclamato Heidegger il grande pensatore dell’occidente.<br />
Questo anche perchè, a differenza di Nietzsche,<br />
Heidegger permette di continuare a filosofare, cambiando<br />
il linguaggio e chiudendo gli occhi di fronte alla realtà.<br />
Una realtà che riappare nella genesi del pensiero heideggeriano<br />
delineata da Losurdo, di cui vorrei di nuovo<br />
esaltare il libro, dopo aver fatto osservare qualche suo<br />
limite, che del resto io giustifico ampiamente, perchè<br />
anche l’Allerwelt, l’umanismus è sempre buono contro<br />
l’ideologia della morte, ripercorsa in questo libro.<br />
Uno dei meriti principali del libro di Losurdo (La comu-<br />
dedicato addirittura un libretto). L’importante del libro di<br />
Losurdo, però, è che non si ferma neppure alla messa in<br />
evidenza di questa connessione, ma compie un passo<br />
successivo e significativo. Mostra cioè come questa<br />
interna policità o scelta di campo della filosofia di<br />
Heidegger abbia le sue origini, ovvero le sue motivazioni<br />
nel rapporto stretto che intercorre tra il pensiero heideggeriano,<br />
da un lato, e dall’altro quel complesso ideologico<br />
che, semplificando un po’, si può riassumere nelle<br />
parole chiave “ideologia della guerra” e “critica reazionaria<br />
della modernità”. A mio avviso la questione davvero<br />
significativa e di grande interesse è proprio questa:<br />
Losurdo ci mostra, in sostanza, che non si deve guardare<br />
al nazismo di Heidegger come al traviamento di un<br />
grande filosofo; l’ottica che ci propone è completamente<br />
diversa. Guardare alla filosofia di Heidegger come a una
filosofia che è profondamente permeata e imbevuta da<br />
elementi ideologici, e che proprio per questo può anche<br />
diventare, a un certo punto e per un certo periodo,<br />
teorizzazione nazista (sebbene caratterizzata da un modo<br />
molto specifico di interpretare il nazismo). Non il traviamento<br />
di un grande filosofo, quindi, ma la ideologicità e<br />
politicità di una filosofia, ri-spetto alla quale le scelte<br />
politiche non sono un incidente.<br />
A questo proposito mi sembra che uno dei risultati più<br />
importanti del libro di Losurdo sia quello di mostrare<br />
come il passaggio della prima guerra mondiale sia a tutti<br />
gli effetti decisivo per comprendere i percorsi dell’ideologia<br />
tedesca che sboccano nel nazismo. Questo è il<br />
passaggio cruciale, perchè è proprio dalla “ideologia<br />
della guerra” che scaturiscono tutti quei topoi concettuali<br />
che poi il nazismo sfrutterà ampiamente. L’esaltazione<br />
bellicistica, mostra Losurdo, contagia buona parte della<br />
grande cultura tedesca; e non è difficile ritrovare le tracce<br />
di questa ideologia della guerra anche nel pensiero di<br />
Heidegger. Basta leggere per esempio un passo inequivocabile<br />
che Losurdo cita da un corso su Hölderlin del<br />
1934-35: «Proprio la morte che ogni singolo uomo deve<br />
morire per sé e che singolarizza all’estremo ogni singolo<br />
per sé, proprio la morte e la disponibilità al sacrificio crea<br />
innanzitutto lo spazio della comunità dal quale scaturisce<br />
il cameratismo». Qui, evidentemente, l’eco dell’ideologia<br />
della guerra è ancora fortissima. Perciò, se si accoglie<br />
il tipo di lettura proposto da Losurdo, la discussione sul<br />
pensiero di Heidegger viene, per così dire, ri-orientata, e<br />
il vero problema diventa quello di capire quanto questa<br />
importante filosofia sia però permeata dalla assimilazione<br />
di indigesti materiali ideologici.<br />
La questione perciò, si potrebbe dire, non è più o non è<br />
tanto una questione concernente il rapporto teoria/biografia,<br />
ma diventa cosa diversa: una questione interna<br />
alla teoria. Losurdo dunque critica, e direi a ragione, la<br />
pretesa che era stata di Habermas nella introduzione al<br />
libro di Farias: non è possibile separare con un taglio di<br />
coltello, nella produzione di Heidegger, la filosofia ovvero<br />
la pura teoria dall’ideologia. Non lo si può fare né<br />
fissando un discrimine cronologico (come accadeva nel<br />
testo di Habermas), né assegnando alcuni testi all’ideologia<br />
e altri alla teoria. In tutta la produzione di Heidegger,<br />
sostiene Losurdo, le due dimensioni sono intrecciate,<br />
come del resto accade non solo nel pensiero di Heidegger,<br />
ma in tante altre filosofie, più o meno a noi vicine. Ciò ha<br />
un’implicazione sulla quale mi vorrei soffermare un<br />
momento. Losurdo ci suggerisce di leggere i testi (della<br />
storia della filosofia e del pensiero politico, non solo i<br />
testi di Heidegger) comprendendoli come un intreccio<br />
dove convivono cose diverse: il testo è attraversato dal<br />
conflitto delle ideologie e vi partecipa, ma ciò non vuol<br />
dire che sia riducibile a pura e semplice ideologia. C’è un<br />
momento di autonomia e di autoconsistenza della teoria<br />
(in questo caso della teoria heideggeriana, ma il discorso<br />
ha una validità generale) che non è riportabile riduzionisticamente<br />
a epifenomeno di conflitti sociali. Ripeto, c’è<br />
un momento di autonomia della teoria, anche se, come<br />
sostiene Losurdo, la linea di separazione tra teoria e<br />
ideologia non è né comoda né confortevole, ovvero i<br />
confini e i discrimini non sono facili da tracciare. Però<br />
PROFILO<br />
questi confini ci sono, almeno nel senso che non è<br />
praticabile, e non è nelle intenzioni di Losurdo, una<br />
lettura riduzionistica del pensiero filosofico.<br />
Questo mi sembra un buon punto di partenza per affrontare<br />
quello che comunque è un problema molto serio, e<br />
cioè la questione del rapporto tra i condizionamenti<br />
storici e ideologici e la pretesa di verità della teoria. La<br />
precondizione per discutere seriamente questo problema,<br />
a mio avviso, è quello di comprendere che esso non può<br />
essere coerentemente trattato nello spazio teorico di un<br />
riduzionismo radicale (sia esso un riduzionismo foucaultiano,<br />
nietzscheano, come quelli che oggi vanno più di<br />
moda). E non può esserlo per la semplicissima ragione<br />
che la negazione radicale della pretesa di verità della<br />
teoria, in quanto sia teorizzata, è autocontraddittoria. Lo<br />
è perchè contiene in sé quella pretesa di verità di cui nega<br />
l’esistenza, quando pretende di ridurla a epifenomeno di<br />
altro. A partire da qui, perciò, dovrebbe cominciare la<br />
discussione del problema, che non è né semplice né<br />
agevole da trattare.<br />
L’altra questione presente nel libro di Losurdo sulla quale<br />
mi vorrei soffermare, invece, è quella che concerne i<br />
nessi che si possono stabilire fra tre termini: da un lato il<br />
pensiero heideggeriano, dall’altro quella che per comodità<br />
possiamo chiamare la “critica reazionaria della modernità”<br />
e cioè quella che, semplificando, possiamo attribuire<br />
alla Scuola di Francoforte (ma gli autori più rilevanti<br />
a questo proposito, tra i francofortesi, sono secondo me<br />
Marcuse e Adorno). Innanzitutto un chiarimento: per<br />
critica reazionaria della modernità (Marcuse parlava a<br />
questo proposito della Weltanschauung di un nuovo<br />
realismo eroico-popolare) possiamo intendere, con tutto<br />
l’arbitrio che è inevitabile quando si ragiona su concetti<br />
così ampi, un pensiero che si definisce in sostanza attraverso<br />
una serie di coppie concettuali dove l’un termine<br />
designa il valore e l’altro il disvalore. Queste antitesi, che<br />
vengono tutte ripercorse nel libro di Losurdo, sono ad<br />
esempio Kultur contro Zivilisation, comunità contro società,<br />
organicismo contro individualismo, ideologia della<br />
guerra contro umanitarismo, culto del pericolo contro<br />
ricerca della sicurezza, retorica del tragico contro banalità<br />
quotidiana, gerarchia di valore tra gli uomini contro<br />
uguaglianza, culto della radici contro universalismo razionale,<br />
popolo-nazione contro internazionalismo, e si<br />
potrebbe continuare.<br />
Abbiamo visto come non sia difficile mostrare gli intrecci<br />
che legano il pensiero heideggeriano con molte di queste<br />
tematiche (che compongono un vasto e differenziato<br />
arcipelago, abitato da autori di diverso livello, dai notevoli<br />
Sombart e Spengler fino a libellisti di infima qualità).<br />
Ma allora che rapporto vi è tra la critica heideggeriana<br />
della modernità e la critica della modernità e dell’illuminismo<br />
che viene svolta dalla Scuola di Francoforte, e<br />
soprattutto da Horkheimer, Adorno e Marcuse? Su questo<br />
punto, che Losurdo a mio avviso affronta in modo<br />
equilibrato, faccio solo due o tre considerazioni.<br />
Innanzitutto bisogna ricordare che proprio alla Scuola di<br />
Francoforte si deve una precoce e intransigente critica<br />
della ideologia antimoderna e antiliberale che si afferma<br />
in Germania e che confluisce nel nazismo. Esemplare a<br />
questo proposito è il saggio di Marcuse che appare nel
1934 sulla “Zeitschrift für Sozialforschung” col titolo La<br />
lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria<br />
dello Stato. Si tratta di un prezioso catalogo critico di<br />
molti dei temi che ritroviamo analizzati anche nel libro di<br />
Losurdo: Marcuse sottopone a un giudizio impietoso<br />
tutta la nuova Weltanschauung cui anche Heidegger,<br />
secondo lui, dà il suo contributo. Gli aspetti fondamentali<br />
del pensiero antiliberale, antimoderno e totalitario sono<br />
per Marcuse: la eroicizzazione dell’uomo, il naturalismo<br />
organicistico, l’odio per le idee dell’89, il culto della<br />
comunità, del destino, del sacrificio, del mito, il disprezzo<br />
per la felicità delgli individui. Ma l’altro punto importante<br />
è, aggiunge Marcuse, che qui non siamo di fronte<br />
solo a un pensiero irrazionalistico: piuttosto l’esaltazione<br />
irrazionalistica, che è antiliberale sul piano ideologico,<br />
ma non sul piano dei rapporti economico-sociali, ha in<br />
realtà un fine nescosto molto razionale, e cioè quello di<br />
stabilizzare le strutture del sistema di produzione dominante<br />
e di promuovere la sottomissione ad esso con<br />
iniezioni di narcotico ideologico.<br />
Non vi possono essere dubbi, perciò, sul fatto che la<br />
critica francofortese della modernità si contrappone frontalmente<br />
alle correnti ideologiche che attaccano la modernità<br />
e il liberalismo dal versante opposto, ivi compreso<br />
Heidegger. La critica francofortese vuol essere una<br />
autocritica dell’illuminismo: Horkheimer e Adorno lo<br />
scrivono in tutta chiarezza a conclusione del capitolo<br />
sull’antisemitismo della Dialektik der Aufklärung:<br />
«L’illuminismo stesso, divenuto padrone di sé e forza<br />
materiale, potrebbe spezzare i limiti dell’illuminismo”.<br />
Ma il punto si chiarisce ancor meglio se si guarda a questa<br />
Domenico<br />
Losurdo<br />
E’ probabile che il mio libro abbia<br />
conseguito il risultato di scontentare<br />
sia gli apologeti che gli accusatori<br />
un po’ moralistici di<br />
Heidegger. Rifiutando di immergere<br />
il dibattito filosofico del Novecento<br />
in un’aura asettica e remo-<br />
tamente lontana dai rumori del mondo e respingendo al<br />
tempo stesso l’accanimento ad personam ai danni di un<br />
singolo autore, arbitrariamente staccato dal contesto storico<br />
e dalla vicenda di un’intera (o quasi) generazione di<br />
intellettuali, ho preso le mosse non dal 1933, bensì dal<br />
1914 e dall’ “ideologia della guerra” che, a partire da quel<br />
momento, contagia larga parte della cultura europea. La<br />
Kriegsideologie (l’espressione è di Thomas Mann del<br />
1928) si manifesta in modo diverso nell’ambito delle<br />
contrapposte coalizioni impegnate nel conflitto. L’Intesa<br />
(che pure nel suo seno conta sulla presenza della Russia<br />
zarista) cerca di giustificare l’immane sacrificio imposto<br />
a milioni e milioni di uomini, proclamando una sorta di<br />
crociata e di guerra santa contro gli Imperi Centrali,<br />
denunciati come il focolaio del dispotismo e del militarismo<br />
guerrafondaio. La Germania procede diversamente,<br />
individuando e celebrando nella guerra, e nella concentrazione<br />
e nel sacrificio che essa comporta, la “situazione<br />
assoluta” o la “situazione-limite”, grazie alla quale è<br />
possibile recuperare o attingere la dimensione autentica<br />
RESOCONTO PROFILO<br />
problematica da un altro angolo visuale: da un lato la<br />
prospettiva di Horkheimer e Adorno critica l’illuminismo<br />
perchè non è abbastanza illuminato, e la modernità<br />
perchè non è abbastanza moderna. Ma dall’altro, contro<br />
le moderne mitologie nazionalistiche, neopagane, ecc.,<br />
Horkheimer e Adorno intendono mostrare, anche se<br />
questo aspetto viene di solito meno notato, che “il mito è<br />
già illuminismo». Ciò vuol dire, al di là della formula<br />
lapidaria, che il regresso al mito non è un’alternativa<br />
perchè il mito è già una strategia di dominio razionale, e<br />
dunque non è un totalmente altro rispetto all’illuminismo<br />
e al progresso, ma è coinvolto in essi.<br />
Ciò riconferma dunque quanto la critica francofortese sia<br />
inassimilabile ad altre critiche della modernità di segno<br />
opposto. Ma c’è anche un’altra questione che dev’essere<br />
ricordata per completare il quadro: difensori dell’illuminismo,<br />
Horkheimer e Adorno sostengono però che le<br />
promesse dell’illuminismo non si sono realizzate, e che<br />
proprio per questo “la riflessione sull’aspetto distruttivo<br />
del progresso” non può essere “lasciata ai suoi nemici”.<br />
Quindi, sebbene inassimilabili alla critica reazionaria<br />
della modernità, Horkheimer a Adorno invitano però, in<br />
un certo senso, a prenderla sul serio, come per esempio<br />
Adorno, in alcuni suoi scritti, ha preso sul serio Spengler.<br />
All’epoca in cui fu formulato, quest’invito a prendere sul<br />
serio i critici reazionari del progresso aveva certamente<br />
un grande valore di rottura nei confronti delle visioni<br />
ottimistico-storicistico-progressiste. Oggi può apparire<br />
addirittura una banalità, dal momento che le illusioni del<br />
progresso sono talmente scomparse dalla scena che si<br />
potrebbe quasi sentire il bisogno di richiamarle in vita.<br />
dell’esistenza. Il pericolo e la vicinanza della morte per<br />
un verso consentono all’individuo di superare la dispersione<br />
e massificazione della banalità quotidiana, per un<br />
altro verso lo inseriscono in un rapporto di autentica<br />
comunità e Gemeinschaft con i suoi camerati e col popolo<br />
nel suo compelsso, impeganto in una lotta che richiede<br />
ala tempo stesso consapevolezza e concentrazione individuale<br />
e unità corale.<br />
E’ recentemente comparso il volume relativo al 1990<br />
degli ANNALI DELLA FONDAZIONE UGO SPIRITO.<br />
La Fondazione ha iniziato la propria attività nel 1981, due<br />
anni dopo la morte di Ugo Spirito, e già dopo cinque anni<br />
è stata in grado di presentare la bibliografia delle opere<br />
del filosofo. L’idea della pubblicazione degli Annali<br />
risale al 1987 e si concretizza nel 1989, quando compare<br />
il primo volume della serie. La finalità di questa iniziativa<br />
editoriale, a cadenza annuale, è legata non solo alla<br />
necessità, messa in luce da più parti, di tenere aggiornati<br />
i lettori sugli studi e le pubblicazioni riguardanti Ugo<br />
Spirito, ma anche di aprire nuove vie di ricerca, servendosi<br />
del ricco patrimonio documentario rappresentato<br />
dall’ Archivio-Spirito, conservato presso la Fondazione.<br />
Per quest’ultimo aspetto appare particolarmente importante<br />
la sezione “Inediti” del volume, all’interno della<br />
quale troviamo un inedito di Ugo Spirito dal titolo: L’io<br />
e le sue implicazioni, con una introduzione di Vittorio<br />
Mathieu, e la pubblicazione integrale degli “Atti del
PROFILO
Convegno italo-francese di studi corporatici” (1935), a<br />
cura di Giuseppe Parlato. Nella sezione “Saggi” compaiono<br />
un articolo di A. Rigobello, Ugo Spirito: dal problema<br />
all’affermazione, dedicato al “proble-maticismo”<br />
spiritiano, atteggiamento teoretico che viene applicato<br />
non solo alla filosofia, ma anche ad altri ambiti culturali,<br />
ad esempio le questioni di natura etico-politica, e un<br />
saggio di H. A. Cavallera dal titolo: L’occhio del pensiero:<br />
Ugo Spirito tra gli anni ’60 e gli anni ‘70.<br />
Non ha senso isolare Heidegger dalla vicenda di una<br />
generazione di intellettuali affascinata dalla<br />
Kriegsideologie: certo, alcuni riescono a staccarsene, in<br />
momenti diversi e in modo più o meno faticoso e più o<br />
meno radicale, giungendo in casi rari a formulare una<br />
lucida critica dell’ideologia, cui pure in precedenza era<br />
andata la loro adesione (è il caso di Thomas Mann). Altri,<br />
pur continuando ad essere ispirati dalla Kriegsideologie<br />
ben oltre il 1918, non varcano comunque la soglia fatale<br />
dell’adesione al nazismo: è il caso di Jaspers. Non è il<br />
caso di Heidegger, che non solo varca tale soglia, ma<br />
continua a rimanere sostanzialmente legato, sino alla<br />
fine, alla Germania del Terzo Reich, pur nell’ambito di<br />
un rapporto contraddittorio e di una incessante e tormentata<br />
reinterpretazione soggettiva di tale rapporto.<br />
Ma, proprio perchè conviene prendere le mosse dal 1914,<br />
risulta inattendibile il tentativo di datare la svolta conservatrice<br />
del filosofo qui in questione a partire dalla crisi<br />
economica mondiale, e tedesca in modo particolare, del<br />
1929. Lo stesso Habermas, che formula tale tesi allo<br />
scopo di salvare e mettere all’asciutto sul terreno della<br />
pura teoria il capolavoro di Heidegger, è costretto per un<br />
altro verso a riconoscere le «connotazioni singolari» che<br />
in Essere e Tempo rivestono categorie come Schicksal e<br />
Geschick. In realtà, ci imbattiamo in tutte le parole chiavi<br />
dell’ “ideologia della guerra” propria della Germania:<br />
“comunità”, “fedeltà”, “destino”. Per sottolineare la comunanza<br />
del destino, Heidegger fa ricorso ad un termine<br />
specifico, Geschick, nel cui ambito - si badi bene - «i<br />
singoli destini sono anticipatamenti segnati». Siamo così<br />
ricondotti alla “fedeltà incondizionata” e al “legame<br />
incondizionato” di cui, qualche anno dopo Essere e<br />
Tempo, parla, come abbiamo visto, Jaspers.<br />
L’adesione di Heidegger al nazismo, Esposito ritiene di<br />
poterla mettere sul conto di una persistente visione umanistica<br />
e universalistica. Si tratta di una tesi avallata anche<br />
da altri prestigiosi interpreti, che tuttavia a me sembra<br />
paradossale. Non ci dovrebbero essere dubbi sulla violenza<br />
della polemica anti-universalistica che caratterizza<br />
il nazismo nel suo complesso. La categoria di umanità in<br />
quanto tale risulta priva di senso agli occhi di Hitler che<br />
preferisce invece parlare di “umanità ariana” e si rifiuta<br />
di sussumere sotto il concetto di uomo quei “parassiti”<br />
che sono gli ebrei e, in generale, i sotto-uomini, gli<br />
Untermenschen delle razze considerate inferiori. Dichiarazioni<br />
analoghe si possono leggere in Rosenberg,<br />
Baeumler, Heyse, Böhm, i quali anzi individuano nell’universalismo<br />
prima romano, e poi cristiano e nell’abbandono<br />
del “nominalismo” caro a Nietzsche, la causa o il<br />
filo conduttore della parabola rovinosa dell’Occidente.<br />
In tale contesto è da inserire anche la polemica, ovviamente<br />
caratterizzata da uno spessore teorico infinitamen-<br />
PROFILO<br />
te superiore, di Essere e tempo (par.10) contro la categoria<br />
di “spirito”, o di “anima”, in ultima analisi contro il<br />
concetto di “uomo” in quanto tale, che poi non sarebbe<br />
altro che la «definizione cristiana deteologizzata» «nel<br />
corso del pensiero moderno». In tale contesto va pure<br />
collocata la contrapposizione della categoria di Dasein e<br />
di storicità a quella di Gattung e di genere umano, nonchè<br />
il disprezzo con cui Heidegger parla della<br />
Allerweltsmenschheit. Per sottolineare il fatto che quest’ultima<br />
viene contrapposta, in modo esplicito, all’ “esistenza<br />
storica occidentale-germanica”, ho preferito qui<br />
ricorrere ad una traduzione quanto più possibile letterale<br />
e vicina al significato etimologico (che per Heidegger è<br />
quello originario e più autentico). D’altro canto, la polemica<br />
contro la Allerweltsmenschheit rinvia a quella contro<br />
l’ «inconsistente e disimpegnato affratellamento universale»<br />
(Weltverbrüderung). L’universalità, il concetto<br />
di uomo in quanto tale, sono qui come altrove il bersaglio<br />
costante della polemica di Heidegger (così come degli<br />
ideologi del Terzo Reich). E, a tale proposito, vorrei<br />
ricordare ad un autorevole studioso di Hannah Arendt<br />
qual’è Esposito che già l’autrice delle Origini del totalitarismo,<br />
nello spiegare la parabola rovinosa che conduce,<br />
attraverso un lungo processo e paurosi salti di qualità, a<br />
Auschwitz, prende le mosse dalla decostruzione del<br />
concetto universale di uomo operata da Burke nel corso<br />
della sua furibonda polemica contro i diritti dell’uomo<br />
proclamati dalla Rivoluzione francese.<br />
Mi lascia invece perplesso una categoria come quella di<br />
“romanticismo dell’Opera”, di cui Esposito si serve per<br />
accostare marxismo e Heidegger del discorso rettorale.<br />
In realtà, le filosofie della prassi (al plurale) possono<br />
avere i significati filosofici più eterogenei, sussumere<br />
contenuti politici diversi e contrapposti e rinviare a<br />
tradizioni culturali e nazionali quanto mai disparate (Laski<br />
ha potuto scrivere che l’ “azione” è l’ “essenza” dello<br />
“spirito americano”). E’ vero che Del Noce ha creduto di<br />
poter accostare o assimilare, sotto la categoria di “primato<br />
del divenire”, fascismo e comunismo, Mussolini e<br />
Gramsci. Ma, a parte ogni altra considerazione, tale<br />
visione ha il torto di semplificare arbitrariamente la<br />
contraddittoria realtà del fascismo (e del nazismo), il<br />
quale si è talvolta impegnato esso stesso in una polemica<br />
contro l’attivismo moderno. Si pensi, ad esempio, ad un<br />
autore come Julius Evola, che così motiva la sua Rivolta<br />
contro il mondo moderno: «L’essere, lo stare, al moderno<br />
valgono perciò quasi come morte: egli non vive se non<br />
agisce, se non si agita». E, con tale esplicita rivendicazione<br />
del primato dell’essere siamo ricondotti nelle vicinanze<br />
della denuncia heideggeriana del moderno “oblio<br />
dell’essere”. Ho accennato nel mio libro alle diverse<br />
anime ideologiche del nazismo: la categoria di “primato<br />
del divenire” o di “romanticismo dell’Opera” può risultare<br />
feconda per la comprensione della corrente del<br />
modernismo reazionario, non certo di quella caratterizzata<br />
dall’ideologia del sangue e del suolo. Il tratto unificante<br />
di queste anime diverse e contrastanti del nazismo è<br />
costituito invece dalla polemica contro il concetto universale<br />
di uomo.<br />
Nell’insistere sulla presenza della Kriegsideologie in<br />
Heidegger in tutto l’arco della sua evoluzione e nel
espingere la periodizzazione suggerita da Habermas,<br />
non ho inteso negare l’eccedenza dell’elaborazione teorica<br />
rispetto alle opzioni politiche del filosofo, eccedenza<br />
non messa in discussione neppure dall’autore della Distruzione<br />
della ragione. Ma in che cosa essa consiste?<br />
Sulle orme di Lukács, Cases sembra individuarla nell’analisi<br />
critica della società del tempo sia pure condotta a<br />
partire dalle posizioni proprie dell’anticapitalismo romantico.<br />
E’ possibile però un approccio diverso o un’ulteriore<br />
chiave di lettura. Autori come Heidegger, Schmitt,<br />
Jünger hanno implacabilmente smascherato l’ideologia<br />
della guerra dell’Intesa, nell’ambito della quale l’universalismo<br />
è solo la giustificazione ideologica dell’ “interventismo<br />
universale” e lo strumento per la criminalizzazione<br />
del nemico (Schmitt). Proclamando la crociata in<br />
nome del valore universale della democrazia, i paesi<br />
dell’Intesa sono riusciti a padroneggiare una componente<br />
decisiva della guerra odierna, quella “fideistica”, e in tal<br />
moso hanno operato una “mobilitazioen totale” (anche<br />
delle coscienze) senza precedenti nella storia e comunque<br />
superiore a quella messa in atto dalla stessa Germania<br />
guglielmina (Jünger). Sia pure a partire, in ultima analisi,<br />
dalle posizioni proprie di un imperialismo rivale e contrapposto,<br />
la grande culturta conservatrice o reazionaria<br />
del Novecento tedesco ha smascherato implacabilmente<br />
l’ideologia della guerra dell’Intesa (e ad aver trionfato ai<br />
nostri giorni - si pensi alla recente guerra del Golfo - è per<br />
l’appunto quest’ultima ideologia che legittima il ricorso<br />
spietato ai più terribili mezzi di distruzione e di morte<br />
della tecnologia moderna in nome dell’ “interventismo<br />
democratico” e del ristabilimento dell’ordine planetario<br />
mediante energiche operazioni di polizia internazionale).<br />
Tale denuncia trova il suo momento più alto di generalizzazione<br />
e metafisicizzazione in Heidegger il quale, sia<br />
pure con accenti via via diversi, nel corso della sua<br />
tormentata evoluzione, decostruisce l’ideologia universalistica<br />
in quanto strumento di guerra, di dominio e di<br />
sopraffazione a livello planetario e persino nel rapporto<br />
tra uomo e natura.<br />
Bisogna allora abbandonare al suo destino la categoria di<br />
universalità? No, non è questa la conclusione che si deve<br />
trarre. Secondo l’indicazione di Marx, l’ideologia è il<br />
conferimento della forma dell’universalità a contenuti e<br />
interessi empirici determinati che ne risultano in tal modo<br />
trasfigurati. Ma alla categoria di universalità non può non<br />
far riferimento la stessa critica dell’ideologia che consiste<br />
infatti nella denuncia della peseudo-universalità, nel<br />
potenziamento arbitrario e surrettizio a universale di un<br />
particolare determinato e spesso vizioso. La condanna<br />
della sopraffazione, esercitata a danno di un individuo o<br />
di un gruppo sociale o etnico, presuppone il riconoscimento<br />
della dignità di ogni individuo o uomo in quanto<br />
tale; non è possibile mettere in discussione una determinata<br />
ideologia universalistica senza far ricorso ad una<br />
meta-universalità, cioè ad una universalità più ricca e più<br />
vera. Non procede così anche Esposito nel criticare<br />
giustamente Husserl per aver identificato l’ “uomo occidentale”<br />
con l’ “uomo tuot-court”, escludendo quindi<br />
indios e zingari? Negare il criterio dell’universalità significa<br />
negare in ultima analisi ogni criterium veritatis, ogni<br />
possibilità di sottoporre a controllo e a critica un’afferma-<br />
PROFILO<br />
zione o un comportamento; significa spianare la strada, in<br />
ultima analisi, ad un arbitrio e ad una violenza riluttanti<br />
a qualsiasi regola e a qualsiasi verifica meta-individuale<br />
e intersoggettiva. E’ solo la categoria di universalità a<br />
rendere possibile l’autocritica e autocorrezione di una<br />
civiltà. Se la politica di sterminio e genocidio (e di quello<br />
a danno degli indios prima ancora della “soluzione finale”<br />
a danno degli ebrei) è stata condotta all’insegna di un<br />
nominalismo antropologico che rifiuta di sussumere pienamente<br />
le sue vittime sotto il concetto universale di<br />
uomo, è proprio in nome di tale concetto che l’Occidente,<br />
nei suoi momenti più alti (a cominciare da Las Casas), ha<br />
saputo sviluppare un bilancio autocritico della sua storia.<br />
Alla fine dell’Ottocento, un teorico del razzismo e del<br />
darwinismo sociale, Gumplowicz, così descrive e giustifica<br />
lo sterminio degli Ottentotti: «I boeri cristiani li<br />
consideravano non come “uomini” bensì come “esseri”<br />
(Geschöpfe) che è lecito sterminare alla stregua della<br />
“cacciagione del bosco”». Tocqueville invece osserva<br />
che in America i bianchi si rifiutano o stentano a riconoscere<br />
nei negri «i tratti generali dell’umanità»; e in modo<br />
analogo si comportano nei confronti degli Indiani, ormai<br />
sul punto di essere cancellati dalla faccia della terra. Ma<br />
poi è lo stesso autore della Democrazia in America a<br />
celebrare l’incessante espansione dei bianchi che combattono<br />
“il deserto e la barbarie” (la categoria di barbarie<br />
finisce di nuovo con l’incrinare il concetto universale di<br />
uomo). Il fatto è che, a parte momenti privilegiati e autori<br />
d’eccezione, l’Occidente non ha saputo procedere ad una<br />
riflessione autocritica radicale e suscettibile di penetrare<br />
in profondità nella sua cultura e nella sua coscienza<br />
comune. Ciò ha poi reso agevole l’emergere e il dispiegarsi<br />
di una barbara politica di discriminazione razziale<br />
nel cuore stesso dell’Europa. E’ significativo il fatto che,<br />
nel corso della seconda guerra mondiale, nelle sue conversazioni<br />
a tavola, Hitler paragona la sua politica di<br />
sterminio degli “indigeni” dell’Europa orientale alla guerra<br />
«mossa agli Indiani dell’America del Nord».<br />
Pur di portata così ambiziosamente planetaria, il bilancio<br />
dell’Occidente tracciato da Heidegger (o da Schmitt) non<br />
fa cenno alla lunga catena di crimini commessi dal<br />
colonialismo a carico dei popoli esclusi dalla storicità<br />
occidentale, compresi quegli ottentotti sui quali con tanto<br />
disprezzo si esprime l’Introduzione alla metafisica. E<br />
tale atteggiamento è da porre in relazione non solo con le<br />
opzioni politiche del suo autore, ma anche con una<br />
filosofia tutta pervasa dal pathos dell’irriducibile peculiarità<br />
occidentale, la quale esclude da sé la banale, se non<br />
barbarica Allerweltsmenscheit dei popoli altri dall’Occidente<br />
e dalla Germania. E’ un pathos, peraltro, da cui non<br />
riesce realmente a liberarsi neppure Husserl, che parla<br />
degli indios con il medesimo sovrano disprezzo con cui<br />
Heidegger parla degli ottentotti e dei negri. E’ un pathos<br />
che continua a pesare in modo infausto ancora sulla storia<br />
e sulle vicende belliche dei giorni nostri. In questo senso,<br />
l’ideologia della guerra dell’Intesa, oggi più che mai<br />
vitale, va denunciata non in quanto universalistica, come<br />
fa Schmitt (e Heidegger) ma, al contrario, per il fatto che<br />
riduce l’universale a particolare (l’Occidente, e per di più<br />
l’Occidente in sua determinata configurazione politicostatuale).<br />
Non è un caso che, nel corso della prima guerra
mondiale, gli ideologi più esagitati dell’Intesa bollano i<br />
tedeschi in quanto “unni” o “vandali” o “goti”.<br />
Esposito prende anche posizione, in modo sobrio, a<br />
favore della democrazia. Ma è possibile separare la<br />
genesi e lo sviluppo di questa forma politica dalla proclamazione<br />
dei diritti dell’uomo in quanto tale, inteso cioè<br />
nella sua universalità?. Tali diritti sono peraltro chiamati<br />
a diventare concreti, e non solo nei rapporti sociali e<br />
materiali esistenti all’interno di ogni singolo Stato, ma<br />
anche a livello internazionale, nei rapporti tra nazioni<br />
piccole e grandi, ovvero tra Stati deboli e Stati superpotenti<br />
e superarmati. E’ in tale chiave che io leggo la<br />
tradizione che da Marx conduce alla rivoluzione d’Ottobre<br />
la quale ultima - qualunque sia il giudizio sul “socialismo<br />
reale” - nel chiamare alla lotta e alla rivolta quelli<br />
che definisce gli “schiavi delle colonie”, nel rivendicare<br />
la pari dignità di ottentotti, papuani ecc., e nell’imprimere<br />
un poderoso impulso al processo di decolonizzazione, ha<br />
il merito di aver costituito uno dei momenti più alti di<br />
autocritica dell’Occidente e di aver fornito un contributo<br />
importante alla costruzione del concetto universale di<br />
uomo.<br />
Quella che parte da Marx è una tradizione organicista?<br />
Non era questa l’opinione di Thomas Mann, da cui ho<br />
ripreso la distinzione/contrapposizione (formulata nel<br />
1928) tra Gemeinschaft , forgiata dalla guerra e innalzata<br />
a oggetto di culto e Gesellschaft , marxisticamente intesa<br />
in senso profano. Naturalmente, si tratta di un’opinione<br />
nient’affatto vincolante, ma diamo uno sguardo alla<br />
storia culturale dell’Europa in qualche modo tenuta presente<br />
dal grande scrittore. Man mano che si sviluppano le<br />
contraddizioni che poi conducono allo scoppio della<br />
prima guerra mondiale, a sottolineare la necessità di una<br />
corale comunità d’intenti non sono solo i nazionalisti. Per<br />
quanto riguarda l’Italia, ai tempi della guerra libica,<br />
Croce accusa i socialisti e i marxisti di aver distrutto la<br />
“coscienza dell’unità sociale” e aver provocato la «generale<br />
decadenza del sentimento di disciplina sociale: gli<br />
individui non si sentono più legati a un gran tutto,<br />
sottomessi a questo, cooperanti in esso, attingenti il loro<br />
valore dal lavoro che compiono nel tutto». Due anni<br />
dopo, il filosofo liberale individua la realizzazione dell’agognato<br />
“gran tutto” nel “socialismo di Stato e di<br />
Nazione”, in pratica nel socialismo di guerra e nell’organizzazione<br />
e militarizzazione totale della classe operaia e<br />
della popolazione. Sono gli anni in cui, secondo l’osservazione<br />
dello storico G. L. Mosse, la guerra e la mobilitazione<br />
totale vengono celebrate «come strumento per<br />
abolire la struttura di classe». Né si tratta solo di teorie. A<br />
partire dallo scoppio del conflitto, l’irreggimentazione<br />
della società raggiunge un livello senza precedenti. Sono<br />
lì a dimostrarlo i tribunali militari, i plotoni d’esecuzione,<br />
la prtaica delle decimazioni: allo Stato - osserva Weber<br />
nel 1917 - «viene oggi attribuita a una forza “legittima”<br />
sulla vita, la morte e la libertà»; e ciò non vale solo per la<br />
Germania, ma anche per i Paesi di più antiche tradizioni<br />
liberali. In questo momento, a dar prova di olismo e di<br />
organicismo non sono solo i nazionalisti dichiarati, ma<br />
anche i liberali, tutti accomunati dalla persuasione della<br />
necessità del sacrificio di milioni e milioni di individui<br />
sull’altare della salvezza dello Stato o della patria. A<br />
RESOCONTO PROFILO<br />
rifiutare tale gigantesco rito sacrificale e a contestare il<br />
potere di vita e di morte dello Stato è invece il movimento<br />
rivoluzionario richiamantesi a Marx e sfociato nella<br />
rivoluzione d’Ottobre. Anche a voler fare astrazione<br />
dallo svolgimento storico reale, non mi sembra che possa<br />
essere considerata organicista la visione marxiana di una<br />
società senza classi, nell’ambito della quale assieme allo<br />
Stato si è estinta anche la politica e ogni individuo può<br />
svilupparsi senza costrizione alcuna. Si tratta naturalmente<br />
di analizzare la concreta efficacia politica dispiegata<br />
da questa utopia dell’estinzione dello Stato (che a me<br />
sembra la parte più caduca del discorso di Marx), ma<br />
allora siamo ricondotti sul terreno sella storia reale del<br />
nostro tempo, che non può certo essere ridotta allo<br />
scontro tra ideologie organiciste e anti-organiciste.<br />
Mi accorgo che siamo giustamente andati ben al di là del<br />
volume qui discusso. Il quale peraltro ha cercato di<br />
tracciare un bilancio più equilibrato della storia del<br />
Novecento collocando la barbarie unica del Terzo Reich<br />
in un contesto storico più vasto che, a partire dal 1914,<br />
vede diffondersi in tutta Europa e anche negli USA<br />
ideologie della guerra diverse e contrastanti, ma tutte<br />
torbide ed inquietanti, in un contesto storico che successivamente,<br />
a partire dal 1917, vede tutto l’ “Occidente” (e<br />
persino personalità insospettabili come Churchill e Henry<br />
Ford) impegnato nella denuncia del complotto “ebraicobolscevico”<br />
e in preda a virulente manifestazioni di<br />
antigiudaismo e antisemitismo. E dunque, non solo la<br />
vicenda di Heidegger va collocata nell’ambito della<br />
vicenda novecentesca della Germania, ma quest’ultima,<br />
pur col suo orrore unico, non può essere staccata, a sua<br />
volta, dalla storia complessiva della Seconda Guerra dei<br />
Trent’anni, la quale ultima chiama in causa pesantemente<br />
anche gli Stati liberali. A confutazione di certi stereotipi<br />
nazionali ancora oggi duri a morire, basti dire che la<br />
tradizione conservatrice e reazionaria tedesca risulta profondamente<br />
debitrice - e lo dichiara esplicitamente - nei<br />
confronti del whig inglese Edmund Burke. Ma è un tema<br />
qui appena accennato, anche perchè al suo approfondimento<br />
è dedicato un mio lavoro ulteriore.
Lacan e la filosofia<br />
Lacan avec les philosophes (Albin<br />
Michel, Parigi 1991) è il volume che<br />
raccoglie gli atti del convegno organizzato<br />
a Parigi nel maggio del 1990<br />
dal Collège international de philosophie<br />
con gli interventi di molti tra i<br />
protagonisti dell’attuale pensiero filosofico<br />
francese, e con l’intento dichiarato<br />
di operare una “riappropriazione”<br />
del lavoro di Lacan da parte della<br />
filosofia.<br />
Per almeno 15 anni - dal 1966, anno di<br />
pubblicazione degli Ecrits, sino al 1981,<br />
anno della morte - Jacques Lacan è stato<br />
probabilmente il maggior interlocutore del<br />
pensiero filosofico in Francia. Istituzionalmente<br />
estraneo alla filosofia e al<br />
mondo accademico, Lacan aveva peraltro<br />
assunto una posizione centrale nel dibattito<br />
e nella ricerca di quegli anni. I pensatori più<br />
diversi - Foucault, Deleuze, Derrida,<br />
Lyotard - si trovarono a definire il proprio<br />
lavoro in rapporto a quello di Lacan, costretti<br />
ad adottarne concetti e terminologia.<br />
A quasi dieci anni dalla sua morte il convegno<br />
organizzato dal Collège international<br />
de philosophie ha inteso fare il punto su tale<br />
lavoro e attuare, secondo le parole di uno<br />
degli organizzatori, Patrick Guyomard, «la<br />
reinscrizione effettiva di Lacan nel campo<br />
della filosofia».<br />
Apre il volume un notevole intervento di<br />
Philippe Lacoue-Labarthe sulle origini<br />
dell’etica nel pensiero di Lacan. Per Lacan<br />
la filosofia si instaura su di una liquidazione<br />
della tragedia, del tragico come dimensione<br />
dell’irrimediabile, dell’invalicabile;<br />
l’etica del Bene che ne deriva, da Platone al<br />
cristianesimo, comporta una negazione del<br />
rapporto indissolubile tra due termini inconciliabili,<br />
il bene e il male, con la conseguente<br />
posizione edificante della tradizione<br />
filosofica, caratterizzata da una sostanziale<br />
assenza di rapporto tra etica ed estetica.<br />
Per Lacoue-Labarthe l’etica tragica propugnata<br />
da Lacan, in particolare nella sua<br />
lettura dell’Antigone e in rapporto a Hegel,<br />
è essenzialmente un’etica del paradosso,<br />
dove due termini tra loro inconciliabili non<br />
possono sussistere l’uno indipendentemente<br />
dall’altro. In tal senso ogni etica è solo la<br />
AUTORI E IDEE<br />
AUTORI E IDEE<br />
“formazione sublimata” di un’estetica. Ma<br />
l’estetica per Lacan è soprattutto questione<br />
di simbolico, di logica del significante. E’<br />
questo il tema affrontato al convegno da<br />
una filosofa russa, Natalia Avtonomova,<br />
attraverso un confronto con l’opera di Kant.<br />
Entrambi procederebbero secondo una<br />
“strategia trascendentale”: l’oggetto, una<br />
volta privato di tutte le sue proprietà empiriche<br />
e contingenti, e in modo sistematico,<br />
prima di cessare d’essere anche solo pensabile,<br />
rivela nondimeno una proprietà ineliminabile,<br />
per Kant la “cosa in sé”, per<br />
Lacan la pura distinzione significante. La<br />
differenza è che Lacan, sulla scorta di<br />
Freud, si è occupato di ciò che Kant ha<br />
ignorato (lapsus, sogni, ecc.), formulando<br />
una tripartizione (reale, simbolico, immaginario)<br />
omologa a quella di Kant (logica,<br />
estetica, etica), che aspira però a un maggior<br />
grado di generalità.<br />
Alain Badiou, autore che ha fatto molto<br />
parlare di sé in questi ultimi anni in Francia<br />
proprio per l’inserzione di temi lacaniani<br />
nel suo lavoro filosofico, ci propone un<br />
esame del rapporto tra l’opera di Platone e<br />
quella di Lacan riguardo al ruolo delle<br />
matematiche nel campo del sapere filosofico.<br />
Secondo Badiou da Nietzsche in poi<br />
la filosofia occidentale è essenzialmente<br />
tesa a liberarsi della “malattia platonica”,<br />
dando luogo alla rimozione di ogni dottrina<br />
della verità a favore di una dottrina della<br />
conoscenza strettamente ermeneutica, artistica,<br />
poetica. Lacan rappresenterebbe appunto<br />
un’inversione di tendenza rispetto a<br />
questa linea per la centralità che egli assegna<br />
alla questione del “matema”. Jean-<br />
Luc Nancy si è assunto invece il compito<br />
di un’analisi del rapporto, poco noto in<br />
Italia, tra Lacan e Heidegger. Nancy, contrariamente<br />
a una tendenza prevalente in<br />
Francia, differenzia fortemente Heidegger<br />
da Lacan, proprio riguardo al concetto di<br />
verità. In Lacan la verità come mancanza è<br />
mancanza di nulla: l’oggetto non manca di<br />
alcuna proprietà, ma semplicemente “manca<br />
al suo posto”, viene pensato là dove non<br />
è. Il “ritrarsi” heideggeriano, l’essere che<br />
non è l’essere dell’ente, è invece manifestazione<br />
della finitezza dell’essere. Una<br />
mancanza simbolica si contrappone dunque<br />
in questo caso a una mancanza reale. In<br />
questo la posizione di Lacan si sottrae a<br />
ogni ipotesi di esistenzialismo.<br />
Il rapporto di Lacan con Alexandre Kojève<br />
e la tradizione hegeliana francese è al centro<br />
delle analisi di Mikkel Borch-<br />
Jacobsen, mentre Jean-Claude Milner,<br />
in un intervento molto penetrante, si è<br />
occupato del rapporto tra Lacan e il sapere<br />
propriamente scientifico. L’ultimo intervento,<br />
quello di Jacques Derrida, ha avuto<br />
qualcosa di sorprendente. Derrida è infatti<br />
considerato l’alter ego teorico di<br />
Lacan, il suo grande confutatore. Si può<br />
enucleare la controversia ormai storica tra<br />
Derrida e Lacan rispettivamente nelle tematiche<br />
contrapposte della “disseminazione”<br />
e della “legge” in quanto legge del<br />
linguaggio; la disseminazione, concetto<br />
vitalistico di derivazione fenomenologica,<br />
si sottrae a ogni effetto di “castrazione”<br />
imposto dal linguaggio, mentre la “legge”<br />
di Lacan è un a-priori, per cui ciascun<br />
parlante non può decidere completamente<br />
il senso di ciò che dice. Ora, nel suo intervento<br />
al convegno, Derrida ha abbandonato<br />
il concetto di disseminazione e, rimangiandosi<br />
buona parte delle sue critiche<br />
classiche a Lacan, ha addirittura presentato<br />
il loro rapporto di interlocuzione come<br />
l’asse portante degli sviluppi teorici della<br />
filosofia francese degli ultimi anni. F.E.<br />
Del simbolo, dell’uomo<br />
E’ stato presentato a Milano l’ultimo<br />
libro di Carlo Sini, Dal simbolo all’uomo<br />
(EGEA, MIlano 1991). Tappa<br />
significativa di un’elaborazione teoretica<br />
dedicata allo smascheramento<br />
della logica antropocentrica della<br />
scienza, questo testo è anche una difesa<br />
dei “diritti del simbolo” sia contro<br />
il suo allontanamento nella sfera<br />
dell’immaginario, sia contro la sua<br />
annessione al campo d’indagine delle<br />
scienze.<br />
Presentando il testo, Rocco Ronchi ha<br />
individuato la “domanda fondamentale”<br />
che sta alla base dell’opera di Carlo Sini<br />
nella questione se si dia, e come, un “al di<br />
là” del pensiero. Vi sono teorie che relegano<br />
il simbolo nell’ambito della figurazione<br />
e che, partendo dal punto di vista del concetto,<br />
non fanno che interrogarsi sul con-
cetto senza pervenire alla verità originaria<br />
del concetto stesso. Nel corso della storia<br />
della riflessione filosofica la verità del simbolo<br />
viene progressivamente oscurata dallo<br />
sguardo dell’intelletto, per riemergere<br />
come risultato di corto-circuiti teoretici. In<br />
René Alleau, osserva Sini, è evidente la<br />
scissione fra “simbolo” e “realtà”, dati come<br />
precostituiti l’uno di fronte all’altro, e<br />
la conseguente assegnazione dell’elemento<br />
simbolico alla dimensione dell’immaginario,<br />
o dell’onirico. La concezione di<br />
Alleau rende impraticabile l’idea di costituire<br />
una “simbolica”, ovvero una scienza<br />
del simbolo, che rimane sospesa fra l’alternativa<br />
di adeguare la propria logica d’indagine<br />
all’”oggetto” studiato, pervenendo così<br />
non a una scienza del simbolo, ma al simbolismo,<br />
o di riproporre, contro i propri<br />
stessi buoni propositi, strumenti di indagine<br />
concettuali, riducendo così la simbolica<br />
a semiotica.<br />
Ernst Cassirer ribadisce come la dimensione<br />
più originale del linguaggio non risieda<br />
nella significatività logico-scientifica,<br />
ma piuttosto in quella simbolico-mitica,<br />
ove vige identità fra il nome e l’essenza<br />
della cosa. Ma pur riconoscendo la specificità<br />
dell’esperienza simbolica dell’uomo<br />
“primitivo”, Cassirer non tien fermo all’affermazione<br />
della sua autonomia e cede alla<br />
tentazione di considerare questa esperienza<br />
dal punto di vista superiore dell’esperienza<br />
“oggettiva” dei moderni.<br />
Friedrich Creuzer, il padre del progetto di<br />
una “simbolica generale”, coglie il carattere<br />
endeictico, cioè mostrativo, creativo del<br />
simbolo. Il symbolon è, originariamente,<br />
quell’intero che, spezzato in due, consente<br />
il mutuo riconoscimento dell’unità ai possessori<br />
di ciascun pezzo; il “simbolo” non<br />
è dunque segno di una realtà data, sensibile<br />
o ideale che sia, non è una funzione, ma un<br />
evento. Eppure lo stesso Creuzer perde<br />
questo punto di vista, quando sovrappone<br />
una filosofia romantica e neoplatonizzante<br />
alle proprie acquisizioni di filologo. Dall’insieme<br />
di queste posizioni, osserva Sini,<br />
si può rilevare come l’idea di “definire” il<br />
simbolo, sottesa a ogni “scienza del simbolo”,<br />
muova dal presupposto che esiste un<br />
ambito concettuale che non è simbolico e<br />
che, pure, sul simbolico ha diritto di parola<br />
e di giudizio. Il problema, secondo Sini,<br />
consiste nel determinare “a partire da che”<br />
il concetto definisce il “simbolo” come<br />
“funzione simbolica”; vale a dire determinare<br />
quale sia la dimensione propria dell’operazione<br />
concettuale. Questa dimensione<br />
è quella pragmatica e riguarda il luogo in<br />
cui i soggetti sorgono in quanto comunicanti,<br />
essendo il gesto vocale autoggettivante.<br />
Tenendo fermo all’universalità oggettiva<br />
nel concetto, l’atto linguistico «si<br />
divincola dal grafema corporeo per sollevarsi<br />
a puro etere», respingendo nel privato<br />
e nell’insignificante ciò che non è riducibile<br />
a concetto. Così definita, la funzione<br />
pragmatica, intersoggettiva e universalizzante<br />
del linguaggio si presenta dunque<br />
come il fine della dimensione pubblica<br />
AUTORI E IDEE<br />
dell’atto linguistico.<br />
Un certo tipo di lettura di Nietzsche e di<br />
Heidegger ha condotto, osserva Sini, alla<br />
“crisi del concetto”, delle ideologie, della<br />
ragione, dell’Occidente e, alla fine, al salto<br />
nell’”Altro”. Da qui il proliferare delle<br />
ricerche sul simbolo, sulla metafora, sulla<br />
conoscenza estetica e così via. A parere di<br />
Sini occorre invece chiedersi, “platonicamente”,<br />
cosa sia il simbolo. Quando si dice<br />
“questo è un simbolo”, “questo è un concetto”,<br />
in questo momento, nell’atto di compiere<br />
questo gesto, ci si muove su un terreno<br />
che è precedente alla decisione stessa su<br />
cosa sia “simbolo” e cosa sia “concetto”. E’<br />
un terreno etico, nel senso etimologico del<br />
termine, e indica il radicarsi del soggetto in<br />
una dimensione ontologica che lo precede,<br />
l’ethos. L’impostazione delle “scienze umane”,<br />
ma anche quella dell’”uomo comune”,<br />
fa proprio il contrario, e cerca di parlare<br />
del simbolo a partire dall’uomo.<br />
L’enunciato, che vuole poi essere una definizione,<br />
“l’uomo è un animale simbolico”,<br />
dice che c’è un’entità, l’uomo, che si presume<br />
di conoscere, che appartiene al genere<br />
“animale” e che si differenzia dagli altri<br />
membri di questo gruppo per il suo caratterizzarsi<br />
come “produttore di simboli”. In<br />
questa prospettiva le sole questioni plausibili<br />
sono, per esempio, quella sul “come” e<br />
sul “quando” sia nata e si sia evoluta questa<br />
“facoltà simbolica”: questioni da antropologi,<br />
da psicologi o da sociologi, appunto.<br />
Il filosofo si deve invece chiedere - e non<br />
soltanto presupporre - cosa sia uomo, cosa<br />
sia simbolo. Per fare ciò deve vedere come<br />
l’ente uomo “abbia luogo”, in senso letterale,<br />
fra gli altri enti, a partire dalla relazione<br />
che costituisce l’uno e gli altri enti come<br />
tali in un “mondo”. F.C.<br />
Un manifesto dell’edonismo<br />
A dispetto di una casuale quasi omonimia,<br />
l’ultimo libro di Michel Onfray<br />
s’intitola: L’Art de jouir, (L’arte di<br />
godere, Grasset, Parigi 1991), proprio<br />
come suonava il titolo di una delle<br />
opere più note del medico-filosofo<br />
Julien Offray de La Mettrie. Il libro<br />
costituisce una nuova tappa del lavoro<br />
di ricostruzione antropologica<br />
dell’homo philosophicus, che da qualche<br />
anno Onfray va compiendo. Recente<br />
è la traduzione italiana di una<br />
sua opera significativa in tal senso: Il<br />
ventre dei filosofi (Rizzoli, Milano<br />
1991).<br />
Dall’esperienza e dai postumi di un esaurimento<br />
organico La Mettrie aveva dedotto<br />
la materialità della psiche e del pensiero,<br />
tesi che aveva suscitato scandalo e ostilità,<br />
tali da costringerlo a fuggirsene dalla Francia.<br />
L’idea che il pensiero possa essere<br />
prodotto dal corpo fisico urta ancor oggi<br />
tanto la coscienza religiosa, quanto quella<br />
filosofica. Se ancora per i presocratici -<br />
afferma Michel Onfray - «l’esercizio mentale<br />
si fa in opposizione ad una energia di<br />
cui il corpo è portatore», da Platone in poi<br />
si afferma il dualismo tra mente e corpo e la<br />
relativa squalifica di quest’ultimo. Al filosofo,<br />
disincarnato dai suoi umani appetiti,<br />
spetta soltanto la contemplazione del cielo<br />
delle idee. «Né carne, né muscoli, né pelle,<br />
né sesso, l’angelo è la forma assunta dalla<br />
mente», da cui la condanna non soltanto del<br />
corpo, ma delle sue stesse facoltà. Ai “sensi<br />
interni” del gusto e dell’odorato viene negata<br />
qualsiasi vera potenzialità conoscitiva;<br />
essi sono gerarchizzati in un ordine che<br />
vede prevalere la facoltà della vista, più<br />
spirituale e asettica. Così Kant disprezza il<br />
naso, ricettore dei più vili effluvi, che per<br />
suo tramite pervengono a disturbare la coscienza.<br />
Tuttavia, osserva del resto Onfray,<br />
se «il corpo è il grande assente della tradizione<br />
filosofica in generale», nondimeno i<br />
filosofi, in quanto creature terrestri, sono<br />
anch’essi fatti «di carne, di pelle, di sangue<br />
e di desiderio», con un corpo dunque che,<br />
negato, riafferma la sua esistenza attraverso<br />
i sintomi e le affezioni. E’ tra i più<br />
convinti denigratori della corporalità che<br />
Onfray va a cercare i segni somatici dei più<br />
evidenti conflitti intellettuali: nella conversione<br />
di Agostino, nell’esperienza mistica<br />
di Pascal, egli rintraccia i passaggi<br />
cruciali verso una nuova salute, dove alla<br />
carne viene ingiunto di risolvere il conflitto<br />
dello spirito.<br />
E’ una prospettiva da “fisiologia del filosofico”,<br />
quella che l’autore riprende dal radicalismo<br />
nicciano, nella sua intenzione di<br />
rovesciare il platonismo, e che trova un<br />
altro maestro in Gilles Deleuze, fautore di<br />
una «rematerializzazione e rinascita del<br />
corpo», unità ripristinata di spirito e materia,<br />
dove «pensare è ciò che può apprendere<br />
un corpo non pensante, la sua capacità, le<br />
sue attitudini o posture». L’araldica di una<br />
tradizione filosofica più sensibile ai temi<br />
del corpo è tracciata da Onfray lungo una<br />
linea che parte dal materialismo di<br />
Democrito, attraversa un certo settarismo<br />
gnostico (i barbelognostici) e il pensiero<br />
libertino, e arriva a Nietzsche, la cui critica<br />
allo spirito ascetico è preliminare ad una<br />
morale post-metafisica e post-cristiana, ancora<br />
da inventare. Su questa linea il libro di<br />
Onfray dà in effetti ragione del suo sottotitolo:<br />
«per un materialismo edonistico».<br />
E.N.<br />
L’integrità della ragione umana<br />
Dopo la pubblicazione di The critical<br />
theory of Jürgen Habermas<br />
(1978), Thomas McCarthy é stato riconosciuto<br />
come il principale commentatore<br />
e interprete del lavoro di<br />
Habermas nel mondo anglo-sassone.<br />
Sebbene McCarthy abbia nell’insieme<br />
della sua produzione teorica sviluppato<br />
una posizione indipendente dagli<br />
esiti della teoria sociale habermasia
na, egli viene tuttavia ancora per la<br />
maggior parte considerato il fedele<br />
“lettore” americano di Habermas. La<br />
pubblicazione del suo ultimo saggio:<br />
Ideals and illusions: on reconstruction<br />
and deconstruction<br />
in contemporary critical theory<br />
(Ideali e illusioni: ricostruzione e decostruzione<br />
nella teoria critica contemporanea,<br />
MIT Press, Cambridge 1991),<br />
conferma tuttavia la posizione critica<br />
di McCarthy nei confronti della complessa<br />
e voluminosa teoria di<br />
Habermas, dando diversa voce, nel<br />
contesto, a pensatori come Derrida,<br />
Foucault e Rorty.<br />
Thomas McCarthy condivide pienamente<br />
l’opinione di coloro che vedono oggi in<br />
pericolo il destino della legalità della teoria<br />
sociale e politica, che ci proviene da Kant<br />
e dall’Illuminismo, e di conseguenza in<br />
pericolo l’integrità stessa della ragione umana.<br />
Tuttavia la sua ricezione della critica<br />
della ragione universalista esposta da<br />
Foucault è meno allarmista rispetto a quella<br />
di Habermas. Inoltre McCarthy critica<br />
anche il tentativo attuato da Habermas per<br />
salvare l’eredità dell’Illuminismo, salvando<br />
qualcosa della forza della trascendentalità<br />
kantiana, al fine di dedurre l’etica e<br />
l’universalismo cognitivo senza far riferimento<br />
ad altro che alle caratteristiche innate<br />
nella struttura della comunicazione umana.<br />
Cosí, per esempio, gli strenui sforzi di<br />
Habermas per mostrare la possibilità di<br />
raggiungere il consenso razionale riguardo<br />
alla politica sociale all’interno di “un’ideale<br />
situazione di discorso”, dove niente conta<br />
se non il riconoscimento della razionalità<br />
degli argomenti individuali, non sono, come<br />
suppone Habermas, condizione necessaria<br />
per il conseguimento di una libertà<br />
ottimale. La minimalizzazione della repressione,<br />
aggiunge McCarthy, non é il<br />
risultato di un qualche consenso irraggiungibile<br />
su ciò che é giusto universalmente,<br />
ma di un generale consenso sociale circa la<br />
legittimità delle differenze nelle opinioni e<br />
il conseguente accordo sulla desiderabilità<br />
razionale effettiva delle forme istituzionali,<br />
attraverso le quali può essere raggiunto<br />
il compromesso.<br />
La tendenza di McCarthy a pragmatizzare<br />
il significato degli argomenti di Habermas,<br />
con lo scopo di salvare le sue conclusioni,<br />
emerge anche in un suo precedente libro:<br />
Democracy and complexity, (Democrazia<br />
e complessità, 1989) dove McCarthy sembra<br />
criticare ciò che egli considera una<br />
predilezione sfortunata di Habermas per i<br />
sistemi teorici, che lascia intravedere una<br />
certa sua disposizione alla sistematizzazione<br />
in quanto tale. Ideals and illusions,<br />
ponendosi in linea con questa impostazione,<br />
raccoglie otto saggi recenti di McCarthy.<br />
I primi quattro, riuniti sotto il titolo di<br />
“Deconstruction and critical theory”, si occupano<br />
rispettivamente di Rorty, Foucault,<br />
Derrida e Heidegger, evidenziando la loro<br />
comune tensione verso una prospettiva di<br />
AUTORI E IDEE<br />
neo-Illuminismo, che McCarthy condivide.<br />
La seconda sezione, “Reconstruction<br />
and critical theory”, include tre analisi critiche<br />
di McCarthy sul pensiero di Habermas<br />
e un interessante studio sugli aspetti religiosi<br />
del problema del trascendente in relazione<br />
a Kant, alla scuola di Francoforte e al<br />
teologo politico contemporaneo Helmut<br />
Peukert. V.R.<br />
Breve storia dell’apparenza<br />
Si situano in un territorio intermedio<br />
tra teoria della conoscenza ed estetica<br />
le riflessioni sviluppate da Norbert Bolz<br />
in Eine kurze Geschichte des<br />
Scheins (Una breve storia dell’apparenza,<br />
W. Fink Verlag, München 1991).<br />
Di fronte ai mutamenti introdotti dai<br />
moderni media, e in particolare dalle<br />
tecnologie computerizzate, nella nostra<br />
percezione della realtà, Bolz ripropone<br />
la questione, antica come la<br />
filosofia, del rapporto tra essenza e<br />
apparenza.<br />
Le riflessioni di Norbert Bolz si situano<br />
nell’orizzonte di una crisi del concetto di<br />
realtà e di una corrispondente confusione<br />
dei confini tra essere e apparire, realtà e<br />
immaginario, che dal suo punto di vista è<br />
determinata dalla presenza massiccia nel<br />
nostro mondo della vita dei nuovi media<br />
elettronici e delle tecnologie computerizzate,<br />
attraverso le quali si possono ottenere<br />
sofisticati effetti di simulazione della realtà.<br />
Partendo dalla constatazione che «oggi<br />
le tecnologie della simulazione mettono in<br />
questione la tradizionale differenza tra reale<br />
e immaginario», Bolz mira ad una «rideterminazione<br />
filosofica del rapporto fra<br />
essere e apparenza». Nelle correnti filosofiche<br />
moderne il problema del rapporto tra<br />
essenza e apparenza diventa di competenza<br />
della teoria della conoscenza e dell’estetica,<br />
perdendo progressivamente le sue valenze<br />
ontologiche. Secondo Bolz, l’estetica<br />
non è più nell’epoca attuale una “teoria<br />
delle (belle) arti”, ma si suddivide in una<br />
“teoria della aisthesis” (come teoria dei<br />
media), e in una “tecnologia della produzione<br />
digitale di immagini” (grafica computerizzata).<br />
Bolz intende circoscrivere con le proprie<br />
riflessioni il concetto e l’ambito di una<br />
“estetica dei media” come “nuova scienza<br />
guida”. I riferimenti filosofici, antropologici<br />
e sociologici che Bolz richiama, sono<br />
disparati, e vanno da Nietzsche a Benjamin,<br />
da Carl Schmitt a Gehlen, da Hobbes a<br />
Hegel, da Heidegger a Adorno, da Gunter<br />
Anders a Baudrillard, fino ad una serie di<br />
studi socio-psicologici sui nuovi media e<br />
sul concetto di simulazione.<br />
In Nietzsche da un lato la razionalità intende<br />
dissolvere, attraverso gli strumenti del<br />
pensiero critico, le immagini della tradizione,<br />
dei miti e delle religioni (tendenza iconoclasta<br />
dell’Aufklärung); dall’altro que-<br />
sta stessa critica non può fare a meno di<br />
creare nuove immagini e nuove mitologie<br />
(tendenza mitopoietica dell’Aufklärung).<br />
Ciò comporta un mutamento dell’ottica del<br />
filosofare: il “filosofare col martello”, che<br />
è al tempo stesso il risultato e il punto di<br />
partenza della “trasvalutazione dei valori”<br />
e del “crepuscolo degli idoli”, scopre nella<br />
capacità di produrre metafore e immagini<br />
una dimensione originaria dell’esistenza<br />
umana, la dimensione estetica, conducendo<br />
ad una giustificazione dell’esistenza in<br />
quanto progetto creativo.<br />
Facendo riferimento ad autori che si collocano<br />
su versanti ideologici e culturali diversi<br />
- come ad esempio Gehlen e Benjamin<br />
- Bolz delinea ora i contorni di una antropologia<br />
filosofica “materialistica”, secondo<br />
cui la caratteristica fondamentale dell’essere<br />
umano è il suo bisogno di immagini,<br />
insieme alla sua capacità di produrne. Ma<br />
come valutare il profluvio di immagini<br />
tipico delle società moderne, nelle quali<br />
l’immaginario umano si nutre alla fonte dei<br />
media? A questo proposito Bolz mette a<br />
confronto due posizioni opposte: quella di<br />
Heidegger, da lui definita “auratica”, che<br />
vede nella possibilità di riprodurre tecnicamente<br />
le immagini un’espressione dell’oblio<br />
dell’essere nell’”epoca dell’immagine<br />
del mondo”; e quella di Benjamin, che con<br />
il suo “materialismo antropologico del film”<br />
tenta di conferire un “indice rivoluzionario”<br />
al profluvio di immagini tipico dell’epoca<br />
della riproducibilità tecnica delle opere<br />
d’arte. In questo l’attenzione di Bolz<br />
cade in particolare sulla distinzione benjaminiana<br />
tra “prima” e “seconda” tecnica<br />
(che riecheggia la dialettica marxiana di<br />
“prima” e “seconda” natura): dove dal lato<br />
della “prima” tecnica stanno consumo e<br />
sacrificio dell’individuo, dominio della natura,<br />
estraniazione e rimozione delle domande<br />
ultime; mentre a favore della “seconda”<br />
troviamo il suo carattere sperimentale<br />
e creativo e la sua capacità di mantenere<br />
un atteggiamento ludico e non violento<br />
nei confronti della natura.<br />
Nel suo studio Bolz ripercorre alcuni momenti<br />
della discussione filosofica e teologico-politica<br />
sul rapporto realtà/apparenza<br />
e sul concetto di immagine: dalla tragedia<br />
greca, che mostra, come ebbe a dire<br />
Heidegger, «la necessità dell’essere nell’apparenza»,<br />
a Parmenide e Platone, che<br />
fanno valere la forza del pensiero contro la<br />
minaccia insita nell’aprirsi della differenza<br />
tra realtà e apparenza, fino al monoteismo<br />
ebraico e alle sue propaggini moderne nella<br />
Religion der Vernunft (Religione della ragione)<br />
di Hermann Cohen. Comune al pensiero<br />
parmenideo e a quello ebraico è la<br />
negazione del valore delle apparenze a<br />
favore dell’essere o di un “mondo vero”, di<br />
cui il mondo apparente non sarebbe che una<br />
manifestazione imperfetta. E tuttavia, afferma<br />
Bolz, «in questo rinnegamento parmenideo<br />
ed ebraico-monoteistico della realtà,<br />
l’apparenza viene pur sempre riconosciuta<br />
nella sua potenza storica; sarà solo il<br />
discorso cristiano-platonico a ridurla a me
a apparenza». Diversamente vanno le cose<br />
in Nietzsche, che nega il valore di un mondo<br />
“in sé”, “vero”, al di là del mondo<br />
apparente, individuando in esso nient’altro<br />
che una “favola” metafisica, e nella fenomenologia<br />
ermeneutica di Heidegger, per<br />
il quale “fenomeno” è “ciò che si mostra”:<br />
solo sulla base del mostrarsi, l’essente può<br />
anche presentarsi come ciò che non è, dunque<br />
come illusione, “apparenza”. La questione<br />
fondamentale non è più quella del<br />
rapporto tra essere e apparire, ma tra fenomeno,<br />
come mostrarsi dell’ente così come<br />
esso è, e nascondimento. M.M.<br />
Isaiah Berlin:<br />
il conflitto inevitabile<br />
Non esiste alcun dubbio sull’importante<br />
e originale contributo fornito da<br />
Isaiah Berlin con la sua analisi della<br />
storia delle idee. I suoi saggi, riuniti e<br />
pubblicati in cinque volumi dal suo<br />
editore ed esecutore letterario, Henry<br />
Hardy del Wolfson College di Oxford,<br />
sviluppano un’interpretazione nuova<br />
e profonda del moderno pensiero europeo.<br />
Proprio al fine di sottolineare<br />
l’importanza dell’opera di Berlin nel<br />
quadro della moderna cultura occidentale<br />
e del movimento delle idee nel<br />
mondo, é stato recentemente pubblicato<br />
un saggio che vuole essere, come<br />
viene dichiarato nel titolo, una celebrazione<br />
della figura di questo pensatore:<br />
Isaiah Berlin: a celebration<br />
(Isaiah Berlin: una celebrazione,<br />
a cura di Edna e Avishai Margalit,<br />
Hogarth, London 1991).<br />
Nell’analisi della storia delle idee che Isaiah<br />
Berlin ci propone colpisce innanzitutto la<br />
grande capacità di penetrare nel pensiero di<br />
pensatori nient’affatto vicini alla sua visione<br />
del mondo. Il suo contributo alla filosofia<br />
politica e morale inizia con i suoi scritti<br />
sulla libertà, che sovvertono le prevalenti<br />
regole ortodosse, sollevando dubbi sulla<br />
vera origine della tradizione occidentale.<br />
Pur ammettendo che i valori ultimi sono<br />
oggettivi e conoscibili, Berlin afferma che<br />
essi sono molteplici e differenti e proprio a<br />
causa di questa differenziazione e molteplicità<br />
entrano in conflitto gli uni con gli<br />
altri. I valori inoltre sono tra loro incommensurabili<br />
e le scelte che noi operiamo su<br />
di loro, sono scelte intrinsecamente tragiche<br />
e radicali. Per Berlin non esiste nessun<br />
bene sommo, nessuna forma perfetta di<br />
vita umana che si possa aspirare a raggiungere<br />
e che non potrà mai essere raggiunta,<br />
né esiste un metro di misura comune, con<br />
cui valutare differenti forme di vita umana,<br />
implicanti beni differenti e inconciliabili.<br />
Questa affermazione della varietà e incommensurabilità<br />
dei valori della vita umana<br />
vuole corrisponde alla tesi secondo cui<br />
l’idea di perfezione è in sé stessa incoerente.<br />
I conflitti tra i valori non sono per Berlin<br />
AUTORI E IDEE<br />
provocati dalla contingenza, ma dalla natura<br />
dei valori stessi. L’incommensurabilità<br />
di cui parla Berlin è dunque una incommensurabilità<br />
costitutiva. Questa caratteristica<br />
radicale di pluralismo oggettivo del<br />
pensiero di Berlin è stata facilmente fraintesa<br />
e accusata di relativismo. Al contrario<br />
Berlin ha sempre sottolineato che sebbene<br />
i valori si realizzino in differenti modalità<br />
di vita, dipendenti da forme culturali diverse,<br />
i valori ultimi sono oggettivi e universali,<br />
come lo sono i conflitti tra di essi.<br />
Il pluralismo di Berlin è espressione di un<br />
certo tipo di realismo dei valori, non di<br />
scetticismo o di relativismo, come egli stesso<br />
sottolinea in una recente raccolta di<br />
saggi, The crooked timber of humanity:<br />
chapters in the history of ideas (Il carattere<br />
tortuoso dell'umanità: capitoli di storia di<br />
idee,1990). La sua tesi dell’incommensurabilità<br />
dei valori possiede in effetti un<br />
significato universale e la sua interpretazione<br />
non differenzia la cultura tradizionale<br />
europea del razionalismo e del monismo<br />
dalla altre culture del mondo. Le implicazioni<br />
di questa tesi nel campo della filosofia<br />
politica minano alla base il pensiero<br />
liberale, proponendo invece un liberalismo<br />
agnostico. Per Berlin, cosí come entrano in<br />
conflitto i valori, anche le diverse concezioni<br />
di libertà sono incommensurabili e in<br />
opposizione tra loro. In tal senso il progetto<br />
legalista o costituzionalista che trova chiara<br />
espressione nel lavoro di Rawls, quale<br />
tentativo di specificare un insieme unico di<br />
diritti o di libertà-base in connessione armonica<br />
tra di loro, è per Berlin pura illusione.<br />
In Two concepts of liberty (Due concetti<br />
di libertà, 1959) Berlin tenta appunto di<br />
applicare il pluralismo dei valori all’ideale<br />
della libertà stessa. Nel fondare il valore<br />
della libertà sull’incommensurabilità,<br />
Berlin mette in discussione il liberalismo<br />
dottrinale e fondamentalista, cioè il liberalismo<br />
di Nozick, Hayek, Rawls e di<br />
Ackerman, che sembrano supporre che l’incommensurabilità<br />
della vita morale e politica,<br />
e quella della libertà stessa, possano<br />
essere rimosse con l’applicazione di una<br />
teoria che pare possedere il carattere di una<br />
formula talismanica.<br />
Berlin é filosofo della storia tanto quanto<br />
della libertà. Il suo rifiuto della inevitabilità<br />
storica è coerente con il suo rifiuto generale<br />
del determinismo umano. Nel riaffermare<br />
il pensiero di Vico e di Herder egli<br />
cerca infatti di rendere plausibile l’idea<br />
secondo cui nella storia esiste una modalità<br />
di comprensione, che è irriducibile a quella<br />
delle scienze naturali. A questo proposito è<br />
da sottolineare la vicinanza tra il pensiero<br />
di Berlin e quello di Hume. Entrambi infatti<br />
mostrano una propensione per la contingenza<br />
della storia, entrambi sono uomini<br />
profondamente civili, difensori dei valori<br />
che hanno animato l’Illuminismo: le loro<br />
concezioni sono alla base delle società moderne,<br />
nella cui difesa essi si sono fermamente<br />
impegnati. V.R.<br />
Giustificazioni di Dio<br />
La figura biblica di Giobbe ha offerto<br />
spunti di riflessione a due opere, che<br />
pur proveniendo da contesti intellettuali<br />
diversi, camminano entrambe sul<br />
crinale tra filosofia e religione: si tratta<br />
del volume di Lev Sestov, Sulla bilancia<br />
di Giobbe. Peregrinazioni<br />
attraverso le anime (traduzione di<br />
Alberto Pescetto , con un saggio<br />
Czeslaw Milosz, Adelphi, Milano 1991)<br />
e dello studio di Giovanni Moretto,<br />
Giustificazione e interrogazione.<br />
Giobbe nella filosofia<br />
(Guida, Napoli 1991).<br />
Giobbe è il giusto che, provato da Satana<br />
con il permesso di Dio, accetta il tormento<br />
unicamente in forza della fede. Durante le<br />
prove cui è sottoposto rifiuta le giustificazioni<br />
razionali che gli amici gli offrono, si<br />
tiene ben saldo nella propria disperazione,<br />
nella convinzione che il proprio stato è<br />
assolutamente assurdo e non giustificabile<br />
dal punto di vista della argomentazioni che<br />
l’uomo può escogitare. Tentare di comprendere<br />
ciò che gli sta accadendo sarebbe<br />
già un venir meno alla fede in Dio. C’è però<br />
in questo atteggiamento riflessivo una sorta<br />
di ambivalenza: se indubbiamente “umano”<br />
è lo strumento razionale, lo è pure il<br />
rifiuto di considerarlo come esaustivo rispetto<br />
alla totalità della condizione umana.<br />
L’ambivalenza conduce qui a un paradosso:<br />
ancora più profondamente umana delle<br />
giustificazioni razionali è la disperazione<br />
di Giobbe, per cui chi sa essere uomo, chi<br />
sa permanere nella disperazione, entra in<br />
contatto con Dio.<br />
Come filosofo, Lev Sestov rifiuta questo<br />
esito “umanistico”, o anzi, “umanocentrico”.<br />
La sua polemica antiumanistica è infatti<br />
radicale, come Czeslaw Milosz evidenzia<br />
nel suo saggio d’introduzione, “Salvezza<br />
dalla disperazione”. Presi di mira da<br />
Sestov sono gli inventori di teodicee, che<br />
tentano di conciliare razionalmente l’esistenza<br />
di Dio con quella del male nel mondo,<br />
come coloro che dalla ribellione alla<br />
necessità imposta da un ordine razionale<br />
delle cose concludono a un’esaltazione quasi<br />
prometeica della libertà dell’uomo.<br />
Ma la condanna di Sestov investe anche chi<br />
alla Rivelazione ha sostituito una “filosofia<br />
della Rivelazione”, e chi al riconoscimento<br />
della disperazione e dell’assurdo, come<br />
tratti distintivi della condizione umana, sostituisce<br />
una “filosofia della disperazione”<br />
e una “filosofia dell’assurdo”. Ciò spiega<br />
anzitutto perché, nonostante la figura di<br />
Sestov sia stata rivendicata dall’esistenzialismo<br />
parigino degli anni Quaranta e Cinquanta,<br />
i punti di contatto fra il movimento<br />
e il pensatore russo siano di fatto solo<br />
superficiali. In secondo luogo spiega l’idem<br />
sentire, su cui si fonda forse l’amicizia<br />
personale a dispetto delle divergenze teo
AUTORI E IDEE<br />
Georges de la Tour, Giobbe e la moglie (Epinal, Musée Départment des Vosges
etiche, che accomuna Sestov a Husserl.<br />
Certo, nell’aut-aut tra ragione e fede, tra<br />
Atene e Gerusalemme, tra Platone e gli<br />
stoici da una parte, Pascal, Dostoiewskij,<br />
Nietzsche e Kierkegaard dall’altra, Sestov<br />
aveva scelto la fede, Husserl la ragione; ma<br />
simile era, si potrebbe dire, la risolutezza<br />
con cui era stata fatta la scelta e la determinazione<br />
ad accettare le insolubilità e i vicoli<br />
ciechi di fronte ai quali ci si sarebbe potuti<br />
trovare. Il più evidente dei quali è il fatto<br />
che Sestov, proprio come “filosofo”, resta<br />
totalmente all’interno del paradosso relativo<br />
all’aspetto “umanistico” del proprio rifiuto<br />
dell’esaustività della ragione nei confronti<br />
del problema del male nel mondo,<br />
cioè del problema della vita dell’uomo e<br />
non solo del suo pensiero. Il filosofo Sestov<br />
pare non avvedersi del fatto che ponendo il<br />
problema dell’inadeguatezza della ragione<br />
nei confronti delle esperienze che l’uomo<br />
fà del divino e della propria stessa condizione,<br />
con ciò stesso tali esperienze si vengono<br />
a qualificare come tanto propriamente<br />
umane da diventare caratteristiche definitorie<br />
dell’uomo. Solo l’uomo di fatto è<br />
colui che è messo alla prova da Dio, e deve<br />
dare di ciò una giustificazione.<br />
Proprio questo è invece il problema centrale<br />
messo a fuoco da Giovanni Moretto<br />
nella raccolta di saggi dal titolo: Giustificazione<br />
e interrogazione. Moretto sostiene<br />
che la struttura della teodicea, in quanto<br />
forma di giustificazione, non é propria soltanto<br />
di una riflessione inserita nella prospettiva<br />
cristiana, ma appartiene anche «ad<br />
un tempo post-cristiano, caratterizzato dalla<br />
morte del Dio biblico». L’origine della<br />
teodicea è «universalmente filosofica e<br />
quindi extra biblica». Fin qui anche Sestov<br />
potrebbe essere d’accordo con la riconduzione<br />
della prospettiva della giustificazione<br />
a quella della speculazione razionale e<br />
antropocentrica, che egli considera contraria<br />
alla fede. Ma Moretto insiste sul carattere<br />
antropologico della giustificazione, sul<br />
fatto che la teodicea possiede “un’intima<br />
convertibilità” in antropodicea. In questo<br />
modo la vicenda di Giobbe «è il libro<br />
classico della teodicea, proprio perché non<br />
intende facilitarsi le cose, sopprimendo l’uno<br />
o l’altro dei protagonisti del dramma,<br />
Dio e l’uomo. Il senso del dramma è che i<br />
due protagonisti hanno bisogno l’uno dell’altro<br />
per definirsi».<br />
Alla luce del problema della giustificazione<br />
Moretto legge anche il pensiero di Martin<br />
Heidegger, in particolare il suo Satz vom<br />
Grund, il “principio del fondamento”. Nel<br />
passaggio dall’accezione leibniziana del<br />
principium rationis a quella heideggeriana<br />
della “tesi del fondamento” Moretto vede<br />
una peculiare forma di conversione dell’antropodicea<br />
in teodicea, stante il presupposto<br />
del carattere religioso dell’Essere<br />
heideggeriano. Tale conversione sarebbe<br />
anzi interna alla storia della riflessione<br />
heideggeriana, per via della “svolta” - la<br />
cosiddetta Kehre - operata da Heidegger<br />
rispetto a una figura del pensare che per<br />
Moretto è «jobica, in quanto costruita attra-<br />
AUTORI E IDEE<br />
verso la pretesa dell’uomo (Dasein) di “giustificare”<br />
l’essere...alla figura del pensiero<br />
(Denken)».<br />
Non si tratta, dunque, di rinunciare alla<br />
giustificazione, né di rimuovere l’uomo<br />
con un improbabile abbandono a Dio, ma<br />
di analizzare la specificità dell’interrogazione<br />
radicale che ci proviene dalla cultura<br />
greca e di quella che ci proviene dalla<br />
Bibbia, la specificità della dimensione razionale<br />
e di quella della preghiera. Secondo<br />
Moretto le due vie, che sono consustanziali,<br />
possono e debbono intersecarsi, per<br />
rispondere “al più classico” dei problemi<br />
della filosofia, quello della giustificazione<br />
del male. La filosofia, per incontrare la<br />
verità della Bibbia, «deve soltanto iuxta<br />
naturam suam universalizzare quelle verità,<br />
rendendole patrimonio di ogni uomo<br />
che venga in questo mondo». La filosofia,<br />
per raggiungere il suo scopo, l’universalizzazione<br />
della verità riguardo l’esperienza<br />
umana, «non ha nemmeno bisogno di passare<br />
attraverso l’esperienza della teologia<br />
cristiana». Se la grandezza di Giobbe è per<br />
Sestov l’aver abbandonato la conoscenza a<br />
favore della fede, per Moretto, che riprende<br />
Agostino, la pazienza di Giobbe è una virtù<br />
non solo etica ma «dianoetica dell’uomo<br />
che contempla il mondo in una luce crepuscolare,<br />
nell’ora del giudizio e della verità<br />
ultima». F.C.<br />
Habermas: pensiero postmetafisico<br />
ed etica del discorso<br />
Con gli studi raccolti in Erläuterungen<br />
zur Diskursethik (Chiarimenti<br />
sull’etica del discorso, Suhrkamp,<br />
Frankfurt a. M. 1991) Jürgen Habermas<br />
prosegue le ricerche presentate nell’opera<br />
del 1983 Moralbewusstsein<br />
und kommunikatives Handeln (Coscienza<br />
morale e agire comunicativo),<br />
nel tentativo di fondare, dal punto di<br />
vista della teoria dell’agire comunicativo,<br />
la possibilità e la specificità del<br />
discorso etico. Alcuni dei tratti che<br />
differenziano la proposta teorica di<br />
Habermas tanto dal relativismo postmoderno<br />
quanto da rinnovate tentazioni<br />
metafisiche sono ora accessibili<br />
ai lettori italiani nella raccolta di saggi:<br />
Il pensiero post-metafisico (a<br />
cura di Marina Calloni, Laterza, Roma-<br />
Bari 1991).<br />
In Erläuterungen zur Diskursethik Jürgen<br />
Habermas tenta di superare, attraverso la<br />
discussione di alcune questioni riguardanti<br />
lo statuto gnoseologico del discorso etico,<br />
il contrasto tra un astratto universalismo<br />
morale ed una posizione relativistica, delineando<br />
così la possibilità di una discussione<br />
razionale anche se di una razionalità sui<br />
generis) dei problemi etici. Nel volume<br />
sono raccolti saggi già pubblicati in volumi<br />
collettivi e interventi letti da Habermas in<br />
occasione di incontri organizzati da uni-<br />
versità statunitensi. Unica eccezione, l’ampio<br />
studio che dà il titolo al volume e che<br />
deriva da appunti di ricerca degli anni 1987-<br />
90. Scorrendo il volume si ha l’impressione<br />
che questi testi, per struttura e modalità<br />
di approccio ai problemi, rappresentino più<br />
momenti di una riflessione in progress (o,<br />
con le parole di Habermas, di un “processo<br />
di apprendimento”) che non risultati definitivi<br />
della ricerca. Lo sfondo della discussione<br />
è qui dato dalle critiche mosse alle<br />
concezioni universalistiche della morale<br />
da pensatori come Aristotele, Hegel e dal<br />
contestualismo contemporaneo. Questa<br />
prospettiva non porta però Habermas a<br />
negare, come fanno le correnti che si rifanno<br />
all’empirismo, la possibilità di una discussione<br />
e di una decisione razionale delle<br />
questioni etiche, ma al contrario lo induce<br />
a individuare la specificità del discorso<br />
morale. Questo, che non è una forma di<br />
conoscenza nel senso delle scienze esatte o<br />
della “ragion pura” di Kant, ma si fonda<br />
sulle intuizioni della vita quotidiana, si<br />
presenta con il carattere di una razionalità<br />
che gli è specifica, e che Kant aveva già<br />
individuato quando distingueva tra uso “puro”<br />
e “pratico” della ragione.<br />
Partendo da questo tentativo (condiviso,<br />
sia pure con diverse accentuazioni, anche<br />
da Karl-Otto Apel) di riprendere e riformulare<br />
la teoria morale kantiana avvalendosi<br />
degli strumenti della teoria dell’agire<br />
comunicativo, Habermas discute in questo<br />
volume una serie di problemi e obiezioni<br />
mosse ai suoi studi precedenti. Tra i problemi<br />
fondamentali indichiamo qui: il significato<br />
dell’etica del discorso; il rapporto tra<br />
i concetti dell’etica del discorso e le intuizioni<br />
morali che si trovano alla sua base; il<br />
rapporto tra ragione pratica e teoretica, tra<br />
fondazione teorica della norma e sua applicazione.<br />
Nel saggio che dà il titolo al volume,<br />
Erläuterungen zur Diskursethik, questi<br />
problemi vengono discussi con riferimento<br />
alle posizioni di autori che recentemente<br />
hanno posto le questioni etiche al<br />
centro della propria riflessione: tra gli altri<br />
J. Rawls, E. Tugendhat, K.-O. Apel, A.<br />
MacIntyre.<br />
L’orizzonte teorico generale di questi studi<br />
più recenti di Habermas è delineato in<br />
maniera sistematica soprattutto nella<br />
Theorie des kommunikativen Handelns del<br />
1981 (trad. it. Teoria dell’agire comunicativo,<br />
Il Mulino, Bologna). Ora, con la recente<br />
traduzione italiana di Nachmetaphysisches<br />
Denken (Il pensiero post-metafisico),<br />
pubblicato originariamente nel<br />
1988, vengono presentati al lettore italiano<br />
alcuni saggi risalenti alla seconda metà<br />
degli anni Ottanta, in cui Habermas prende<br />
posizione da un lato contro gli esiti “disfattistici”,<br />
relativisti e post-moderni della critica<br />
kantiana delle pretese assolutistiche<br />
della ragione, dall’altro «contro quei tentativi<br />
che mirano a ritornare a forme di pensiero<br />
metafisico»: pagine polemiche al riguardo<br />
sono dedicate in particolare alle<br />
concezioni di Dieter Henrich. I saggi raccolti<br />
da Habermas in questo volume riper
corrono diversi temi e momenti della storia<br />
della filosofia dall’antichità ai giorni nostri,<br />
giungendo a prendere in considerazione<br />
alcune questioni cruciali dell’attuale<br />
filosofia analitica del linguaggio, della psicologia<br />
sociale e relative a quello che potremmo<br />
chiamare lo “statuto letterario”<br />
della filosofia. A questo proposito si veda<br />
l’ultimo saggio, “Filosofia e scienza come<br />
letteratura”, che prende spunto da un’analisi<br />
di Se una notte d’inverno un viaggiatore<br />
di Italo Calvino). L’intenzione comune<br />
ai diversi studi è però quella di individuare<br />
gli elementi di una concezione della razionalità<br />
che, pur volendosi “scettica” e consapevole<br />
dell’impossibilità di realizzare le<br />
pretese metafisiche avanzate dalla filosofia<br />
nel corso della sua storia, non rinunci a far<br />
valere un’esigenza di validità universale.<br />
Ciò porta Habermas a sostenere una concezione<br />
comunicativa e intersoggettiva della<br />
ragione, che sembra avere il suo punto<br />
d’appoggio nella sostituzione del primato<br />
della coscienza con quello del linguaggio.<br />
In questa prospettiva di concretizzazione<br />
del concetto di razionalità e di superamento<br />
dell’astrattezza dell’io trascendentale<br />
kantiano, Habermas integra gli esiti delle<br />
più recenti teorie pragmatistiche del significato<br />
e dell’azione con il concetto fenomenologico<br />
di “mondo della vita”, nel cui<br />
orizzonte comunicativo si intrecciano dialetticamente<br />
le istanze dell’individuo, della<br />
cultura e della società.<br />
Da questi studi di Habermas sul Pensiero<br />
post-metafisico prende le mosse lo studio<br />
di Elena Agazzi, Dopo Francoforte. Dopo<br />
la metafisica (Liguori, Napoli 1990), che<br />
mette a confronto le posizioni di Habermas<br />
con quelle di Karl Otto Apel e Hans<br />
Georg Gadamer, individuando rispettivamente<br />
nella “teoria dell’agire comunicativo”,<br />
nella “ritrascendentalizzazione del soggetto”<br />
e nell’”orizzonte della tradizione”<br />
tre diverse proposte teoriche alternative al<br />
“nichilismo” e ad una “rappresentazione<br />
individuale della realtà, priva di sbocchi<br />
emancipativi”. M.M.<br />
Michael Dummett:<br />
alla base della verità<br />
L’influenza che Michael Dummett sta<br />
esercitando sul pensiero contemporaneo,<br />
e non solo limitatamente al mondo<br />
anglo-americano, si è realizzata attraverso<br />
la pubblicazione di una dozzina<br />
di saggi, due libri sulla filosofia di<br />
Gottlob Frege e un trattato di logica.<br />
Attraverso di essi Dummett ci ha spinto<br />
a ripensare il problema del vero,<br />
della logica, del significato e della loro<br />
relazione con le più profonde questioni<br />
metafisiche. Il suo nuovo libro, The<br />
logical basis of metaphysics (Le<br />
basi logiche della metafisica,<br />
Duckworth, London 1991) prende in<br />
considerazione questi temi parallelamente,<br />
presentando per la prima volta<br />
AUTORI E IDEE<br />
in forma sistematica un resoconto delle<br />
sue idee. La pubblicazione di quest’opera<br />
rappresenta la principale affermazione<br />
delle idee che hanno provocato<br />
la maggior parte delle controversie<br />
fondamentali della filosofia analitica<br />
in quest’ultimo scorcio del ventesimo<br />
secolo.<br />
Con quest’ultimo libro Michael Dummett<br />
ci presenta l’odierna sistemazione del suo<br />
pensiero, risultato di un lungo lavoro, iniziato<br />
nel 1976, di revisione e di sviluppo<br />
delle sue primitive posizioni. Scopo di<br />
Dummett é cercare qui di porre le basi per<br />
una meaning-theory, che possa spiegare in<br />
che cosa consista la conoscenza del linguaggio<br />
per un individuo parlante. Nel<br />
proporre un modello generale per il linguaggio,<br />
una meaning-theory deve saper<br />
determinare in particolare la corretta logica<br />
del linguaggio, specificando il significato<br />
delle costanti logiche, e fornendo l’insieme<br />
delle leggi logiche che valgono per esso.<br />
Simultaneamente deve chiarire il concetto<br />
di vero, evidenziando le sue relazioni con il<br />
significato. Secondo Dummett, se si riesce<br />
a dare risposta alle domande poste da questi<br />
problemi, si riescono anche a risolvere insieme<br />
i vecchi problemi posti dal realismo<br />
metafisico. Ovunque, nella storia della filosofia,<br />
il realismo ha prodotto controversie.<br />
In taluni casi si è detto che non esistono<br />
valori oggettivi nel mondo, che è la natura<br />
umana che produce le nostre vedute morali.<br />
Analogamente si è affermato che le<br />
verità matematiche non sono indipendenti<br />
da noi, ma sono il prodotto delle nostra<br />
creatività; cosí come si è detto che il mondo<br />
fisico non può essere concepito come esistente<br />
indipendentemente dall’esperienza,<br />
ma che anzi la sua relazione con l’esperienza<br />
è interna ad esso. Per Dummett il bisogno<br />
di un nuovo approccio a questi problemi<br />
scaturisce proprio dal fallimento di questi<br />
dibattiti tradizionali. Egli pensa che la<br />
chiave dell’inadeguatezza delle soluzioni<br />
proposte dal realismo si trovi nella accettazione,<br />
comune a queste soluzioni, del principio<br />
di bivalenza, secondo cui ogni affermazione<br />
appartenente ad un universo dato<br />
è determinatamente vera o falsa. La connessione<br />
tra bivalenza e realismo produce<br />
la credenza che la verità o falsità di un’affermazione<br />
non é una funzione della nostra<br />
indagine, ma è determinata da una realtà<br />
che esiste indipendentemente dalla nostra<br />
conoscenza. Ciò vuol dire che impiegare il<br />
principio di bivalenza, cioé impiegare una<br />
logica classica generante una semantica<br />
bivalente, equivale a essere realisti.<br />
In definitiva, per Dummett proporre una<br />
soluzione ai problemi sollevati dal realismo<br />
equivale ad evitare la teoria semantica<br />
che ad esso sottende. Proprio questo è lo<br />
sforzo che egli intraprende, ponendo le sue<br />
idee come punto di partenza per la costruzione<br />
di un’adeguata teoria del significato<br />
e con ciò una soluzione del problema metafisico<br />
ad essa collegato. In The logical<br />
basis of metaphysics si ritrovano di fatto<br />
tutti i principali temi della filosofia analitica:<br />
il problema del vero, del significato,<br />
della conoscenza, della comprensione, dell’olismo<br />
e della giustificazione delle leggi<br />
logiche. Ripudiando apertamente la semantica<br />
classica, Dummett difende una posizione<br />
verificazionista-pragmatista per la<br />
sua meaning-theory, affermando che il miglior<br />
modello disponibile in tal senso è<br />
quello offerto dall’intuizionismo, dal momento<br />
che la logica intuizionista si autogiustifica,<br />
non richiedendo l’appoggio di<br />
una teoria semantica.<br />
Sebbene nel libro siano presenti i temi<br />
consueti trattati da Dummett, essi vengono<br />
qui riaffermati con argomenti nuovi. Uno<br />
degli sviluppi più interessanti, mai espresso<br />
prima con tale chiarezza, é quello che<br />
afferma le ragioni per cui egli crede che i<br />
problemi metafisici si risolvono conseguentemente<br />
alla soluzione di quelli logici. Incominciare<br />
da un’indagine metafisica, provando<br />
a derivare da essa una descrizione di<br />
ciò che pensiamo del vero e dunque della<br />
logica, significa adottare una strategia topdown,<br />
che possiede lo svantaggio di non<br />
darci la possibilità di conoscere come poter<br />
fornire una chiara visione delle controversie<br />
metafisiche in questione. Adottando al<br />
contrario un procedimento d’indagine bottom-up,<br />
incominciando cioé col fornire un<br />
corretto modello del significato per le affermazioni<br />
controverse, è possibile per<br />
Dummett risolvere in un secondo tempo le<br />
controversie metafisiche stesse. Questo perché<br />
ciascun modello di significato porta<br />
con sé un modello metafisico, sicchè una<br />
volta determinata una descrizione del significato,<br />
non resta che accettare il modello<br />
metafisico ad esso relativo. Una strategia<br />
questa, che richiama alcune idee caratteristiche<br />
del pensiero dummettiano.<br />
Dummett infatti considera come indagine<br />
fondamentale la filosofia del pensiero, e la<br />
sola maniera per approfondirla si attua attraverso<br />
il linguaggio, con cui il pensiero si<br />
esprime. Un’indagine sul linguaggio equivale<br />
ad analizzare ciò che chiunque deve<br />
implicitamente sapere per essere considerato<br />
parlante una determinata lingua. Il<br />
primo passo nel costruire una teoria del<br />
significato è infatti fornire una rappresentazione<br />
sistematica della pratica necessaria<br />
per parlare un linguaggio. Dei problemi<br />
sorgono invece a questo proposito se si<br />
accetta il principio di bivalenza che produce<br />
una meaning-theory incapace di stabilire<br />
un’unione tra la conoscenza del parlante<br />
e la sua pratica, unione che deve essere<br />
stabilita se la nostra teoria del significato<br />
vuole essere adeguata.<br />
E’ proprio questo il nodo centrale che ha<br />
generato negli ultimi venti anni il dibattito<br />
intorno al lavoro di Dummett. La sua posizione<br />
appare poggiare su di una inestricabile<br />
doppia tensione tra da una parte il problema<br />
legato alle leggi logiche, al loro bisogno<br />
di essere giustificate e a come giustificarle,<br />
dall’altra il fatto che la natura dell’inferenza<br />
deduttiva ci costringe ad accettare una<br />
distinzione tra la verità delle affermazioni
e il possedere dei motivi per considerarle<br />
vere. Per Dummett tale distinzione deve<br />
essere mantenuta, anche se ci conduce all’accettazione<br />
di una teoria realistica del<br />
significato. Nonostante molte affermazioni<br />
discutibili, senza dubbio Dummett ci<br />
mette a disposizione con questo libro un<br />
materiale interessante e articolato, capace<br />
di arricchire un dibattito che sta uscendo<br />
dai confini anglo-americani, per essere accolto<br />
anche dalla cultura europea. V.R<br />
Su Sartre e Beauvoir<br />
Se come maîtres à penser sembrano<br />
piuttosto dimenticati, come personaggi<br />
Jean-Paul Sartre e Simone de<br />
Beauvoir non smettono di suscitare<br />
interesse in Francia. Nella ricezione<br />
del pubblico il loro ruolo di protagonisti<br />
della cultura degli anni Sessanta<br />
sembra di fatto essersi depositato in<br />
un interesse biografico che, nella sostanza,<br />
è indifferente ai contenuti filosofici<br />
del loro pensiero. Parliamo di<br />
due studi biografici recentemente ap-<br />
AUTORI E IDEE<br />
Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir nello studio in Boulevard Raspail 22 (G. Freund 1964, G. Neri)<br />
parsi nelle librerie francesi: Simone de<br />
Beauvoir, di Deirdre Bair (traduzione<br />
dall’inglese di Marie France de<br />
Palomera, Fayard, Parigi 1991) e Une<br />
si douce Occupation... Simone<br />
de Beauvoir e Jean-Paul Sartre<br />
1940-1944, di Gilbert Joseph (Una<br />
Occupazione tanto dolce... , Albin<br />
Michel, Parigi 1991).<br />
A queste biografie fa riscontro un testo<br />
inedito di Sarte, che raccoglie i<br />
quaderni composti durante un viaggio<br />
in Italia nel giugno 1952, pubblicato<br />
a cura di Arlette Elkaim-Sartre col<br />
titolo: La reine Abermarle (La<br />
regina Abermarle, Gallimard, Parigi<br />
1991). Si tratta di note sparse, dove<br />
emerge un’immagine dell’Italia tutto<br />
sommato da cartolina e che ricordano,<br />
per molti versi, la sensibilità spaesata<br />
di Antoine Roquentin, il famoso<br />
personaggio della Nausea.<br />
Il libro di Gilbert Joseph è una ricostruzione<br />
storica, dati alla mano e veleno nell’inchiostro,<br />
che costituisce un pesante atto<br />
d’accusa del dégagement della coppia negli<br />
anni dell’Occupazione tedesca. E’ noto<br />
come il primo successo teatrale di Sartre,<br />
Les Mouches (Le mosche), sia stato rappresentato<br />
nel teatro collaborazionista “Sarah<br />
Bernhard”, previo visto della censura “ariana”;<br />
come pure è risaputo che Simone de<br />
Beauvoir collaborava in quel periodo alle<br />
trasmissioni della Radio-diffusion<br />
Nationale. Da qui le accuse di opportunismo<br />
dell’autore di questa biografiapamphlet,<br />
che ha il vizio evidente di detestare<br />
i suoi protagonisti, di far intervenire il<br />
giudizio estetico sull’opera e la riprovazione<br />
morale quali inutili commentari alle<br />
imprese di Sartre e della Beauvoir. Calcolo,<br />
ambizione letteraria, sete di celebrità a<br />
tutti i costi e persino dissolutezza erotica i<br />
capi d’accusa accumulati da Joseph, che è<br />
andato a spulciare tra gli archivi di polizia<br />
e tra gli statini professionali dei due brillanti<br />
professori di liceo col solo intento di<br />
dimostrare come fosse usurpato il titolo di<br />
“resistenti”, di cui essi si sono fregiati nel<br />
Dopoguerra.<br />
C’è da dire che la ricostruzione di Joseph<br />
non pecca certo per mancanza di dati storici.<br />
Riscontri che possiamo augurarci vengano<br />
utili per un lavoro biografico più<br />
complessivo e meno partigiano, dove so
prattutto il giudizio sul personaggio non<br />
venga automaticamente e ingiustificatamente<br />
portato sull’opera.<br />
Di parte sembra anche l’analisi che la studiosa<br />
americana Deirdre Bair dedica a<br />
Simone de Beauvoir - un monumento di<br />
800 pagine - che fin dalla prefazione denuncia<br />
l’intenzione di proporsi come una<br />
«biografia femminista». Non si può certo<br />
negare l’importanza dell’opera della<br />
Beauvoir come autrice di Le Deuxième<br />
Sexe (Il secondo sesso) nella storia del<br />
pensiero femminista. Ma se la biografia<br />
della Bair non diventa agiografica è perché<br />
mantiene una precisione e mobilita una<br />
messe di dati da renderla preziosa, pur<br />
conservando una distanza critica che è tuttavia,<br />
nello stesso tempo, ideologica. Ciò è<br />
evidente nella valutazione del presunto ruolo<br />
subalterno che viene attribuito alla<br />
Beauvoir nei confronti di Sartre; in fondo ci<br />
troviamo di fronte a una donna sottomessa<br />
che scrive: «io ero intelligente, certo, ma<br />
Sartre era un genio». Può essere vera l’annotazione<br />
secondo cui Simone de Beauvoir<br />
era stata «educata, come tutte le donne del<br />
suo tempo, a sentirsi inferiore agli uomini»,<br />
ma non c’è bisogno di rilevare quanto<br />
Sartre fosse un uomo «minuscolo, un metro<br />
e cinquanta al massimo», per farne<br />
risaltare la grande statura intellettuale.<br />
E.N.<br />
L’inumano dell’uomo: la morale<br />
di André Glucksmann<br />
«Fai in modo che niente di ciò che è<br />
inumano ti sia estraneo». Non è una<br />
citazione da Dostoievskij, ma l’imperativo<br />
di L’XI Commandément (L’XI<br />
Comandamento, Flammarion, Parigi<br />
1991) di André Glucksmann.<br />
E’ un libro di “morale”, avverte subito<br />
l’autore, che si propone di demolire<br />
l’intero edificio della morale corrente,<br />
costruita sulle buone intenzioni e sui<br />
pii desideri di un sognante umanesimo.<br />
All’origine della gioconda concezione che<br />
vede l’uomo abitato dalla virtù e il Bene<br />
quale destino del mondo vi è, per André<br />
Glucksmann, l’ottimismo razionalista<br />
dell’Illuminismo. E’ la storia del nostro<br />
secolo a fornire la tragica smentita di tali<br />
visioni, ma è proprio questa tragedia che<br />
impone di ripensare le categorie della morale<br />
e di vedere «il luogo dell’inumano»<br />
nell’uomo stesso. Assumere la componente<br />
di Male intrinseca all’uomo significa<br />
arginarla e combatterla senza avere la pretesa<br />
di abolirla. I veri nichilisti, sostiene<br />
Glucksmann, sono coloro che rifiutano la<br />
realtà, che sognano la palingenesi morale<br />
degli uomini e costruiscono sistemi per<br />
reinventare il mondo. La legittimazione<br />
delle tendenze integraliste che vediamo<br />
affermarsi oggi risiederebbe in questo integralismo<br />
filosofico, nella sua essenza tota-<br />
AUTORI E IDEE<br />
litario.<br />
L’analisi dell’integralismo moderno è una<br />
delle parti più argomentate e convincenti<br />
del libro, che si chiede come esso sia potuto<br />
prosperare in un secolo che ha glorificato i<br />
valori universali e l’idea di uguaglianza.<br />
L’instabilità che caratterizza la modernità,<br />
osserva Glucksmann, l’anonimia dello spazio<br />
tecnologico, la neutralizzazione del senso<br />
operata dalla logica dell’informazione<br />
totale, producono un effetto di angoscia e<br />
una tentazione di ripiego sui valori minimi,<br />
ma assoluti, dell’integralismo. Questo può<br />
di volta in volta assumere connotati e finalità<br />
diversi, ma sempre partecipa di una<br />
medesima logica di esclusione che deriva<br />
dalla necessità di definirsi polemicamente<br />
contro un nemico. Un soggettivismo assoluto<br />
ne è alla base: «esso dà conto di sé solo<br />
a se stesso, si fa giudice, pentito, vittima,<br />
carnefice e ricompensa ultima di una propria<br />
azione che riprende su di sé la schiuma<br />
della propria infinità.» Se gli integralismi<br />
esprimono del resto la versione caricaturale<br />
ed esacerbata della disillusione umanista<br />
di un mondo improntato al Bene, conviene,<br />
conclude Glucksmann, portare a compimento<br />
il processo di autocritica dei valori<br />
della cultura occidentale per riaprire il campo<br />
di possibilità ad una nuova morale.<br />
E.N.<br />
Ricoeur e lo spazio pubblico<br />
della lettura<br />
Interpretare significa in primo luogo<br />
per Paul Ricoeur imparare a leggere, e<br />
questo per due motivi: perchè per criticare,<br />
analizzare, comprendere bisogna<br />
frequentare i testi, ascoltarli, provarsi<br />
nella spiegazione; poi perchè il<br />
mondo circostante si offre come un<br />
universo di alfabeti, libri, interpretazioni<br />
già avvenute. Con Lectures 1<br />
(Letture 1, Seuil, Parigi 1991) prende<br />
avvio la presentazione degli articoli<br />
pubblicati da Ricoeur nel corso degli<br />
anni spesso in merito ad altri libri e<br />
autori, a confronti diretti con le problematiche<br />
più attuali. Il primo volume<br />
raccoglie gli interventi “Autour du<br />
politique”: il prossimo comprenderà i<br />
saggi di ordine estetico, il terzo quelli<br />
inerenti al problema della religione e<br />
del male.<br />
I tre campi secondo cui sono raccolti gli<br />
articoli ricoeriani esprimono in modo molto<br />
perspicuo gli interessi teroretici di questa<br />
mente enciclopedica: Lectures ci fa<br />
entrare nella biblioteca ideale di Paul<br />
Ricoeur, ci indica gli autori più sottolineati,<br />
più interrogati, ci fa toccare con mano le<br />
conversazioni solitarie e ideali con i testi<br />
più incisivi della personale riflessione dell’autore.<br />
Questo volume è dedicato al “politico<br />
“, o per meglio dire, come suggerisce<br />
lo stesso Ricoeur: «Avrei amato chiamare<br />
questo libro Lo spazio pubblico, nel senso<br />
arendtiano, cioè la manifestazione del rapporto<br />
con altri in un ambito istituzionale,<br />
che si tratti di istituzioni linguistiche o<br />
politiche». L’interesse per la scena pubblica<br />
e etica dell’esperienza umana fu sollevato<br />
in Ricoeur dall’incontro con Jaspers, con<br />
Weil, con Patocka, con Arendt e con i<br />
problemi relativi alla filosofia della azione,<br />
alla deliberazione pubblica, alla salvaguardia<br />
di ciò che è umano di fronte al nichilismo<br />
imperante. Osserva ancora Ricoeur a<br />
proposito di questo testo: «Dobbiamo tener<br />
conto di un certo numero di fragilità fondamentali<br />
dell’esistenza. Non dobbiamo creare<br />
ex nihilo il senso, ma rispondere a interrogativi<br />
ineluttabili». Lectures, “Autour du<br />
politique”, connette molto strettamente fragilità<br />
e responsabilità. Sono questi i due<br />
poli, i due luoghi che definiscono la scena<br />
pubblica: da un lato la fragilità della vita in<br />
società, i conflitti di interpretazione, i differenti<br />
dissidi e punti di vista, dall’altro la<br />
responsabilità a cui tutti sono chiamati per<br />
non scivolare nella rassegnazione, nell’anarchismo.<br />
Il problema per Ricoeur non è essere o non<br />
essere nichilisti, ma come pensare e agire<br />
di fronte al nichilismo. Frequentare la propria<br />
biblioteca ideale significa porsi con<br />
altri, contro altri, i medesimi problemi,<br />
ingaggiare un dialogo a più voci, seguire le<br />
tracce di una propria, condivisibile tradizione.<br />
Lectures raccoglie testi che esprimono<br />
i temi cari alla riflessione ricoeuriana,<br />
come quello dell’impossibilità di una<br />
scienza della praxis: l’azione è sottoponibile<br />
solo, secondo la linea aristotelica, a<br />
una saggezza probabile, per accenni, schizzi,<br />
mai per certezze. In questo senso la<br />
retorica per il suo carattere argomentativo,<br />
pubblico, fra dimostrabile e aleatorio, è il<br />
linguaggio proprio dello spazio pubblico.<br />
Ma in questa raccolta si trova anche espresso<br />
uno dei temi centrali dell’ultimo Ricoeur,<br />
ossia la “saggezza pratica”, la prudenza,<br />
quale corretivo della possibile rigidità della<br />
morale dei costumi, delle istituzioni di<br />
una comunità data. Centrale è anche il tema<br />
della giustizia. Estremamente interessanti<br />
infine gli interventi a caldo, “circostanziali”,<br />
sulla rivoluzione cinese, su Israele,<br />
sulla situazione universitaria del ’68.<br />
F.M.Z.
AUTORI E IDEE<br />
Sils Maria (Engandina), Das trunkene Lied dallo Zarathustra di Nietzsche.
Ecce Nietzsche: un filosofo<br />
per tutti e per nessuno<br />
In Francia è noto come negli anni ‘6O<br />
Friedrich Nietzsche sia stato adottato<br />
dal milieu intellettuale come filosofo<br />
del sospetto, della riabilitazione delle<br />
gioie del corpo, della sensibilità come<br />
profusione infinita: enfant terrible del<br />
pensiero, Nietzsche mette a soqquadro<br />
tutte le categorie della tradizione<br />
metafisica. Una serie di recenti pubblicazioni<br />
segnala un nuovo interesse in<br />
Francia per questo autore “polimorfo”,<br />
ma la discussione oggi non si gioca<br />
più tanto sul piano metafisico-estetico<br />
quanto su quello politico-storico.<br />
E’ il caso di una serie di testi di autori<br />
vari, testimonianza di una recente discussione<br />
sulla ricezione del filosofo<br />
da parte degli intellettuali ebrei: De<br />
Sils Marie à Jerusalem. Nietzsche<br />
et le judaisme; les intellectuelles<br />
juifs et Nietzsche (Da<br />
Sils Maria a Geru-salemme. Nietzsche<br />
e l’ebraismo; gli intellettuali ebrei e<br />
Nietzsche, Cerf, Paris 1991). A ciò si<br />
affianca la traduzione francese dell’ormai<br />
classico studio di Karl Löwith:<br />
Nietzsche: philosophe de l’éternel<br />
retour du même (Nietzsche:<br />
filosofo dell’eterno ritorno, Calmann-<br />
Lévy, Paris 1991) e dell’altrettanto classico<br />
Introdution 9 Nietzsche (Introduzione<br />
a Nieztsche, Ed Univ/ De<br />
Boeck Université 1991) di Gianni<br />
Vattimo. Completa la panoramica un<br />
volume collettivo, Pourquoi nous ne<br />
sommes pas nietzschéens?” (Perchè<br />
non siamo nietzscheani, Grasset, Paris<br />
1991), che si presenta come il manifesto<br />
di una generazione intellettuale<br />
che prende posizione rispetto agli anni<br />
e ai maestri (“padri”) della loro formazione,<br />
ossia coloro che avevano dato<br />
vita alla “Nietzsche-Renaissance”<br />
degli anni ‘6O.<br />
Lo stacco avviene sul piano politico in base<br />
all’”esigenza ancestrale di razionalità”, rispetto<br />
alla quale la filosofia incendiaria di<br />
Nietzsche comporterebbe nefaste e mortifere<br />
conseguenze nel dominio dell’azione<br />
pubblica e della società democratica. Scontro<br />
generazionale? Eredità edipica? Gusto<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
polemico? Sia quel che sia, per gli autori in<br />
questione: A. Boyer, A. Compte-<br />
Sponville, V. Descombes, L. Ferry, R.<br />
Legros, P. Raynaud, A. Renaut, P.-A.<br />
Taguieff, Nietzsche è un punto di non<br />
ritorno della filosofia e soprattutto della<br />
critica alla tradizione metafisica occidentale.<br />
La posta in gioco non è tanto una<br />
visione dell’essere, quanto la possibile “presa”,<br />
da parte della riflessione filosofica,<br />
sulla realtà politico-pubblica.<br />
La questione è: fino a che punto è possibile<br />
seguire la critica nietzscheana della tradizione<br />
razionalista? Cosa comporta questa<br />
posizione sul piano dell’azione libera e<br />
responsabile degli individui? Detto altrimenti:<br />
lo stile decostruzionista, critico, caro<br />
alla “Nietzsche-Renaissance”, non mina<br />
alla base la “passione democratica”? L.<br />
Ferry e A. Renaut pongono questa alternativa:<br />
di fronte all’erosione della tradizione<br />
da parte della critica, da un lato, e<br />
l’intrinseca debolezza della democrazia dall’altro,<br />
la fondazione e la legittimità dei<br />
valori pubblici, comunicabili, condivisibili<br />
(e cioè: le norme, le istituzioni, i criteri)<br />
diventano estremamente complesse. Due<br />
sono allora i possibili atteggiamenti: il primo,<br />
a cui si richiamano gli stessi Ferry e<br />
Renaut e filosofi come Rawls, Apel, si<br />
propone di «approfondire i presupposti teorici<br />
e le modalità pratiche del modello della<br />
deliberazione argomentativa». Il secondo,<br />
a cui parteciperebbe Mac Intyre, per esempio,<br />
denuncia insormontabile il vuoto di<br />
punti di riferimento reali e attacca la fragilità<br />
della democrazia per «interrogarsi sulle<br />
possibilità di far sorgere, attraverso una<br />
critica della moderna democrazia, l’analogo<br />
contemporaneo di un universo tradizionale».<br />
L’aut-aut è chiaro: argomentazione<br />
contro tradizione, democrazia contro neo<br />
conservatorismo, deliberazione pubblica<br />
contro autorità. Nietzsche a questo proposito<br />
costituisce l’espressione più raffinata<br />
della prospettiva neo-conservatrice, che<br />
mira a trovare un analogo della tradizione,<br />
e il confronto diretto con la sua acutezza<br />
d’analisi permetterebbe di misurarsi con<br />
gli effetti “perversi” di tale opzione. D’altra<br />
parte il rapporto con Nietzsche non puo’<br />
che essere contraddittorio. La critica nietzscheana<br />
della scienza, della modernità,<br />
della razionalità è certo convincente, se<br />
non seducente. Ma Nietzsche non è un<br />
bieco e ingenuo conservatore: il processo<br />
della modernità è irriversibile. Nietzsche<br />
ricerca allora il “grande stile “, perseguendo<br />
l’ideale di un’integrazione delle forze<br />
vitali, di una intensificazione della vita<br />
creativa, estetica “sovraumana”: una «gerarchizzazione<br />
armoniosa delle forze vitali<br />
che corrisponderebbe all’analogo dell’universo<br />
della tradizione».<br />
Da qui sorgono due questioni. Da un lato:<br />
può l’eterno ritorno avere un carattere dialettico?<br />
Dall’altro: come conciliare nello<br />
stesso Nietzsche quello strano misto fra<br />
autonomia (super/oltre uomo ) e gerarchia<br />
(cosmologia, eterno ritorno dell’identico)?<br />
Questo “misto” sarebbe possibile, affermano<br />
Ferry e Renaut, «se l’integrazione di<br />
cio’ che la modernità ha conquistato non<br />
costringesse a rompere, per sempre, con<br />
l’eventuale eredità degli Antichi». Su questa<br />
linea si situa anche l’intervento di P.<br />
Raynaud, che propone di rilanciare una<br />
certa strategia nietzscheana: come il filosofo<br />
tedesco ha saputo fare dell’Aufklarung<br />
uno strumento per criticare dall’interno la<br />
ragione, così il suo “irrazionalismo” puo’<br />
divenire un mezzo per perseguire e non<br />
rinunciare all’emancipazione delle<br />
Lumières. Secondo Raynaud «il compito<br />
della filosofia politica sarebbe allora di<br />
prendere il pensiero nietzscheano come<br />
antidoto dello spirito moderno, o meglio<br />
come un mezzo privilegiato per l’autocritica<br />
della modernità». A questo proposito<br />
l’autore dà luogo a un confronto molto<br />
stringente fra Nietzsche e Weber, al quale<br />
viene attribuita una critica di stile nietzscheano<br />
della modernità, il cui esito sarebbe<br />
una discussione della medesima e<br />
non un suo oltrepassamento.<br />
Sebbene questa raccolta non apporti nessun<br />
particolare contributo innovativo all’interpretazione<br />
del pensiero nietzscheano,<br />
è pur vero che il lettore francese, di<br />
questi tempi, ha la possibilità di mettere a<br />
confronto punti di vista differenti sul pensiero<br />
di Nietzsche. Chi accostasse le traduzione<br />
francesi delle monografie di Karl<br />
Löwith, da un lato, e di Gianni Vattimo,<br />
dall’altro, avrebbe molti elementi per rivisitare<br />
il problema dell’essere o non essere<br />
“nietzscheani”. La lettura di Löwith può<br />
essere considerata un “antidoto” al manifesto<br />
generazionale degli intellettuali francesi<br />
in rapporto a Nietzsche: l’interpreta-
zione dell’eterno ritorno proposta da Löwith<br />
porta più sulla cosmologia nietzscheana<br />
che non sul suo naturalismo metafisico.<br />
D’altra parte l’interpretazione di Vattimo<br />
può essere letta come correttivo della visione<br />
riduttiva dell’alternativa argomentazione-tradizione,<br />
nel momento in cui la tradizione<br />
metafisica viene rivisitata come destino<br />
dell’essere e l’ermeneutica dal canto<br />
suo ha di mira la semplice opposizione<br />
autorità-conformità-passato e argomentazione-deliberazione-presente.<br />
Un ‘altra iniziativa considerevole è la pubblicazione<br />
degli atti del recente colloquio<br />
dedicato ai rapporti fra Nietzsche e gli<br />
intellettuali ebrei, raccolti con il titolo: De<br />
Sils Marie a Jerusalem, da D. Bourel e di<br />
J. Le Rider. A partire dagli anni 1874/5 la<br />
ricezione del filosofo nel mondo ebraico è<br />
stata complessa: per certi sionisti Nietzsche<br />
offriva l’esempio di un rovesciamento fecondo<br />
dei valori borghesi della vecchia<br />
Europa; per altri proponeva una filosofia<br />
d’élite che andava semplicemente liberata<br />
dalla sua tonalità troppo tedesca. In epoca<br />
più recente l’influenza nietzscheana ha giocato<br />
un ruolo importante nel divenire-ebreo<br />
di autori come Rosenzweig, Scholem,<br />
Buber. Fermo restando l’ambiguità di<br />
Nietzsche nei confronti degli ebrei, la tesi<br />
più interessante che questa raccolta suggerisce<br />
è che l’antisemitismo nietzscheano<br />
dipenda più da un filoellenismo, che da un<br />
odio reale per gli ebrei. Inoltre bisogna<br />
considerare la reale ignoranza degli ebrei<br />
da parte del filosofo tedesco, e non solo di<br />
quelli del suo tempo, ma anche di quelli<br />
dell’Antico Testamento, tant’è che per<br />
Nietzsche gli ebrei più ebrei sono Gesù e<br />
Paolo.<br />
Segnaliamo qui infine un’iniziativa delle<br />
edizioni La Pléiade, che a partire dal ’94<br />
avvieranno la pubblicazione delle opere<br />
complete di Nietzsche sulla base della edition<br />
grise di Gallimard. F.M.Z.<br />
Chi è Nietzsche?<br />
Tra i vari studi critici recentemente<br />
pubblicati in Italia sulla figura e l’opera<br />
di Friedrich Nietzsche, alcuni sembrano<br />
orientarsi in particolare verso una<br />
tendenza interpretativa che vede il filosofo<br />
tedesco più come moralista e<br />
“profeta”, che come filosofo sistematico.<br />
Segnaliamo in tal senso la pubblicazione<br />
di una conferenza di Hans-<br />
Georg Gadamer, Il dramma di<br />
Zarathustra (a cura di Carlo Angelino,<br />
Il Melangolo, Genova 1991) e il saggio<br />
di uno dei maggiori interpreti dell’opera<br />
di Nietzsche, Sossio Giametta,<br />
Nietzsche, il poeta, il moralista,<br />
il filosofo. Saggio su<br />
Così parlò Zarathustra (prefazione<br />
di Claudio Magris, Garzanti, Milano<br />
1991). Notevole contributo a questa<br />
tendenza interpretativa viene peraltro<br />
dall’edizione critica delle opere di<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Nietzsche, curata da Giorgio Colli e<br />
Mazzino Montanari, di cui è recente la<br />
pubblicazione di La gaia scienza.<br />
Idilli di Messina e frammenti<br />
postumi 1881-1882 (Adelphi, Milano<br />
1991);<br />
Raccolta di aforismi composti tra il 1881 e<br />
il 1882, La gaia scienza appartiene al cosiddetto<br />
“periodo illuminista” di Friedrich<br />
Nietzsche. E’ il periodo che segna il distacco<br />
dalla metafisica di Schopenhauer e dall’arte<br />
di Wagner, che aveva preso coloriture<br />
fin troppo misticheggianti per i gusti di<br />
Nietzsche: il reciproco dono di una copia<br />
del Parsifal e di una di Umano - troppo<br />
umano fu tra i due un «incrociarsi di spade»,<br />
come ebbe a dire il filosofo. In questo<br />
contesto prende forma la “filosofia del mattino”:<br />
religione greca, metafisica schopenhaueriana<br />
e arte wagneriana decadono ora<br />
a “illusioni”, ad apparenze che devono essere<br />
smascherate, e tale smascheramento è<br />
delegato alla “scienza”. In Umano - troppo<br />
umano la scienza che smaschera è la psicologia;<br />
essa però non è ancora “gaia”, poiché<br />
il livore con cui metafisica, religione e arte<br />
appaiono “maschere” degli umani impulsi<br />
non permettono ancora quella “leggerezza”<br />
che è condizione imprescindibile dello<br />
spirito liberato, e che si concretizza in una<br />
presa di distanza dalla scienza stessa. E’<br />
questo il punto di vista che viene raggiunto<br />
con la Gaia scienza, che è tale proprio<br />
perché essa non è né la forma esistenziale,<br />
né la verità ontologica dello spirito libero,<br />
ma solo lo strumento per la sua liberazione.<br />
Qui la forma aforistica prepara già il “pensare<br />
poetico” di Così parlò Zarathustra,<br />
ideato e composto fra il 1881 e il 1885.<br />
Questo non è casuale, spiega Sossio<br />
Giametta nel suo recente studio critico,<br />
dato che Nietzsche è “filosofo per necessità”:<br />
prima di tutto scettico, poi moralista e<br />
infine, di conseguenza, poeta, quando deve<br />
comunicare un pensiero che è “per tutti e<br />
per nessuno”. Pensiero che è in verità incomunicabile,<br />
sicchè per Nietzsche la filosofia,<br />
strumento per la vita, deve assumere<br />
necessariamente di volta in volta i caratteri<br />
dell’invettiva rapsodica e asistematica degli<br />
aforismi, piuttosto che la forma sapienziale<br />
del poema oracolare. Non si tratta<br />
però di una opportuna commistione fra un<br />
pensiero non sufficientemente “fine”, o<br />
troppo “freddo”, e la poesia, che gli fornisce<br />
le nuances, o anche solo le immagini<br />
necessarie a esprimere la “vita”. Si tratta<br />
invece, suggerisce Giametta nelle trecento<br />
pagine del suo saggio, di un diverso interesse,<br />
che si esprime anche con lo strumento<br />
della filosofia.<br />
E’ dunque una forzatura ricondurre le riflessioni<br />
in forma aforistica della Gaia<br />
scienza, e ancor più quelle in forma poetica<br />
dello Zarathustra, a un impianto concettuale<br />
sistematico; tesi questa che accomuna<br />
Giametta a Mazzino Montanari - di cui<br />
Giametta fu collaboratore - e che figura<br />
come presupposto filologico all’edizione<br />
critica dell’opera completa di Nietzsche.<br />
“Superuomo”, “morte di Dio”, “eterno ritorno”<br />
non valgono dunque come concetti,<br />
ma come “idee limite”: la posizione di<br />
Nietzsche nei confronti della “funzione<br />
logica della filosofia” è negativa; la filosofia<br />
“serve” per la vita dell’uomo non per<br />
interpretare la realtà dell’essere, ma per<br />
viverla, e a questo scopo devono essere<br />
orientati i suoi concetti. Nietzsche stesso,<br />
quando si autocomprende come filosofo,<br />
cade nell’errore che egli stesso rimprovera<br />
ai filosofi: ipostatizzando posizioni quali il<br />
rifiuto vitalistico della teoria e della religione,<br />
egli dimentica la leggerezza del canto<br />
e della danza e va avanti a parlare, cioè<br />
a filosofare. Eppure, proprio perché dietro<br />
alla posizione dello scettico c’è quella del<br />
moralista, e dietro quella del moralista quella<br />
di un credente in un sistema di valori,<br />
occorre chiedersi fino a che punto non<br />
fosse necessario il fraintendimento, o l’autofraintendimento,<br />
della “battaglia filosofica”<br />
nietzscheana. Sorge addirittura il sospetto<br />
che, perfino sul piano storiografico,<br />
potesse avere ragione Heidegger, quando<br />
collocava Nietzsche sulla vetta più alta del<br />
cammino della filosofia occidentale - e<br />
comunque al di qua del crinale - come<br />
l’ultima figura del soggettivismo della metafisica.<br />
Con l’interpretazione heideggeriana della<br />
tensione tra vita e saggezza in Nietzsche fa<br />
i conti anche Hans-Georg Gadamer nel<br />
suo libretto: Il dramma di Zarathustra, che<br />
presenta il testo di una conferenza tenuta in<br />
occasione del centenario della pubblicazione<br />
dell’opera nietzscheana. Nietzsche,<br />
prima che filosofo, è anzitutto un “inguaribile<br />
moralista”, uno “sperimentatore straordinario”;<br />
per questo Gadamer nega che la<br />
forma letteraria scelta per lo Zarathustra<br />
possa essere poi ripudiata a favore di una<br />
presunta maggior sistematicità teoretica.<br />
Singolare caso di incompatibilità profonda,<br />
quella delle filosofie di Nietzsche e<br />
Gadamer. Se, come ricorda Carlo Angelino<br />
nella sua Prefazione al testo gadameriano,<br />
la coscienza della finitezza umana rappresenta<br />
il presupposto dell’ermeneutica filosofica<br />
di Gadamer, proprio questo presupposto<br />
è l’obiettivo polemico di Nietzsche.<br />
Quella di Gadamer è una filosofia fondata<br />
su una coscienza che è anzitutto autocoscienza<br />
della propria storicità, cioè del proprio<br />
essenziale pro-venire. Il gioco cosmico<br />
nietzscheano si pone invece nella dimensione<br />
sovratemporale dell’eterno ritorno,<br />
in quell’implosione dell’attimo nella<br />
quale si avvita e precipita la relazione<br />
causale, fondata sulla temporalità del rapporto<br />
di successione.<br />
Nonostante però la lontananza delle prospettive<br />
e il fatto che Gadamer dichiaratamente<br />
non ami lo Zarathustra, penetrante è<br />
la sua analisi del testo, da lui ritenuto anzitutto<br />
«un’opera d’arte letteraria», dalla quale<br />
non è affatto facile, e forse neppure legittimo,<br />
estrapolare «un universo di concetti<br />
unitario». Se non si tiene in adeguato conto<br />
questo fatto si va incontro a un duplice,<br />
possibile fraintendimento. Il primo riguar-
da il rischio di irrigidire concettualmente<br />
alcune intuizioni di Nietzsche, incagliando<br />
il suo pensiero in contraddizioni apparentemente<br />
insanabili, come quella a cui giunge<br />
ad esempio Karl Löwith, rendendo inconciliabile<br />
l’idea dell’”eterno ritorno” con<br />
quella di “volontà di potenza”. Merito precipuo<br />
di Heidegger, dice Gadamer, è stato<br />
proprio quello di aver composto questo<br />
apparente contrasto, mostrando come l’anello<br />
dell’eterno ritorno e la volontà di<br />
potenza siano facce di una stessa medaglia,<br />
la dissoluzione del problema del senso e<br />
della causalità finalizzata. Il secondo rischio<br />
di fraintendimento consiste nell’identificazione<br />
della figura di Zarathustra<br />
con Nietzsche stesso. Bisogna invece tener<br />
conto del fatto, osserva Gadamer, che lo<br />
Zarathustra di Nietzsche è composto non<br />
solo dai discorsi, ma anche dalla vicenda di<br />
Zarathustra. Quello che ne esce, e che costituisce<br />
il frutto teoretico dell’opera, è la<br />
tensione fra vita e sapere: cercare la saggezza<br />
preclude la vita, ma preclude anche<br />
la saggezza stessa, perché essa è accettazione<br />
della vita, amor fati. F.C.<br />
Nietzsche alla ribalta<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Friedrich Nietzsche<br />
nel mondo anglosassone<br />
L’interesse che il pensiero nietzscheano<br />
sta riscuotendo nei paesi anglosassoni<br />
sorprende non solo gli studiosi<br />
europei, ma lo stesso mondo intellettuale<br />
di quei paesi. Colpisce innanzitutto<br />
la quantità degli studi sul pensiero<br />
di Nietzsche apparsi tra il 1990<br />
ed il 1991 presso le maggiori case<br />
editrici inglesi e americane. Dare una<br />
spiegazione esauriente di questo fenomeno<br />
é cosa complessa; certamente<br />
si può dire che con queste pubblicazioni<br />
gli studi su Nietzsche nella cultura<br />
anglo-americana hanno raggiunto<br />
una maturità in grado di riconoscere<br />
in questo filosofo un pensatore di eccezionale<br />
importanza, sottraendolo all’abbraccio<br />
soffocante del “nuovo<br />
Nietzsche decostruzionista”, sia al severo<br />
giudizio della filosofia analitica.<br />
Lo studio di Robert John Ackerman,<br />
Nietzsche: a frenzied look (Nietzsche: uno<br />
sguardo amichevole, University of Massachusetts<br />
Press, Amherst 1990), è il frutto di<br />
anni di riflessioni e di insegnamento. La<br />
sua discussione poco sistematica del filosofo<br />
non ha come scopo di descrivere ciò<br />
che Nietzsche è stato o ha detto, ma di<br />
fornire delle risposte alle problematiche<br />
nietzschiane, mettendo in evidenza il proprio<br />
punto di vista. I limiti di una tale lettura<br />
vengono d’altra parte sollevati dallo stesso<br />
Ackerman nell’introduzione.<br />
Al Nietzsche degli anni de La nascita della<br />
tragedia (1872) è dedicato il libro di John<br />
Sallis, Crossings: Nietzsche and the space<br />
of tragedy (Passaggi: Nietzsche e lo spazio<br />
della tragedia, University of Chicago Press,<br />
Chicago 1991). Utilizzando spesso un gergo<br />
heideggeriano-derridiano - in genere<br />
mal sopportato dai lettori anglo-americani<br />
- Sallis critica l’idea semplicistica e comunemente<br />
accettata secondo cui la prima<br />
filosofia nietzscheana è quasi interamente<br />
debitrice del pensiero di Schopenhauer.<br />
Mettendo in evidenza i testi greci su cui<br />
presumibilmente Nietzsche studiò, in particolare<br />
Euripide, Sallis riesce a fornire una<br />
interpretazione alternativa.<br />
In Nietzsche and the question of interpretation:<br />
between hermeneutics and decon
struction (Nietzsche e il problema dell’interpretazione:<br />
tra ermeneutica e decostruzione,<br />
Routledge, London 1990) Alan D.<br />
Schrift cerca di trovare un punto di unione<br />
tra l’interpretazione di Nietzsche avanzata<br />
da Heidegger e quella fornita da differenti<br />
pensatori contemporanei francesi, fra cui<br />
Derrida. Pur restringendo la sua attenzione<br />
solo a una parte dei pensatori implicati,<br />
Schrift affronta questo difficile compito in<br />
maniera lodevole, mentre la lettura che egli<br />
propone di Nietzsche, improntata a un pluralismo<br />
interpretativo, in cui l’attenzione<br />
filologica è congiunta a uno sviluppo della<br />
nostra capacità di interpretazione creativa,<br />
appare meno incisiva e non sufficentemente<br />
articolata. Un’alternativa più radicale al<br />
Nietzsche decostruzionista per quanto riguarda<br />
il problema della verità, della conoscenza<br />
e della filosofia sembra essere quella<br />
offerta da Maudemarie Clark in<br />
Nietzsche on truth and philosophy<br />
(Nietzsche, sulla verità e sulla filosofia,<br />
Cambridge University Press, Cambridge<br />
1991). Secondo l’autrice, la negazione della<br />
possibilità della conoscenza e il rifiuto<br />
del vero, che caratterizzano il primo pensiero<br />
di Nietzsche, sono dovuti in particolare<br />
all’idea dell’esistenza della cosa in sé<br />
e al modello rappresentazionale della percezione<br />
ad essa associato, di cui egli inizialmente<br />
era prigioniero. Una volta liberatosi<br />
da questi legami, Nietzsche riesce però<br />
a ripensare in maniera significante il vero e<br />
la conoscenza. Clark interpreta questo passaggio<br />
non come una ricaduta in una posizione<br />
pre-nichilistica, ma come un superamento<br />
del nichilismo, che permette a<br />
Nietzsche di sviluppare una posizione che<br />
si potrebbe dire “neo-kantiana”. Pertanto<br />
l’esito del pensiero nietzscheano non condurrebbe<br />
verso la dissoluzione del concetto<br />
di vero e di conoscenza, ma al contrario ad<br />
una nuova vita di questi due concetti. Ciò<br />
tuttavia non è sufficiente, fa notare Clark,<br />
per affermare una rinascita della metafisica<br />
sotto gli auspici nietzscheani.<br />
Alistair Moles, nel suo Nietzsche’s<br />
philosophy of nature and cosmology (La<br />
filosofia della natura e la cosmologia di<br />
Nietzsche, Lang, New York 1989), cerca di<br />
chiarire l’interpretazione della vita e del<br />
mondo, quale emerge sia negli scritti pubblicati,<br />
che in quelli non pubblicati di<br />
Nietzsche. Ne scaturisce una sorta di filosofia<br />
della natura e di cosmologia caratterizzata<br />
da un intento che oltrepassa quello<br />
scientifico. Con essa Nietzsche non solo<br />
critica l’interpretazione tradizionale della<br />
vita e del mondo, ma esprime anche una sua<br />
propria opinione su questi concetti, tanto<br />
che il libro di Moles può essere considerato<br />
uno dei più profondi tentativi apparsi fino<br />
ad oggi di chiarire che cosa Nietzsche abbia<br />
voluto affermare su questi argomenti, demolendo<br />
in maniera pressoché definitiva<br />
quell’interpretazione semplicistica che attribuiva<br />
a Nietzsche la caratterizzazione<br />
della vita e del mondo esclusivamente in<br />
termini di volontà di potenza. Un approccio<br />
completamente diverso é invece quello<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
adottato da Henry Staten nel suo<br />
Nietzsche’s voice (La voce di Nietzsche,<br />
Cornell University Press, Ithaca/NY 1990),<br />
in cui si tenta di dare un’interpretazione<br />
psicoanaliticamente orientata dei testi nietzschiani.<br />
Un’operazione questa giustificata<br />
in parte dal fatto che Nietzsche stesso<br />
utilizzò frequentemente “letture psicologiche”<br />
di altri filosofi.<br />
Within Nietzsche’s labyrinth (Nel labirinti<br />
di Nietzsche, Ruotledge, London 1990) di<br />
Alan White 6 uno dei libri più complessi.<br />
White appare come il lettore e l’interlocutore<br />
ideale di Nietzsche, soprattutto se lo si<br />
considera come un sostenitore dell’elemento<br />
dionisiaco della filosofia nietzscheana.<br />
Le teorie di Nietzsche sulla tragedia e la sua<br />
concezione genealogica sono seguite da<br />
un’estesa riflessione sulla resurrezione dell’anima<br />
di Zarathustra; una sezione finale<br />
del libro considera questa interpretazione<br />
in rapporto alla comprensione della concezione<br />
nietzscheana della vita umana. In<br />
connessione con l’impostazione interpratativa<br />
di White si può collocare lo studio di<br />
Leslie Paul Thiele, Friedrich Nietzsche<br />
and the politics of the soul: a study of<br />
heroic individualism (F. Nietzsche e la<br />
politica dell’anima: uno studio di individualismo<br />
eroico, Princeton University<br />
Press, 1990), che aggiunge alle considerazioni<br />
sulla rivalutazione del genere umano<br />
un’analisi dei vari tipi umani, su cui<br />
Nietzsche ha posto la sua attenzione: il<br />
filosofo, l’artista, il santo, l’eremita, il super-uomo.<br />
Tutta questa interpretazione soggiace<br />
però alla semplicistica assunzione<br />
come idea guida dell’individualismo eroico.<br />
Infine la discussione sul valore, sull’etica,<br />
sulla politica e sulla loro reciproca<br />
connessione, sviluppata da Lester H. Hunt<br />
nel suo Nietzsche and the origin of virtue<br />
(Nietzsche e l’origine della virtù, Routledge,<br />
London 1991), è un tentativo di considerare<br />
che cosa abbia prodotto in Nietzsche<br />
l’immoralismo e la rivalutazione dei valori,<br />
con cui il filosofo non ha voluto semplicemente<br />
criticare i luoghi comuni circa la<br />
morte e i valori, ma mostrare la strada per<br />
una riorientazione della teoria morale e<br />
politica secondo una concezione del valore<br />
e della virtù, svincolata da un pensiero antinaturalistico.<br />
V.R.<br />
Il dibattito sul libero arbitrio<br />
Nel mondo anglo-sassone il dibattito<br />
sul libero arbitrio ha sempre suscitato<br />
grande interesse, forse anche a causa<br />
della sua associazione con ciò che può<br />
essere definito come la “speranza della<br />
nostra vita”, cioé la nostra propensione<br />
a considerarci come unici responsabili<br />
del nostro carattere e delle<br />
nostre scelte, piuttosto che vittime<br />
della natura, del destino o di altro che<br />
sia, incluso Dio. A partire circa dal<br />
1980 si può constatare un’ulteriore<br />
rinascita di questo dibattito, che vede<br />
la recente pubblicazione di una serie<br />
di studi sul tema: Free will and the<br />
christian faith (Il libero volere e<br />
la fede cristiana, Clarendon, Oxford<br />
1991), di W. S. Anglin; The dilemma<br />
of freedom and foreknowledge (Il<br />
dilemma della libertà e della preconoscenza,<br />
Oxford University Press,<br />
Oxford 1991), di Linda Trinkaus<br />
Zagzebski; The non-reality of free<br />
will (La non-realtà del libero volere,<br />
Oxford University Press, Oxford 1990),<br />
di Richard Double; Freedom within<br />
reason (La libertà nella ragione,<br />
Oxford University Press, Oxford 1990),<br />
di Susan Wolf. Altri saggi affrontano<br />
invece le radici del problema, analizzando<br />
per esempio il concetto di libertà<br />
in filosofi come Kant, quasi per operare<br />
una sorta di legittimazione del<br />
dibattito. E’ il caso dell’opera di Henry<br />
E. Allison, Kant’s theory of freedom<br />
(La teoria della libertà di Kant,<br />
Cambridge University Press,<br />
Cambridge 1990).<br />
In Free will and the Christian faith, W. S.<br />
Anglin afferma che la speranza dell’uomo<br />
di sentirsi padrone della propria vita, può<br />
essere raggiunta solo se si possiede un<br />
libero arbitrio, una capacità di scegliere i<br />
valori e i propri scopi indipendentemente<br />
da ogni determinismo. Una tale concezione<br />
della libertà umana può conciliarsi con<br />
l’ortodossa dottrina cristiana dell’onnipotenza,<br />
onniscienza e bontà di Dio, apportando<br />
un contributo interessante al dibattito<br />
sul problema cristiano del male, dell’immortalità<br />
e della rivelazione. A differenza<br />
di molti altri filosofi, Anglin non elimina<br />
gli argomenti più deboli a favore del libero<br />
arbitrio, proponendo una completa ed informata<br />
visione delle recenti controversie<br />
su questo tema. Linda Trinkaus Zagzebski<br />
mostra invece diffidenza nell’appellarsi all’argomento<br />
della causazione e una certa<br />
ritrosia nel risolvere l’apparente conflitto<br />
tra la pre-conoscenza divina e la libertà<br />
umana. Zagzebski analizza criticamente le<br />
tre soluzioni tradizionali di questo dilemma,<br />
quella dovuta a Boezio, a Ockham, e<br />
alla scolastica spagnola del sedicesimo secolo,<br />
in particolare a Luis de Molina. A<br />
queste soluzioni, Zagzebski oppone tre argomentazioni<br />
alternative, che tuttavia non<br />
convincono pienamente, dato che ciascuna<br />
si appoggia ad assunzioni discutibili, non<br />
potendo ammettere, come soluzione del<br />
problema, un’impostazione che limiti la<br />
pre-conoscenza divina. In definitiva, sia<br />
Anglin, che Zagzebski affermano che l’idea<br />
di un libero volere, non deterministico<br />
e non causale, é necessaria per dare significato<br />
alla speranza della vita umana e al<br />
credo teistico. Ma essi pongono poca attenzione<br />
al problema centrale se il libero arbitrio,<br />
che in senso tradizionale é il fautore,<br />
sia attaccabile o intelligibile.<br />
In The non-reality of free will Richard<br />
Double affronta ogni teoria corrente con<br />
argomenti provocatori, spesso originali.
Egli afferma che le nostre idee di libero<br />
volere e di responsabilità morale sono un<br />
misto di fattori pragmatici, ideologici, convenzionali<br />
e psicologici, che non si basano<br />
su fatti oggettivi. Prendendo a prestito una<br />
terminologia propria della psicologia cognitiva,<br />
Double pensa che il concetto di<br />
libero arbitrio sia un concetto “esemplare”,<br />
il cui significato 6 determinato dai paradigmi<br />
applicati; inoltre esso possiede molteplici<br />
modelli contradittori, che non potendo<br />
essere conciliati tra loro inducono Double<br />
ad affermare la non realtà del libero volere.<br />
Come Double, anche Susan Wolf, in<br />
Freedom within reason, rifiuta l’interpretazione<br />
tradizionale dell’agire, criticando<br />
la teoria compatibilista, che cerca di armonizzare<br />
il libero volere con il determinismo.<br />
Difendendo essenzialmente un pluralismo<br />
normativo, Wolf afferma che un individuo<br />
6 responsabile unicamente se 6 in<br />
grado di formare le proprie azioni sulla<br />
base di ciò che è vero e buono; il che<br />
dovrebbe significare, non senza una certa<br />
ambiguità, che le persone sono moralmente<br />
responsabili solo se possiedono la capacità<br />
di agire giustamente per buoni motivi.<br />
«L’idea della libertà non potrà mai ammettere<br />
una piena comprensione» - sosteneva<br />
Kant - intendendo con ciò il fatto che la<br />
libertà, poiché richiede assenza di determinazione<br />
causale, non potrà mai essere spiegata.<br />
La nostra conoscenza è confinata agli<br />
oggetti dell’esperienza possibile, in quanto<br />
sottoposta al principio di causalità. Inoltre<br />
non possiamo nemmeno comprendere pienamente<br />
perché il concetto di causalità sia<br />
una categoria fondamentalmente implicita<br />
nei nostri giudizi, nella nostra rappresentazione<br />
delle cose. Cosí Henry Allison cerca<br />
di chiarire e difendere l’affermazione di<br />
Kant, secondo cui l’assenza della causalità<br />
è una condizione per l’esistenza dell’azione<br />
razionale e per la responsabilità morale.<br />
Per Kant l’individuo che agisce secondo<br />
ragione non agisce semplicemente per soddisfare<br />
i propri desideri, ma in quanto egli<br />
valuta se questi desideri siano degni o non<br />
degni di essere perseguiti. Tuttavia questo<br />
atto di valutazione, osserva Allison, non<br />
deve essere pensato come una conseguenza<br />
causale dei desideri dell’individuo. Questa<br />
nozione di valutazione non-causale é il<br />
cuore di molti argomenti kantiani sul rapporto<br />
tra libertà, razionalità e morale.<br />
Anche all’interno della teoria dell’idealismo<br />
trascendentale Allison tenta di salvare<br />
la concezione della libertà di Kant, ma<br />
travalica il pensiero kantiano, non rimanendogli<br />
fedele. L’idealismo trascendentale,<br />
sostiene Allison, può essere interpretato<br />
in due differenti maniere: la prima<br />
concepisce il mondo delle cose in sé e<br />
quello delle apparenze come due mondi<br />
separati; la seconda considera l’esistenza<br />
di un solo mondo, giudicato in due maniere<br />
differenti, o come concepito da noi, soggetto<br />
dunque a una connessione spaziotemporale<br />
o causale, o come indipendente<br />
da queste condizioni implicite nell’esperienza<br />
umana. Per Allison, la prima inter-<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
pretazione toglie valore alla libertà, rendendola<br />
inaccessibile e senza rilevanza rispetto<br />
al mondo in cui noi viviamo, mentre<br />
la seconda implica la possibilità dell’esistenza<br />
di un duplice problema della libertà.<br />
V.R.<br />
Ritorno alla Grecia<br />
Che significato ha per i moderni il<br />
culto degli antichi dei greci? E’ questo<br />
il tema comune sotto il quale possono<br />
essere riassunte tendenze di pensiero<br />
per molti aspetti diverse, come quelle<br />
sviluppate da Friedrich Otto, James<br />
Hillmann e Hans Blumenberg. Per tutti<br />
questi autori, in ogni caso, quello<br />
greco è un “paesaggio dell’anima”,<br />
condizione ontologico-esistenziale ineludibile.<br />
Walter Otto sta recentemente<br />
conoscendo in Italia, dopo le<br />
prime traduzioni degli anni Quaranta,<br />
una notevole attenzione editoriale: alla<br />
traduzione italiana, cinquantasette<br />
anni dopo la sua comparsa in Germania,<br />
di Dioniso. Mito e culto<br />
(traduzione di Albina Ferretti Calenda<br />
Il Melangolo, Genova 1990), fa seguito<br />
quella de Il poeta e gli antichi<br />
dei (traduzione di Monica Ferrando,<br />
introduzione di Gianni Carchia, Guida,<br />
Napoli 1991). Di James Hillmann, invece,<br />
è da segnalare Vana fuga dagli<br />
Dei (traduzione di Adrian a Bottini<br />
Adelphi, Milano 1991), mentre di<br />
Hans Blumenberg, la sua voluminosa<br />
Elaborazione del mito (a cura di<br />
Bruno Argenton, introduzione di<br />
Gianni Carchia, Il Mulino, Bologna<br />
1991).<br />
Per Walter Friedrich Otto, filologo classico<br />
e storico delle religioni, la comprensione<br />
della breve stagione storica della<br />
religiosità degli antichi Greci è la chiave<br />
indispensabile per quella della modernità.<br />
Non si tratta solo di trovare - come in fondo<br />
è per Hillmann - in questa o quella figura<br />
della costellazione religiosa o mitologica<br />
greca, un archetipo mentale o psichico sovrastorico;<br />
né, tantomeno, “scientificamente”,<br />
cioè razionalisticamente e positivisticamente,<br />
di ridurre quella greca e, in genere,<br />
tutte le forme di religiosità, a produzione<br />
storica legata a uno stadio “infantile”<br />
dell’umanità. A parere di Otto è la forma di<br />
religiosità greca nel suo complesso, la sua<br />
peculiare concezione del sacro, a costituirsi<br />
per noi come problema, tanto nella sua<br />
presenza, quanto nella rimozione, vera o<br />
apparente, subita da questa concezione ad<br />
opera del cristianesimo e della scienza moderna.<br />
Quando Otto prende in considerazione<br />
una figura particolare dell’universo<br />
mitologico greco, lo fa perché ritiene che in<br />
essa emergano i caratteri salienti di questo<br />
universo nel suo complesso. E’ il caso dello<br />
studio su Dioniso, in cui Otto tematizza la<br />
questione della dimensione greca del sa-<br />
cro. Un testo ormai “classico”, rappresentativo<br />
di una prospettiva di ricerca nel campo<br />
dell’antichistica che si impose in Germania<br />
negli anni Venti e Trenta; si ricordi<br />
almeno, a questo proposito, Karl<br />
Reinhardt, del quale è stato recentemente<br />
tradotto lo studio su Sofocle (Il Melangolo,<br />
Genova 1990).<br />
Gli approcci etnologici, antropologici al<br />
problema del sacro, per il solo fatto appunto<br />
di essere “logici”, cioè “scientifici”, non<br />
colgono il segno del problema e si rendono<br />
perciò responsabili dell’”oblio del sacro”.<br />
Il libro di Otto vuole essere dunque innanzitutto<br />
una difesa della “specificità del sacro”<br />
contro ogni impostazione positivistica,<br />
ma anche, difesa della specificità del<br />
sacro in Grecia: lo “spirito greco”, radice<br />
della cultura occidentale, è un prodotto<br />
unico, irripetibile. Il mito e il rito sono ciò<br />
da cui traluce la “profondità” del divino<br />
greco, che nel culto di Dioniso manifesta le<br />
sue caratteristiche essenziali.<br />
Ne Il poeta e gli antichi dei, Otto mette più<br />
direttamente a fuoco il problema, impostosi<br />
soprattutto a partire dal neoclassicismo,<br />
del valore della grecità per l’uomo moderno.<br />
Goethe e Hölderlin sono le due figure<br />
che mettono fine all’illusione, già propria<br />
dell’età romana, di quella rinascimentale e<br />
di gran parte del neoclassicismo, della possibilità<br />
di un recupero storico delle forme<br />
della grecità. Con Goethe e con Hölderlin,<br />
a parere di Otto, prende forma la dimensione<br />
tragica dell’esistenza: la “scoperta” dello<br />
scarto irriducibile che, con l’avvento del<br />
Cristianesimo, separa i moderni dai Greci.<br />
Dopo il Cristianesimo, solo attraverso la<br />
mediazione della religiosità greca l’uomo<br />
moderno può rapportarsi alla grecità. Per<br />
Goethe e Hölderlin è anzitutto il poeta che<br />
è chiamato a questa mediazione: l’attività<br />
che si esplica nel poiein accomuna, infatti,<br />
questa figura alla dimensione della religiosità<br />
mitologica greca.<br />
Per James Hillmann, psicologo di formazione<br />
junghiana, quello della religiosità<br />
mitologica dell’antica Grecia è, invece,<br />
“paesaggio dell’anima”, nel senso che i<br />
suoi elementi sono “archetipi dell’inconscio<br />
collettivo”. Per questo ogni fuga dagli<br />
dei è “vana”; essi abitano da sempre in noi<br />
e proprio nella malattia la loro presenza<br />
diviene evidente. La Grecia è allora la<br />
regione della nostra “storia immaginale”:<br />
un’espressione questa con cui Hillmann<br />
sottolinea l’aspetto di “datità” delle figure<br />
psichiche, degli archetipi, rispetto all’aspetto<br />
attivo del soggetto immaginante.<br />
Quasi paradossalmente, per Hillmann la<br />
malattia mentale ha un carattere “divino”:<br />
basterebbe rovesciare il senso di questa<br />
affermazione, per riconoscere alla follia<br />
un’origine non esogena, ma radicalmente,<br />
profondamente umana, e perciò terapizzabile.<br />
Vana fuga dagli dei raccoglie due conferenze;<br />
esaminando tre casi clinici di paranoia,<br />
la follia paranoide, la credenza religiosa<br />
e, addirittura, la ricerca filologica,<br />
qualora questa pretenda positivisticamente
di esaurire il senso del mito, Hillmann ne<br />
rintraccia la radice comune nella fede per la<br />
“lettera” della manifestazione divina e nel<br />
rifiuto della dimensione misterica. Alla “fanìa”<br />
del divino si richiede che diventi “illuminazione”,<br />
cioè che si dia con i caratteri<br />
della totalità, univoca e universale. Il ricorso<br />
a Ermes, dio dell’interpretazione e dell’ironia,<br />
come riconoscimento della distanza<br />
fra la “lettera” della manifestazione del<br />
divino e il suo senso, è il rimedio che<br />
Hillmann propone, sul piano individuale,<br />
per la follia paranoide e per le sue forme;<br />
sul piano sociale ciò corrisponde al riconoscimento<br />
del carattere ambiguo della rivelazione,<br />
e di quello ermeneutico, non univoco,<br />
della sua comprensione.<br />
Ciò che accomuna l’impostazione di Hans<br />
Blumenberg a quelle di Otto e Hillmann è<br />
il rifiuto di considerare il mito come un<br />
comodo strumento per rivestire conoscenze<br />
razionali, una sorta di “banca iconografica”,<br />
da affiancare alle indagini dell’inteletto,<br />
o da utilizzare come decorazione di<br />
esperienze estetiche. “Elaborazione del mito”<br />
è anzitutto, in un senso del tutto particolare,<br />
il nisus conoscitivo del mito stesso,<br />
che per questo aspetto viene avvicinato allo<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Trittico Ludovisi: Nascita di Afrodite, 470-450 circa (Roma, Museo Nazionale)<br />
sguardo teoretico, come tentativo d’interpretazione<br />
del reale attraverso una sua “elaborazione”.<br />
Di qui la continuità e la convivenza<br />
di mythos e logos, che non significa<br />
affatto un dissolversi del primo nel secondo.<br />
Al di fuori di qualsiasi impostazione<br />
ingenuamente illuminista, come ribadisce<br />
Gianni Carchia nell’Introduzione all’opera<br />
di Blumenberg, il mito non è qui un<br />
“accecamento della coscienza”, che precede<br />
il rischiaramento della ragione, ma un-<br />
’esperienza affatto peculiare del reale, che<br />
si pone al di là della scissione tra soggetto,<br />
spazio e tempo, all’interno dei quali il mito<br />
si muove, incontra gli oggetti costituiti<br />
come tali, li conosce, li utilizza; il debito di<br />
Blumenberg nei confronti di Heidegger è<br />
in tal senso evidente.<br />
Estranea all’esperienza mitica è dunque la<br />
nozione stessa di “processo”: se la riflessione<br />
filosofica, e la sua storia, si svolgono<br />
come un succedersi di figure, il “ragionare”<br />
mitico “procede” per sovrapposizioni e continui<br />
“riempimenti di senso” delle situazioni<br />
che esperisce. L’impostazione teorica<br />
blumenbergiana è stata per questo interpretata<br />
come una sorta di “metaforologia”.<br />
Non c’è in questo, nota Carchia, alcun culto<br />
dell’arcaico: il paradigma conoscitivo blumenberghiano<br />
è quello ermeneutico e la<br />
produttività storica del mito passa attraverso<br />
una continua opera di risemantizzazione.<br />
Ciò d’altra parte non significa che il<br />
mito proponga una costellazione di archetipi,<br />
con la contrapposizione tra processualità<br />
del divenire temporale e immodificabilità<br />
del divenire mitico. Blumenberg stesso,<br />
come ricorda Carchia, prende le distanze<br />
da un possibile accostamento a Otto,<br />
chiarendo che la propria nozione di<br />
Zeitindifferenz è tutt’altra cosa dalla<br />
Zeitlosigkeit, con cui si vuole caratterizzare<br />
ciò che è “sovratemporale”, eterno.<br />
Dal punto di vista dell’indagine teorica, in<br />
effetti, il tentativo di lettura del reale condotto<br />
dal mito si qualifica come uno scacco,<br />
come logica dell’inspiegabilità; anche<br />
qui è evidente l’influenza di Heidegger. La<br />
“spiegazione” mitica è tanto poco una spiegazione,<br />
frutto di una “ricerca”, di un’indagine,<br />
che all’ideale conoscitivo di rendere<br />
trasparente il proprio oggetto con l’illuminazione<br />
della ragione, il mito oppone l’oscura<br />
alterità di ciò che è originario. Per<br />
l’indagine storica i “fatti” narrati dai miti<br />
non possono che sprofondare nell’oblio.
F. C.<br />
Trasformazione<br />
delle scienze dello spirito<br />
In due libri recentemente pubblicati in<br />
Germania viene discusso il problema<br />
del significato filosofico, gnoseologico<br />
ed epistemologico delle ‘Geisteswissenschaften’<br />
(scienze dello spirito).<br />
Si tratta del volume collettivo<br />
Geisteswissenschaften heute<br />
(Scienze dello spirito oggi, Suhrkamp,<br />
Frankfurt a.M. 1991) e dell’opera di G.<br />
Scholtz, Zwischen Wissenschaftsa<br />
n s p r u c h u n d<br />
Orientierungsbedürfnis. Zu<br />
Grundlage und Wandel der<br />
Geisteswissens-chaften (Tra esigenza<br />
di scientificità e bisogno di orientamento.<br />
Sul fondamento e sulla<br />
trasformazione delle scienze dello spirito”,<br />
Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1991).<br />
La raccolta di studi: Geisteswissenschaften<br />
heute - che ha come sottotitolo “un memoriale”<br />
- è una sorta di bilancio conclusivo di<br />
un progetto di ricerca sull’attuale situazione<br />
delle scienze dello spirito, realizzato<br />
presso l’università di Costanza con lo scopo<br />
di fare il punto sulle prospettive di<br />
ricerca nell’ambito delle scienze dello spirito<br />
dal punto di vista della storia della<br />
scienza, dell’epistemologia e della teoria<br />
della conoscenza. Nel suo contributo<br />
Jürgen Mittelstrass affronta la questione<br />
della possibilità di un sistema unitario delle<br />
scienze, in cui anche le scienze dello spirito<br />
troverebbero una loro collocazione. Nelle<br />
condizioni della scienza moderna, che riconosce<br />
una pluralità di livelli di realtà e di<br />
modelli epistemologici, il concetto di un<br />
sistema delle scienze va inteso come un<br />
concetto regolativo, da utilizzarsi criticamente<br />
e costruttivamente contro le tendenze<br />
delle diverse discipline alla particolarizzazione.<br />
Per definire l’ambito delle scienze<br />
dello spirito Mittelstrass utilizza l’espressione<br />
- già neo-kantiana - di scienze della<br />
cultura (Kulturwissenschaften): queste avrebbero<br />
per oggetto la cultura come «insieme<br />
del lavoro umano e delle forme di<br />
vita», ”la forma culturale del mondo”, e<br />
con ciò avrebbero la possibilità di annoverare<br />
tra i loro oggetti anche le scienze della<br />
natura, in quanto espressione di una determinata<br />
forma culturale. Hans Robert Jauss<br />
affronta invece il problema del ruolo delle<br />
scienze dello spirito in rapporto al dialogo<br />
tra le diverse discipline e allo sviluppo di<br />
una cultura scientifica, individuando una<br />
loro triplice funzione: interdisciplinare, integrativa<br />
e dialogica.<br />
Wolfgang Frühwald individua la base storica<br />
di alcuni sviluppi errati dell’università<br />
moderna nella contrapposizione, che ha<br />
origine nel secolo XIX, tra formazione<br />
culturale linguistico-umanistica e politecnica.<br />
A questo riguardo egli considera le<br />
scienze dello spirito come «scienze formatrici,<br />
produttrici di illuminismo (aufklärende),<br />
che agiscono come una barriera contro<br />
TENDENZE E DIBATTITI<br />
le tendenze del nostro tempo alla rimitizzazione<br />
e come elemento integrale<br />
della riflessione della scienza su se stessa».<br />
Per quanto riguarda l’antico problema del<br />
rapporto tra scienze della natura e dello<br />
spirito, Reinhart Koselleck prende spunto<br />
dal fatto che nella prassi della ricerca i<br />
confini tra questi due gruppi di scienze<br />
vengono costantemente trasgrediti. Da un<br />
lato vengono messe in luce le specializzazioni<br />
metodiche delle scienze, che rinviano<br />
a comunanze teoretiche di fondo, senza<br />
le quali non sarebbero possibili i progressi<br />
negli ambiti particolari della ricerca; dall’altro<br />
vengono delineate le trasformazioni<br />
del concetto di “spirito” (Geist) dall’epoca<br />
dell’idealismo tedesco fino all’attuale epoca<br />
scientifica. Le scienze dello spirito riducono<br />
il concetto di Geist, tramite un processo<br />
iniziato con la filosofia neo-kantiana,<br />
ad un ambito di operazioni soggettive della<br />
conoscenza; tuttavia in questo processo<br />
non si perdono le esigenze di unità sistematica<br />
che nel concetto di Geist erano implicite,<br />
in quanto ad esso subentrano altri<br />
concetti, come ad esempio quelli di “vita”<br />
e di “cultura”.<br />
Infine Burkhart Steinwachs si chiede fino<br />
a che punto le trasformazioni del mondo<br />
della comunicazione attraverso i mass-media<br />
coinvolgano le scienze dello spirito,<br />
individuando al proposito tre punti centrali:<br />
i media diventano mezzi di comunicazione<br />
e di trasmissione del sapere delle<br />
scienze dello spirito; trasformano il ruolo<br />
dei mezzi tradizionali di trasmissione del<br />
sapere e con ciò modificano il rapporto<br />
delle scienze umane con la dimensione<br />
pubblica; offrono alla ricerca di queste<br />
scienze nuovi ambiti oggettuali.<br />
Alcune delle tematiche discusse in<br />
Geisteswissenschaften heute ritornano nell’opera<br />
di Gunter Scholtz, come ad esempio<br />
il rapporto delle scienze dello spirito<br />
con la tradizione della filosofia classica<br />
tedesca (in particolare con la riflessione<br />
estetica dell’idealismo e con pensatori come<br />
Herder e Schopenhauer) ed il problema<br />
di una definizione delle Geisteswissenschaften<br />
in relazione alle scienze della<br />
natura, da una parte, alle Kultur- e<br />
Sozialwissenschaften (scienze sociali e della<br />
cultura), dall’altra. Il punto di partenza<br />
degli studi raccolti da Scholtz in questo<br />
volume è la discussione riapertasi recentemente<br />
- sia nell’ambito dell’ermeneutica e<br />
del pensiero post-moderno, sia in quello<br />
delle filosofie di matrice analitica - sulla<br />
funzione e sul ruolo delle scienze dello<br />
spirito nell’ambito del sapere umano. Il<br />
tentativo di Scholtz è di sottrarsi agli esiti<br />
negativi dello scetticismo per quanto riguarda<br />
sia le possibilità conoscitive delle<br />
scienze della natura, sia il carattere di scientificità<br />
delle scienze dello spirito.<br />
Particolare attenzione è dedicata da Scholtz<br />
alla determinazione del concetto di<br />
Geisteswissenschaften, che coincide qui<br />
con la determinazione dell’ambito e del<br />
compito di quelle che egli chiama anche<br />
Nichtnaturwissenschaften (non-scienze<br />
della natura): un problema questo che conduce<br />
alla discussione del rapporto di queste<br />
scienze con l’ambito della prassi sociale.<br />
Già Wilhelm Dilthey, che fu il primo a<br />
conferire al termine Geisteswissenschaften<br />
un significato sistematico (anche se l’espressione<br />
compare per la prima volta nella<br />
traduzione tedesca del System of logic di<br />
John Stuart Mill, per designare le “scienze<br />
morali”), sottolineava, nella sua Introduzione<br />
alle scienze dello spirito del 1883, il<br />
significato delle scienze dell’uomo e della<br />
storia per la prassi sociale. A questo riguardo<br />
Scholtz individua due tradizioni opposte:<br />
la prima pone l’accento sul significato<br />
etico e pratico di queste scienze<br />
(Schleiermacher, Gervinus, Troeltsch, J. S.<br />
Mill, Comte); la seconda le considera come<br />
scienze empiriche, strutturali o nomologiche<br />
della natura umana e della società. In<br />
entrambe le concezioni si ha per Scholtz<br />
una considerazione unilaterale dell’ambito<br />
e della funzione delle scienze dello spirito.<br />
E’ solo nel riconoscimento e nell’accettazione<br />
della tensione tra esigenza di scientificità<br />
e bisogno di un orientamento nella<br />
prassi vitale che risiede la natura più specifica<br />
di queste scienze. Attraverso questo<br />
riconoscimento si potranno evitare, secondo<br />
Scholtz, due opposti errori: quello per<br />
cui le scienze dello spirito diventano semplici<br />
“dottrine morali”, produttrici di “visioni<br />
del mondo” e di “ideologia”, e quello<br />
che le riduce ad un “positivismo privo di<br />
spirito”. M.M.
TENDENZE E DIBATTITI<br />
Pieter Bruegel, La Torre di Babele (1564)
Diverse lingue<br />
Prima traduzione italiana di un testo a<br />
cui la cultura occidentale degli ultimi<br />
centocinquanta anni ha ampiamento<br />
attinto, l’opera di Wilhelm vom<br />
Humboldt, La diversità delle lingue<br />
(a cura di Donatella Di Cesare,<br />
premessa di Tullio De Mauro, Laterza,<br />
Roma-Bari 1991), che segna l’inizio della<br />
moderna filosofia del linguaggio.<br />
L’opera di Maurice Olender, Le lingue<br />
del paradiso (Il Mulino, Bologna<br />
1991) è invece una ricostruzione<br />
critica della storia della linguistica “antropologica”,<br />
di quella, cioè, che partendo<br />
dalla diversità delle lingue muove<br />
a cercarne la radice nelle diversità<br />
religiose e culturali prima, razziali poi.<br />
Filosofo, non meno che linguista, Wilhelm<br />
von Humboldt ne La diversità delle lingue,<br />
uscita postuma nel 1836, indaga le<br />
radici antropologiche della varietà linguistica,<br />
considerata nella sua dimensione storica.<br />
Linguista, non meno che filosofo, come<br />
ricorda Tullio De Mauro, Humboldt<br />
compone il suo quadro d’insieme elaborando<br />
il patrimonio tecnico di nozioni linguistiche,<br />
accumulate da lui stesso e dai suoi<br />
contemporanei. Se l’analisi dei concreti<br />
fatti linguistici, soprattutto nei loro aspetti<br />
fonetici, occupa buona parte di questo lavoro,<br />
emerge però di continuo il vero obiettivo<br />
di Humboldt, che è anzitutto filosofico:<br />
dar conto della formazione del pensiero, o<br />
meglio, della differenza fra i modi di pensare<br />
e di vivere. Come sottolinea Donatella<br />
Di Cesare nell’Introduzione al testo, proprio<br />
al tentativo di essere sintesi di filosofia<br />
e ricerca linguistica empirica va ricondotta<br />
l’”inattualità” della prospettiva humboldtiana:<br />
accantonata dalla linguistica comparata,<br />
che sul modello delle scienze esatte<br />
tende a porsi come scienza del linguaggio,<br />
l’indagine di Humboldt si configura piuttosto<br />
come un’ermeneutica del linguaggio.<br />
Humboldt individua due possibili livelli di<br />
analisi del fenomeno linguistico, corrispondenti<br />
ai suoi due principi costitutivi: «la<br />
forma fonica e l’uso che ne viene fatto per<br />
designare gli oggetti e per connettere i<br />
pensieri». Il principio designativo riguarda<br />
le leggi generali che il pensiero impone al<br />
linguaggio; la forma fonica, invece, «è il<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
vero principio costitutivo e direttivo della<br />
diversità delle lingue». Il divaricarsi storico<br />
e geografico delle varie culture non ha<br />
dunque una radice esclusivamente linguistica,<br />
ma più propriamente mentale; in<br />
secondo luogo la lingua ha un’influenza<br />
diretta sul pensiero, non unicamente il contrario.<br />
La dimensione storica della ricerca<br />
humboldtiana consegue dalla definizione<br />
del linguaggio che in essa viene data: la<br />
lingua non è un’opera (ergon), ma un’attività<br />
(enérgheia). Nella prospettiva di<br />
Humboldt il carattere cinetico del divenire<br />
delle lingue si salda con il divenire dello<br />
spirito in un senso tanto specificatamente<br />
intellettuale - il pensiero si forma nel e con<br />
il linguaggio - quanto, in senso più lato,<br />
antropologico: l’essere del linguaggio è il<br />
divenire dello spirito, che si particolarizza<br />
e si individualizza nelle singole culture<br />
storiche. Humboldt ha esplicitamente rifiutato,<br />
a questo proposito, una gerarchia<br />
fra le culture e fra i popoli in funzione di<br />
una gerarchia fra le lingue, ma ha ipotizzato<br />
una distinzione fra le lingue stesse in<br />
base al loro maggiore o minore grado di<br />
avvicinamento alla “forma legale”, ovvero<br />
in base alla loro maggiore o minore capacità<br />
di raggiungere il proprio “scopo ultimo”,<br />
lo sviluppo dello spirito.<br />
Da una medesima identificazione tra spirito<br />
e linguaggio la linguistica ottocentesca<br />
muoveva di fatto i passi necessari verso<br />
l’individuazione di una contrapposizione<br />
non linguistica, ma spirituale e antropologica,<br />
tra Ariano ed Ebreo: questa la “coppia<br />
provvidenziale” che Maurice Olender affronta<br />
nella sua opera: Le lingue del paradiso.<br />
L’opposizione tra le due figure non<br />
rimanda, come nota Jean-Pierre Vernant<br />
nell’Introduzione al testo, a un equilibrio<br />
per cui l’Ebreo avrebbe dalla sua il monoteismo,<br />
ma sarebbe una figura statica, puramente<br />
autoconservativa, chiusa al progresso<br />
spirituale e ai valori della cristianità,<br />
mentre l’Ariano, al contrario, sarebbe<br />
una figura storica, dinamica, creativa, e<br />
proprio perciò progressiva.<br />
Muovendo dalla questione di quali fossero<br />
le “lingue del Paradiso” - così suonava il<br />
titolo di un’opera secentesca di Andreas<br />
Kempe - Olender ricostruisce una storia e<br />
una preistoria della linguistica prima del<br />
suo attuale statuto, quando essa, ancora<br />
prima di Humboldt, si collocava tra<br />
“mythos” e “logos”, tra filologia e mitologia.<br />
La dimensione dinamica, ovvero storica,<br />
costituisce il momento di continuità<br />
fra l’impostazione humboldtiana e le ricerche<br />
prese in esame da Olender, e si sviluppa<br />
attraverso due riferimenti, il “mito delle<br />
origini” e l’idea di una teodicea, cioè di una<br />
Provvidenza operante nella storia, che giustifica<br />
l’idea di progresso. Il “mito delle<br />
origini” determina l’indirizzo delle ricerche<br />
in due momenti successivi: la questione<br />
della “lingua del Paradiso” prima, e<br />
quella dell’origine delle lingue indoeuropee<br />
poi. Elemento di continuità fra i due<br />
momenti è d’altronde la dimensione antropologica,<br />
in cui la ricerca filologica viene<br />
collocata dal “mito delle origini”, dimensione<br />
ancora più evidente laddove più marcato,<br />
nel secondo momento, è l’incrocio<br />
con le tematiche religiose. Quando infatti<br />
si incomincia a pensare a una lingua diversa<br />
dall’ebraico come “lingua dell’origine”,<br />
quando si costituisce la “coppia provvidenziale”<br />
di ebraico e sanscrito - quella<br />
lingua che pure Humboldt considerava come<br />
la più vicina alla sua forma legale,<br />
ovvero la più adeguata al suo scopo ultimo,<br />
la manifestazione e il progresso dello spirito<br />
-, di cultura semita e cultura ariana, ciò<br />
avviene in considerazione dell’uno e dell’altro<br />
termine della coppia nel loro ruolo<br />
di matrici, l’una religiosa, l’altra culturale,<br />
del cristianesimo. E’ a questo punto che si<br />
fa luce l’idea di un progresso che rimanda<br />
alla teodicea e si costituisce come dualità<br />
ideologica il già ricordato dualismo fra una<br />
presunta caratterizzazione statica della cultura<br />
giudaica - che troverebbe riscontro<br />
nella lingua - e una caratterizzazione creativa<br />
di quella ariana. Gottfried Herder è<br />
una figura esemplare di questo momento<br />
di trapasso: l’idea di progresso si fonda in<br />
lui su quella di Provvidenza e si coniuga<br />
con quella dell’unità del genere umano,<br />
che si realizza nella storia come affermazione<br />
progressiva degli ideali della cristianità.<br />
Anche in lui si ritrova l’ambivalenza<br />
fondamentale riscontrata in Humboldt: se<br />
«capire l’umanità diventa l’arte di scoprire<br />
l’ordine divino inscritto nella Bibbia» -<br />
afferma Olender - allora «al limitare del<br />
suo cristianesimo il pluralismo culturale di<br />
Herder si trasforma in una storia delle<br />
religioni che non fa mistero delle sue priorità».
Come in molte delle figure prese in considerazione<br />
da Olender il rifiuto di un uso<br />
“razzista” della nozione di “razza” e di<br />
antisemitismo va di pari passo con valutazioni<br />
negative, seppur limitatamente a talune<br />
razze “in quanto tali” e alla “cultura<br />
giudaica”. L’ultima parola, quella più importante<br />
e più coerente dal punto di vista<br />
teoretico, finisce per essere non l’opposizione,<br />
pure apertamente professata, a ogni<br />
forma di classificazione e discriminazione<br />
razziale, ma la gerarchia dei valori che<br />
nella filosofia della storia si accompagna e<br />
fonda le scelte lato sensu ideologiche.<br />
Humboldt ed Herder sono per questo problema<br />
cruciale figure paradigmatiche. L’atto<br />
valutativo connesso a una qualunque<br />
filosofia della storia si scontra con la necessità<br />
di considerare anzitutto iuxta propria<br />
principia le singole culture storiche, e poi<br />
di considerarle effettivamente in quanto<br />
tali, cioè nella loro determinazione storica,<br />
in modo il più possibile scevro da ipoteche<br />
ideologiche. Come osserva Jacques Le<br />
Goff, in un’ampia recensione del testo di<br />
Olender, si potrebbe pensare alla storia<br />
come antidoto a questa filologia culturale<br />
a-storica e ideologica, infiltrata dal razzismo.<br />
A prescindere però dal fatto che,<br />
come ammette Le Goff stesso, la storia<br />
stessa non è certo stata esente da manipola-<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
zioni, e il dibattito sul suo statuto epistemologico<br />
è quantomai aperto, occorre chiedersi<br />
fino a che punto, fatta la scelta di<br />
elaborare non una ricostruzione di tipo<br />
etnologico, ma una filosofia della storia<br />
che si fonda necessariamente su un’assiologia,<br />
non sia una scelta altrettanto “ideologica”<br />
quella di considerare iuxta propria<br />
principia ciascuna cultura storica, piuttosto<br />
che inserirla in un processo in cui essa<br />
è solo “momento”. F.C.<br />
Maimonide e la cabala<br />
L’opera di Mosheh ben Maimôn, più<br />
noto con il nome di Mosè Maimonide,<br />
è al centro delle interessanti analisi di<br />
due studiosi francesi: Moshe Idel, autore<br />
di Maimonide et la mystique<br />
juive (Maimonide e la mistica ebraica,<br />
Cerf, Parigi 1991), e Jean Robelin<br />
con il suo Maimonide et le langage<br />
religieux (Maimonide e il linguaggio<br />
religioso, PUF, Parigi 1991).<br />
Mosè Maimonide è senz’altro una delle<br />
figure di primo piano nella storia della<br />
cultura ebraica. La sua opera di rinnovamento<br />
della tradizione filosofica cabalisti-<br />
Marc Chagall, I cancelli del cimitero, (1917)<br />
ca trova la sua espressione più significativa<br />
nella Guida dei perplessi (1170), testo complesso<br />
e di ricchissima erudizione, dove<br />
sono sintetizzate le diverse matrici culturali<br />
della filosofia maimonidea: la tradizione<br />
ebraica, quella araba e quella di ascendenza<br />
aristotelica. Proprio nel solco dell’aristotelismo<br />
procede il discorso del filosofo di<br />
Cordoba che intende interpretare la rivelazione<br />
religiosa attraverso una rigorosa dimostrazione<br />
filosofica.<br />
Il programma dottrinale di Maimonide, proprio<br />
per il suo carattere razionale, era stato<br />
violentemente osteggiato da alcuni autorevoli<br />
rappresentanti della tradizione mistica<br />
e condannato come estraneo allo spirito<br />
autentico dell’ebraismo. Nella concezione<br />
di questi cabalisti, per i quali l’intuizione<br />
mistica rimaneva la sorgente unica ed autentica<br />
di tutto il pensiero religioso ebraico,<br />
il concetto e lo stesso procedimento razionale<br />
venivano stimati quali pallide rappresentazioni<br />
metaforiche delle verità contenute<br />
negli arcani della cabala. In questo<br />
quadro, come rivela Moshe Idel, c’è chi,<br />
attraverso un complicato lavoro esegetico,<br />
tenta invece di inscrivere l’opera di<br />
Maimonide all’interno della tradizione esoterica<br />
ebraica. Ciò che veniva messo in<br />
evidenza da certi cabalisti meno legati all’ortodossia,<br />
era un certo esoterismo della<br />
formulazione del discorso filosofico di<br />
Maimonide, che rimane tuttavia di natura<br />
razionalista. Idel segue lo svolgersi di questa<br />
disputa dottrinaria attorno all’opera di<br />
Maimonide, che verrà tradotta in latino col<br />
titolo di Ductor perplexorum (Guida dei<br />
perplessi) e mette in evidenza come, grazie<br />
al confronto su questo testo fondamentale,<br />
il pensiero ebraico si apre al colloquio con<br />
la cultura araba e con la filosofia scolastica.<br />
Lo studio di Jean Robelin prende invece in<br />
esame il progetto filosofico che sottende<br />
l’opera di Maimonide. Il primo passo di<br />
questa analisi è costituito dalla definizione<br />
di uno specifico linguaggio religioso.<br />
Robelin mostra poi come la razionalità<br />
religiosa costituisca il terreno di crescita<br />
del razionalismo maimonideo. Il saggio si<br />
conclude con una limpida analisi che prende<br />
in esame le apparenti contrazioni in seno<br />
al corpo dottrinario della religione ebraica,<br />
evidenziando come, per Maimonide, la<br />
Legge oscilli tra Storia ed Eternità. E.N.<br />
Una storia dello Strutturalismo<br />
La biografia critica di quello che è stato<br />
il riferimento metodologico e culturale<br />
di un decennio, i contestati anni<br />
Sessanta, viene pubblicata in Francia<br />
a cura di François Dosse col titolo:<br />
Histoire du Structuralisme, (Storia<br />
dello Strutturalismo, tomo I,<br />
Editions de la Découverte, Parigi 1991).<br />
Le matrici del metodo strutturalista sono da<br />
ricercarsi nella linguistica di Ferdinand<br />
de Saussure. Nel suo Corso di linguistica
generale (1913) lo studioso svizzero aveva<br />
osservato come il linguaggio funzioni secondo<br />
proprie ed autonome regole, mettendo<br />
in rilievo che il significato delle parole<br />
non viene soddisfatto dalla pura funzione<br />
definitoria delle stesse. Soltanto attraverso<br />
uno studio di carattere scientifico, che stabilisca<br />
le strutture del linguaggio, si può<br />
raggiungere quello che nel linguaggio è<br />
solamente evocato. «Non esiste struttura<br />
che non sia linguaggio, sia pure un linguaggio<br />
esoterico o non verbale» - scriverà<br />
Gilles Deleuze nel 1972.<br />
Questa struttura linguistica fondamentale<br />
sarà cercata da Claude Lévi-Strauss nell’ambito<br />
del mito, Jacques Lacan cercherà<br />
di definirla per quanto riguarda la psicoanalisi,<br />
Louis Althusser proverà a rinnovare<br />
il pensiero marxista attraverso il<br />
ricorso al concetto di struttura. Roland<br />
Barthes infine ne farà l’utensile critico<br />
fondamentale della sua analisi della letteratura.<br />
Sono questi - nel libro di François<br />
Dosse - i “quattro moschettieri” che, a metà<br />
degli anni Sessanta, irradiano a colpi di<br />
polemiche, ma soprattutto di scritti, il discorso<br />
strutturalista.<br />
D’impronta tipicamente francese, tanto da<br />
essere registrato come “French Criticism”<br />
nel mondo anglo-sassone, lo Strutturalismo<br />
si presenta come un programma di<br />
rinnovamento delle scienze umane, un metodo<br />
per sua natura indifferente agli ambiti<br />
di applicazione. La definizione più sintetica<br />
e aperta ci viene da Michel Serres:<br />
«Una struttura è un insieme operazionale a<br />
significazione indefinita, che raggruppa un<br />
numero qualsiasi di elementi di cui non<br />
viene specificato il contenuto, e di relazioni,<br />
in numero finito, senza specificarne la<br />
natura, ma di cui si definisce la funzione».<br />
Anche Dosse mette in rilievo la dimensione<br />
epistemologica del metodo strutturalista,<br />
rimarcando tuttavia il carattere ideologico<br />
che esso è venuto col tempo ad assumere.<br />
Forti del riconoscimento di un metodo<br />
che si voleva scientifico e che aveva<br />
scalzato la tradizione filosofica a vantaggio<br />
delle scienze umane, non pochi strutturalisti<br />
si sono lanciati nel progetto di una<br />
«scienza unitaria» che rendesse conto dell’intero<br />
universo umano. Sarebbe questo,<br />
secondo Dosse, il programma comune di<br />
una generazione di intellettuali: un progetto<br />
epistemologico globale che nascondeva<br />
un’ideologia antiumanistica di fondo, di<br />
cui è interprete conseguente Michel<br />
Foucault che, in Le parole e le cose, scrive:<br />
«non si può più pensare se non nel vuoto<br />
dell’uomo scomparso».<br />
Il primo volume della storia dello strutturalismo<br />
di Dosse si presenta così come un<br />
atto critico, che denuncia a sua volta un<br />
proprio progetto culturale: «Mettere in evidenza<br />
gli empasses dello Strutturalismo<br />
non deve significare una regressione all’età<br />
d’oro dei Lumi, ma al contrario un superamento<br />
verso un avvenire, quello della<br />
costituzione di un umanesimo storico». Non<br />
resta che attendere il secondo volume, annunciato<br />
per la primavera del’ 92. E.N.<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
Husserl<br />
Edmund Husserl é stato un filosofo<br />
estremamente prolifico e versatile, e<br />
proprio per la vastità dei temi trattati<br />
chiunque cerchi di proporre una valutazione<br />
comprensiva del suo lavoro si<br />
trova di fronte ad un compito assai<br />
arduo. Questo non sembra però spaventare<br />
David Bell, che nella sua monografia:<br />
Husserl (Routledge, London<br />
1990), muove da una brillante esposizione<br />
di uno dei primi lavori di Husserl,<br />
ormai quasi dimenticato, Filosofia<br />
dell’aritmetica (1891), procedendo<br />
poi, in modo illuminante, attraverso<br />
le difficili e frammentarie Ricerche<br />
logiche (1901). Ma quando si<br />
tratta di prendere in esame la riduzione<br />
fenomenologica introdotta da<br />
Husserl in Idee per una fenomenologia<br />
pura e per una filosofia<br />
fenomenologica (1913), sembra che<br />
Bell non riesca a cogliere il potere e la<br />
coerenza della matura posizione husserliana,<br />
né a capire la sua vulnerabilità<br />
rispetto alla critica elaborata da<br />
Heidegger.<br />
David Bell mette in evidenza come, dopo<br />
aver studiato filosofia a Vienna con<br />
Brentano, Edmund Husserl ne accetti il<br />
Edmund Husserl<br />
progetto di base, consistente nel fondare<br />
l’apparente certezza e universalità delle<br />
teorie astratte nella particolarità e incertezza<br />
dell’esperienza quotidiana. E’ quanto<br />
emerge dal tentativo husserliano di applicare<br />
l’approccio genetico-psicologico di<br />
Brentano alla fondazione della matematica<br />
in Filosofia dell’aritmetica. Nonostante<br />
Husserl non si ritenesse soddisfatto di questo<br />
suo lavoro, Bell fornisce una brillante<br />
difesa del proposito fondamentale del filosofo<br />
di considerare i concetti matematici<br />
come derivati da esperienze quotidiane. In<br />
questo Bell riconosce in Husserl l’atteggiamento<br />
proprio di un solipsista metodologico,<br />
secondo il quale la costituzione effettiva<br />
del mondo non implica alcuna differenza<br />
per gli stati mentali. D’altra parte un<br />
metodo di indagine che non si richiami ad<br />
altro che alla vita mentale individuale del<br />
soggetto, non costringe a negare, osserva<br />
Bell, che esistano delle entità oggettive.<br />
Un’altra concezione fondamentale che<br />
Husserl trae da Brentano è l’idea di “intenzionalità”,<br />
secondo cui la mente è essenzialmente<br />
caratterizzata dal suo “dirigersi”<br />
verso qualcosa. Questa spiegazione relazionale<br />
della mente fa tuttavia sorgere il<br />
problema della caratterizzazione di un oggetto<br />
non esistente (è noto l’esempio dell’unicorno),<br />
che rientra però nell’insieme<br />
di oggetti verso cui il pensiero può diriger-
si. Nelle Ricerche logiche Husserl avanza a<br />
questo proposito una soluzione a questo<br />
problema; egli infatti pur continuando a<br />
considerare l’intenzionalità come distintivo<br />
mentale, corregge la confusa nozione di<br />
oggetto intenzionale con la nozione di contenuto<br />
intenzionale, inteso come ciò che<br />
dirige la mente verso un oggetto più o meno<br />
esistente. A questo proposito Bell propone<br />
tuttavia un’interpretazione prettamente psicologica<br />
delle Ricerche, che mette in pericolo<br />
la sua stessa difesa degli argomenti<br />
husserliani contro quelli sollevati da Frege.<br />
Anche l’interpretazione di Bell del rapporto<br />
che lega le Ricerche alle Idee per una<br />
fenomenologia pura e per una filosofia<br />
fenomenologica è completamente differente<br />
da quella tradizionale e sembra effettivamente<br />
conseguenza di una posizione erronea.<br />
In effetti Bell non vede, nelle problematiche<br />
affrontate dai due testi, una continuità<br />
capace di dar conto dello sviluppo<br />
fenomenologico di Husserl verso un’analisi<br />
universale della coscienza. Ciò conduce<br />
Bell a confondere la riduzione trascendentale<br />
con ciò che Husserl chiama la “neutralizzazione”,<br />
o la limitazione della riflessione<br />
che coglie la nostra esperienza del mondo,<br />
quando non prendiamo una decisione<br />
sulla sua attualità o inattualità. Da questo<br />
fraintendimento segue anche l’incapacità<br />
di Bell di considerare adeguatamente la<br />
critica heideggeriana alle posizioni di<br />
Husserl, che dal punto di vista dell’agire<br />
quotidiano metteva in discussione che la<br />
mente fosse separabile dal mondo e diretta<br />
verso di esso esclusivamente attraverso il<br />
suo contenuto intenzionale. Una serie di<br />
fraintendimenti questi che, complice molto<br />
probabilmente il pragmatismo proprio della<br />
cultura anglo-americana, si ripercuotono<br />
nel giudizio conclusivo di Bell sull’opera<br />
di Husserl, la cui importanza risiederebbe<br />
nel fatto che la fenomenologia induce il<br />
filosofo ad abbandonare la filosofia trascendentale<br />
a favore della priorità della<br />
pratica quotidiana. V.R.<br />
La ripetizione di Kierkegaard<br />
Il 16 ottobre 1843 usciva nelle librerie<br />
di Copenhagen, ad opera di un certo<br />
Constantin Constantius, un singolare<br />
racconto a sfondo psicologico dal titolo:<br />
Gjentagelsen (La ripetizione).<br />
Quello stesso giorno veniva pubblicata<br />
un’altra opera del medesimo autore,<br />
Frygt og Baeven ,(Timore e<br />
tremore). La notorietà di quest’ultima<br />
svela il nome dell’autore che si nasconde<br />
sotto lo pseudonimo: si tratta<br />
di Sören Kierkegaard. Con il titolo: La<br />
ripetizione. Un esperimento psicologico<br />
(a cura di Dario Borso,<br />
Guerini e Associati, Milano 1991) è<br />
oggi disponibile in traduzione italiana<br />
la prima edizione critica di questo scritto<br />
pseudonimo di Kierkegaard.<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
“Libro bizzarro”, come lo definì lo stesso<br />
Sören Kierkegaard, La ripetizione tocca<br />
in verità alcuni nodi fondamentali della<br />
riflessione del pensatore danese, paludati<br />
sotto le spoglie del resoconto di un innamoramento<br />
di un fidanzamento e del definitivo<br />
abbandono da parte della ragazza. Il<br />
manoscritto kierkegaardiano, con le parti<br />
espunte, lascia intravedere, in modo ancora<br />
più esplicito di quanto non faccia il testo<br />
pubblicato, la presenza della vicenda personale<br />
di Kierkegaard, il fidanzamento e la<br />
rottura con Regine Olsen. Non questo però<br />
è l’interesse di questo conte philosophique,<br />
che nella sua forma letteraria dichiara il<br />
proprio intento, quello di rovesciare la metafisica.<br />
“Rovesciamento” in senso letterale,<br />
perché nello scontro dialettico fra particolare<br />
(l’”eccezione”) e universale, è il<br />
primo che viene privilegiato dal punto di<br />
vista teoretico da Kierkegaard. Quella di<br />
Kierkegaard vuole essere qui una confutazione<br />
“non filosofica” della metafisica, attuata<br />
cioè senza seguire i modi argomentativi<br />
ad essa propri, e soprattutto senza seguire<br />
quelli dell’aborrita dialettica hegeliana<br />
in voga nella Danimarca dell’epoca. Il<br />
metodo “psicologico”, prospettiva cui fa<br />
riferimento il sottotitolo dell’opera, è dunque<br />
lo strumento con cui Kierkegaard vuole<br />
smascherare l’apparente sicurezza della<br />
metafisica e la fiducia che essa ripone nell’argomentazione<br />
razionale.<br />
Per confortare le proprie confutazioni della<br />
metafisica, Kierkegaard chiama in causa<br />
Diogene, quel Diogene che con la semplice<br />
azione del camminare confutò le argomentazioni<br />
degli Eleati contro il movimento.<br />
Aneddoto scelto non casualmente, nota<br />
Dario Borso, in quanto ripreso a bella<br />
posta da Hegel, che aveva irriso alla “confutazione”<br />
di Diogene, misconoscendone<br />
il carattere peculiare rispetto a quello di una<br />
qualsiasi argomentazione di stampo metafisico.<br />
Si badi bene però: proprio per la sua<br />
irriducibilità a un’argomentazione prettamente<br />
filosofica, la nozione kierkegaardiana<br />
di ripetizione non vuole affatto porsi come<br />
una soluzione della diatriba fra Parmenide<br />
ed Eraclito. Se l’idea di repetere è incompatibile<br />
con la fissità e l’immutabilità dell’Essere,<br />
lo è in misura ancor maggiore con<br />
l’idea di divenire.<br />
Eppure la nozione di ripetizione vuole proprio<br />
essere una soluzione, anche se non<br />
esclusivamente teorica, del rapporto ontologico<br />
fra l’eternità dell’Essere e la caducità<br />
del divenire, vuol fondare un atteggiamento<br />
che tenga conto dell’irrompere della<br />
dimensione dell’eterno in quella della temporalità<br />
della storia. La ripetizione si rivela<br />
in tal senso una categoria esistenziale che<br />
Kierkegaard utilizza per richiamare anche<br />
in questo scritto la propria celebre tripartizione<br />
tra vita estetica, vita morale e vita<br />
religiosa, anche se con un certo spostamento<br />
di accenti. Il giovane al quale Constantin<br />
Costantius si rivolge è un poeta, ma questi<br />
non è affatto una pura e semplice esemplificazione<br />
di “vita estetica”, quella che si<br />
esaurisce nel godimento dell’attimo, sem-<br />
pre fuggente e, per definizione, irripetibile.<br />
Nel suo farsi disponibile alla ripetizione, al<br />
matrimonio, nel suo rinunciare all’eccezionalità<br />
fine a se stessa, il poeta arriva<br />
quasi a essere figura della vita morale.<br />
Questo perché egli ha in sé, pur senza<br />
impadronirsene nella piena consapevolezza,<br />
un fondo religioso che è «come un<br />
segreto che non sa spiegare, mentre questo<br />
segreto lo aiuta a spiegare poeticamente la<br />
realtà». Se di questo animo religioso il<br />
giovane fosse stato consapevole, non avrebbe<br />
certo potuto evitare la sofferenza<br />
procuratagli dalla vicenda; anzi essa sarebbe<br />
stata ancora più acuta, Ma egli avrebbe<br />
saputo con “logica ferrea” andare incontro<br />
allo scandalo e al grottesco che le sue<br />
azioni, comandate da un’autorità sovrumana,<br />
gli avrebbero procurato: «avrebbe esaurito<br />
religiosamente tutti gli errori deducibili<br />
da quella vicenda», comprendendo<br />
però se stesso dal principio alla fine, «con<br />
religioso timore e tremore, ma pure con<br />
fede e fiducia». F.C.<br />
Ripensando Kant e altri filosofi<br />
Nell’ambito dell’interesse della filosofia<br />
anglosassone per i problemi inerenti<br />
alla teorizzazione di un modello<br />
per la mente nel contesto di una teoria<br />
della conoscenza, si può notare la tendenza<br />
ad un riesame del pensiero di<br />
grandi filosofi appartenenti a quella<br />
che é stata definita la moderna filosofia<br />
continentale, con l’intento di porre<br />
in relazione le soluzioni da loro proposte<br />
con quelle perseguite oggigiorno.<br />
Le reinterpretazioni del pensiero<br />
kantiano proposte da Patricia Kitcher<br />
in K a n t ’ s t r a s c e n d e n t a l<br />
psychology (La psicologia trascendentale<br />
di Kant, Oxford University<br />
Press, Oxford 1990) e da Wayne<br />
Waxman in Kant’s model of the<br />
mind a new interpretation of<br />
trascendental idealism (Il modello<br />
della mente di Kant: una nuova<br />
interpretazione dell’idealismo trascendentale,<br />
Oxford University Press,<br />
Oxford 1991) hanno senso se inserite<br />
all’interno di questa tendenza interpretativa.<br />
Lo stesso accade con lo studio<br />
di David Pears, Hume’s system:<br />
an examination of the First<br />
Book of his ‘Treatise’ (Il sistema<br />
di Hume: un esame del primo libro del<br />
suo ‘Trattato’, Oxford University Press,<br />
Oxford 1991), in cui viene riproposta<br />
una rilettura di Hume e della sua teoria<br />
della conoscenza.<br />
Come è noto Kant non ha rispettato la<br />
distinzione tra filosofia e psicologia. Egli<br />
infatti ha affermato sia che l’esperienza<br />
dell’auto-coscienza per essere possibile deve<br />
possedere il carattere proprio dell’esperienza<br />
di oggetti, sia che è l’immaginazione,<br />
guidata dai concetti degli oggetti, che
possiede la capacità di unificare il dato<br />
sensibile e cosí di produrre rappresentazioni.<br />
Quest’ultimo aspetto della filosofia di<br />
Kant viene considerato da molti come un<br />
futile tentativo per determinare questioni<br />
empiriche tramite la riflessione filosofica.<br />
Di questo avviso non è Patricia Kitcher,<br />
che cerca di riabilitare proprio ciò che é<br />
stato definito “il soggetto immaginario della<br />
psicologia trascendentale”. La psicologia<br />
trascendentale in tal senso analizzerebbe<br />
i compiti della conoscenza per determinare<br />
una specificazione globale di una mente<br />
capace di adempiere a questi compiti. A<br />
questo proposito Kitcher arriva a definire<br />
l’immaginazione come ciò che possiede le<br />
regole per sintetizzare gli stati cognitivi,<br />
facendo sorgere però il sospetto che la<br />
psicologia trascendentale non possa subire<br />
tale metamorfosi, senza cadere in una semplice<br />
psicologia empirica. Ciò che Kant ha<br />
messo in chiaro non è come si formano le<br />
rappresentazioni di oggetti, ma che cosa si<br />
deve intendere per percezione per ottenere<br />
un comportamento oggettivo, quale è necessario<br />
per l’autocoscienza. Questo forse<br />
é il suo maggior contributo alla psicologia<br />
trascendentale. Un contributo che Kant stesso<br />
ha considerato più importante della sua<br />
analisi delle facoltà cognitive, e che tuttavia<br />
non fa parte della versione della psicologia<br />
trascendentale, a cui hanno mosso<br />
obiezioni i commentatori della tradizione<br />
analitica.<br />
Come Kitcher, anche Wayne Waxman<br />
dichiara che per Kant il concetto di immaginazione<br />
è un ingrediente necessario della<br />
percezione; ma egli mette in relazione questa<br />
affermazione con l’idealismo trascendentale<br />
kantiano: il pensare lo spazio e il<br />
tempo come cose in sé. Anche se si può<br />
sostenere che la rappresentazione di oggetti<br />
si ottiene con l’immaginazione senza<br />
l’implicazione dei grezzi dati sensibili, è<br />
naturale supporre che le stesse impressioni<br />
sensibili si presentano in un determinato<br />
ordine temporale, indipendentemente dall’attività<br />
dell’immaginazione. Secondo<br />
Waxman, considerare le relazioni temporali<br />
a livello di dati non sintetizzati dai sensi<br />
come realtà sopra(meta)-immaginazionali<br />
non è consonante con l’idealismo trascendentale.<br />
Per Kant i dati attuali dei sensi, che<br />
giacciono oltre la soglia della coscienza,<br />
sono materia primaria assolutamente informe.<br />
Tutte le relazioni temporali, anche<br />
quelle esistenti tra sensazioni di cui noi<br />
siamo consci, sono prodotte dall’immaginazione.<br />
Il che tuttavia implicherebbe, in<br />
modo difficilmente plausibile, l’idea di una<br />
immaginazione che impone forme temporali<br />
a dati intrinsecamente atemporali.<br />
Nella sua interpretazione del pensiero humiano<br />
David Pears si pone in linea con la<br />
tendenza, già perseguita da John Wright in<br />
Sceptical realism (1983) e da Galen<br />
Strawson in The secret connexion (1989), a<br />
fornire un’interpretazione del concetto di<br />
causalità di Hume in contrasto con quella<br />
tradizionale, considerata riduzionistica, secondo<br />
cui la causazione non é nient’altro<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
che una regolare sequenza di eventi congiunti,<br />
e ogni altra nozione di “potere” o<br />
“forza” causale, unita all’idea di un’unione<br />
necessaria tra causa ed effetto, non sono<br />
altro che chimere. Questa spiegazione riduzionistica<br />
non coglie per Pears lo spirito<br />
centrale della filosofia scettica di Hume,<br />
che afferma l’esistenza di una forza reale<br />
propria della natura, la quale non risulta<br />
direttamente accessibile ai nostri sensi.<br />
Pears inoltre afferma che Hume non può<br />
essere considerato un mero riduzionista,<br />
perché altrimenti risulterebbe difficile spiegare<br />
la sua continua insistenza sulla nostra<br />
ignoranza dei principi ultimi, che per essere<br />
ignorati, devono evidentemente esistere.<br />
Il radicale riduzionismo applicato a Hume,<br />
osserva Pears, non tien conto del grande<br />
balzo che egli compie nel passare dalla sua<br />
teoria del significato alla teoria della credenza.<br />
A questo proposito Pears presenta<br />
Hume come un proto-wittgensteiniano.<br />
Come Wittgenstein neutralizza la domanda<br />
sulla legittimità delle nostre inferenze<br />
logiche e matematiche, appellandosi alla<br />
struttura della pratica naturalmente adottata<br />
dagli individui, cosí Hume nella sua<br />
analisi dell’ambiguità della causalità insiste<br />
sulla futilità della continua ricerca di<br />
giustificazioni oggettive e razionali per le<br />
nostre credenze. L’interpretazione che Pears<br />
propone di Hume ha molto da dire a coloro<br />
che sono impegnati in quello che oggi è<br />
forse il problema centrale della teoria della<br />
conoscenza, il problema della frattura tra<br />
ciò che noi siamo naturalmente disposti a<br />
credere e ciò che possiamo legittimamente<br />
credere. Se l’interpretazione di Pears è giusta,<br />
Hume può rappresentare per noi una<br />
via intermedia tra il pallido scetticismo e il<br />
riduzionismo dogmatico. V.R.<br />
l granaio di Montesquieu<br />
L’edizione critica delle Pensées di<br />
Montesquieu, a cura di Louis<br />
Desgraves, è oggi disponibile nelle librerie<br />
francesi: Pensées suivies du<br />
Spicilège (Pensieri, seguiti dallo<br />
spicilegio, Laffont, Parigi 1991). Le note,<br />
gli umori, le considerazioni a margine<br />
della sua attività di saggista, come<br />
pure aforismi, note di viaggio e di<br />
spesa, sono scrupolosamente raccolti<br />
nei quaderni, che costituiscono una<br />
sorta di archivio di materiali, utilizzato<br />
da Montesquieu per la redazione delle<br />
Lettres Persanes e dell’Esprit<br />
des Lois.<br />
«Pensieri sparsi che non ho inserito nelle<br />
mie opere, idee che non ho approfondito e<br />
che conservo per ripensarvi all’occasione»<br />
- così commentava l’autore - tutto questo<br />
costituisce lo “spicilegio” (letteralmente:<br />
antologia scelta di scritti o, in una più<br />
suggestiva accezione, raccolta di messi prima<br />
della spigolatura) di Charles-Louis de<br />
Montesquieu. Originariamente non desti-<br />
nati alla pubblicazione, i tre volumi delle<br />
Pensées e lo spicilegio furono redatti a<br />
intervalli irregolari tra il 1720 e il 1755,<br />
anno della morte del filosofo. Per lo specialista<br />
essi rappresentano il vasto cantiere<br />
intellettuale che porterà all’edificio complesso<br />
dell’Esprit des Lois (Spirito delle<br />
leggi, 1748); storia, economia, geografia,<br />
religione e antropologia, tutti i temi maggiori<br />
di Montesquieu sono abbozzati con<br />
decisione, e spesso si condensano in aforismi<br />
dalla forma definitiva. Nelle tante considerazioni<br />
sui costumi umani, si rende<br />
evidente una vena moralistica che apparenta<br />
Montesquieu ai grandi, La Rochefoucauld<br />
e Vauvenargues, ma il tono rimane sereno,<br />
divertito, ironico, anche quando può sembrare<br />
feroce, come si può rilevare da questa<br />
considerazione: «Senza la sifilide le signore<br />
per bene sarebbero perdute: tutti andrebbero<br />
con le cortigiane. E’ dunque la sifilide<br />
a produrre la galanteria». O ancora: «Ciò<br />
che manca agli oratori in profondità, essi ve<br />
lo restituiscono in lungaggine». Lo studioso<br />
dei costumi e il moralista si incontrano<br />
in queste brevi note, ne uscirà quel capolavoro<br />
di leggerezza e di ironia rappresentato<br />
dalle Lettres Persanes (Lettere persiane,<br />
1721). E.N.<br />
Wittgenstein: una biografia<br />
e un romanzo<br />
E’ solo da un paio di anni che l’opera e<br />
il pensiero di Ludwig Wittgenstein sono<br />
stati introdotti in Francia, principalmente<br />
attraverso il magistero di<br />
Jacques Bouveresse. L’interesse per<br />
la figura intellettuale ed umana di uno<br />
dei più originali ed eclettici pensatori<br />
della Vienna finis Austriae si specchia<br />
nel successo che sta riscuotendo la<br />
recente traduzione francese di due opere<br />
appartenenti alla cultura anglosassone:<br />
la biografia di Wittgenstein<br />
curata da Brian Mac Guinness,<br />
Wittgenstein. Les années de<br />
jeunesse, (Wittgenstein. Gli anni<br />
della giovinezza, trad. franc. di W.<br />
Tennenbaum, Tomo I, Seuil, Parigi<br />
1991) e il romanzo dell’americano<br />
Bruce Duffy, (Le monde tel que je<br />
l’ai trouvé), Il mondo come l’ho<br />
trovato, trad. franc., di Christophe<br />
Marchande - Kiss, Flammarion, Parigi<br />
1991), liberamente ispirato al personaggio<br />
di Wittgenstein.<br />
La ricostruzione biografica di Brian Mac<br />
Guinness è accurata e precisa nel presentare<br />
la vicenda esistenziale del filosofo viennese,<br />
dagli anni dell’infanzia fino alla stesura<br />
del Tractatus logico-philosophicus<br />
(1913-1918). Uno dei meriti dell’autore è<br />
quello di aver potuto lavorare su materiali<br />
finora inediti (i diari e le corrispondenze di<br />
Wittgenstein), che gli hanno permesso di<br />
aprire nuove prospettive d’interpretazione<br />
non solo per quanto riguarda la complessa
personalità del filosofo, ma anche la sua<br />
formazione intellettuale.<br />
L’infanzia di Ludwig Wittgenstein, nato<br />
in una famiglia della ricca borghesia viennese,<br />
è dominata dalla figura del padre<br />
Karl, uomo di ricca cultura e dalla personalità<br />
intransigente. Come ai fratelli, anche a<br />
Ludwig viene imposta una carriera di ingegnere<br />
e di uomo d’affari, una costrizione<br />
che porterà tre dei suoi fratelli al suicidio e<br />
che verrà dolorosamente accettata da<br />
Ludwig al prezzo di un rinnegamento della<br />
propria personalità. Nei diari intimi, riflettendo<br />
sui propri anni di infanzia,<br />
Wittgenstein li vedrà segnati da un profondo<br />
senso di colpa e dal sentimento di una<br />
mancanza. La lettura di Schopenhauer, conosciuto<br />
negli anni dell’adolescenza, e l’amicizia<br />
con Otto Weininger, il giovane<br />
autore di Sesso e Carattere, che si toglierà<br />
la vita a 28 anni, segnano profondamente il<br />
carattere e la sensibilità di Wittgenstein e lo<br />
convincono che il suicidio, il «peccato elementare»,<br />
resti la sola vera soluzione per<br />
chi abbia smesso di essere all’altezza delle<br />
proprie esigenze morali. E’ con questa predisposizione<br />
che egli si iscrive alla facoltà<br />
di ingegneria dell’Università di Manchester,<br />
dove si impegna in uno studio approfondito<br />
dei fondamenti della logica matematica.<br />
Nei diari di questo periodo troviamo annodate<br />
le preoccupazioni di carattere morale<br />
con i problemi logici: «Come posso essere<br />
un logico - si chiede Wittgenstein - se non<br />
sono ancora un essere umano?». A<br />
Cambridge - dove ha modo di conoscere<br />
Russell, subito colpito dal genio del giovane<br />
austriaco, e dove entra in amicizia con<br />
George Moore, autore dei Principia Ethica<br />
- Wittgenstein riceve la notizia della morte<br />
del padre. Gli avvenimenti precipitano:<br />
Wittgenstein litiga con Russell e decide di<br />
tornare in Austria per arruolarsi nell’esercito.<br />
Il Tractatus logico-philosophicus trova<br />
la sua prima stesura nelle trincee. Non è<br />
più lo stesso uomo quello che torna dal<br />
fronte e che si chiede se prendere i voti o se<br />
fare il maestro elementare; accompagnano<br />
questa metamorfosi le letture di Kierkegaard<br />
e di Angelus Silesius. Nel 1922, data in cui<br />
viene infine pubblicato il Tractatus,<br />
Wittgenstein ha già simbolicamente chiuso<br />
i conti con la sua vita precedente: la ricca<br />
eredità paterna è stata devolta a vari scrittori<br />
e artisti (ne beneficiano tra gli altri Rilke,<br />
Kokoschka, Loos), nonché alla rivista Der<br />
Brenner, il cui spirito si avvicinava alle<br />
idee di riforma morale e intellettuale di<br />
Wittgenstein.<br />
Il saggio biografico di Mac Guinness ripropone<br />
dunque una immagine sdoppiata di<br />
Wittgenstein, dove il punto di frattura starebbe<br />
appunto negli anni successivi alla<br />
guerra. Il mistero di questa affascinante<br />
personalità resta racchiuso nella definizione<br />
che Wittgenstein stesso ha dato del suo<br />
lavoro e della filosofia in generale, secondo<br />
cui essa «non è un corpo di dottrine, ma<br />
un’attività». Attività che, secondo Mac<br />
Guinness, è comparabile ad una ricerca<br />
mistica; in questo senso il cambiamento di<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
posizione di Wittgenstein viene “letto” nei<br />
termini di una «conversione religiosa».<br />
Il nucleo narrativo del romanzo di Bruce<br />
Duffy, Le monde tel que je l’ai trouvé, si<br />
sviluppa attorno al rapporto umano e intellettuale<br />
tra Wittgenstein, Russell e il già<br />
citato George Moore. Uno dei vantaggi<br />
della fiction rispetto alla biografia, sostiene<br />
Duffy, è quello di poter stabilire delle connessioni<br />
ipotetiche, ma significative, laddove<br />
il puro dato biografico rimane muto.<br />
La correlazione tra ciò che Wittgenstein<br />
vede, quello che sente e quello che pensa<br />
viene dunque ripristinata in via immaginaria<br />
ed è sottoposta unicamente al criterio<br />
della credibilità romanzesca: «Il romanzie-<br />
Ludwig Wittgenstein<br />
re - afferma Duffy nella sua Introduzione -<br />
è in grado di mostrare ai lettori una sorta di<br />
continuità, di comprensione dell’esistenza<br />
quale il biografo non ha il diritto di supporre.<br />
Per questo motivo ho deliberatamente<br />
scelto di scrivere un romanzo, perché la<br />
finzione è irresponsabile». E.N.<br />
Felice Tocco e la tradizione<br />
filosofica italiana<br />
C’è una specificità della tradizione filosofica<br />
italiana? Ci fu, e in che misura,<br />
una dittatura del così detto idealismo
italiano? E in questo quadro, chi furono<br />
e che funzione svolsero i “minori”?<br />
Queste le domande che negli anni ’80<br />
animavano un vivace dibattito. Alle<br />
prime due domande si rispose, come è<br />
ovvio, sia in senso affermativo, sia<br />
negativo. Quanto ai “minori”, si trattò<br />
di cogliere, illuminare e capire i contesti<br />
nei quali a attraverso i quali i singoli<br />
studiosi avevano lavorato. Nel frattempo<br />
si è diventati consapevoli che il<br />
problema della specificità o della crisi<br />
di identità della filosofia italiana è un<br />
problema che deve essere affrontato<br />
volta per volta, autore per autore, contesto<br />
per contesto, facendo anche un<br />
po’ di storia a proposito di ciò che gli<br />
altri presentano e ripresentano come<br />
problema e teoria della storia. Da questo<br />
punto di vista è il caso di menzionare<br />
la monografia che Massimo<br />
Ferrari ha recentemente dedicato al<br />
neokantismo italiano e a Felice Tocco<br />
(1845-1911): I dati dell’esperienza.<br />
Il neokantismo di Felice<br />
Tocco nella filosofia italiana<br />
tra Ottocento e Novecento<br />
(L. S. Olschki, Firenze 1990).<br />
Stroncato da Gentile e trattato come studioso<br />
domenicale, Felice Tocco esce dallo<br />
studio di Massimo Ferrari come quel “protagonista”<br />
che oggettivamente era, in dialogo<br />
con il meglio della filosofia europea.<br />
Dice bene Ferrari, avviandosi a concludere:<br />
«Tra gli allievi di Tocco ve ne sono<br />
alcuni [...] che meritano di essere ricordati:<br />
[...] Faggi, Vidari, Lamanna, Levi,<br />
Mandolfo, Lombardo Radice, lo stesso<br />
Gentile si laurearono e si perfezionarono a<br />
Firenze con Tocco [...] ed è nell’Istituto di<br />
<strong>Studi</strong> Superiori che, sotto il segno della<br />
filosofia positiva di Villari e dell’intreccio<br />
tra storia e filologia, venne costituendosi<br />
anche per gli studi filosofici una tradizione<br />
feconda, improntata a una severa disciplina<br />
mentale che non era né morta erudizione,<br />
né stanca ripetizione dei valori perenni,<br />
bensì impegno costante per la comprensione<br />
della filosofia come giustificazione della<br />
conoscenza e legittimazione delle idee<br />
che guidano l’uomo nella storia.» A questo<br />
si aggiunga che Arturo Massolo, che aveva<br />
iniziato i suoi studi alla fine degli anni<br />
Trenta dedicandosi in particolare a Kant, ci<br />
raccomandava, ancora negli anni Cinquanta,<br />
di leggere il Kant e il Platone di Tocco.<br />
La monografia di Ferrari, già noto per i suoi<br />
studi su Varisco, si articola in tre capitoli<br />
assai omogenei nel tono, nell’oggetto e<br />
nell’ampiezza: Da Spaventa al neokantismo;<br />
Il neokantismo degli anni Ottanta; il<br />
Kant di Tocco tra la “crisi del positivismo”<br />
e la “rinascita idealistica”. A questo materiale<br />
di studio fa riscontro la pubblicazione,<br />
risalente al 1988, delle lezioni di Tocco su<br />
Kant, divise in due quaderni: 1900-1902,<br />
brevemente commentate da Giulio Raio:<br />
Lezioni su Kant di Felice Tocco. <strong>Studi</strong>o ed<br />
edizione.<br />
Kant risulta tra i pensatori più meditati<br />
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
anche da Annibale Pastore (1868-1956),<br />
altra figura che meriterebbe un’attenzione<br />
meno corriva. E’ ciò che ha fatto Fabio<br />
Bazzani, che ha schedato e datato le carte,<br />
i manoscritti e le lettere di Pastore, ora<br />
raccolti in Le carte di Annibale Pastore.<br />
Fondo dell’Accademia “La Colombaria”<br />
(L. S. Olschki, Firenze 1990). Un’edizione<br />
che giunge a proposito in attesa di leggere<br />
gli atti del convegno su Pastore che si è<br />
svolto a Siena nel maggio 1990 e che saranno<br />
pubblicati dall’Istituto L. Geymonat.<br />
Per dare un’idea del filosofo, che fu spirito<br />
libero ed eccentrico, studioso di problemi<br />
logici e scientifici in un momento non<br />
propriamente favorevole, mette conto riportare<br />
qualche riga del curatore che ne<br />
illumina anche l’attualità: «Mi sembra che<br />
nella ipotesi di una metafisica critica, conciliativa<br />
di opposte tendenze, pure nel caso<br />
della filosofia pratica Pastore si muova in<br />
una prospettiva di conciliazione e, in primo<br />
luogo, nella prospettiva di conciliare l’etica<br />
di Marx e di Hegel con la morale di Kant.<br />
Se l’intento è quello di costruire una società<br />
retta da principi solidaristici, allora ci si<br />
deve rivolgere a Marx, forse a Hegel, ma<br />
non a Kant, poichè Marx, e Hegel, elaborano<br />
un’etica della collettività, mentre Kant<br />
si colloca in un’ottica eminentemente individualistica.<br />
Se, al contrario, l’intento è<br />
quello di garantire la libertà personale, la<br />
priorità del soggetto sull’oggetto, allora è<br />
necessario rivolgersi a Kant, poichè Hegel<br />
e Marx, in quanto incentrano tutta l’attenzione<br />
sulla socialità dell’etica, non sanno<br />
conferire spazio adeguato alle libertà singole.<br />
Ma l’intento è duplice: armonizzare<br />
libertà del singolo ed esigenza del mantenimento<br />
sociale. E proprio sul piano pratico,<br />
tramite la duplicità dell’intento che indica,<br />
Pastore riesce a correggere l’interpretazione<br />
forse troppo schematica e riduttiva che<br />
fornisce tanto di Marx e di Hegel quanto di<br />
Kant». Per quanto ci sia dello schematismo<br />
in queste carte, come nota Bazzani, e talora<br />
anche qualche ingenuità, viene spontaneo<br />
chiedersi se non siano proprio questi i problemi<br />
che troviamo al fondo del dibattito<br />
filosofico contemporaneo o meglio: che<br />
dovremmo trovarvi - almeno per coloro<br />
che credono che la filosofia abbia a che fare<br />
con gli uomini e non con gli dei o gli angeli,<br />
con gli esseri (umani), piuttosto che con<br />
l’Essere. L.S.<br />
William Whewell<br />
A una considerazione della scienza<br />
non semplicemente come invenzione,<br />
rivoluzione e intuizione, ma anche come<br />
tentativo di ordinare e sistematizzare<br />
le teorie e le tecniche scientifiche<br />
per creare una struttura d’insieme capace<br />
di garantire un normale funzionamento<br />
della scienza, risponde la recente<br />
pubblicazione in Inghilterra di<br />
due monografie sull’opera di un pensatore<br />
per lo più dimenticato del seco-<br />
lo scorso, William Whewell (1794-<br />
1866). Si tratta del saggio di Menachem<br />
Fisch, William Whewell: philosopher<br />
of science (William Whewell:<br />
filosofo della scienza, Clarendon Press,<br />
Oxford 1991) che figura anche come<br />
curatore, insieme a Simon Schaffer,<br />
del volume: William Whewell: a<br />
composite portrait (William<br />
Whewell: un ritratto composito,<br />
Clarendon Press, Oxford 1991). In entrambi<br />
i casi abbiamo di fronte un’interessante<br />
analisi dello sviluppo intellettuale<br />
di Whewell in relazione allo<br />
sviluppo scientifico della sua epoca.<br />
William Whewell fu storico della scienza<br />
e filosofo. Visse e insegnò a Cambridge. Fu<br />
autore di opere scientifiche, per la maggior<br />
parte espositive, di scritti di filosofia morale<br />
e soprattutto di due importanti lavori di<br />
storia e filosofia della scienza: The history<br />
of inductive sciences (3 voll., 1837) e The<br />
philosophy of the inductive sciences (1840).<br />
Dalla morte di Whewell poco del suo lavoro<br />
è stato ristampato, data anche una certa<br />
obsolescenza che in breve tempo colse<br />
gran parte dei suoi testi. Nonostante questo,<br />
Whewell ha svolto un ruolo importante<br />
nel mondo scientifico inglese della prima<br />
metà del XVIII secolo. I suoi due lavori più<br />
importanti, anche se risultano superati, sono<br />
molto interessanti se considerati come<br />
l’espressione di un certo periodo scientifico,<br />
così come viene riportato e analizzato<br />
attraverso gli occhi di un osservatore interno<br />
ai problemi stessi. A questo proposito si<br />
può menzionare la posizione che Whewell<br />
assunse nei confronti di J. S. Mill, sostenendo<br />
che l’induzione può essere definita<br />
solo come metodo effettivamente usato<br />
nella costruzione delle scienze cosidette<br />
induttive, e non astrattamente e indipendentemente<br />
da esse. L’idea dell’esistenza<br />
di una logica induttiva è del tutto futile per<br />
Whewell, dato che il procedimento di formazione<br />
di un’ipotesi non risulta mai logicamente<br />
corretto.<br />
Lo studio di Menachem Fisch analizza<br />
dettagliatamente parecchi degli scritti filosofici<br />
di Whewell, anche quelli mai pubblicati,<br />
dimostrando che il sistema filosofico<br />
di Whewell fu originariamente pensato secondo<br />
un ordine esattamente opposto a<br />
quello usato poi dal filosofo nella sua<br />
Philosophy of the inductive sciences: ciò<br />
risulterebbe confermato dal fatto che l’epistemologia<br />
quasi-kantiana con cui quest’opera<br />
inizia è una delle ultime teorie formulate<br />
dall’autore.<br />
Ulteriori considerazioni su aspetti del lavoro<br />
e della vita di Whewell le si può trovare<br />
nella raccolta di saggi: William Whewell: a<br />
composite portrait. Tra le analisi più interessanti<br />
contenute in questo volume si segnalano<br />
i saggi di John Hedley Brooke e<br />
di Michael Ruse. Brooke fornisce una descrizione<br />
illuminante del credo religioso di<br />
Whewell e della sua tendenza verso la<br />
teologia naturale, che nonostante l’impegno<br />
religioso di Whewell non emerge chiaramente<br />
dai suoi scritti. Ruse esamina invece<br />
il personale lavoro scientifico di
PROSPETTIVE DI RICERCA<br />
Mathias Grünewald, Altare di Issenheim (1505-1516) particolare della Crocefissione (Colmar, Musée<br />
d'Unterlinden)
Il dolore, la sofferenza<br />
Organizzato dalla Società Filosofica<br />
Italiana, si è tenuto a Matera, dal 3 al 5<br />
ottobre 1991, un convegno nazionale<br />
dal titolo: Il dolore; modi e interpretazioni<br />
della sofferenza.<br />
Relazioni di Armando Rigobello, Giorgio<br />
Penzo, Aldo Zenardo, Salvatore<br />
Veca, Piero Di Giovanni, Andrea Milano,<br />
alle quali sono seguite vivaci comunicazioni<br />
e discussioni. A concludere<br />
il convegno è stata una tavola<br />
rotonda, dedicata alla specificità dell’insegnamento<br />
della filosofia nelle<br />
scuole secondarie.<br />
Diversi e numerosi i contributi per un convegno<br />
che ha evidenziato le difficoltà di<br />
lettura di un problema così complesso quale<br />
si è rivelato quello della sofferenza. Armando<br />
Rigobello ha definito il dolore un<br />
enigma di cui non si può semplicemente<br />
cogliere il senso. Per cercare di comprenderlo<br />
e delinearne un orizzonte di senso, è<br />
necessario un approccio fenomenologico<br />
al quale deve seguire il momento interpretativo.<br />
Rigobello ha fatto un richiamo a<br />
Husserl, che pone il dolore e il piacere<br />
all’interno di una esperienza corporea. Passando<br />
dalla fenomenologia all’interpretazione,<br />
Rigobello ha delineato due proposte<br />
di senso, che vedono rispettivamente il<br />
dolore connesso alla creatività e come occasione<br />
di rinnovamento morale. Giorgio<br />
Penzo ha guardato alla possibilità di considerare<br />
una radice metafisica della sofferenza<br />
e una radice che metta in discussione la<br />
componente metafisica. Egli ha così parlato<br />
di scandalo della sofferenza che trova il<br />
suo senso nel Dio assente. L’uomo, in tal<br />
modo, non può mai spiegarsi il perchè della<br />
presenza della sofferenza il cui senso è,<br />
appunto, il non aver senso. Emerge così, di<br />
fronte a tale impossibilità, la finitezza dell’uomo:<br />
il senso del non senso del dolore sta<br />
nel non cercare di definirlo dogmaticamente,<br />
nell’accettarlo (Nietzsche) e nell’intendere<br />
l’uomo come essere per la sofferenza.<br />
Anche Andrea Milano, nell’intenzione di<br />
fornire dei materiali per un’interpretazione<br />
del dolore, ne ha proposto un approccio<br />
all’interno di un orizzonte teologico metafisico.<br />
Egli ha sostenuto che la teologia si è<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
sempre lasciata orientare in quanto costruita<br />
su presupposti pensati come razionali,<br />
ma che in realtà sono precristiani. I teologi<br />
hanno, così, interpretato il dolore come<br />
afflizione di un male percepito come male<br />
(S. Tommaso), come malattia storica, di<br />
cui è responsabile l’uomo che soffre perchè<br />
ha peccato (Genesi), come possibilità<br />
di ammaestramento. Tuttavia la sofferenza<br />
rimane, per la fede, un mistero che sussiste<br />
nel mistero di Dio, il quale attraverso di<br />
essa manifesta le sue opere.<br />
Per Aldo Zanardo la sofferenza ha vari<br />
esiti fra cui esiti di saggezza. Egli si è<br />
soffermato sul senso del limite e sul ricollocamento<br />
nella vita di una più adeguata<br />
comprensione di sé e del mondo, entrambe<br />
forme di saggezza di cui la sofferenza può<br />
essere occasione. In questo senso il dolore<br />
è da intendere come un’esperienza che, nel<br />
farci sentire deboli come soggetti, inadatti<br />
rispetto al mondo circostante, ci insegna la<br />
finitezza, imponendoci una rettifica della<br />
nostra comprensione di noi stessi, degli<br />
altri e del mondo naturale. Questa ricostruzione<br />
del nostro essere nella vita rappresenta<br />
una svolta che ci conduce alla saggezza.<br />
Per il mondo antico si può parlare di<br />
una saggezza accettativa, derivante dalla<br />
constatazione dell’inestirpabilità della sofferenza<br />
dalla vita umana, diversa dalla<br />
saggezza di consolazione del mondo cristiano,<br />
che guarda invece a un mondo futuro<br />
senza sofferenza. Il mondo moderno<br />
non ha una saggezza del limite, perchè non<br />
ha consapevolezza del per sé del mondo<br />
naturale e del cosmo. Dalla sofferenza l’uomo<br />
ha ancora da imparare il senso del<br />
limite, l’avere misura nel rapporto con il<br />
mondo naturale e con gli altri. Salvatore<br />
Veca ha centrato invece l’attenzione sulle<br />
sofferenze sociali. Egli ha esordito illustrando<br />
una tesi dell’utilitarismo negativo<br />
che, connettendo la nozione di sofferenza<br />
con quella di utilità o disutilità, prescrive<br />
una minimizzazione della disutilità collettiva<br />
e quindi della sofferenza evitabile, e<br />
una massimizzazione della utilità e quindi<br />
della felicità o del benessere collettivo. Ciò<br />
che connette la sofferenza con la dignità è<br />
il linguaggio in quanto forma di vita, rinvio<br />
ad una comunità di parlanti che in esso<br />
riconoscono il senso della sofferenza collettivamente<br />
interpretata. Se non viene riconosciuta<br />
la pari dignità fra parlanti aven-<br />
ti un patrimonio linguistico comune, si ha<br />
esclusione dalla comunità, il che ha come<br />
conseguenza l’umiliazione, la degradazione,<br />
l’erosione dell’autonomia e della dignità<br />
di agenti. Questa è la sofferenza<br />
sociale più saliente, generata da un certo<br />
assetto delle istituzioni fondamentali; essa<br />
è la rottura del presupposto di un tale<br />
assetto, ovvero la necessità dell’identità<br />
stabile nel tempo, fra individuo e collettività.<br />
Il contributo infine di Piero Di Giovanni<br />
ha avuto come presupposto la lettura in<br />
termini filosofici dell’opera di Freud, che<br />
pone in relazione il dolore con i temi dell’angoscia,<br />
del lutto e della nevrosi. La<br />
psicanalisi deve considerare il soggetto<br />
affetto da nevrosi nella sua specificità di<br />
individuo che vive in una dimensione storica,<br />
dove la presenza del dolore è causata<br />
dall’uomo stesso, ma anche dalla caducità<br />
della vita. L’uomo soffre anche perchè<br />
comprende tale caducità, ed è per questo<br />
motivo che per Freud la psicanalisi, nel<br />
tentativo di liberare l’uomo dal dolore,<br />
deve assumere una connotazione filosofica.<br />
L.L.<br />
I problemi del tradurre<br />
L’argomento dell’ultimo simposio della<br />
Humboldt-Stifung: Geisteswissenschaftliches<br />
und literarisches<br />
Übersetzen im internationalen<br />
Kulturaustausch (La<br />
traduzione nel campo della letteratura<br />
e delle scienze dello spirito dal punto<br />
di vista di uno scambio culturale tra<br />
nazioni, Sonthofen 7-11.X.1991), ha<br />
preso in considerazione i problemi<br />
della traduzione di testi filosofici, giuridici,<br />
storici, sociologici e, naturalmente,<br />
letterari. L’argomento non è<br />
nuovo; ciò che è nuovo, ovvero ciò che<br />
è divenuto evidente dopo la riunificazione<br />
del 3 ottobre 1990, è il ruolo<br />
sempre più cospicuo svolto dalla nazione<br />
culturale tedesca, oggi come in<br />
passato, nel mettere in moto gli sforzi<br />
della comunità dei ricercatori, promuovendo<br />
ricerche, sperimentazioni,<br />
addirittura nuovi modi di pensare in<br />
tutte le nazioni del mondo.
Che significato hanno le traduzioni nel<br />
contesto delle singole culture? Quali sono<br />
le condizioni meteriali e di mercato, di cui<br />
deve tener conto chi si dedica alla traduzione?<br />
Queste le domande principali discusse<br />
al simposio. Chi si reca a Parigi, al Ministère<br />
de la francophonie, trova tutte le informazioni<br />
necessarie a proposito del ruolo svolto<br />
in tal senso dalla lingua e dalla cultura<br />
francese. Ma un ministero siffatto non lo si<br />
trova né a Bonn, né a Berlino: al più si<br />
trovano, a Monaco e in tutto il mondo, le<br />
sedi del Goethe Institut (il corrispondente<br />
della nostra Società Dante Alighieri) e, a<br />
Bonn, l’istituto Inter Nationes, che mette a<br />
disposizione fondi per tradurre sal tedesco<br />
in altre lingue. Di fatto sono proprio i<br />
ricercatori che hanno avuto esperienza dei<br />
risultati più avanzati della ricerca prodotta<br />
in Germania a fornire oggi, con il loro<br />
impegno in quanto traduttori, un’efficace<br />
risposta a questo bisogno di comunicazione.<br />
Il motto lanciato dal segretario della<br />
Humboldt-Stiftung, Heinrich Pfeiffer si<br />
riassume nella formula: «tradurre significa<br />
gettare ponti»; la traduzione aiuta alla comprensione<br />
tra culture diverse e dunque non<br />
solo al progresso della ricerca, ma anche<br />
alla pace. Squisitamente letterario, e di<br />
portata tanto più universale, è stato l’intervento<br />
di Karl Dedecius, direttore del<br />
Deutsches Polen-Institut di Darmstadt. Se<br />
Benedetto Croce negava la possibilità di<br />
una traduzione, perchè il testo scritto può<br />
dare espressione al pensiero solo nelle stesse<br />
parole attraverso le quali il pensiero ha<br />
preso forma, ciò non toglie, ha osservato<br />
Dedecius, che il lettore di una traduzione<br />
possa mettersi lui stesso a pensare, dando<br />
nuova forma al pensiero espresso dal testo<br />
originale. Considerazioni sistematiche sui<br />
problemi metodologici della traduzione sono<br />
venute invece da Marco Buzzoni, che<br />
ha insistito sull’esistenza di tre antinomie<br />
fondamentali: 1) in linea di principio si può<br />
dire che ogni testo sia, in quanto tale, traducibile,<br />
ma in verità ogni traduzione dipende<br />
dal contesto storico e sociale che l’ha prodotta;<br />
2) la traduzione è una fonte, perchè<br />
riproduce un originale, ma è anche il risultato<br />
di un’attività ermeneutica, perchè dà<br />
un giudizio sulla natura dell’originale; 3) la<br />
traduzione, infine, può essere o letterale o<br />
libera.<br />
Molto vivace il lavoro delle sezioni. La<br />
prima, diretta da due linguisti, Wolfram<br />
Wills e Mario Wandruszka, si è occupata<br />
degli aspetti concettuali di lingua, interpretazione<br />
e traduzione, fermandosi in particolare<br />
sul fatto che tradurre serve a mettere<br />
in discussione le grammatiche delle singole<br />
lingue, e serve anche a verificare la<br />
legittimità di nuove forme idiomatiche. Il<br />
punto che più ha agitato gli animi è stato,<br />
ovviamente, l’accettabilità o meno di “universali<br />
linguistici”, come è avvenuto, ad<br />
esempio, nella relazione di Paolo Ramat.<br />
La terza sezione, diretta da Christian<br />
Tomuschat e Kurt Lipstein ha considera-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
to le traduzioni di testi giuridici, sociologici<br />
ed economici; la quarta, diretta da Rudolf<br />
Vierhaus e Rudolf Makkreel, è stata dedicata<br />
alle scienze storiche. Degli aspetti<br />
artistici della traduzione di testi letterari<br />
hanno discusso i relatori della quinta sezione,<br />
diretta da Wilhelm Voßkamp e Ludo<br />
Verbeeck; mentre si sono occupati di “storia<br />
e tipologia della traduzione” i relatori<br />
della sesta, diretta da Armin Paul Frank e<br />
Marion Adams. L’”estraneità culturale” è<br />
stata l’argomento della settima sezione,<br />
diretta da Horst Turk e Anil Bhatti, e il<br />
contesto culturale dell’attività del traduttore<br />
lo è stato per l’ottava, diretta da Fritz<br />
Nies, Fritz Paul e Yushu Zhang. Con<br />
particolare attenzione si è discusso sia del<br />
traduttore, in quanto libero soggetto culturale,<br />
sia della comunità dei lettori, il cui<br />
interesse obiettivo per un testo proveniente<br />
da un’altra cultura è sempre condizionato<br />
dalle proprie componenti culturali.<br />
Dedicata ai problemi specifici della traduzione<br />
filosofica è stata invece la seconda<br />
sezione, diretta da Rüdiger Bubner e<br />
Istvan M. Feher. Dal punto di vista pratico,<br />
sono stati gli scritti di Hegel e Heidegger<br />
(senz’altro i più citati) a esemplificare le<br />
difficoltà incontrate nella traduzione. Delle<br />
loro esperienze in quanto traduttori di<br />
Hegel hanno parlato Marina Bykova, per<br />
il russo, e Georgia Apostolopoulou, per il<br />
greco; di Heidegger hanno parlato Jorge<br />
Rivera, per lo spagnolo, e Istvan M.<br />
Fehrer, per l’ungherese. Discutendo su<br />
questi due grandi filosofi è divenuto chiaro<br />
che, se è vero che ogni lingua ha un suo<br />
proprio spirito, è anche vero che ogni lingua<br />
contiene termini presi a prestito dal<br />
greco e dal latino. A ragione Ryosuke<br />
Osashi (traduttore di Heidegger in giapponese)<br />
ha però fatto notare che nelle lingue<br />
dell’Estremo Oriente, pur a fronte di importanti<br />
prestiti dalla terminologia filosofica<br />
di origine greco-latina (risalenti al Seicento),<br />
la morfologia e la sintassi sono<br />
talmente diverse da costringere il traduttore<br />
a percorrere una delle seguenti alternative:<br />
o un creativo fraintendimento o un’analogia<br />
con la tradizione confuciana o una<br />
consapevole decisione sul modo in cui ciò<br />
che viene dall’Occidente possa entrare a<br />
formare una cultura dell’Estremo Oriente.<br />
Detto questo, è evidente che la nota questione<br />
teorica dello “spirito di una lingua”<br />
deve essere fatta oggetto di un’analisi fenomenologica.<br />
Se Dariusz Aleksandrowicz<br />
ha parlato di gradi di “trasparenza”, Tom<br />
Rocmore ha insistito sul fatto che, da una<br />
parte, la traduzione presuppone una comprensione,<br />
ma, d’altra parte, la comprensione<br />
presuppone ben più che solo una<br />
traduzione; per comprendere un determinato<br />
testo noi dobbiamo fare uso di una<br />
traduzione, ma il resto, la ricerca di altre<br />
formulazioni, la sostituzione di certe parole<br />
con altre, la trasposizione di un’idea in<br />
un’altra prospettiva, ecc. spetta a noi.<br />
Una tavola rotonda, a cui hanno partecipato<br />
Dieter W. Benecke, Manfred Egelhard,<br />
Claus Sprick, Fritz Nies, José Lambert,<br />
Markku Mannila, sotto la moderazione di<br />
Kurt-Jürgen Maaß, è servita a mettere in<br />
chiaro possibilità e limiti di un approccio<br />
teorico e pratico ai problemi della traduzione.<br />
R.P.<br />
Il ritorno dei neokantiani<br />
In una recente rassegna di alcuni studi<br />
sul neokantismo, Dominique Bourel<br />
parla di un vero e proprio “retour des<br />
néo-kantiens” (“Archives de philosophie”,<br />
LIV, 1991, pp. 518-522).<br />
L’espresione è quanto mai appropriata<br />
e l’ormai diffuso interesse per la<br />
complessa parabola del neokantismo<br />
tedesco (ma in realtà non solo tedesco)<br />
ha trovato una conferma ulteriore,<br />
se non addirittura un riconoscimento<br />
“istituzionale”, in occasione del<br />
convegno internazionale organizzato<br />
da Ernst Wofgang Orth e Helmut<br />
Holzhey, dal 9 al 13 settembre 1991<br />
presso l’Università di Trier, sul tema:<br />
Neukantianismus. Perspektiven<br />
und Probleme (Neokantianismo. Prospettive<br />
e problemi).<br />
Le relazioni e le comunicazioni di numerosi<br />
e qualificati studiosi (cospicua, peraltro,<br />
la partecipazione italiana) hanno messo a<br />
fuoco sia lo stato attuale della ricerca sulle<br />
diverse ‘scuole’ neokantiane o su singoli<br />
rappresentanti del neokantismo tedesco a<br />
cavallo tra Otto e Novecento (da Cohen a<br />
Windelband, da Rickert a Cassirer), sia<br />
l’importanza delle filosofie neocriticiste<br />
nel panorama della filosofia europea di<br />
questo secolo, nonostante una sorta di ‘rimozione’<br />
che ha per lungo tempo declassato<br />
il “ritorno a Kant” ad una sterile filosofia<br />
professorale, tramontata senza clamori dopo<br />
la prima guerra mondiale.<br />
Tra gli interventi si segnala in primo luogo<br />
(Friedrich Tenbruck, Wolfgang Schulz,<br />
Mario Signore, Harald Homann,<br />
Ferdinand Fellmann) quelli che hanno<br />
affrontato l’importanza del neokantismo<br />
per l’elaborazione di una teoria della cultura<br />
moderna, tanto nella direzione della problematica<br />
dei “valori”, tipica della scuola<br />
del Baden, quanto nell’accezione dinamica<br />
e vitalistica di Simmel, centrando al contempo<br />
l’attenzione sull’analisi del mondo<br />
sociale nel punto di incrocio - o di “concorrenza”<br />
- tra etica e sociologia (Klaus<br />
Christian Köhnke), così come sui fondamenti<br />
dell’analisi sociale in Tönnies e<br />
Weber o nel confronto Weber-Rickert<br />
(Peter-Ulrich Merz, Milos Havelka,<br />
Franco Bianco). Un rilievo non inferiore è<br />
stato attribuito al contributo che le filosofie<br />
neokantiane hanno offerto in ambito epistemologico,<br />
nel tentativo di determinare<br />
le condizioni di possibilità dell’esperienza<br />
fisica (su questo tema si è intrattenuto Jules<br />
Vuillemin nella relazione che ha aperto il<br />
convegno) e, più in generale, di delineare<br />
una teoria della scienza (Werner Flach), la
cui importanza può essere ancora oggi criticamente<br />
rivendicata (Jean Petitot), specie<br />
se si tien conto dei fraintendimenti in<br />
cui è incorso il neopositivismo nella sua<br />
‘demolizione’ del kantismo (Massimo<br />
Ferrari).<br />
Nelle altre sessioni del convegno sono stati<br />
analizzati alcuni pensatori della generazione<br />
neokantiana più giovane - come Max<br />
Adler, Emil Lask e Bruno Bauch - che<br />
ancora non hanno ricevuto adeguata attenzione<br />
(Wilfried Lehre, Stephan<br />
Nachtsheim, Walter Zeidler); ma particolarmente<br />
stimolante è stata soprattutto la<br />
messe dei contributi su Cohen - sia il Cohen<br />
della ‘logica della conoscenza pura’, sia il<br />
Cohen della filosofia della religione -, su<br />
Cassirer e la Lebensphilosophie, e infine su<br />
Natorp, nel suo duplice rapporto con<br />
Heidegger e con Dilthey (Jean Seidengart,<br />
Geert Edel, Andrea Poma, Pierfrancesco<br />
Fiorato, Thomas Knoppe, Karl-Heinz<br />
Lembeck, Christoph von Wolzogen).<br />
Parallelamente altri studiosi hanno invece<br />
tentato sia un quadro generale delle interpretazioni<br />
di Kant e della ‘filologia kantiana’<br />
che hanno avuto origine dal neokantismo<br />
di fine Ottocento (Rudolf Malter, Nobert<br />
Hinske), sia un bilancio del contributo che<br />
la scuola di Marburgo o le correnti<br />
neokantiane nel loro complesso hanno lasciato<br />
in eredità al dibattito attuale nell’ambito<br />
dell’etica, della filosofia del diritto e<br />
della filosofia della religione (Helmut<br />
Holzhey, Hans Ludwig Ollig).<br />
Il convegno di Trier ha fornito uno sguardo<br />
d’insieme sulle ricerche dedicate al<br />
neokantismo, oggi in pieno svolgimento,<br />
per quanto tutt’altro che riconducibili a un<br />
denominatore comune sia per l’impostazione<br />
storico-teorica che le guida, sia per le<br />
valutazioni a cui esse approdano. Su un<br />
punto, tuttavia, gli studiosi convenuti a<br />
Trier sembrano concordare unanimamente:<br />
il neokantismo - giuste le parole introduttive<br />
di Ernst Wolfgang Orth - ha rappresentato<br />
un’epoca filosofica che, proprio<br />
per la sua brusca interruzione dopo il 1933,<br />
deve essere sondata in profondità se si<br />
vuole comprendere veramente il senso della<br />
filosofia contemporanea. Dopo Kant - ha<br />
aggiunto Orth - non si può non essere in<br />
qualche misura ‘neokantiani’: da questo<br />
punto di vista, come ha osservato Gerhard<br />
Funke, intervenendo alla tavola rotonda<br />
che ha concluso il convegno, il neokantismo<br />
rappresenta ancora oggi un irrinunciabile<br />
“fermento della vita filosofica” M.F.<br />
Michael Walzer<br />
sui nuovi comunitarismi<br />
Quello che più colpisce dell’attuale<br />
scena internazionale è il “nuovo disordine”<br />
che la regola, che scuote antichi<br />
equilibri, ricomponendo comunità nazionali<br />
e ristretti gruppi di appartenenza<br />
culturale. La crisi dello Stato<br />
nazionale classico, così come la disso-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
luzione dell’impero russo hanno travolto<br />
tanto l’idea dello Stato centrale,<br />
limitato da confini nazionali, quanto la<br />
prospettiva del centralismo comunista.<br />
Ciò impone altresì la necessità di<br />
ripensare da una parte la costituzione<br />
di organismi soprannazionali, mentre<br />
dall’altra di riconsiderare anche i limiti<br />
stessi di una forma di Stato sociale<br />
che si dimostra tanto più debole, quanto<br />
più eterogenee sono le sue componenti<br />
culturali ed etniche. Di questi<br />
problemi, articolati secondo un linguaggio<br />
trasversale che coinvolgeva<br />
filosofia, sociologia e politica, si è discusso<br />
con Michael Walzer nell’ambito<br />
del Festival Nazionale de “l’Unità”<br />
il 6 settembre 1991 a Bologna.<br />
Giancarlo Bosetti ha posto l’accento sulla<br />
progressiva divaricazione che si è venuta a<br />
creare fra la concezione universalistica della<br />
politica mondiale e quella realistica dell’ordine<br />
sociale, ovvero fra la versione cosmopolitica<br />
kantiana e quella particolaristica<br />
della fattualità storica, che mette in<br />
crisi la stessa prospettiva degli ideali soprannazionali.<br />
In tal senso, si è chiesto<br />
Bosetti, può ancora esistere un qualche<br />
rapporto normativo fra giustizia internazionale<br />
e governo mondiale? Su questa<br />
domanda iniziale si è venuta ad articolare<br />
l’intera relazione di Michael Walzer, docente<br />
a Princeton e noto in Italia oltre che<br />
per i suoi saggi (si veda il n. 5 di<br />
“MicroMega”), soprattutto per le sue opere:<br />
Sfere di giustizia (Feltrinelli), Guerre<br />
giuste e ingiuste (Liguori), Esodo e rivoluzione<br />
(Feltrinelli) e Interpretazione e critica<br />
sociale (Lavoro), mentre sono di prossima<br />
pubblicazione La compagnia dei critici<br />
e una raccolta di saggi presso l’editore<br />
Marsilio.<br />
Walzer viene comunemente considerato<br />
come uno dei maggiori teorici dei cosiddetti<br />
comunitari, una corrente di pensiero che<br />
si è sviluppata negli Stati Uniti fra gli anni<br />
’70 e ’80, a seguito della pubblicazione<br />
dell’opera di John Rawls, Una teoria della<br />
giustizia, che riproponeva una concezione<br />
universalistica e astratta del soggetto, secondo<br />
un’impostazione liberal-kantiana. Di<br />
contro i comunitari, a partire da Michael<br />
Sandel, sostengono una concezione contestualistica<br />
e culturalmente relativistica dell’etica<br />
e della giustizia, in rapporto alle<br />
diverse sfere di appartenenza culturale.<br />
Nella sua analisi Walzer è partito da una<br />
constatazione fenomenologico-descrittiva,<br />
secondo cui attualmente la scena mondiale<br />
è caratterizzata dal riemergere di forme di<br />
“tribalismo” e di “parrocchialismo”, sulla<br />
base dell’appartenenza etnica, religiosa e<br />
culturale e della condivisione di certe pratiche<br />
sociali, su cui si baserebbe anche la<br />
solidarietà reciproca. Partendo da questa<br />
struttura molecolare della convivenza civile,<br />
Walzer ha poi affrontato quello che da<br />
sempre è stato uno dei presupposti cardinali<br />
del liberalismo, è cioè la necessità di far<br />
coesistere il “pluralismo culturale” con for-<br />
me di vita eterogenee, nella pace e nel<br />
rispetto reciproco. Ma nel corso di questo<br />
secolo la storia dell’integrazione multiculturale<br />
in Europa e negli Stati Uniti è stata<br />
indubbiamente molto diversa, proprio perché<br />
il continente europeo è stato per lo più<br />
caratterizzato dalla presenza di Stati nazionali<br />
e da forme di Stato sociale con una<br />
popolazione pressoché omogenea. Con<br />
l’occhio puntato verso la futura identità<br />
della Comunità Europea, Walzer ritiene<br />
che l’esperienza politica e culturale delle<br />
nuove immigrazioni sia un esperimento<br />
fondamentale che potrebbe contribuire anche<br />
al superamento del dislivello fra Nord<br />
e Sud, ma soprattutto al superamento del<br />
tradizionale concetto liberale di cittadinanza<br />
o di solidarietà internazionalistica, tramite<br />
una nuova figura di cittadino, in grado<br />
di vivere in pace con la propria comunità di<br />
appartenenza e con la più ampia società che<br />
lo circonda.<br />
Numerose sono state le obiezioni sollevate<br />
contro questa impostazione comunitaristica.<br />
In particolare, Gianfranco Pasquino<br />
ha fatto rilevare la sottovalutazione della<br />
problematica dei conflitti che verrebbe operata<br />
da questa concezione dell’appartenenza<br />
etnica. Michelangelo Bovero ha invece<br />
riproposto la visione cosmopolitica<br />
kantiana, sottolineando il deficit normativo<br />
che caratterizzerebbe la teoria dei comunitari.<br />
Salvatore Veca ha d’altra parte<br />
sottolineato la difficoltà che si incontrerebbe<br />
nel comunicare fra comunità diverse,<br />
soprattutto nel dover stabilire quale tipo di<br />
linguaggio possa essere reciprocamente usato<br />
e perché questo debba essere prioritario<br />
rispetto agli altri. Walzer ha ribattuto<br />
affermando che lui stesso non si ritiene<br />
cittadino del mondo e che è illusorio parlare<br />
di cittadinanza in termini universalistici.<br />
Le varie forme di conflittualità e i pericoli<br />
del fanatismo possono essere viceversa risolti<br />
attraverso un processo di negoziazione.<br />
Questi stessi temi sono stati poi ripresi<br />
dallo stesso Walzer nel corso di una conferenza<br />
pubblica, a cui hanno partecipato<br />
Claudia Mancina, Maurizio Viroli, Salvatore<br />
Veca e Giancarlo Bosetti. Walzer<br />
ha nuovamente ripreso la differenza che<br />
distingue l’Europa dagli Stati Uniti in termini<br />
di politica immigratoria, mettendo in<br />
luce quali dovrebbero essere a suo parere i<br />
fattori indispensabili e scalari per una politica<br />
d’integrazione, tale da permettere una<br />
società multiculturale: a) articolazione delle<br />
differenze, in cui ogni gruppo possa dare<br />
voce alle proprie aspirazioni, senza tendere<br />
ad una forzata omogeneizzazione con altri<br />
raggruppamenti sociali; b) negoziabilità<br />
delle differenze; c) incorporazione delle<br />
differenze - non trascendibili - entro lo<br />
Stato che non le emargini, ma che sappia<br />
anzi far loro da supporto strutturale. E’<br />
questo il principale pericolo a cui vanno<br />
incontro le società e le democrazie multiculturali<br />
e polietniche. Le obiezioni hanno<br />
di nuovo ribadito che se da una parte l’attuale<br />
cultura democratica tende a superare
l’antica dicotomia fra particolarismo e universalismo,<br />
dall’altra essa ripropone invece<br />
la necessità di ridefinire il livello normativo<br />
dell’interazione collettiva. Forse la<br />
visione un po’ “rappacificata” all’interno<br />
dell’identità di gruppo che Walzer sostiene<br />
con una certa enfasi comunitaristica, sottovaluta<br />
in effetti i molti pericoli insiti in<br />
certe forme di “tribalismo”, così come non<br />
prende esaustivamente in considerazione<br />
l’identità complessa del soggetto attuale,<br />
ma soprattutto minimizza la necessità di<br />
ritrovare nuove forme di solidarietà, al di là<br />
del gruppo di appartenenza. La solidarietà<br />
verso i non-partecipanti alla comunità non<br />
può infatti essere di tipo culturale, bensì<br />
normativo, dal momento che essa deve<br />
poter comprendere ex-negativo e in modo<br />
contro-fattuale le forme di “ingiustizia”<br />
ancora presenti nelle diverse sfere sociali.<br />
L’universalismo si ripresenta così sotto<br />
mutate spoglie, proprio grazie alla critica<br />
radicale mossa ad esso dai comunitari. M.C.<br />
La ‘pace perpetua’:<br />
storia di un dibattito<br />
Organizzato dall’Istituto Italiano per<br />
gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, si è svolto a Napoli<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
dal 23 al 27 settembre 1991 un seminario<br />
condotto da Domenico Losurdo,<br />
che ha avuto come tema il concetto di<br />
“pace perpetua”, dalle sue prime formulazioni<br />
fino alle trasformazioni prodotte<br />
in questo concetto dalla storia<br />
contemporanea.<br />
Per Domenico Losurdo il concetto di “pace<br />
perpetua” non può essere disgiunto da<br />
quella concezione universalistica dell’umanità<br />
che si afferma solamente con la<br />
Rivoluzione francese. Infatti in Erasmo da<br />
Rotterdam la “pace perpetua” è un invito<br />
alle sole nazioni cristiane allo scopo di<br />
meglio condurre le operazioni militari contro<br />
gli “infedeli”. L’abate di Saint-Pierre<br />
opera poi un duplice invito alla pace perpetua<br />
innanzitutto tra gli stati e poi tra i<br />
sovrani cristiani: si tratta essenzialmente di<br />
un patto di mutuo soccorso, grazie al quale<br />
ogni sovrano si impegnerà a sedare con il<br />
massacro di ribelli ogni sedizione sfuggita<br />
al controllo di un altro sovrano. Di contro<br />
già in Voltaire gli ideali pacifisti cominciano<br />
a collegarsi a concezioni universalistiche<br />
e di trasformazione politica e sociale<br />
dell’esistente e Rousseau, nel curare le<br />
opere dell’abate di Saint-Pierre, vi premette<br />
un “giudizio” nel quale afferma che solo<br />
una rivoluzione a carattere democratico<br />
Diego Velazquez, La resa di Breda, (Las Lauzas, 1634-35)<br />
potrà estirpare la guerra. Con la rivoluzione<br />
del 1789 la “pace perpetua” diviene una<br />
parola d’ordine politica. A differenza della<br />
Rivoluzione Americana, la Rivoluzione del<br />
1789 dichiara il carattere universale della<br />
concezione dell’uomo e dei suoi diritti,<br />
abrogando colonie e schiavitù.<br />
Kant ritorna a riaffermare il rapporto tra<br />
pace e democrazia: rifiuta l’idea di un esercito<br />
permanente e esalta l’immagine di un<br />
cittadino-soldato pronto alle armi per l’autodifesa<br />
della patria, propugna il principio<br />
del non intervento, l’interruzione della vergognosa<br />
tratta degli schiavi e, infine, auspica<br />
una federazione di liberi stati. Ma quest’ultima<br />
concezione giustifica di fatto operazioni<br />
militari contro gli stati assolutistici<br />
e diverrà l’ideologia espansionistica<br />
della Francia. L’ideale della “pace perpetua”<br />
comincia paradossalmente a trasformarsi,<br />
attraverso l’idea di creare una “grande<br />
e universale nazione degli uomini”, in<br />
una ideologia della guerra.<br />
Hegel individua il paradosso: la violenza<br />
come strumento di realizzazione della “pace<br />
perpetua”. In base a questa assunzione<br />
egli critica i meccanismi ideologici della<br />
richiesta di pace perpetua che la trasformano<br />
in un’ideologia della guerra. Inoltre se<br />
Kant e Rousseau credevano che la forma<br />
repubblicano-democratica dello Stato ga
antisse automaticamente la pace tra i popoli,<br />
Hegel osserva che il cessare del dispotismo<br />
non è affatto garanzia di pace, poiché<br />
la passione bellica può infiammare le masse<br />
altrettanto quanto i sovrani, come peraltro<br />
dimostra l’esempio rivoluzionario francese.<br />
D’altro canto, l’esempio inglese mostra<br />
invece come Stati costituzionali possano<br />
intraprendere guerre non solo per il<br />
capriccio dei regnanti, ma per precisi e<br />
pressanti interessi economici e commerciali.<br />
A differenza questa volta di Kant,<br />
osserva Losurdo, Hegel cade vittima dell’ideologia<br />
guerrafondaia della pace perpetua<br />
quando invoca una pace degli Stati europei<br />
allo scopo di mantenere un saldo controllo<br />
sulle colonie.<br />
La posizione di Marx ed Engels sul tema<br />
della pace perpetua tende a radicalizzare i<br />
temi della riflessione illuministica: è possibile<br />
la pace perpetua solo a patto di rivoluzioni<br />
politiche e sociali ben più radicali di<br />
quelle prospettate dagli illuministi. Lenin<br />
riprenderà il progetto della pace perpetua<br />
proponendo l’abolizione della diplomazia<br />
segreta e il controllo dal basso della politica<br />
internazionale. A differenza però della tradizione<br />
di pensiero illuministica, il<br />
marxismo non ha mai nascosto il fatto che<br />
le invocate rivoluzioni sono, a tutti gli<br />
effetti, delle guerre.<br />
Da ultimo Losurdo ha analizzato l’ideologia<br />
della guerra nata nell’Intesa durante il<br />
primo conflitto mondiale. L’ “interventista<br />
democratico” Salvemini parla di “guerra<br />
per la pace”, per abbattere il militarismo<br />
tedesco e con esso i motivi di turbamento<br />
della pace in Europa. Le posizioni di<br />
Salvemini trovano una eco imponenete nelle<br />
idee wilsoniane della “guerra contro la<br />
guerra”, della guerra contro Austria e Germania<br />
per insegnar loro le “buone maniere”<br />
pacifiste e democratiche. D’altro canto<br />
la socialdemocrazia tedesca all’inizio del<br />
conflitto utilizzava concezioni assai simili:<br />
occorreva combattere la guerra contro l’impero<br />
autocratico e militarista dello Czar in<br />
nome di un duraturo periodo di pace. Ma se<br />
questa ideologia della guerra in Germania<br />
è una eccezione, nell’intesa è la norma: è<br />
ancora Salvemini a parlare di una “civile<br />
guerra internazionale” che faccia in Austria-Ungheria<br />
e in Germania la democratizzazione<br />
voluta dalle socialdemocrazie<br />
di quei paesi; Mussolini gli fa eco e Boutroux<br />
parla di una “crociata filosofica” antitedesca:<br />
nasce così la posizione che dipinge la<br />
cultura tedesca tout court come reazionaria<br />
e militarista.<br />
L’ideologia dell’Intesa è uno sviluppo delle<br />
idee nate nella lotta coloniale, per cui<br />
occorreva portare la “civiltà” ai “barbari” -<br />
dove qui civiltà sono diventate le istituzioni<br />
liberali e i barbari i popoli militaristi di<br />
lingua tedesca. Wilson parlerà a tal proposito<br />
di una “guerra santa” che non si interromperà<br />
mai fin quando ogni ingiustizia<br />
sarà debellata. E’ tipico notare che le operazioni<br />
belliche compiute dopo il 1918<br />
contro il territorio sovietico non siano mai<br />
state accompagnate da una formale dichia-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
razione di guerra: si trattava evidentemente<br />
nella mente dei leaders occidentali solo di<br />
“operazioni di ristabilimento dell’equilibrio<br />
internazionale turbato”. E.V.<br />
Wilhelm von Humboldt<br />
Organizzato dal Dipartimento di Filosofia<br />
e dalla Facoltà di Lettere e Filosofia<br />
dell’Università di Napoli, si è svolto<br />
ad Anacapri dal 12 al 14 settembre<br />
1991 un Convegno internazionale sulla<br />
figura e l’opera di Wilhelm von<br />
Humboldt, che ha messo in luce la<br />
personalità così ricca di interessi per i<br />
vari aspetti del mondo umano, per<br />
l’uomo come singolo e nella totalità<br />
della storia, per il linguaggio come<br />
forma spirituale, che è sempre concretezza<br />
delle diverse lingue, per il problema<br />
del comprendere e per la promozione<br />
di una migliore costituzione<br />
civile<br />
In quella che si è soliti denominare l’età di<br />
Goethe, al compiersi dell’epoca dei lumi e<br />
nei primi decenni del XIX secolo, la filosofia<br />
classica tedesca fu un vero crogiuolo di<br />
idee, rappresentato da singolari figure di<br />
pensatori. Tra queste, un posto di particolare<br />
rilievo spetta a Wilhelm von Humboldt.<br />
Ne è una conferma, ha osservato Fulvio<br />
Tessitore in apertura del convegno, la crescente<br />
fioritura di studi humdoltiani degli<br />
ultimi decenni, segno di quella svolta antropologica<br />
della filosofia che, operata da<br />
Humboldt nell’epoca dei sistemi metafisici<br />
dell’idealismo classico tedesco, sempre<br />
più oggi appare una feconda via di ricerca,<br />
dopo gli ontologismi, gli strutturalismi, il<br />
decostruzionismo.<br />
Humboldt visse profondamente i travagli<br />
della storia del suo tempo, mentre ne analizzava<br />
i problemi anche sul piano teorico:<br />
i problemi del diritto, della conoscenza del<br />
passato. Fu comunque essenziale per la sua<br />
attività di intellettuale-politico, funzionario<br />
dello stato, linguista e sociologo, il<br />
passaggio attraverso l’antichità classica,<br />
come ha riccamente documentato Umberto<br />
Carpi (Università di Pisa). Riferendosi in<br />
particolare agli studi humboldtiani di archeologia,<br />
in cui la Bildung greca viene<br />
delineata come il modello più alto di umanità,<br />
Carpi individua un punto cruciale nel<br />
rapporto tra il discorso estetico-antropologico<br />
e la problematica del lavoro, che i<br />
greci delegavano agli schiavi, laddove per<br />
i moderni la specializzazione delle facoltà<br />
è fonte di progresso. Agli studi di antropologia<br />
di Humboldt si è rivolto invece Jean<br />
Quillien, autore di un recente volume su<br />
L’anthropologie philosophique de G. von<br />
Humboldt (Presses Universitaires de Lille),<br />
che nella sua relazione ha preso in considerazione<br />
le motivazioni teoriche essenziali<br />
della distanza che separa Humboldt da Kant.<br />
Pur muovendosi entro la tradizione,<br />
Humboldt maturò un’idea del filosofare<br />
che avrebbe costituito una sorta di fondazione<br />
delle scienze umane, abbandonando<br />
la dimensione ontologica, ancora presente<br />
in Kant, nella direzione di una antropologia<br />
filosofica, che a partire dal linguaggio gli<br />
consentì di riproporre in maniera costruttiva<br />
la domanda su “che cos’è l’uomo?”,<br />
senza trascurare la tensione di individuale<br />
e universale che caratterizza la storia della<br />
filosofia dalle sue origini.<br />
Prendendo spunto dalla rilettura delle considerazioni<br />
hegeliane sul linguaggio e sull’assoluto,<br />
Josef Simon (Università di<br />
Bonn) ha indicato un punto di convergenza<br />
tra Humboldt e Hegel. Per quest’ultimo il<br />
vero non fu Sostanza, ma Soggetto, come si<br />
apprende dalla Prefazione alla Fenomenologia<br />
dello Spirito, e l’assoluto può dirsi<br />
che “non è”, ma “si mostra” (Zeigen) attraverso<br />
il linguaggio, che è il Dasein (l’esistenza)<br />
dell’assoluto. Allo stesso modo<br />
Humboldt, che certo non teorizzò lo spirito<br />
assoluto, intese però il linguaggio come il<br />
Dasein dello spirito nella lingua determinata<br />
di ognuno e sempre in un contesto<br />
particolare: un mostrare oltre il segno.<br />
Antonio Carrano (Università di Napoli)<br />
ha analizzato invece il ruolo delle idee nella<br />
concezione di filosofia della storia di<br />
Humboldt. La filosofia del comprendere di<br />
Humboldt ha il suo centro nell’universale<br />
non astratto, nella funzione orientativa delle<br />
idee, che esprimono un bisogno di totalità<br />
mai separabile dai momenti concreti<br />
della sua attuazione nel processo della storia.<br />
Riprendendo in particolare le importanti<br />
considerazioni di Humboldt sul compito<br />
dello storico, e collocandole all’interno<br />
del più ampio raggio dei suoi interessi<br />
estetici e linguistici, Tilman Borsche (Università<br />
di Heildesheim) ha illustrato l’analogia<br />
posta da Humboldt tra lo storico e<br />
l’artista. Come il poeta, lo storico è creativo<br />
nell’atto di comprendere i fatti come elementi<br />
di un contesto significante, nel quale<br />
una verità interiore viene alla luce, non<br />
senza rapporto indissolubile con il documento<br />
accertato.<br />
Donatella Di Cesare (Università di Roma)<br />
attenta conoscitrice dei testi di Humboldt<br />
(è recente la sua traduzione di La diversità<br />
delle lingue, per l’editore Laterza), ha parlato<br />
della fondazione dell’ermeneutica filosofica<br />
in Humboldt dal punto di vista di<br />
un abbandono della filosofia come sistema<br />
in direzione di un filosofare come interpretazione<br />
dei modi di essere e di comprendersi<br />
dell’uomo nel mondo. In tal senso, nota<br />
la Di Cesare, la concezione humboldtiana<br />
del linguaggio si può dire rappresenti un<br />
traguardo insuperato nella consapevolezza<br />
delle difficoltà della comprensione.<br />
Il progetto di una antropologia comparata<br />
fu interesse precipuo di Humboldt in evidente<br />
sintonia con gli studi di anatomia<br />
comparata di Goethe. L’analogia fra i due<br />
piani di ricerca, ha fatto notare Paola<br />
Giacomoni (Università di Trieste), si spiega<br />
sulla base dell’unità dell’ “oggetto-uomo”,<br />
anche se in definitiva assai diversi<br />
furono i modi di approccio al mondo viven-
te: Goethe fu attirato dalle forme e dalle<br />
superfici, Humboldt dalle forze misteriose<br />
e magmatiche della natura e dell’interiorità<br />
umana. Del “lavoro dello spirito”, secondo<br />
una nota espressione di Humboldt, nelle<br />
sue articolazioni linguistiche ha specificamente<br />
trattato Jurgen Trabant (Università<br />
di Berlino). Accentuando la rottura con<br />
la tradizione leibniziano-kantiana, Trabant<br />
ha individuato nella concezione humboldtiana<br />
del linguaggio come suono che articola<br />
il pensiero una profonda unità di segno<br />
ed espressione. Il tema dell’articolazione si<br />
muove sul doppio referente dei moti dell’animo,<br />
razionali e passionali, e della convenzione<br />
segnica: labirinti per i quali<br />
Humboldt è in grado di fornire un filo<br />
d’Arianna.<br />
Tra le relazioni conclusive del convegno<br />
quella di Giovanni Moretto (Università di<br />
Genova) ha affrontato il rapporto tra<br />
Schleiermacher e Humboldt, un rapporto<br />
che, altre volte indagato per lo più sul piano<br />
del metodo della ricerca storica, viene qui<br />
posto dal punto di vista della dimensione<br />
religiosa. Il “cristiano” Schleiermacher e il<br />
“pagano” Humboldt si incontrano sul significato<br />
di un’esperienza umana che è<br />
ricerca dell’infinito nel finito, come accade<br />
nella poesia e nell’arte in generale. Giuseppe<br />
Cacciatore (Università di Napoli)<br />
ha infine presentato un documentato studio<br />
su Humboldt e la tradizione storicistica<br />
tedesca. E’ stato proprio Dilthey infatti a<br />
indicare nella riflessione di Humboldt sulla<br />
storia quei motivi essenziali che sono all’origine<br />
della prospettiva storicistica: l’individualità,<br />
il nesso di universale e singolare,<br />
la polemica contro la filosofia della storia,<br />
il tema del comprendere che colloca l’uomo<br />
al centro del processo della storia universale.<br />
A conclusione dei lavori del convegno<br />
Giuseppe Cantillo ha tracciato un limpido<br />
bilancio dell’incontro scientifico di<br />
Anacapri, che ha rappresentato un momento<br />
di chiarificazione e di approfondimento<br />
del più ampio contesto in cui nacque e<br />
maturò l’idealismo classico tedesco.<br />
R.V.C.<br />
La filosofia di<br />
Michael Dummett<br />
Si è svolto a Mussomeli (Caltanisetta)<br />
un convegno internazionale dal titolo:<br />
La filosofia di Michael Dummett.<br />
Uno tra i principali punti di riferimento<br />
della discussione filosofica contemporanea,<br />
Michael Dummett è conosciuto<br />
in Italia sia per la traduzione di<br />
diversi suoi lavori, sia per aver contribuito<br />
alla formazione di diversi filosofi<br />
italiani, che si sono recati a Oxford per<br />
approfondire con lui i loro studi.<br />
Di Michael Dummett sono noti in Italia:<br />
Filosofia del linguaggio. Saggio su Frege<br />
(a cura di C. Penco, Marietti, Genova 1983);<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
La verità e altri enigmi (raccolta di scritti a<br />
cura di M. Santambrogio, Il Saggiatore,<br />
Milano 1986); Alle origini della filosofia<br />
analitica (serie di lezioni tenute a Bologna<br />
a cura di E. Picardi, Il Mulino, Bologna<br />
1991). Recentemente sono stati pubblicati<br />
in Inghilterra altri lavori di Dummett d’importanza<br />
fondamentale per la discussione<br />
dei prossimi decenni; oltre a un’altra raccolta<br />
di suoi articoli dal titolo: Frege and<br />
other philosophers, è finalmente uscito il<br />
tanto atteso Frege, Philosophy of mathematics.<br />
Da segnalare infine la pubblicazione<br />
di un testo che raccoglie ed elabora le<br />
idee filosofiche fondamentali del filosofo<br />
oxoniense, il cui titolo richiama la grande<br />
tradizione della filosofia occidentale: The<br />
logical Basis of Metaphysics.<br />
Il filo conduttore della filosofia di Michael<br />
Dummett passa attraverso una ridefinizione<br />
delle dicotomie filosofiche tradizionali,<br />
in particolare il contrasto tra il realismo e le<br />
diverse filosofie che vi si oppongono, da lui<br />
raccolte sotto l’etichetta di anti-realismo,<br />
come l’idealismo, la fenomenologia, il verificazionismo,<br />
il comportamentismo in psicologia<br />
e il costruttivismo in matematica.<br />
L’originalità di Dummett è stata prima di<br />
tutto quella di definire una nuova forma di<br />
anti-realismo, che sfugga agli aspetti riduzionistici<br />
delle diverse posizioni del genere,<br />
succedutesi nella storia della filosofia.<br />
In secondo luogo la sua caratterizzazione<br />
del dibattito realismo-antirealismo ha messo<br />
in evidenza come esso abbia due facce:<br />
una metafisico-ontologica, riguardante cioè<br />
la sussistenza degli oggetti di cui si parla, e<br />
una semantica, riguardante cioè la validità<br />
di certe classi di asserzioni. In questo secondo<br />
caso il problema diventa: possiamo<br />
ammettere che ogni nostra asserzione sia<br />
vera o falsa indipendentemente dai mezzi<br />
che abbiamo per controllarne la verità? Per<br />
un realista esisteranno sempre asserzioni,<br />
la cui verità dipende da una realtà esterna a<br />
noi e che per principio ci saranno sempre<br />
inconoscibili; un antirealista dubita della<br />
validità di questa nozione di verità e cerca<br />
delle alternative ad essa.<br />
Il convegno di Mussomeli è stato organizzato<br />
e introdotto da B. Mc Guinness (Università<br />
di Siena). Tra gli intervenuti, Donald<br />
Davidson (Università di Berkeley), la cui<br />
posizione realista in teoria del significato si<br />
contrappone all’antirealismo di Dummett,<br />
ha presentato una relazione sull’aspetto<br />
sociale del linguaggio, tesa polemicamente<br />
a ridimensionare l’importanza degli aspetti<br />
normativi e istitiuzionali del linguaggio<br />
rispetto alla comunicazione. Su posizioni<br />
realiste è stata anche la relazione di Akeel<br />
Bilgrami (Columbia University), che ha<br />
discusso il classico problema delle altre<br />
menti e della attribuzione di stati mentali ad<br />
altri e a sé.<br />
Seguendo i due principali filoni della filosofia<br />
di Dummett, alcune relazioni sono<br />
state dedicate alla filosofia della matematica<br />
e altre alla teoria del significato: tra le<br />
prime Crispin Wright (Università di S.<br />
Andrews, Scozia), autore di un fondamen-<br />
tale libro sulla filosofia della matematica di<br />
Wittgenstein, ha discusso la posizione di<br />
Dummett sull’importanza filosofica del teorema<br />
di Gödel; C. Penco (Università di<br />
Genova) ha discusso l’interpretazione di<br />
Dummett della filosofia della matematica<br />
di Wittgenstein; G. Luigi Olivieri (Oxford),<br />
uno degli organizzatori del convegno, ha<br />
presentato una discussione critica dell’anti-realismo<br />
in filosofia della matematica.<br />
Sulla teoria del significato sono intervenuti<br />
E. Picardi (Università di Bologna); sul<br />
tema dei rapporti tra asserzione e convenzione,<br />
Dag Prawitz (Università di<br />
Stoccolma) ha dato una discussione generale<br />
sulla posizione anti-realista in teoria<br />
del significato e Bob Hale (Università di S.<br />
Andrews) ha presentato una ricostruzione<br />
della discussione fatta da Dummett nel<br />
capitolo sui nomi propri del suo libro su<br />
Frege. G. Sundholm (Università di Leida)<br />
ha discusso connessioni tra le idee di<br />
Dummett e teorie di Martin Löf.<br />
Le restanti discussioni hanno toccato altri<br />
grossi temi della filosofia di Dummett; B.<br />
F. Mc Guinnes ha discusso alcune posizioni<br />
di Dummett anche in connessione al<br />
suo ultimo libro, The logical basis of<br />
metaphysics. Un confronto tra la posizione<br />
di Dummett e quella di Wittgenstein sul<br />
modo di intendere la filosofia, e in particolare<br />
sul problema della sistematicità dell’impresa<br />
filosofica, è stato sviluppato da<br />
David Pears (Università di Oxford), mentre<br />
Joachim Schulte, che ha recentemente<br />
curato l’edizione tedesca del testo di<br />
Dummett: Alle origini della filosofia analitica,<br />
ha discusso il tema delle asserzioni<br />
sul passato, con riferimento a un lavoro di<br />
Dummett presente nell’antologia Verità e<br />
altri enigmi. C.P.<br />
Una nuova immagine<br />
di Platone<br />
«Le dottrine non scritte non sono altre<br />
da quelle scritte, ma sono ciò a cui lo<br />
scritto rinvia oltre sé»: con queste parole<br />
Vittorio Mathieu ha commentato<br />
il convegno internazionale di studi dal<br />
titolo: Verso una nuova immagine<br />
di Platone, svoltosi dal 7 al 9<br />
ottobre 1991 all'Istituto Suor Orsola<br />
Benincasa di Napoli. Nell’occasione<br />
sono state presentate la nuova edizione<br />
degli scritti di Platone, Tutti gli<br />
scritti (Rusconi, Milano 1991), diretta<br />
da Giovanni Reale e la raccolta<br />
delle relazioni tenutesi al convegno,<br />
pubblicata con lo stesso titolo del convegno:<br />
Verso una nuova immagine<br />
di Platone (Istituto Suor Orsola<br />
Benincasa, Napoli 1991, distrib.<br />
Rusconi).<br />
Nella prima delle sue relazioni, Giovanni<br />
Reale ha trattato dei tre paradigmi storici<br />
nell’interpretazione di Platone e dei fondamenti<br />
del nuovo paradigma. Il paradigma
“neoplatonico” era basato su di una rilettura<br />
di Platone in chiave allegorica. Il paradigma<br />
moderno, inaugurato dagli studi platonici<br />
di Schleiermacher, era fondato sull’ipotesi<br />
dell’azzeramento della tradizione<br />
del platonismo e sull’autarchia dei dialoghi<br />
platonici. Le difficoltà principali di questo<br />
paradigma, stavano nella ricerca di quella<br />
“sistematicità” del pensiero di Platone, che<br />
pur postulata non era ricavabile dai soli<br />
dialoghi scritti. Dal superamento di questo<br />
paradigma scaturisce il nuovo: i dialoghi<br />
scritti di Platone trovano completamento e<br />
organicità nelle dottrine non scritte, esoteriche,<br />
legate all’insegnamento interno alla<br />
scuola di Platone e che ci vengono tramandate<br />
da varie fonti della tradizione platonica.<br />
Un ulteriore approfondimento di questo<br />
progetto ermeneutico è stato svolto nella<br />
relazione di Thomas Szlezàk, dedicata al<br />
rapporto fra oralità e scrittura nella filosofia<br />
di Platone. Szlezàk sottolinea la distinzione<br />
fra esoterismo o segretezza nell’insegnamento<br />
orale platonico: l’esoterismo ha<br />
fondamento nella qualità pedagogica e dottrinale<br />
specifica del dialogo vivo tra mestro<br />
e discepoli, non certo in una aristocratica<br />
segretezza del sapere filosofico. Platone,<br />
collocato al confine fra tradizione orale e<br />
scritturale, riservava alle lezioni non scritte<br />
il compito di dare risposta sintetica e definitiva<br />
alle discussioni “aperte”, contenute<br />
nei testi scritti, togliendo fissità e approssimazione<br />
ai concetti morti della parola scritta<br />
con il vivo intervento del pensiero.<br />
La tradizione della filosofia orale di Platone<br />
rimonta innanzitutto ad Aristotele ed è<br />
dal confronto fra essa e gli scritti platonici<br />
che può trovare soluzione il problema ermeneutico.<br />
Il piano dei lavori del Convegno<br />
prevedeva di fatto un approfondimento<br />
dell’immagine neoplatonica di Platone e<br />
una analisi del paradigma romantico.<br />
Werner Beierwaltes si è posto il problema<br />
della continuità-discontinuità del neoplatonismo<br />
rispetto alla tradizione propriamente<br />
platonica. Se Zeller è per la continuità<br />
dei fondamenti platonici, Hegel ha visto<br />
nel neo-platonismo uno sviluppo speculativo<br />
del platonismo originario. Il “medioplatonismo”<br />
ha poi cercato di ricostruire il<br />
tessuto storico del graduale trapasso dottrinale<br />
da Platone a Plotino e a Proclo.<br />
Beierwaltes si è quindi soffermato sul ruolo<br />
originale svolto dai neoplatonici nel disporre<br />
la sintesi tra teologia ebraicocristiana<br />
e razionalismo greco.<br />
Hans Kramer ha vagliato invece il paradigma<br />
romantico dell’ermeneutica platonica:<br />
estromissione della tradizione “indiretta”,<br />
ricerca del “sistema” nella molteplicità<br />
dei dialoghi, apprezzamento della forma-dialogo<br />
come espressione artistica del<br />
pensiero. Il rapporto di Schleiermacher con<br />
Schelling, da un lato, e con Schlegel, dall’altro,<br />
è il riferimento per la ricostruzione<br />
dell’immagine romantica di Platone, caratterizzata<br />
dalla tendenza a ricercare il pensiero<br />
di Platone nella sola sede dei dialoghi<br />
scritti. E qui risulta evidente come il “nuovo<br />
paradigma” proposto dalla scuola di<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Tubinga non sia solo un paradigma storiografico,<br />
ma ponga le premesse per una<br />
diversa ipotesi teoretica ed ermeneutica. Il<br />
tema teoretico, dopo quello storico-ermeneutico,<br />
è emerso nelle relazioni che hanno<br />
riguardato le dottrine non scritte di Platone<br />
nelle loro connessioni con i concetti esposti<br />
nei dialoghi scritti. Enrico Berti ha affrontato<br />
il tema de “Le dottrine non scritte<br />
intorno al Bene nelle testimonianze di<br />
Aristotele”. Le dottrine orali, secondo Berti,<br />
sono solo il “succo” filosofico di quanto,<br />
nei dialoghi scritti, Platone si limitava ad<br />
esporre in contesti dialettici diversi e in<br />
forma indiretta, ironica, allusiva, incompleta<br />
ecc. In effetti le dottrine platoniche<br />
non scritte vertono tutte intorno alla concezione<br />
morale e all’idea del Bene come<br />
l’Uno. La questione ermeneutica è in tal<br />
senso complessa, ha osservato Berti, in<br />
quanto le dottrine orali imputate da<br />
Aristotele (per confutarle, fra l’altro) a Platone<br />
mostrano una concezione sistematica,<br />
ontologica e apodittica dei Principi (il Bene,<br />
l’Uno, la Diade ecc.) e dell’etica piuttosto<br />
che una concezione dialettica, quale appare<br />
invece dai Dialoghi scritti.<br />
Michel Erler ha preso ad oggetto del suo<br />
intervento in particolare i cosidetti Dialoghi<br />
“aporetici”, quei dialoghi cioè che si<br />
concludono con un nulla di fatto, con un<br />
vicolo cieco della dialettica. Per Erler l’unica<br />
ipotesi convincente è considerare tale<br />
aporeticità come propedeutica ad un superiore<br />
livello di pensiero, che Platone riteneva<br />
di non poter affidare ai testi scritti.<br />
Secondo Platone i dialettici che incappino<br />
nelle aporie si muovono ad un livello di<br />
“fondazione” del pensiero non sufficientemente<br />
“alto” e ugualmente si ingannano<br />
coloro che affidano la loro ansia di conoscenza<br />
esclusivamente al commercio con<br />
la parola scritta. Inserendosi in un medesimo<br />
contesto problematico Maurizio Migliori<br />
ha esaminato il rapporto scritturaoralità<br />
nel Parmenide, giungendo alla conclusione<br />
che, per Platone, l’autentica “dialettica”<br />
del pensiero e della conoscenza<br />
non può mai esser riprodotta dalla parola<br />
scritta. Ma allora, quale sarebbe il significato<br />
di dialoghi complessi come il<br />
Parmenide? Il fatto è che il passaggio dal V<br />
al IV secolo segna la crisi della cultura<br />
orale a vantaggio di quella scritta, di cui la<br />
trattatistica aristotelica è un esempio supremo.<br />
Il dialogo scritto di Platone è il<br />
tentativo, poco convinto, di cercare una<br />
mediazione fra la dialettica orale e la scrittura,<br />
fra l’ordine originario del pensare e le<br />
forme di espressione e di conoscenza dei<br />
nuovi tempi. Sviluppando ulteriormente il<br />
confronto, Giancarlo Movia ha affrontato<br />
questa tematica attraverso un’analisi del<br />
Sofista. Come il Parmenide anche il Sofista<br />
si rivela debitore nei confronti di un pensiero<br />
maturato e discusso nella riflessione e<br />
nella discussione orale. Il tema stesso del<br />
dialogo, il metodo della filosofia contrapposto<br />
a quello della sofistica, conduce proprio<br />
al nodo del rapporto fra pensiero e<br />
linguaggio, fra lògos e dialettica: siamo di<br />
fronte a un pensiero che opera con il linguaggio,<br />
rendendosi autonomo dagli errori<br />
del linguaggio naturale evidenziati dall’analisi<br />
filosofica. La tematica perì toù agathoù<br />
è il fulcro dell’insegnamento orale di<br />
Platone, ad essa è stata dedicata la seconda<br />
relazione al convegno di Giovanni Reale.<br />
Platone si guardava dal mettere per iscritto<br />
la sua dottrina intorno al Bene per evitare<br />
fraintendimenti e derisioni. I concetti fondamentali<br />
del pensiero e della filosofia<br />
intrattengono con il linguaggio comune un<br />
rapporto difficoltoso e stratificato, né d’altra<br />
parte possono essere tradotti in modo<br />
articolato e preciso, nella scrittura. Nella<br />
scrittura, come nel linguaggio ordinario, si<br />
perde per Platone il rapporto profondo e<br />
fondante fra pensiero e parola, pensiero e<br />
linguaggio tipico della filosofia. Da questo<br />
punto di vista il nuovo paradigma storiografico<br />
si presenta come propedeutico per<br />
una corretta interpretazione del pensiero di<br />
Platone: le idee fondanti del platonismo<br />
tornano ad essere il presupposto teoretico<br />
di quanto Platone volle consegnare alla<br />
scrittura. Si comprende in tal senso il commento<br />
che Emanuele Severino ha fatto del<br />
convegno: Platone è il filosofo che ha allontanato<br />
definitivamente il pensiero occidentale<br />
da quello orientale aprendolo alla<br />
comprensione della molteplicità. E’ questo<br />
il vero valore delle sue dottrine e lo sforzo<br />
di collocarle correttamente nel loro tempo<br />
rende più completa ogni interpretazione<br />
del pensiero fondativo della cultura europea.<br />
G.d.M.<br />
Nietzsche tra filologia<br />
e attualizzazione<br />
A Sils Maria, in Engadina, si è svolto<br />
nell’estate 1991 l’annuale convegno<br />
nietzscheano, organizzato dal germanista<br />
svizzero Peter André Bloch, in<br />
cui alcuni temi dell’opera del filosofo<br />
sono stati letti, in una prospettiva attualizzante,<br />
anche alla luce degli attuali<br />
mutamenti politici nell’Europa<br />
dell’Est. Vengono intanto pubblicati<br />
dal filologo Wolfram Groddeck i testi<br />
che documentano la genesi dei<br />
Ditirambi di Dioniso, l’opera in<br />
versi scritta da Nietzsche sulla soglia<br />
della follia.<br />
Con riferimento alla critica nietzscheana di<br />
alcuni aspetti della cultura illuministica e<br />
razionalistica europea, alcuni dei partecipanti<br />
hanno interpretato le recenti trasformazioni<br />
politiche nei paesi dell’Europa<br />
dell’Est come la fine di presupposti fondamentali<br />
della cultura dell’Aufklärung. Ralf<br />
Eichberg (Halle) ha ad esempio individuato<br />
nel crollo dei sistemi sociali e politici dei<br />
paesi dell’Europa orientale la fine del sogno<br />
dell’Aufklärung di liberare l’essere<br />
umano dal male attraverso l’educazione e<br />
la ragione, di considerare la storia come<br />
processo di realizzazione della felicità uni-
versale. Su tutto ciò già Nietzsche aveva<br />
gettato l’ombra del dubbio attraverso una<br />
critica - a sua volta “illuministica”, in quanto<br />
demistificante - del culto della ragione e<br />
della metafisica illuministica dell’immanenza.<br />
Ciò non toglie, osserva Eichberg,<br />
che dopo l’opera nietzscheana di demitizzazione<br />
resti pur sempre lo spazio per prospettive<br />
etiche individuali. Dal problema<br />
del significato di una prospettiva individualistica<br />
nei paesi “post-socialisti” ha preso<br />
le mosse lo studioso jugoslavo di Nietzsche<br />
Mihailo Djuric, che ha indicato nel concetto<br />
nietzscheano di “individuo sovrano”<br />
l’espressione di una nuova dimensione della<br />
ragione. Le sue riflessioni sul concetto di<br />
individuo e di prospettivismo della razionalità<br />
appaiono però ambigue, se si tien<br />
conto del fatto che Djuric - dopo essere<br />
stato incarcerato per vent’anni sotto il regime<br />
di Tito - sembra oggi essersi lasciato<br />
sedurre dalle ambizioni di grandezza del<br />
nazionalismo serbo, le cui tragiche conseguenze<br />
sono oggi sotto gli occhi di tutti.<br />
Ancora nell’ambito del rapporto tra<br />
Nietzsche e la cultura di matrice socialista<br />
e marxista, il germanista italiano Aldo<br />
Venturelli ha dedicato il proprio intervento<br />
al tema: “Lenin lettore di Nietzsche”. In<br />
particolare negli anni di Ginevra, tra 1905<br />
e 1908, Nietzsche era, accanto a Marx, uno<br />
degli autori più letti da Lenin, come testimonia<br />
il rinvenimento nella biblioteca di<br />
Lenin al Cremlino di un un esemplare della<br />
Nascita della tragedia. Più interessante di<br />
questi elementi già noti è però la considerazione<br />
che, per caratterizzare gli obiettivi<br />
politici da raggiungere dopo la sconfitta<br />
della rivoluzione del 1905, Lenin impiegò<br />
la formula nietzscheana della “trasvalutazione<br />
dei valori”, ad indicare che il<br />
marxismo non è un dogma morto ed irrigidito,<br />
ma una guida teorica per l’azione.<br />
D’altra parte, dal punto di vista delle democrazie<br />
liberali, c’e da dire che Nietzsche fu<br />
tra i più accesi critici della democrazia, e<br />
nei tratti aristocratici della sua critica, che<br />
vede nei sistemi politici democraticoliberali<br />
il dominio della maggioranza ed il<br />
predominio dell’interesse materiale sui valori<br />
spirituali, egli si dimostrò figlio del suo<br />
tempo. Il timore di Nietzsche, come ha<br />
rilevato Urs Marti (Berna/Berlino), era<br />
che le società democratiche e di massa si<br />
sviluppassero nella direzione di uno sradicamento<br />
della cultura e della mancanza di<br />
un’autorità, che potesse integrare le diverse<br />
spinte centrifughe. Compito del filosofo<br />
doveva essere quello di una riflessione<br />
critica spregiudicata e dell’invenzione di<br />
nuove possibilità di vita. Ma se le società<br />
democratiche si basano sul conflitto e sull’equilibrio<br />
tra diversi individui - nel linguaggio<br />
nietzscheano diverse “volontà di<br />
potenza” - c’è da chiedersi allora su cosa<br />
possa basarsi una nuova connessione tra le<br />
diverse soggettività? Il filosofo della religione<br />
Jörg Salaquarda (Vienna) ha indicato<br />
nella dimensione del “sacro” la possibilità<br />
di stabilire una nuova coesione tra gli<br />
individui. Di diverso tenore l’intervento di<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Iso Camartin, dedicato al tema della “solitudine”<br />
di Nietzsche come “forma di vita”.<br />
Nell’intento di presentare una sorta di<br />
“fenomenologia della solitudine” Camartin<br />
ha paragonato l’esperienza di Nietzsche a<br />
Sils Maria, con il distacco dall’amato-odiato<br />
Wagner, a quella della solitudine dei<br />
mistici. Dal punto di vista storico-culturale,<br />
invece, il significato della solitudine consisterebbe<br />
nel fatto che, quanto più importante<br />
diventa l’individuo nella società, tanto<br />
più intensa diventa l’esperienza della<br />
solitudine.<br />
All’ultimo, drammatico periodo dell’esistenza<br />
di Nietzsche rinvia il testo poetico<br />
dei Ditirambi di Dioniso, che il filosofo<br />
intendeva inviare nel gennaio 1889, poco<br />
prima del manifestarsi della follia, al poeta<br />
francese Catulle Mendès. Gli interpreti di<br />
Nietzsche hanno lungamente discusso il<br />
problema del significato da attribuire a<br />
questi testi, ed in particolare se essi siano<br />
l’espressione di una poesia “dionisiaca” in<br />
cui si trasfigura e supera il livello della<br />
razionalità filosofica, o se non siano invece<br />
da intendersi come le prime avvisaglie della<br />
malattia di Nietzsche. A favore della<br />
prima tesi si schiera ora il filologo Wolfram<br />
Groddeck, con una monumentale opera in<br />
due volumi pubblicata dall’editore De<br />
Gruyter (Berlino/New York 1991). Nel primo<br />
volume, Die Dionysos-Dithyramben.<br />
Textgenetische Edition der Vorstufen und<br />
Reinschriften (I ditirambi di Dioniso. Edizione,<br />
dal punto di vista della genesi del<br />
testo, delle prime stesure e delle trascrizioni<br />
in bella copia) Groddeck dà alle stampe,<br />
oltre all’ultima versione del testo, tutti i<br />
lavori preparatori che la precedono, solo in<br />
parte accolti nell’edizione critica di Colli e<br />
Montinari. Nel secondo volume, Die<br />
Dionysos-Dithyramben”. Bedeutung und<br />
Entstehung von Nietzsches letztem Werk)<br />
lo studioso presenta un accurato commentario<br />
in cui viene discusso il significato<br />
della stesura definitiva dei Ditirambi. M.M.<br />
Cielo fisico e cielo morale<br />
Nelle sue lezioni sul tema Rivoluzione<br />
del cielo fisico e riforma<br />
del cielo morale. Scienza e<br />
vita civile da Giordano Bruno<br />
ai Lincei, tenute dal 4 all’8 novembre<br />
1991 presso l’Istituto Italiano per<br />
gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli, Saverio<br />
Ricci ha posto in relazione due ambiti<br />
storiografici finora tenuti distinti dalla<br />
letteratura sull’argomento: da un lato<br />
la storia della fortuna di Giordano Bruno<br />
nella cultura moderna, dall’altro la<br />
storia dell’Accademia dei Lincei e la<br />
biografia intellettuale del suo fondatore,<br />
il principe romano Federico Cesi.<br />
Tra i motivi della distanza tra i due ambiti<br />
storiografici prevale sicuramente il configurarsi<br />
nella coscienza europea dell’immagine<br />
di Giordano Bruno come martire<br />
della scienza moderna, fortemente in contrasto<br />
con quella, peraltro meno nota, di<br />
Federico Cesi come diplomatico della scienza,<br />
impegnato in un’opera di cauta mediazione<br />
tra i rappresentanti della nuova scienza,<br />
che egli andava accogliendo nella nuova<br />
Accademia, e la Chiesa cattolica. In<br />
realtà, dopo la sua morte, il pensiero di<br />
Giordano Bruno ha esercitato, anche se in<br />
modo non dichiarato e sotterraneo, una<br />
profonda influenza sull’ambiente intellettuale<br />
linceo, che sotto l’accorta direzione<br />
di Cesi riprenderà alcuni motivi cosmologici<br />
del programma bruniano, lasciando<br />
però cadere le radicali istanze di riforma<br />
etica e civile in esso contenute, pur insistendo<br />
sull’utilità del sapere per il buon<br />
reggimento degli ordini civili.<br />
L’Accademia dei Lincei venne fondata il<br />
17 agosto 1603, quando solo da pochi giorni<br />
era stato promulgato l’editto con il quale<br />
la Chiesa proibiva le opere di Bruno. E in<br />
effetti il nome di Bruno non ricorre mai nel<br />
carteggio dei Lincei. Neppure nelle opere<br />
di Nicola Antonio Stigliola, l’unico linceo<br />
che conobbe direttamente Bruno, si trova<br />
menzione diretta del suo pensiero. In realtà,<br />
il silenzio su Bruno in ambiente linceo<br />
mostra con quale efficacia il monito di<br />
Campo dei Fiori abbia agito come un limite<br />
oggettivo su tutti coloro, che dopo il 1600<br />
ebbero in animo di procurare un progresso<br />
della scienza. Anche se gli elementi del<br />
programma unitariamente filosofico, religioso<br />
e politico di Bruno ritorneranno in<br />
qualche modo in tutta la storia dell’Accademia<br />
dei Lincei.<br />
Il programma bruniano era consistito nella<br />
finale rivendicazione alla filosofia della<br />
dignità di legge, ovvero di un sapere che -<br />
come scrive Bruno nel De la causa - si<br />
faccia concreto promotore di giustizia e<br />
civiltà «ordinando leggi e riformando costumi».<br />
Già nella Cena delle ceneri Bruno<br />
aveva conferito alla scoperta copernicana<br />
un preciso significato etico-religioso: essa<br />
non è che l’aurora, che prelude alla rinascita<br />
del sole dell’antica vera filosofia, quella<br />
degli antichi pitagorici, una filosofia che<br />
ispiri una radicale riforma degli ordinamenti<br />
morali, civili e politici, eliminando le<br />
cause che su questo piano ostacolano e<br />
bloccano la rivoluzione del cielo fisico, la<br />
rifondazione del sapere come cosmo. Ora,<br />
questa rinascente antica filosofia sarà la<br />
filosofia nolana: Bruno è colui il quale ha<br />
varcato i cieli, svelando l’inconsistenza<br />
dell’ordine cosmologico tradizionale. Nell’infinità<br />
dell’universo risplende, secondo<br />
Bruno, la stessa infinità di Dio che è presente<br />
in ogni parte della creazione, e in noi<br />
stessi non meno che negli astri.<br />
La base di un possibile accordo, costantemente<br />
ricercato, con la Chiesa, è in Bruno<br />
la distinzione tra il piano della verità e<br />
quello della fede: le sacre scritture non<br />
hanno come scopo quello di comunicare il<br />
vero circa le cose naturali, ma quello di<br />
prescrivere leggi circa i comportamenti<br />
morali; hanno quindi validità sul piano<br />
morale, non su quello della verità scientifi-
CONVEGNI E SEMINARI<br />
ca. Tuttavia, nell’acuirsi dello scontro con<br />
i puritani inglesi, si fa chiara agli occhi di<br />
Bruno la consapevolezza che non è possibile<br />
una rifondazione del sapere senza una<br />
riforma radicale sul piano etico: così la<br />
rivendicazione del valore etico-religioso<br />
del copernicanesimo assume alla fine i<br />
tratti drammatici di una critica radicale di<br />
tutto il cristianesimo sul piano dell’efficacia<br />
sociale e civile dei suoi insegnamenti.<br />
Nello Spaccio della bestia trionfante, alle<br />
costellazioni dell’astrologia tradizionale<br />
Bruno fa corrispondere i vizi ed i crimini<br />
dell’uomo in terra. Su tutto predomina quella<br />
che Bruno chiama la grande avarizia che<br />
va lavorando sotto il pretesto di voler mantenere<br />
la religione. La grande avarizia è<br />
innanzitutto il protestantesimo che mortifica<br />
la scienza e infiamma guerre fratricide;<br />
ma poi è anche il cattolicesimo che pur non<br />
disprezzando le buone opere, ne tollera un<br />
uso falso e corrotto; grande avarizia è in<br />
generale la fede nel cui nome vengono<br />
compiuti massacri e spoliazioni nel nuovo<br />
mondo.<br />
Condannando Bruno, la Chiesa cattolica di<br />
fatto non condannò soltanto il sostenitore<br />
dell’infinità dell’universo e l’eretico dubbioso<br />
circa i dogmi fondamentali della divinità<br />
di Cristo e della Trinità, ma anche il<br />
sostenitore di una precisa politica dei dotti<br />
e di una precisa politica tout court. Si<br />
trattava del programma massimo della filosofia<br />
europea: rivoluzione dell’immagine<br />
dell’universo e attacco frontale all’aristotelismo<br />
nello sviluppo del copernicanesi-<br />
Presunto ritratto di federico Cesi (Palazzo Cesi)<br />
mo; rivendicazione dell’autonomia dei sapienti<br />
dall’autorità della Chiesa nel riordinamento<br />
delle leggi e nella riforma dei<br />
costumi; critica della morale cristiana e<br />
soprattutto della sua degenerazione protestante,<br />
con i suoi effetti deleteri sul piano<br />
civile; opposizione all’alleanza tra politica<br />
spagnola e Controriforma cattolica; rifondazione<br />
della vita civile sui valori della<br />
giustizia, del merito e della fatica, e sua<br />
riconsacrazione come tramite efficace della<br />
giustizia divina.<br />
Il programma di Federico Cesi, invece,<br />
sarà alla fine sensibilmente diverso: egli<br />
reclama la libertà di filosofare in naturalibus,<br />
ma non pretende di riformare la vita<br />
civile. Tuttavia, l’accorta opera di mediazione<br />
che Cesi svolse per quasi un trentennio<br />
tra i nuovi filosofi e le autorità ecclesiastiche,<br />
rappresenta anche lo sforzo di trovare<br />
forme nuove in cui esprimere un’ansia<br />
antica, quella che Bruno aveva manifestato<br />
in toni radicali e scandalosi: l’ansia cioè di<br />
ricomporre l’unità tra il cielo fisico e il<br />
cielo morale, tra una nuova immagine dell’universo<br />
e i valori e le istituzioni della<br />
civiltà. Nei suoi scritti inediti, Cesi delinea<br />
una critica assai severa dei costumi del suo<br />
tempo in cui ricorrono motivi analoghi a<br />
quelli della polemica civile di Giordano<br />
Bruno. Alla società del suo tempo Cesi,<br />
come Bruno, contrappone l’epoca classica<br />
con le sue lotte per il bene comune, per la<br />
pubblica utilità. Deplora inoltre la decadenza<br />
del sapere nelle Università di cui Giordano Bruno (incisione di C. Mayer, pubblicata nel 1824)
sono responsabili gli aristotelici, a causa<br />
dei quali l’insegnamento della filosofia è<br />
ormai generalmente stimato inutile rispetto<br />
all’assoluto prevalere delle arti pratiche.<br />
In toni meno accesi il principe dei Lincei<br />
riprende questi temi nel suo Discorso sul<br />
naturale desiderio di sapere, pronunciato<br />
nel 1616. Qui Cesi, richiamandosi alla grande<br />
tradizione delle Accademie d’Italia, afferma<br />
l’urgenza di rinnovare la funzione<br />
civile della cultura e la collaborazione dei<br />
dotti per l’avanzamento del sapere, cui è<br />
connesso il bene della società e dello Stato.<br />
Alla Chiesa e ai prìncipi Cesi propone il<br />
compito di un attivo sostegno al progresso<br />
della scienza in vista del pubblico utile. Il<br />
che implica però una precisa delimitazione<br />
di campi: i Lincei non si occuperanno né di<br />
questioni teologiche, né di questioni politiche,<br />
ma d’altra parte la Chiesa e i prìncipi<br />
dovranno lasciare ai ricercatori la libertas<br />
philosophandi in naturalibus, vale a dire<br />
quell’autonomia che già Bruno aveva vigorosamente<br />
rivendicato al prezzo della<br />
vita. G.D.R.<br />
Heidegger e i Greci<br />
Nell’ambito del ciclo di seminari su<br />
momenti e problemi della storia del<br />
pensiero, organizzato dall’Istituto Italiano<br />
per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, Manfred<br />
Riedel ha tenuto nei giorni 20-22 maggio<br />
1991 una serie di lezioni sul tema:<br />
Martin Heidegger e i Greci, in cui<br />
è stato posto il problema della necessità<br />
per Heidegger di un ritorno agli<br />
inizi per ricercare il “senso dell’essere”<br />
originariamente esperito e successivamente<br />
consegnato all’oblio e al<br />
nascondimento.<br />
Per Heidegger, ha sottolineato Manfred<br />
Riedel, si tratta di recuperare ciò che della<br />
verità dell’essere è stato anticipato e poi<br />
consumato nel corso della storia della filosofia:<br />
questo il compito che la filosofia<br />
deve assumere e che può assolvere percorrendo<br />
i sentieri del “domandare”. Porre il<br />
problema della Verità significa infatti per<br />
Heidegger ripercorrere la storia del pensiero<br />
occidentale attraverso una vera e propria<br />
decostruzione fonomenologica dell’ontologia,<br />
con cui egli tenta di ricostruire il<br />
senso della concezione greca. Circoscrivere<br />
i limiti della tradizione ontologica, in<br />
una appropriazione positiva del passato è il<br />
fondamentale compito critico della filosofia,<br />
un compito che per Heidegger si esplica<br />
nel rendere trasparente la comprensione<br />
dell’essere. Seguendo Aristotele, Heidegger<br />
riconosce come la storia della filosofia<br />
antica sia la storia della scoperta della distinzione<br />
dell’essere dall’ente. La metafisica<br />
si è sempre mossa nell’ambito della<br />
differenza ontologica ed è in quest’ambito<br />
che Heidegger intraprende la sua ricerca<br />
sul senso della verità come non essere<br />
nascosto.<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
Riedel ha poi sottolineato come la questione<br />
dell’essere in Heidegger sia scaturita a<br />
partire dalla domanda, propria della filosofia<br />
neokantiana del valore, «se la verità sia<br />
un valore atemporale che deve essere, e se<br />
l’essere vada inteso a partire dal dover<br />
essere». L’essere per Heidegger non è un<br />
“ente atemporale”, bensì si tratta per esso<br />
del senso dell’essere del suo esserci. Esso<br />
dunque può essere compreso solamente a<br />
partire dalla sua situazionalità. Viene qui<br />
chiamata in causa l’esperienza del tempo,<br />
attraverso la quale Heidegger restituisce<br />
alla vita la cosa del pensiero. D’altra parte<br />
però quella stessa esperienza diviene ciò<br />
che permette a Heidegger, nel passaggio<br />
dall’esserci all’essere, di non considerare<br />
più la storia come possibilità di una critica<br />
del presente e quindi come una possibilità<br />
per l’esistenza umana; il problema dell’esperienza<br />
del tempo si fa allora storia dell’essere<br />
stesso «nei suoi momenti sublimi,<br />
che si temporalizzano come “destino” nelle<br />
epoche della metafisica».<br />
In un primo tempo si è trattato per Heidegger<br />
di ripercorrere la storia della scoperta dell’essere<br />
come distinto dall’ente. Ma per<br />
poter meglio distinguere la domanda dell’essere<br />
in generale, osserva Riedel,<br />
Heidegger ha dovuto isolare il problema<br />
del modo in cui il tempo fa parte del senso<br />
dell’essere, il che implicava un allontanamento<br />
da quella metafisica della libertà e<br />
della volontà di potenza che precludeva la<br />
possibilità di comprendere l’esperienza originariamente<br />
greca.<br />
Da un lato si trattava dunque di decostruire<br />
la via fondamental-ontologica, ma dall’altro<br />
di acquisire la capacità dell’ascolto di<br />
ciò che viene da lontano ed è teso verso il<br />
lontano. Sono questi i termini della svolta<br />
heideggeriana, con cui viene compiuto il<br />
primo passo verso la storia dell’essere,<br />
lasciandosi alle spalle la comprensione dell’essere<br />
propria dell’esserci e la temporalizzazione.<br />
Il tempo infatti diviene “tempo<br />
dell’apertura”, “luogo”: il luogo in cui ha<br />
inizio contemporaneamente il denascondimento<br />
dell’ente, la domanda rivolta<br />
all’ente in quanto tale e la storia<br />
dell’Occidente.<br />
Riedel ha fatto notare come nei corsi del<br />
1932 su Anassimandro e Parmenide, non<br />
ancora pubblicati, la storicità del domandare<br />
sia centrale e mostri come nella conoscenza<br />
storica vi sia per Heidegger la necessità<br />
di elevare ciò che è stato all’altezza<br />
di una storia che è storia dell’essere stesso<br />
nei suoi momenti sublimi. Riedel ha inoltre<br />
sottolineato come nelle intenzioni di<br />
Heidegger vi fosse - almeno in una fase<br />
iniziale - l’interesse a rilevare che per i<br />
Greci porre il problema dell’essere e della<br />
verità vuol dire occuparsi di qualcosa che è<br />
nel mondo, fa parte della vita e del suo<br />
movimento. La custodia dell’essere ha la<br />
sua dimora in un luogo preciso: la polis. In<br />
tal modo la funzione del logos non è solo<br />
quella di rendere accessibile l’ente, ma<br />
anche di custodirlo.<br />
A differenza di Heidegger che a partire<br />
dalla critica nietzscheana, assume un atteggiamento<br />
fondamentalmente antiplatonico<br />
- considerando anzi la filosofia platonica il<br />
luogo del cominciamento del nascondimento<br />
- Hans Georg Gadamer si attiene<br />
fermamente al pensiero platonico. Dopo la<br />
svolta infatti per Heidegger l’inizio della<br />
metafisica non è più individuato con l’avvio<br />
della domanda dell’essere, quanto con<br />
il destino del suo nascondimento. La metafisica<br />
viene interpretata come abbandono,<br />
che ha inizio con la filosofia greca, quella<br />
platonica, e si estende fino a caratterizzare<br />
l’atteggiamento mondano del pensiero calcolatore<br />
e tecnico. Riedel ha voluto in effetti<br />
rilevare come la differenza di posizione<br />
nei confronti dei Greci da parte di<br />
Heidegger e Gadamer, si manifesti in fondo<br />
a partire dal problema dell’ethos: domandare<br />
se non sia necessario mantenere il<br />
livello etico, come aver cura del mondo,<br />
all’interno dello statuto filosofico. E’ questo<br />
il motivo per il quale, secondo Riedel,<br />
vale la pena affrontare il problema stesso<br />
della storia e segnalare come, contrapponendosi<br />
a Heidegger, alla sua via in alto<br />
della storia, Gadamer voglia piuttosto valutare<br />
la storia a partire dai suoi effetti sul<br />
mondo, dalla sua via in basso. Egli osserva<br />
come nonostante la necessità per Heidegger<br />
di non sostenere un evolversi progressivo<br />
della storia, la stessa modalità con cui questi<br />
ricostruisce il percorso storico attraverso<br />
l’oblio comporti in fondo un qualcosa di<br />
quella logica che regge l’astratta costruzione<br />
hegeliana, là in vista della fine, qui<br />
dell’inizio.<br />
In ogni caso, ha sottolineato Riedel, aldilà<br />
della chiusura che la stessa riflessione gadameriana<br />
ad un certo punto rivela, vale<br />
soffermarsi su ciò che il diverso orientamento<br />
di Gadamer e Heidegger nei confronti<br />
dell’inizio della filosofia in Grecia<br />
apre per la nostra riflessione. V.L.<br />
Filosofia e liberazione<br />
Si è svolto presso la Facoltà di Lettere<br />
e Filosofia dell’Università di Napoli,<br />
nei giorni 15-16 aprile 1991, un convegno<br />
internazionale sul tema: Filosofia<br />
e liberazione, organizzato dal<br />
Dipartimento di Filosofia, dal Dipartimento<br />
di Filosofia e Politica dell’Istituto<br />
Universitario Orientale di Napoli e<br />
dall’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>.<br />
Accanto agli ospiti stranieri e ai<br />
relatori hanno partecipato al convegno<br />
Fulvio Tessitore, Giuseppe<br />
Cantillo, Mario Agrimi, Giuseppe Lissa,<br />
Aldo Masullo, e numerosi altri studiosi.<br />
L’intervento di Paul Ricoeur, particolarmente<br />
atteso, ha chiuso le due<br />
giornate di studio, in cui si è dibattuto<br />
intorno a un concetto come quello di<br />
“liberazione”, oggi come non mai il<br />
più problematico nel confronto tra l’Europa<br />
e gli altri mondi storici.
La filosofia della liberazione non intende<br />
esprimere semplicemente una tendenza “naturale”<br />
dell’uomo all’intersoggettività, ma<br />
si presenta come un vero e proprio movimento<br />
di lotta, calato nella situazione sociale<br />
ed esistenziale dei paesi latino-americani<br />
e in polemica con la connotazione<br />
eurocentrica del pensiero occidentale, di<br />
cui non ha però mancato, nell’ultimo ventennio,<br />
di approfondire il dibattito eticoteoretico,<br />
scoprendo in particolare Marx<br />
dopo il comunismo, e in certo senso liberandolo<br />
dalla storia del cosiddetto socialismo<br />
reale.<br />
Alfredo Gomez Müller, dell’Institut<br />
Catholique di Parigi, ha illustrato le tappe<br />
di una filosofia della liberazione, che si<br />
radica fortemente nella questione sociale<br />
dei paesi dell’America latina, e che, pur<br />
nella interna diversità di accenti, rappresenta<br />
una sorta di uscita dalla minorità dei<br />
filosofi ispano-americani rispetto alla tradizione<br />
occidentale.<br />
Gwendoline Jarczyk del Collège de<br />
France, ha sostenuto la tesi assai impegnativa<br />
di una sostanziale indifferenza delle<br />
grandi filosofie, dai greci ai giorni nostri,<br />
nei confronti delle condizioni storiche immediate<br />
in cui si attua il concetto di libertà.<br />
Da ciò consegue l’esclusione dal dibattito<br />
filosofico delle tematiche libertarie dei popoli<br />
assolutamente poveri, ai limiti della<br />
sussistenza economico-politica, che si richiamano<br />
a un’idea di libertà come autonomia<br />
delle decisioni e libero accesso a tutte<br />
le risorse della terra e dell’intelligenza. E’<br />
chiaro in tal senso che il referente polemico<br />
obbligato della filosofia della liberazione è<br />
ogni analisi dei problemi condotta dal punto<br />
di vista esclusivamente europeo.<br />
Pierre-Jean Labarrière ha ben distinto<br />
tra “europeismo”, che mira a costituire<br />
l’unità politica dei paesi europei, e “eurocentrismo”,<br />
al cui interno ancora si deve<br />
chiarire la differenza tra una posizione che<br />
mira a confrontarne i valori con quelli<br />
extra-europei e quella che invece vuole<br />
affermare il dominio di una piccola parte<br />
del mondo sul resto del pianeta. La conquista-scoperta<br />
del nuovo mondo nel secolo<br />
XV e il colonialismo sono stati espressione<br />
di una volontà di potere che ancora oggi<br />
riscontriamo nell’opposizione Est-Ovest,<br />
Nord-Sud. L’insieme di queste considerazioni<br />
ha trovato riscontro immediato nell’intervento<br />
di Giulio Girardi, dell’Università<br />
di Sassari, che si è fatto carico di una<br />
presa di posizione politica, schierandosi<br />
dalla parte del Sud e delle correnti culturali,<br />
teologiche e filosofiche che esprimono il<br />
punto di vista dei popoli oppressi, emergenti<br />
alla dignità di soggetti storici.<br />
Restando del tutto all’interno del pensiero<br />
occidentale contemporaneo, Domenico<br />
Iervolino, dell’Università di Napoli, ha<br />
tracciato un profilo penetrante del pensiero<br />
di Ricoeur, nel suo svolgersi tra ermeneutica<br />
e storia come racconto, filosofia della<br />
pratica ed etica della comunicazione con<br />
l’altro. Il pensiero di Ricoeur potrebbe dirsi<br />
umanistico, non però antropocentrico: egli<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
pone l’identità personale sempre al plurale<br />
e sempre nella serietà dell’agire tra i molteplici<br />
giochi dell’essere e della coscienza<br />
riflessiva. In discussione polemica con<br />
Ricoeur si è posto Enrique Dussel, dell’Università<br />
di Città del Messico, esponente<br />
di primo piano della filosofia della liberazione,<br />
di cui è stato uno degli iniziatori.<br />
Questi ha messo in evidenza la specificità<br />
della filosofia della liberazione rispetto alla<br />
stessa teologia della liberazione e alle<br />
filosofie dell’occidente: quelle di Gadamer,<br />
Habermas, Apel, Lévinas. La rilettura dei<br />
testi di Marx operata dalla filosofia della<br />
liberazione muove dal presupposto che il<br />
tema del Capitale non sia il capitale, bensì<br />
la miseria, il povero, il non-uomo.<br />
Conseguentemente Dussel pone l’esigenza<br />
che la filosofia diventi “economia”, rivolgendosi<br />
alla relazione interumana di<br />
base, che a suo dire non è mera produzione<br />
di materiali-merci, ma è al tempo stesso<br />
relazione etica, spirituale, linguistica, politica.<br />
Paul Ricoeur ha infine preso la parola per<br />
sottolineare la presenza del rapporto filosofia-liberazione<br />
nel pensiero della nostra<br />
tradizione, le cui tappe essenziali da Spinoza<br />
all’evento della Rivoluzione francese, alla<br />
nascita del contrattualismo sino ad oggi,<br />
hanno rappresentato un cammino di lenta,<br />
ma decisa affermazione dell’idea di democrazia<br />
contro ogni sacralità del dominio<br />
sull’uomo. Certamente Ricoeur ha più a<br />
cuore la dimensione etica dell’ermeneutica,<br />
che non la sua riduzione ad un’economia,<br />
alla quale egli guarda con esplicito<br />
sospetto. R.V.C.<br />
Nuove vie della filosofia<br />
Nella sede dell’Istituto Italiano per gli<br />
<strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, André Jacob, dell’Università<br />
di Nanterre, ha tenuto dal 21 al<br />
25 ottobre 1991 una serie di lezioni sul<br />
tema: Nuove vie della filosofia<br />
all’alba del III millennio. Dalla<br />
considerazione delle dieci diverse vie<br />
filosofiche che si sono dispiegate nel<br />
corso della storia, Jacob ha tratto le<br />
indicazioni per un nuovo percorso praticabile<br />
che, come via alla verità, eredita<br />
la funzione mediatrice del metodo,<br />
e permette all’uomo contemporaneo<br />
di superare l’ostacolo che si staglia sul<br />
suo cammino: il nihilismo, inteso da<br />
Jacob nella sua complessità di fenomeno<br />
culturale e sociale.<br />
Lo sforzo teoretico messo in atto da André<br />
Jacob consiste in un’assunzione di responsabilità<br />
rispetto all’opposizione tra la negazione<br />
nihilista e la tradizione da essa messa<br />
in crisi che individui una “terza posizione”<br />
in cui l’opposizione può essere superata.<br />
Questa via dell’esistenza alla ricerca di<br />
senso si dispiega come antropo-logica (etimologicamente:<br />
come logica dell’esistenza<br />
umana), come teoria generale dell’uma-<br />
no (del linguaggio, del comportamento,<br />
delle istituzioni). Fornendo indicazioni sulla<br />
forma d’esistenza a maggior contenuto di<br />
senso, essa permette anche di fondare l’etica;<br />
o meglio, permette d’individuare la<br />
forma d’esistenza in cui si potrà fondare<br />
un’umanità più compiuta.<br />
Come approccio all’umano nella sua generalità,<br />
la via antropo-logica supera la frammentarietà<br />
delle scienze umane. Il suo campo<br />
si origina a partire dall’opposizione<br />
lamarckiana individuo-ambiente. Come logica,<br />
essa è com-prensione del processo<br />
dell’umano a partire dall’individuazione<br />
che apre a uno spazio-tempo-materia che<br />
diviene senso. La logica dell’esistenza umana<br />
s’induce per omologia dalla logica<br />
del linguaggio, derivante da quella che<br />
Jacob chiama la “linguistica operativa” di<br />
Guillaume. Infatti, per via del carattere<br />
trascendentale del linguaggio, mediatore<br />
universale dell’esperienza umana, l’operatività<br />
linguistica offre il modello di un<br />
individuo che ha la possibilità di sollevarsi<br />
da un livello di particolarità ad uno di<br />
universalità. Inoltre, l’istanza di discorso<br />
che unifica sul piano della sincronia il<br />
processo discorsivo funge da modello dell’<br />
“istante fondatore” del soggetto (su-jet);<br />
istante che permane nella “temporalizzazione”<br />
in cui il soggetto stesso si costituisce.<br />
L’operatività linguistica comporta però<br />
sempre, nella sua diacronicità, la possibilità<br />
di un’eccedenza rispetto alla lingua<br />
intesa come sistema sincronicamente definito;<br />
pertanto essa offre anche il modello di<br />
un individuo che preserva la propria singolarità<br />
dall’ “assoggettamento” ad un sistema<br />
impersonale.<br />
Sono quindi distinguibili tre campi in cui<br />
può articolarsi lo spazio-tempo-senso. Dall’individualità<br />
si può svolgere un processo<br />
verso l’assoggettamento alla legge da parte<br />
di un “ego” che resta al sicuro, chiuso nella<br />
staticità (la sfera ne è rappresentazione<br />
efficace). Diviene anche com-prensibile il<br />
rischio di una dissoluzione e-motiva dell’individuo<br />
nel cosmo, anticipazione della<br />
morte, che è riduzione al piano puramente<br />
biologico. Infine si può comprendere la<br />
possibilità di un processo umanizzante: la<br />
“personalizzazione” di un soggetto (su-jet)<br />
sempre “da fare”, caratterizzato dall’essere<br />
in relazione di co-operazione e dia-logo<br />
con l’Altro. Questo soggetto teoretizzante<br />
si libera da ogni condizionamento immediato<br />
dell’ambiente, elevandosi ad un universale<br />
interculturale, a un “modello antimodello”.<br />
Il cono capovolto, come immagine<br />
della relazione fra individuale e universale,<br />
rappresenta efficacemente un soggetto<br />
in tal modo costituito il cui carattere<br />
“dia-tropico” ha la proprietà del superamento<br />
dinamico delle dualità, evitandone<br />
però l’empasse del logocentrismo eurocentrico,<br />
incapace di restituire la ricchezza<br />
e la flessibilità del “tropos” (figura, gesto,<br />
giro) con le e-voluzioni, ma anche con la<br />
sov-versività e la con-versità che ne possono<br />
derivare.<br />
L’etica, come ritrovamento della dimora
(ethos) dell’umano, ricava dall’antropologica<br />
i principi dell’autonomia e dell’interrelazione.<br />
Superando la chiusura coscienzialistica<br />
della morale, l’etica, come ricerca<br />
di uno spazio-tempo pienamente umano,<br />
ha di mira non il Bene, ma la riconfigurazione<br />
dei rapporti intersoggettivi, in cui<br />
siano salvaguardate le esigenze dell’aristos<br />
e del demos. Il superamento dell’interiorismo<br />
della morale comporta anche un-<br />
’indispensabile riferimento all’agire politico.<br />
Alla luce di queste indicazioni antropologiche<br />
Jacob ha suggerito una lettura dell’attuale<br />
situazione internazionale. La cattura<br />
del soggetto nell’etero-nomia, realizzatasi<br />
con i totalitarismi di questo secolo, si<br />
ripresenta oggi con la chiusura che accompagna<br />
l’affacciarsi dei particolarismi (razzismi,<br />
nazionalismi, localismi). Ma Jacob<br />
ha voluto anche mettere in guardia dalla<br />
cattura economica che costringe l’individuo<br />
della società dei consumi entro l’arco<br />
ferreo dello stimolo-risposta. La spersonalizzazione<br />
conseguente alla perdita della<br />
distinzione tra fine e mezzo comporta una<br />
privazione di senso, un’involuzione dello<br />
spazio-tempo-senso a spazio-tempomateria.<br />
G.L.<br />
Da Vienna a Napoli:<br />
il viaggio di Lessing in Italia<br />
Il 30 ottobre 1991, nel Teatro di corte di<br />
Palazzo Reale in Napoli, Mario De<br />
Cunzo, Gerardo Marotta, Paul Raabe,<br />
Lea Ritter Santini e Nicola Spinosa<br />
hanno inaugurato la mostra: Da<br />
Vienna a Napoli in carrozza. Il<br />
viaggio di Lessing in Italia.<br />
Era presente S. E. Friedrich Ruth, Ambasciatore<br />
della Repubblica di Germania<br />
in Italia. La ricca esposizione è<br />
stata completata da un Convegno Internazionale<br />
di <strong>Studi</strong>, tenutosi dal 31<br />
ottobre al 1 novembre 1991 a Palazzo<br />
Serra di Cassano, sul tema: Lessing e<br />
i suoi contemporanei in Italia,<br />
organizzato dall’Istituto Italiano per<br />
gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> e dal Goethe Institut<br />
di Napoli.<br />
Nel suo intervento d’apertura Gonrad<br />
Wiedemann, uno degli studiosi più attenti<br />
di Lessing, ha messo in rilievo una sostanziale<br />
disomogeneità degli interessi di<br />
Lessing rispetto a quelli dei suoi più noti<br />
contemporanei. Il viaggio di Lessing appare<br />
radicalmente differente da quelli che<br />
successivamente intraprenderanno, per esempio,<br />
Goethe e Humboldt. Lessing non<br />
pare condividere il cliché, per altro molto<br />
diffuso nella seconda metà del XVIII sec.,<br />
dell’Italia come Paese politicamente e culturalmente<br />
decaduto. Al contrario, riallacciandosi<br />
in qualche modo alla tradizione<br />
umanistica, Lessing si reca in Italia con<br />
l’intenzione di visitare una provincia della<br />
“Repubblica dei letterati”. Nonostante l’o-<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
riginalità dell’approccio, il “diario” di viaggio<br />
non appare uno scritto particolarmente<br />
significativo: è sintomatico che l’attenzione<br />
di Lessing non sia stata richiamata, per<br />
esempio, da personaggi come Vico, Muratori<br />
o Beccaria.<br />
Paolo Chiarini ha riportato il dibattito su<br />
un piano più strettamente “germanistico”,<br />
mettendo in luce il carattere di opera sistematica<br />
aperta della Hamburgische<br />
Dramatugie, che segna un momento fondamentale<br />
dell’estetica tedesca, sottraendo<br />
la rappresentazione tragica alla tradizione<br />
dei canoni aristotelici.<br />
Ampio spazio è stato dedicato alle esperienze<br />
e ai colloqui “torinesi” di Lessing. A<br />
questo scopo Giancarlo Romagnani ha<br />
ricostruito il panorama della Torino intellettuale<br />
negli anni 1775-76, rilevando la<br />
presenza di tutta una letteratura che potremmo<br />
definire “sotterranea”, propria dei<br />
circoli segreti della massoneria. Carlo<br />
Ossola ha evidenziato l’influsso su Lessing<br />
della Bibliopea, pubblicata nel 1776 da<br />
Carlo Denina con l’intento di fornire un’esposizione<br />
dell’arte di comporre libri. Resta<br />
comunque certo che il confronto fra<br />
Lessing e la cultura torinese di quel periodo<br />
fu estremamente fecondo: a tal fine Lucetta<br />
Levi Momigliano si è soffermata sull’incontro<br />
tra Lessing e Giuseppe Vernazza,<br />
uno degli intellettuali italiani più prestigiosi<br />
del tempo.<br />
Un’analisi della letteratura critica più recente<br />
su Lessing, in particolare degli interventi<br />
di Wiedmann, Raabe e Grimm, pubblicati<br />
a metà degli anni 80, ha caratterizzato<br />
l’intervento di Gert Mattenklott.<br />
Wiedemann aveva espresso un giudizio<br />
sostanzialmente negativo del “diario” lessingiano,<br />
rimproverandogli un eccessivo<br />
interesse per l’erudizione libresca a discapito<br />
«delle impressioni esteriori, della loro<br />
varietà cromatica e della loro intensità sensoriale”.<br />
Raabe invece, basandosi principalmente<br />
su fonti epistorali, aveva proposto<br />
l’immagine di un Lessing fervidamente<br />
interessato alla realtà quotidiana, letteraria<br />
e scientifica del paese che visita, ma impossibilitato<br />
dalla prematura morte a comporre<br />
un’opera che rendesse conto di questo<br />
interesse. Mattenklott cerca di superare il<br />
contrasto tra i due studiosi, sostenendo<br />
l’impossibilità per Lessing di descrivere le<br />
proprie inmpressioni attraverso il genere<br />
del “diario”. Quello che appare come limite<br />
principale del “diario” di viaggio in<br />
Italia, in quanto miscellanea di scritti eruditi,<br />
diventa, semmai, il limite della concezione<br />
stessa che ha Lessing della dignità<br />
letteraria. Marta Cavazza ha invece evidenziato<br />
la curiosità scientifica e la passione<br />
bibliofila di Lessing. Tra i disparati testi<br />
acquistati in Italia per la biblioteca di<br />
Wolfenbüttel, la Cavazza ha menzionato la<br />
Philocentria, operetta di un ex-gesuita sul<br />
fenomeno di gravità, ed un lavoro sui fuochi<br />
di Pietramala, dovuto all’astronomo<br />
Francesco Bianchini. Stefan Mattuschek<br />
ha tracciato infine un interessante quadro<br />
del rapporto tra Vico e Lessing, che si<br />
sviluppa nel momento in cui lo scrittore<br />
tedesco si interessa al problema dell’educazione<br />
del genere umano e della filosofia<br />
del linguaggio. Per Vico come per Lessing<br />
è necessario immaginare la Provvidenza<br />
divina come l’istanza predominante per<br />
arrivare al concetto del genere umano: una<br />
Scienza Nuova della Bibbia. R.I.<br />
Pluralismo delle religioni<br />
Si è svolto a Torino nei giorni 18 e 19<br />
Ottobre un convegno internazionale<br />
sul tema: Cristianesimo e Religioni.<br />
Filosofia e teologia di<br />
fronte alla sfida del pluralismo.<br />
Organizzato dall’Università di Torino,<br />
di Macerata e di Roma (Tor Vergata)<br />
e dalla redazione della rivista<br />
“Filosofia e teologia”, l’incontro ha<br />
tematizzato il problema del pluralismo<br />
religioso, sia come realtà sociologicamente<br />
rilevabile, sia come valore,<br />
di fronte alla pretesa di assolutezza e<br />
verità che le singole religioni, ma anche<br />
la filosofia e la teologia, portano<br />
inevitabilmente con sé.<br />
L’apertura dei lavori è stata affidata a M.<br />
Pagano (Torino), che ha delineato l’itinerario<br />
del convegno e la natura della posta in<br />
gioco. Individuando nella prospettiva dei<br />
lavori di J. Hick e di W. Pannenberg i due<br />
modelli più caratteristici di risposta filosofico-teologica<br />
al problema del pluralismo,<br />
Pagano ha richiamato il rilevante apporto<br />
della prospettiva teoretica di L. Pareyson,<br />
che riportando alla luce il carattere costitutivamente<br />
ermeneutico della filosofia e il<br />
suo radicamento nella verità, può offrire un<br />
modello di risposta ai problemi del pluralismo.<br />
J. Hick (Claremont, California), ha portato<br />
la discussione sul piano teologico, all’interno<br />
della prospettiva cristiana del rapporto<br />
tra cristianesimo e religioni mondiali<br />
(ebreismo, islam, induismo e buddhismo),<br />
individuando due ordini di problemi, inerenti<br />
cioè le istanze salvifiche e le istanze<br />
veritative delle religioni. Sotto il primo<br />
profilo, dopo aver definito in termini generali<br />
la nozione di salvezza come riscatto/<br />
liberazione dal carattere insoddisfacente e<br />
imperfetto della vita umana, Hick ha mostrato<br />
l’impossibilità di un raffronto delle<br />
fedi sulla base della loro efficacia salvifica<br />
proponendo di pensare la salvezza come<br />
una realtà, non esclusivamente cristiana,<br />
che muovendo dall’Unica realtà trascendente<br />
influisce sulla vita umana attraverso<br />
differenti totalità religiose. Sotto il profilo<br />
veritativo i conflitti tra le religioni si situano<br />
a livello di credenze storiche, metafisiche<br />
e teo-logiche.<br />
Al primo livello le differenze interreligiose,<br />
componibili solo attraverso prove storiche,<br />
sembrano rimanere permanenti. Anche<br />
a livello metafisico le credenze in gioco<br />
non paiono componibili tra loro, perchè
funzioni di un sistema più ampio centrato<br />
sulla concezione della Realtà Ultima, che,<br />
ed è il terzo livello, concepita personalmente<br />
o impersonalmente permane difficilmente<br />
accessibile nella sua relazionalità<br />
interreligiosa. Semmai si dovrà pensare la<br />
Realtà Ultima come realtà mai adeguatamente<br />
esprimibile in termini umani, realmente<br />
trascendente, capace tuttavia di una<br />
salvezza che passa proprio nelle forme<br />
storiche della risposta umana alla volontà<br />
salvifica. Pur ribadendo l’imprescindibile<br />
necessità del dialogo. Dal punto di vista<br />
della riflessione teologica cristiana W.<br />
Pannenberg (Monaco di Baviera) ha mostrato<br />
di considerare i conflitti di ordine<br />
veritativo presenti nelle varie religioni, in<br />
modo pregnante. Le domande poste in tal<br />
senso da Pannenberg si sono incentrate<br />
sulla realtà divina della fede cristiana, sul<br />
contenuto di salvazione delle altre religioni<br />
e sull’insegnamento per la religione cristiana<br />
proveniente dalla realtà divina di<br />
quest’ultime. Nelle risposte si è fatto riferimento<br />
sia alla polemica profetica che neotestamentaria<br />
circa le rappresentazioni antropomorfiche<br />
di Dio, ma anche all’idea<br />
paolina della confusione tra Creatore e<br />
creature, presente nelle religioni ellenistiche.<br />
Nell’accezione cristiana la salvezza<br />
non può non mantenere Cristo come unico<br />
criterio di salvezza che non esclude però<br />
coloro che, pur non partecipando della comunità<br />
storica della Chiesa, vivono secondo<br />
il messaggio di Cristo.<br />
W. Waldenfels (Bonn) ha ripercorso le<br />
tappe della biografia e della riflessione di<br />
Keiji Nishitani, uno dei più autorevoli rappresentanti<br />
della scuola di Kyoto, aperta a<br />
molteplici influssi culturali dell’occidente.<br />
Nishitani, definitosi “buddhista e cristiano<br />
in divenire”, approfondendo la nozione di<br />
vuoto, tipica di autori come Nagarjuna e<br />
anche dello Zen, ha incontrato il locus<br />
classicus cristologico della ekkenosis (farsi-vuoto)<br />
di Cristo nella kenosis essenziale<br />
di Dio, presentando così una suggestiva<br />
realizzazione dell’incontro tra cristianesimo<br />
e buddhismo. Parallelamente a questa<br />
apertura verso espressioni culturali e religiose<br />
dell’estremo oriente, Kh. Fouad<br />
Allam (Trieste) ha aperto una finestra sulle<br />
dinamiche, anche contradditorie, presenti<br />
nell’Islam contemporaneo e concernenti il<br />
riconoscimento del pluralismo religioso e<br />
la difesa dell’identità islamica.<br />
V. Melchiorre (Milano) e C. Geffrè (Parigi)<br />
hanno affrontato la questione delle condizioni<br />
teoriche ed ermeneutiche del dialogo<br />
dal punto di vista filosofico, il primo,<br />
teologico il secondo. Melchiorre ha preso<br />
le mosse dall’insanabile aporia della coscienza<br />
religiosa, la quale afferma i nomi<br />
molteplici del divino, da una parte, e insieme,<br />
dall’altra, anche «l’impossibilità di<br />
dire l’Ultimo Nome». Rileggendo alcune<br />
tappe cruciali della storia del pensiero da<br />
Anselmo a Gassendi, a Descartes, a Kant e<br />
a Hegel, Melchiorre ha inteso mostrare<br />
come ogni processo conoscitivo, che sempre<br />
parte dal finito, porti in sé la necessità<br />
CONVEGNI E SEMINARI<br />
della postulazione dell’Infinito o dell’Assoluto<br />
fondante. E’ nel simbolo e nel linguaggio<br />
metaforico del Sacro che si ritrova<br />
la composizione dell’ambivalenza di silenzio<br />
e parola, tipica dell’esperienza religiosa,<br />
capace di fondare la legittimità e l’esigenza<br />
di un pluralismo espressivo intorno<br />
alla Causa di tutte le cose. Riprendendo in<br />
prospettiva teologica la distinzione già introdotta<br />
da E. Schillebeeckx tra “pluralismo<br />
di fatto” e “pluralismo di diritto”, C.<br />
Geffrè ha posto la fondazione del pluralismo<br />
di diritto nella ricomprensione del<br />
rapporto tra Chiesa e Israele. La morte di<br />
Cristo, rompendo il diaframma tra Israele e<br />
“le Genti”, pone la Chiesa di fronte ad una<br />
salvezza, il cui compimento è nel Regno di<br />
Dio ed è capace di valorizzare pienamente<br />
le ricchezze autentiche presenti nelle altre<br />
tradizioni religiose.<br />
Infine G. Filoramo (L’Aquila) ha centrato<br />
l’attenzione sull’apporto offerto dalle Scienze<br />
Umane allo studio del rapporto religione/religioni.<br />
Dopo aver ripreso la questione<br />
epistemologica, egli ha evidenziato come<br />
la configurazione di una disciplina definibile<br />
come “Scienza delle Religioni”<br />
possa contemporaneamente salvare il dato<br />
molteplice delle religioni storiche e il pluralismo<br />
metodologico di approccio a un<br />
oggetto non riducibile ad unità. Filoramo<br />
ha poi ripreso la polemica, avviatasi negli<br />
anni ’60 tra un’accezione di Scienza della<br />
Religione erede del verstehen di<br />
Schleiermacher, Otto, Van del Leeuw, che<br />
considera la religione come realizzazione<br />
Villard de Honnecourt (XIII sec.)<br />
Il grande Architetto dell'Universo. (Bibliothèque nationale de Paris)<br />
del suo proprio Geist, e una prospettiva
Nel quadro della propria attività, la<br />
Fondazione San Carlo di Modena ha<br />
organizzato, a partire dall’ottobre<br />
1991, un ciclo di lezioni sul tema:<br />
Religioni in dialogo. Storia e<br />
attualità, che si protrarrà fino al<br />
marzo 1992. Il calendario delle relazioni<br />
è il seguente: 3 ottobre, A. Rizzi:<br />
“Il dialogo tra le religioni”; 17<br />
ottobre, L. Caro: “Israele e i popoli<br />
della Bibbia”; 14 novembre, P.<br />
Sequeri: “Extra ecclesiam nulla salus?<br />
Dalla teologia medievale a Pico<br />
ed Erasmo”; 12 dicembre, G.<br />
Imbruglia: “Il cristianesimo nelle<br />
Americhe”; 16 gennaio, E. Mazza:<br />
“La liturgia dopo il Concilio di Trento.<br />
Dai riti-spettacolo alla pastorale liturgica”;<br />
6 febbraio, G. Sorani: “La<br />
‘Nostra Aetate’ e il dialogo cristianoebraico”;<br />
27 febbraio, M. Introvigne:<br />
“Nuove sette, nuovi sincretismi e ritorno<br />
al sacro”; 5 marzo, K. Fouad<br />
Allam: “L’Islam e l’Occidente”. Il 12<br />
marzo le lezioni si chiuderanno con<br />
una tavola rotonda su “Il dialogo ecumenico<br />
in Italia verso il terzo<br />
Millenio” a cui partecipano M.<br />
Vingiani, S. Ribet e T. Valdam.<br />
Aperture al futuro. Le forme e la<br />
storia è il titolo di un ciclo di lezioni,<br />
che ha preso il via nell’ottobre 1991 e<br />
si protrarrà fino all’aprile 1992 con il<br />
seguente calendario: 25 ottobre, P. P.<br />
Portinaro: “Signum prognosticum.<br />
Meditazioni postkantiane sulla filosofia<br />
della storia”; 8 novembre, M.<br />
Cometa: “Soglie dell’abbandono. La<br />
secolarizzazione della pazienza nella<br />
letteratura tedesca contemporanea”;<br />
22 novembre, S. Vegetti Finzi: “Il<br />
doppio tempo dell’attesa. Tempo biografico<br />
e tempo biologico nel ‘mettere<br />
al mondo”; 6 dicembre, G.<br />
Bompiani: “In attesa dell’occasione.<br />
Due forme della temporalità”; 14 febbraio,<br />
A. M. Iacono: “Futuro, ciclo,<br />
evoluzione, apocalisse”; 14 febbraio,<br />
C. Grottanelli: “La prognosi tra divinazione<br />
e profezia. Grecia natica e<br />
mondo biblico”; 23 marzo, A.<br />
Placanica: “Futuro temuto-futuro sperato.<br />
Coerenze e mutazioni nel paradigma<br />
della fine”; 10 aprile, A. Prosperi:<br />
“Fine del mondo-conquista del<br />
mondo. Ascesa e crisi del profetismo<br />
apocalittico nell’età delle scoper<br />
te”.Venerdì 11 ottobre 1991, Albano<br />
CALENDARIO<br />
CALENDARIO<br />
Biondi e Massimo Cacciari hanno<br />
presentato il De Vita di Marsilio<br />
Ficino (a cura di A. Biondi e G. Pisani,<br />
Ed. Biblioteca dell’immagine).Sabato<br />
30 novembre 1991 è stato presentato<br />
il libro di Pier Cesare Bori, Per un<br />
consenso etico tra culture<br />
(Marietti, Genova 1991): al dibattito<br />
con l’autore sono intervenuti Guglielo<br />
Forni e Mohamed Kerrou. Un seminario<br />
di studio su: Alfred Schutz.<br />
Le strutture del mondo della<br />
vita, è annunciato per gennaio-marzo<br />
1992. Questo il calendario degli interventi:<br />
15 gennaio, E. Melandri:<br />
“Alfred Schutz e i rapporti tra sociologia<br />
e fenomenologia”; 3 febbraio,<br />
R. Bodei: “Transiti: i confini del mondo<br />
della vita”; L. Muzzetto: “La ‘werelation’<br />
come fondamento dell’intersoggettività”;<br />
4 marzo, L. Sciolla:<br />
“Strutture di rilevanza e mondo della<br />
vita”. Sempre per gennaio-marzo<br />
1992 è annunciato un seminario di<br />
studio sul tema: Non violenza e<br />
jihad nella cultura e nella storia<br />
islamica, a cui parteciperanno<br />
Khaled Fouad Allam e Bianca Maria<br />
Amoretti Scarcia.<br />
● Informazioni: Fondazione Collegio<br />
San Carlo, via S. Carlo, 5, 41100<br />
Modena, tel. 059/222315<br />
Si è tenuto l’8 e 9 ottobre 1991 presso<br />
l’Università di Essen un convegno<br />
sul tema: Est-Ovest oggi: contro<br />
la coazione al metodo nelle<br />
scienze dello spirito, organizzato<br />
dall’editore “Die Blaue Eule”. Sono<br />
intervenuti: N. Thon, R. Maiwald, J.<br />
Klein, K. R. Wagner, K. Bering, A.<br />
Steffens, A. Rooch, J. Fellsche, E.<br />
Lehmann, G. Zimmermann, E.<br />
Reckwitz e R. Heinz.<br />
● Informazioni: Verlag Die Blaue<br />
Eule, Aktienstr. 8, D-4300 Essen 11.<br />
Si è svolto dal 16 al 18 ottobre 1991 a<br />
Weilburg un convegno sul tema:<br />
Princìpi cognitivi per l’ordinamento<br />
e la rappresentazione del<br />
sapere.<br />
● Informazioni: P. Jaenecke, SEL<br />
Alcatel, Ostendstr. 3, D-7530<br />
Pforzheim.<br />
Il 24 e 25 ottobre 1991 si è tenuto a<br />
Greifswald un convegno sul tema:<br />
Linguaggio e atto del parlare: strutture<br />
e funzioni, norme, valori e azione.<br />
● Informazioni: D. Bastian, Institut<br />
für Deutsche Philologie, Ernst-<br />
Moritz-Arndt-Universität, Bahnhofstr.<br />
46-47, D-2200 Greifswald.<br />
Si è tenuto a Monte Livata (Subiaco/<br />
RM), nei giorni 28-30 ottobre 1991,<br />
un convegno su: Il problema del<br />
fondamento e la filosofia italiana<br />
del Novecento, organizzato dal<br />
Centro per la Filosofia Italiana. Questo<br />
il programma degli interventi: V.<br />
Mathieu: “L’atto come fondamento”;<br />
A. Masullo: “Il fondamento e il tempo”;<br />
F. Bosio: “La razionalità discorsiva<br />
e il problema del fondamento nel<br />
pensiero italiano contemporaneo”; A.<br />
Capizzi: “La scelta come fondamento”;<br />
E. Severino: “Elenchos”; E.<br />
Baccarini: “Il fondamento nel pensiero<br />
di E. Severino”; F. Prini: “Fondamento<br />
e finalità”; F. Rivetti Barbò:<br />
“Un dibattito sui fondamenti conoscitivi<br />
in Italia”; P. Miccoli: “Il fondamento:<br />
tirannia o seduzione del filosofare?”;<br />
G. Vattimo: “Il fondamento<br />
secolarizzato”; G. Carcaterra:<br />
“Il problema del fondamento nella<br />
filosofia morale del ‘900 in Italia”; S.<br />
Moravia: “Esperienza vissuta e morale”;<br />
B. Lauretano: “Il problema dello<br />
sfondamento”; I. Mancini: “Filosofia<br />
della religione: il fondamento”;<br />
F. Barone: “Il problema del fondamento<br />
e la filosofia della scienza”; A.<br />
Pieretti: “Fondamento e linguaggio:<br />
un problema aperto”; R.D. Brienza:<br />
“L’uomo e la sua formazione: il fondamento<br />
tra troppo e il troppo poco di<br />
semanticità”.<br />
● Informazioni: Centro per la Filosofia<br />
Italiana, viale Piave 79, 00040 Tor<br />
San Lorenzo (RM), tel. 06/9103741<br />
I giorni 18 e 19 ottobre 1991, presso<br />
il Centro Culturale San Fedele di<br />
Milano, è stato organizzato dall’Associazione<br />
Hans Urs von Balthasar,<br />
in collaborazione con l’Editoriale Jaca<br />
Book e l’Editrice Morcelliana, un convegno<br />
di studi sul tema: Solo l’amore<br />
è credidibile. Hans Urs von<br />
Balthasar, una teologia dagli spazi<br />
illimitati. Hanno preso la parola: P.<br />
Henrici: “La formazione culturale e<br />
teologica di H. Urs von Balthasar; R.<br />
Vignolo: “Gloria, una rilettura dell’estetica<br />
teologica; G. Dalmasso: “Teologica:<br />
la verità ‘di’ Dio”; G.<br />
Sommavilla: “Balthasar in Italia: la<br />
testimonianza di un traduttore”; E.<br />
Guerriero: “L’estremo amore di Dio<br />
nella gloria del suo morire:<br />
Teodrammatica”; J. Servais: “L’Istituto<br />
S. Giovanni e la Casa Balthasar”;<br />
A. Sicari: “Maria, Pietro e Giovanni,<br />
figure della Chiesa. L’ecclesiologia<br />
di H. Urs von Balthasar”.<br />
● Informazioni: Associazione Hans<br />
Urs von Balthasar, Via S. Simpliciano<br />
7, 20121 Milano<br />
Organizzato dalla rivista “Nuova Secondaria”,<br />
il 28 e 29 ottobre 1991,<br />
presso la Camera di Commercio di<br />
Brescia, si è tenuto il corso nazionale<br />
di aggiornamento: “Filosofia” e<br />
“Filosofia di”. Ruolo e funzioni<br />
della filosofia nella nuova scuola<br />
secondaria. Relazioni di E.<br />
Agazzi, D. Antiseri, G. Giorello, M.<br />
Perniola, N. Matteucci, F.<br />
D’Agostino, A. Rigobello, I. Mancini,<br />
G. Acone, E. Berti, C. Sini.<br />
● Informazioni: Editrice La Scuola,<br />
Ufficio corsi e convegni, Via Cadorna<br />
11, Brescia<br />
I giorni 1 e 2 novembre 1991, il Centro<br />
Internazionale di <strong>Studi</strong> di Estetica<br />
ha tenuto a Palermo un seminario dal<br />
titolo: Laocoonte 2000, in occasione<br />
della pubblicazione del Laocoonte<br />
di Lessing, promossa dallo stesso<br />
Centro. Si segnalano le relazioni di B.<br />
Andreae: “Perchè il prete Laocoonte<br />
è così grande in confronto ai suoi figli<br />
e per quale motivo ha i capelli scomposti<br />
e irsuti?”; Giorgio Cusatelli:<br />
“Laokoon: un gesto; e Vittorio<br />
Fagone: “Laocoonte: un «errore necessario»?”.<br />
● Informazioni:Centro Interna-zione<br />
<strong>Studi</strong> di Estetica, Viale delle Scienze,<br />
90128 Palermo, tel. 091/6560274<br />
Si è svolto dall’1 al 3 novembre 1991<br />
a Bad Boll un convegno su: Simone<br />
Weil pensatrice politica.
● Informazioni: Evangelische<br />
Akademie, Akademieweg 11, D-7325<br />
Bad Boll.<br />
E’ iniziato il 5 novembre 1991 ad<br />
Amburgo un ciclo di seminari sul<br />
tema: Caos e sistema.<br />
● Informazioni: Evangelische Akademie<br />
Nordelbien, Esplanade 15, D-<br />
2000 Hamburg 36.<br />
Si è tenuto il 6 e 7 novembre 1991<br />
presso l’Università di Osnabruck un<br />
convegno sul tema: Redenzione attraverso<br />
la rivelazione o la conoscenza?<br />
Sul risveglio della<br />
gnosi.<br />
● Informazioni: Prof. Dr. Georg<br />
Untergassmair, Universität Osnabrück,<br />
Fachbereich Katholische<br />
Theologie, Driverstr. 26, D-2848<br />
Vechta.<br />
La Casa della Cultura di Milano, nel<br />
quadro della sua attività seminariale,<br />
organizza a partire dal novembre 1991<br />
una serie di incontri sul Pensiero<br />
inventivo. La fabbrica della cultura,<br />
a cura di Psòmega, che si articoleranno<br />
secondo il seguente calendario:<br />
6 novembre, M. Bonfantini: “Il<br />
Pragmatismo è un umanesimo?”; 6<br />
dicembre, M. Bertoldini, C. Talamo:<br />
“L’atto progettuale”; 24 gennaio, M.<br />
Bonfantini, M. Ferraresi, L. Marconi:<br />
“Le semiotiche speciali”; 14 febbraio,<br />
M. Bonfantini, A. Ponzio: “Dialogo<br />
della menzogna”; 16 aprile, M.<br />
Macciò: “Freud e il comunismo”; 30<br />
aprile, R. Satolli, F. Terragni:<br />
“Bioetica ed ecopolitica”; 14 maggio,<br />
G. Neri, R. Valtorta, M. Ferraresi,<br />
M. Finazzi: “Futuro e immagine”; 28<br />
maggio, G. Liguori, G. Stocchi: “Da<br />
sogni e da città”.<br />
Martedì 10 dicembre ha inoltre avuto<br />
luogo una tavola rotonda con la partecipazione<br />
di M. Cacciari, M. Ferraris,<br />
C. Formenti, R. Madera, M. Spinella,<br />
sul tema: Miti e misteri del mondo<br />
laico. La discussione ha preso<br />
spunto dalla pubblicazione del libro<br />
di Carlo Formenti: Piccole apocalissi.<br />
Tracce della divinità nell’ateismo<br />
contemporaneo (Cortina editore,<br />
1991).<br />
● Informazioni: Casa della Cultura,<br />
Via Borgogna 3, 20122 Milano, tel.<br />
02/795567<br />
Il Club dei Club e il Laboratorio<br />
Riformista, insieme alla rivista “Il<br />
Bianco e il Rosso” e con la collaborazione<br />
scientifica del Centro studi<br />
Politeia di Milano, hanno organizzato<br />
un convegno sul tema: Etica laica<br />
ed etica cattolica a confronto.<br />
Valori, Cultura e Politica, che si è<br />
svolto al Palazzo delle Stelline di<br />
Milano nei giorni 8 e 9 novembre<br />
1991. Il primo giorno, il tema “Laicità<br />
e religiosità nel mondo secolarizzato”<br />
è stato discusso da H. T. Engelhardt<br />
Jr., M. Mori, A. Bausola; è seguita<br />
una serie di interventi di studiosi,<br />
mentre le conclusioni sono state tratte<br />
da S. Veca e F. Forte. Il secondo<br />
giorno del convegno, alla tavola rotonda<br />
sul tema: “Dopo i comunismi:<br />
politica e valori in Italia e in Europa”,<br />
hanno pertecipato P. Carniti, C. Martelli,<br />
M. Martinazzoli, G. Napolitano;<br />
le conclusioni sono state di G.<br />
Spadolini.<br />
● Informazioni: Politeia, Via Brera<br />
18, Milano, tel. 02/877873<br />
Il giorno 11 novembre 1991, presso<br />
l’Aula Absidale di Santa Lucia in<br />
Bologna, il Ministero dell’Università<br />
e della Ricerca Scientifica e l’Università<br />
di Bologna hanno organizzato<br />
una giornata di studio e dibattito per<br />
presentare la ricerca: Come finanziare<br />
l’istruzione universitaria,<br />
realizzata dal Centro Politeia di Milano.<br />
L’analisi della situazione del diritto<br />
allo studio e le nuove proposte di<br />
intervento, quali i prestiti di studio,<br />
sono stati dibattuti in una serie di<br />
interventi di docenti, sindacalisti e<br />
uomini politici. Relazioni di: A.<br />
Visalberghi: “Uno sguardo al panorama<br />
internazionale”; A. Martinelli,<br />
V. Capecchi e A. Zuliani: “Gli aspetti<br />
sociologici: gli effetti sulla composizione<br />
sociale degli studenti, gli sbocchi<br />
professionali dei laureati”; G.<br />
Mazzocchi e F. Cavazzutti: “Gli aspetti<br />
economici: effetti sulla finanza<br />
pubblica, problemi di equità e di efficienza”.<br />
● Informazioni: Politeia, Via Brera<br />
18, 20100 Milano, tel. 02/877873<br />
Il giorno 14 novembre 1991, l’Università<br />
degli <strong>Studi</strong> di Milano, in occasione<br />
del centenario della nascita di<br />
Antonio Banfi ha inaugurato un ciclo<br />
di letture intitolate al nome del filosofo,<br />
che verranno tenute annualmente<br />
da illustri studiosi italiani e stranieri.<br />
Per l’anno accademico 1990-91,<br />
Norberto Bobbio ha parlato sul tema:<br />
La filosofia della storia oggi.<br />
● Informazioni: Dipartimento di Filosofia,<br />
Università degli <strong>Studi</strong> di Milano,<br />
Via Festa del Perdono 7, 20122<br />
Milano, tel. 02/58352733<br />
Si è svolto il 14 novembre 1991 a<br />
Norimberga un convegno su: La conoscenza<br />
di sé e la notte della<br />
colpa. Giovanni della Croce e la<br />
mistica della liberazione.<br />
●Informazioni: C. Pirckheimer Haus,<br />
Königstr. 64, D-8500 Nürnberg 1.<br />
Il 16 novembre 1991 si è tenuto a<br />
Karlsruhe un convegno su: L’uomo,<br />
centro della creazione. Sulla visione<br />
della vita e del mondo di<br />
Albert Schweitzer. Interventi di<br />
CALENDARIO<br />
Claus Günzler (Karlsruhe), Hans H.<br />
Jenssen (Berlin) e Hans-Joachim<br />
Werner (Karlsruhe).<br />
● Informazioni: Katholische<br />
Akademie der Erzdiözese Freiburg,<br />
Postfach 947, D-7800 Freiburg, tel.<br />
0761/19180.<br />
Si è svolto a Heidelberg, il 16 e 17<br />
novembre 1991, un convegno dedicato<br />
al tema: Fenomenologia e<br />
filosofia della natura, cui hanno<br />
partecipato Eberhard Avé-Lallement<br />
(Monaco), Heribert Nobis (Monaco)<br />
e Bernhard Rang (Friburgo in<br />
Brisgovia).<br />
● Informazioni: Katholische<br />
Akademie der Erzdiözese Freiburg,<br />
Postfach 947, D-7800 Freiburg, tel.<br />
0761/19180<br />
L’Accademia Cattolica di Treviri ha<br />
organizzato, dal 21 al 23 novembre<br />
1991, un convegno su: Libertà e<br />
giustizia: due principi contrastanti<br />
nell’attività economica?<br />
●Informazioni: Katholische<br />
Akademie Trier, Postfach 2330, D-<br />
5500Trier<br />
Nel novembre 1991 ha preso il via, a<br />
cura degli Editori Laterza e della<br />
Fodazione Sigma Tau, un ciclo di<br />
conferenze dal titolo: Lezioni italiane,<br />
che studiosi di fama internazionale<br />
terranno in diverse Università<br />
italiane. Il programma per il 1991-<br />
92 è il seguente: 21-22 novembre,<br />
Università ‘La Sapienza’ di Roma -<br />
Wolf Lepenies: “Ascesa e caduta dell’intellettuale<br />
in Europa”; 11-13 dicembre,<br />
Università degli <strong>Studi</strong> Milano<br />
- John Barrow: “Perchè il mondo è<br />
matematico?”; 16-18 dicembre, Università<br />
degli <strong>Studi</strong> di Bologna -<br />
Francisco Varela: “Un know-how per<br />
l’etica”; 17-18 gennaio, Università<br />
‘La Sapienza’ di Roma - Francesco<br />
Corrao: “Modelli psicoanalitici”; 12-<br />
14 febbraio, Università degli <strong>Studi</strong> di<br />
Milano - Ilya Prigogine: “Le leggi del<br />
caos”; 24-26 marzo, Università ‘La<br />
Sapienza’ di Roma - Hilary Putnam:<br />
“Il Pragmatismo, una questione aperta”;<br />
7-9 aprile, Università degli <strong>Studi</strong><br />
di Milano - Aldo Giogio Gargani: “Il<br />
testo del tempo”; s.g. novembre 1992,<br />
Università ‘La Sapienza’ di Roma -<br />
Jean Starobinski: “Aspetti del dono”.<br />
● Informazioni: Fondazione Sigma-<br />
Tau, P.zza S. Ignazio 170, 00186<br />
Roma, tel. 06/6783458.<br />
La Heimvolkshochschule St.<br />
Jakobushaus di Goslar ha organizzato<br />
dal 25 al 29 novembre 1991 un<br />
seminario di introduzione alla filosofia<br />
dedicato al tema: Verità e realtà.<br />
● Informazioni: Heimvolkshochschule<br />
St. Jakobushaus,<br />
Reusstr. 4, D-3380 Goslar.<br />
Il 27 novembre 1991, presso la Sala<br />
del Guariento dell’Accademia<br />
Patavina di Scienze, Lettere e Arti, è<br />
stata organizzata dall’Università degli<br />
<strong>Studi</strong> di Padova una giornata di<br />
studio: Luigi Stefanini (1891-<br />
1956). Nel centenario della nascita.<br />
Dell’opera e del pensiero del<br />
filosofo hanno parlato: G. M. Pozzo:<br />
“Stefanini maestro”; P. Prini: “Il pensiero<br />
di Luigi Stefanini”; G. Flores<br />
d’Arcais: “L’estetica e la pedagogia<br />
di L. Stefanini”. Nell’occasione sono<br />
stati presentati l’edizione di due opere:<br />
L. Stefanini, Platone (2 voll.,<br />
CEDAM, Padova 1991) e Dialettica<br />
dell’immagine. <strong>Studi</strong> su l’<br />
“Imaginismo” di L. Stefanini (A cura<br />
dell’Associazione Filosofica<br />
Trevigiana, Marietti, Genova 1991).<br />
● Informazioni: Accademia Patavina<br />
di Scienze Lettere e Arti, Via Accademia<br />
7, Padova, 049/655249<br />
Si è svolto il 29 e 30 novembre 1991<br />
presso l’Accademia cattolica ‘Die<br />
Wolfsburg’ a Gelsenkirchen un corso<br />
filosofico di base sul tema: Simone<br />
Weil: mistica e filosofia del quotidiano.<br />
● Informazioni: Katholische Akademie<br />
Die Wolfsburg, Virchowstr. 120,<br />
D-4650 Gelsenkirchen.<br />
Il giorno 30 novembre 1991, a cura<br />
delle Università ‘La Sapienza’ e ‘Tor<br />
Vergata’ di Roma, si è tenuto presso<br />
il Dipartimento di Filosofia e di Teoria<br />
delle Scienze Umane un colloquio<br />
sul tema: Prospettive del Realismo.<br />
Hanno preso la parola: A. Stroll:<br />
“Reflection on Surfaces”; P. Bozzi:<br />
“E’ la percezione una facoltà ‘psichica’?”;<br />
H. Hochberg: “Russell’s<br />
Hypothetical Realism”; F. Restaino:<br />
“Realismo senza fondamenti”; B. Mac<br />
Guinness, “Truth, Time and Deity”;<br />
G. Frongia, “Può lo scetticismo essere<br />
confutato?”<br />
● Informazioni: Dipartimento di Filosofia<br />
e Teoria delle Scienze Umane,<br />
Via Magenta 5, 00100 Roma<br />
L’Istituto Suor Orsola Benincasa di<br />
Napoli, in collaborazione con il Dipartimento<br />
di Filosofia dell’Università<br />
di Napoli, ha organizzato, nei<br />
giorni 2 e 3 dicembre 1991, un convegno<br />
dal titolo: Ricordo di Pietro<br />
Piovani (1922-1980). Sono intervenuti<br />
G. Galasso: “Presentazione del<br />
volume di autori vari: L’opera di Pietro<br />
Piovani (Napoli 1991); E.<br />
Opocher: “La filosofia del diritto di<br />
P. Piovani e il pensiero di Capograssi”;<br />
V. Mathieu: “P. Piovani e il diritto<br />
naturale”; M. A. Cattaneo: “Alcune<br />
considerazioni su giusnaturalismo,<br />
giustizia e sentimento del diritto naturale”;<br />
P. Rescigno: “Le ‘situazioni’<br />
del diritto”; A. Giuliani: “Attualità<br />
del vichismo di P. Piovani”; A. Tarantino:<br />
“Dalla natura delle cose sto-
iche al principio di effettività”; G.<br />
Marino: “Filosofia della legge e il<br />
positivismo della scienza”; G.<br />
Martano: “L’ars poetica oraziana<br />
nella germinazione del pensiero vichiano”;<br />
A. Masullo: “La difettività<br />
del fondamento”; G. Calabrò: “Incontro<br />
con Montaigne”; M. Agrimi:<br />
“Ancora sul Vico di Piovani”; D.<br />
Corradini: “La norma e le norme: il<br />
problema dell’intersoggettività e del<br />
riconoscimento; A. Agnelli: “Filosofia<br />
politica e filosofia monastica: la<br />
scelta vichiana di P. Piovani”.<br />
Dal 12 al 14 dicembre 1991 l’Istituto<br />
Suor Orsola Benincasa ha organizzato<br />
un convegno sul pensiero di Augusto<br />
del Noce. Il convegno è stato articolato<br />
per aree tematiche e ha visto la<br />
partecipazione di circa trenta studiosi,<br />
impegnati in sei tavole rotonde. Per la<br />
sezione: “Il problema dell’ateismo”,<br />
hanno preso la parola M. Cacciari: “Il<br />
‘problema dell’ateismo’”; S. Natoli:<br />
“Salvare il tempo e dominare l’evento?<br />
Ateismo e modernità nel pensiero<br />
di A. Del Noce”; A. Rigobello: “Male<br />
e giustizia in A. Del Noce”; M. M.<br />
Olivetti: “Status naturae lapsae e ateismo<br />
nel costituirsi della filosofia moderna”;<br />
R. Buttiglione: “Il rapporto tra<br />
Filosofia e Teologia e la questione<br />
del cristianesimocome problema fondamentale<br />
della filosofia moderna nel<br />
pensiero di A. Del Noce”. Per la sezione:<br />
“Del Noce e il Marxismo”, hanno<br />
parlato E. Berti: “la dialettica nel pensiero<br />
di A. Del Noce”; S. Azzaro:<br />
“Marx, Gramsci, Gentile”; R. De<br />
Mattei: “A. Del Noce e il suicidio della<br />
rivoluzione”; G. Cotroneo: “Il ‘cattolicesimo<br />
comunista’”; V. Strada: “Il<br />
marxismo nell’interpretazione di Del<br />
Noce”. Per la sezione:”Gnosticismo e<br />
utopia”, hanno parlato L. Pellicani:<br />
“Del Noce e lo gnosticismo rivoluzionario”;<br />
A. Andreatta: “Su alcune riflessioni<br />
delnociane in tema di utopia”;<br />
T. Perlini: “L’influenza del pen-<br />
9-12 dicembre<br />
Giancarlo Rota (M.I.T. Boston)<br />
Phenomenology<br />
and the foundations<br />
of mathematics<br />
The axiomatic method and the hermeneutic<br />
circle in mathematics - The<br />
problem of existence of mathematical<br />
constructs - Invention and<br />
discovery in mathematics -<br />
Mathematization as the ideal of the<br />
science.<br />
16-20 dicembre<br />
F. Jarauta, E. Trias, F. Savater A.<br />
Gonzales, J. I. Linazasoro<br />
Pensamiento español<br />
contemporaneo<br />
España, o la historia de una incertidumbre<br />
- Exilio occidental y viaje a<br />
Oriente - Amor proprio y libertad.<br />
siero russo sulla riflessione delnociana”;<br />
G. Riconda: “Del Noce e il pensiero<br />
esostenziale russo”; M. Quaranta:<br />
“A. Del Noce o della Ragion divisa”.<br />
Per la sezione: “Del Noce e la<br />
critica dell’idea di modernità”, hanno<br />
preso la parola L. Colletti: “Del Noce<br />
e la critica della civiltà moderna; S.<br />
Maffettone: “Scienza moderna e riflessione<br />
critica nel pensiero di A. Del<br />
Noce”; A. Zanfarino: “Politica e critica<br />
della modernità”; A. Agnelli: “Il<br />
giudizio sul Risorgimento come misura<br />
dei filosofi italiani del Novecento<br />
per A. Del Noce”; G. Calabrò:<br />
“Cartesio e la crisi libertina nell’interpretazione<br />
di A. Del Noce”. Per la<br />
sezione: “Del Noce e l’interpretazione<br />
di Gentile”, hanno preso la parola A.<br />
Negri: “Del Noce, Gentile e l’interpretazione<br />
transpolitica della storia contemporanea”;<br />
V. Possenti: “Il Gentile<br />
di Del Noce”; B. De Giovanni: “L’interpretazione<br />
del pensiero di Gentile”;<br />
R. De Felice: “La storia contemporanea<br />
nella visione di A. Del Noce alla<br />
luce delle ultime vicende del comunismo”;<br />
P. Prini: “Rosmini, Gioberti,<br />
Gentile e il senso della filosofia del<br />
Risorgimento secondo Del Noce”. Infine<br />
per la sezione: “Del Noce filosofo<br />
della politica italiana”, hanno parlato<br />
C. Vasale: “Il problema di Del Noce<br />
come ‘problema Del Noce’. Appunti e<br />
spunti per una interpretazione politica<br />
del suo pensiero politico”; L. Russi:<br />
“Del Noce storico delle dottrine storiche.<br />
(1970-75)”; D. Castellano: “A.<br />
Del Noce e il problema della definizione<br />
di ‘destra’”; G. Galasso: “La<br />
lettura gramsciana di Del Noce”.<br />
Prosegue intanto il corso di aggiornamento<br />
e perfezionamento in discipline<br />
storico-filosofiche per l’anno accademico<br />
1991-92, dal titolo: Dal<br />
criticismo allo storicismo. Storia<br />
della Storiografia Filosofica,<br />
che l’Istituto Suor Orsola Benincasa<br />
organizza dal novembre 1991 all’a-<br />
CALENDARIO<br />
prile 1992. Ecco il calendario delle<br />
lezioni: 25 novembre - V. Mathieu:<br />
“Il criticismo kantiano (I)”; 26 novembre<br />
- V. Mathieu: “Ilcriticismo<br />
kantiano (II)”; 5 dicembre - C. Cesa:<br />
“Fichte: la dottrina della scienza”; 9<br />
dicembre - G. Moretto: “Schleiermacher<br />
e i nuovi orizzonti della filosofia<br />
della religione”; 17 dicembre -<br />
F. Moiso: “Schelling: dalla filosofia<br />
della natura all’idealismo trascendentale”;<br />
9 gennaio - B. Forte: “Teologia<br />
e filosofia della storia: un dibattito<br />
‘moderno’”; 13 gennaio - V. Verra:<br />
“Hegel: dalla Fenomenologia all’Enciclopedia”;<br />
21 gennaio - C. Cesa:<br />
“Le vie dell’hegelismo”; 28 gennaio<br />
- C. Fabro: “Kierkegaard oggi”; 4<br />
febbraio - G. Riconda: “Schopenhauer:<br />
volontà e rappresentazione”;<br />
11 febbraio - L. Colletti: “Marx e la<br />
concezione materialistica della storia”;<br />
18 febbraio - E. Rambaldi:<br />
“Feuerbach: umanesimo e critica della<br />
religione”; 25 febbraio - G. Vattimo:<br />
“Nietzsche: morte di Dio e rovesciamento<br />
dei valori”; 5 marzo - A. Negri:<br />
“La scienza della società: Comte e<br />
Spencer”; 10 marzo - V. Cappelletti:<br />
“Darwin: tra storia della vita e storia<br />
dell’uomo”; 17 marzo - G. Oldrini:<br />
“La cultura napoletana dell’Ottocento<br />
e l’Europa (I)”; 18 marzo - G.<br />
Oldrini: “La cultura napoletana dell’Ottocento<br />
e l’Europa (II)”; 24 marzo<br />
- F. Barone: “La crisi delle scienze<br />
empiriche”; 1 aprile - S. Mastellone:<br />
“Il pensiero politico dell’Ottocento<br />
tra liberalismo e democrazia”; 7 aprile<br />
- A. Trione: “L’estetica di Francesco<br />
De Sanctis”; 29 aprile - F. Tessitore:<br />
“Il sapere storico: filologia e<br />
metodologia delle scienze storiche”.<br />
● Informazioni: Istituto Suor Orsola<br />
Benincasa, C.so Vittorio Emanuele<br />
292, Napoli<br />
Il 7 e 8 dicembre 1991, presso il<br />
Centro Culturale Polivalente di Cat-<br />
ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI<br />
Palazzo Serra di Cassano - Via Monte di Dio, 14 - 80132 Napoli<br />
Los paradojas de la ética - «La noche<br />
española». España como metaforta<br />
del exceso en el arte del siglo XX - El<br />
espacio interiorizado. Un analisis y<br />
una propuesta.<br />
7-10 gennaio<br />
Gianfranco Poggi (Uni. Virginia)<br />
La Filosofia del denaro di Simmel<br />
La Filosofia del denaro: contesti della<br />
genesi dell’opera - Azione sociale,<br />
agire economico, spirito oggettivo -<br />
La natura del denaro - La società<br />
moderna nel prisma del denaro.<br />
7-11 gennaio<br />
Adriaan Peperzak (Amsterdam)<br />
Il superamento<br />
delle tradizioni antiche e moderne<br />
nella filosofia pratica di Hegel<br />
La filosofia del diritto di Hegel come<br />
trasformazione della Repubblica di<br />
Platone - Elementi aristotelici nella<br />
filosofia hegelianan della prassi -<br />
Hegel contra Hobbes e Rousseau - La<br />
recezione hegeliana dell’etica trascendentale<br />
kantiana - La prassi secondo<br />
Hegel e Heidegger.<br />
13-16 gennaio<br />
Aldo Masullo (Napoli)<br />
Fenomeno-patia del tempoed etica<br />
della salvezza<br />
Il tempo fenomeno-logico e il paradosso<br />
della fattualità - L’ermeneutica<br />
della fattualità e il paradosso del tempo<br />
- La fenomeno-patia del tempo - Il<br />
tempo fenomeno-patico e l’etica della<br />
salvezza.<br />
20-24 gennaio<br />
Patrizia Caselli (Pisa)<br />
tolica, ha avuto luogo un convegno<br />
dal titolo: Elogio della Politica,<br />
organizzato dalla Biblioteca Comunale<br />
in collaborazione con l’Istituto<br />
Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>. Alla<br />
discussione, cui faceva da moderatore<br />
Beniamino Placido, sono intervenuti:<br />
R. Bodei, A. Bolaffi, G.<br />
Carandini, G. Carbone, U. Galimberti,<br />
A. Giolitti, D. Losurdo, A. Manzella,<br />
G. Marramao, S. Vertone.<br />
● Informazioni: Centro Culturale Polivalente,<br />
Piazza della Repubblica 2,<br />
47033 Cattolica (FO), tel. 0541/<br />
967802.<br />
Dal 9 al 12 dicembre 1991, l’Università<br />
degli <strong>Studi</strong> della Repubblica di San<br />
Marino, in collaborazione con il Centro<br />
Internationale di <strong>Studi</strong> Semiotici e<br />
Cognitivi, ha organizzato nella sede<br />
della Biblioteca di Stato un seminario<br />
sul tema: Semantic Theory. Relazioni<br />
di C. Fillmore: “Integrating<br />
Lexical Semantics and the Semantics<br />
of Grammar”; M. Bierwisch:<br />
“Semantic Form as an Interface<br />
between Grammatical and Conceptual<br />
Structure”; G. Nunberg: “Deixis and<br />
Property Transfer: The Varieties of<br />
Deference”; B. Shanon: “The Place of<br />
Semantic Repre-sentation in Cognitive<br />
Theory”; A. Caramazza: “The<br />
Dissolution of Meaning in Brain<br />
Damage”.<br />
● Informazioni: Università di San Marino,<br />
Contrada Omerelli 77, 47031 San<br />
Marino, tel. 0549/882516<br />
Martedì 10 dicembre 1991, presso l’aula<br />
magna dell’Università degli <strong>Studi</strong> di<br />
Pavia, in occasione della presentazione<br />
della traduzione italiana del libro di<br />
Michel Mayer, Problematologia. Filosofia,<br />
scienza e linguaggio (Pratiche<br />
Editrice, Parma 1991), l’autore, presentato<br />
da Livio Rossetti, ha tenuto<br />
una conferenza sul tema: Passioni e<br />
identità personale.<br />
Il sogno<br />
tra Medioevo e Rinascimento<br />
Il sogno nella tarda antichità - Le<br />
visioni: sogno e sognatori nelle fonti<br />
letterarie e nell’iconografia medievale<br />
- La «natura» nel sogno: l’incubo e<br />
le metamorfosi - Il sogno del sogno: i<br />
labirinti di Poliphilo -Il sogno e i<br />
sogni: dal testo all’immagine.<br />
27-30 gennaio<br />
Girolamo Cotroneo (Messina)<br />
Benedetto Croce<br />
dalla politica all’etica<br />
La riscoperta della politica - Un liberalismo<br />
anomalo - Liberalismo, socialismo,<br />
democrazia - Il primato dell’etica.<br />
3-7 febbraio<br />
Carlo Sini (Milano)
● Informazioni: Dipartimento di Filosofia,<br />
Università degli <strong>Studi</strong>, B.go<br />
Carissimi 10, Parma<br />
Il 10 dicembre 1991 ha avuto luogo<br />
ad Amburgo, presso l’Accademia evangelica,<br />
un convegno, con la partecipazione<br />
della teologa Dorothee<br />
Sölle, sul tema: Il valore di mercato<br />
dell’etica.<br />
● Informazioni: Evangelische Akademie<br />
Nordelbien, Esplanade 15, D-<br />
2000 Hamburg 36, tel. 040/341264.<br />
Nei giorni 13 e 14 dicembre 1991 si<br />
sono tenute a Roma due giornate di<br />
studio su: La teoria generale dell’interpretazione<br />
di Emilio Betti.<br />
Al convegno, organizzato dall’Istituto<br />
di Teoria dell’Interpretazione e di<br />
Informatica Giuridica dell’Università<br />
‘La Sapienza’ di Roma e dal C.N.R.,<br />
hanno partecipato: G. Benedetti: “Interpretazione<br />
dell’atto di autonomia<br />
privata tra teoria generale e dommatica.<br />
Un paradosso”; F. Bianco: “La<br />
‘Teoria generale dell’interpretazione’<br />
nel dibattito ermeneutico contemporaneo”;<br />
F. P. Casavola: “Emilio<br />
Betti tra storiografia ed ermeneutica”;<br />
G. Crifò: “La genesi della teoria<br />
dell’interpretazione di Emilio<br />
Betti”; J. Grondin: “L’universalité del<br />
l’herméneutique selon Emilio Betti”.<br />
● Informazioni: Brunella Talarico,<br />
tel. 06/49910222<br />
Si è tenuto il 13 e 14 dicembre 1991<br />
presso l’Accademia cattolica ‘Die<br />
Wolfsburg’ a Gelsenkirchen un corso<br />
filosofico di base sul tema: Edith<br />
Stein: essere finito ed essere eterno<br />
nell’attimo.<br />
● Informazioni: Katholische Akademie<br />
Die Wolfsburg, Virchowstr.<br />
120, D-4650 Gelsenkirchen, tel. 0209/<br />
202499.<br />
Filosofia e scrittura<br />
La pratica del discorso tra oralità e<br />
scrittura - L’alfabeto e la nascita della<br />
logica - La tradizione della filosofia<br />
— La fine della metafisica e il futuro<br />
del pensiero - L’etica della scrittura e<br />
la pratica del foglio-mondo.<br />
10-13 febbraio<br />
Alfonso Ingegno (Firenze)<br />
Malebranche.<br />
Dalla ‘Recherche de la vérité’<br />
al ‘Traité de la natureet de la grâce’<br />
Nasita e metamorfosi della Recherche<br />
de la vérité - La polemica con Foucher:<br />
una revisione decisiva - Traité de la<br />
nature et de la grâce - Da Malebranche<br />
a Vico.<br />
10-14 febbraio<br />
Ettore Lojacono (Bruxelles)<br />
Dal 29 dicembre 1991 al 4 gennaio<br />
1992 si è svolto a Gerusalemme e Tel<br />
Aviv un convegno sul tema: Leibniz<br />
e Adamo.<br />
● Informazioni: Prof. Dr. Marcelo<br />
Dascal, P.O. Box 296, 5500 Kiron,<br />
Israele.<br />
Mercoledì, 8 gennaio 1992 ha avuto<br />
inizio, nella sede della Fondazione<br />
Rosselli di Torino, un ciclo d’incontri,<br />
con riunioni mensili riservate a studiosi<br />
e ricercatori, su: Globalizzazione<br />
e la Triade: conflitto e cooperazione<br />
nell’attuale sistema internazionale.<br />
Agli incontri, coordinati<br />
da Miriam Campanella, sono stati invitati<br />
tra gli altri Susan Strange, Stuart<br />
Holland (Istituto Universitario Europeo<br />
di Firenze) e Pierre Allan (Università<br />
di Ginevra). La relazione introduttiva<br />
all’incontro inaugurale del ciclo è<br />
stata tenuta da James N. Rosenau<br />
(University of Southern California),<br />
che ha parlato sul tema: “La turbolenza<br />
nella politica mondiale”.<br />
● Informazioni: Fondazione Rosselli,<br />
Via S. Quintino 18/c, 10121 Torino,<br />
tel. 011/541113<br />
Il centro culturale ‘La Casa Zoiosa’<br />
organizza per il 1992 nella propria<br />
sede di Milano una serie di corsi: Alle<br />
origini del cristianesimo: la cultura<br />
ellenica nei suoi rapporti<br />
tra giudaismo e cristianesimo,<br />
quattro incontri con Rizzardi (ogni<br />
martedì alle ore 20.30, a partire dal 14<br />
gennaio); Scrittura letteraria, cinque<br />
incontri con A. Nociti (ogni giovedì,<br />
alle ore 20.30, a partire dal 16<br />
gennaio); La cinematografia di<br />
Luis Buñuel, quattro incontri co R.<br />
Escobar (ogni lunedì, alle ore 20.30,<br />
a partire dal 20 gennaio); per la serie:<br />
Storia di luce tra ‘500 e ‘600:<br />
funzione e significati della luce<br />
nella pittura da Leonardo a<br />
Descartes: la logica e il metodo.<br />
Problemi e ipotesi interpretative<br />
I manuali di logica della fine del XVI<br />
e dei primi decenni del XVII secolo -<br />
Dalla logica al metodo - Le diverse<br />
proposte teoretiche cartesiane e il metodo<br />
in atto: dalle Regulae agli Essais<br />
(I e II) - Metodo e metafisica alla luce<br />
deu recenti contibuti di J. L. Marion.<br />
9-13 marzo<br />
Bernard Besnier (Saint-Cloud)<br />
Conjectanea<br />
ad Timaeum pertinentia<br />
Le sens de la figure du démiurge - La<br />
psychologie (l’essence mixte de<br />
l’âme, ses deux facultés cognitives) -<br />
L’astronomie: les mouvements de<br />
Venus et de Mercure - La formation<br />
des corps simples: a) signification<br />
des triangles élémentaires - La for-<br />
CALENDARIO<br />
Rembrandt: “Da Leonardo a<br />
Caravaggio”, quattro incontri con<br />
E. Cerchiari (ogni mercoledì, alle ore<br />
20.30, a partire dal 5 febbraio), e “Il<br />
grand siécle in Francia, Spagna<br />
e Olanda”, quattro incontri con E.<br />
Cerchiari (ogni mercoledì, alle ore<br />
20.30, a partire dal 4 marzo); La perfezione<br />
della distanza: quattro<br />
variazioni sul tema, quattro incontri<br />
con R. Ronchi (esercizi di lettura<br />
di poesia contemporanea, ogni<br />
martedì, alle ore 20.30, a partire<br />
dall’11 febbraio); Etica oggi. Tre<br />
generazioni di filosofi a confronto,<br />
incontro con L. Sichirollo, G.<br />
Bonacina, A. Burgio (lunedì 17 febbraio,<br />
alle ore 20.30); L’eredità che<br />
il pensiero filosofico del nostro<br />
secolo lascia al duemila, lezioni<br />
di P. Rossi, E. Severino, J. Petitot, I.<br />
Toth, H. G. Gadamer (ogni lunedì,<br />
alle ore 20.30, a partire dal 9 marzo).<br />
Per la partecipazione ai corsi è necessaria<br />
l’iscrizione.<br />
● Informazioni: ‘La Casa Zoiosa’,<br />
C.so di Porta Nuova 34, 20121 Milano,<br />
tel. 02/6551813<br />
A partire dal 15 gennaio 1992, la Fondazione<br />
Corrente organizza per l’anno<br />
1992 un seminario permanente di filosofia<br />
dal titolo: Oggetti e forme del<br />
pensiero. Muovendo da ambiti di<br />
riflessione molto differenziati, la proposta<br />
è quella di “riprovare a fare<br />
filosofia”, ridar voce a questioni magari<br />
“vecchie”, comunque “fondamentali”,<br />
cercando di individuare percorsi<br />
dimenticati, indicare nuove strade, coniugare<br />
tradizione e invenzione. Il calendario<br />
degli incontri è il seguente: 15<br />
e 22 gennaio, L. Magnani: “Conoscenza<br />
e matematica”; 29 gennaio e 5<br />
febbraio, M. Prandi: “Volontà di comprendere”;<br />
12 e 19 febbraio, G. Scibilia:<br />
“Decostruzione e costruzione”; 11 e<br />
18 marzo, L. Bonesio: “L’apertura del-<br />
ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI<br />
Palazzo Serra di Cassano - Via Monte di Dio, 14 - 80132 Napoli<br />
mation des corps simples: b) l’unification<br />
des corps simples dans un<br />
même: surmonter le désordre de la<br />
doxa.<br />
23-27 marzo<br />
Reiner Wielh (Heidelberg)<br />
Caso e libertà<br />
La negazione teologica del caso nell’etica<br />
di Spinoza - La revisione antropologica<br />
di caso e libertà nell’etica<br />
di Spinoza - Dei diversi significati di<br />
caso e necessità nella filosofia di Kant<br />
- Teologia e Libertà in Kant - Sguardi<br />
sull’attuale discussione circa il rapporto<br />
tra caso e necessità.<br />
23-27 marzo<br />
Marcello Pera (Catania)<br />
Dal metodo della scienza<br />
alla retorica degli scienziati<br />
lo spazio estetico”. Gli atti degli incontri<br />
verranno pubblicati presso l’editore<br />
Guerini e Associati di Milano.<br />
● Informazioni: Fondazione Corrente,<br />
via Carlo Porta 5, 20121 Milano,<br />
tel.02/6572627<br />
Si è svolto dal 17 al 19 gennaio 1992,<br />
presso l’Accademia evangelica di<br />
Tutzing, un convegno su: Pensare<br />
nella costellazione. L’attualità<br />
di Walter Benjamin nel centenario<br />
della nascita.<br />
● Informazioni: Evangelische<br />
Akademie Tutzing, Schlossstr. 2-4,<br />
D-8132 Tutzing, tel. 08158/2510.<br />
Dal 17 al 19 gennaio 1992, presso<br />
l’Accademia Evangelica del<br />
Palatinato, si è tenuto un convegno<br />
sul tema: Diritto e morale. Qualcosa<br />
di vecchio e di nuovo su un<br />
difficile rapporto. Scopo del convegno<br />
è di chiarire il complesso rappporto<br />
tra diritto e morale in una prospettiva<br />
filosofica, giuridica, politologica<br />
e teologica.<br />
● Informazioni: Evangelische<br />
Akademie der Pfalz, Domplatz 5, 6720<br />
Speyer, tel. 06232 109191.<br />
Viene spostato dal 3-6 ottobre 1991 al<br />
13-16 febbraio 1992 il convegno di<br />
Ginevra sul tema: Giustizia sociale:<br />
pro e contro.<br />
● Informazioni: Christine Tappolet,<br />
Département de Philosophie,<br />
Université de Genève, CH-1211<br />
Genève 4.<br />
Si svolgerà a Urbino dal 2 al 4 marzo<br />
1992 un convegno sul tema: Il giovane<br />
Nietzsche. Aspetti del suo<br />
pensiero e della sua opera con<br />
particolare attenzione al primo<br />
periodo di Basilea.<br />
● Informazioni: Segreteria Convegno<br />
Nietzsche, Istituto di Lingue, Piazza<br />
Rinascimento 7, I-60129 Urbino.<br />
Nascita e decadenza del metodo scientifico<br />
- Dal metodo della scienza alla<br />
retorica degli scienziati - retorica e<br />
logica - Retorica e conoscenza.<br />
30 marzo-3 aprile<br />
Giuseppe Orsi (Ist.It.St.Fil.)<br />
Momenti<br />
di una filosofia<br />
dello spirito<br />
Poesia, filosofia, cristologia in<br />
Petrarca - Storia, verità, certezza in<br />
Vico - Spirito, logica, tempo in Hegel<br />
- «Natura», «natura umana», «alto<br />
sentire» in Leopardi - Spirito, espressione,<br />
memoria in Croce.
L’insegnamento della filosofia<br />
attraverso i testi<br />
E’ possibile costruire un itinerario di<br />
attraversamento della filosofia che sappia<br />
congiungere l’attenzione per la riflessione<br />
specifica dei filosofi con il<br />
rinvio ai contesti culturali e alle correnti<br />
di pensiero, l’esposizione storicocronologica<br />
e il primato della lettura<br />
diretta dei testi? Il nuovo corso di filosofia:<br />
Il testo filosofico. Storia<br />
della filosofia: autori, opere,<br />
problemi (Edizioni Scolastiche Bruno<br />
Mondandori, Milano 1991), nato da<br />
un progetto collettivo elaborato da<br />
Fabio Cioffi, Giorgio Luppi, Amedeo<br />
Vigorelli ed Emilio Zanette, cerca di<br />
impostare l’insegnamento della filosofia<br />
secondo una pluralità di modelli<br />
e di prospettive, tutte convergenti però<br />
nel riconoscimento della centralità<br />
dei testi e nel tentativo di costruire le<br />
necessarie mediazioni per la loro interpretazione.<br />
Con l’apparizione del primo volume de Il<br />
testo filosofico, che riporta come titolo:<br />
L’età antica e medievale, prende avvio la<br />
pubblicazione di un nuovo corso per l’insegnamento<br />
della filosofia, destinato ad articolarsi<br />
attraverso altri due volumi, di cui il<br />
terzo, dedicato alla filosofia contemporanea,<br />
si articolerà a sua volta in due tomi. Le<br />
notevoli dimensioni dell’opera non devono<br />
indurre a pensare che gli autori si siano<br />
proposti l’obbiettivo di un’irraggiungibile<br />
esaustività sul piano dell’informazione. Si<br />
è cercato invece di costruire uno strumento<br />
che, pur compiendo alcune precise scelte,<br />
nel senso di privilegiare nella trattazione i<br />
“classici” del pensiero e le correnti fondamentali<br />
della filosofia antica, presenti tuttavia<br />
una notevole flessibilità di utilizzo e<br />
lasci ampio spazio alla costruzione di percorsi<br />
individuali nell’insegnamento. L’ampiezza<br />
del lavoro dipende inoltre dalla ricerca<br />
di conciliare il mantenimento di una<br />
struttura espositiva dei percorsi della filosofia<br />
con la lettura di un’ampia selezione di<br />
testi, integrata da un adeguato apparato<br />
esplicativo. Convinzione degli autori è che,<br />
se il testo filosofico costituisce il luogo<br />
DIDATTICA<br />
DIDATTICA<br />
a cura di Riccardo Lazzari<br />
privilegiato attraverso cui lavorare per raggiungere<br />
gli obbiettivi formativi e cognitivi<br />
dell’insegnamento della filosofia, «occorre<br />
tuttavia costruire le condizioni di<br />
accesso al testo stesso» e cioè «mettere a<br />
fuoco... gli elementi di contesto, storicoculturale<br />
e teoretico, necessari a collocare<br />
e a leggere ogni singolo testo; gli strumenti<br />
fondamentali di lettura e di interpretazione;<br />
le strategie argomentative e comunicative<br />
seguite dall’autore; il repertorio lessicale<br />
utilizzato dall’autore stesso». In questa<br />
prospettiva il testo dell’autore non è<br />
introdotto come supporto antologico dell’esposizione<br />
manualistica, non costituisce<br />
una semplice esemplificazione dei contenuti<br />
di una narrazione che si sviluppa del<br />
tutto indipendentemente da esso, ma rappresenta<br />
una parte integrante ed essenziale<br />
di ciascuna delle unità didattiche attraverso<br />
cui si articola il corso d’insegnamento.<br />
Le singole unità, a loro volta, non sono<br />
costruite secondo un modello unico di organizzazione<br />
della materia: accanto a unità<br />
organizzate per autori (che presentano cioè<br />
il pensiero di un filosofo nella sua organicità),<br />
abbiamo unità costruite per temi e<br />
problemi; a queste si aggiungono unitàbiografie<br />
(che illustrano “casi” di itinerario<br />
biografico-filosofico) e unità costruite per<br />
intersezioni. Del primo tipo sono gli ampi<br />
capitoli riservati a Platone, ad Aristotele, a<br />
Plotino, a Tommaso d’Aquino e a Ockham.<br />
Socrate, Agostino e Abelardo sono invece<br />
presentati seguendo il filo conduttore della<br />
loro vicenda biografica e intellettuale. Sotto<br />
il titolo “temi e problemi” vengono ricostruiti<br />
alcuni dei principali nodi problematici<br />
del pensiero antico-medievale, intorno<br />
a cui si sono intrecciate più strategie intellettuali<br />
(per es.: uno e molteplice, linguaggio<br />
e verità, felicità, scepsi). Le “intersezioni”,<br />
a loro volta, analizzano particolari<br />
interrelazioni fra pensiero filosofico e scienze<br />
(per es.: “Da Ippocrate a Galeno: filosofia<br />
e medicina in Grecia”). Ciascuna unità,<br />
poi, si articola attraverso un ampio apparato<br />
didattico: oltre alle introduzioni ai vari<br />
autori e correnti, scritte con linguaggio<br />
chiaro ed accessibile agli studenti, compaiono<br />
le introduzioni ai brani tratti dalle<br />
opere, che a loro volta sono ampiamente<br />
commentati attraverso note esplicative. I<br />
testi di più ardua comprensione sono poi<br />
accompagnati da schede di lettura. La pre-<br />
senza per ciascun capitolo di un dizionario<br />
filosofico cerca di facilitare l’acquisizione,<br />
da parte dello studente, del lessico<br />
specifico della disciplina. Particolari temi<br />
e percorsi di approfondimento sono sviluppati<br />
attraverso delle schede che si affiancano<br />
al percorso principale, senza gravare<br />
sulla sua struttura espositiva. Va segnalato<br />
il fatto che ogni unità presenta<br />
delle schede di lavoro che suggeriscono<br />
possibili percorsi operativi di riflessione e<br />
di rielaborazione, oltre che di verifica dell’apprendimento.<br />
Ma l’aspetto forse più originale del nuovo<br />
corso di filosofia è la presentazione di<br />
alcune “unità-opere”, nelle quali non si<br />
presentano soltanto ampie sezioni di un<br />
testo, ma si forniscono strumenti specifici<br />
per l’avviamento alla lettura di un’opera<br />
filosofica (e, nella fattispecie, per il Gorgia<br />
di Platone e per il De Anima di Aristotele).<br />
Si intende in questo modo mettere in luce<br />
il rapporto che intercorre tra le strutture<br />
teoriche e le strutture comunicative, e tracciare<br />
una sorta di mappa dei generi filosofici.<br />
Il Testo filosofico mette dunque in gioco<br />
una pluralità di metodi e di possibili approcci<br />
all’insegnamento della disciplina,<br />
venendo incontro alle esigenze di una didattica<br />
complessa e non riducibile ad un<br />
unico “stile”. Questa complessa organizzazione<br />
del manuale non dà peraltro luogo<br />
ad una frammentazione e dispersione dei<br />
contenuti, poiché la struttura del corso<br />
rimane trasparente e chiara nelle sue articolazioni<br />
di fondo, anche grazie alla veste<br />
editoriale dell’opera. Hanno collaborato<br />
alla stesura di singoli capitoli Paolo Concetti,<br />
Marco Fossati, Guido Piazza, Giuseppe<br />
Pirola, Paola Pirzio, Anna Sordini<br />
e Paolo Ferri.<br />
Interventi, proposte, ricerche<br />
Nell’ambito di una discussione avviata<br />
sulla rivista “Paradigmi” da un primo<br />
intervento di Franco Bianco sulla<br />
didattica della filosofia (“Insegnamento<br />
della filosofia: metodo ‘storico’ o<br />
metodo ‘zetetico’?”, n. 23, 1990), vengono<br />
pubblicati sulla medesima rivista<br />
(n. 26, maggio-agosto 1991) due
contributi di Bruno Coppola: “Normalità<br />
e rivoluzione in filosofia”, e di Fulvio<br />
Papi: “Sull’identità culturale dell’insegnante<br />
di filosofia nelle scuole medie<br />
superiori”.<br />
Nell’insegnamento della filosofia, è noto,<br />
si sono concentrate tutte le contraddizioni<br />
della cosiddetta “Riforma-Gentile”, che faceva<br />
della filosofia, ben più di una disciplina,<br />
un criterio regolatore di fondo: di una<br />
interpretazione del significato della filosofia<br />
si fece una funzione trascendentale -<br />
come mette in luce Bruno Coppola. L’esigenza<br />
attuale di rinnovamento rischia peraltro<br />
di stemperarsi spesso nella ricerca di<br />
una soluzione solo tecnico-operativa, ossia<br />
di un orientamento didattico valutato soltanto<br />
per i suoi caratteri di efficacia e di<br />
efficienza. Occorre invece restituire alla<br />
didattica della filosofia uno spessore teorico,<br />
ossia la «possibilità di proporsi come<br />
“pensiero della filosofia”», partendo da<br />
un’autentica passione per la teoria che deve<br />
animare il docente. Suo compito, infatti, è<br />
di reimpossessarsi del ruolo “pensante” di<br />
ricercatore, di non limitarsi a «trasmettere<br />
il sapere surgelato di una, comunque intesa,<br />
storia della filosofia», ma di entrare nel<br />
merito di quel sapere, di collocarsi in esso<br />
e di prendere posizione. A partire poi da<br />
alcune precisazioni circa i rapporti fra quelli<br />
che, per ricorrere ad una metafora kuhniana,<br />
si possono definire i momenti di “normalità”<br />
e i momenti di ricerca “straordinaria o<br />
rivoluzionaria” nel lavoro dei filosofi, l’autore<br />
affronta la questione inerente al ritmo<br />
e alla scansione dello sviluppo della filosofia,<br />
mostrando le complesse problematiche<br />
che si celano nella diffusa immagine della<br />
filosofia come incessante ricerca della verità.<br />
Che al problema della difficoltà dell’insegnamento<br />
nelle scuole superiori della filosofia<br />
- come disciplina che non dovrebbe<br />
essere insegnata attraverso un processo di<br />
“miniaturizzazione” - non sia possibile porre<br />
semplicemente rimedio attraverso il ricorso<br />
ad una qualche forma di “tecnologia<br />
didattica” - che pretenda di offrire la garanzia<br />
di «controllare, verificare, quantificare<br />
i risultati dell’insegnamento in una dimensione<br />
capace di una sua istituzionale obbiettività»<br />
-, è anche il punto di avvio della<br />
complessa riflessione di Fulvio Papi. Nel<br />
suo ampio intervento Papi muove da una<br />
individuazione della «difficoltà» come «isola<br />
emergente della figura culturale dell’insegnante<br />
di filosofia», per allargare la<br />
considerazione alla totalità di questioni che<br />
mettono oggi in forse l’identità culturale<br />
dell’insegnante, in generale, delle scuole<br />
superiori. «L’insegnante di filosofia non è,<br />
se non per una elevata finzione come, ad<br />
esempio, era quella della pedagogia di<br />
Gentile, un personaggio che si identifica<br />
idealmente in alcuni testi della tradizione<br />
filosofica, e che fa da tramite, evocativo,<br />
orale, vivente e teatrale assieme, tra lo<br />
spirito, ma anche la razionalità, il senso o il<br />
nulla, e coloro che, a loro volta, devono<br />
DIDATTICA<br />
essere identificati in questo modo. L’identità<br />
culturale non si ritrova mai in un processo<br />
così semplice, quasi una deduzione<br />
della forma dell’esistenza da un cielo simbolico».<br />
Vanno diversamente esaminati<br />
quelli che di volta in volta sono «i significati<br />
pubblici che vengono attribuiti alle<br />
azioni di un insegnante di filosofia», «gli<br />
immaginari che sono prossimi al suo lavoro,<br />
quelli dunque degli allievi», i livelli di<br />
interazione sociale e comunicativa, l’immaginario<br />
che è proprio dell’insegnante e<br />
le sue forme di razionalizzazione, infine lo<br />
stato generale del sapere filosofico che<br />
costituisce la linea di continuità rispetto<br />
alla scelta originaria insegnante. Si tratta di<br />
una pluralità di variabili che non si situano<br />
«su una linea di composizione armonica»,<br />
ma che costituiscono elementi per lo più<br />
conflittuali. Da qui discende la prima indicazione<br />
per chi voglia assumere la complessa<br />
funzione dell’insegnante: «la prima<br />
azione educativa che deve compiere un<br />
insegnante è sostanzialmente su se stesso,<br />
per dare un ordine accettabile a questo<br />
sistema di tensioni e per ostacolare, nei<br />
limiti del possibile, lo spontaneo trasferimento<br />
metaforizzato di queste tensioni nello<br />
stesso esercizio didattico».<br />
A partire da qui la riflessione di Papi si<br />
snoda nel duplice tentativo di mettere a<br />
fuoco l’insegnamento come pratica materiale<br />
e come senso, nonché la relazione che<br />
intercorre tra il senso dell’insegnamento ed<br />
il compito più generale del pensare filosofico.<br />
Meta orientativa delle argomentazioni<br />
dell’autore è la convinzione che «si<br />
possa insegnare meglio filosofia se si pensa<br />
che essa non sia una infinita autoriflessione<br />
su se stessa che si frammenta nel nulla, ma<br />
un particolare conoscere del mondo che<br />
nasce da una passione vitale di sapere, così<br />
come passioni di sapere sono le teorie scientifiche,<br />
le poesie, le pitture.»<br />
Convegni<br />
Alla Casa della Cultura di Milano ha<br />
preso avvio nel novembre 1991 un<br />
Corso di aggiornamento per insegnanti<br />
di filosofia delle<br />
scuole medie superiori, diretto da<br />
Fulvio Papi, che si protrarrà fino al<br />
febbraio 1992.<br />
Il calendario del Corso ha visto le seguenti<br />
relazioni: 7 novembre, G. Marchianò:<br />
“L’unificazione degli studi di estetica: convergenze,<br />
prospettive e progetti novecenteschi”;<br />
14 novembre, G. Scaramuzza: “Per<br />
una fenomenologia dell’arte”; 28 novembre,<br />
A. Trione: “Arte, natura, simbolo”; 5<br />
dicembre, F. Papi: “Sulla poesia”; 12 dicembre,<br />
F. Fanizza: “La genealogia della<br />
coscienza artistica moderna”; 23 gennaio,<br />
P. Montani: “Il soggetto e gli intrecci”; 30<br />
gennaio, S. Givone: “Poesia e filosofia”; 6<br />
febbraio, S. Zecchi: “Grande stile”. L’entrata<br />
è libera. Il corso è gratuito. Le lezioni<br />
saranno disponibili, registrate su audiocassette,<br />
al costo di L. 15.000.<br />
Informazioni: Casa della Cultura, Via<br />
Borgogna 3, 20122 Milano, tel. 02/795567<br />
Un convegno dal titolo: Radici storiche<br />
e problemi teorici della<br />
filosofia politica contemporanea,<br />
è previsto a Pisa nei giorni 10-12<br />
aprile 1992. Promotori dell’inizianita<br />
per l’aggiornamento degli insegnanti<br />
di filosofia sono il Dipartimento di Filosofia<br />
dell’Università di Pisa, la sezione<br />
lucchese della Società filosofica Italiana<br />
e il Liceo Classico “G. Galilei” di<br />
Pisa, insieme con gli Assessorati comunale<br />
e provinciale alla cultura.<br />
Il lavori del convegno inizieranno il giorno<br />
10 aprile alle ore 15.00, continueranno il<br />
giorno 11 mattina e pomeriggio, per concludersi<br />
nella mattinata del giorno 12. Queste<br />
le relazioni previste: V. Sainati: “Presentazione<br />
del corso”; Baccelli: “Temi e<br />
problemi della filosofia politica contemporanea”;<br />
S. Veca: “Contrattualismo e neocontrattualismo”;<br />
D. Zolo: “Teorie classiche,<br />
moderne e contemporanee della democrazia”;<br />
N. Badaloni: “Filosofie contemporanee<br />
ed epocali: il caso del<br />
marxismo”. In chiusura dei lavori (prevista<br />
per le ore 12.30 del giorno 12 aprile) si terrà<br />
una tavola rotonda con la partecipazione di<br />
tutti i relatori.<br />
Informazioni: Liceo Classico “G. Galilei”,<br />
via B. Croce 32, Pisa, tel. 050/23240 (dal<br />
lunedì al venerdì, ore d’ufficio); 050/47310<br />
e 0584/791279 (ore 19-20). Per la partecipazione<br />
al convegno occorre inviare domanda<br />
e versare L. 20.000 su cc. postale n.<br />
12848560, intestato a Liceo Classico “G.<br />
Galilei”, Pisa, specificando la causale del<br />
versamento.<br />
Il Dipartimento di Filosofia dell’Università<br />
degli <strong>Studi</strong> di Milano e<br />
l’I.R.R.S.A.E. Lombardia hanno promosso<br />
una tavola rotonda, tenutasi il<br />
24 ottobre 1991 presso l’Università<br />
degli <strong>Studi</strong> di Milano, sul tema: Nuovi<br />
linguaggi per la professionalità<br />
docente. Rapporto tra arti,<br />
scienze e filosofia. Vi<br />
hanno partecipato: C. Scurati, G. Gori,<br />
F. Botturi, P. D’Alessandro, M. A. Del<br />
Torre, E. Franzini, G. Micheli, S. Pizzetti,<br />
S. Restelli, S. Sidoni.<br />
Cesare Scurati (Presidente dell’I.R.R.S.A.E.<br />
Lombardia) ha introdotto la<br />
tavola rotonda mettendo in luce come l’iniziativa<br />
di aggiornamento copra un’area formativa<br />
che è rimasta finora poco valorizzata<br />
rispetto ad altre discipline nell’ambito<br />
del rinnovamento degli insegnamenti e delle<br />
metodologie. Un primo traguardo del gruppo<br />
di ricerca, che vede la collaborazione di<br />
insegnanti di liceo di discipline umanistiche<br />
e filosofiche e di docenti e ricercatori
del Dipartimento di Filosofia dell’Università<br />
degli <strong>Studi</strong> di Milano, è quello di preparare<br />
i “formatori”, come specifica figura<br />
professionale operante nella scuola nell’ambito<br />
dell’aggiornamento.<br />
Giambattistia Gori, Direttore del Dipartimento<br />
di Filosofia, ha invece sottolineato<br />
come fra insegnamento universitario e insegnamento<br />
filosofico liceale esista una<br />
continuità maggiore di quanto appaia dall’assetto<br />
istituzionale: una continuità, rappresentata<br />
anzitutto dagli studenti. Occorre<br />
pertanto lavorare su un’idea comune di<br />
insegnamento filosofico, confrontandosi<br />
con quelle che sono le stesse attese degli<br />
studenti quando intraprendono lo studio<br />
della filosofia. E’ evidente ormai l’insufficienza<br />
di un modello d’insegnamento che<br />
privilegia esclusivamente l’asse storicocronologico;<br />
è evidente anche l’insoddisfazione<br />
odierna degli studenti nei riguardi<br />
degli sfondi storico-culturali, davanti ai<br />
quali si poteva in passato rappresentare<br />
qualsiasi dramma filosofico. D’altronde, la<br />
necessità di superare un insegnamento manualistico,<br />
spesso identificato dallo studente<br />
che proviene dalle scuole superiori<br />
con lo studio della filosofia come tale, non<br />
deve far perdere di vista l’esigenza di commisurarsi<br />
con il piano della “generalità” in<br />
senso storico-culturale. In positivo, si tratta<br />
di promuovere una maggiore attenzione<br />
per la dimensione argomentativa del discorso<br />
filosofico, spesso finora trascurata a<br />
vantaggio di scelte ideologiche, di favorire<br />
un’indagine storico-filosofica che non rinunzi<br />
a prese di posizione concettuale e a<br />
valutazioni, per abbandonarsi semplicemente<br />
al flusso storico, di fare i conti con il<br />
carattere composito del linguaggio filosofico<br />
(in cui confluiscono più elementi del<br />
linguaggio scientifico, letterario, giuridico),<br />
ricuperando la stessa dimensione interdisciplinare<br />
della filosofia intesa come<br />
“genere misto”.<br />
La valorizzazione di questa dimensione<br />
interdisciplinare del discorso filosofico è<br />
quanto si propongono di conseguire i vari<br />
gruppi di ricerca che operano già da tempo<br />
nell’ambito della collaborazione fra<br />
I.R.R.S.A.E. e Dipartimento di Filosofia.<br />
Sono state quindi presentate, dai rispettivi<br />
coordinatori, alcune relazioni sulle seguenti<br />
attività di gruppo: “Filosofia e scienza” (G.<br />
Micheli), “Filosofia e cinema” (E.<br />
Franzini), “Letteratura e filosofia”<br />
(D’Alessandro), “Filosofia e storia” (F.<br />
Botturi, S. Pizzetti), “Filosofia e musica”<br />
(M. Fabbri), “Filosofia, educazione e scienze<br />
umane” (Zanelli).<br />
La Bibbia è uno dei grandi “codici” che<br />
sono alla base della cultura occidentale.<br />
Lo studio e la conoscenza di essa,<br />
anche sul piano meramente storicoculturale<br />
ed indipendentemente dal<br />
valore “sacro” attribuito ad essa dalle<br />
varie tradizioni religiose, sono ineludibili<br />
per chi voglia ricostruire le radici<br />
storiche dell’Occidente. E’ inevitabile<br />
DIDATTICA<br />
quindi il confronto con il testo biblico<br />
nell’ambito della scuola a fianco dello<br />
studio della filosofia greca. Questi in<br />
particolare i temi emersi al convegno:<br />
Il libro assente: Bibbia, cultura<br />
e scuola in Italia, tenutosi<br />
a Bologna il 20 ottobre 1991.<br />
Organizzatrice del convegno è stata un’associazione<br />
laica di cultura biblica, Biblia,<br />
nata nel 1984 con sede nei pressi di Firenze,<br />
a cui aderiscono studiosi italiani di differente<br />
provenienza culturale, con la collaborazione<br />
di altre associazioni e riviste interessate<br />
all’argomento. I lavori erano articolati<br />
in tre relazioni fondamentali durante il<br />
mattino e in una tavola rotonda al pomeriggio.<br />
L. A. Schokel, del Pontificio Istituto<br />
Biblico, ha affrontato il tema: «Ricezione e<br />
produzione di cultura nella Bibbia», da un<br />
punto di vista più analitico che teorico, con<br />
esemplificazione di testi biblici. La Bibbia<br />
è infatti anche un testo culturale che ha<br />
prodotto figure tipologiche, moduli e forme<br />
poetiche, trame di simboli che hanno<br />
alimentato le culture occidentali successive<br />
e che non sono per nulla inferiori, per<br />
originalità, ai prodotti della cultura greca.<br />
Collocandosi su di un versante più filosofico,<br />
S. Natoli, dell’Università di Milano, ha<br />
sviluppato il tema: «Ermeneutica “laica”<br />
del testo sacro», mettendo in evidenza l’esperienza<br />
del sacro, rivissuta attraverso il<br />
rito, che si deposita nella Bibbia. Di fronte<br />
a questo testo, un atteggiamento “razionalista”<br />
sarebbe sempre riduzionistico; è necessario<br />
piuttosto un approccio di tipo ermeneutico,<br />
che stabilisca una fusione di<br />
orizzonti. Ogni atto ermeneutico, che è<br />
sempre esperienza dell’altro, implica sia<br />
l’inesauribilità dell’altro sia la finitezza<br />
dell’uomo interpretante. Nel testo sacro è<br />
in questione la verità come vita vissuta e<br />
non come teoria: termini e simboli religiosi<br />
sono trasposti dall’orizzonte originario a<br />
quello “secolare” e il testo”sacro” diventa<br />
“genere letterario”. La Bibbia si costituisce<br />
così come ermeneutica dell’Occidente o<br />
documentazione delle sue radici. La Bibbia<br />
come testo generativo di cultura è stato<br />
appunto il tema affrontato da S. Quinzio,<br />
noto studioso di ebraismo e in generale di<br />
questioni religiose. Senza il riferimento<br />
alla Bibbia - questa la considerazione introduttiva<br />
- non si possono capire grandi masse<br />
di fenomeni culturali dell’Occidente,<br />
come la pittura la poesia o l’ethos. Nonostante<br />
il processo di “ellenizzazione”, il<br />
messaggio biblico ha saputo conservare la<br />
sua specificità di fattore costitutivo della<br />
stessa modernità, la cui essenza può essere<br />
individuata nel passaggio dalla metafisica<br />
alla storia. La religiosità biblica sottrae alla<br />
natura la dimensione sacrale, in forza della<br />
trascendenza dell’unico Dio, consegnando<br />
il mondo alla sua autonomia. Su questa<br />
base, infatti, è potuta nascere l’idea di storia,<br />
che è più una creazione dei profeti<br />
ebraici che degli storici greci: Agostino e<br />
Gioacchino da Fiore sono i lontani precur-<br />
sori di Hegel.<br />
D’impostazione dichiaratamente didattica<br />
è stato l’intervento di M. Laeng, pedagogista<br />
dell’Università di Roma, che ha parlato<br />
su «La collocazionde di un insegnamento<br />
aconfessionale della Bibbia nella scuola».<br />
A partire dalla “canonizzazione” della Bibbia<br />
come un testo scritto, si è sviluppata la<br />
gamma complessa e tormentata dei vari tipi<br />
di lettura del testo sacro. Dalle letture originarie<br />
pneumatiche, mistiche ed anche<br />
visionarie, si è passati ad una considerazione<br />
di tipo prevalentemente filologico, in<br />
cui sono esaltate le dimensioni letterare,<br />
storiche, giuridiche e filosofiche. Ma come<br />
studiare oggi il testo biblico? Laeng ha<br />
proposto un itinerario “scolastico” così<br />
strutturato: nella scuola elementare dovrebbe<br />
valere un metodo di acculturazione a<br />
episodi (come le parabole); nella scuola<br />
media si dovrebbe lasciare spazio all’inquadramento<br />
storico dei testi biblici; nella<br />
scuola secondaria si dovrebbe procedere<br />
all’analisi del linguaggio biblico e dei concetti-chiave<br />
del testo. Ancora in ambito<br />
didattico si è sviluppato l’intervento di C.<br />
Bucciarelli, ricercatore del Censis, che ha<br />
presentato una ricerca sull’insegnamento<br />
della Bibbia nelle scuole dei vari Stati<br />
europei. Secondo Bucciarelli sembra che<br />
con la caduta delle ideologie totalizzanti si<br />
assista all’eclisse del fenomeno della “secolarizzazione”.<br />
D’altro canto, la generalizzazione<br />
del modello funzionalistico del<br />
mercato costringe la scuola a sintonizzarsi<br />
con questa realtà dominante. Una futura<br />
collocazione dello studio della Bibbia dovrà<br />
dunque puntare sulla dimensione umana<br />
del testo religioso, al di fuori di ogni<br />
ipoteca di tipo confessionale.<br />
Infine P. Stefani, biblista oltre che operatore<br />
scolastico, ha presentato una ricerca su<br />
«La Bibbia nei libri di testo della scuola<br />
secondaria». Nei manuali di storia e di<br />
filosofia, la presenza di sezioni dedicate<br />
alla Bibbia appare del tutto opzionale. Laddove<br />
compare la Bibbia è considerata sempre<br />
e solo Bibbia cristiana e mai anche<br />
ebraica; non si dà mai una “storia degli<br />
effetti” profondissimi di questo testo nella<br />
civiltà occidentale; non si conosce affatto<br />
la storia della genesi di questo “grande<br />
codice” (N. Frye) della nostra cultura. La<br />
proposta è allora quella di un’insegnamento<br />
aconfessionale della Bibbia, da svolgersi<br />
sul piano storico-culturale. A.C.
NOTIZIARIO<br />
Si sapeva dalle biografie che il primo<br />
e più importante filosofo russo,<br />
VLADIMIR SOLOV’EV (1853-1900)<br />
fu sospeso dall’insegnamento dopo<br />
l’uccisione di Alessandro II, per aver<br />
ricordato al successore che un principe<br />
cristiano non poteva autorizzare,<br />
senza cadere in contraddizione, delle<br />
esecuzioni capitali. Fra i 39 documenti<br />
della vita e dell’opera di<br />
Solov’ev, recentemente pubblicati da<br />
Ju. N. Sucharev nei “Vosprosy filosofii”<br />
(n. 2, 1991, pp. 136 e sgg.), nel<br />
quadro delle iniziative suggerite dall’attuale<br />
ripresa d’interesse per gli<br />
aspetti della cultura russa prerivoluzionaria,<br />
finora trascurati, sono ora<br />
accessibili: 1) la lettera con cui il<br />
Ministro degli interni, conte Michail<br />
T.Loris-Melikov, comunicò al collega<br />
dell’istruzione, barone Aleksandr<br />
P. Nikolai, l’ordine dello zar di sospendere<br />
Solov’ev dall’insegnamento;<br />
2) l’accompagnamento di una ulteriore<br />
trasmissione della stessa lettera<br />
al ministro dell’istruzione, in relazione<br />
all’incarico, che Solov’ev anche<br />
deteneva, di membro del Comitato<br />
scientifico.<br />
E’ stata presentata il 14 novembre a<br />
Milano una nuova “iniziativa editoriale”,<br />
la EGEA (Edizioni giuridiche<br />
economiche aziendali) promossa dall’Università<br />
Bocconi e dall’editore<br />
Giuffré, che si affaccia sulla scena<br />
editoriale con tre proposte: una raccolta<br />
di testi di Samuel Beckett,<br />
Disiecta, a cura di Aldo Tagliaferri, la<br />
traduzione di una parte delle Enneadi<br />
di Plotino con il titolo: L’eternità e il<br />
tempo, a cura di Mario Vegetti, e<br />
l’opera di Carlo Sini, Dal simbolo<br />
all’uomo. Oltre agli autori dei suddetti<br />
volumi, hanno partecipato alla<br />
presentazione di questa collana Rocco<br />
Ronchi e Gino Zaccaria, direttori della<br />
collana insieme a Sini. La scelta di<br />
pubblicare opere così eterogenee come<br />
quelle di Beckett e di Plotino, ha<br />
osservato Sini, non vuole essere una<br />
“controtendenza”; un progetto di questo<br />
genere, prima ancora che velleitario,<br />
sarebbe ingenuo, perché non coglierebbe<br />
il nocciolo del problema,<br />
che consiste nella “ricerca di senso”<br />
di ciò che si fa. Per porsi una domanda<br />
di questo genere occorre muovere da<br />
una convinzione che è l’esatto contrario<br />
del presupposto su cui si fonda<br />
l’”industria culturale”: la filosofia non<br />
è un “aspetto” della cultura, è essa<br />
sola “cultura” in senso proprio, se con<br />
ciò si intende la riflessione su ciò su<br />
cui la chiacchiera non riflette. Volendo<br />
concretizzare questo rapporto con<br />
un’immagine, è la cultura che è “a<br />
rimorchio” della filosofia, e non viceversa.<br />
Il proliferare di traduzioni, la<br />
diffusione dei libri, la circolazione<br />
delle informazioni, la cosiddetta<br />
“sprovincializzazione” della cultura<br />
italiana sarà certo un aspetto positivo;<br />
chi vuole però realmente occuparsi di<br />
filosofia, ha concluso Sini, deve cercare<br />
non libri “culturali”, ma libri<br />
“che fanno cultura”.<br />
Per iniziativa di Mirella Mauro Bove,<br />
Maria Rosaria Alfani e Maurizio<br />
Zanardi sono nate a Napoli le EDIZIO-<br />
NI CRONOPIO, un’impresa culturale<br />
che si propone di percorrere sentieri<br />
nuovi o comunque scarsamente battuti<br />
dalla grande editoria. Classici della<br />
letteratura e del pensiero, ma anche<br />
saggi che interrogano le forme di vita,<br />
le etiche e le politiche del nostro tempo,<br />
costituiranno i titoli delle varie<br />
collane. La casa editrice farà il suo<br />
ingresso nelle librerie con due testi di<br />
carattere filosofico: Dopo il comunismo<br />
di Biagio de Giovanni, e Dell’io<br />
come principio della filosofia, ovvero<br />
sull’incondizionato nel sapere umano<br />
(a cura di Antonella Moscati), di F.<br />
W. J. Schelling. Il volume di De Giovanni,<br />
dialogando con grandi pensatori<br />
come Machiavelli, Tocqueville,<br />
Marx, Gramsci, tenta di delineare una<br />
teoria politica nuova, dimostrando come<br />
oggi essa sia resa possibile proprio<br />
dalla catastrofe dei regimi politici<br />
dell’Est europeo. Nel definitivo<br />
congedo dal comunismo, De Giovanni<br />
invita a riprendere il filo di un<br />
discorso politico incentrato sull’idea<br />
di libertà, antidoto ai totalitarismi ideologici<br />
e storici che hanno percorso<br />
la vicenda del secolo. Il secondo<br />
testo che queste Edizioni propongono<br />
è la prima traduzione integrale di<br />
uno scritto che Schelling compose<br />
all’età di vent’anni. Discutendo con<br />
grande vigore critico le posizioni filosofiche<br />
di Cartesio, Spinoza, Kant e<br />
Fichte, Schelling muove con decisione<br />
verso la sua originale concezione<br />
della libertà, attualmente al centro - in<br />
particolar modo nei lavori di Cacciari<br />
e di Pareyson - di una grande attenzione<br />
da parte degli studiosi. Nel programma<br />
della casa editrice figura, tra<br />
gli altri titoli, la traduzione della<br />
Prototeodicea, prima stesura della<br />
Teodicea di G. W. Leibniz, testo importante<br />
ed inedito anche in lingua<br />
tedesca.<br />
Del filosofo rinascimentale PIETRO<br />
POMPONAZZI è stata pubblicata la<br />
prima traduzione in lingua tedesca<br />
del Trattato sull’immortalità dell’anima<br />
(Abhandlung über die<br />
Unsterblichkeit der Seele, traduzione<br />
e introduzione di Burkhard Mojsisch,<br />
Felix Meiner, Amburgo 1990). Pubblicato<br />
nel 1516 a Bologna in lingua<br />
latina, il Trattato è il risultato di un<br />
confronto con Aristotele e con le posizioni<br />
aristotelico-scolastiche a proposito<br />
della questione tradizionale dell’immortalità<br />
dell’anima. Facendo ricorso<br />
all’esperienza, Pomponazzi mostra<br />
come nei limiti della ragione filosofica<br />
l’anima appaia sempre in connessione<br />
con il corpo e non possa<br />
darsi al di fuori di esso. Duecento<br />
anni separano questa traduzione dalla<br />
prima edizione tedesca del testo latino<br />
dell’opera, curata nel 1791 dall’erudito<br />
Chr. G. Bardili, cugino di<br />
Schelling.<br />
In collaborazione con L’Istituto Italiano<br />
per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli<br />
e in relazione al programma filosofico<br />
che ha portato, presso l’editore<br />
Meiner di Amburgo, alla recente pubblicazione<br />
della Europaïschen<br />
Enzyklopädie zu Philosophie und<br />
Wissenschaften, é nata nel 1991, presso<br />
il medesimo editore, la rivista quadrimestrale<br />
DIALEKTIK. In ogni numero<br />
della nuova rivista vengono af-<br />
NOTIZIARIO<br />
frontati alcuni nodi cruciali della riflessione<br />
filosofica contemporanea in<br />
campo teoretico-epistemologico, etico-politico<br />
e nel settore delle scienze<br />
sociali. Tenendo costantemente presenti<br />
l’attualità delle problematiche<br />
affrontate e la loro reale incisività nel<br />
dibattito filosofico odierno (la questione<br />
della filosofia di Marx e del<br />
marxismo è oggetto, ad esempio, del<br />
secondo numero), lo scopo che la<br />
rivista si propone è quello di fornire<br />
un esame razionale e comparato delle<br />
forme di conoscenza filosofica e scientifica<br />
nella prospettiva non solo dell’attualità<br />
della conoscenza, ma anche<br />
della totalità della comprensione.<br />
E’ stato pubblicato nella serie di atlanti<br />
del Deutscher Taschenbuch<br />
Verlag, dedicati a diversi ambiti del<br />
sapere, l’ ATLANTE DI FILOSOFIA<br />
(DTV, München 1991). L’atlante ripercorre<br />
la storia della filosofia dall’oriente<br />
all’antichità, dal medioevo<br />
al rinascimento, dall’idealismo tedesco<br />
alla filosofia contemporanea, presentando<br />
cronologicamente il pensiero<br />
dei diversi filosofi. L’intento è<br />
quello di rendere familiare il lettore<br />
con problemi, metodi e concetti fondamentali<br />
della filosofia, senza sacrificare<br />
alle esigenze didattiche la ricchezza<br />
informativa e la complessità<br />
dei problemi in questione. A questo<br />
scopo l’atlante si avvale - e qui risiede<br />
la sua originalità - di un ampio apparato<br />
di immagini che intendono visualizzare<br />
concetti e impostazioni problematiche<br />
dei diversi filosofi.<br />
Domenica 22 dicembre 1991 si è spento<br />
a Monaco di Baviera ERNESTO<br />
GRASSI. Nato a Milano nel 1902, fu<br />
allievo di Martinetti in Italia e di<br />
Blondel in Francia, seguendo poi per<br />
molti anni Heidegger a Marburgo e<br />
poi a Friburgo. Dopo aver insegnato<br />
nelle Università di Berlino e Monaco,<br />
era presidente del Centro Internazionale<br />
di <strong>Studi</strong> Umanistici di Roma e<br />
direttore dell’Istituto di <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />
e Umanistici di Monaco. Tra i<br />
suoi lavori recenti ricordiamo: Macht<br />
des Bildes. Ohnmacht der Rationalen<br />
Sprache (2 ed., 1972), Humanismus<br />
und Marxismus (1973), Die Macht<br />
der Phantasie: zur Geschichte abendländischen<br />
Denkens (1979),<br />
Rhetoric as Philosofy. The humanist<br />
tradition (1980), Heidegger and the<br />
Question of Renaissance Humanism<br />
(1983), Humanism and Rhetoric. The<br />
Problem of Folly (1985).<br />
Dopo una lunga malattia, si è spento<br />
a Poitiers il 9 ottobre 1991 GUY<br />
PLANTY-BONJOUR. Docente di Storia<br />
della Filosofia all’Università di<br />
Poitiers, era direttore del Centre de<br />
Rechèrche sur Hegel e Marx. Tra le<br />
sue opere ricordiamo in particolare:<br />
Les Catégories du matérialisme dialectique,<br />
l’ontologie soviétique contemporaine<br />
(1965) e Hegel et la pensée<br />
philosophique en Russie: 1830-<br />
1917 (1974); le importanti traduzioni<br />
di Hegel, La première philosophie de<br />
l’esprit (Jena 1803-04) (1969) e La<br />
Philosophie de l’esprit de la<br />
Realphilosophie de 1805 (1982); la<br />
cura, insieme a H. C. Lucas della<br />
raccolta di saggi Logik und Geschichte<br />
in Hgels System (1989).<br />
Martedì 19 novembre, nella sede del<br />
Parlamento Europeo a Strasburgo, sono<br />
state presentate la mostra delle<br />
pubblicazioni dell’Istituto Italiano per<br />
gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli e le<br />
traduzioni spagnola e tedesca della<br />
Scienza Nuova di G. B. Vico, promosse<br />
dall’istituto stesso. Alla presentazione,<br />
introdotta dall’On. Biagio<br />
de Giovanni alla presenza dell’On.<br />
Enrique Baron Crespo, Presidente del<br />
Parlamento Europeo, hanno partecipato:<br />
José M. Bermudo (Madrid),<br />
Jacques D’Hondt (Poitiers) Vittorio<br />
Hösle (Trondheim), Vittorio Mathieu<br />
(Torino), Otto Pöggeler (Bochum),<br />
Giovanni Pugliese Carratelli (Pisa),<br />
March Roche (Ohio), Imre Toth<br />
(Regensburg); Jürgen Traband (Berlino).<br />
Il gennaio 1992 è morto a Milano<br />
MARIO DAL PRA. Nato a Montecchio<br />
Maggiore (Vicenza) nel 1914, Dal<br />
Pra è stato uno dei maestri della rinnovata<br />
storiografia filosofica italiana<br />
del Novecento e anche uno dei nostri<br />
maggiori storici della filosofia. Laureatosi<br />
in Filosofia a Padova (’36),<br />
dopo aver insegnato per circa tre lustri<br />
filosofia nei licei (Rovigo, Vicenza<br />
e Milano), dal ’51 all’86 ha insegnato<br />
Storia della filosofia all’Università di<br />
Milano, succedendo ad Antonio<br />
Banfi. Ha svolto un ruolo di primo<br />
piano durante la guerra di Liberazione<br />
in Lombardia nelle formazioni<br />
azioniste. Dopo la Liberazione ha<br />
fondato nel ’46 la “Rivista di storia<br />
della filosofia”, che ha diretto fino<br />
alla morte, dalle cui pagine ha promosso<br />
un profondo rinnovamento<br />
della filosofia, dando contemporaneamente<br />
vita ad importanti iniziative<br />
editoriali e di ricerca, nonché ad una<br />
vera e propria “scuola” milanese di<br />
storici della filosofia. Nel 1990 l’Accademia<br />
dei Lincei gli ha assegnato il<br />
Premio Nazionale di filosofia. E’ autore<br />
di moltissime pubblicazioni tra<br />
le quali ci si limita a ricordare:<br />
Condillac (Bocca ’42); Il pensiero di<br />
S. Maturi (ivi ’43); Hume (ivi ’49,<br />
nuova ed. Hume e la scienza della<br />
natura umana presso Laterza ’73);<br />
La storiografia filosofica antica (Bocca<br />
’50); Lo scetticismo greco (ivi ’50,<br />
poi Laterza ’75); Amalrico di Béne<br />
(Bocca ’51); Giovanni di Salisbury<br />
(Bocca ’51); Nicola d’Autrecourt (ivi<br />
’51); Scoto Eriugena (ivi ’51); La<br />
dialettica in Marx (Laterza ’65, ’77);<br />
Logica e realtà (ivi ’74); Logica, esperienza<br />
e prassi (Morano ’76); <strong>Studi</strong><br />
sul pragmatismo italiano (Bibliopolis<br />
’84); <strong>Studi</strong> sull’empirismo critico di<br />
G. Preti (ivi ’88); Filosofi del Novecento<br />
(Angeli ’89) oltre alla<br />
monumentale Storia della filosofia (I<br />
ed. Vallardi 1975-78 in 10 voll; II ed.<br />
Piccin 1991-92 in 11 voll.). L’ultimo<br />
suo libro, Ragione e storia. Mezzo<br />
secolo di filosofia italiana (con F.<br />
Minazzi, Rusconi 1992) è in corso di<br />
pubblicazione.
AUT-AUT<br />
n. 243-244, maggio/agosto 1991<br />
La Nuova Italia, Firenze<br />
Questo fascicolo speciale della rivista, dal<br />
titolo: Il mito in questione ha per oggetto il<br />
dibattito filosofico sul mito, che ha animato<br />
la filosofia tedesca dalle interpretazioni<br />
romantiche alle letture in chiave politica<br />
proposte negli anni ’20-’30, fino alla più<br />
recente discussione sulla “nuova mitologia”.<br />
Anche nel panorama filosofico italiano<br />
la questione del mito é ben radicata e<br />
soggetta a periodiche rivisitazioni. Ne è un<br />
esempio questo fascicolo, che si propone<br />
non tanto di esaminare la presenza del mito<br />
nella filosofia, quanto di interrogare il mito,<br />
in un’ ottica più problematica, come<br />
chiave di lettura del lavoro filosofico stesso,<br />
in base al presupposto secondo cui<br />
«reincontrando e interrogando il mito, la<br />
filosofia non fa che tematizzare la propria<br />
scena».<br />
Mito. Esperienza del presente e critica<br />
della demitizzazione, di G. Carchia.<br />
Poesia, favola, verità, di S. Givone: il rapporto<br />
mito-verità dalla tradizione romantica<br />
alla lettura di Nietzsche e Heidegger; la<br />
favola come approdo del “mondo vero”.<br />
Filosofia dell’immemoriale e lavoro del<br />
mito, di G. Gabetta: la figura dell’”immemoriale”<br />
nella filosofia dell’ultimo<br />
Schelling.<br />
Soggetto e mito. Per una rilettura della<br />
Dialettica dell’Illuminismo, di R. Genovese.<br />
La risonanza mitica, di G. Comolli.<br />
Mitologia della ragione o supplemento d’anima.<br />
Sugli sviluppi recenti della “Mythos-<br />
Debatte”, di F. Cuniberto: a partire da una<br />
proposta di M. Frank: Der kommende Gott.<br />
Vorlesungen über die neue Mythologie<br />
(Frankfurt, 1983) l’articolo fa il punto sulla<br />
riflessione sul mito quale emerge da una<br />
determinata interpretazione della<br />
Frühromantik: dagli sviluppi tardo-ottocenteschi<br />
alle proposte più recenti.<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
a cura di Silvia Cecchi<br />
Leopardi e il mito, di A. Prete.<br />
Il mito e l’immagine. Da Hölderlin a<br />
Hillman, di M. Pezzella.<br />
“Sepulkralhermeneutik”. Considerazioni<br />
sul “mito” a partire da Bachofen, di G.<br />
Moretti.<br />
Diotima. Il mito platonico dell’Eros e il<br />
“Matriarcato” di Bachofen, di E Pulcini.<br />
Il sogno di Endimione. Capitoli sull’arte<br />
delle immagini, di F. Donfrancesco: il mito<br />
di Endimione nella pittura; la figura e l’opera<br />
di Carlo Mattioli (Modena, 1911).<br />
Postilla su Rilke e Orfeo, di F. Rella.<br />
Sulla certezza mitica, di J. Hillman: questo<br />
testo di James Hillman viene pubblicato in<br />
versione riveduta rispetto ad un’edizione<br />
francese del 1982, apparsa sulla rivista<br />
ginevrina “Cadmos”.<br />
Nel prossimo fascicolo della rivista comparirà<br />
un inedito di Husserl dal titolo: Rovesciamento<br />
della dottrina copernicana nell’interpretazione<br />
della corrente visione del<br />
mondo.<br />
IL CONTRIBUTO<br />
Vol. 15, n.3, luglio/settembre 1991<br />
Editoriale B. M. Italiana, Roma<br />
Il post-moderno, di L. Geymonat: brevissima<br />
sintesi delle concezioni che stanno alla<br />
base della differenza tra moderno e postmoderno.<br />
“Pensiero debole” e ragione critica, di A.<br />
Sabetti: la caduta delle illusioni “moderne”,<br />
dal sogno illuministico del primato<br />
della ragione al sogno marxista, di ascendenza<br />
illuministica, della realizzazione di<br />
un mondo costruito in base alla ragione ed<br />
alla giustizia, costituisce l’atto di nascita<br />
del “pensiero debole”; accanto ad esso é<br />
forse altrettanto importante, secondo l’autore,<br />
richiamarsi alla fede nella ragione<br />
critica come punto di partenza per una<br />
filosofia realmente ancorata allo spirito del<br />
tempo.<br />
Motivazioni del tramonto delle “grandi<br />
narrazioni” moderne. Confutazione della<br />
post-moderna “irriducibilità dell’incertezza”,<br />
di F. Rivetti Barbò.<br />
Il post-moderno, gli intellettuali e la cosiddetta<br />
“crisi dei valori”, di D. Cofrancesco:<br />
il disagio degli intellettuali nei confronti<br />
della modernità; questo disagio si concretizza<br />
in tre direzioni: la crisi dell’idea moderna<br />
di Stato, la crisi della contrapposizione<br />
destra/sinistra, la crisi di un modello di<br />
cultura “omologante”.<br />
Oltre il moderno. Verso un nuovo paradigma,<br />
di B. Lauretano: le argomentazioni di<br />
Lyotard sulla condizione post-moderna e<br />
la ricostruzione di Habermas del discorso<br />
filosofico della modernità a partire dal<br />
XVIII sec. come “principio della soggettività”.<br />
Per superare questo paradigma moderno<br />
é necessario adottare un nuovo paradigma,<br />
quello della ragione decentrata e<br />
dell’azione comunicativa.<br />
Il superamento delle categorie storiche<br />
nella ripresa in atto delle filosofie dell’esistenza,<br />
di G. Invitto.<br />
Il post-moderno come metafora dell’angoscia<br />
contemporanea, di A. Rizzacasa.<br />
Un evento paradigmatico del post-moderno:<br />
la manipolazione genetica, di M.<br />
Alcaro.<br />
“Lasciateci passare...” e se il logos fosse<br />
soltanto un artificio linguistico?, di P.<br />
Ciaravolo: proposta di un’istanza criticistica<br />
sul valore del logos come atteggiamento<br />
proprio dell’odierna cultura post-moderna.<br />
FILOSOFIA<br />
Anno XLII, n.2, maggio/agosto 1991<br />
Mursia, Milano<br />
La possibilità della possibilità, di V.<br />
Mathieu: a partire dalle proposte di riflessione<br />
di Kant (Opus Postumum) e di<br />
Abbagnano, l’articolo affronta il problema<br />
della “possibilità della possibilità”, svilup-
pandone le implicazioni.<br />
Bergson e Einstein. Le idee di durata e di<br />
tempo dell’universo materiale. I. Dal “tempo”<br />
della coscienza ai livelli paralleli della<br />
durata, di A. Genovesi: l’opera di Bergson<br />
del 1922, Durée et simultanéité. A propos<br />
de la théorie d’Einstein (Durata e simultaneità.<br />
A proposito della teoria di E.) affronta<br />
specificatamente la questione della relatività<br />
di Einstein nella sua formulazione<br />
ristretta. L’opera del 1922 si colloca nella<br />
prospettiva di sviluppo di una filospfia che<br />
va dalla matematica e dalla fisica alle scienze<br />
della vita; essa muove da due esigenze:<br />
una, personale e particolare, di delineare<br />
affinità e divergenze tra la propria dottrina<br />
della durata e la concezione del tempo di<br />
Einstein; l’altra, più generale, di indagare il<br />
rapporto tra scienza e filosofia.<br />
Modernità e metafisica, di V. Possenti: a<br />
breve distanza dalla morte, l’articolo si<br />
propone di analizzare l’opera di Augusto<br />
Del Noce, filosofo “politico”, alla luce di<br />
due termini guida: modernità e matafisica.<br />
Storicità e situazione epistemologica della<br />
psicoanalisi: filiazione ed ortoprassi, di<br />
M. Francioni.<br />
L’aporetica leibniziana della sostanza tra<br />
metafisica e dinamica. Esiti, implicazioni e<br />
corollari del Discorso di Metafisica, di A.<br />
Delcò.<br />
La sovrana intolleranza. Nuova androginia<br />
e modelli normativi, di V. Vitale: il<br />
mito dell’androgino, emblematicamente delineato<br />
nel Simposio platonico, ha sempre<br />
rappresentato per la cultura occidentale<br />
una dimensione non soltanto ambigua e<br />
inquietante, ma anche affascinante. L’epoca<br />
contemporanea non si sottrae a questa<br />
situazione, ma la vive in maniera nuova,<br />
come “progetto operativo”.<br />
La svolta ermeneutica, di L. Bottani: le<br />
considerazioni di Gerd Gemünden sulla<br />
svolta ermeneutica, esposte in Die hermeneutische<br />
Wende. Disziplin und<br />
Sprachlosigkeit nach 1800 (La svolta ermeneutica.<br />
Disciplina e mancanza di linguaggio<br />
dopo il 1800, Lang, New York,<br />
Bern, Frankfurt a/M, Paris, 1990), come<br />
tentativo di nascondere l’incomprensibile.<br />
ELENCHOS<br />
Anno XII, n. 1, 1991<br />
Bibliopolis, Napoli<br />
L’”atomismo” e il corpuscolarismo empedocleo:<br />
frammenti di interpretazioni nel<br />
mondo antico, di M. L. Gemelli Marciano:<br />
riprendendo alcune osservazioni di<br />
Aristotele e di Teofrasto a proposito della<br />
presenza dei presupposti dell’atomismo nella<br />
teoria di Empedocle, l’articolo ricostrui-<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
sce le tracce del corpuscolarismo empedocleo<br />
nei frammenti e nella testimonianze a<br />
disposizione.<br />
Sokrates: Tugend ist Wissen, di R. Ferber.<br />
Movimenti ed attività. L’interpretazione di<br />
Aristotele, Metaph Th 6, di C. Natali: la<br />
distinzione aristotelica tra movimenti e attività,<br />
questione rilevante anche da un punto<br />
di vista etico per il legame che é possibile<br />
instaurare tra la distinzione movimenti/<br />
attività e quella produzione/prassi.<br />
Why Pericles’ slave fell into the fourth<br />
mode, di E. De Olaso.<br />
Le avventure del platonismo (a proposito<br />
di pubblicazioni recenti sul Platone di<br />
Tubinga e sul rapporto platonismo- neoplatonismo),<br />
di L.M. Napolitani Valditara:<br />
confronto tra alcuni testi usciti in Italia nel<br />
1990, tra cui D. Pesce: Il Platone di Tubinga<br />
(Brescia 1990) e P. Merlan: Dal platonismo<br />
al neoplatonismo (Milano, 1990)<br />
TEORIA<br />
Vol. XI, n. 1, 1991<br />
ETS, Pisa<br />
Tema della rivista: “Filosofia della religione:<br />
questioni aperte”.<br />
La decomposizione dell’”interiorità” come<br />
categoria filosofica, di V. Sainati: prendendo<br />
spunto da un dibattito sviluppatosi<br />
tra il 1931 ed il 1933 tra la filosofia neotomista<br />
di Francesco Olgiati e lo spiritualismo<br />
cristiano di Armando Carlini, l’articolo<br />
mette in evidenza i limiti dell’assunzione<br />
dell’”interiorità” come categoria filosofica.<br />
Storia e giustificazione in Ernst Troeltsch,<br />
di G. Moretto.<br />
Teologia ed ermeneutica in Claude Geffré,<br />
di E. Clemente: la riflessione teologica di<br />
Geffré, nato nel 1926 e docente di teologia,<br />
come esempio del rinnovamento e del ripensamento<br />
della teologia cattolica alla<br />
luce degli esiti del Concilio Vaticano II<br />
circa la prospettiva ecumenica, l’atteggiamento<br />
di dialogo con il mondo, la necessità<br />
di un’autointerrogazione della teologia stessa<br />
sulle proprie possibilità e sui propri<br />
fondamenti.<br />
Ricordo di Alberto Caracciolo (1918-<br />
1990), di X. Tilliette.<br />
L’inconsistenza ontologica della persona,<br />
di A. Negri: una rilettura “moderna” delle<br />
Confessioni di S. Agostino tesa a mettere in<br />
evidenza “l’inconsistenza personale” dell’uomo<br />
di fronte alla “consistenza” di Dio.<br />
Parola e passione: Levinas e il problema<br />
del linguaggio nella letteratura critica più<br />
recente, di A. Fabris.<br />
La dimensione ermeneutica della teologia<br />
francese contemporanea, di C. Semplici:<br />
Segue una bibliografia su: “Ermeneutica e<br />
teologia: vent’anni di dibattito in Francia”.<br />
Il rischio dell’interpretazione, di C. Geffré:<br />
intervista di E. Clemente a Claude Geffré,<br />
esponente francese dell’ermeneutica teologica<br />
contemporanea.<br />
RIVISTA<br />
DI STORIA DELLA FILOSOFIA<br />
Vol. XLVI, n. 3, 1991<br />
Franco Angeli, Milano<br />
Platone e il discorso scritto, di M. Isnardi<br />
Parente: la posizione di Platone in relazione<br />
al dibattito sulla superiorità dell’orale<br />
sullo scritto nell’Atene del IV sec. Nel<br />
Fedro e nella VII Epistola, Platone affronta<br />
questa tematica e sostiene l’importanza del<br />
discorso scritto, purchè esso rimanga sempre<br />
“aperto” a nuove interrogazioni e correzioni<br />
e rimanga comunque ancorato alla<br />
verità. E’ per questo che il mezzo di comunicazione<br />
adottato da Platone é il “discorso<br />
socratico”.<br />
Una via a Dio nel pensiero mistico di al-<br />
Ghazali, di M. Campanini: l’esperienza<br />
mistica di al- Ghazali alla luce della questione,<br />
posta dalla critica, dell’autenticità o<br />
meno di essa. L’articolo mette in luce il<br />
legame strettissimo nella filosofia di al-<br />
Ghazali tra mistica, ambito teoretico e ambito<br />
pratico.<br />
Prudenza, utilità e giustizia nel Seicento:<br />
Pierre Gassendi, di G. Paganini: il problema<br />
del diritto in Gassendi, oscillante tra il<br />
positivismo epicureo, influenze giusnaturalistiche<br />
e hobbesiane.<br />
Oggettività scientifica e ontologismo critico,<br />
di F. Minazzi.<br />
Ancora su filosofia e storia della filosofia,<br />
di P. Parrini.<br />
Lettere di Robin George Collingwood a<br />
Benedetto Croce (1912-1939), a cura di A.<br />
Vigorelli.<br />
Cassirer, Husserl e l’ermeneutica, di L.<br />
Landi: prendendo spunto da alcune critiche<br />
mosse a Cassirer sull’assenza di un esame<br />
approfondito della questione epistemologica<br />
e di un inquadramento storico della<br />
sua filosofia nel panorama filosofico del<br />
tempo, l’articolo esamina il libro di G. Raio<br />
(Cassirer e Husserl in Id Ermeneutica e<br />
teoria del simbolo, Napoli, Liguori, 1988)<br />
che analizza il ruolo della fenomenologia
nella riflessione di Cassirer, in contrasto<br />
con l’attuale tendenza ad evidenziare solo<br />
le componenti ermeneutiche della sua filosofia,<br />
che rischia di ridurre alla sola sfera<br />
linguistica la ricchezza dell’esperienza umana.<br />
Il primo convegno del gruppo italiano di<br />
storia delle scienze biologiche, di M. T.<br />
Monti: nota sul convegno: Le rivoluzioni<br />
scientifiche nelle scienze della vita (Pisa,<br />
26-27 novembre 1990).<br />
RIVISTA DI FILOSOFIA<br />
Vol. LXXXII, n.2, agosto 1991<br />
Il Mulino, Bologna<br />
Heidegger, la scienza, e il linguaggio, di H.<br />
Albert.<br />
Struttura del tempo e formazione delle categorie<br />
nelle Meditationes di Descartes, di<br />
L. Neri: benchè il problema del tempo<br />
rimanga scarsamente esplicitato nella riflessione<br />
di Cartesio, é possibile tuttavia<br />
individuare all’interno dell’argomentazione<br />
cartesiana alcuni concetti riconducibili<br />
alla tematica temporale. L’articolo si rivolge<br />
soprattutto alle Meditationes de prima<br />
philosophia (1641)<br />
Bolzano e le dimostrazioni matematiche, di<br />
F. Paoli: il contributo di Bolzano alla chiarificazione<br />
di inferenza e dimostrazione<br />
matematica.<br />
Cassirer, Schlick e l’interpretazione<br />
“kantiana” della teoria della relatività, di<br />
M. Ferrari.<br />
Il regionalismo epistemologico: una tendenza<br />
della filosofia contemporanea delle<br />
scienze in Francia, di P. Jacob.<br />
“Bis bina quatror”, di M. Spallanzani: la<br />
teoria cartesiana della creazione delle verità<br />
eterne ed il dibattito da essa suscitato<br />
nella cultura coeva.<br />
Il problema della giustificazione di una<br />
teoria della conoscenza, di L. Floridi: il<br />
dibattito epistemologico sul problema della<br />
natura della giustificazione e sulla legittimità<br />
di una teoria della giustificazione.<br />
ITINERARI FILOSOFICI<br />
Vol I, n. 1, settembre/dicembre 1991<br />
Soc. It. Ricerca Filosofica, Milano<br />
Inizia con questo numero la pubblicazione<br />
di una rivista di filosofia, nata dall’iniziativa<br />
di alcuni giovani studiosi dell’Università<br />
degli <strong>Studi</strong> di Milano, che si propone di<br />
rilevare ed esporre prospettive di ricerca<br />
filosofica maturatesi all’interno del mondo<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
accademico; questo progetto é animato dalla<br />
consapevolezza della specificità dello statuto<br />
della filosofia, attraverso la quale s’intende<br />
“leggere” tematiche e problemi anche<br />
extrafilosofici.<br />
Filosofia sbilenca. Attraverso Tracce e<br />
Spirito dell’utopia di Ernst Bloch, di E.<br />
Fagiuoli.<br />
Il superamento della prospettiva antropologica<br />
nelle opere e nelle lezioni di<br />
Heidegger su Kant, di F. Cassinari: le lezioni<br />
heideggeriane, recentemente pubblicate,<br />
mostrano come Kant rappresenti un<br />
interlocutore privilegiato di Heidegger nel<br />
suo tentativo di superare la prospettiva<br />
antropologica. Kant sarebbe giunto alle<br />
soglie di tale superamento, pur ritraendosi<br />
successivamente dalle posizioni teoretiche<br />
raggiunte. In ciò pare configurarsi una sorta<br />
di paradosso: da un lato Heidegger proietta<br />
su Kant difficoltà intrinseche alla propria<br />
posizione, dall’altro alcuni testi kantiani<br />
sembrano quasi proporre una risposta “heideggeriana”<br />
a tali difficoltà.<br />
L’orizzonte filosofico della psicologia comprensiva<br />
di Karl Jaspers, Wilhelm Dilthey<br />
e Georg Simmel, di F. Paracchini: prendendo<br />
le mosse dal rinnovamento in senso<br />
antiempiristico che percorre la filosofia<br />
tedesca tra Ottocento e Novecento, vengono<br />
considerati gli effetti di questo processo<br />
nelle sezioni psicologiche della<br />
Psicopatologia generale di Jaspers in cui,<br />
ricorrendo ai contributi antipsicologistici<br />
di Dilthey e Simmel, il filosofo ripensa i<br />
presupposti gnoseologici della sua scienza.<br />
Oltre la definizione. A proposito di L’altra<br />
storia di Aldo G. Gargani, di M. Fortunato.<br />
Intervista a Carlo Sini.<br />
RIVISTA INTERNAZIONALE<br />
DI FILOSOFIA DEL DIRITTO<br />
Vol. LXVIII, gennaio/marzo 1991<br />
Giuffrè editore, Milano<br />
L’esplicitazione dei principi della legge<br />
naturale e le sue difficoltà, di D. Farias: gli<br />
elementi caratteristici della dottrina dei principi<br />
del diritto naturale e le difficoltà nell’esplicitazione<br />
di tali principi.<br />
Indolenza e politica in Fichte. La libertà, il<br />
male, l’azione, di J. C. Merle: l’evoluzione<br />
del pensiero politico di Fichte, con particolare<br />
attenzione alle vicende della Rivoluzione<br />
francese; l’ideale della libertà e l’aporia<br />
del diritto sul piano religioso come<br />
viene trattata nella Staatslehre (1813).<br />
The Greeks and democratic theory: Moses<br />
I. Finley’s Democracy Ancient and Modern<br />
revisited, di A. Moulakis.<br />
La questione della crisi del diritto e dello<br />
Stato come messa in questione dell’obbligazione<br />
giuridica e dell’obbligazione politica,<br />
di E. Ripepe: le riflessioni sulla crisi<br />
del diritto e dello Stato proposte da Ripepe<br />
in occasione della lezione inaugurale dell’anno<br />
accademico 1990/91: dalla perdita<br />
di efficienza e di efficacia del sistema giuridico<br />
italiano, alla distanza tra cittadini ed<br />
istituzioni, ai rischi dell’individualismo deresponsabilizzato.<br />
La teoria, l’ordine e il diritto; di F. Sciacca:<br />
nota al libro di Bruno Montanari: Profili e<br />
letture di teoria generale del diritto (Torino,<br />
Giappichelli, 1990).<br />
Umanizzazione e giustizia nella fenomenologia<br />
del diritto di Kojève, di A. Costanzo:<br />
recensione dell’opera di A. Kojève: Linee<br />
di una fenomenologia del diritto (Jaca Book,<br />
Milano, 1989).<br />
L’Europa e il diritto, di L. Franzese.<br />
Il pensiero filosofico di Augusto Del Noce:<br />
brevissimo resoconto redazionale del convegno:<br />
Il pensiero filosofico di Augusto<br />
Del Noce (12-13 novembre 1990, Università<br />
di Udine).<br />
Lévi Strauss e l’antropologia strutturale:<br />
materiali per una possibile riflessione in<br />
sede filosofico-giuridica, di L. Scillitani.<br />
Notas sobre la existencia de un posible<br />
derecho general a la desobediencia, di M.<br />
Gascon Abellan.<br />
REVUE DE METAPHYSIQUE<br />
ET DE MORALE<br />
Vol. 96, n. 2, aprile/giugno 1991<br />
A. Colin, Paris<br />
Tema della rivista: “Logica e filosofia della<br />
conoscenza”.<br />
Logique et métaphysique, di F. Poublanc:<br />
l’articolo considera come alcuni aspetti<br />
della dialettica hegeliana, che si propone di<br />
rivelare la contraddizione di fondo di tutte<br />
le cose, si pongono in una prospettiva demistificatrice.<br />
Eléments pour une “philosophie de la<br />
psychologie” à partir de la Grammaire<br />
Philosophique de Wittgenstein, di J. L. Petit:<br />
vengono prese in considerazione alcune<br />
conseguenze dell’analisi grammaticale di<br />
Wittgenstein per la psicologia. Il rinvio ad<br />
una fenomenologia della nostra esperienza<br />
intenzionale e ai meccanismi mentali e<br />
celebrali, a cui essa si richiama.<br />
L’assertion dans les contextes épistémiques;<br />
garants objectaux et bases d’évalua-
tion, di N. Mouloud.<br />
Die Wissenschaft denkt nicht, Di J. M.<br />
Salanskis: analisi di questa celebre affermazione<br />
di Heidegger da due punti di vista:<br />
quello delle opposizioni heideggeriane ontologia<br />
fondamentale/ontologia regionale<br />
e metafisica/pensiero, da un lato, e quello<br />
dell’ermeneutica di Essere e Tempo e dei<br />
testi posteriori, dall’altro.<br />
L’identitité personnelle et la source des<br />
concepts, di A. Shalom.<br />
Science et déterminisme, di L. Bouquiaux e<br />
P. Gochet: recensione di P. Amselek:<br />
Science et déterminisme, éthique et liberté<br />
(Scienza e determinismo, etica e libertà,<br />
Paris, PUF, 1988).<br />
REVUE DE METAPHYSIQUE<br />
ET DE MORALE<br />
Vol. 96, n.3, luglio/settembre 1991<br />
A. Colin, Paris<br />
Le judaïsme et les mythes politiques modernes,<br />
di E. Cassirer: l’articolo qui tradotto<br />
é tratto dalla rivista: “Contemporary<br />
Jewish Record, Review of events and Digest<br />
of opinion” (n.7, giugno 1944, pp. 115-<br />
126), rivista le cui pubblicazioni si collocano<br />
tra il 1938 ed il 1945.<br />
Liberté et ordre des découvertes chez<br />
Descartes, di G. J. D. Moyal: dall’ipotesi<br />
del genio maligno della prima Meditazione<br />
prende spunto la questione del rapporto tra<br />
cogito e libertà esaminata nell’articolo.<br />
Substance et infini chez Spinoza, di J. M.<br />
Lespade.<br />
La relation du fini et de l’infini dans la<br />
genèse de l’être conscient, di J. L. Chédin:<br />
nella storia della filosofia moderna, da<br />
Cartesio all’idealismo tedesco, si é sviluppata<br />
una riflessione sistematica sulle condizioni<br />
di possibilità e la genesi dell’essere<br />
cosciente, che si scontra con l’impossibilità<br />
di determinare una relazione soddisfacente<br />
tra finito ed infinito nella prospettiva<br />
dell’”esplicazione della coscienza”. La filosofia<br />
contemporanea, in particolare la<br />
fenomenologia husserliana, hanno ereditato<br />
e sviluppato una tale aporia.<br />
L’origine et la fonction de la Metaphysica<br />
naturalis chez Kant, di L Freuler: secondo<br />
Mendelssohn, Kant sarebbe l’affossatore<br />
(Alleszermalmer) della metafisica. I suoi<br />
testi mostrano tuttavia come non solo un<br />
tale atteggiamento fosse estraneo a Kant,<br />
ma come addirittura egli progettasse una<br />
riforma ed una rinascita della metafisica.<br />
Substantialisation et substantivation: la<br />
syntaxe de l’objectivation religeuse chez<br />
Feuerbach, di C. Berner: prendendo le<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
mosse dal principio di oggettivazione religiosa,<br />
criticato da Feuerbach, l’articolo si<br />
propone di cogliere il senso autentico della<br />
riflessione feuerbachiana, che non risiederebbe<br />
tanto nella dimostrazione della nonesistenza<br />
di Dio, quanto nel desiderio di<br />
sradicare i dogmatismi dalla filosofia ed<br />
offrire l’uomo concreto.<br />
Natural right and the end of history. Leo<br />
Strauss and Alexandre Kojève, di M. Roth.<br />
REVUE INTERNATIONALE<br />
DE PHILOSOPHIE<br />
Vol. 177, n. 2, 1991<br />
Universa, Wetteren<br />
Tema della rivista: “Bergson”, di cui ricorre<br />
il cinquantenario della morte. Gli articoli<br />
esaminano la produzione del filosofo francese<br />
relativamente al problema del rapporto<br />
immanenza-trascendenza nel saggio:<br />
Evoluzione creatrice del 1907 (Bergson et<br />
l’indien sioux, di A. Robinet); in riferimento<br />
al Saggio sui dati immediati della coscienza<br />
del 1889 viene invece affrontata la<br />
questione relativa ad un confronto della<br />
filosofia di Bergson con quella di Husserl<br />
(La phénoménologie de l’intensité, di D. J.<br />
Herman). Viene inoltre esaminato il legame<br />
tra libertà e vita a partire da un’analisi<br />
della coscienza in chiave antiassociazionistica<br />
(La liberté et la vie chez Bergson, di<br />
G. Lafrance); secondo Bergson, infatti, l’associazionismo<br />
rappresenterebbe una teoria<br />
che riduce la coscienza ad un aggregato di<br />
stati senza una vera unità interna e condurrebbe<br />
ad una falsa idea di libertà.<br />
Compaiono inoltre i seguenti articoli:<br />
Bergson and non-linear non-equilibrium<br />
thermodynamics: an application of method,<br />
di P.A.Y. Gunter.<br />
Physique et métaphysique du rythme comme<br />
mimésis, di A. Kremer-Marietti: analisi<br />
della nozione bergsonniana di ritmo in chiave<br />
estetica, fisica e metafisica.<br />
Henry Bergson. Kritik der Quantität als<br />
allgemeine Entfremdungstheorie der<br />
Gegenwart, di K. P. Romanos.<br />
ARCHIVES DE PHILOSOPHIE<br />
Tomo 54, n.3, luglio-settembre 1991<br />
Beauchesne, Paris<br />
Le premier registre de Descartes, di G.<br />
Rodis-Lewis: indagine sulle riflessioni cartesiane<br />
contenute nel Manuscrit des pensées<br />
de Descartes (Manoscritto dei pensieri<br />
di Descartes), copiato in parte da Leibniz<br />
e pubblicato da Foucher de Careil, con<br />
particolare attenzione alle questioni scien-<br />
tifiche esaminate, la loro possibile datazione,<br />
ed un commento anche dell’importante<br />
racconto dei sogni, trascurato da Leiniz.<br />
Métaphysique radicale, di J. Margolis: la<br />
storia della metafisica può essere letta alla<br />
luce di un dualismo fondamentale: da un<br />
lato la tradizione classica, risalente a<br />
Parmenide, Platone e Aristotele, secondo<br />
la quale il reale é immutabile, si identifica<br />
con il pensabile e dipende da un’interpretazione<br />
metafisica del principio di noncontraddizione<br />
e del terzo escluso. Dall’altro<br />
lato la tradizione che rifiuta questa<br />
impostazione. A questa tradizione, risalente<br />
a Anassimandro e Protagora, si richiamano<br />
le teorie di tre filosofi americani:<br />
Peirce, Quine e Goodman.<br />
Idéalisme ou réalisme?, di J. Largeault: se<br />
i Greci hanno privilegiato l’immutabilità e<br />
la permanenza dell’Essere, rendendo possibile<br />
la nascita e lo sviluppo delle scienza<br />
razionale, gli Orientali hanno sottolineato<br />
piuttosto la molteplicità degli aspetti dell’Essere<br />
come manifestazione di unità. Per<br />
questo, secondo l’autore, essi sono idealisti.<br />
Segue il Bulletin de littérature hégélienne<br />
VIII, a cura di P. J. Labarrière, G. Jarczyk,<br />
J. F. Kervegan.<br />
REVUE PHILOSOPHIQUE<br />
DE LOUVAIN<br />
Vol. 89, agosto 1991<br />
Ed. Institut Supérieur de Philosophie<br />
Louvain La Neuve<br />
Des sensibles communs dans le De Anima<br />
d’Aristote, di D. Lories: gli studiosi, pur<br />
essendo d’accordo che nel De Anima (425<br />
a 14- a 30) Aristotele non individua un<br />
organo sensoriale specifico preposto al coglimento<br />
dei sensibili comuni, sono in disaccordo<br />
a proposito delle interpretazioni<br />
da dare a questo fatto. Ciò che é essenziale<br />
in Aristotele é tuttavia l’unità delle facoltà<br />
sensitive e la corrispondenza alla cosa percepita.<br />
L’athéisme de Diderot, di B. Baertschi:<br />
Diderot é il primo a mettere in luce che gli<br />
sviluppi della scienze dell’epoca mettono<br />
in pericolo le prove dell’esistenza di Dio<br />
proposte da Cartesio in poi. Da ciò deriva<br />
anche la sua elaborazione di una concezione<br />
della natura ancora valida ai giorni nostri.<br />
Loi et éthique chez Kant et Lacan, di R.<br />
Bernet: le sorprendenti analogie tra il rigorismo<br />
della morale kantiana e l’etica del<br />
desiderio di Lacan.<br />
Rationalisation sociale et rationalité juridique,<br />
di H. Pourtois: a partire dalle lezioni
tenute da Habermas alla Harvard University<br />
nel 1986 dal titolo Law and Morality (in<br />
The Tanner Lectures on Human Values,<br />
Cambridge University Press, Cambridge<br />
1986, pp. 217-279), viene esaminato il ruolo<br />
del diritto nella ricostruzione habermasiana<br />
della logica dell’evoluzione sociale<br />
come Medium di regolazione sistemica dell’azione<br />
nella società moderna e come istituzione.<br />
Philosophie et christianisme, di F. Van<br />
Steenberghen: replica ad un articolo di J.<br />
Garcia Lopez, “La cuestion de la filosofia<br />
cristiana” (Scripta theologica, XXII, 1990).<br />
A propos de la biographie de Simplicius, di<br />
S. Van Riet.<br />
ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE<br />
FORSCHUNG<br />
Vol. 45, n. 1, gennaio/marzo 1991<br />
Klostermann, Frankfurt a/M<br />
Der Harmonie-Gedanke im frühen Mittelalter,<br />
di W. Beierwaltes: analisi di alcuni<br />
tratti fondamentali del pensiero filosofico<br />
dell’armonia nel Medioevo, con particolare<br />
attenzione al pensiero di Eriugena e agli<br />
apetti di questo dibattito che si aprono alla<br />
dimensione di una teoria della musica. Particolare<br />
attenzione viene dedicata ai concetti<br />
di Uno e di Unità, in quanto l’armonia<br />
é una forma determinata dell’unità.<br />
Die Folgen vorherrschender Moralkonzeptionen,<br />
di T. Pogge.<br />
Der Begriff der Bewegung bei Kant, di T. S.<br />
Hoffmann.<br />
“Natur” als Massstab menschlichen<br />
Handelns, di D. Birnbacher: la natura come<br />
concetto etico e come criterio etico; il naturalismo<br />
etico.<br />
Kants Schemata als Anwendungsbedingungen<br />
von Kategorien auf Anschauungen,<br />
di D. Lohmar: il concetto di affinità<br />
nello schematismo della Critica della ragion<br />
pura.<br />
Etwas ist in mir da, di U. Wolf: recensione<br />
di U. Pothasts, Philosophische Buch<br />
(Suhrkamp, Frankfurt a/M. 1988).<br />
Bibliographie der Schriften von Theodor<br />
Lipps, di N. W. Bokhove e K. Schuhmann.<br />
Philosophie der Subjektivität? Zur<br />
Bestimmung des neuzeitlichen Philosophierens,<br />
di H. Korten: resoconto dell’omonimo<br />
convegno tenutosi a Leonberg il<br />
14 ottobre 1989 a cura della Schelling-<br />
Gesellschaft.<br />
ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
FORSCHUNG<br />
Vol. 45, n. 2, aprile/giugno 1991<br />
Klostermann, Frankfurt a/M<br />
Nihilismus und Revolte: Camus’<br />
Nietzschekritik, di A. Pieper.<br />
Georg Simmel. Eine Religion der<br />
Immanenz, di C. F. Geyer: lo scritto di<br />
Simmel, La religione (1906, 1912, 1922)<br />
non é soltanto un primo, sistematico bilancio<br />
dei primi lavori filosofici e sociologici<br />
del filosofo, ma la lunga elaborazione di<br />
questo scritto offre anche uno spaccato<br />
della vita filosofica dell’autore e testimonia<br />
la costanza dei suoi interessi filosofici<br />
per la religione.<br />
Zur Wiederkehr des Historismus in der<br />
Gegenwartsphilosophie, di V. Steenblock:<br />
lo status attuale della discussione sullo<br />
storicismo alla luce degli odierni orientamenti:<br />
Habermas, Apel, Hösle.<br />
Ernst Cassirer über Geschichte und<br />
Geschichtswissenschaft, di T. Göller.<br />
Weshalb sind die Philosophischen<br />
Untersuchungen Wittgensteins nur ein Album?,<br />
di J. P. Schobinger.<br />
Die Bergson-Rezeption in Deutschland, di<br />
G. Pflug.<br />
Neuere ausländische Arbeiten zu Kants<br />
Kritik der Urteilskraft, di G. Zöller.<br />
Selbstschöpferische Ironiker und erschöpfte<br />
Liberale. Richard Rorty Utopie einer argumentationsfreien<br />
Zone, di H. Busche.<br />
“Deutsche Zeitschrift für Philosophie”:<br />
Rückbesinnung auf ihre Ursprünge, di K.<br />
Gloy.<br />
Bericht über den XV Kongress der<br />
Allgemeine Gesellschaft für Philosophie in<br />
Deutschland, “Philosophie der Gegenwart-<br />
Gegenwart der Philosophie”, vom 24-28<br />
September 1990 in Hamburg, di M. Wetzel.<br />
ARCHIV FÜR GESCHICHTE<br />
DER PHILOSOPHIE<br />
Vol. 73, n. 1, 1991<br />
de Gruyter, Berlin, New York<br />
Politik und Philosophie bei Aristoteles und<br />
im frühen Peripatos, di C. Mueller-<br />
Goldingen.<br />
Property as an institutional Convention in<br />
Hume’s Account of Justice, di S. Freeman:<br />
l’interpretazione di Hume della natura e<br />
delle condizioni dei sistemi di proprietà<br />
come base primaria dei sistemi politici ed<br />
economici; le analogie e le differenze rispetto<br />
a Hobbes e Locke, la questione del<br />
rapporto simpatia-giustizia.<br />
Kant’s Amphiboly, di D. Pereboom: la componente<br />
antirazionalistica della riflessione<br />
kantiana, giudicata poco significativa dalla<br />
maggior parte degli interpreti, é l’oggetto<br />
di quest’articolo, impostato sull’argomento<br />
dell’anfibolia dei concetti della riflessione;<br />
il rapporto con Leibniz.<br />
Die Naturphilosophie im 18 Jahrhundert<br />
und der naturwissenschaftliche Unterricht<br />
in Tübingen, di M. Durner: le origini della<br />
riflessione schellinghiana sulla natura a<br />
Tubinga tra Rivoluzione francese e filosofia<br />
kantiana.<br />
Zur Kants Theorie der physikalischen<br />
Gesetze, di S. Marcucci: recensione di V.<br />
Murdroch: Kants Theorie der<br />
physikalischen Gesetze (La teoria kantiana<br />
delle leggi fisiche, de Gruyter, Berlin 1987).<br />
ARCHIV FÜR GESCHICHTE<br />
DER PHILOSOPHIE<br />
Vol. 73, n. 2, 1991<br />
de Gruyter, Berlin, New York<br />
“Esti Triton” Aristoteles De Interpretatione<br />
10,19, b 21-22, di C. Rapp.<br />
Platonism and Descartes’ view of immutable<br />
Essences, di T. M. Schmaltz: la questione,<br />
densa di difficoltà per il sistema cartesiano,<br />
del Dio creatore di verità eterne.<br />
Freiheit, Gleichheit, Brüderlichkeit bei<br />
Kant, di B. Kienzle.<br />
Wittgenstein und Spengler, di R. Ferber.<br />
MAN AND WORLD<br />
Vol. 24, n. 3, luglio 1991<br />
Kluwer, Dordrecht<br />
The life of order and the order of life: Eric<br />
Voegelin on modernity and the problem of<br />
philosophical anthropology, di D. J. Levy.<br />
Foucault: making a difference, di R. Lilly:<br />
il principio dell’esteriorità come guida del<br />
pensiero filosofico di Foucault; l’archeologia<br />
come analisi della produzione di differenze<br />
ed essa stessa differenza critica.<br />
A little daylight: a reading of Derrida’s<br />
“White Mythology”, di L. Lawlor: rilettura<br />
di La Mythologie blanche (La mitologia<br />
bianca, 1972) di Derrida.<br />
Willing and acting in Husserl’s lectures on<br />
ethics and value theory, di T. Nenon: la<br />
recente pubblicazione di scritti di Husserl<br />
sull’etica, Vorlesungen über Ethik und<br />
Wertlehre 1908-1914 (Lezioni sull’etica e
la dottrina dei valoroi 1908-1914, Kluwer,<br />
Dordrecht 1988) offre nuovi spunti di riflessione<br />
sulla sua concezione della volontà.<br />
The de-con-struction of reason, di S. Glynn:<br />
qual’é la natura della razionalità della ragione,<br />
da dove deriva e come é giustificata?<br />
Le possibili soluzioni, anche alla luce del<br />
dibattito epistemologico più recente.<br />
Intersubjectivity without subjectivism, di<br />
B. J. Singer: la filosofia di Mead e Buchler.<br />
JOURNAL OF THE HISTORY<br />
OF PHILOSOPHY<br />
Vol. XXIX, n. 2, aprile 1991<br />
Washington University, St. Louis<br />
Plato and the senses of words, di T. A.<br />
Blackson: la questione dell’omonimia nei<br />
dialoghi platonici. Prendendo le mosse dalla<br />
tesi di G. Vlastos (Reason and causes in<br />
the Phaedro, 1969) l’autore, difendendo il<br />
ruolo di Aristotele nella storia della filosofia,<br />
nega che Platone teorizzi un’omonimia,<br />
filosoficamente insidiosa, delle parole.<br />
Malebranche versus Arnauld, di M. Cook.<br />
Locke on personal identity, di K. P. Winkler:<br />
le difficoltà che emergono all’interno della<br />
dottrina lockeana dell’identità personale.<br />
Kant, Mendelssohn, Lambert and the<br />
subjectivity of time, di L. Falkenstein.<br />
Hegel, Marx and the concept of immanent<br />
critique, di A. Buchwalter: contrariamente<br />
alla affermazioni di Marx, i principi della<br />
logica speculativa hegeliana non sono estranei<br />
al concetto di immanenza critica<br />
che Marx ritiene implicito nella dialettica<br />
ragione-realtà.<br />
JOURNAL OF THE HISTORY<br />
OF PHILOSOPHY<br />
Vol. XXIX, n. 3, luglio 1991<br />
Washington University, St. Louis<br />
Socratic reason and socratic revelation, di<br />
M. L. Mcpherran: l’immagine tradizionale<br />
che la storia della filosofia ha dato di Socrate<br />
esclude che questi potesse rivolgersi a qualsiasi<br />
esperienza religiosa extrarazio-nale.<br />
L’articolo intende invece recuperare quest’ultimo<br />
aspetto della riflessione socratica,<br />
attraverso l’evidenziazione della portata<br />
del daimonion per il pensiero del filosofo.<br />
The Dating of Rule IV-B in Descartes’s<br />
Regulae ad directionem ingenii, di F. P.<br />
Van De Pitte.<br />
RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />
The role of perceptual relativity in<br />
Berkeley’s philosophy, di R. Muehlmann.<br />
Fichte on skepticism, di D. Breazeale: i<br />
riferimenti allo scetticismo nell’opera fichtiana<br />
oscillano tra un atteggiamento di<br />
ferma ostilità e uno di apprezzamento. L’articolo<br />
tenta di spiegare come e perchè Fichte<br />
potesse, senza cadere in contraddizione,<br />
elogiare lo scetticismo per il suo indispensabile<br />
contributo alla crescita della filosofia<br />
e al tempo stesso rifiutarlo come autocontraddizione,<br />
denunciandolo per i suoi<br />
effetti negativi.<br />
A unique Way of existing: Merleau- Ponty<br />
and the subject, di J. Siegel.<br />
INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL<br />
QUARTERLY<br />
Vol. XXXI, n. 3, settembre 1991<br />
Fordham University, New York<br />
Time in Hegel’s Phenomenology of Spirit,<br />
di J. C. Flay.<br />
The insufficiency of Descartes’ provisional<br />
morality, di F. P. Coolidge: la morale<br />
provvisoria di Cartesio e il suo rapporto<br />
con la dottrina del metodo esposta nel Discorso.<br />
Religion, Nothingness and the challenge of<br />
post- modern thought: an introduction to<br />
the philosophy of Keiji Nishitani , di G. A.<br />
James: le opere ed il pensiero di Keiji<br />
Nishitani, nato nel 1900 e considerato come<br />
il più importante rappresentante della<br />
scuola di filosofia giapponese di Kyoto.<br />
The Many-Gods objection and Pascal’s<br />
wager , di J. Jordan.<br />
Condemned to time: the limits of Merleau-<br />
Ponty’s quest for being, di A. C. Lowry.<br />
Radical hermeneutics, critical theory, and<br />
the political, di J. A. Doody: la teoria della<br />
prassi comunicativa di Habermas e l’utilità<br />
del suo pensiero per l’ermeneutica radicale.<br />
LES ETUDES PHILOSOPHIQUES (aprile/giugno<br />
1991, PUF, Paris) propone un<br />
articolo su Schopenhauer di R. Malter (Le<br />
transcendentalisme de Schopenhauer) ed<br />
una interessante rilettura del libro di M.<br />
Henry, L’essence de la manifestation (PUF,<br />
Paris 1963) centrato sul problema dell’alterità<br />
e sul concetto di immanenza che<br />
emergono dal testo (Une autre lecture de<br />
l’Essence de la manifestation: immanence,<br />
présent vivant et altérité, di Y. Yamagata).<br />
AESTHETICA<br />
(n. 31, aprile 1991), rivista del Centro Internazionale<br />
di <strong>Studi</strong> di Estetica di Palermo,<br />
pubblica, per la prima volta in Italia, la<br />
Prefazione a L’Ordonnance des Cinq<br />
Espèces de Colonnes selon la Méthode Des<br />
Anciens, di Claude Perrault, testo chiave<br />
per una corretta ricostruzione e interpretazione<br />
del dibattito teorico in campo architettonico<br />
nella Francia del tardo Seicento.<br />
La figura di Perrault é peraltro rilevante<br />
anche in relazione all’intera cultura del<br />
Seicentoin: come menbro della prestigiosa<br />
Académie des Sciences egli è in contatto<br />
con i maggiori nomi della cultura coeva,<br />
Leibniz, Arnauld e Nicole (numerosi cono<br />
i legami delle idee di Perrault con il giansenismo).<br />
Al testo fa seguito un’appendice<br />
bibliografica a cura di M. S. Scalvini e S.<br />
Villari, curatori anche dell’introduzione al<br />
testo.<br />
THEOLOGIE UND PHILOSOPHIE (Vol.<br />
66, n. 2, 1991, Herder, Freiburg, Basel,<br />
Wien) propone un articolo di C. Hörl<br />
(Semantik und Handlungskausalität) sulla<br />
discussione circa l’intelligenza artistica nella<br />
filosofia analitica; in Die Wahrheit und<br />
das Gute, di J. Splett si esamina la figura di<br />
Socrate in rapporto alla nascita della metafisica.<br />
Nel numero successivo (Vol. 66, n.<br />
3. 1991) appare un articolo di H. L. Ollig<br />
(Philosophische Zeitdiagnose im Zeichen<br />
des Postmodernismus) che esamina sinteticamente<br />
lo status del dibattito sul postmoderno<br />
in Germania, analizzando più precisamemte<br />
la posizione di Sloterdijk, Welsch<br />
e Koslowski.<br />
II BOLLETTINO DELLA SOCIETA’ FILO-<br />
SOFICA ITALIANA (n. 143, maggio-agosto<br />
1991) presenta un articolo di M. Zani<br />
dal titolo L’identità personale secondo<br />
Simone Weil che si propone di costruire su<br />
un piano logico la questione posta dalla<br />
Weil sul piano metafisico della “prospettiva<br />
impersonale riferita ad un io semza<br />
prospettiva”.<br />
Compaiono inoltre un articolo di G. Patella<br />
su Vico e la retorica e la proposta di un<br />
itinerario didattico di O. Frizzera dal titolo:<br />
Dal Mythos al logos nel pensiero antico.<br />
INTERSEZIONI (Vol. XI, n. 2, agosto<br />
1991) presenta un articolo di A. Meschiari<br />
dal titolo: Contributi allo studio dei fondamenti<br />
dello storicismo. La filosofia della<br />
lingua di Heymann Steinthal, che ricostruisce,<br />
parallelamente alla riflessione di<br />
Steinthal, lo status della filosofia del linguaggio<br />
nella metà del XIX sec.
AA.VV<br />
Razionalità fenomenologica<br />
e destino della filosofia<br />
Marietti, Genova ott./dic. 1991<br />
pp.263, L. 40.000<br />
Il punto sugli studi dedicati a Husserl,<br />
in una raccolta di saggi che affronta i<br />
temi fondamentali del più acuto indagatore<br />
nel campo della fenomenologia.<br />
AA.VV.<br />
Preghiera e filosofia<br />
Morcelliana, Brescia ottobre 1991<br />
pp.438, L. 40.000<br />
I saggi di questo volume tentano di<br />
rispondere a queste domande: è possibile<br />
una interrogazione filosofica della<br />
preghiera? Nel tempo del compiuto nichilismo,<br />
la crisi culturale della preghiera,<br />
del suo invocare, non tocca la<br />
stessa filosofia nel suo essere sguardo<br />
stupefatto dell’esistente?<br />
Aarnes, Asbjoern<br />
Cartesianische Perspektiven.<br />
Von Montaigne bis Paul Ricoeur<br />
Bouvier, Bonn sett./ott. 1991<br />
pp.222, DM 58<br />
Il libro apre una nuova strada nella vita<br />
spirituale della Francia: i discorsi del<br />
poeta e del filosofo si separano, condizionati<br />
dalla stretta vicinanza di letteratura<br />
e filosofia.<br />
Adinolfi, Isabella<br />
Poeta o testimone?<br />
Il problema della comunicazione<br />
del cristianesimo<br />
in Søren Kierkegaard<br />
Marietti, Genova ott./dic. 1991<br />
pp.77, L. 25.000<br />
Uno studio che si inserisce in una corrente<br />
diversa da ogni interpretazione<br />
riduttiva di Kierkegaard in chiave fideistica.<br />
Il tema della giustificazione della<br />
fede vi appare come un momento centrale<br />
nella riflessione del filosofo.<br />
Agazzi, E. - Cordero, A. (a cura di)<br />
Philosophy and the origin<br />
and evolution of the Universe<br />
Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991<br />
pp.480, Dfl 190<br />
Il libro fornisce elementi essenziali del<br />
retroterra scientifico necessario per<br />
comprendere le principali questioni della<br />
cosmologia moderna, offrendo allo<br />
stesso tempo un dibattito sui problemi<br />
che vi sorgono, che non sono di carattere<br />
puramente scientifico, né filosofico.<br />
Allen, R.E. (a cura di)<br />
Platone<br />
The dialogues of Plato:<br />
vol.II. The Symposium<br />
Yale UP, Yale ottobre 1991<br />
pp.184, £ 16,95<br />
NOVITA' IN LIBRERIA<br />
NOVITA' IN LIBRERIA<br />
Questa nuova traduzione del Simposio<br />
cerca di far rivivere questo classico per<br />
il lettore moderno. La traduzione è accompagnata<br />
da un commento che mira<br />
a facilitare la comprensione del pensiero<br />
platonico e a fornire riferimenti in<br />
relazione alla filosofia contemporanea.<br />
Alvarez, Fabio Ch.<br />
Die brennende Vernunft. <strong>Studi</strong>en<br />
zur Semantik der “rationalitas”<br />
bei Hildegard von Bingen<br />
Frommann-Holzboog<br />
Stuttgart sett./ott. 1991<br />
pp.288, DM 68<br />
Amtmann, Rolf<br />
Die Ganzheit<br />
in der europäischen Philosophie<br />
Grabert, Tübingen sett./ott. 1991<br />
pp.444, DM 68<br />
Opposizioni come quella di corpo e<br />
anima, materia e spirito, materialismo e<br />
idealismo spesso conducono a vicoli<br />
ciechi. L’autore spiega che la soluzione<br />
andrebbe cercata nella moderna teoria<br />
della totalità.<br />
Annerl, Charlotte<br />
Das neuzeitliche Geschlechterverhältnis.<br />
Eine philosophische Analyse<br />
Campus, Frankfurt/M. sett./ott. 1991<br />
pp.180, DM 38<br />
La Sala, Federico<br />
La mente accogliente.<br />
Tracce per una svolta antropologica<br />
Pellicani, Roma ott./dic. 1991<br />
pp.210, L. 35.000<br />
Saggio su Nietzsche “e i suoi dintorni”<br />
(parmenide, Platone, Marx, Freud,<br />
Benjamin) tenta di andare “oltre”<br />
l’Edipo e la metafisica. Spesso con tono<br />
nietzscheano, chiarisce - attravesro<br />
Parmenide e d Eraclito - il fondamento<br />
della concezione tragica della realtà,<br />
verso il nuovo concetto di “mente accogliente”.<br />
Arens - John - Rottländer<br />
Erinnerung, Befreiung, Solidarität.<br />
Benjamin, Marcuse, Habermas<br />
und die politische Theologie<br />
Patmos, Düsseldorf sett./ott. 1991<br />
pp.200, DM 29,80<br />
Armon-Jones, Claire<br />
Varietes of affect<br />
Harvester Wheatsheaf, settembre 1991<br />
pp.208, £ 30<br />
Questo studio intende dimostrare che<br />
abbiamo bisogno di collocare le nostre<br />
emozioni in una più ampia visione dei<br />
nostri affetti. Si può confidare nel fatto<br />
che un tale approccio ci permetterà di<br />
spiegare la continuità delle emozioni<br />
con altri tipi di stati affettivi e special-<br />
mente con quello stato denominato “umore”.<br />
Audi, Robert<br />
Practical reasoning<br />
Routledge, London settembre 1991<br />
pp.240, £ 9,99<br />
Questa monografia propone un’originale<br />
teoria sul ragionamento pratico,<br />
che combina il realismo psicologico<br />
con l’adeguatezza filosofica, e mira ad<br />
integrare la struttura del ragionamento<br />
pratico in una plausibile psicologia cognitiva.<br />
Auroux, Sylvain - Weil, Yvonne<br />
Dictionnaire des auteurs<br />
et des themes de la philosophie<br />
Hachette, Paris sett./ott. 1991<br />
pp.526, FF 75<br />
Questo dizionario ha un repertorio di<br />
circa cento autori, una guida bibliografica<br />
e raccoglie piu’ di cento temi. E’<br />
una fonte sulla quale verificare i riferimenti.<br />
Baccelli, Luca<br />
Praxis e Poiesis<br />
nella filosofia politica moderna<br />
Franco Angeli, Milano ottobre 1991<br />
pp.272, L. 35.000<br />
Bal,. K. - Wollgast, S. -<br />
Schellenberger, P. (a cura di)<br />
Frühaufklärung<br />
in Deutschland und Polen<br />
Akademie, Berlin sett./ott. 1991<br />
pp.374, DM 48<br />
Baldini, Massimo<br />
Contro il filosofese<br />
Laterza, Bari settembre 1991<br />
pp.190<br />
Di fronte all’ “imperativo storico” di<br />
parlar chiaro come si sono comportati<br />
nel passato e come ancor oggi si comportano<br />
i filosofi? Una carrellata spesso<br />
polemica e sempre vivace su quanto è<br />
stato detto dai vari filosofi sul loro<br />
stesso linguaggio.<br />
Barret, Cyril<br />
Wittgenstein on ethics<br />
and religious belief<br />
Blackwell, London ottobre 1991<br />
pp.256, £ 45<br />
Espone le prospettive etiche religiose<br />
di Wittgenstein. L’opera sottolinea la<br />
suprema convinzione di Wittgenstein<br />
sull’importanza dei valori etici e religiosi;<br />
egli credeva che tale importanza<br />
non potesse tuttavia essere espressa adeguatamente.<br />
Bäumer, A. - Benedikt, M. (a cura di)<br />
Dialogdenken - Gesellschaftsethik.<br />
Wider die allgegenwärtige Gewalt<br />
gesellschaftlicher Vereinnahmung<br />
Passagen-Vlg., Wien sett./ott. 1991<br />
pp.432, ÖS 598 - DM 85<br />
Bäumer, A. - Benedikt, M. (a cura di)<br />
Gelehrtenrepublik - Lebenswelt.<br />
Edmund Husserl und Alfred Schütz<br />
in der Krisis<br />
der phänomenologischen Bewegung<br />
Passagen-Vlg., Wien sett./ott. 1991<br />
pp.400, DM 80 - ÖS 560<br />
Bechler, Zev<br />
Newton’s physics<br />
and the conceptual structure<br />
of the scientific revolution<br />
Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991<br />
pp.624, Dfl. 300<br />
Le due ontologie arrivano ineluttabilmente<br />
allo stesso posto: da una parte il<br />
rettilineo e ordinato verbalismo dell’aristotelico,<br />
dall’altra il platonico costretto<br />
a una circolarità della scienza<br />
che non può eludere, se non rinunciando<br />
agli ideali di certezza che condivide<br />
con l’aristotelico.<br />
Beierwaltes, Werner<br />
Selbsterkenntnis und Erfahrung<br />
der Einheit. Plotins Enneade V 3.<br />
Text, Übersetzung, Interpretation,<br />
Erläuterungen<br />
Klostermann, Frankfurt a.M.<br />
sett./ott. 1991<br />
pp.260, DM 88<br />
Bergson, Henri<br />
Materie und Gedächtnis.<br />
Aine Abhandlung über die Beziehung<br />
zwischen Körper und Geist<br />
Intr. di E. Oger<br />
trad. di J. Frankenberger<br />
Meiner, Hamburg sett./ott. 1991<br />
pp.256, DM 36<br />
Beschin, Giuseppe (a cura di)<br />
Filosofia e ascesi<br />
nel pensiero di Antonio Rosmini<br />
Morcelliana, Brescia 1991<br />
pp.397, L. 50.000<br />
Una prima parte dedicata a un “sondaggio<br />
teoretico” fra platonismo, neoplatonismo<br />
e aristotelismo, una seconda<br />
specificamente dedicata a Rosmini sul<br />
possibile connubio tra filosofia e ascesi.<br />
Bhaskar, Roy<br />
Philosophy and the idea of freedom<br />
Blackwell, London ottobre 1991<br />
pp.256, £ 35<br />
La prima parte è una citica del lavoro di<br />
Richard Rorty sulla problematica epistemologica.<br />
La seconda parte consta<br />
di tre testi complementari a questa critica:<br />
il primo esamina la natura del<br />
realismo critico, il secondo indaga i
legami tra realtà e valore e il terzo è una<br />
visione sinottica del pensiero marxista.<br />
Bianco, Franco -<br />
Di Bernardo, Giuliano (a cura di)<br />
Episteme e azione<br />
Franco Angeli, Milano settembre 1991<br />
pp.248, L. 32.000<br />
I diversi saggi che compongono questo<br />
volume analizzano l’attuale pluralizzazione<br />
dei criteri euristico-interpretativi<br />
dell’impresa cognitiva, il rifiuto delle<br />
prospettive di tipo riduzionistico sostenute<br />
dalle epistemologie analitiche standard,<br />
la valorizzazione delle dimensioni<br />
linguistiche, pragmatiche e intenzionali<br />
presenti nell’indagine eticofilosofica.<br />
Vengono così studiate concezioni<br />
e teorie che sono alla base non<br />
soltanto dell’odierna prospettiva “postanalitica”,<br />
ma anche di movimenti come<br />
lo storicismo, l’ermeneutica, il pragmatismo,<br />
“la nuova filosofia della scienza”,<br />
l’epistemologia evoluzionistica e<br />
il neoutilitarismo.<br />
Blumenthal, Henry -<br />
Robinson, Howard (a cura di)<br />
Aristotle and the later tradition<br />
Clarendon, London settembre 1991<br />
pp.288, £ 35<br />
Il tema centrale di quest’opera è la<br />
filosofia di Aristotele e la sua influenza<br />
sul pensiero della tarda classicità, in<br />
particolare sul neoplatonismo. Include<br />
articoli sulla fisica, la metafisica, la<br />
teologia, l’etica, la logica e la filosofia<br />
della mente, scritti da alcuni studiosi<br />
americani ed europei.<br />
Bortolotti, Arrigo<br />
La religione nel pensiero di Platone<br />
Olschki, Firenze ott./dic. 1991<br />
pp.300, L. 52.000<br />
Lo studio contenuto in questo volume è<br />
la continuazione e il completamento<br />
del discorso iniziato in La religione nel<br />
pensiero di Platone. Dai primi dialoghi<br />
al Fedro, pubblicato dall’autore nel<br />
1986.<br />
Bos, P. Adam<br />
Teologia Cosmica e Metacosmica<br />
Vita e Pensiero, Milano ottobre 1991<br />
pp.404, L. 45.000<br />
Una nuova interpretazione delle opere<br />
“perdute” di Aristotele che comportano<br />
una nuova considerazione globale della<br />
sua filosofia.<br />
Braitling, Petra<br />
Hegels Subjektivitätsbegriff.<br />
Aine Analyse mit Berücksichtigung<br />
intersubjektiver Aspekte<br />
Königshausen & Neumann<br />
Würzburg sett./ott. 1991<br />
pp.234, DM 46<br />
Brandl, J. (a cura di)<br />
Metamind, knowledge, and coherence.<br />
Essays on the philosophy<br />
of Keith Lehrer<br />
Ed. Rodopi, Amsterdam sett./ott. 1991<br />
pp.200, Dfl 65<br />
Braude, Stephen E.<br />
First person plural:<br />
multiple personality<br />
and the philosophy of the mind<br />
Routledge, London ottobre 1991<br />
pp.288, £ 35<br />
Un’analisi filosofica del fenomeno dello<br />
sdoppiamento della personalità.<br />
Braude sostiene che l’avvicendarsi delle<br />
personalità è una profonda ed autentica<br />
divisione dell’io.<br />
Braun, Johann<br />
Freiheit, Gleichheit, Eigentum.<br />
Grundfragen des Rechts<br />
im Lichte der Philosophie<br />
J.G. Fichtes Mohr<br />
Tübingen sett./ott. 1991<br />
pp.189, DM 64<br />
NOVITA' IN LIBRERIA<br />
Bruno, Giordano<br />
Über di Monas, die Zahl und die Figur<br />
als Elemente einer sehr gemeinen<br />
Physik, Mathematik und Metaphysik<br />
A cura di E. von Samsonow<br />
Meiner, Hamburg sett./ott. 1991<br />
pp.294, DM 88<br />
In questa prima traduzione tedesca della<br />
sua fondamentale trilogia, Bruno individua<br />
nel numero la chiave dell’allontanamento<br />
del pensiero dai principi<br />
semplici verso l’idea della totalità.<br />
Calasso, Roberto<br />
I quarantanove gradini<br />
Adelphi, Milano ottobre 1991<br />
pp.500, L. 32.000<br />
Nietzsche, Kraus, Robert Walser. Adorno,<br />
Benjamin, Heidegger, Marx, sono<br />
alcuni dei nomi che appaiono in questo<br />
libro. Sono incontri che hanno lasciato<br />
traccia in saggi, indagini, articoli composti<br />
nel corso di più di vent’anni e qui<br />
presentati nell’ordine in cui sono stati<br />
scritti.<br />
Camastra, Francesco (a cura di)<br />
Libido dominandi. La teoria politica<br />
da Gregorio Magno a Gregorio VII<br />
Unicopli, Milano ott./dic. 1991<br />
pp.173, L. 26.000<br />
Attraverso una scelta di testi con ampia<br />
introduzione, il volume offre uno sguardo<br />
sulla filosofia politica di importanti<br />
esponenti medievali del potere politico<br />
e di quello religioso: da Gregorio magno<br />
a Aluino, da Carlo Magno a<br />
Gregorio VII.<br />
Cambiano, Giuseppe<br />
Platone e le Tecniche<br />
Laterza, Bari settembre 1991<br />
pp. 270<br />
A vent’anni dalla prima edizione, questo<br />
saggio rimane ancora oggi l’unico<br />
lavoro complessivo che tratti organicamente<br />
la riflessione platonica sul mondo<br />
concreto della “operatività” umana.<br />
Campbell, T.D. (a cura di)<br />
Biotechnologie, Ethik und Recht<br />
im wissenschaftlichen Zeitalter<br />
Steiner, Stuttgart sett./ott. 1991<br />
pp.200, DM 70<br />
Raccolta di saggi tedeschi, inglesi e<br />
francesi.<br />
Canto, Monique (a cura di)<br />
Les paradoxes de la connaissance:<br />
essais sur le Menon de Platon<br />
O. Jacob, Paris ottobre 1991<br />
pp.280, FF 180<br />
Uno studio sul Menone, che presenta<br />
nella forma piu’condensata e piu’ drammatica<br />
i punti principali del pensiero<br />
platonico.<br />
Cardoff, Peter<br />
Martin Heidegger<br />
Campus, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991<br />
pp.140, DM 17,80<br />
Questo scritto introduttivo cerca di rompere<br />
il campo del pensiero, comunicando<br />
con la filosofia di Heidegger in modo<br />
dialogico ed esaminando l’opera al<br />
di là dei pro e dei contro in cui è arenata.<br />
Carré, Patrick<br />
D’Elis a Taxila: eloge de la vacuité<br />
Criterion, Paris ottobre 1991<br />
pp.110, FF 75<br />
Al centro di questo viaggio iniziatico ai<br />
confini tra saggistica e narrativa, è<br />
Pirrone, filosofo greco dell’antichita’,<br />
fondatore dello scetticismo e compagno<br />
di Alessandro, che scortera’ durante<br />
le sue conquiste.<br />
Casati, R. (a cura di)<br />
Europena Yearbook of Philosophy.<br />
Vol.1/1991: Philosophy of mind<br />
Neske, Pfullingen sett./ott. 1991<br />
pp.160, DM 38<br />
Questo periodico è la piattaforma di<br />
lancio delle nuove generazioni accademiche<br />
del pensiero filosofico e viene<br />
pubblicato una volta all’anno da giovani<br />
universitari europei in lingua inglese.<br />
Gli otto articoli del numero 1 trattano<br />
problemi specifici della filosofia dello<br />
spirito.<br />
Cassirer, Ernst<br />
Rousseau, Kant, Goethe<br />
A cura di Rainer A. Bast<br />
Meiner, Hamburg sett./ott. 1991<br />
pp.204, DM 32<br />
Il presente volume comprende quattro<br />
importanti testi di Rousseau, Kant e<br />
Goethe, due dei quali appaiono per la<br />
prima volta in lingua tedesca. L’accurata<br />
edizione filologica comprende anche<br />
le note del curatore, con documentazione<br />
delle citazioni e utili spiegazioni.<br />
Cioran, E. M.<br />
L’inconveniente di essere nati<br />
Adelphi, Milano novembre 1991<br />
pp.187, L. 25.000<br />
Cioran vaga in questo libro non già<br />
intorno ai problemi come fanno spesso<br />
i filosofi, ma intorno alle “cose” come<br />
fanno i pochi che pensano veramente e<br />
fra le tante cose il puro fatto di essere<br />
nati. In questo libro, più che mai prima,<br />
Cioran si avvicina a certi temi, a certi<br />
modi dei buddhisti più radicali.<br />
Conche, Marcel (a cura di)<br />
Anassimandre.<br />
Fragmentes et temoignages<br />
PUF, Paris settembre 1991<br />
pp.256, FF 245<br />
Il problema iniziale della filosofia, quello<br />
del senso dell’uomo, ha preso sin<br />
dalle origini, con Anassimandro, la sua<br />
forma essenziale: cosa significa la morte?<br />
La “Parola di Anassimandro” è una<br />
giustificazione della morte.<br />
Corbin, Henry<br />
Storia della filosofia islamica<br />
Adelphi, Milano ottobre 1991<br />
pp.285, L. 16.000<br />
La vicenda del pensiero islamico non<br />
solo attraverso le figure che ebbero<br />
immensa influenza in Occidente, come<br />
Avicenna e Averroè, ma in tutte le sue<br />
molteplici, affascinanti ramificazioni,<br />
molte delle quali pressochè ignote fra<br />
noi prima di questo libro.<br />
Cusano, Nicola<br />
La dotta ignoranza<br />
a cura di G. Federici Vescovini<br />
Città Nuova, Roma settembre 1991<br />
pp. 229, £. 23.000<br />
Il problema che interessa Cusano, nella<br />
Dotta ignoranza è quello del rapporto<br />
tra verità di fede e verità di ragione,<br />
rivelazione cristiana e filosofia. Moderna<br />
la soluzione, che sfocia in una<br />
«mondanizzazione» del messaggio re-<br />
ligioso, nella pacificazione terrena della<br />
fede fondata sulla universalità del<br />
suo messaggio, il Verbo come Logos<br />
rivelato.<br />
Damascius, Westerink Leendert<br />
Gerrit (a cura di)<br />
Traité des premiers principes<br />
Belles Lettres, Paris 1986-1991<br />
3 vol.<br />
Deleuze, Gilles - Guattari, Felix<br />
Qu’est-ce que la philosophie?<br />
Minuit, Paris ottobre 1991<br />
pp.208, FF 85<br />
La filosofia, in quanto attivita’ che crea<br />
concetti, si differenzia dalla scienza e<br />
dalla logica, le quali operano attraverso<br />
funzioni, su un piano di riferimento e<br />
con osservatori parziali.<br />
Derrida, Jacques<br />
Oggi l’Europa<br />
Garzanti, Milano ottobre 1991<br />
pp.126, L. 18.000<br />
“A quale concetto, a quale individuo<br />
reale, a quale entità determinata si può,<br />
al giorno d’oggi, assegnare in nome di<br />
Europa?” E’ questo lo spunto da cui<br />
parte la riflessione di Jacques Derrida<br />
che affronta in questo saggio uno dei<br />
temi più profondi e centrali dell’attualità<br />
culturale e politica: qual’è e quale<br />
sarà il ruolo del Vecchio Continente?<br />
Quale potrà essere il suo destino, ora<br />
che la situazione mondiale sta cercando<br />
nuovi equilibri?<br />
Derrida, Jacques<br />
La mano di Heidegger<br />
Laterza, Bari novembre 1991<br />
pp.210<br />
Un confronto di altissimo livello tra<br />
uno dei maggiori filosofi francesi contemporanei<br />
e il grande filosofo tedesco.<br />
Di Francesco, Michele<br />
Il Realismo analitico<br />
Guerini e Ass., Milano sett. 1991<br />
pp.280, L. 40.000<br />
Il volume fornisce un’ampia panoramica<br />
della filosofia del linguaggio in<br />
Russel mettendo a fuoco uno dei principali<br />
punti teoretici da cui si è originata<br />
la filosofia analitica.<br />
Druwe-Mikusin, Ulrich<br />
Moralische Pluralität. Grundlegung<br />
einer Analytischen Ethik der Politik<br />
Königshausen & Neumann<br />
Würzburg sett./ott. 1991<br />
pp.216, DM 44<br />
Il saggio contrappone (a livello analitico)<br />
il problema del fondamento normativo<br />
e di quello morale. Sulla base della<br />
filosofia della scienza di Quine viene<br />
elaborata una metaetica concezione di<br />
fondamento di nuovo genere, che costituisce<br />
il punto di partenza per una teoria<br />
dell’etica politica.<br />
Duhamel, Roland<br />
Nietzsches Zarathustra - Mystiker<br />
des Nihilismus. Eine Interpretation<br />
von F. Nietzsches<br />
Also sprach Zarathustra.<br />
Königshausen & Neumann<br />
Würzburg sett./ott. 1991<br />
pp.128, DM 29,80<br />
Dumont, Louis<br />
Homo aequalis.<br />
2: L’ideologie allemande<br />
Gallimard, Paris ottobre 1991<br />
pp.324, FF 145<br />
Dopo aver posto in rilievo l’individua-
lismo del nostro mondo contemporaneo<br />
in “Homo hierarchicus” (1966),<br />
Dumont questa volta confronta l’aspetto<br />
francese e l’aspetto tedesco dell’individualismo<br />
moderno.<br />
Edmond, Michel-René<br />
Platon le philosophe roi<br />
Payot, Paris ottobre 1991<br />
FF 140<br />
L’impresa platonica si regge sulla necessita’per<br />
la politica di essere sorretta<br />
dalla filosofia. Questo saggio sviluppa<br />
tre punti: la critica dell’interpretazione<br />
cristiana, l’analisi della concezione platonica<br />
della giustizia e infine l’ordine<br />
politico giusto come oggetto di un sapere<br />
stabilito.<br />
Emanuele, Pietro - Plebe, Armando<br />
L’Euristica. Come nasce una filosofia<br />
Laterza, Bari ottobre 1991<br />
pp.200<br />
Espagnat, Bernard d’<br />
A la recherche du reel<br />
Presses Pocket, Paris sett./ott. 1991<br />
FF 48<br />
Una questione classica della filosofia<br />
viene riproposta da questo autore che<br />
rilegge le risposte tradizionali utilizzando<br />
un occhio scientifico.<br />
Un’iniziazione ai problemi della fisica<br />
dei nostri giorni.<br />
Fadini, Ubaldo<br />
Configurazioni antropologiche<br />
Liguori, Napoli 1991<br />
pp. 274, L. 25.000<br />
Raccolta di saggi, frutto delle ricerche<br />
di Fadini tra il 1985 e il 1990, che<br />
intende ribadire l’importanza di una<br />
costellazione filosofica - caratterizzata<br />
da un particolare “materialismo antropologico”<br />
- che sottolinea il significato<br />
“critico-affermativo” di un insediamento<br />
materiale/sensibile nel contesto sempre<br />
più artificiale della vita umana.<br />
Fellmann, Ferdinand<br />
Symbolischer Pragmatismus.<br />
Hermeneutik nach Dilthey<br />
Rowohlt, Reinbek sett./ott. 1991<br />
DM 18,80<br />
Il “pragmatismo simbolico” è il tentativo<br />
di una nuova ermeneutica filosofica<br />
che tenga conto nel processo di comprensione<br />
dell’esperienza emotiva.<br />
Formenti, Carlo<br />
Piccole apocalissi<br />
Tracce della divinità<br />
nell’ateismo contemporaneo<br />
Cortina, Milano settembre 1991<br />
pp.196, L. 23.000<br />
Il risveglio delle grandi religioni<br />
d’Oriente e Occidente suscita diffidenza<br />
nella società secolarizzata del XX<br />
secolo. Il crollo dell’utopia comunista<br />
ha appena riconsegnato la sinistra al<br />
mondo laico e ai suoi valori. L’ateismo<br />
è una religione. Una religione senza<br />
Dio, una religione dell’uomo che ignora<br />
i suoi stessi presupposti teologici.<br />
Questo libro ne analizza i miti, le rivelazioni<br />
e i messaggi di salvezza.<br />
Frazer, James G.<br />
Matrimonio e parentela<br />
a cura di Giulio Guidorizzi<br />
Il Saggiatore, Milano 1991<br />
pp. 269, L. 50.000<br />
E’ il sesto capitolo della seconda parte<br />
del II volume della monumentale opera<br />
di Frazer, Il Folklore nell’Antico Testa-<br />
NOVITA' IN LIBRERIA<br />
mento. Prendendo spunto dall’episodio<br />
relativo alle nozze di Giacobbe, viene<br />
individuata una struttura fondamentale<br />
per l’analisi della società, il “matrimonio<br />
tra cugini”.<br />
Freadman, Richard -<br />
Reinhardt, Lloyd<br />
On literary theory and philosophy.<br />
A cross-disciplinary encounter<br />
Macmillan, London sett./ott. 1991<br />
pp.246, £ 35<br />
Il saggio esplora i rapporti tra teoria<br />
letteraria contemporanea e filosofia analitica.<br />
Fra gli argomenti centrali del<br />
volume: l’io, l’etica, l’interpretazione,<br />
il linguaggio e la caratterizzazione della<br />
filosofia “analitica” e “continentale”.<br />
Freund, Julien - Blanchet, Charles<br />
L’aventure du politique<br />
Criterion, Paris ottobre 1991<br />
Frigerio, Maurilio<br />
Invito al pensiero di Bruno<br />
Mursia Editore, Milano settembre 1991<br />
pp.216, L. 13.000<br />
Fuller, Michael<br />
Truth, value and justification<br />
Avebury, ottobre 1991<br />
pp.200, £ 32<br />
Una ricerca sui fondamenti dell’ epistemologia<br />
e dell’etica, che traccia legami<br />
tra valore e realtà, vero e valore, realtà<br />
e teoria. L’autore conclude affermando<br />
che la filosofia non è mai esistita oltre il<br />
“paradigma kantiano”.<br />
Gander, H.-H. (a cura di)<br />
Von Heidegger her. Wirkungen<br />
in Philosophie - Kunst - Medizin<br />
Klostermann, Frankfurt a.M.<br />
sett./ott. 1991<br />
pp.160, DM 48<br />
Gane, Michael<br />
Baudrillard’s bestiary:<br />
Baudrillard and culture<br />
Routledge, London ottobre 1991<br />
pp.192, £ 35<br />
Attingendo da numerosi importanti<br />
scritti di Baudrillard, che sono tuttora<br />
disponibili solo in lingua francese, Gane<br />
fornisce un’introduzione alla teoria culturale<br />
di questo pensatore, in particolare<br />
soffermandosi sulla concezione della<br />
modernità e sul complesso processo<br />
di simulazione.<br />
Gannon, Timothy<br />
Shaping psychology:<br />
how we got where we’re going<br />
UP of America, settembre 1991<br />
pp.322, $ 33,95<br />
Questo testo tratta le origini delle idee<br />
psicologiche in filosofia e le origini<br />
della psicologia scientifica. L’autore<br />
mostra le implicazioni della psicologia<br />
con la semiotica.<br />
Gehlhaar, Sabine S.<br />
Die frühpositivistische (Helmholtz)<br />
und phänomenologische (Husserl)<br />
Revision der Kantischen<br />
Erkennt-nislehre<br />
Junghans, Cuxhaven sett./ott. 1991<br />
pp.278, DM 58<br />
Geist, Werner<br />
Vom Wert des Menschen.<br />
Aus der Evolution zur Provolution.<br />
Versuch einer analytischen<br />
Hominologie<br />
Radius-Vlg., Stuttgart sett./ott. 1991<br />
pp.332, DM 36<br />
Gembillo, Giuseppe<br />
Croce e il problema del metodo<br />
Flavio Pagano Ed., Napoli 1991<br />
pp.139, L. 15.000<br />
Tappe del confronto di Croce con autorevoli<br />
metodologi quali Galileo,<br />
Droysen, Vailati, Mach; l’interesse di<br />
Croce comprende tanto le teorie dei<br />
epistemologi quanto quelle degli studiosi<br />
di storiografia etico-politica.<br />
Gerri, Giovanni<br />
Platone<br />
sociologo della comunicazione<br />
Pref. di Bruno Gentili<br />
Il Saggiatore, Milano 1991<br />
L. 38.000<br />
Platone comprese perfettamente vantaggi<br />
e svantaggi della parola scritta nei<br />
confronti dell’agonismo orale e della<br />
comunicazione diretta in voga fino al<br />
periodo precedente al proprio. La forma<br />
letteraria del dialogo vuole congiungere<br />
la possibilità di articolazione<br />
concettuale con il dinamismo della parola<br />
parlata.<br />
Gilman, Sander (a cura di)<br />
Conversation with Nietzsche<br />
Oxford UP, ottobre 1991<br />
pp.304, £ 10,95<br />
Questo album di ricordi, aneddoti e<br />
memorie private, provenienti da svariate<br />
fonti, riflette la realtà e i miti che<br />
circondavano Nietzsche. Il libro ricopre<br />
l’intero arco della sua vita e narra la<br />
sua visione delle figure storiche che<br />
hanno influenzato il suo pensiero, come<br />
Goethe e Napoleone.<br />
Gilson, Bernard<br />
L’essor de la dialectique moderne<br />
et la philosophie du droit<br />
Vrin, Paris ottobre 1991<br />
pp.703, FF 390<br />
Dal contenuto delle opere di Kant, Fichte<br />
ed Hegel, Gilson si è sforzato di determinare<br />
il significato del movimento del<br />
loro pensiero filosofico e giuridico.<br />
Gilson, Etienne - Maritain, Jacques -<br />
Prouvost, Gery (a cura di)<br />
Correspondances 1923-1971:<br />
deux approches de l’etre<br />
Vrin, Paris ottobre 1991<br />
Giorello, Giulio -<br />
Strata, Piergiorgio (a cura di)<br />
L’automa spirituale.<br />
Menti cervelli computers<br />
Laterza, Bari 1991<br />
pp.240, L. 33.000<br />
Quattordici saggi elaborati dai partecipanti<br />
ai seminari organizzati dal Premio<br />
Europeo Cortina Ulisse sul tema<br />
“Corpo e mente nella storia e nella<br />
filosofia della scienza”. Interventi, fra<br />
gli altri di Daniel Deumet; Michele Di<br />
Francesco, John Eccles, Giulio Giorello,<br />
Thomas Nagel, Karl R. Popper, Roger<br />
Sperry sul problema del rapporto fra<br />
mente e cervello e sulla struttura e il<br />
funzionamento cerebrale.<br />
Glucksmann, André<br />
Le XIe commandement<br />
Flammarion, Paris ottobre 1991<br />
pp.348, FF 120<br />
A partire dalla sanguinosa storia del<br />
ventesimo secolo, una riflessione morale<br />
che porta a questo “undicesimo<br />
comandamento”: niente di cio’ che è<br />
inumano ci deve essere estraneo.<br />
Gomez-Muller, Alfred<br />
Chemins d’Aristote<br />
Felin, Paris sett./ott. 1991<br />
pp.163, FF 110<br />
Un’introduzione ad Aristotele attraverso<br />
tre percorsi. Il primo ripercorre la sua<br />
vita nella societa’ greca del quarto sec.<br />
a.C.; il secondo sviluppa la sua teoria<br />
della conoscenza; il terzo segue le tracce<br />
che la sua riflessione etico-politica<br />
ha lasciato nella storia del pensiero occidentale.<br />
Guillemin, Henri<br />
Regards sur Nietzsche<br />
Seuil, Paris ottobre 1991<br />
pp.309, FF 130<br />
Tentativo di indovinare o intravvedere<br />
il personaggio e le sue differenti maschere.<br />
Habermas, Jürgen<br />
Il pensiero post-metafisico<br />
Laterza, Bari settembre 1991<br />
pp.300<br />
Il volume è arricchito dall’introduzione<br />
di Marina Calloni e da un glossario, una<br />
sorta di dizionario filosofico del pensiero<br />
di Habermas nei termini in cui è<br />
stato tradotto in Italia.<br />
Handjaras, Luciano<br />
Problemi e progetti del costruzionismo<br />
Saggio sulla filosofia<br />
di Nelson Goodman<br />
Franco Angeli, Milano novembre 1991<br />
pp.184, L. 25.000<br />
Goodman si interroga essenzialmente<br />
su un unico problema: come costruiamo<br />
i nostri mondi della filosofia, dell’arte,<br />
della scienza e come ne valutiamo<br />
la giustezza. Ridifinendo i rapporti<br />
tra conoscenza, comprensione e operazioni<br />
costruttive, amplia e ridetermina<br />
l’idea di conoscenza e delinea una trama<br />
di somiglianze e differenze cognitive<br />
ed estetiche tra “opere” di solito<br />
considerate inconfrontabili.<br />
Hannay, Alastair<br />
Kierkegaard<br />
Routledge, London ottobre 1991<br />
pp.390, £ 14,99<br />
Un esauriente studio critico di Soren<br />
Kierkegaard. Nonostante il rifiuto di<br />
Kierkegaard di costruire un edificio teoretico<br />
alla maniera di Hegel, Alastair<br />
Hannay mostra come in realtà egli usi<br />
sistematicamente la filosofia per chiarire<br />
gli esiti della fede religiosa, della<br />
moralità e dell’etica.<br />
Harding, Sandra<br />
Whose science? Whose knowledge?:<br />
thinking from women’s lives<br />
Open UP, Milton Keynes<br />
settembre 1991<br />
pp.320, £ 30<br />
Esamina la possibilità di un modo femminista<br />
di conoscere e di una scienza<br />
femminista, considerando le conseguenze<br />
pratiche che un metodo femminista<br />
potrebbe avere per le relazioni politiche,<br />
sociali e sessuali. L’autrice esplora<br />
la natura e le implicazioni dell’epistemologia<br />
femminista e del postmodernismo<br />
femminista.<br />
Hare, R. M.<br />
Moralisches Denken.<br />
Seine Ebenen, seine Methode, sein Witz<br />
Bouvier, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991<br />
pp.280, DM 48<br />
“Moralisches Denken” è nello stesso<br />
tempo l’esposizione più concisa e più<br />
avanzata del progetto che R.M. Hare ha<br />
iniziato con “Die Sprache der Moral” e
“Freiheit und Vernunft” e che ogg, con<br />
il nome di “prescrittivismo universale”<br />
è fra le teorie di filosofia morale più<br />
discusse.<br />
Hare, R. M. - Barnes, Jonathan -<br />
Chadwick, Henry<br />
Founders of thought<br />
Oxford UP, Oxford ottobre 1991<br />
pp.304, £ 7,99<br />
Quest’opera fornisce un’introduzione<br />
a tre influenti pensatori della classicità:<br />
Platone, i cui dialoghi costituiscono la<br />
base degli sudi logici, metafisici, morali<br />
e politici; Aristotele e S.Agostino.<br />
Harris, Errol E.<br />
Salvezza dalla disperazione.<br />
Rivalutazione della filosofia<br />
di Spinoza<br />
Guerini e Ass., Milano settembre 1991<br />
pp.335, L. 48.000<br />
Una ricostruzione filosofica e interpretativa<br />
della dottrina di Spinoza che offre<br />
una risposta ai problemi teoretici<br />
che essa pone. Il saggio offre originali<br />
prospettive concernenti le relazioni tra<br />
due dei massimi esponenti del razionalismo<br />
moderno, Spinoza appunto e<br />
Hegel.<br />
Hegel, Georg Wilhelm F.<br />
Fenomenologia della natura<br />
a cura di Pier Giuseppe Milanesi<br />
Unicopli, Milano 1991<br />
pp.189, L. 26.000<br />
Prima traduzione delle pagine delle<br />
Lezioni jenesi nelle quali Hegel espone<br />
la propria analisi del mondo fisico come<br />
puro mondo di rapporti qualitativi.<br />
Con testi, su questi stessi temi, di<br />
Goethe, Schelling, Kant e<br />
Schopenhauer.<br />
Hegel, Georg Wilhelm Friedrich<br />
Phenoménologie de l’esprit<br />
a cura di Jean-Pierre Lefebvre<br />
Aubier, Paris ottobre 1991<br />
pp.576, FF 180<br />
Uno dei più importanti scritti della storia<br />
della filosofia, ora in nuova traduzione<br />
francese.<br />
Heidegger, Martin<br />
Saggi e discorsi<br />
a cura di Gianni Vattimo<br />
Mursia, Milano settembre 1991<br />
pp.198, L. 12.000<br />
I saggi e i discorsi riuniti in questo<br />
volume, uscito in edizione originale nel<br />
1954, sono stati tutti composti intorno<br />
al 1950, nel momento in cui si andava<br />
diffondendo nella filosofia europea la<br />
discussione intorno al significato della<br />
cosiddetta “svolta” del pensiero heideggeriano<br />
annunciata dalla Lettera sull’umanismo<br />
nel 1946. Più di altri scritti<br />
heideggeriani, i Saggi e discorsi offrono<br />
un punto di vista privilegiato per<br />
cogliere l’immagine dell’uomo e del<br />
compito del pensiero.<br />
Heidegger, Martin<br />
Prolegomena alla storia<br />
del concetto di tempo<br />
Il Melangolo, Genova settembre 1991<br />
pp.384, L. 50.000<br />
Questo scritto si colloca sullo sfondo<br />
della filosofia dell’essere con una notevole<br />
potenza innovativa che mette in<br />
risalto i caposaldi del pensiero heideggeriano.<br />
E’ il corso di lezioni che<br />
Heidegger tenne a Marburgo nel 1924/<br />
25.<br />
Henrich, Dieter<br />
NOVITA' IN LIBRERIA<br />
Konstellationen. Probleme<br />
und Debatten am Ursprung der<br />
idealistischen Philosophie (1789-1795)<br />
Klett-Cotta, Stuttgart sett./ott. 1991<br />
pp.176, DM 68<br />
La nascita dell’idealismo speculativo<br />
nelle lettere e nei discorsi.<br />
Heipke, K. (a cura di)<br />
Die Frankfurter Schriften Brunos<br />
und ihre Voraussetzungen<br />
VCH, Weinheim sett./ott. 1991<br />
pp.309, DM 128<br />
Raccolta degli interventi al convegno<br />
in una seduta del Gruppo di Lavoro<br />
Interdisciplinare di Filosofia dell’Università<br />
di Cassel sulle opere tarde latine<br />
di Giordano Bruno.<br />
Hermann, Friedrich-W. von<br />
Heideggers Grundprobleme<br />
der Phänomenologie. Zur<br />
“zweiten Hälfte” von Sein und Zeit<br />
Klostermann, Frankfurt a.M.<br />
sett./ott. 1991<br />
pp.64, DM 19,80<br />
Hoogendijk, A.<br />
Phlilosophy for managers<br />
Veen, 1991<br />
Visto che i managers devono programmare<br />
il futuro, devono avere una chiara<br />
visione dei propri obbiettivi; la riflessione<br />
“filosofica” su fini e mezzi può<br />
essere loro utile.<br />
Horster, Detlef<br />
Richard Rorty zur Einführung<br />
Junius, Hamburg sett./ott. 1991<br />
pp.160, DM 17,80<br />
Hübner, Benno<br />
Der de-projizierte Mensch.<br />
Metaphysik der Langeweile<br />
Passagen-Vlg., Wien sett./ott. 1991<br />
pp.176, DM 37,80<br />
Hude, Henri<br />
Prolegomenes<br />
Ed. Universitaires<br />
Paris sett./ott. 1991<br />
pp.219, FF 165<br />
Come cominciare? La messa in moto<br />
della riflessione filosofica è al tempo<br />
stesso semplice ed assai complessa.<br />
Hume, David<br />
Enquete sur les principes de la morale<br />
a cura di Saltel Philippe<br />
Flammarion, Paris ottobre 1991<br />
pp.352, FF 38<br />
Un’introduzione alla filosofia della quale<br />
l’autore vorrebbe fare un piacere e<br />
non gia’ un lavoro.<br />
Hume, David<br />
Les passions<br />
a cura di Jean-Pierre Clero<br />
Flammarion, 1991<br />
pp.352, F 38<br />
Raccoglie il Trattato sulla natura<br />
umana e le Dissertazioni sulle passioni<br />
Hyppolite, Jean<br />
Figures de la pensée philosophique<br />
PUF, Paris ottobre 1991<br />
2 vol. pp.544, FF 149<br />
Il pensiero filosofico della nostra epoca<br />
si caratterizza attraverso due movimenti<br />
antitetici, quello che cerca di svelare<br />
l’esistenza, che si è spesso opposto alle<br />
scienze, e quello che invece si è innalzato<br />
a considerare le strutture immanenti<br />
le scienze stesse.<br />
Ingegno, Adolfo (a cura di)<br />
Da Democrito a Collingwood<br />
Leo S. Olschki, Firenze<br />
pp.208, L. 40.000<br />
Jankélévitch, Vladimir<br />
L’avventura, la noia, la serietà<br />
Marietti, Genova ott./dic. 1991<br />
pp.298, L. 35.000<br />
Tre momenti dell’esistenza di ogni uomo<br />
interpretati come elementi fondamentali<br />
del vivere.<br />
Jaspers, Karl<br />
Il medico nell’età della tecnica<br />
Cortina Editore, Milano ottobre 1991<br />
pp.158, L. 18.000<br />
Non vi è stato alcun altro importante<br />
filosofo del nostro secolo che abbia<br />
conosciuto i problemi della condizione<br />
medica nell’età della tecnica come<br />
Jaspers, sia per l’esperienza diretta, sia<br />
per una riflessione su questa esperienza.<br />
I suoi scritti sulla condizione medica,<br />
raccolti qui per la prima volta in un<br />
unico volume, assumono pertanto un<br />
valore particolare.<br />
Jonas, Hans<br />
Lo gnosticismo<br />
a cura di Raffaele Farina<br />
Sei, Torino 1991<br />
pp.437, L. 45.000<br />
In questo studio, considerato ormai un<br />
classico, Jonas mette in luce i fondamenti<br />
dottrinari dello gnosticismo esaminando<br />
caratteristiche e teorie delle<br />
varie sette.<br />
Joukovsky, Francoise<br />
Le Feu et le fleuve:<br />
Heraclite et la Renaissance francaise<br />
Droz, Paris ottobre 1991<br />
pp.152, FF 240<br />
Mostra l’influenza di questo filosofo<br />
greco che postulava che il mondo racchiude<br />
una sola forza viva ed unica il<br />
cui simbolo è il fuoco.<br />
Kopper, Margit<br />
Die Systemfrage in der transzendentalen<br />
Methodenlehre der Kritik der reinen<br />
Vernunft und ihre Bedeutung für<br />
die Reflexion des Wissens in sich bei<br />
Hegel<br />
Königshausen & Neumann<br />
Würzburg sett./ott. 1991<br />
pp.304, DM 68<br />
Krüger, H.-P. (a cura di)<br />
Objekt- und Selbsterkenntnis.<br />
Zum Wandel im Verständnis<br />
moderner Wissenschaften<br />
Akademie-Vlg., Berlin sett./ott. 1991<br />
pp.200, DM 51<br />
Kühlewind, Georg<br />
Der sprechende Mensch.<br />
Ein Menschenbild aufgrund<br />
des Sprachphänomens<br />
Klostermann, Frankfurt a.M.<br />
sett./ott. 1991<br />
pp.224, DM 48<br />
L’autrice colloca le differenze sessuali<br />
nel movimento di passaggio storico dal<br />
precedente modello di pensiero e di<br />
comportamento improntato a uno stile<br />
di vita a un tipo di ragione maschile del<br />
moderno soggetto. I suoi fondamenti<br />
tuttavia non vengono individuati in una<br />
natura maschile, ma nella struttura del<br />
comportamento razionale.<br />
Lacarriere, Jacques<br />
Les gnostiques<br />
A.M. Metaillé, Paris sett./ott. 1991<br />
pp.192, FF 78<br />
Un saggio originale, una sorta di meditazione<br />
poetica sugli gnostici estinti<br />
d’Egitto; il loro radicale rifiuto di credere<br />
nel mondo disegnato dai teologi<br />
del cristianesimo, li ha condotti alla<br />
distruzione.<br />
Lacoue-Labarthe, Philippe -<br />
Nancy, Jean-Luc<br />
Le mythe nazi<br />
Ed. de l’aube, Paris ottobre 1991<br />
pp.70, FF 45<br />
Primo di una serie di brevi testi filosofici<br />
attraverso i quali importanti pensatori<br />
dei nostri giorni interverranno nel<br />
dibattito in corso. Quest’opera cerca di<br />
definire una peculiarita’ fondamentale<br />
del nazismo, nella misura in cui esso<br />
viene pensato come mito moderno.<br />
Lalande, André<br />
Vocabulaire technique<br />
et critique de la philosophie<br />
PUF, Paris ottobre 1991<br />
2 vol.<br />
pp.704, FF 160<br />
Fornisce delle definizioni semantiche,<br />
che non vanno considerate come dei<br />
principi formali, ma come delle spiegazioni.<br />
Non si tratta di costituire un’assiomatica,<br />
ma di conoscere delle realta’<br />
linguistiche e di prevenire dei malintesi.<br />
Lash, Scott - Friedman, Jonathan<br />
Modernity and identity<br />
Blackwell, London settembre 1991<br />
pp.448, £ 45<br />
Un contributo al dibattito contemporaneo<br />
su modernismo e postmodernismo.<br />
Questo libro prefigura la possibilità di<br />
una “terza via”, rifiutando l’opposizione<br />
tra il razionalismo impersonale dell’alto<br />
modernismo e l’irrazionalismo<br />
antietico del postmodernismo.<br />
Lavelle, Louis<br />
Traité des valeurs:<br />
1. Theorie generale de la valeur<br />
PUF, Paris sett./ott. 1991<br />
pp.768, FF 350<br />
Un quadro di tutte le direzioni nelle<br />
quali la riflessione umana si è impegnata,<br />
nel corso della sua storia, al fine di<br />
definire il valore assoluto e i valori<br />
particolari.<br />
Leach, Edmund<br />
Lévi-Strauss zur Einführung<br />
prefazione di K.-H. Kohl<br />
Junius, Hamburg sett./ott. 1991<br />
pp.184, DM 17,80<br />
Leibniz, Gottfried Wilhelm<br />
De l’horizon de la doctrine humaine<br />
(1693); La restitution universelle (1715)<br />
a cura di Fichant Michel<br />
Vrin, Paris ottobre 1991<br />
pp.218, FF 120<br />
Il testo è stato riprodotto in base al<br />
manoscritto originale. Nell’appendice<br />
Fichant propone un commento filosofico.<br />
Lemaire, Jacques (a cura di)<br />
La pensee et l’homme n. 18;<br />
le rationalisme est-il en crise?<br />
Ed. de l’Université de Bruxelles<br />
Bruxelles ottobre 1991<br />
pp.165, FF 83<br />
Si sono espressi a riguardo dei razionalisti<br />
convinti, degli scettici, degli specialisti<br />
nelle scienze umane, dei ricercatori<br />
in scienze esatte e degli storici.<br />
Lenk, Hans
Prometheisches Philosophieren. Von<br />
Paradoxien und pragmatischen<br />
Problemen<br />
heutigen verantwortlichen Denkens<br />
Radius-Vlg, Stuttgart sett./ott. 1991<br />
pp.160, DM 24<br />
Leser, N. (a cura di)<br />
Die Gedankenwelt Sir Karl Poppers.<br />
Kritischer Rationalismus in Dialog.<br />
Winter, Heidelberg sett./ott. 1991<br />
pp.422, DM 148<br />
Atti del simposio tenutosi a Lochau,<br />
presso Bregenz, nell’ottobre 1989, organizzato<br />
dall’ Instituts für Neuere<br />
Österreichische Geistesgeschichte della<br />
Ludwig-Boltzmann-Gesellschaft e<br />
dalla Internationale Akademie für<br />
Philosophie del Principato del<br />
Liechtenstein<br />
Lisciani-Petrini, Enrica<br />
L’apparenza e le forme.<br />
Filosofia e musica in Jànkélévitch<br />
Nuove ediz.Tempi Moderni, 1991<br />
L. 20.000<br />
Al regime discontinuo, inquietamente<br />
metamorfico della musica moderna si<br />
accosta la riflessione di Jankélévitch, al<br />
fine di mostrare un diverso modo di<br />
intendere la realtà. Attraverso il filosofo<br />
francese e altri - Adorno e Benjamin<br />
- il saggio affronta il cambiamento radicale<br />
impresso dalla modernità al rapporto<br />
uomo-mondo.<br />
Litt, Theodore<br />
L’individu et la communauté<br />
Age d’homme, Losanna settembre/ottobre<br />
1991<br />
pp.347, FF 160<br />
Litt arricchisce il metodo dialettico tanto<br />
caro ad Hegel, grazie al suo confronto<br />
con la fenomenologia descrittiva di<br />
Husserl. E’ l’autore di “Introduction a<br />
la philosophie” e di “Hegel: essai d’un<br />
renouvellement critique”<br />
Lutz-Bachmann, M. -<br />
Schmid Noerr, G. (a cura di)<br />
Die Unnatürlichkeit des Sozialen<br />
Nexus-Vlg., Frankfurt a.M.<br />
sett./ott. 1991<br />
pp.154, DM 29<br />
Makdisi, George<br />
Religion, law and learning<br />
in classical Islam<br />
Variorum, ottobre 1991<br />
pp.336, £ 43,50<br />
Questa seconda raccolta di articoli di<br />
George Makdisi riguarda le scuole di<br />
pensiero religioso e di sapere giuridico<br />
nel mondo islamico medievale e la loro<br />
difesa dell’ortodossia. L’autore cerca<br />
di rivalutare le implicazioni del conflitto<br />
tra i teologi “razionalisti” e quelli<br />
“tradizionalisti”, gli uni accettando l’influenza<br />
della filosofia greca, gli altri<br />
rifiutandola; in particolare viene esaminato<br />
il conflitto tra una di queste<br />
scuole tradizionaliste, la scuola di diritto<br />
Hanbali, ed il misticismo Sufi. La<br />
sezione finale del libro analizza le strutture<br />
della cultura ufficiale, le sue istituzioni,<br />
l’organizzazione e i principi che<br />
la ispirano in rapporto all’evoluzione<br />
delle Università nell’occidente medievale<br />
e ai Collegi degli Avvocati in Inghilterra,<br />
discutendo il contributo islamico<br />
ed arabo al concetto di libertà<br />
accademica ed intellettuale e allo sviluppo<br />
della scolastica e dell’umanesimo.<br />
Malebranche, Nicolas de -<br />
NOVITA' IN LIBRERIA<br />
Minazzoli, Agnes (a cura di)<br />
De l’imagination<br />
A. Minazzoli Ed., Paris settembre 1991<br />
FF 50<br />
Un classico della filosofia, un’introduzione<br />
all’opera di Malebranche. Questa<br />
edizione comprende un’importante sezione<br />
che propone altri punti di vista sul<br />
tema, come quelli di Descartes, Pascal<br />
o S.Agostino.<br />
Mangiagalli, Maurizio<br />
La “Rivista di filosofia<br />
neoscolastica” (1909-1959)<br />
Vol. I.: Il movimento neoscolastico<br />
e la fondazione della rivista<br />
Vita e Pensiero, Milano ottobre 1991<br />
pp.374, L. 60.000<br />
Sullo sfondo della Milano tardoromantica<br />
e scapigliata dei primi del nostro<br />
secolo, viene presa in esame la fondazione<br />
della “Rivista di Filosofia neoscolastica”,<br />
dalla quale nascerà l’Università<br />
Cattolica.<br />
Marcel, A.J. - Bisiach, E. (a cura di)<br />
Consciousness<br />
in contemporary science<br />
Clarendon, London settembre 1991<br />
pp.416, £ 17,50<br />
Il peso della coscienza nella scienza<br />
moderna è discusso in questo volume,<br />
da alcune eminenti autorità nei campi<br />
della psicologia, della neurologia e della<br />
filosofia. Tra i temi trattati vi sono i<br />
disturbi della coscienza, le funzioni della<br />
coscienza e i fondamenti della coscienza<br />
nell’apprendimento.<br />
Margolis, Joseph<br />
The truth about relativism<br />
Blackwell, London ottobre 1991<br />
pp.240, £ 35<br />
Un’esauriente difesa del relativismo filosofico.<br />
Riunisce le principali linee<br />
d’attacco del mondo antico (soprattutto<br />
contro Protagora) e le varie critiche che<br />
sono state sviluppate dalla filosofia contemporanea<br />
angloamericana ed europea<br />
continentale.<br />
Margreiter, R. - Leidlmair, K.<br />
(a cura di)<br />
Heidegger. Technik - Ethik - Politik<br />
Königshausen & Neumann<br />
Würzburg sett./ott. 1991<br />
pp.281, DM 58<br />
Marx, W. (a cura di)<br />
Die Struktur lebendiger Systeme.<br />
Zu ihrer wissenschaftlichen<br />
und philosophischen Bestimmung<br />
Klostermann, Frankfurt a.M.<br />
sett./ott. 1991<br />
pp.140, DM 48<br />
Il volume raccoglie i risultati del gruppo<br />
di studio “Philosophisce Grundlagen<br />
der Wissenschaften”.<br />
Melchiorre, Virgilio<br />
Analogia e analisi trascendentale<br />
Mursia, Milano settembre 1991<br />
pp.176, L. 28.000<br />
Una nuova, originale e organica lettura<br />
del progetto metafisico kantiano. L’analisi<br />
condotta in questo volume mira a<br />
leggere nel “non detto” o nei presupposti<br />
che reggono sia l’interpretazione<br />
kantiana del mondo fisico, sia quella<br />
del processo storico, e infine la stessa<br />
ricerca trascendentale de la grande Critica.<br />
Merquior, J. G.<br />
Foucault<br />
Fontana, London settembre 1991<br />
pp.196, £ 4,99<br />
Questo libro, oltre ad occuparsi delle<br />
pubblicazioni di Foucault, offre numerosi<br />
contributi riguardanti la sua storia<br />
filosofica, i suoi debiti verso altri pensatori<br />
e i suoi complessi rapporti con lo<br />
strutturalismo francese. L’autore s’interroga<br />
inoltre sul valore della retorica<br />
filosofica di Foucault.<br />
Meyer, Michel<br />
Problematologia.<br />
Filosofia, scienza e linguaggio<br />
Pratiche Ed., Parma 1991<br />
pp. 431, £. 43.000<br />
Evidenziando la differenza problematologica<br />
tra domanda e risposta, Meyer<br />
chiarisce il ruolo delle filosofia come<br />
capo in cui rispondere equivale alla<br />
formulazione stessa della domanda. Ne<br />
risulta una tipologia di razionalità radicata<br />
nell’interrogatività, che si differenzia<br />
tanto dal modello scientifico che<br />
dalla tradizionale impostazione logicoontologica.<br />
Meyer, Michel<br />
Problematologia. Filosofia, scienza e<br />
linguaggio<br />
Trad. it. di Mario Porro<br />
Guerini e Ass., Milano ottobre 1991<br />
pp.410, L. 40.000<br />
Con il termine problematologia l’autore<br />
intende un pensiero filosofico che si<br />
fonda sul “domandare”, su una dialettica<br />
di domande e risposte che, in sintonia<br />
con la tradizione filosofica classica,<br />
sia interrogazione radicale, ricerca del<br />
fondamentale. Mayer prende le mosse<br />
dalla situazione attuale degli studi filosofici,<br />
che giudica debole ed arbitraria:<br />
sia il relativismo filosofico attuale che<br />
la storicizzazione a tutti i costi di ogni<br />
pensiero filosofico sono, in quanto frammentazioni<br />
del pensiero, anti-filosofia,<br />
perchè la filosofia è sempre, intrinsecamente,<br />
sistematizzante.<br />
Michel Foucault, philosopher<br />
Harvester Wheatsheaf, ottobre 1991<br />
pp.368, £ 35<br />
Questa raccolta di saggi sulla filosofia<br />
di Foucault valuta le sue varie opere<br />
sotto diverse prospettive: il suo posto<br />
nella storia della filosofia, il suo stile e<br />
il suo metodo di espressione filosofica,<br />
le sue nozioni di potere politico, il suo<br />
pensiero etico e la sua attitudine alla<br />
psicoanalisi.<br />
Milani, Raffaele<br />
Le categorie estetiche<br />
Pratiche Ed., Parma 1991<br />
pp.371, L. 40.000<br />
Sistemazione, in forma di “elenco”, delle<br />
principali categorie estetiche cui studiosi<br />
e autori hanno fatto riferimento<br />
nel corso degli ultimi tre secoli: bello,<br />
brutto, sublime e così via.<br />
Mittelstraß, Jürgen (a cura di)<br />
Einheit der Wissenschaften.<br />
De Gruyter, Berlino sett./ott. 1991<br />
pp.538, DM 138<br />
Atti del colloquio internazionale della<br />
AdW di Berlino (Bonn, giugno 1990).<br />
Gruppo di lavoro: “Unità delle scienze”.<br />
Temi trattati: “Teoria della scienza.<br />
Interdisciplinarietà nella teoria e<br />
nella prassi”; “Il compito delle scienze<br />
dello spirito nel sistema delle scienze”;<br />
“Scienza e mondo della vita”.<br />
Montesquieu, Charles de<br />
Pensées; Le spicilege<br />
a cura di Louis Desgraves<br />
Laffont, Paris ottobre 1991<br />
pp.1220, FF 150<br />
I Pensieri e Lo spicilegio sono presentati<br />
qui nell’integralita’ del manoscritto<br />
di Bordeaux. Vi si trova un Montesquieu<br />
polemista, ritrattista impietoso e moralista.<br />
Moyal, Georges J.D. (a cura di)<br />
René Descartes: Critical assessments<br />
Routledge, London ottobre 1991<br />
4 volumi, £ 300<br />
Una raccolta dei più importanti contributi<br />
sulla dottrina cartesiana. Sono qui<br />
proposti circa 120 articoli concernenti<br />
il metodo cartesiano, l’epistemologia,<br />
la metafisica e gli apporti alla matematica<br />
e alle scienze.<br />
Negele, Manfred<br />
Grade der Freiheit.<br />
Versuch einer Interpretation von Hegels<br />
Phänomenologie des Geistes<br />
Königshausen & Neumann<br />
Würzburg sett./ott. 1991<br />
pp.241, DM 56<br />
Nietzsche, Friedrich<br />
David Strauss.<br />
L’uomo di fede e lo scrittore<br />
Adelphi, Milano ottobre 1991<br />
pp.120, L. 10.000<br />
David Strauss, studioso del cristianesimo<br />
e saggista, sarebbe oggi generalmente<br />
dimenticato se Nietzsche non lo<br />
avesse scelto come bersaglio di questa<br />
“considerazione inattuale” per delineare<br />
il ritratto del “filisteo della cultura”,<br />
puro prodotto della Germania del suo<br />
tempo, in cui intravedeva un penoso<br />
modello per le età future.<br />
Nietzsche, Friedrich<br />
Ecce Homo<br />
a cura di Roberto Calasso<br />
Adelphi, Milano ottobre 1991<br />
pp.250, L. 16.000<br />
Nell’autunno del 1888, nelle febbrili<br />
settimane che precedettero la “follia di<br />
Torino” e il successivo, definitivo silenzio,<br />
vennero scritte queste pagine<br />
che rimangono una delle vette stilistiche<br />
di Nietzsche e insieme un tentativo<br />
senza precedenti di capire se stessi.<br />
Nietzsche, Friedrich<br />
La filosofia nell’epoca tragica<br />
dei Greci e Scritti 1870-1873<br />
Adelphi, Milano novembre 1991<br />
pp.294, L. 18.000<br />
Questo libro è il primo esempio di quell’approccio<br />
del tutto personale ad altri<br />
pensatori, che poi resterà caratteristico<br />
di Nietzsche.<br />
Nietzsche, Friedrich<br />
Le livre du philosophe<br />
a cura di Angele Kremer-Marietti<br />
Flammarion, Paris ottobre 1991<br />
pp.192, FF 30<br />
Alcuni testi scritti, a volte in forma<br />
frammentaria, tra il 1872 e il 1875.<br />
Niquet, Marcel<br />
Transendentale Argumente. Kant,<br />
Strawson und die sinnkritische Aporetik<br />
der Detranszendentalisierung<br />
Suhrkamp, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991<br />
pp.580, DM 78<br />
Al centro di questa analisi c’è il concetto<br />
di argomentazione trascendentale.<br />
Alla fine l’autore, partendo dalla critica<br />
categoriale del senso, riesce a sbarazzare<br />
l’argomentazione della detrascendentalizzazione<br />
dal fuorviante frainten-
dimento di sé e quindi a mettere a nudo<br />
il nocciolo razionale di questo tipo di<br />
necessaria autochiarificazione della “ragione”<br />
filosofica.<br />
Noonan, Harold<br />
Personal identity<br />
Routledge, London ottobre 1991<br />
pp.272, £ 10,99<br />
In quest’opera l’autore fornisce un’introduzione<br />
sulle maggiori teorie storiche<br />
e sul dibattito corrente, includendo<br />
la sua interpretazione del problema dell’identità<br />
personale.<br />
Nothelle-Wildfeuer, Ursula<br />
“Duplex ordo cognitionis”.<br />
Zur systemathischen Grundlegung<br />
einer katholischen Soziallehre im<br />
Anspruch von Philosophie und<br />
Theologie<br />
Schöningh, Paderborn sett./ott. 1991<br />
pp.855, DM 98<br />
Orth, E. W.<br />
Perspektiven und Probleme<br />
der Husserlschen Phänomenologie.<br />
Beiträge zur neueren Husserl-<br />
Forschung<br />
K. Alber, Freiburg i.Br. sett./ott. 1991<br />
pp.360, DM 98<br />
Perissinotto, Luigi<br />
Logica e immagine del mondo. <strong>Studi</strong>o<br />
su Über Gewissheit di Wittgenstein<br />
Guerini e Ass., Milano ottobre 1991<br />
pp.256, L. 34.000<br />
Spunto per la stesura del lavoro, che<br />
risale agli anni 1950-51, è il viaggio che<br />
Wittgenstein compì nell’anno immediatamente<br />
precedente negli Stati Uniti,<br />
viaggio nutrito di discussioni e polemiche<br />
con i filosofi americani. Il lavoro<br />
di Perissinotto costituisce una piena<br />
valorizzazione dell’immensa ricchezza<br />
teoretica di quest’ultima opera<br />
wittgesteiniana, collocandola in modo<br />
equilibrato e coerente all’interno di una<br />
lettura globale del percorso filosofico<br />
di Wittgestein.<br />
Philippe, Marie-Dominique<br />
Introduction<br />
a la philosophie d’Aristote<br />
Ed. Universitaires<br />
Paris settembre 1991<br />
pp.302, FF 198<br />
Fino a che punto la ricerca di Aristotele<br />
ha penetrato la conoscenza dell’uomo,<br />
dell’universo e dell’essere primo?<br />
L’opera è completata da un breve studio<br />
degli scritti aristotelici, per facilitarne<br />
la lettura.<br />
Philosophie, n. 31: Marx<br />
Minuit, Paris settembre 1991<br />
pp.92, FF 52<br />
Contiene un frammento inedito dei manoscritti<br />
del 1844 concernente il sapere<br />
assoluto secondo Hegel. Il legame tra<br />
Marx ed Aristotele secondo alcuni appunti<br />
di Marx stesso.La lingua di Marx:<br />
le sue invenzioni concettuali e le sue<br />
invenzioni linguistiche. I rapporti di<br />
marx col giudaismo e con la religione.<br />
Il pensiero di Marx e quello di Max<br />
Weber<br />
Picht, Georg<br />
Glaube und Wissen.<br />
Einleitung von Christian Link<br />
Klett-Cotta, Stuttgart sett./ott. 1991<br />
pp.300, DM 60<br />
Plebe, Armando - Emanuele, Piero<br />
NOVITA' IN LIBRERIA<br />
L’euristica. Come nasce una filosofia<br />
Laterza, Bari 1991<br />
pp.193, L. 27.000<br />
L’euristica, l’arte di trovare argomenti<br />
e di inventare concetti, è tornata di<br />
recente al centro del dibattito filosofico,<br />
scientifico ed estetico, contrapponendosi<br />
all’ermeneutica per l’accento<br />
posto sul valore dell’originalità. Dalla<br />
sua prospettiva emerge una concezione<br />
nuova della maniera in cui nasce una<br />
filosofia.<br />
Pleines, J.E. (a cura di)<br />
Zum teleologischen Argument in der<br />
Philosophie. Aristoteles - Kant - Hegel<br />
Königshausen & Neumann,<br />
Würzburg sett./ott. 1991<br />
pp.224, DM 48<br />
Poiché anche le indagini storiche e i<br />
tentativi di ricostruzione nei confronti<br />
di Aristotele, Leibniz e Kant o Schelling<br />
e Hegel sono caratterizzati dalla preoccupazione,<br />
dovremmo verificare la solidità<br />
dell’argomento teleologico nelle<br />
attuali condizioni, se non vogliamo<br />
sconsideratamente buttarlo via in nome<br />
della scienza o dell’illuminismo.<br />
Pöggeler, Otto<br />
Neue Wege mit Heidegger<br />
Alber, Freiburg i.Br. sett./ott. 1991<br />
pp.500, DM 98<br />
Popper, Karl R.<br />
Die beiden Grundprobleme<br />
der Erkenntnistheorie. Aufgrund von<br />
Manuskripten aus den Jahren 1930-33<br />
hrsg. von Hansen Troels Eggers<br />
J.C.B. Mohr, Tübingen sett./ott. 1991<br />
pp.450, DM 90<br />
Porphyrios, Demetri<br />
Classical architecture<br />
Academy, London ottobre 1991<br />
pp.200, £ 35<br />
Questo libro consta di una serie di lezioni<br />
tenute dall’autore alla University<br />
of Virginia. Sono discussi il concetto<br />
aristotelico di “techne”, il significato<br />
fondamentale del Classicismo e dello<br />
stile, le implicazioni dell’odierno pluralismo<br />
e il reale valore della tradizione.<br />
Price, B. B.<br />
Medieval thought: an introduction<br />
Blackwell, Oxford ottobre 1991<br />
pp.240, £ 35<br />
Ripercorre i modi nei quali il pensiero<br />
astratto medievale ha espresso le interazioni<br />
tra i corsi di studio e la lettura<br />
dei classici, il latino e la lingua volgare,<br />
la filosofia e la teologia. Il libro presenta<br />
inoltre i profili dei principali intellettuali<br />
dell’epoca.<br />
Pufendorf, Samuel<br />
a cura di Tully James<br />
On the duty of man and citizen<br />
according to natural law<br />
Cambridge University Press,<br />
ottobre 1991<br />
pp.232, £ 27,50<br />
Un compendio della teoria politica del<br />
diritto naturale di Pufendorf, la piu’<br />
influente teoria del diritto naturale dei<br />
secoli diciassettesimo e diciottesimo.<br />
L’autore offre una classica giustificazione<br />
del primo stato illuminato moderno<br />
e delle sue appropriate relazioni di<br />
soggezione politica e morale.<br />
Putnam, Hilary<br />
La sfida del realismo<br />
Garzanti, Milano settembre 1991<br />
pp.132, L. 18.000<br />
“La filosofia moderna” afferma Putnam<br />
“è stata ipnotizzata dall’idea che gli<br />
eventi scientifici siano i soli eventi possibili<br />
“ Nelle quattro lezioni che compongono<br />
La sfida del realismo, Putnam<br />
si fa portavoce di un “realismo pragmatico”<br />
teso ad eliminare quel dualismo, e<br />
a restituire al pensiero la possibilità di<br />
pensare tutta la realtà (l’io più il mondo)<br />
secondo uno schema unitario, non<br />
frammentato.<br />
Quillien, Jean<br />
L’antropologie philosophique de G.de<br />
Humboldt<br />
Presses Universitaires de Lille<br />
Lille ottobre 1991<br />
pp.644, FF 150<br />
Per meglio comprendere la teoria humboldiana<br />
del linguaggio e dei linguaggi.<br />
Un’analisi approfondita di cio’che ne<br />
costituisce il fondamento antropologico.<br />
Raio, Giulio<br />
Introduzione a Cassirer<br />
Laterza, Bari novembre 1991<br />
pp.260<br />
Il primo studio generale e approfondito<br />
che ripercorre l’intera opera di Ernst<br />
Cassirier, completato da una breve storia<br />
della critica e da un’ampia bibliografia.<br />
Reale, Mario (a cura di)<br />
Verso una nuova immagine di Platone<br />
Ist. Suor Orsola Benincasa/Rusconi<br />
Napoli novembre 1991<br />
Le lezioni di studiosi italiani e stranieri<br />
in occasione del convegno: “Verso una<br />
nuova immagine di Platone”, tenutosi a<br />
Napoli il 7-9 ottobre 1991.<br />
Ricoeur, Paul<br />
Filosofia della volontà 1<br />
Marietti, Genova ott./dic. 1991<br />
pp.482, L. 70.000<br />
Il primo volume dell’opera-chiave di<br />
uno dei più importanti filosofi francesi<br />
del Novecento.<br />
Ricoeur, Paul<br />
Dell’interpretazione.<br />
Saggio su Freud<br />
Il Melangolo, Genova settembre 1991<br />
pp.600, L. 60.000<br />
Ricoeur in questa suo opera capitale,<br />
precisa e feconda di nuovi spunti critici<br />
tutti i testi di Freud, dal Progetto del<br />
1895 all’Interpretazione dei sogni, alle<br />
ultime opere sul disagio nella civiltà e<br />
sul significato della cultura e di Eros.<br />
Ritter, Jaochim<br />
Paesaggio. Sulla funzione<br />
dell’estetico nella società moderna<br />
Guerini e Ass., Milano ottobre 1991<br />
pp.88, L. 14.000<br />
All’interno delle riflessioni sul paesaggio<br />
si propone per la prima volta in<br />
italiano un saggio di Ritter scritto in<br />
occasione dell’accettazione del<br />
Rettorato di Münster nel 1963, in cui il<br />
senso estetico del paesaggio è analizzato<br />
prendendo spunto dalla celebre scalata<br />
del Monte Ventoso (26 aprile 1335)<br />
da parte di Francesco Petrarca. Da qui<br />
l’autore prende lo spunto per analizzare<br />
il rapporto tra natura e speculazione<br />
filosofica come caratteristica del mondo<br />
moderno.<br />
Röbig, Klaus<br />
Sind Soldaten potentielle Mörder?<br />
Zum Problem der moralisch-ethischen<br />
Rechtfertigung des Tötens im Krieg<br />
Prolog-Verlag, Kassel sett./ott. 1991<br />
pp.100, DM 18<br />
Roellecke, G. (a cura di)<br />
Öffentliche Moral. Gut und Böse<br />
in der Beobachtung durch Geschichte,<br />
Religion, Wirtschaft, Verteidigung<br />
und Recht<br />
Müller, Heidelberg sett./ott. 1991<br />
pp.182, DM 88<br />
Rosset, Clément<br />
La philosophie tragique<br />
PUF, Parigi sett./ott. 1991<br />
pp. 176, FF 44<br />
Il tradico come paradigma e termine di<br />
confronto per l’etica e la morale.<br />
Ryle, Gilbert<br />
Per una lettura di Platone<br />
Guerini e Ass., Milano ottobre 1991<br />
pp.236, L. 34.000<br />
Una difesa di Platone, accusato di aver<br />
attaccato importanti politici del suo tempo.<br />
Accuse in seguito alle quali Platone<br />
abbandona il dialogo dialettico socratico,<br />
proibisce l’insegnamento della dialettica<br />
ai giovani, e fonda l’Accademia,<br />
dove non insegna ma dove è attivo<br />
Aristotele proprio con l’insegnamento<br />
della retorica e della dialettica. Ryle ci<br />
offre una storia diversa, che sfrutta testimonianze<br />
diverse e che cerca di riflettere<br />
su argomenti che sono stati trascurati.<br />
Sahel, Claude<br />
La Tolérance.<br />
Pour un humanisme hérétique<br />
Autrement, Parigi sett./ott. 1991<br />
pp. 221, FF 98<br />
L’analisi della tolleranza mette in campo<br />
le dissimetrie fondamentali della<br />
relazione umana e la loro apprensione<br />
etica.<br />
Sandkühler, H. J. - Holz, H. H.<br />
(a cura di)<br />
Geschechtliche Erkenntnis.<br />
Zum Theorietypus “Marx”<br />
Meiner, Hamburg sett./ott. 1991<br />
pp.150, DM 30<br />
Schällibaum, Urs<br />
Geschlechterdifferenz und Ambivalenz.<br />
Ein Vergleich zwischen Luce Irigaray<br />
und Jacques Derrida<br />
Passagen-Vlg., Wien sett./ott. 1991<br />
pp.256, DM 55<br />
Scheler, Claus-A.<br />
Wittgensteins Kristall.<br />
Ein Satzkommentar zur Logischphilosophischen<br />
Abhandlung<br />
Alber, Freiburg sett./ott. 1991<br />
pp.220, DM 48<br />
Schlette, Heinz Robert<br />
Konkrete Humanität.<br />
<strong>Studi</strong>en zur praktischen Philosophie<br />
und Religionsphilosophie.<br />
Aus Anlaß des 60. Geburtstages<br />
a cura di J. Brosseder<br />
Knecht, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991<br />
pp.480, DM 95<br />
Schmidt, S. J. (a cura di)<br />
Kognition und Gesellschaft.<br />
Der Diskurs des radikalen<br />
Konstruktivismus 2<br />
Suhrkamp, Frankfurt sett./ott. 1991<br />
pp.280, DM 18<br />
Questa antologia presenta le posizioni<br />
di discussione interdisciplinare in Germania<br />
all’inizio degli anni ’90. Filoso-
fi, studiosi della natura, dello spirito e<br />
di scienze sociali fanno il punto sulle<br />
ricerche attuali nei rispettivi campi.<br />
Schopenhauer, Arthur<br />
L’arte di ottenere ragione<br />
trad. it. di N. Curcio e F. Volpi<br />
Adelphi, Milano ottobre 1991<br />
pp.124, L. 12.500.<br />
In questo piccolo trattato Schopenhauer<br />
fornisce trentotto stratagemmi, leciti ed<br />
illeciti, a cui ricorrere per “ottenere”<br />
ragione: con freddezza classificatoria<br />
Schopenhauer ci indica le “vie traverse<br />
e i trucchi di cui si serve l’ordinaria<br />
natura umana per celare i suoi difetti”.<br />
Nello stesso tempo questo testo si colloca<br />
in un crocevia memorabile del<br />
pensiero moderno: negli stessi anni in<br />
cui Hegel indicava nella dialettica la<br />
via per giungere al culmine dello Spirito,<br />
Schopenhauer la raccomandava come<br />
fioretto da impugnare in quella<br />
“scherma spirituale” che è il discutere,<br />
senza badare alla verità.<br />
Severino Emanuele<br />
La filosofia moderna<br />
Rizzoli, Milano novembre 1991<br />
pp.256, L. 12.000<br />
Anche questo libro, come il precedente<br />
dedicato alla filosofia antica, si rivolge<br />
ad un pubblico non specializzato che<br />
non vuole avvalersi di un manuale, ma<br />
di una chiave che gli consenta di orientarsi<br />
verso le forme del pensiero moderno.<br />
Sfrisio, Maurizio<br />
Per una filosofia cristiana della storia<br />
Galleria, Padova 1991<br />
pp.108<br />
Lo studio si propone di enucleare la<br />
problematica concernente legittimità,<br />
campo di indagine, strumenti e limiti di<br />
una filosofia cristiana della storia.<br />
Silvermann, Hugh J. (a cura di)<br />
Gadamer and Hermeneutics<br />
Routledge, London ottobre 1991<br />
pp.288, £ 35<br />
Una raccolta di saggi, tra i quali uno di<br />
Gadamer stesso, sulla vita e l’opera di<br />
questo pensatore. In alcune sezioni speciali<br />
Gadamer è collocato in rapporto al<br />
lavoro di altri grandi filosofi come<br />
Heidegger, Ricouer, Barthes, Derrida e<br />
Habermas. Sono anche inclusi tre dialoghi<br />
concernenti le questioni della metafora,<br />
della scienza e del testo.<br />
Sloterdijk, P. - Macho, Th. H.<br />
(a cura di)<br />
Die Weltrevolution der Seele.<br />
Ein Gnosis-Lesebuch von der<br />
Spätantike bis zum New Age. II Vol.<br />
Artemis & Winkler<br />
Zürich sett./ott. 1991<br />
pp.400 DM 68<br />
Peter Sloterdijk e Thomas H. Macho in<br />
questa imponente opera aprono la storia<br />
di una rivoluzionaria tradizione di<br />
pensiero che si è difesa caparbiamente,<br />
accanto e sotto l’insegnamento filosofico<br />
religioso, dall’antichità fino ai giorni<br />
nostri.<br />
Speck, J. (a cura di)<br />
Grundprobleme der großen<br />
Philosophen. Philosophie der Neuzeit<br />
VI. Tarski, Reichenbach, Kraft, Gödel,<br />
Neurath, Schlick<br />
Vandenhoeck & Ruprecht,<br />
Göttingen sett./ott. 1991<br />
pp.250, DM 27,80<br />
Spies, Marcus<br />
NOVITA' IN LIBRERIA<br />
Unsicheres Wissen<br />
Spektrum, Heidelberg sett./ott. 1991<br />
pp.350, DM 44<br />
Il sapere incerto, come le previsioni del<br />
tempo, le diagnosi mediche e il mutevole<br />
confine fra opposti come grande e<br />
piccolo vengono trattati in questo libro<br />
avvalendosi della logica Fuzzy-Set e<br />
del connettivismo.<br />
Stehr, Nico<br />
Praktische Erkenntnis<br />
Suhrkamp, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991<br />
pp.240, DM 36<br />
Il libro si propone di analizzare il sapere<br />
delle scienze sociali, le sue conseguenze<br />
pratiche e i risultati, ma anche i<br />
motivi della sua irrilevanza e si batte in<br />
favore di una scienza sociale orientata<br />
in senso pragmatico, indagandone le<br />
condizioni di possibilità.<br />
Stevens, Annick<br />
Posterité de l’etre:<br />
Simplicius interpreté de Parmenide<br />
Ousia, Bruxelles settembre 1991<br />
pp.146, FF 75<br />
Annick Stevens esamina il destino che<br />
la teoria parmenidea dell’essere subisce,<br />
quando Simplicio, nel suo commento<br />
alla “Fisica” e al “Trattato sul<br />
cielo” di Aristotele, interpreta il “Poema”<br />
come compatibile col platonismo e<br />
con l’aristotelismo.<br />
Strauss, Leo<br />
Socrate e Aristofane<br />
Il Melangolo, Genova ottobre 1991<br />
pp.416, L. 36.000<br />
Leo Strauss ha dedicato a Socrate più di<br />
un’opera; in questo libro esamina il<br />
rapporto tra Socrate e Aristofane nelle<br />
commedie di quest’ultimo. Grazie allo<br />
studio dei lavori teatrali che ci sono<br />
rimasti, Strauss mostra come in realtà<br />
nel confronto emerga il dissidio tra filosofia<br />
e poesia. In questo contesto<br />
Aristofane attribuisce alla poesia il ruolo<br />
di unico sapere autonomo in grado di<br />
confrontarsi con la filosofia.<br />
Sulami, Roger Deladrière<br />
La lucidité implacable<br />
Ed. Arléa, Arles settembre 1991<br />
pp. 109, FF 95<br />
Mistico, maesto spirituale e storico del<br />
sufismo, Sulami tratta in questo testo<br />
fondamentale della lucidità che l’uomo,<br />
per definirsi tale, deve esercitare su<br />
se stesso.<br />
Tessitore, Fulvio<br />
Introduzione allo storicismo<br />
Laterza, Bari ottobre 1991<br />
pp.300<br />
Thomas, H. (a cura di)<br />
Naturherrschaft. Wie Mensch und Welt<br />
sich in der Wissenschaft begegnen.<br />
Colloquium, Köln 1990<br />
Busse Seewald, Herford sett./ott. 1991<br />
pp.336, DM 28<br />
Raccolta di contributi interdisciplinari<br />
con un denominatore comune per un<br />
convegno del Lindenthal- Institut di<br />
Colonia sulla filosofia delle scienze naturali<br />
(dall’11 al 13 maggio 1990).<br />
Thompson, M. P. (a cura di)<br />
John Locke und Immanuel Kant.<br />
Historische Rezeption<br />
und gegenwärtige Relevanz<br />
Duncker & Humblot, Berlin sett./ott.<br />
1991<br />
pp.413, DM 98<br />
Tresmontant, Claude<br />
Problèmes de notre temps<br />
OEIL, Paris settembre 1991<br />
pp. 578, FF 195<br />
Rassegna e cronaca dei grandi problemi<br />
filosofici della fine del XX secolo.<br />
Tymieniecka, A.-T. (a cura di)<br />
The turning points<br />
of the new phenomenological era.<br />
Husserl’s research drawing upon<br />
the full extent of his development<br />
Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991<br />
pp. 584, Dfl 265<br />
Uebel, Th. E. (a cura di)<br />
Rediscovering<br />
the forgotten Vienna Circle.<br />
Austrian <strong>Studi</strong>es on Otto Neurath<br />
and the Vienna Circle<br />
Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991<br />
pp.340, Dfl 175<br />
Università di Firenze<br />
Annali del Dipartimento di Filosofia<br />
Olschki, Firenze ott./dic. 1991<br />
pp. 352, L. 70.000<br />
Viale, Riccardo<br />
Metodo e scienza nella società.<br />
Fattori metodologici, sociali e<br />
cognitivi delle decisioni scientifiche<br />
Franco Angeli, Milano ottobre 1991<br />
pp.336, L. 48.000<br />
Von Kutschera, Franz<br />
Fondamenti dell’Etica<br />
Franco Angeli, Milano ottobre 1991<br />
pp.398, L. 48.000<br />
Questo volume si contraddistingue dalla<br />
vasta produzione contemporanea nel<br />
settore etico per il taglio logico-epistemologico.<br />
Vengono presentati i concetti<br />
essenziali della logica deontica e<br />
della preferenza e discussi dal punto di<br />
vista logico la legge di Hume e il postulato<br />
di generalizzabilità.<br />
Walker, J. (a cura di)<br />
Thought and faith<br />
in the philosophy of Hegel<br />
Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991<br />
pp.204, Dfl 150<br />
Raccolta internazionale dei saggi emersi<br />
dalla conferenza di Oxford del 1987, il<br />
cui oggetto è la dimensione rleigiosa<br />
del pensiero di Hegel, nel senso più<br />
vasto del termine.<br />
Wallace, William A.<br />
Galileo, the jesuits<br />
and the medieval Aristotle<br />
Variorum, ottobre 1991<br />
pp.350, £ 45<br />
La convenzionale opposizione dell’aristotelismo<br />
scolastico alla scienza umanistica<br />
è stata trattata sempre più negli<br />
ultimi anni. Questi articoli mirano a<br />
dimostrare che un progressivo aristotelismo<br />
ha in effetti fornito le basi necessarie<br />
alle scoperte scientifiche di<br />
Galileo.<br />
Weier, Winfried<br />
Brennpunkte der Gegenwartsphilosophie.<br />
Zentralthemen und Tendenzen<br />
im Zeitalter des Nihilismus<br />
Wissenschaftlich. Buchges.,<br />
Darmstadt sett./ott. 1991<br />
pp.248, DM 49<br />
In opposizione alle visioni che liquidano<br />
la filosofia del presente come un<br />
ammasso di parole e di incerti tentativi,<br />
qui si intraprende il tentativo di riunire<br />
in una visione unitaria ciò che lega<br />
insieme gli approcci più disparati, vale<br />
a dire di scindere la concezione intellettuale<br />
di base dalla molteplicità delle sue<br />
posizioni.<br />
Weischedel, Wilhelm<br />
Il Dio dei filosofi (Vol. II)<br />
Il Melangolo, Genova ottobre 1991<br />
pp.320, L. 40.000<br />
Il secondo volume di quest’opera comprende<br />
la storia della teologia filosofica,<br />
dai primi segni della crisi del pensiero<br />
post-kantiano, fino al declino nei<br />
pensatori contemporanei. La ricerca affronta<br />
quindi l’analisi del rapporto tra<br />
speculazione filosofica e speculazione<br />
intorno a Dio così come si è presentato<br />
problematicamente nei diversi autori e<br />
nelle diverse correnti di pensiero.<br />
Weizsäcker, Carl Fr. von<br />
Der Mensch in seiner Gechichte<br />
Hanser, München sett./ott. 1991<br />
pp.250, DM 39,80<br />
Chi siamo? Da dove veniamo? Le risposte<br />
che l’autore dà a queste domande<br />
provengono da una conoscenza ampia<br />
e approfondita della moderna scienza<br />
naturale, della storia culturale, della<br />
politica, della teologia e dell’etica.<br />
Wiesing, Lambert<br />
Stil statt Wahrheit. Kurt Schwitters<br />
und Ludwig Wittgenstein über ästhetische<br />
Lebensformen<br />
Wilhelm Fink, München sett./ott. 1991<br />
pp.148, DM 48<br />
La sconfitta sulla verità viene ripensata<br />
attraverso lo stile, quando la verità non<br />
è considerata corrispondenza con l’idea<br />
della cosa, ma come una manifestazione<br />
della forma. Si schiudono così<br />
nuove possibilità alla filosofia estetica.<br />
Wolff, Michael<br />
Das Körper-Seele-Problem.<br />
Kommentar zu Hegel, Enzyklopädie<br />
(1830)<br />
Klostermann, Frankfurt a.M.<br />
sett./ott. 1991<br />
pp.240, DM 68<br />
Wood, Allen W. (a cura di)<br />
Hegel:<br />
Elements of the philosophy of right<br />
Cambridge UP, Cambridge ottobre<br />
1991<br />
pp.300, £ 25<br />
Un tentativo di sistematizzare teoria<br />
etica, diritto naturale, filosofia del diritto,<br />
teoria politica e sociologia dello<br />
stato moderno, nel contesto della filosofia<br />
della storia di Hegel. L’opera di<br />
Hegel è fondamentale per la tradizione<br />
comunitaria nel moderno pensiero etico,<br />
sociale e politico.