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INFORMAZIONE - Studi Filosofici

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<strong>INFORMAZIONE</strong><br />

FILOSOFICA<br />

Edizione<br />

Edinform. Informazione e Cultura<br />

Società Cooperativa a r.l.<br />

Viale Monte Nero, 68<br />

20135 Milano<br />

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DIRETTORE EDITORIALE<br />

Riccardo Ruschi<br />

Istituto<br />

Italiano<br />

per gli<br />

<strong>Studi</strong><br />

<strong>Filosofici</strong><br />

Via Monte di Dio 14,<br />

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n. 634 del 12 ott. 1990<br />

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Mario Dal Pra<br />

Jacques D'Hondt<br />

Hans Dieter Klein<br />

Domenico Losurdo<br />

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Vittorio Mathieu<br />

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Fosca Mariani Zini (Parigi)<br />

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Lombardo<br />

per gli <strong>Studi</strong><br />

<strong>Filosofici</strong><br />

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ccp 17707209 - intestato a:<br />

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In copertina:<br />

Fibula in oro a<br />

forma di aquila (v. Sec.)


Gentili lettori,<br />

il mondo della filosofia, dei filosofi, è scosso alla radice<br />

dalla successiva scomparsa, in un brevissimo arco di<br />

tempo, di due figure cardine del pensiero filosofico<br />

novecentesco, Ludovico Geymonat e Mario Dal Pra.<br />

Due autori, la cui opera, le cui scelte di vita, la cui<br />

militanza filosofica e culturale hanno profondamente<br />

segnato lo sviluppo della filosofia di questo secolo. In<br />

particolare, un lutto, una perdita che colpisce la tradizione<br />

filosofica milanese, quella tradizione che agli inizi degli<br />

anni ’50 si accingeva a diffondere, a discutere, a riflettere<br />

l’eredità di pensiero lasciata da Antonio Banfi.<br />

Al ricordo di Mario Dal Pra sarà dedicato il prossimo<br />

numero di questa rivista. Qui ricordiamo Ludovico<br />

Geymonat, la cui biografia filosofica, profondamente<br />

caratterizzata da grande generosità culturale e costante<br />

impegno civile, ha nutrito e nutre tutt’oggi in modo<br />

decisivo il panorama e la fisionomia della nostra cultura.<br />

Di Geymonat epistemologo, storico della scienza e della<br />

filosofia, non vogliamo soprattutto dimenticare la<br />

passione per il pensiero scientifico, la sua battaglia per<br />

diffondere la filosofia della scienza, la logica, nel mondo<br />

accademico e nella cultura contemporanea in genere.<br />

Un fervore che traspare, lucido, preciso, nelle parole,<br />

che vorremmo qui in parte riportare, con cui ebbe di<br />

recente a presentare un convegno dal titolo: La filosofia<br />

della scienza oggi (Europa 1993), organizzato a Napoli<br />

(12-14 aprile 1991) dall’ Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong><br />

<strong>Filosofici</strong> e dall’ Istituto Ludovico Geymonat per la<br />

Filosofia della Scienza, la Logica e la Storia della<br />

Scienza e della Tecnica:<br />

«L’era moderna era stata caratterizzata dalla fiducia nelle<br />

capacità conoscitive dell’uomo, capacità che l’avrebbero<br />

portato a cogliere le regolarità dominanti nella natura<br />

fisica e in quella sociale. Conoscere significa dunque<br />

cogliere ciò che resta costante nella continua variazione<br />

dei fenomeni. Questa costanza è il segno dell’oggettività<br />

di ciò che noi osserviamo nel moto dei corpi celesti, come<br />

in quello dei fenomeni umani, e questo è ciò che<br />

caratterizza la conoscenza “vera”. Invece, il disordine è<br />

ciò che caratterizza la semplice presa d’atto della natura<br />

così come si presenta a noi nel momento di osservarla.<br />

Al contrario, ciò che caratterizza il post-moderno è che in<br />

esso l’ordine non è più il carattere distintivo della vera<br />

realtà: si hanno allora fenomeni irregolari e ciò malgrado<br />

oggettivi e questo implica che essi andranno studiati non<br />

con la matematica che regolava i fenomeni ideali secondo<br />

la concezione precedente, ma con una matematica nuova<br />

(del disordine, della probabilità, del caos). Questo ricorso<br />

a una diversa matematica è il primo carattere che distingue<br />

la scienza post-moderna da quella moderna.<br />

Se la scienza post-moderna è soprattutto interessata dalla<br />

complessità ciò comporta che l’epistemologia dovrà<br />

essere a sua volta interessata dalla complessità delle<br />

possibili teorizzazioni scientifiche che nascono nei vari<br />

campi del sapere. Dalla filosofia della scienza alle filosofie<br />

delle singole scienza: questa potrebbe essere la formula<br />

più opportuna per indicare il mutamento di prospettiva<br />

segnato dal patrimonio conoscitivo contemporaneo. Ma<br />

questa formula va complicata dalla consapevolezza che<br />

anche l’epistemologia possiede oramai una storia<br />

complessa, con differenti tradizioni concettuali, cui<br />

occorre necessariamente riferirsi se si vuole avere<br />

un’immagine meno imprecisa dei dibattiti contemporanei.<br />

[...] Si tratta allora di recuperare tutta la ricchezza e la<br />

complessità del dibattito epistemologico del Novecento<br />

per mettere capo ad una riflessione capace di muoversi su<br />

di un orizzonte aperto, da costruirsi attraverso un costante<br />

confronto concettuale tra le differenti tradizioni di<br />

pensiero.<br />

Naturalmente nel momento stesso in cui denunciamo la<br />

complessità delle varie tradizioni epistemologiche non<br />

possiamo non favorire un confronto che sia il più ampio<br />

e libero possibile. [...] Il franco riconoscimento<br />

dell’esistenza di una pluralità di punti di vista presenti<br />

all’interno delle stesse differenti tradizioni<br />

epistemologiche deve infatti indurci a modificare il nostro<br />

atteggiamento culturale di fondo nei confronti della<br />

filosofia della scienza, abbandonando ogni pretesa<br />

aprioristica di ridurla unicamente a questa o quella<br />

componente esclusiva ed unilaterale per favorire un<br />

programma di ricerca più aperto e comprensivo. Un<br />

programma di ricerca sistematicamente in grado di<br />

imparare lavorando anche tra le zone di confine tra le<br />

varie tradizioni epistemologiche senza peraltro rinunciare<br />

ad elaborare un proprio ed autonomo punto di vista.<br />

E’ nostra convinzione che una più seria analisi<br />

epistemologica dell’impresa scientifica possa oggi essere<br />

conseguita unicamente puntando programmaticamente<br />

sulla confrontabilità e sulla traducibilità reciproca tra le<br />

diverse tradizioni, tra le diverse discipline e tra le varie<br />

epistemologie che ne sono scaturite storicamente. Non è<br />

più possibile inseguire il mito di un modello<br />

epistemologico astratto e univoco, buono per tutte le<br />

discipline scientifiche, né è più legittimo concepire la<br />

filosofia della scienza separandola dalla storia della<br />

scienza.<br />

Anche alla luce di queste schematiche considerazioni la<br />

riflessione epistemologica richiede dunque dialogo e<br />

confronto come condizioni essenziali ed indispensabili<br />

per il suo stesso sviluppo. La “nicchia” ambientale della<br />

pratica scientifica in realtà costituisce anche la “nicchia”<br />

ambientale più opportuna per la stessa riflessione<br />

epistemologica la quale si può sviluppare e approfondire<br />

unicamente nella misura in cui sappia difendere uno stile<br />

di razionalità basato su un costante confronto critico tra<br />

posizioni diverse, differenti e persino conflittuali, senza<br />

escludere aprioristicamente alcuna tradizione<br />

epistemologica. [...]


5 PROFILO<br />

5 Ricordo di Ludovico Geymonat<br />

9 RESOCONTO<br />

9 Filosofia e politica in Germania tra le due guerre<br />

21 AUTORI E IDEE<br />

21 Lacan e la filosofia<br />

21 Del simbolo, dell’uomo<br />

22 Un manifesto dell’edonismo<br />

22 L’integrità della ragione umana<br />

23 Breve storia dell’apparenza<br />

24 Isaiah Berlin: il conflitto inevitabile<br />

24 Giustificazioni di Dio<br />

26 Habermas: pensiero post-metafisico ed etica del<br />

27 Michael Dummet: alla base della verità<br />

28 Su Sartre e Beauvoir<br />

29 L’inumano dell’uomo: la morale di André<br />

31 TENDENZE E DIBATTITI<br />

31 Ecce Nietzsche: un filosofo per tutti e per nessuno<br />

32 Chi è Nietzsche?<br />

33 Nietzsche alla ribalta nel mondo anglosassone<br />

34 Il dibattito sul libero arbitrio<br />

35 Ritorno alla Grecia<br />

37 Trasformazione delle scienze dello spirito<br />

39 PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

39 Diverse lingue<br />

40 Maimonide e la cabala<br />

40 Storia dello strutturalismo<br />

41 Husserl<br />

42 La ripetizione di Kierkegaard<br />

42 Ripensando Kant e altri filosofi<br />

43 Il granaio di Montesquieu<br />

43 Wittgenstein: una biografia e un romanzo<br />

44 Felice Tocco e la tradizione filosofica italiana<br />

45 William Whewell<br />

47 CONVEGNI E SEMINARI<br />

47 Il dolore, la sofferenza<br />

47 I problemi del tradurre<br />

SOMMARIO<br />

48 Il ritorno dei neokantiani<br />

49 Michael Walzer sui nuovi comunitarismi<br />

50 La ‘pace perpetua’: storia di un dibattito<br />

51 Wilhelm von Humboldt<br />

52 La filosofia di Michael Dummet<br />

52 Una nuova immagine di Platone<br />

53 Nietzsche tra filologia e attualizzazione<br />

54 Cielo fisico e cielo morale<br />

56 Heidegger e i Greci<br />

56 Filosofia e liberazione<br />

57 Nuove vie della filosofia<br />

58 Da Vienna a Napoli: il viaggio di Lessing in Italia<br />

58 Pluralismo delle religioni<br />

60 CALENDARIO<br />

64 DIDATTICA<br />

64 L’insegnamento della filosofia attraverso i testi<br />

64 Interventi, proposte, ricerche<br />

65 Convegni<br />

67 NOTIZIARIO<br />

68 RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

74 NOVITA’ IN LIBRERIA


PROFILO<br />

Ludovico Geymonat


Per sessant’anni, fin dal primo libro del 1931, aveva<br />

alzato la sua voce per scuotere il panorama filosofico<br />

italiano, aveva condotto una “battaglia culturale” senza<br />

risparmio di impegno contro ogni forma di idealismo e di<br />

soggettivismo, avendo fin da allora riconosciuto «la<br />

possibilità, anzi la necessità, di dare una nuova forma alla<br />

gnoseologia positivistica». E la sua non è stata una<br />

presenza - intellettuale, morale, e addirittura fisica, con<br />

quel suo corpaccione da montanaro - che si potesse far<br />

finta di ignorare o della quale sbarazzarsi facilmente.<br />

Se n’è andato in silenzio, sommessamente, il 29 novembre<br />

dell’anno appena trascorso. Da due anni circa, dopo<br />

un’accidentale caduta a Barge - il paesino del cuneese<br />

dove aveva una casa che tanto amava e che da qualche<br />

anno l’aveva eletto cittadino onorario - era in ospedale:<br />

prima a Saluzzo, con un braccio rotto, poi qualche giorno<br />

a Revello, infine, dalla metà di ottobre, a Passirana di<br />

Rho, per la riabilitazione. Al di là dei problemi della<br />

caduta, aveva subito un forte attacco di parckinsonismo;<br />

ma niente faceva pensare ad una fine così improvvisa: lo<br />

ha stroncato un’influenza virale,<br />

con altissimi accessi febbrili,<br />

proprio il giorno in cui la<br />

moglie, ad una riunione dell’Istituto<br />

Geymonat (sorto a<br />

Milano e Varese nel 1985), ci<br />

aveva annunciato che Ludovico<br />

sarebbe stato dimesso il giovedì<br />

successivo.<br />

Un giorno nella cella mortuaria<br />

dell’ospedale, poi la domenica<br />

il trasporto a Barge: un paese<br />

gli si è stretto attorno con semplicità<br />

per l’ultimo saluto, e<br />

hanno pronunciato parole commosse,<br />

non di circostanza, un<br />

rappresentante del comune,<br />

Norberto Bobbio, una nipote,<br />

un compagno di lotta partigiana,<br />

un allievo, un compagno di Rifondazione Comunista<br />

(cui Geymonat, com’è noto, aveva aderito).<br />

Così ci ha lasciati Ludovico Geymonat. Aveva 83 anni,<br />

essendo nato a Torino l’11 maggio 1908. Nel ’30 si era<br />

laureato in filosofia (con Annibale Pastore), nel ’32 in<br />

matematica (con Guido Fubini); aveva quindi cominciato<br />

giovanissimo, a soli 23 anni, la sua militanza culturale<br />

col volume: Il problema della conoscenza nel positivismo,<br />

nel quale, come si esprimerà qualche anno dopo,<br />

tentava di mettere in luce, con una lettura affatto nuova<br />

del positivismo comtiano, «il carattere positivistico...di<br />

alcune grandi tesi filosofiche»; ma nel “delineare” un<br />

proprio “sistema” sembra al giovane filosofo «già un<br />

liberarmi in qualche modo da esso»: sicchè quel libro<br />

esprime anche un atteggiamento che sarà costante in<br />

Geymonat, quello della ricerca critica continua, che gli<br />

derivava da una reale e sincera apertura di pensiero,<br />

attento ad accogliere criticamente novità, a vagliare soluzioni<br />

e posizioni diverse, a considerare sempre provvisorie<br />

le tappe delle proprie acquisizioni. Un atteggiamento<br />

vitale e dinamico che gli proveniva dalla convinzione che<br />

«la filosofia, essendo puro pensiero, deve essere necessariamente<br />

progresso e vita, non contemplazione statica o<br />

morte».<br />

PROFILO<br />

Ricordo di<br />

Ludovico Geymonat<br />

E’ proprio questa esigenza che lo accompagnerà - se non<br />

lo guiderà - nelle diverse fasi della sua produzione<br />

filosofica, nelle diverse e successive proposte teoretiche<br />

che egli verrà facendo, sostenute da un altro elemento<br />

costante e, per così dire, più intrinseco al razionalismo<br />

forte, caratteristico di tutta questa evoluzione: la convinzione<br />

di una profonda unità fra scienza e filosofia, pur<br />

nelle distinzioni e nelle “tecniche” specifiche. Agli inizi<br />

del suo lungo cammino ebbe a dire che «qualunque<br />

distinzione aprioristica dei due “pensieri” risulta illusoria.<br />

Nel suo reale sviluppo dell’umanità essi sono variamente<br />

interconnessi fra di loro»; e nell’introduzione alla<br />

Storia del pensiero filosofico e scientifico, l’Enciclopedia<br />

Geymonat, come viene familiarmente chiamata dagli<br />

studenti, pubblicata in una prima edizione fra il 1972 e il<br />

1976 riaffermerà: «Pensiero filosofico e pensiero scientifico<br />

non sono affatto in antitesi l’uno con l’altro, ma<br />

sono sue facce della medesima razionalità che faticosamente<br />

si fa strada nella storia dell’uomo. Le “visioni del<br />

mondo” elaborate a grado a grado da filosofi e da scienziati<br />

non risultano mai interamente<br />

soddisfacenti, mai definitive,<br />

mai complete. Ma proprio<br />

in questa non definitività<br />

si rivela il loro autentico carat-<br />

tere razionale, cioè la loro appartenenza<br />

a un vastissimo<br />

processo che rifiuta di concludersi<br />

in qualcosa di dogmatico<br />

e di indiscutibile. Sono visioni<br />

costituitesi sulla base di certi<br />

ben determinati argomenti, e<br />

ricche di stimoli anche per chi<br />

si senta in dovere di criticarle<br />

sulla base di ben altri argomenti.<br />

La loro funzione è di<br />

collaborare all’affermarsi della<br />

ragione, di aprirle nuove<br />

prospettive, di renderla nel<br />

contempo più cauta e più coraggiosa».<br />

Non è certo possibile seguire qui passo passo l’evoluzione<br />

del pensiero di Geymonat, e dovremo accontentarci di<br />

alcuni cenni, collegati ad alcune delle sue opere principali<br />

che in qualche senso segnano altrettante tappe del suo<br />

itinerario intellettuale e culturale.<br />

Dopo l’esordio sopra richiamato, Geymonat viene attratto<br />

(più volte lui stesso dirà “affascinato”) dal neopositivismo<br />

del circolo di Vienna e della scuola di Berlino: va<br />

a studiare con Schlick, introduce in Italia il pensiero<br />

neopositivista (ad esempio, con La nuova filosofia della<br />

natura in Germania, 1934), al quale aderisce, pur con<br />

precise riserve, tra l’altro, circa l’ “assoluto antistoricismo”<br />

dello stesso: «anche se non sono mai stato a rigore<br />

un neopositivista,...è certo che ne subii in misura rimarchevole<br />

l’influenza», dirà nel 1977. Forse il momento più<br />

pregnante di tale influenza è rappresentato dagli <strong>Studi</strong> per<br />

un nuovo razionalismo (1945), dove vengono raccolti in<br />

modo organico molti saggi già pubblicati e dove, accanto<br />

a una “sofferta” adesione “alla cosiddetta filosofia neopositivistica”,<br />

si chiarisce il senso di quel “nuovo” che<br />

figura nel titolo, affermando che il «razionalismo, cui<br />

aspira la cultura moderna, deve essere ben più agguerrito<br />

e penetrante di quelli che caratterizzarono i secoli passati;<br />

di Corrado Mangione


esso deve contemporaneamente essere: critico, ossia<br />

capace di tenere nel dovuto conto le obiezioni mosse<br />

contro la pura ragione dalle filosofie mistiche e decadenti,<br />

fiorite negli ultimi anni; costruttivo, cioè in grado di<br />

soddisfare le esigenze di ricostruzione e di logicità caratteristiche<br />

della nuova epoca; aperto, cioè capace di affrontare<br />

i problemi sempre nuovi che la scienza e la prassi<br />

pongono innanzi allo spirito umano. E’ proprio in tempi<br />

di filosofie “decadenti” che si fa più pressante l’appello<br />

alla ragione, la quale «ha semplicemente deluso coloro<br />

che amavano, per principio, l’oscurità, il mistero, l’imprecisione,<br />

la retorica». Una delle prerogative di questo<br />

nuovo razionalismo è la consapevolezza della natura<br />

postulazionale dei principi «di carattere ineliminabilmente<br />

convenzionale»; ma lungi dal rappresentare una<br />

difficoltà, questo presenta il vantaggio che - come dirà nei<br />

Saggi di filosofia neorazionalistica (1953) - l’indirizzo<br />

neorazionalistico, che «non è, e non pretende, essere un<br />

“sistema di verità assoluta”, ma un puro e semplice<br />

modo...d’impostare il lavoro filosofico», dal momento<br />

che non ha «sistemi precostituiti da difendere», si trova<br />

ad essere «nella migliore disposizione possibile per apprezzare<br />

qualsiasi critica seria e far tesoro di ogni suggerimento<br />

concreto, che non nasconda preconcetti dogmatici<br />

di ordine generale».<br />

E’ un’impostazione democratica del sapere, una visione<br />

di totale apertura, si potrebbe dire “dialettica” in senso<br />

lato (e sta proprio qui - a mio avviso - la reale motivazione<br />

del suo successivo incontro e adesione al materialismo<br />

dialettico, adesione che non fu motivata e mai si ridusse<br />

a stereotipo ideologico) che porta Geymonat, con successive<br />

riflessioni, ad allontanarsi definitivamente dal neoempirismo<br />

(in particolare con Filosofia e filosofia della<br />

scienza, 1960); fa certo parte di queste riflessioni - ed è<br />

sicuramente la base lontana sulla quale Geymonat proporrà<br />

negli anni settanta il suo concetto di “patrimonio<br />

tecnico-scientifico”- la ricerca sui rapporti fra scienza,<br />

tecnica, convinzioni e istituzioni religiose che si concreta,<br />

nel 1957, nel prezioso volumetto su Galileo Galilei.<br />

Questa continua ricerca approda negli anni settanta -<br />

come sopra ho accennato - ad una ripresa di temi essenziali<br />

del materialismo dialettico ispirato alle idee di<br />

Marx, Engels e Lenin col capitolo: “Primi lineamenti di<br />

una teoria della conoscenza materialistico-dialettica”,<br />

contenuto nel volume: Attualità del materialismo dialettico<br />

, pubblicato nel 1974 (gli altri tre capitoli del volume<br />

sono dovuti rispettivamente a E. Bellone, G. Giorello e S.<br />

Tagliagambe), e soprattutto in Scienza e realismo, del<br />

1977 (dove veniva aggiunto uno specifico e significativo<br />

riferimento al pensiero di Mao Tse Tung), che apparve<br />

come diciassettesimo volume della collana di filosofia<br />

della scienza che egli diresse, presso Feltrinelli, dal 1960<br />

ai primi anni Ottanta.<br />

Altro tema ripreso e sviluppato da Geymonat in particolare<br />

negli anni Ottanta è quello del rapporto della filosofia<br />

della scienza con la storia della scienza: dico ripreso<br />

perchè oltre alla ricerca, sopra ricordata, verso la scuola<br />

neopositivistica, risale addirittura al 1947 quella Storia e<br />

filosofia dell’analisi infinitesimale che - a mio parere -<br />

resta in assoluto una delle migliori presentazioni storicoteoriche<br />

della problematica alla base dei fondamenti<br />

della matematica. D’altra parte il suo interesse per la<br />

matematica non venne mai meno, anche se i suoi inter-<br />

PROFILO<br />

venti specifici in questo campo si concentrano sostanzialmente<br />

nei primi anni dopo la laurea. Anzi, una delle<br />

caratteristiche del discorso epistemologico di Geymonat<br />

è proprio l’attenzione ai problemi che la matematica pone<br />

e che rendono impossibili soluzioni troppo facili sul<br />

piano filosofico: è qui opportuno ricordare che a Geymonat<br />

si deve il rinnovato interesse per la filosofia della matematica<br />

e soprattutto per la logica matematica in Italia.<br />

Questo tipo di indagini coinvolse tanto filosofi quanto<br />

matematici e si può dire che la quasi totalità dei docenti<br />

di tali discipline nella Università italiane sia stato, direttamente<br />

o indirettamente, legato a Geymonat.<br />

Altro campo - più vicino a certa problematica neopositivista<br />

- è la filosofia della probabilità, su cui Geymonat<br />

ritornò in parecchi periodi della sua vita, a partire dal<br />

1940, fino al volume: Filosofia della probabilità (1982)<br />

scritto in collaborazione con D. Costantini (un probabilista<br />

puro che proprio il rapporto con Geymonat aveva<br />

indirizzato ad una visione più generale della sua disciplina,<br />

cosa che del resto era avvenuta anche per molti altri<br />

giovani matematici e fisici).<br />

Sullo “storicismo scientifico” di Geymonat mi limiterò a<br />

ricordare il volume Scienza e storia (1985) come pure,<br />

per molti versi, il volume “dialogico” (gli interlocutori<br />

erano E. Agazzi e F. Minazzi) Filosofia, scienza e verità<br />

(1989). Va qui sottolineato che lo “storicismo” di<br />

Geymonat non fu mai puramente dottrinario, ma si concretizzò<br />

in specifiche indagini proprie e in numerose<br />

iniziative editoriali e non (basti ricordare la collana Utet<br />

da lui diretta dei Classici della Scienza, o la sua funzione<br />

determinante nello sviluppo della Domus Galileiana). Ho<br />

nominato di passaggio solo alcuni titoli della copiosissima<br />

produzione geymonatiana, come ho fatto cenno solo<br />

ad un paio delle sue numerose iniziative editoriali; già<br />

questi pochi esempi mostrano tuttavia che Geymonat ha<br />

avuto rapporti con quasi tutti i grandi editori italiani e che<br />

non ha certo disdegnato di “lanciarne” dei nuovi. Comunque,<br />

una bibliografia completa delle sue opere fino al<br />

1977 si può trovare in M. Quaranta e B. Maiorca, L’arma<br />

della critica di Ludovico Geymonat, (1977) mentre una<br />

testimonianza illuminante sull’attività editoriale di<br />

Geymonat si può trovare nel contributo di Emanuele<br />

Vinassa di Regry, “Geymonat e l’editoria italiana”, al<br />

volume Scienza e filosofia. Saggi in onore di Ludovico<br />

Geymonat (1985) che contiene tra l’altro la bibliografia<br />

di Geymonat aggiornata a quell’anno.<br />

E’ difficile, e sarebbe comunque ingiusto “ridurre” una<br />

personalità come quella di Geymonat alla sola dimensione<br />

di studioso: antifascita militante, partigiano combattente,<br />

civilmente e politicamente impegnato (prima nel<br />

PCI, quindi in DP e infine in Rifondazione comunista) era<br />

un entusiasta e un partecipe per natura. E con ciò non<br />

voglio dire che fosse un uomo “perfetto”, come si è soliti<br />

fare quando una persona cara ci lascia. Tutt’altro: aveva<br />

difetti altrettanto marcati delle sue virtù, difetti che lo<br />

rendevano un uomo talora difficile da trattare, con i suoi<br />

scatti d’ira, le sue passioni brucianti seguite da indifferenza<br />

totale, con quel suo dividere la vita, nei comportamenti,<br />

in bianco o in nero, amico o nemico, razionale o<br />

irrazionale, con una sorta di candida ingenuità insospettabile<br />

- e non sempre facilmente perdonabile - in un nome<br />

e in uno studioso della sua levatura; personalmente ho<br />

avuto con lui scontri molto aspri (condotti «con quell’as-


soluta sincerità che è la condizione di un’assoluta amicizia»,<br />

come ebbe a scrivere nel 1964) che hanno veramente<br />

messo a dura prova un’amicizia più che trentennale.<br />

Ma gli debbo anche riconoscere una grande capacità di<br />

ammettere i suoi eventuali torti, o più semplicemente i<br />

suoi sbagli, o abbagli, e una dedizione amicale totale, a<br />

volte quasi imbarazzante.<br />

Contrariamente a quanto più di un commentatore ha detto<br />

in occasione della sua morte, Geymonat è stato lucido e<br />

attivo certamente almeno fino al ricovero in ospedale, e<br />

ne fanno fede, ancora una volta, i suoi interventi, volumi<br />

o articoli, nei quali è rimasta fino alla fine evidente quella<br />

«ricerca, talvolta esasperata, di chiarezza» che egli dichiarava<br />

essere un suo scopo fin dal 1945 e che più d’una<br />

volta ha fatto dire a critici superficiali, e interessati, che<br />

Ludovico Geymonat è scomparso il 29 novembre<br />

1991 a Passirana di Rho. Nato a Torino l’11 maggio<br />

del 1908, si forma nelle scuole dei gesuiti dalle<br />

quali, pur essendo uno dei migliori allievi, è però<br />

espulso a causa di un anomalo tema su Giovanna<br />

d’Arco. Passato al liceo Massimo d’Azeglio vi<br />

frequenta l’ultimo anno per poi iscriversi all’università<br />

torinese dove si laurea, prima in filosofia<br />

(1930) con Annibale Pastore (discutendo una tesi<br />

dedicata a Il problema della conoscenza nel positivismo),<br />

poi in matematica (1932) con Guido Fubini<br />

(discutendo una tesi di analisi superiore), entrando<br />

anche in contatto diretto con Giuseppe Peano.<br />

Nel maggio del 1929 è già arrestato per antifascismo<br />

per aver firmato (insieme ad altri studenti, tra<br />

i quali Massimo Mila, Franco Antonicelli, Umberto<br />

Segre e Paolo Treves, cui si unì anche Umberto<br />

Cosmo) una lettera di solidarietà a Benedetto Croce<br />

il quale, dopo aver difeso in parlamento il laicismo<br />

dello Stato ed aver criticato apertamente i Patti<br />

lateranensi, era stato violentemente attaccato da<br />

Benito Mussolini. In tal modo Geymonat si segnalò<br />

immediatamente alle autorità fasciste per il suo<br />

coerente antifascismo e per la sua tipica coscienza<br />

morale. Durante tutti gli anni seguenti Geymonat<br />

non si piegò mai al regime fascista e conseguentemente<br />

non accettò mai di iscriversi al partito fasci-<br />

Il problema della conoscenza nel positivismo<br />

Bocca, Torino 1931<br />

La nuova filosofia della natura in Germania<br />

Bocca, Torino 1934<br />

<strong>Studi</strong> per un nuovo razionalismo<br />

Chiantore, Torino 1945<br />

Storia e filosofia dell’analisi infinitesimale<br />

Levrotto & Bella, Torino 1947<br />

Saggi di filosofia neorazionalistica<br />

Einaudi, Torino 1953<br />

Il pensiero scientifico<br />

Garzanti, Milano 1954<br />

Galileo Galilei<br />

Einaudi, Torino 1956<br />

Filosofia e filosofia della scienza<br />

Feltrinelli, Milano 1960<br />

Storia della matematica<br />

in Storia delle scienze<br />

a cura di N. Abbagnano,<br />

Utet, Torino 1962 (vol. I, pp.305-662)<br />

Storia del pensiero filosofico e scientifico<br />

Garzanti, Milano 1970-76, 7 voll.<br />

Scienza e realismo<br />

Feltrinelli, Milano 1977<br />

Contro il moderatismo<br />

a cura di M. Quaranta, Feltrinelli, Milano 1970<br />

PROFILO<br />

sta, anche se questa sua ferma e coerente decisione<br />

ebbe un prezzo alquanto salato: lo costrinse ad<br />

abbandonare l’insegnamento presso la Facoltà di<br />

Scienze dell’Università di Torino (dove svolgeva<br />

attività di assistente di analisi algebrica), gli impedì<br />

di insegnare nei licei statali, pur avendo vinto a<br />

pieni voti sia il concorso per l’insegnamento di<br />

filosofia sia quello per l’insegnamento di matematica,<br />

che svolgeva presso il Liceo privato “G. Leopardi”<br />

(dove ebbe come collega di lettere Cesare<br />

Pavese). Durante gli anni Trenta, avendo vinto il<br />

premio Cantoni di filosofia bandito dall’Università<br />

di Firenze, ottenne una borsa di studio con la quale<br />

- anche grazie ad un aiuto finanziario del padre -<br />

potè soggiornare a Vienna per un intero semestre<br />

nel 1935, entrando in diretto contatto con gli esponenti<br />

del Circolo di Vienna. Durante questo soggiorno,<br />

oltre a legarsi in modo particolare con<br />

Moritz Schlich e Friedrich Waismann, studiò con<br />

attenzione le idee direttive del neopositivismo,<br />

diventando ben presto uno dei più acuti e profondi<br />

conoscitori italiani di questo movimento filosofico.<br />

Gli ultimi anni del regime fascista lo vedono<br />

comunque sempre più impegnato nella lotta antifascista:<br />

la discussione e la conoscenza di un operaio<br />

comunista come Luigi Capriolo, proveniente da<br />

dodici anni di carcere e confino, lo inducono non<br />

Opere di Ludovico Geymonat (in volume)<br />

Paradossi e rivoluzioni.<br />

Intervista su scienza e politica<br />

a cura di G. Giorello e M. Mondadori,<br />

Il Saggiatore, Milano 1979<br />

Per Galileo<br />

a cura di M. Quaranta, Bertani, Verona 1981<br />

Filosofia della probabilità<br />

(con D. Costantini), Feltrinelli, Milano 1982<br />

Riflessioni critiche su Kuhn e Popper<br />

Dedalo, Bari 1983<br />

Lineamenti di filosofia della scienza<br />

Mondadori, Milano 1985<br />

Scienza e storia, a cura di F. Minazzi, Bertani,<br />

Verona 1985<br />

Le ragioni della scienza<br />

(con G. Giorello e F. Minazzi),<br />

Laterza, Bari 1986<br />

La ragione e la politica<br />

a cura di M. Quaranta, Bertani, Verona 1987<br />

Del marxismo<br />

a cura di M. Quaranta, Bertani, Verona 1987<br />

La libertà<br />

Rusconi, Milano 1988<br />

Filosofia, scienza e verità<br />

(con E. Agazzi e F. Minazzi),<br />

Rusconi, Milano 1989<br />

nei suoi scritti non era contenuta “abbastanza filosofia”.<br />

Ma sarebbe difficile sopravvalutare il contributo di<br />

Geymonat, del suo razionalismo agguerrito e combattivo,<br />

della sua battaglia per il superamento delle “due<br />

culture”, alla cultura filosofica, storica e scientifica italiana<br />

dagli anni Trenta in poi; e mi piace terminare questo<br />

breve ricordo con le parole con cui egli chiudeva l’introduzione<br />

alla Enciclopedia Geymonat: «Solo se sostenuta<br />

dall’entusiasmo dei propri successi, se temprata dall’esatta<br />

valutazione delle difficoltà tuttora non risolte, l’umanità<br />

può persistere nella difficile via della ragione,<br />

senza farsi tentare da quelle - tanto più comode - del<br />

conformismo dogmatico o del pessimismo irrazionalista».<br />

solo ad uscire dall’isolamento forzato di un generico<br />

antifascismo senza significativi sbocchi pratici<br />

ma anche ad iscriversi senza riserve - nel 1940 - nel<br />

Partito Comunista, nelle cui file partecipò in prima<br />

persona alla lotta di Liberazione in Piemonte, dove<br />

svolse un ruolo di primo piano come commissario<br />

politico della 105 brigata Garibaldi “Carlo<br />

Pisacane”, nonché come redattore capo responsabile<br />

per l’edizione torinese clandestina de “l’Unità”.<br />

Dopo la Liberazione Geymonat torna più direttamente<br />

all’amato mondo degli studi, in primo luogo<br />

pubblicando, negli stessi giorni dell’insurrezione<br />

nazionale, il suo impegnativo volume: <strong>Studi</strong> per un<br />

nuovo razionalismo e dando vita nell’immediato<br />

dopoguerra (insieme ad altri intellettuali come Nicola<br />

Abbagnano, Norberto Bobbio, Eugenio Frola,<br />

ecc.) al Centro di <strong>Studi</strong> Metodologici di Torino con<br />

il quale diffonde in modo critico la lezione neopositivista.<br />

Nel 1949 vince il primo concorso di filosofia<br />

teoretica indetto dalla caduta del fascismo e<br />

diviene professore di filosofia presso l’Università<br />

di Cagliari. Nel ’52 si trasferisce all’Università di<br />

Pavia dove insegna Storia della filosofia per poi<br />

ottenere nel 1957 la prima cattedra italiana di<br />

Filosofia della scienza presso l’Università di Milano,<br />

che tiene fino al 1979. F.M.<br />

I sentimenti<br />

Rusconi, Milano 1989<br />

La società come milizia<br />

a cura di F. Minazzi, Marcos y Marcos,<br />

Milano 1989<br />

La Vienna dei paradossi<br />

a cura di M. Quaranta, Il Poligrafo, Padova 1991<br />

Filosofia e scienza nel ‘900,<br />

a cura di M. Quaranta, Edizioni GB, Padova 1991<br />

L’ultimo scritto di Geymonat, La filosofia dell’empirismo<br />

logico: una testimonianza sul Wiener Kreis,<br />

è apparso nel volume: Il cono d’ombra. La crisi<br />

della cultura agli inizi del '900, (a cura di F. Minazzi,<br />

Marcos y Marcos, Milano 1991, pp. 21-44), ed è<br />

dedicato ad una inedita testimonianza sul Circolo di<br />

Vienna.<br />

Sull’opera di Geymonat si veda:<br />

AA.VV.,<br />

Scienza e filosofia.<br />

Saggi in onore di L. Geymonat,<br />

a cura di C. Mangione, Garzanti, Milano 1985<br />

M. Quaranta e Bruno Maiorca,<br />

L’arma della critica di L. Geymonat,<br />

Garzanti, Milano 1977<br />

F. Minazzi,<br />

Ludovico Geymonat:<br />

dal neopositivismo al materialismo dialettico,<br />

“Marx centouno”, n.7, 1991, pp.155-163


PROFILO<br />

Monaco di Baviera, corteo in occasione dell'inaugurazione della Haus der Kunst (1937)


Presentiamo qui gli atti di un dibattito sul tema: “Filosofia<br />

e politica in Germania tra le due guerre”, organizzato<br />

da “Informazione Filosofica” presso la Casa della Cultura<br />

di Milano (25 novembre 1991), in collaborazione<br />

con l’ Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli e<br />

l’ Istituto Lombardo per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> e Giuridici di<br />

Milano. Occasione del convegno e del dibattito che ne è<br />

seguito è stata la presentazione dell’opera di Domenico<br />

Losurdo: La comunità, la morte, l’Occidente: Heidegger<br />

e l’ «ideologia della guerra» (Bollati Boringhieri 1991).<br />

Ricostruendo attraverso la biografia intellettuale e l’opera<br />

filosofica di pensatori significativi dell’epoca il<br />

clima culturale-ideologico di un’intera generazione di<br />

intellettuali in Germania all’indomani della prima guerra<br />

mondiale e fino alla presa del potere da parte del<br />

partito nazionalsocialista, Losurdo va a cogliere uno dei<br />

nessi fondamentali della tradizione del pensiero occidentale:<br />

il rapporto tra filosofia e ideologia politica.<br />

Soprattutto il modo di questa ricostruzione, a partire cioè<br />

dall’interno del pensiero di<br />

determinati autori, per procedere<br />

poi gradatamente all’esterno,<br />

al contesto cultu-<br />

rale-ideologico,politicosociale, in cui l’opera di<br />

questi viene producendosi,<br />

rende il rapporto tra filosofia<br />

e potere politico un problema<br />

decisamente inquietante<br />

per le domande che<br />

pone circa il ruolo e le responsabilità<br />

del “filosofare”<br />

in determinate situazioni<br />

politiche. Nel caso del<br />

libro di Losurdo, la peculiarità<br />

dell’analisi di questo<br />

rapporto è accresciuta<br />

dal fatto che le varie posizioni<br />

filosofiche prese in esame<br />

non vengono ricondotte<br />

né a un rifiuto di principio del coinvolgimento<br />

politico, né a un aperto schieramento ideologico con il<br />

potere dominante, ma in tutte viene individuato, certo in<br />

maniera ogni volta diversa, un presupposto problematico<br />

comune, che appunto costituisce l'oggetto dell'analisi<br />

di Losurdo: una sorta di “incommensurabilità di fondo”,<br />

tra pensiero filosofico e ideologia politica. In virtù di un<br />

tale presupposto l’autonomia che fonda la riflessione<br />

filosofica in quanto tale non ammetterebbe che anche nel<br />

caso di una evidente e rinnovantesi sovrapposizione, se<br />

non addirittura identificazione tra contenuto filosofico e<br />

contenuto ideologico, si possa parlare di contaminazione<br />

tra filosofia e potere politico.<br />

Permane tuttavia irrisolto il peso del giudizio storico su<br />

un’epoca di crimine sistematico nei confronti dell’umanità,<br />

a cui fa eco, ed è storia dei nostri giorni, il preoccupante<br />

riaccendersi di ideologie razziste di compensazione.<br />

Tutto ciò non permette, oggi come allora, di liquidare<br />

il problema attraverso documentate attribuzioni di colpa.<br />

Il lavoro di Losurdo è in tal senso una testimonianza<br />

eloquente.<br />

RESOCONTO PROFILO<br />

Roberto<br />

Esposito<br />

Filosofia e politica<br />

in Germania<br />

tra le due guerre<br />

Intervengono Cesare Cases,<br />

Roberto Esposito, Domenico Losurdo,<br />

Giorgio Penzo, Stefano Petrucciani<br />

Credo che a La comunità, la morte,<br />

l’Occidente di Domenico Losurdo ci<br />

si debba accostare con il rispetto dovuto<br />

a un libro importante: vale a dire<br />

attraverso una discussione impegnata<br />

e non diplomatica dei problemi che<br />

solleva, delle soluzioni che prospetta, dei presupposti da<br />

cui muove. Un libro importante per almeno tre ordini di<br />

motivi. Intanto per la vastità del materiale che mette in<br />

campo ed esamina con una “filologia” inconsueta per un<br />

saggio di battaglia come pure esso è. Ad essere indagato<br />

in tutte le sue articolazioni interne non è solo il rapporto<br />

tra Heidegger e il nazismo, ma la relazione tra un’intera<br />

generazione europea di intellettuali e quella<br />

Kriegsideologie che costituisce il collante appunto ‘ideologico’<br />

(il saggio di Losurdo appartiene al genere un<br />

tempo assai frequentato della ‘critica ideologica’) di tutta<br />

una serie di opzioni linguistiche, concettuali e politiche:<br />

ad essa rimanda, infatti, non soltanto l’idea di “comunità”<br />

nazionale, saldata misticamente<br />

nella comunanza di<br />

“sangue e suolo” appunto<br />

dal pericolo della guerra,<br />

ma anche, più in generale,<br />

il rifiuto dei valori della<br />

modernità, a partire dai diritti<br />

universali della rivoluzione<br />

dell’89 fino alla democrazia<br />

e al bolscevismo<br />

(nel libro di Losurdo sempre<br />

affiancati in un unico<br />

giudizio positivo).<br />

Il secondo motivo di interesse<br />

del volume è costituito<br />

dal fatto che questo prezioso<br />

lavoro di scavo non<br />

avviene a scapito, ma in<br />

funzione di una tesi assai<br />

netta che lo colloca in maniera<br />

inequivoca all’interno<br />

del dibattito in corso e che è la seguente: quella<br />

“ideologia della guerra” presente in maniera diversamente<br />

calibrata in tutti gli autori trattati e in particolare in<br />

Heidegger porta dritta al nazismo. Quest’ultimo costituisce<br />

il compimento politico - o l’effettuazione - di una<br />

parabola teoretica che ha alla propria base la “deuniversalizzazione”<br />

dell’idea di uomo e la naturalizzazione<br />

della storia già anticipata da Burke e De Maistre e a vario<br />

titolo presente nelle opere di Sombart, Jaspers, Jünger,<br />

Schmitt e naturalmente Heidegger (non senza qualche<br />

eco in autori insospettabili come Freud, Weber, Husserl,<br />

Mann, Croce o Wittgenstein). Quando questa “ideologia”<br />

diffusa come un morbo mortale negli anni Dieci e<br />

Venti arriva a dedurre dalla disfatta della modernità la<br />

necessità di un nuovo inizio miticamente rivestito dei<br />

panni dell’antica polis greca, allora i tempi sono maturi:<br />

la cultura tedesca è pronta a riconoscere nel Führer l’<br />

“eroe” che salverà l’Occidente dall’invasione dei “mercanti”<br />

ariani o ebrei (o peggio ancora “zingari, papuani,<br />

ottentotti”) che ne minacciano la sopravvivenza.<br />

E arriviamo così al terzo merito del libro di Losurdo: la


capacità di distinzione interna che sottrae la propria tesi<br />

ad ogni atteggiamento pregiudiziale. Distinzione non<br />

solo tra antigiudaismo e antisemitismo; non solo tra i vari<br />

intellettuali, diversificati in merito sia alla scelta nei<br />

confronti del nazismo, sia all’itinerario filosofico che ad<br />

essa li ha condotti; ma anche tra i differenti strati interni<br />

dell’opera dei singoli autori. Dei quali comunque, a<br />

partire da Heidegger, Losurdo è ben lontano da negare la<br />

“grandezza” filosofica. Ciò che egli contesta è invece<br />

l’atteggiamento pregiudizialmente “innocentista” di coloro<br />

che pur di arrivare al loro scopo o adottano quell’ermeneutica<br />

sillogistica secondo la quale, dal momento che<br />

cultura e fascismo sono termini contraddittori, chiunque<br />

sia filosofo - e grande filosofo - non può essere fascista;<br />

o trattano l’adesione di Heidegger al nazismo come<br />

episodio marginale e contingente del tutto esterno alla<br />

formazione delle sue categorie filosofiche. Al contrario -<br />

afferma Losurdo - tale adesione deve in qualche modo<br />

originarsi in quelle categorie. E’ vero che esiste una sorta<br />

di “eccedenza” della filosofia - di ogni filosofia, e di<br />

quella di Heidegger in modo del tutto particolare - rispetto<br />

alla pressione del proprio tempo: ma anch’essa va letta<br />

dentro coordinate storicamente determinate. Certo, non<br />

bisogna mai perdere di vista la linea di confine tra<br />

“teoria” e “ideologia”, ma neanche il fatto che tale linea<br />

è per forza di cose segmentata, sfrangiata, interrotta. Non<br />

solo, ma che non taglia orizzontalmente, come vorrebbe<br />

Habermas, la produzione di Heidegger in due fasi distinte<br />

e separate - prima e dopo il ’29 - bensì la attraversa<br />

verticalmente in tutta la sua estensione. Tant’è vero che<br />

già in Sein un Zeit si fanno strada alcune categorie poi piegate<br />

all’esito che sappiamo negli anni oscuri del rettorato.<br />

Ma quali categorie? Proprio qui mi pare vengano alla luce<br />

una serie di problemi non soltanto di interpretazione, ma<br />

anche di coerenza interna rispetto ai presupposti teorici<br />

che la fondano nel libro di Losurdo. Questi giustamente<br />

richiama a sostegno della propria tesi la contrapposizione,<br />

al centro di Essere e Tempo, tra il “Se stesso autentico<br />

della decisione” e l’impersonalità seriale di un “sì” che<br />

«non ha il coraggio dell’angoscia davanti alla morte».<br />

Non mi pare dubbio che siamo qui già in presenza di un<br />

“gergo dell’autenticità” - per dirla con Adorno - che,<br />

ambiguamente storicizzato nel destino della Gemeinschaft<br />

tedesca, porterà al tragico cortocircuito della<br />

Selbsbehauptung. Ma per quale via, per quale transito<br />

teoretico? Secondo Losurdo per quella della “detrascendentalizzazione”<br />

e “deuniversalizzazione” del soggetto.<br />

Per me, al contrario, come anche per altri interpreti, per<br />

quella della sua eccessiva universalizzazione; e cioè per<br />

una mai smaltita caratterizzazione umanistica e spiritualistica<br />

che “tradisce” l’analitica del Dasein e la espone al<br />

rischio di un’indebita traduzione politica: dove per umanesimo<br />

s’intende evidentemente una determinata concezione<br />

dell’umanità dell’uomo necessariamente - cioè<br />

metafisicamente - portata a riconoscersi nella massima<br />

estensione del dominio umano sulla terra. Non erano stati<br />

questi la libertà e il compito affidati all’uomo anche dal<br />

Dio cristiano? E non era stato proprio questo umanesimo<br />

dell’essenza a giustificare in Husserl l’esclusione dal<br />

concetto di uomo occidentale - vale a dire dell’uomo tout<br />

court - di coloro che di quell’umanesimo non si erano fatti<br />

RESOCONTO<br />

PROFILO<br />

ancora né soggetti, né oggetti, come lo stesso Losurdo<br />

sottolinea?<br />

Si direbbe che Heidegger respinga l’umanesimo classico<br />

non perchè troppo, ma perchè troppo poco, spiritualistico;<br />

così che anche il costante richiamo all’essere-per-lamorte<br />

finisce per intrecciarsi indissolubilmente con la<br />

traduzione ultraumanistica che vede nella morte l’estremo<br />

raccoglimento del soggetto intorno al suo inappropriabile<br />

proprium: appunto la propria morte. E’ la stessa<br />

dialettica di prossimità e distanza che fa del pensiero<br />

dell’Essere ancora un pensiero dell’uomo per l’uomo. O<br />

anche: che nella rappresentazione della “distanza” celebra<br />

insieme l’assoluta presenza a se stesso di chi s’interroga<br />

sull’assenza della propria patria e sulla modalità<br />

della sua riconquista, come fin nella Lettera sull’umanismo<br />

è dichiarato. Per non parlare della Einführung in die<br />

Metaphysik, in cui l’oscillazione tra ontologia e antropologia<br />

perviene alla fine a una compiuta sovrapposizione.<br />

Che sia l’Uomo ad essere affidato a una “cura” essenzialmente<br />

umana, umana per essenza, sta di fatto che è da tale<br />

coappartenenza che si mette in moto quella potentissima<br />

macchina mitologica, già pervenuta nella Rektoratsrede<br />

al suo esito “istoriale-operativo”. E’ il punto, precisamente,<br />

in cui l’umanesimo heideggeriano trova compimento<br />

nel mito romantico dell’Opera, come appare chiaro<br />

dalla ripresa in chiave antimoderna dell’ “Inizio” greco<br />

al centro anche del libro di Losurdo. Cos’altro è quella<br />

Grecia, per Heidegger, se non il luogo di sutura filosofico-politico<br />

tra teoria e prassi, funzionalizzato al nuovo<br />

destino della Germania?<br />

E qui veniamo al secondo punto che mi lascia perplesso.<br />

Losurdo batte, anche qui giustamente, sul ruolo politico<br />

assegnato da Heidegger - da un certo Heidegger almeno,<br />

perchè sicuramente esiste un precedente e successivo<br />

Heidegger “impolitico” - alla filosofia. Convengo che sia<br />

proprio questo il rischio ancora implicito nell’heideggerismo.<br />

Ma come contrapporre ad esso - è ciò che fa<br />

implicitamente Losurdo - l’altra grande politicizzazione<br />

europea della filosofia rappresentata dalla “filosofia della<br />

prassi” di Marx? E non era Marx stesso stato influenzato,<br />

in termini evidentemente diversi, dal medesimo<br />

romanticismo dell’Opera, cui anche quell’Heidegger “politico”<br />

attinge a piene mani? Lo si potrebbe negare solo<br />

contrapponendo un Hegel marxiano al Fichte heideggeriano,<br />

cosa che non mi sembra molto reggere da nessun<br />

punto di vista (si pensi anche al ruolo di Schelling). E<br />

d’altra parte debole mi pare anche la lettura del “comunismo”<br />

marxiano come opposizione dell’idea di “società”<br />

a quella di “comunità”: quando è proprio la comunità<br />

come restaurazione della totalità infranta dal capitalismo<br />

al cuore della (storicamente infausta) utopia marxiana<br />

lungo una traiettoria che se non ha al proprio inizio il<br />

comunitarismo di Fichte, sicuramente ha quello di<br />

Rousseau. Anche qui a meno di voler connettere tra di<br />

loro liberalismo, democrazia e bolscevismo come contraltare<br />

“moderno” all’antimodernismo nazista.<br />

Qui c’è un’ultima questione da puntualizzare. Personalmente<br />

trovo il libro di Losurdo utilissimo a combatter<br />

l’assurda tesi - oggi ritornata in circolazione - della<br />

identificazione “totalitaria” di comunismo e nazifascismo.<br />

Poche formule contengono pari potenziale di sem-


plificazione e di vero e proprio travisamento della realtà<br />

storica. E tuttavia qualcosa in più va detto. Se non si vuole<br />

rendere a quella grande potenza storica che è stato il<br />

comunismo in questi settanta anni lo stesso torto che<br />

fanno ad Heidegger coloro che ne negano ogni responsabilità<br />

filosofica, bisogna ammettere che esso si è contrapposto<br />

alla democrazia con la stessa determinazione con<br />

cui lo ha fatto il fascismo. Anche se per motivazioni<br />

opposte e imparagonabili. Lo dico senza nessun entusia-<br />

Giorgio<br />

Penzo<br />

Potrebbe sembrare che Domenico<br />

Losurdo nel suo interessante studio<br />

sull’ideologia della guerra, La comunità,<br />

la morte, l’Occidente, dovesse<br />

prendere in considerazione soltanto<br />

la problematica di Heidegger, dato<br />

che nel sottotitolo si legge Heidegger<br />

e l’ “ideologia della guerra”. In realtà Losurdo allarga la<br />

sua indagine ai principali pensatori della prima metà del<br />

secolo che sono alla base di tale ideologia. Ricorrono<br />

nomi noti, come Nietzsche, Klages, Spengler, Schmidt,<br />

Baeumler, Weber e altri. In modo particolare però, Losurdo<br />

prende in considerazione Jaspers. Ed è questa direi la<br />

novità di tale studio, sulla quale vorrei soffermarmi.<br />

Si è discusso a lungo sul rapporto tra il pensiero di<br />

Heidegger e la cultura del nazionalsocialismo. In queste<br />

discussioni non compare mai il nome di Jaspers. Losurdo<br />

intende invece mostrare come neppure Jaspers si sarebbe<br />

sottratto al fascino ambiguo dell’ideologia della guerra.<br />

Dunque, non solo il pensiero di Heidegger, ma pure<br />

quello di Jaspers deve essere posto sotto processo. Questa<br />

è una tesi nuova nel contesto del dibattito sul germanesimo<br />

in genere e sul nazismo in particolare, ancora vivo in<br />

questi anni. A riguardo vorrei far notare che se è possibile<br />

mettere in luce nella problematica di Heidegger una certa<br />

ambiguità, che potè essere utilizzata dalla cultura del<br />

nazionalsocialismo, non è invece possibile a mio avviso<br />

affermare altrettanto nei confronti del pensiero di Jaspers.<br />

A differenza di Heidegger, Jaspers si è tenuto sempre<br />

lontano da ogni ingaggio con la politica del nazionalsocialismo.<br />

E ciò non soltanto perchè aveva una moglie<br />

ebrea, ma soprattutto perchè Jaspers come uomo è stato<br />

sempre profondamente coerente con il suo pensiero.<br />

Anzi, ritengo che nessun pensatore del nostro secolo<br />

abbia saputo mettere a fuoco una filosofia della libertà<br />

come quella di Jaspers.<br />

Losurdo da parte sua cerca di sottolineare con insistenza<br />

in alcune espressioni prese dagli scritti di Jaspers un<br />

possibile rapporto con i temi di fondo dell’ideologia della<br />

guerra, come quelli della morte, del pericolo, del destino<br />

che si ritrovano nella tematica della comunità. In questo<br />

contesto Losurdo mostra a mio avviso di non tenere ben<br />

presente la distinzione di fondo tra alcune categorie<br />

esistenziali tipiche della filosofia della vita e dell’esistenzialismo<br />

e le stesse categorie esistenziali che vengono<br />

elevate da Jaspers al livello ontologico. Per sottolineare<br />

questa sua profonda distinzione, Jaspers parla più precisamente<br />

di categorie esistentive: si tratta dell’esistenza<br />

aperta alla trascendenza. Ciò comporta che i momenti<br />

RESOCONTO PROFILO<br />

smo per la democrazia presente e senza nessuna enfasi<br />

per il suo ipotetico “valore”. Ma i fatti restano tali da<br />

qualsiasi lato li si guardi. Anche per quanto riguarda la<br />

modernità: se c’è un punto - un solo punto - in cui<br />

comunismo e fascismo si toccano è la percezione che<br />

un’epoca fosse finita e che fosse necessario pensare ad<br />

un’ulteriorità capace insieme di compierla e di superarla.<br />

Comunque ci si collochi, va quantomeno detto che tale<br />

“ulteriorità” è stato meglio perderla che trovarla.<br />

esistenziali della morte, del pericolo, del destino e della<br />

comunità ricevano in questo ambito di trascendenza<br />

jaspersiana un significato del tutto diverso da quello che<br />

Losurdo intende mettere in luce nel contesto di una<br />

ideologia della guerra. In Jaspers le categorie esistenziali<br />

della comunità, del pericolo, della morte e del destino<br />

ricevono un senso ontologico. Esse sono ben distanti<br />

dall’essere considerate nello stesso senso dell’ideologia<br />

della guerra, appunto perchè hanno il solo compito di<br />

portare l’esistenza di fronte alla trascendenza.<br />

Se Jaspers parla della fedeltà alle origini, alla storicità,<br />

ciò non significha che parli di una fedeltà all’esseretedesco<br />

ma piuttosto all’aprirsi al problema ontologico<br />

del fondamento del singolo. Così, se Jaspers esprime il<br />

suo rammarico per il fatto che al posto del destino<br />

dell’uomo subentri un legame alla macchina sociologica,<br />

egli vuole con ciò mettere in luce soltanto la dimensione<br />

inautentica del “si” anonimo, dove l’individuo si trova<br />

alienato. Non si tratta di un disprezzo aristrocratico della<br />

massa, ma solo della preoccupazione che l’individuo<br />

venga massificato. Ed ancora, se Jaspers parla di un<br />

legame alla sostanza della propria storicità, non intende<br />

la coscienza di sentirsi membro della comunità popolare,<br />

ma la coscienza di aprirsi al fondamento dell’uomo, che<br />

è dato soltanto dall’apertura alla trascendenza. Se nello<br />

scritto La situazione spirituale del tempo (1931) Jaspers<br />

asserisce di preferire la morte all’asservimento, questo<br />

non significa un elogio delle morte nel senso dell’ideologia<br />

della guerra, ma solo un elogio della libertà. In uno<br />

degli scritti politici più fondamentali redatti dopo il 1945,<br />

La bomba atomica e il destino dell’uomo, Jaspers arriva<br />

a formulare il paradosso che sarebbe meglio perdere la<br />

vita piuttosto che perdere il dono misterioso della libertà.<br />

Inoltre, la situazione limite, che è una delle categorie<br />

esistentive fondamentali di Jaspers, è lontana dal poter<br />

essere interpretata nel senso della comunità guerresca<br />

tipica dell’ideologia della guerra. La categoria fondamentale<br />

per leggere gli scritti politici di Jaspers dopo il<br />

1945 è quella della “conversione interiore”, che chiarisce<br />

la distinzione di fondo tra politica e sovra-politica. Se si<br />

tiene presente questa categoria esistentiva politica e quella<br />

filosofica della comunicazione, si può capire come la<br />

distinzione che Jaspers fa tra comunità e società non<br />

possa essere racchiusa nello schema dell’ideologia della<br />

guerra.<br />

E’ noto che la problematica della comunicazione si fonda<br />

sulla distinzione tra il conoscere tipico dell’intelletto e il<br />

comprendere tipico della ragione. La ragione non è<br />

estrinseca all’intelletto, ma è lo stesso intelletto quando


questo prende coscienza dei suoi limiti conoscitivi. La<br />

verità tipica del conoscere non riguarda il fondamento<br />

dell’uomo; mentre la verità della ragione riguarda solo il<br />

fondamento dell'uomo, che come tale si sottrae ad ogni<br />

presa dell’intelletto conoscente. La problematica esistentiva<br />

della comunicazione non può perciò essere messa a<br />

fuoco dall’intelletto, ma solo dalla ragione. I tratti caratteristici<br />

della comunicazione esisitentiva sono l’essereunito-a,<br />

cioè all’altro, e l’essere-in-solitudine. Questa<br />

categoria esistentiva è diversa da quella esistenziale di<br />

essere-isolati, poichè questa riguarda il singolo in rapporto<br />

alla società. Si capisce così come Jaspers intenda la<br />

distinzione tra comunità e società. La prima si compone<br />

di più singoli aperti alla solitudine del proprio fondamento<br />

e quindi aperti al nulla. Si tratta di una comunità sotto<br />

l’angolo visivo della comunicazione, grazie alla quale<br />

ogni singolo è aperto alla trascendenza. La seconda<br />

invece è composta da più singoli, aperti solo alla dimensione<br />

dell’intelletto. Nell’unione esistentiva della comunità<br />

viene meno da una parte ogni verità rivelata, nel<br />

senso di una verità religiosa ben delineata, dall’altra ogni<br />

concezione del mondo che è alla base delle diverse<br />

ideologie. Questi due modi inautentici della comunicazione,<br />

l’uno a livello religioso e l’altro al livello politico,<br />

sono invece propri della società.<br />

In una conferenza del 1956, La dimensione collettiva e il<br />

singolo, Jaspers distingue tra comunità sostanziale e<br />

società tecnica. Questa distinzione implica due diversi<br />

modi di concepire l’autorità. Se nella comunità l’autorità<br />

proviene dall’interno, nella società l’autorità proviene<br />

dall’esterno, decadendo così ad autoritarismo, aperto<br />

sempre al pericolo della violenza. Nel contesto dell’autoritarismo<br />

Jaspers non fa distinzione tra Stato e Chiesa,<br />

perchè si è sempre di fronte a una autorità ben definita.<br />

Nella consapevolezza di essere in possesso della verità,<br />

lo Stato e la Chiesa si sentono giustificati ad imporre ai<br />

loro membri tale verità conosciuta. In particolare Jaspers<br />

allude allo stato marxista e soprattutto a quello nazista,<br />

che sarebbe l’espressione più tipica del totalitarismo. In<br />

tal senso la comunità tedesca tipica dell’ideologia della<br />

guerra sarebbe piuttosto espressione della società e non<br />

già della comunità.<br />

Se si vuole comprendere più a fondo la distinzione<br />

jaspersiana tra comunità e società, si deve tener presente<br />

la distinzione che fa Max Stirner tra comunità e società,<br />

alla quale corrisponde rispettivamente la distinzione tra<br />

rivolta e rivoluzione. La rivolta è un atto del tutto esistenziale<br />

in quanto indica l’intima ribellione dell’individuo<br />

che non intende perdere nell’anonima società la sua<br />

interna coerenza. Si tratta di voler superare ogni estraniazione<br />

dell’io nell’anonimo della massa. Il cosidetto egoismo<br />

stirneriano non può a mio avviso essere definito,<br />

come vogliono Marx ed Engels, come un egoismo puramente<br />

anarchico. Stirner intende tematizzare un’esistenza<br />

dalla quale esuli ogni concezione universale, che egli<br />

definisce come “santa”. La dimensione universale del<br />

concetto che è alla base delle diverse ideologie rappresenta<br />

il momento dell’estraniazione dell’io, e perciò<br />

appartiene all’ambito della società, dove l’io non è più<br />

“mia proprietà”. Di qui il titolo dell’opera di Stirner del<br />

1845, L’unico e la sua proprietà.<br />

PROFILO<br />

A differenza della realtà della rivoluzione che morde su<br />

un terreno sociale e presuppone il riconoscere come<br />

valido un vivere secondo leggi, il momento della rivolta<br />

si esaurisce solo in un atto interiore. Più precisamente, si<br />

ha una presa di posizione del soggetto rispetto all’oggetto,<br />

senza curarsi di modificare l’oggetto. In forza di<br />

questo atto l’oggetto perde la sua santità. E caduta la<br />

santità dell’oggetto, il soggetto si trova ad essere per se<br />

stesso nella dimensione di io come proprietà e quindi<br />

nella dimensione di unico. In qualsiasi rivoluzione invece,<br />

per quanto radicale essa sia, muta solo l’oggetto,<br />

mentre rimane intatta la santità di questo. L’ideologia<br />

della guerra verrebbe considerata da Stirner come un’espressione<br />

“santa” e perciò inautentica. Quando Marx ed<br />

Engels scrivono la loro critica all’opera di Stirner, che<br />

apparirà ne L’ideologia tedesca, mostrano di non aver<br />

saputo cogliere la verità profonda della rivolta e quindi<br />

della comunità. In questa, il singolo si trova unito all’altro<br />

singolo al di fuori di ogni dimensione santa della legge e<br />

quindi al di fuori di ogni concezione ideologica.<br />

Posto in chiaro che non è del tutto oggettivo interpretare<br />

la categoria esistentiva di Jaspers di comunità come<br />

categoria esistenziale tipica dell’ideologia della guerra,<br />

riesce facile chiarire il problema che riguarda la realtà<br />

storico-esistenziale di essere-tedesco, tipica di Jaspers,<br />

che secondo Losurdo dipenderebbe anch’essa dall’ideologia<br />

della guerra. A riguardo si può fare una considerazione<br />

di carattere generale. Non c’è dubbio che Jaspers<br />

parli con simpatia dell’essere-tedesco. Però egli dà a<br />

questa espressione un significato ben diverso da quello<br />

tipico dell’ideologia della guerra. La concezione di essere-tedesco<br />

di Jaspers richiama Nietzsche, secondo il<br />

quale essere-tedesco significa dis-germanizzarsi. Purtroppo<br />

il super-uomo di Nietzsche è stato interpretato nei<br />

primi decenni del nostro secolo sotto l’angolo visivo<br />

della filosofia della vita e dell’esistenzialismo. Sotto il<br />

primo aspetto è stato letto per lo più in chiave di un<br />

darwinismo più o meno brutale, e sotto il secondo aspetto<br />

è stato letto in chiave eroica. Jaspers dà di Nietzsche<br />

un’interpretazione a livello di filosofia dell’esistenza.<br />

Secondo Jaspers, come anche secondo Nietzsche, non c’è<br />

un modello fisso rispetto al quale sia possibile definire<br />

l’essere-tedesco. In altre parole, nessuna cultura tedesca<br />

può dire di se stessa di essere un’autentica cultura germanica.<br />

Così, se Losurdo accusa Jaspers di parlare con<br />

simpatia dell’essere-tedesco, ci si rende però conto che<br />

non si tratta di un essere-tedesco ben determinato come<br />

quello sostenuto dall’ideologia della guerra.<br />

Così pure quando Losurdo parla dell’amicizia di Jaspers<br />

con Weber, che indubbiamente nutre delle simpatie per<br />

un certo nazionalismo, ciò non implica che Weber abbia<br />

influenzato Jaspers in questo ambito. E’ noto che Weber<br />

insegna a Heidelberg dal 1897 al 1899 e che durante<br />

questo tempo Jaspers partecipa al suo circolo culturale. Il<br />

nome di Weber ricorre spesso negli scritti di Jaspers. In<br />

particolare Losurdo ricorda la monografia su Weber del<br />

1932, dal titolo Max Weber. Essenza tedesca nel pensiero<br />

politico, scientifico e filosofico. Nella nuova edizione del<br />

1952 viene tralasciato il richiamo all’essenza tedesca che<br />

poteva dare adito a qualche ambiguità. Per chiarire però<br />

il suo particolare modo di vedere l’essenza tedesca,


Jaspers ci tiene a sottolineare che il suo lavoro su Weber<br />

appare per la prima volta nel tempo in cui diventa<br />

pericolosa la violenza nazista. Weber è per Jaspers un<br />

filosofo che non si limita a insegnare filosofia, ma a<br />

viverla. Nella commemorazione tenuta nel 1920 per la<br />

morte di Weber, Jaspers sottoliena che in Weber si può<br />

vedere l’essenza di ogni esistenza filosofica, che si rivela<br />

nella coscienza di fronte all’assoluto nelle sue diverse<br />

espressioni. Questa coscienza si esprime nella ragione<br />

che è l’orizzonte ultimo delle responsabilità. In questa<br />

lettura Jaspers vede Weber non già come un rappresentante<br />

di una determinata concezione di essere-tedesco,<br />

ma come un rappresentante della ragione.<br />

Non c’è alcun dubbio che, se Jaspers parla dell’esseretedesco,<br />

lo fa proprio in polemica con l’interpretazione<br />

dell’ideologia della guerra. Quando dopo il 1945 si<br />

doveva pensare a riproporre un’autentica tradizione culturale<br />

tedesca, Jaspers pensa a figure come Lessing, Kant<br />

e soprattutto Goethe. Sono significative le due conferenze<br />

che egli tiene in onore di Goethe. La prima, del 1947,<br />

porta il titolo Il nostro avvenire e Goethe ed è tenuta<br />

quando Jaspers riceve il premio Goethe della città di<br />

Francoforte. La seconda del 1949 porta il titolo L’umanità<br />

di Goethe ed è tenuta in occasione del secondo centenario<br />

della nascita di Goethe, nella cattedrale di Basilea.<br />

Goethe viene proposto al popolo tedesco come una figura<br />

“tedesca” di primo piano da imitare. E’ il tempo in cui<br />

Jaspers scrive le sue opere politiche e parla di sovrapolitica<br />

come di una nuova dimensione etico-pedagogica<br />

Cesare<br />

Cases<br />

perchè credo che sia il primo tentativo<br />

attuale di far uscire Heidegger<br />

da quella specie di “splendido isolamento”<br />

in cui era finito nel dopoguerra<br />

e in cui il suo indubbio rapporto<br />

con il nazionalsocialismo di-<br />

ventava quasi una questione di scelte personali, una<br />

contesa tra chi optava per una philosophia perennis, di<br />

fronte alla quale ogni errore politico diventa una veniale<br />

debolezza della carne, e chi si accaniva contro il peccatore,<br />

invocando un rogo tardivo, che poi sarebbe stato un<br />

rogo postumo. In questa situazione la messa al bando di<br />

Heidegger decretata dal marxismo si rivela un’arma a<br />

doppio taglio, poichè l’etichettatura come pensatore reazionario<br />

o progressista collocava Heidegger in una compagnia<br />

che, buona o cattiva che fosse, era pur sempre una<br />

compagnia che aveva una sua legittimità storica, non solo<br />

consolante, ma pure conveniente.<br />

Come ricorda Losurdo, Lukács, che certo non esitava ad<br />

amettere o radiare a seconda dell’ideologia politica, in<br />

base al convincimento che nessuna concezione del mondo<br />

è innocente, mostrò un insolito rispetto per Heidegger<br />

sia nella Distruzione della ragione, sia nel saggio<br />

Heidegger redivivus, sulla Lettera sull’umanismo a Jean<br />

Beaufret, sia nel poco noto libro sull’esistenzialismo.<br />

Losurdo conosce benissimo Lukács, che prima di lui<br />

aveva spiegato l’adesione del pensatore al nazismo nel<br />

contesto della “distruzione della ragione”, ma il suo libro<br />

non è affatto un duplicato di quello di Lukács e non solo<br />

RESOCONTO PROFILO<br />

per il popolo tedesco del dopoguerra. Jaspers intende la<br />

dimensione di sovra-politica come un “mutamento interiore”.<br />

In queste conferenze su Goethe egli si pone il<br />

problema fino a che punto i grandi del passato possano<br />

ancora avere un senso per il tempo presente, senza esporsi<br />

con ciò al pericolo di cadere in un culto o peggio in una<br />

divinizzazione di questi “grandi”. Jaspers dà al termine<br />

grandezza un significato fondamentalmente diverso da<br />

quello tipico della cultura eroica dell’ideologia della<br />

guerra. E’ grande per Jaspers solo colui che aiuta il<br />

singolo ad aprirsi al suo fondamento interiore. Così<br />

Goethe è grande, secondo Jaspers, perchè riesce a realizzare<br />

l’esistenza umana in una pienezza spirituale che di<br />

rado si può constatare nella storia. Solo in questo modo<br />

la realtà umana racchiusa nelle opere di Goethe può<br />

essere ancora attuale per il popolo tedesco.<br />

Purtroppo la politica di Jaspers come sovra-politica, cioè<br />

come conversione interiore non può essere capita pienamente<br />

neppure dalla Germania democratica. Per questo<br />

egli pensa di abbandonare la sua amata Germania. Il<br />

dolore del distacco sarà un motivo di polemica con la sua<br />

amica e scolara Hannah Arendt, che non riusciva a capire<br />

perchè Jaspers voleva ancora riconoscersi tedesco. Anche<br />

l’ebrea H. Arendt cade però nell’equivoco che la<br />

Germania dovesse essere circoscritta alla Germania della<br />

cultura prussiana. Ma né Nietzsche né Jaspers si riconoscono<br />

in questa angusta Germania, pur affermando nello<br />

stesso tempo di voler essere ancora tedeschi.<br />

Penso che il libro di Losurdo sia molto importante,<br />

perchè ci sono di mezzo quasi cinquant’anni di ricerche<br />

e di pubblicazione di nuovi documenti, ma perchè quel<br />

libro soffriva delle pastoie che l’autore si era autoimposto.<br />

Heidegger era relativamente ben trattato, ma anche<br />

lui era una sottosezione di una sezione di una totalità<br />

malefica, che restava tale anche se vi capitava dentro un<br />

diavolo più intelligente degli altri. Lukács non poteva<br />

fare a meno di sussumere in qualche categoria e chiedeva<br />

alla totalità la forza di picconare i suoi singoli rappresentanti.<br />

Losurdo invece parte dal concreto, parte da<br />

Heidegger per tastare il terreno intorno a lui, che si rivela<br />

assai fecondo, in cerca di analogie. In questa prospettiva<br />

le contraddizioni interne del filosofo passano in secondo<br />

piano; non si vuole nel libro fare quella critica immanente<br />

cui Lukács aspirava, ma che raramente otteneva, perchè<br />

il pregiudizio ideologico arrivava alla meta prima di<br />

questa critica.<br />

Una critica immanente l’aveva già condotta molto bene<br />

Sternberger nella sua tesi di laurea del 1930, pubblicata<br />

solo alcuni anni fa; la tesi verteva su un solo paragrafo di<br />

Essere e tempo, quello - non ricordo più se il 91 o il 93 -<br />

in cui si pone la morte a fondamento dell’Esserci come<br />

essere per la morte. Sternberger con un’analisi puntuale<br />

dimostrava l’assurdità di fondare l’esistenza umana su<br />

un’esperienza che l’uomo non può mai avere in prima<br />

persona. A Losurdo non interessa la morte come principio<br />

dell’ontologia heideggeriana, ma come tema centrale<br />

dell’epoca nei dintorni della prima guerra mondiale,<br />

tema di cui quella heideggeriana non è altro che la


versione più radicale, una delle versioni più radicali.<br />

L’esaltazione del sacrificio e la mistica della comunità<br />

sono le altre componenti di quella che Losurdo chiama<br />

l’ideologia della guerra. Nel ravvisarne la presenza nei<br />

contemporanei Losurdo non esita a fare i nomi non solo<br />

di Jaspers, di Weber e di Husserl, ma anche di Buber e di<br />

Rosenzweig, che la recuperano a favore dell’ebraismo,<br />

sicchè anche coloro che saranno le future vittime del<br />

nazionalsocialismo hanno atteggiamenti che li portano in<br />

vicinanza del razzismo nazionalsocialista. A questo punto<br />

ci si può chiedere se un fenomeno così vasto, che<br />

coinvolge anche le vittime dell’odio antisemita nutrito<br />

dalle fantasie comunitarie, non abbia un minimo di legittimità<br />

teorica. Losurdo sembra contestarlo e in questo si<br />

accosta a Lukács; per esempio, per quanto riguarda i<br />

francofortesi, egli li porta in vicinanza di Heidegger, ma<br />

all’ultimo momento li distacca, dimostrando come in essi<br />

viva sempre la speranza di realizzare l’illuminismo,<br />

mutando le basi della società. Questo è filologicamente<br />

corretto ed è valido contro Lucio Colletti che fin dalla sua<br />

recensione della Dialettica dell’Illuminismo, contemporanea<br />

alla versione italiana, mostra di non aver capito<br />

nulla di questo libro e di ritenere che sia un libro rivolto<br />

contro l’Illuminismo. In realtà però, se faceva eccezione<br />

per Heidegger e Schmitt, soprattutto per ragione politiche,<br />

il nazionalsocialismo era un trauma difficilmente<br />

superabile per degli emigrati ebrei antinazisti. Horkheimer<br />

e Adorno avevano seguito la massima di Benijamin,<br />

secondo la quale bisogna imparare dal nemico.<br />

Losurdo parla di “eccedenza di teoria” sull’ideologia; ma<br />

in che cosa consiste questa eccedenza? A mio avviso nel<br />

fatto che il romanticismo anticapitalistico, non avendo<br />

prospettive positive che passino necessariamente attraverso<br />

il capitalismo, come le ha il marxismo, è molto più<br />

sensibile agli aspetti negativi di questo e al tipo di uomo<br />

che incarna questi aspetti negativi. Per fare la mia parte di<br />

pedante, chiamato come esperto di tedesco, dirò che in<br />

Losurdo c’è un unico errore terminologico che mi sembra<br />

significativo, dato che negli errori vien fuori l’inconscio,<br />

soprattutto in un uomo come Losurdo, che esamina tutto<br />

alla luce della ragione. A un certo punto del testo si parla<br />

del richiamo alla grecità in Heidegger, che non può essere<br />

Stefano<br />

Petrucciani<br />

nità, la morte, l’Occidente.<br />

Heidegger e l’ideologia della guerra)<br />

sta certamente nel modo in cui<br />

esso reimposta e ricontestualizza la<br />

questione del nazismo di<br />

Heidegger. Il libro, infatti, va oltre<br />

la questione delle scelte filonaziste del filosofo, scelte<br />

ormai comprovate e sulle quali non rimane molto da dire.<br />

Non si ferma a riflettere solo sulla circostanza inquietante<br />

di un filosofo che si fa nazista: mostra anche come vi sia<br />

un legame forte, non scindibile tra molti aspetti del<br />

pensiero di Heidegger e le sue scelte politiche. Queste, in<br />

altri termini, non sono certo l’incidente di percorso che<br />

capita a un filosofo perso nel cielo delle idee (come Talete<br />

quando cade nel pozzo e viene deriso dalla servetta tracia,<br />

nell’aneddoto cui recentemente Hans Blumenberg ha<br />

PROFILO<br />

un elemento unificante per tutta l’umanità, ma serve a<br />

definire gli schieramenti in lotta: «il nome di Eraclito non<br />

è la formula per il pensiero di un’umanità in sé abbracciante<br />

l’intero globo». Si tratta di una citazione da<br />

Heidegger, a cui tra parentesi fa seguito il termine tedesco,<br />

Allerweltsmenschheit an sich. Losurdo traduce «l’umanità<br />

in sé abbracciante l’intero globo», dando l’impressione<br />

che si tratti di una polemica contro l’umanesimo<br />

in generale, contro la retorica umanistica, mentre non<br />

è così, perchè Allerweltsmenschheit non vuol dire l’umanità<br />

che abbraccia l’intero globo, ma vuol dire un’umanità<br />

buona per tutti gli usi. L’espressione Allerwelt ha<br />

sempre una connotazione negativa; in questo caso indica<br />

un’umanità da quattro soldi. Cioè qui la polemica è<br />

contro l’umanesimo come ideologia del piccolo borghese<br />

alienato, americano o russo che sia. Heidegger aveva<br />

questi due bersagli, così come in generale l’ideologia<br />

della guerra esaminata da Losurdo. Si tratta quindi di una<br />

polemica contro l’ultimo uomo di Nietzsche; e questa<br />

polemica, a mio parere, prescindendo dalle implicazioni<br />

politiche che ne ha tratto Heidegger e in generale l’ideologia<br />

della guerra, prescindendo dalla esaltazione della<br />

bionda bestia ellenico-germanica, questa polemica ha il<br />

suo aspetto legittimo.<br />

Penso che questa sia la ragione della tenace sopravvivenza<br />

dell’anticapitalismo romantico, benchè Lukács credesse<br />

di essersene sbarazzato non solo personalmente,<br />

ma anche sul piano teorico. E penso anche che questa sia<br />

la ragione per cui la Germania, e in fondo tutto il mondo,<br />

dopo essersi di nuovo adagiati nel capitalismo, hanno<br />

proclamato Heidegger il grande pensatore dell’occidente.<br />

Questo anche perchè, a differenza di Nietzsche,<br />

Heidegger permette di continuare a filosofare, cambiando<br />

il linguaggio e chiudendo gli occhi di fronte alla realtà.<br />

Una realtà che riappare nella genesi del pensiero heideggeriano<br />

delineata da Losurdo, di cui vorrei di nuovo<br />

esaltare il libro, dopo aver fatto osservare qualche suo<br />

limite, che del resto io giustifico ampiamente, perchè<br />

anche l’Allerwelt, l’umanismus è sempre buono contro<br />

l’ideologia della morte, ripercorsa in questo libro.<br />

Uno dei meriti principali del libro di Losurdo (La comu-<br />

dedicato addirittura un libretto). L’importante del libro di<br />

Losurdo, però, è che non si ferma neppure alla messa in<br />

evidenza di questa connessione, ma compie un passo<br />

successivo e significativo. Mostra cioè come questa<br />

interna policità o scelta di campo della filosofia di<br />

Heidegger abbia le sue origini, ovvero le sue motivazioni<br />

nel rapporto stretto che intercorre tra il pensiero heideggeriano,<br />

da un lato, e dall’altro quel complesso ideologico<br />

che, semplificando un po’, si può riassumere nelle<br />

parole chiave “ideologia della guerra” e “critica reazionaria<br />

della modernità”. A mio avviso la questione davvero<br />

significativa e di grande interesse è proprio questa:<br />

Losurdo ci mostra, in sostanza, che non si deve guardare<br />

al nazismo di Heidegger come al traviamento di un<br />

grande filosofo; l’ottica che ci propone è completamente<br />

diversa. Guardare alla filosofia di Heidegger come a una


filosofia che è profondamente permeata e imbevuta da<br />

elementi ideologici, e che proprio per questo può anche<br />

diventare, a un certo punto e per un certo periodo,<br />

teorizzazione nazista (sebbene caratterizzata da un modo<br />

molto specifico di interpretare il nazismo). Non il traviamento<br />

di un grande filosofo, quindi, ma la ideologicità e<br />

politicità di una filosofia, ri-spetto alla quale le scelte<br />

politiche non sono un incidente.<br />

A questo proposito mi sembra che uno dei risultati più<br />

importanti del libro di Losurdo sia quello di mostrare<br />

come il passaggio della prima guerra mondiale sia a tutti<br />

gli effetti decisivo per comprendere i percorsi dell’ideologia<br />

tedesca che sboccano nel nazismo. Questo è il<br />

passaggio cruciale, perchè è proprio dalla “ideologia<br />

della guerra” che scaturiscono tutti quei topoi concettuali<br />

che poi il nazismo sfrutterà ampiamente. L’esaltazione<br />

bellicistica, mostra Losurdo, contagia buona parte della<br />

grande cultura tedesca; e non è difficile ritrovare le tracce<br />

di questa ideologia della guerra anche nel pensiero di<br />

Heidegger. Basta leggere per esempio un passo inequivocabile<br />

che Losurdo cita da un corso su Hölderlin del<br />

1934-35: «Proprio la morte che ogni singolo uomo deve<br />

morire per sé e che singolarizza all’estremo ogni singolo<br />

per sé, proprio la morte e la disponibilità al sacrificio crea<br />

innanzitutto lo spazio della comunità dal quale scaturisce<br />

il cameratismo». Qui, evidentemente, l’eco dell’ideologia<br />

della guerra è ancora fortissima. Perciò, se si accoglie<br />

il tipo di lettura proposto da Losurdo, la discussione sul<br />

pensiero di Heidegger viene, per così dire, ri-orientata, e<br />

il vero problema diventa quello di capire quanto questa<br />

importante filosofia sia però permeata dalla assimilazione<br />

di indigesti materiali ideologici.<br />

La questione perciò, si potrebbe dire, non è più o non è<br />

tanto una questione concernente il rapporto teoria/biografia,<br />

ma diventa cosa diversa: una questione interna<br />

alla teoria. Losurdo dunque critica, e direi a ragione, la<br />

pretesa che era stata di Habermas nella introduzione al<br />

libro di Farias: non è possibile separare con un taglio di<br />

coltello, nella produzione di Heidegger, la filosofia ovvero<br />

la pura teoria dall’ideologia. Non lo si può fare né<br />

fissando un discrimine cronologico (come accadeva nel<br />

testo di Habermas), né assegnando alcuni testi all’ideologia<br />

e altri alla teoria. In tutta la produzione di Heidegger,<br />

sostiene Losurdo, le due dimensioni sono intrecciate,<br />

come del resto accade non solo nel pensiero di Heidegger,<br />

ma in tante altre filosofie, più o meno a noi vicine. Ciò ha<br />

un’implicazione sulla quale mi vorrei soffermare un<br />

momento. Losurdo ci suggerisce di leggere i testi (della<br />

storia della filosofia e del pensiero politico, non solo i<br />

testi di Heidegger) comprendendoli come un intreccio<br />

dove convivono cose diverse: il testo è attraversato dal<br />

conflitto delle ideologie e vi partecipa, ma ciò non vuol<br />

dire che sia riducibile a pura e semplice ideologia. C’è un<br />

momento di autonomia e di autoconsistenza della teoria<br />

(in questo caso della teoria heideggeriana, ma il discorso<br />

ha una validità generale) che non è riportabile riduzionisticamente<br />

a epifenomeno di conflitti sociali. Ripeto, c’è<br />

un momento di autonomia della teoria, anche se, come<br />

sostiene Losurdo, la linea di separazione tra teoria e<br />

ideologia non è né comoda né confortevole, ovvero i<br />

confini e i discrimini non sono facili da tracciare. Però<br />

PROFILO<br />

questi confini ci sono, almeno nel senso che non è<br />

praticabile, e non è nelle intenzioni di Losurdo, una<br />

lettura riduzionistica del pensiero filosofico.<br />

Questo mi sembra un buon punto di partenza per affrontare<br />

quello che comunque è un problema molto serio, e<br />

cioè la questione del rapporto tra i condizionamenti<br />

storici e ideologici e la pretesa di verità della teoria. La<br />

precondizione per discutere seriamente questo problema,<br />

a mio avviso, è quello di comprendere che esso non può<br />

essere coerentemente trattato nello spazio teorico di un<br />

riduzionismo radicale (sia esso un riduzionismo foucaultiano,<br />

nietzscheano, come quelli che oggi vanno più di<br />

moda). E non può esserlo per la semplicissima ragione<br />

che la negazione radicale della pretesa di verità della<br />

teoria, in quanto sia teorizzata, è autocontraddittoria. Lo<br />

è perchè contiene in sé quella pretesa di verità di cui nega<br />

l’esistenza, quando pretende di ridurla a epifenomeno di<br />

altro. A partire da qui, perciò, dovrebbe cominciare la<br />

discussione del problema, che non è né semplice né<br />

agevole da trattare.<br />

L’altra questione presente nel libro di Losurdo sulla quale<br />

mi vorrei soffermare, invece, è quella che concerne i<br />

nessi che si possono stabilire fra tre termini: da un lato il<br />

pensiero heideggeriano, dall’altro quella che per comodità<br />

possiamo chiamare la “critica reazionaria della modernità”<br />

e cioè quella che, semplificando, possiamo attribuire<br />

alla Scuola di Francoforte (ma gli autori più rilevanti<br />

a questo proposito, tra i francofortesi, sono secondo me<br />

Marcuse e Adorno). Innanzitutto un chiarimento: per<br />

critica reazionaria della modernità (Marcuse parlava a<br />

questo proposito della Weltanschauung di un nuovo<br />

realismo eroico-popolare) possiamo intendere, con tutto<br />

l’arbitrio che è inevitabile quando si ragiona su concetti<br />

così ampi, un pensiero che si definisce in sostanza attraverso<br />

una serie di coppie concettuali dove l’un termine<br />

designa il valore e l’altro il disvalore. Queste antitesi, che<br />

vengono tutte ripercorse nel libro di Losurdo, sono ad<br />

esempio Kultur contro Zivilisation, comunità contro società,<br />

organicismo contro individualismo, ideologia della<br />

guerra contro umanitarismo, culto del pericolo contro<br />

ricerca della sicurezza, retorica del tragico contro banalità<br />

quotidiana, gerarchia di valore tra gli uomini contro<br />

uguaglianza, culto della radici contro universalismo razionale,<br />

popolo-nazione contro internazionalismo, e si<br />

potrebbe continuare.<br />

Abbiamo visto come non sia difficile mostrare gli intrecci<br />

che legano il pensiero heideggeriano con molte di queste<br />

tematiche (che compongono un vasto e differenziato<br />

arcipelago, abitato da autori di diverso livello, dai notevoli<br />

Sombart e Spengler fino a libellisti di infima qualità).<br />

Ma allora che rapporto vi è tra la critica heideggeriana<br />

della modernità e la critica della modernità e dell’illuminismo<br />

che viene svolta dalla Scuola di Francoforte, e<br />

soprattutto da Horkheimer, Adorno e Marcuse? Su questo<br />

punto, che Losurdo a mio avviso affronta in modo<br />

equilibrato, faccio solo due o tre considerazioni.<br />

Innanzitutto bisogna ricordare che proprio alla Scuola di<br />

Francoforte si deve una precoce e intransigente critica<br />

della ideologia antimoderna e antiliberale che si afferma<br />

in Germania e che confluisce nel nazismo. Esemplare a<br />

questo proposito è il saggio di Marcuse che appare nel


1934 sulla “Zeitschrift für Sozialforschung” col titolo La<br />

lotta contro il liberalismo nella concezione totalitaria<br />

dello Stato. Si tratta di un prezioso catalogo critico di<br />

molti dei temi che ritroviamo analizzati anche nel libro di<br />

Losurdo: Marcuse sottopone a un giudizio impietoso<br />

tutta la nuova Weltanschauung cui anche Heidegger,<br />

secondo lui, dà il suo contributo. Gli aspetti fondamentali<br />

del pensiero antiliberale, antimoderno e totalitario sono<br />

per Marcuse: la eroicizzazione dell’uomo, il naturalismo<br />

organicistico, l’odio per le idee dell’89, il culto della<br />

comunità, del destino, del sacrificio, del mito, il disprezzo<br />

per la felicità delgli individui. Ma l’altro punto importante<br />

è, aggiunge Marcuse, che qui non siamo di fronte<br />

solo a un pensiero irrazionalistico: piuttosto l’esaltazione<br />

irrazionalistica, che è antiliberale sul piano ideologico,<br />

ma non sul piano dei rapporti economico-sociali, ha in<br />

realtà un fine nescosto molto razionale, e cioè quello di<br />

stabilizzare le strutture del sistema di produzione dominante<br />

e di promuovere la sottomissione ad esso con<br />

iniezioni di narcotico ideologico.<br />

Non vi possono essere dubbi, perciò, sul fatto che la<br />

critica francofortese della modernità si contrappone frontalmente<br />

alle correnti ideologiche che attaccano la modernità<br />

e il liberalismo dal versante opposto, ivi compreso<br />

Heidegger. La critica francofortese vuol essere una<br />

autocritica dell’illuminismo: Horkheimer e Adorno lo<br />

scrivono in tutta chiarezza a conclusione del capitolo<br />

sull’antisemitismo della Dialektik der Aufklärung:<br />

«L’illuminismo stesso, divenuto padrone di sé e forza<br />

materiale, potrebbe spezzare i limiti dell’illuminismo”.<br />

Ma il punto si chiarisce ancor meglio se si guarda a questa<br />

Domenico<br />

Losurdo<br />

E’ probabile che il mio libro abbia<br />

conseguito il risultato di scontentare<br />

sia gli apologeti che gli accusatori<br />

un po’ moralistici di<br />

Heidegger. Rifiutando di immergere<br />

il dibattito filosofico del Novecento<br />

in un’aura asettica e remo-<br />

tamente lontana dai rumori del mondo e respingendo al<br />

tempo stesso l’accanimento ad personam ai danni di un<br />

singolo autore, arbitrariamente staccato dal contesto storico<br />

e dalla vicenda di un’intera (o quasi) generazione di<br />

intellettuali, ho preso le mosse non dal 1933, bensì dal<br />

1914 e dall’ “ideologia della guerra” che, a partire da quel<br />

momento, contagia larga parte della cultura europea. La<br />

Kriegsideologie (l’espressione è di Thomas Mann del<br />

1928) si manifesta in modo diverso nell’ambito delle<br />

contrapposte coalizioni impegnate nel conflitto. L’Intesa<br />

(che pure nel suo seno conta sulla presenza della Russia<br />

zarista) cerca di giustificare l’immane sacrificio imposto<br />

a milioni e milioni di uomini, proclamando una sorta di<br />

crociata e di guerra santa contro gli Imperi Centrali,<br />

denunciati come il focolaio del dispotismo e del militarismo<br />

guerrafondaio. La Germania procede diversamente,<br />

individuando e celebrando nella guerra, e nella concentrazione<br />

e nel sacrificio che essa comporta, la “situazione<br />

assoluta” o la “situazione-limite”, grazie alla quale è<br />

possibile recuperare o attingere la dimensione autentica<br />

RESOCONTO PROFILO<br />

problematica da un altro angolo visuale: da un lato la<br />

prospettiva di Horkheimer e Adorno critica l’illuminismo<br />

perchè non è abbastanza illuminato, e la modernità<br />

perchè non è abbastanza moderna. Ma dall’altro, contro<br />

le moderne mitologie nazionalistiche, neopagane, ecc.,<br />

Horkheimer e Adorno intendono mostrare, anche se<br />

questo aspetto viene di solito meno notato, che “il mito è<br />

già illuminismo». Ciò vuol dire, al di là della formula<br />

lapidaria, che il regresso al mito non è un’alternativa<br />

perchè il mito è già una strategia di dominio razionale, e<br />

dunque non è un totalmente altro rispetto all’illuminismo<br />

e al progresso, ma è coinvolto in essi.<br />

Ciò riconferma dunque quanto la critica francofortese sia<br />

inassimilabile ad altre critiche della modernità di segno<br />

opposto. Ma c’è anche un’altra questione che dev’essere<br />

ricordata per completare il quadro: difensori dell’illuminismo,<br />

Horkheimer e Adorno sostengono però che le<br />

promesse dell’illuminismo non si sono realizzate, e che<br />

proprio per questo “la riflessione sull’aspetto distruttivo<br />

del progresso” non può essere “lasciata ai suoi nemici”.<br />

Quindi, sebbene inassimilabili alla critica reazionaria<br />

della modernità, Horkheimer a Adorno invitano però, in<br />

un certo senso, a prenderla sul serio, come per esempio<br />

Adorno, in alcuni suoi scritti, ha preso sul serio Spengler.<br />

All’epoca in cui fu formulato, quest’invito a prendere sul<br />

serio i critici reazionari del progresso aveva certamente<br />

un grande valore di rottura nei confronti delle visioni<br />

ottimistico-storicistico-progressiste. Oggi può apparire<br />

addirittura una banalità, dal momento che le illusioni del<br />

progresso sono talmente scomparse dalla scena che si<br />

potrebbe quasi sentire il bisogno di richiamarle in vita.<br />

dell’esistenza. Il pericolo e la vicinanza della morte per<br />

un verso consentono all’individuo di superare la dispersione<br />

e massificazione della banalità quotidiana, per un<br />

altro verso lo inseriscono in un rapporto di autentica<br />

comunità e Gemeinschaft con i suoi camerati e col popolo<br />

nel suo compelsso, impeganto in una lotta che richiede<br />

ala tempo stesso consapevolezza e concentrazione individuale<br />

e unità corale.<br />

E’ recentemente comparso il volume relativo al 1990<br />

degli ANNALI DELLA FONDAZIONE UGO SPIRITO.<br />

La Fondazione ha iniziato la propria attività nel 1981, due<br />

anni dopo la morte di Ugo Spirito, e già dopo cinque anni<br />

è stata in grado di presentare la bibliografia delle opere<br />

del filosofo. L’idea della pubblicazione degli Annali<br />

risale al 1987 e si concretizza nel 1989, quando compare<br />

il primo volume della serie. La finalità di questa iniziativa<br />

editoriale, a cadenza annuale, è legata non solo alla<br />

necessità, messa in luce da più parti, di tenere aggiornati<br />

i lettori sugli studi e le pubblicazioni riguardanti Ugo<br />

Spirito, ma anche di aprire nuove vie di ricerca, servendosi<br />

del ricco patrimonio documentario rappresentato<br />

dall’ Archivio-Spirito, conservato presso la Fondazione.<br />

Per quest’ultimo aspetto appare particolarmente importante<br />

la sezione “Inediti” del volume, all’interno della<br />

quale troviamo un inedito di Ugo Spirito dal titolo: L’io<br />

e le sue implicazioni, con una introduzione di Vittorio<br />

Mathieu, e la pubblicazione integrale degli “Atti del


PROFILO


Convegno italo-francese di studi corporatici” (1935), a<br />

cura di Giuseppe Parlato. Nella sezione “Saggi” compaiono<br />

un articolo di A. Rigobello, Ugo Spirito: dal problema<br />

all’affermazione, dedicato al “proble-maticismo”<br />

spiritiano, atteggiamento teoretico che viene applicato<br />

non solo alla filosofia, ma anche ad altri ambiti culturali,<br />

ad esempio le questioni di natura etico-politica, e un<br />

saggio di H. A. Cavallera dal titolo: L’occhio del pensiero:<br />

Ugo Spirito tra gli anni ’60 e gli anni ‘70.<br />

Non ha senso isolare Heidegger dalla vicenda di una<br />

generazione di intellettuali affascinata dalla<br />

Kriegsideologie: certo, alcuni riescono a staccarsene, in<br />

momenti diversi e in modo più o meno faticoso e più o<br />

meno radicale, giungendo in casi rari a formulare una<br />

lucida critica dell’ideologia, cui pure in precedenza era<br />

andata la loro adesione (è il caso di Thomas Mann). Altri,<br />

pur continuando ad essere ispirati dalla Kriegsideologie<br />

ben oltre il 1918, non varcano comunque la soglia fatale<br />

dell’adesione al nazismo: è il caso di Jaspers. Non è il<br />

caso di Heidegger, che non solo varca tale soglia, ma<br />

continua a rimanere sostanzialmente legato, sino alla<br />

fine, alla Germania del Terzo Reich, pur nell’ambito di<br />

un rapporto contraddittorio e di una incessante e tormentata<br />

reinterpretazione soggettiva di tale rapporto.<br />

Ma, proprio perchè conviene prendere le mosse dal 1914,<br />

risulta inattendibile il tentativo di datare la svolta conservatrice<br />

del filosofo qui in questione a partire dalla crisi<br />

economica mondiale, e tedesca in modo particolare, del<br />

1929. Lo stesso Habermas, che formula tale tesi allo<br />

scopo di salvare e mettere all’asciutto sul terreno della<br />

pura teoria il capolavoro di Heidegger, è costretto per un<br />

altro verso a riconoscere le «connotazioni singolari» che<br />

in Essere e Tempo rivestono categorie come Schicksal e<br />

Geschick. In realtà, ci imbattiamo in tutte le parole chiavi<br />

dell’ “ideologia della guerra” propria della Germania:<br />

“comunità”, “fedeltà”, “destino”. Per sottolineare la comunanza<br />

del destino, Heidegger fa ricorso ad un termine<br />

specifico, Geschick, nel cui ambito - si badi bene - «i<br />

singoli destini sono anticipatamenti segnati». Siamo così<br />

ricondotti alla “fedeltà incondizionata” e al “legame<br />

incondizionato” di cui, qualche anno dopo Essere e<br />

Tempo, parla, come abbiamo visto, Jaspers.<br />

L’adesione di Heidegger al nazismo, Esposito ritiene di<br />

poterla mettere sul conto di una persistente visione umanistica<br />

e universalistica. Si tratta di una tesi avallata anche<br />

da altri prestigiosi interpreti, che tuttavia a me sembra<br />

paradossale. Non ci dovrebbero essere dubbi sulla violenza<br />

della polemica anti-universalistica che caratterizza<br />

il nazismo nel suo complesso. La categoria di umanità in<br />

quanto tale risulta priva di senso agli occhi di Hitler che<br />

preferisce invece parlare di “umanità ariana” e si rifiuta<br />

di sussumere sotto il concetto di uomo quei “parassiti”<br />

che sono gli ebrei e, in generale, i sotto-uomini, gli<br />

Untermenschen delle razze considerate inferiori. Dichiarazioni<br />

analoghe si possono leggere in Rosenberg,<br />

Baeumler, Heyse, Böhm, i quali anzi individuano nell’universalismo<br />

prima romano, e poi cristiano e nell’abbandono<br />

del “nominalismo” caro a Nietzsche, la causa o il<br />

filo conduttore della parabola rovinosa dell’Occidente.<br />

In tale contesto è da inserire anche la polemica, ovviamente<br />

caratterizzata da uno spessore teorico infinitamen-<br />

PROFILO<br />

te superiore, di Essere e tempo (par.10) contro la categoria<br />

di “spirito”, o di “anima”, in ultima analisi contro il<br />

concetto di “uomo” in quanto tale, che poi non sarebbe<br />

altro che la «definizione cristiana deteologizzata» «nel<br />

corso del pensiero moderno». In tale contesto va pure<br />

collocata la contrapposizione della categoria di Dasein e<br />

di storicità a quella di Gattung e di genere umano, nonchè<br />

il disprezzo con cui Heidegger parla della<br />

Allerweltsmenschheit. Per sottolineare il fatto che quest’ultima<br />

viene contrapposta, in modo esplicito, all’ “esistenza<br />

storica occidentale-germanica”, ho preferito qui<br />

ricorrere ad una traduzione quanto più possibile letterale<br />

e vicina al significato etimologico (che per Heidegger è<br />

quello originario e più autentico). D’altro canto, la polemica<br />

contro la Allerweltsmenschheit rinvia a quella contro<br />

l’ «inconsistente e disimpegnato affratellamento universale»<br />

(Weltverbrüderung). L’universalità, il concetto<br />

di uomo in quanto tale, sono qui come altrove il bersaglio<br />

costante della polemica di Heidegger (così come degli<br />

ideologi del Terzo Reich). E, a tale proposito, vorrei<br />

ricordare ad un autorevole studioso di Hannah Arendt<br />

qual’è Esposito che già l’autrice delle Origini del totalitarismo,<br />

nello spiegare la parabola rovinosa che conduce,<br />

attraverso un lungo processo e paurosi salti di qualità, a<br />

Auschwitz, prende le mosse dalla decostruzione del<br />

concetto universale di uomo operata da Burke nel corso<br />

della sua furibonda polemica contro i diritti dell’uomo<br />

proclamati dalla Rivoluzione francese.<br />

Mi lascia invece perplesso una categoria come quella di<br />

“romanticismo dell’Opera”, di cui Esposito si serve per<br />

accostare marxismo e Heidegger del discorso rettorale.<br />

In realtà, le filosofie della prassi (al plurale) possono<br />

avere i significati filosofici più eterogenei, sussumere<br />

contenuti politici diversi e contrapposti e rinviare a<br />

tradizioni culturali e nazionali quanto mai disparate (Laski<br />

ha potuto scrivere che l’ “azione” è l’ “essenza” dello<br />

“spirito americano”). E’ vero che Del Noce ha creduto di<br />

poter accostare o assimilare, sotto la categoria di “primato<br />

del divenire”, fascismo e comunismo, Mussolini e<br />

Gramsci. Ma, a parte ogni altra considerazione, tale<br />

visione ha il torto di semplificare arbitrariamente la<br />

contraddittoria realtà del fascismo (e del nazismo), il<br />

quale si è talvolta impegnato esso stesso in una polemica<br />

contro l’attivismo moderno. Si pensi, ad esempio, ad un<br />

autore come Julius Evola, che così motiva la sua Rivolta<br />

contro il mondo moderno: «L’essere, lo stare, al moderno<br />

valgono perciò quasi come morte: egli non vive se non<br />

agisce, se non si agita». E, con tale esplicita rivendicazione<br />

del primato dell’essere siamo ricondotti nelle vicinanze<br />

della denuncia heideggeriana del moderno “oblio<br />

dell’essere”. Ho accennato nel mio libro alle diverse<br />

anime ideologiche del nazismo: la categoria di “primato<br />

del divenire” o di “romanticismo dell’Opera” può risultare<br />

feconda per la comprensione della corrente del<br />

modernismo reazionario, non certo di quella caratterizzata<br />

dall’ideologia del sangue e del suolo. Il tratto unificante<br />

di queste anime diverse e contrastanti del nazismo è<br />

costituito invece dalla polemica contro il concetto universale<br />

di uomo.<br />

Nell’insistere sulla presenza della Kriegsideologie in<br />

Heidegger in tutto l’arco della sua evoluzione e nel


espingere la periodizzazione suggerita da Habermas,<br />

non ho inteso negare l’eccedenza dell’elaborazione teorica<br />

rispetto alle opzioni politiche del filosofo, eccedenza<br />

non messa in discussione neppure dall’autore della Distruzione<br />

della ragione. Ma in che cosa essa consiste?<br />

Sulle orme di Lukács, Cases sembra individuarla nell’analisi<br />

critica della società del tempo sia pure condotta a<br />

partire dalle posizioni proprie dell’anticapitalismo romantico.<br />

E’ possibile però un approccio diverso o un’ulteriore<br />

chiave di lettura. Autori come Heidegger, Schmitt,<br />

Jünger hanno implacabilmente smascherato l’ideologia<br />

della guerra dell’Intesa, nell’ambito della quale l’universalismo<br />

è solo la giustificazione ideologica dell’ “interventismo<br />

universale” e lo strumento per la criminalizzazione<br />

del nemico (Schmitt). Proclamando la crociata in<br />

nome del valore universale della democrazia, i paesi<br />

dell’Intesa sono riusciti a padroneggiare una componente<br />

decisiva della guerra odierna, quella “fideistica”, e in tal<br />

moso hanno operato una “mobilitazioen totale” (anche<br />

delle coscienze) senza precedenti nella storia e comunque<br />

superiore a quella messa in atto dalla stessa Germania<br />

guglielmina (Jünger). Sia pure a partire, in ultima analisi,<br />

dalle posizioni proprie di un imperialismo rivale e contrapposto,<br />

la grande culturta conservatrice o reazionaria<br />

del Novecento tedesco ha smascherato implacabilmente<br />

l’ideologia della guerra dell’Intesa (e ad aver trionfato ai<br />

nostri giorni - si pensi alla recente guerra del Golfo - è per<br />

l’appunto quest’ultima ideologia che legittima il ricorso<br />

spietato ai più terribili mezzi di distruzione e di morte<br />

della tecnologia moderna in nome dell’ “interventismo<br />

democratico” e del ristabilimento dell’ordine planetario<br />

mediante energiche operazioni di polizia internazionale).<br />

Tale denuncia trova il suo momento più alto di generalizzazione<br />

e metafisicizzazione in Heidegger il quale, sia<br />

pure con accenti via via diversi, nel corso della sua<br />

tormentata evoluzione, decostruisce l’ideologia universalistica<br />

in quanto strumento di guerra, di dominio e di<br />

sopraffazione a livello planetario e persino nel rapporto<br />

tra uomo e natura.<br />

Bisogna allora abbandonare al suo destino la categoria di<br />

universalità? No, non è questa la conclusione che si deve<br />

trarre. Secondo l’indicazione di Marx, l’ideologia è il<br />

conferimento della forma dell’universalità a contenuti e<br />

interessi empirici determinati che ne risultano in tal modo<br />

trasfigurati. Ma alla categoria di universalità non può non<br />

far riferimento la stessa critica dell’ideologia che consiste<br />

infatti nella denuncia della peseudo-universalità, nel<br />

potenziamento arbitrario e surrettizio a universale di un<br />

particolare determinato e spesso vizioso. La condanna<br />

della sopraffazione, esercitata a danno di un individuo o<br />

di un gruppo sociale o etnico, presuppone il riconoscimento<br />

della dignità di ogni individuo o uomo in quanto<br />

tale; non è possibile mettere in discussione una determinata<br />

ideologia universalistica senza far ricorso ad una<br />

meta-universalità, cioè ad una universalità più ricca e più<br />

vera. Non procede così anche Esposito nel criticare<br />

giustamente Husserl per aver identificato l’ “uomo occidentale”<br />

con l’ “uomo tuot-court”, escludendo quindi<br />

indios e zingari? Negare il criterio dell’universalità significa<br />

negare in ultima analisi ogni criterium veritatis, ogni<br />

possibilità di sottoporre a controllo e a critica un’afferma-<br />

PROFILO<br />

zione o un comportamento; significa spianare la strada, in<br />

ultima analisi, ad un arbitrio e ad una violenza riluttanti<br />

a qualsiasi regola e a qualsiasi verifica meta-individuale<br />

e intersoggettiva. E’ solo la categoria di universalità a<br />

rendere possibile l’autocritica e autocorrezione di una<br />

civiltà. Se la politica di sterminio e genocidio (e di quello<br />

a danno degli indios prima ancora della “soluzione finale”<br />

a danno degli ebrei) è stata condotta all’insegna di un<br />

nominalismo antropologico che rifiuta di sussumere pienamente<br />

le sue vittime sotto il concetto universale di<br />

uomo, è proprio in nome di tale concetto che l’Occidente,<br />

nei suoi momenti più alti (a cominciare da Las Casas), ha<br />

saputo sviluppare un bilancio autocritico della sua storia.<br />

Alla fine dell’Ottocento, un teorico del razzismo e del<br />

darwinismo sociale, Gumplowicz, così descrive e giustifica<br />

lo sterminio degli Ottentotti: «I boeri cristiani li<br />

consideravano non come “uomini” bensì come “esseri”<br />

(Geschöpfe) che è lecito sterminare alla stregua della<br />

“cacciagione del bosco”». Tocqueville invece osserva<br />

che in America i bianchi si rifiutano o stentano a riconoscere<br />

nei negri «i tratti generali dell’umanità»; e in modo<br />

analogo si comportano nei confronti degli Indiani, ormai<br />

sul punto di essere cancellati dalla faccia della terra. Ma<br />

poi è lo stesso autore della Democrazia in America a<br />

celebrare l’incessante espansione dei bianchi che combattono<br />

“il deserto e la barbarie” (la categoria di barbarie<br />

finisce di nuovo con l’incrinare il concetto universale di<br />

uomo). Il fatto è che, a parte momenti privilegiati e autori<br />

d’eccezione, l’Occidente non ha saputo procedere ad una<br />

riflessione autocritica radicale e suscettibile di penetrare<br />

in profondità nella sua cultura e nella sua coscienza<br />

comune. Ciò ha poi reso agevole l’emergere e il dispiegarsi<br />

di una barbara politica di discriminazione razziale<br />

nel cuore stesso dell’Europa. E’ significativo il fatto che,<br />

nel corso della seconda guerra mondiale, nelle sue conversazioni<br />

a tavola, Hitler paragona la sua politica di<br />

sterminio degli “indigeni” dell’Europa orientale alla guerra<br />

«mossa agli Indiani dell’America del Nord».<br />

Pur di portata così ambiziosamente planetaria, il bilancio<br />

dell’Occidente tracciato da Heidegger (o da Schmitt) non<br />

fa cenno alla lunga catena di crimini commessi dal<br />

colonialismo a carico dei popoli esclusi dalla storicità<br />

occidentale, compresi quegli ottentotti sui quali con tanto<br />

disprezzo si esprime l’Introduzione alla metafisica. E<br />

tale atteggiamento è da porre in relazione non solo con le<br />

opzioni politiche del suo autore, ma anche con una<br />

filosofia tutta pervasa dal pathos dell’irriducibile peculiarità<br />

occidentale, la quale esclude da sé la banale, se non<br />

barbarica Allerweltsmenscheit dei popoli altri dall’Occidente<br />

e dalla Germania. E’ un pathos, peraltro, da cui non<br />

riesce realmente a liberarsi neppure Husserl, che parla<br />

degli indios con il medesimo sovrano disprezzo con cui<br />

Heidegger parla degli ottentotti e dei negri. E’ un pathos<br />

che continua a pesare in modo infausto ancora sulla storia<br />

e sulle vicende belliche dei giorni nostri. In questo senso,<br />

l’ideologia della guerra dell’Intesa, oggi più che mai<br />

vitale, va denunciata non in quanto universalistica, come<br />

fa Schmitt (e Heidegger) ma, al contrario, per il fatto che<br />

riduce l’universale a particolare (l’Occidente, e per di più<br />

l’Occidente in sua determinata configurazione politicostatuale).<br />

Non è un caso che, nel corso della prima guerra


mondiale, gli ideologi più esagitati dell’Intesa bollano i<br />

tedeschi in quanto “unni” o “vandali” o “goti”.<br />

Esposito prende anche posizione, in modo sobrio, a<br />

favore della democrazia. Ma è possibile separare la<br />

genesi e lo sviluppo di questa forma politica dalla proclamazione<br />

dei diritti dell’uomo in quanto tale, inteso cioè<br />

nella sua universalità?. Tali diritti sono peraltro chiamati<br />

a diventare concreti, e non solo nei rapporti sociali e<br />

materiali esistenti all’interno di ogni singolo Stato, ma<br />

anche a livello internazionale, nei rapporti tra nazioni<br />

piccole e grandi, ovvero tra Stati deboli e Stati superpotenti<br />

e superarmati. E’ in tale chiave che io leggo la<br />

tradizione che da Marx conduce alla rivoluzione d’Ottobre<br />

la quale ultima - qualunque sia il giudizio sul “socialismo<br />

reale” - nel chiamare alla lotta e alla rivolta quelli<br />

che definisce gli “schiavi delle colonie”, nel rivendicare<br />

la pari dignità di ottentotti, papuani ecc., e nell’imprimere<br />

un poderoso impulso al processo di decolonizzazione, ha<br />

il merito di aver costituito uno dei momenti più alti di<br />

autocritica dell’Occidente e di aver fornito un contributo<br />

importante alla costruzione del concetto universale di<br />

uomo.<br />

Quella che parte da Marx è una tradizione organicista?<br />

Non era questa l’opinione di Thomas Mann, da cui ho<br />

ripreso la distinzione/contrapposizione (formulata nel<br />

1928) tra Gemeinschaft , forgiata dalla guerra e innalzata<br />

a oggetto di culto e Gesellschaft , marxisticamente intesa<br />

in senso profano. Naturalmente, si tratta di un’opinione<br />

nient’affatto vincolante, ma diamo uno sguardo alla<br />

storia culturale dell’Europa in qualche modo tenuta presente<br />

dal grande scrittore. Man mano che si sviluppano le<br />

contraddizioni che poi conducono allo scoppio della<br />

prima guerra mondiale, a sottolineare la necessità di una<br />

corale comunità d’intenti non sono solo i nazionalisti. Per<br />

quanto riguarda l’Italia, ai tempi della guerra libica,<br />

Croce accusa i socialisti e i marxisti di aver distrutto la<br />

“coscienza dell’unità sociale” e aver provocato la «generale<br />

decadenza del sentimento di disciplina sociale: gli<br />

individui non si sentono più legati a un gran tutto,<br />

sottomessi a questo, cooperanti in esso, attingenti il loro<br />

valore dal lavoro che compiono nel tutto». Due anni<br />

dopo, il filosofo liberale individua la realizzazione dell’agognato<br />

“gran tutto” nel “socialismo di Stato e di<br />

Nazione”, in pratica nel socialismo di guerra e nell’organizzazione<br />

e militarizzazione totale della classe operaia e<br />

della popolazione. Sono gli anni in cui, secondo l’osservazione<br />

dello storico G. L. Mosse, la guerra e la mobilitazione<br />

totale vengono celebrate «come strumento per<br />

abolire la struttura di classe». Né si tratta solo di teorie. A<br />

partire dallo scoppio del conflitto, l’irreggimentazione<br />

della società raggiunge un livello senza precedenti. Sono<br />

lì a dimostrarlo i tribunali militari, i plotoni d’esecuzione,<br />

la prtaica delle decimazioni: allo Stato - osserva Weber<br />

nel 1917 - «viene oggi attribuita a una forza “legittima”<br />

sulla vita, la morte e la libertà»; e ciò non vale solo per la<br />

Germania, ma anche per i Paesi di più antiche tradizioni<br />

liberali. In questo momento, a dar prova di olismo e di<br />

organicismo non sono solo i nazionalisti dichiarati, ma<br />

anche i liberali, tutti accomunati dalla persuasione della<br />

necessità del sacrificio di milioni e milioni di individui<br />

sull’altare della salvezza dello Stato o della patria. A<br />

RESOCONTO PROFILO<br />

rifiutare tale gigantesco rito sacrificale e a contestare il<br />

potere di vita e di morte dello Stato è invece il movimento<br />

rivoluzionario richiamantesi a Marx e sfociato nella<br />

rivoluzione d’Ottobre. Anche a voler fare astrazione<br />

dallo svolgimento storico reale, non mi sembra che possa<br />

essere considerata organicista la visione marxiana di una<br />

società senza classi, nell’ambito della quale assieme allo<br />

Stato si è estinta anche la politica e ogni individuo può<br />

svilupparsi senza costrizione alcuna. Si tratta naturalmente<br />

di analizzare la concreta efficacia politica dispiegata<br />

da questa utopia dell’estinzione dello Stato (che a me<br />

sembra la parte più caduca del discorso di Marx), ma<br />

allora siamo ricondotti sul terreno sella storia reale del<br />

nostro tempo, che non può certo essere ridotta allo<br />

scontro tra ideologie organiciste e anti-organiciste.<br />

Mi accorgo che siamo giustamente andati ben al di là del<br />

volume qui discusso. Il quale peraltro ha cercato di<br />

tracciare un bilancio più equilibrato della storia del<br />

Novecento collocando la barbarie unica del Terzo Reich<br />

in un contesto storico più vasto che, a partire dal 1914,<br />

vede diffondersi in tutta Europa e anche negli USA<br />

ideologie della guerra diverse e contrastanti, ma tutte<br />

torbide ed inquietanti, in un contesto storico che successivamente,<br />

a partire dal 1917, vede tutto l’ “Occidente” (e<br />

persino personalità insospettabili come Churchill e Henry<br />

Ford) impegnato nella denuncia del complotto “ebraicobolscevico”<br />

e in preda a virulente manifestazioni di<br />

antigiudaismo e antisemitismo. E dunque, non solo la<br />

vicenda di Heidegger va collocata nell’ambito della<br />

vicenda novecentesca della Germania, ma quest’ultima,<br />

pur col suo orrore unico, non può essere staccata, a sua<br />

volta, dalla storia complessiva della Seconda Guerra dei<br />

Trent’anni, la quale ultima chiama in causa pesantemente<br />

anche gli Stati liberali. A confutazione di certi stereotipi<br />

nazionali ancora oggi duri a morire, basti dire che la<br />

tradizione conservatrice e reazionaria tedesca risulta profondamente<br />

debitrice - e lo dichiara esplicitamente - nei<br />

confronti del whig inglese Edmund Burke. Ma è un tema<br />

qui appena accennato, anche perchè al suo approfondimento<br />

è dedicato un mio lavoro ulteriore.


Lacan e la filosofia<br />

Lacan avec les philosophes (Albin<br />

Michel, Parigi 1991) è il volume che<br />

raccoglie gli atti del convegno organizzato<br />

a Parigi nel maggio del 1990<br />

dal Collège international de philosophie<br />

con gli interventi di molti tra i<br />

protagonisti dell’attuale pensiero filosofico<br />

francese, e con l’intento dichiarato<br />

di operare una “riappropriazione”<br />

del lavoro di Lacan da parte della<br />

filosofia.<br />

Per almeno 15 anni - dal 1966, anno di<br />

pubblicazione degli Ecrits, sino al 1981,<br />

anno della morte - Jacques Lacan è stato<br />

probabilmente il maggior interlocutore del<br />

pensiero filosofico in Francia. Istituzionalmente<br />

estraneo alla filosofia e al<br />

mondo accademico, Lacan aveva peraltro<br />

assunto una posizione centrale nel dibattito<br />

e nella ricerca di quegli anni. I pensatori più<br />

diversi - Foucault, Deleuze, Derrida,<br />

Lyotard - si trovarono a definire il proprio<br />

lavoro in rapporto a quello di Lacan, costretti<br />

ad adottarne concetti e terminologia.<br />

A quasi dieci anni dalla sua morte il convegno<br />

organizzato dal Collège international<br />

de philosophie ha inteso fare il punto su tale<br />

lavoro e attuare, secondo le parole di uno<br />

degli organizzatori, Patrick Guyomard, «la<br />

reinscrizione effettiva di Lacan nel campo<br />

della filosofia».<br />

Apre il volume un notevole intervento di<br />

Philippe Lacoue-Labarthe sulle origini<br />

dell’etica nel pensiero di Lacan. Per Lacan<br />

la filosofia si instaura su di una liquidazione<br />

della tragedia, del tragico come dimensione<br />

dell’irrimediabile, dell’invalicabile;<br />

l’etica del Bene che ne deriva, da Platone al<br />

cristianesimo, comporta una negazione del<br />

rapporto indissolubile tra due termini inconciliabili,<br />

il bene e il male, con la conseguente<br />

posizione edificante della tradizione<br />

filosofica, caratterizzata da una sostanziale<br />

assenza di rapporto tra etica ed estetica.<br />

Per Lacoue-Labarthe l’etica tragica propugnata<br />

da Lacan, in particolare nella sua<br />

lettura dell’Antigone e in rapporto a Hegel,<br />

è essenzialmente un’etica del paradosso,<br />

dove due termini tra loro inconciliabili non<br />

possono sussistere l’uno indipendentemente<br />

dall’altro. In tal senso ogni etica è solo la<br />

AUTORI E IDEE<br />

AUTORI E IDEE<br />

“formazione sublimata” di un’estetica. Ma<br />

l’estetica per Lacan è soprattutto questione<br />

di simbolico, di logica del significante. E’<br />

questo il tema affrontato al convegno da<br />

una filosofa russa, Natalia Avtonomova,<br />

attraverso un confronto con l’opera di Kant.<br />

Entrambi procederebbero secondo una<br />

“strategia trascendentale”: l’oggetto, una<br />

volta privato di tutte le sue proprietà empiriche<br />

e contingenti, e in modo sistematico,<br />

prima di cessare d’essere anche solo pensabile,<br />

rivela nondimeno una proprietà ineliminabile,<br />

per Kant la “cosa in sé”, per<br />

Lacan la pura distinzione significante. La<br />

differenza è che Lacan, sulla scorta di<br />

Freud, si è occupato di ciò che Kant ha<br />

ignorato (lapsus, sogni, ecc.), formulando<br />

una tripartizione (reale, simbolico, immaginario)<br />

omologa a quella di Kant (logica,<br />

estetica, etica), che aspira però a un maggior<br />

grado di generalità.<br />

Alain Badiou, autore che ha fatto molto<br />

parlare di sé in questi ultimi anni in Francia<br />

proprio per l’inserzione di temi lacaniani<br />

nel suo lavoro filosofico, ci propone un<br />

esame del rapporto tra l’opera di Platone e<br />

quella di Lacan riguardo al ruolo delle<br />

matematiche nel campo del sapere filosofico.<br />

Secondo Badiou da Nietzsche in poi<br />

la filosofia occidentale è essenzialmente<br />

tesa a liberarsi della “malattia platonica”,<br />

dando luogo alla rimozione di ogni dottrina<br />

della verità a favore di una dottrina della<br />

conoscenza strettamente ermeneutica, artistica,<br />

poetica. Lacan rappresenterebbe appunto<br />

un’inversione di tendenza rispetto a<br />

questa linea per la centralità che egli assegna<br />

alla questione del “matema”. Jean-<br />

Luc Nancy si è assunto invece il compito<br />

di un’analisi del rapporto, poco noto in<br />

Italia, tra Lacan e Heidegger. Nancy, contrariamente<br />

a una tendenza prevalente in<br />

Francia, differenzia fortemente Heidegger<br />

da Lacan, proprio riguardo al concetto di<br />

verità. In Lacan la verità come mancanza è<br />

mancanza di nulla: l’oggetto non manca di<br />

alcuna proprietà, ma semplicemente “manca<br />

al suo posto”, viene pensato là dove non<br />

è. Il “ritrarsi” heideggeriano, l’essere che<br />

non è l’essere dell’ente, è invece manifestazione<br />

della finitezza dell’essere. Una<br />

mancanza simbolica si contrappone dunque<br />

in questo caso a una mancanza reale. In<br />

questo la posizione di Lacan si sottrae a<br />

ogni ipotesi di esistenzialismo.<br />

Il rapporto di Lacan con Alexandre Kojève<br />

e la tradizione hegeliana francese è al centro<br />

delle analisi di Mikkel Borch-<br />

Jacobsen, mentre Jean-Claude Milner,<br />

in un intervento molto penetrante, si è<br />

occupato del rapporto tra Lacan e il sapere<br />

propriamente scientifico. L’ultimo intervento,<br />

quello di Jacques Derrida, ha avuto<br />

qualcosa di sorprendente. Derrida è infatti<br />

considerato l’alter ego teorico di<br />

Lacan, il suo grande confutatore. Si può<br />

enucleare la controversia ormai storica tra<br />

Derrida e Lacan rispettivamente nelle tematiche<br />

contrapposte della “disseminazione”<br />

e della “legge” in quanto legge del<br />

linguaggio; la disseminazione, concetto<br />

vitalistico di derivazione fenomenologica,<br />

si sottrae a ogni effetto di “castrazione”<br />

imposto dal linguaggio, mentre la “legge”<br />

di Lacan è un a-priori, per cui ciascun<br />

parlante non può decidere completamente<br />

il senso di ciò che dice. Ora, nel suo intervento<br />

al convegno, Derrida ha abbandonato<br />

il concetto di disseminazione e, rimangiandosi<br />

buona parte delle sue critiche<br />

classiche a Lacan, ha addirittura presentato<br />

il loro rapporto di interlocuzione come<br />

l’asse portante degli sviluppi teorici della<br />

filosofia francese degli ultimi anni. F.E.<br />

Del simbolo, dell’uomo<br />

E’ stato presentato a Milano l’ultimo<br />

libro di Carlo Sini, Dal simbolo all’uomo<br />

(EGEA, MIlano 1991). Tappa<br />

significativa di un’elaborazione teoretica<br />

dedicata allo smascheramento<br />

della logica antropocentrica della<br />

scienza, questo testo è anche una difesa<br />

dei “diritti del simbolo” sia contro<br />

il suo allontanamento nella sfera<br />

dell’immaginario, sia contro la sua<br />

annessione al campo d’indagine delle<br />

scienze.<br />

Presentando il testo, Rocco Ronchi ha<br />

individuato la “domanda fondamentale”<br />

che sta alla base dell’opera di Carlo Sini<br />

nella questione se si dia, e come, un “al di<br />

là” del pensiero. Vi sono teorie che relegano<br />

il simbolo nell’ambito della figurazione<br />

e che, partendo dal punto di vista del concetto,<br />

non fanno che interrogarsi sul con-


cetto senza pervenire alla verità originaria<br />

del concetto stesso. Nel corso della storia<br />

della riflessione filosofica la verità del simbolo<br />

viene progressivamente oscurata dallo<br />

sguardo dell’intelletto, per riemergere<br />

come risultato di corto-circuiti teoretici. In<br />

René Alleau, osserva Sini, è evidente la<br />

scissione fra “simbolo” e “realtà”, dati come<br />

precostituiti l’uno di fronte all’altro, e<br />

la conseguente assegnazione dell’elemento<br />

simbolico alla dimensione dell’immaginario,<br />

o dell’onirico. La concezione di<br />

Alleau rende impraticabile l’idea di costituire<br />

una “simbolica”, ovvero una scienza<br />

del simbolo, che rimane sospesa fra l’alternativa<br />

di adeguare la propria logica d’indagine<br />

all’”oggetto” studiato, pervenendo così<br />

non a una scienza del simbolo, ma al simbolismo,<br />

o di riproporre, contro i propri<br />

stessi buoni propositi, strumenti di indagine<br />

concettuali, riducendo così la simbolica<br />

a semiotica.<br />

Ernst Cassirer ribadisce come la dimensione<br />

più originale del linguaggio non risieda<br />

nella significatività logico-scientifica,<br />

ma piuttosto in quella simbolico-mitica,<br />

ove vige identità fra il nome e l’essenza<br />

della cosa. Ma pur riconoscendo la specificità<br />

dell’esperienza simbolica dell’uomo<br />

“primitivo”, Cassirer non tien fermo all’affermazione<br />

della sua autonomia e cede alla<br />

tentazione di considerare questa esperienza<br />

dal punto di vista superiore dell’esperienza<br />

“oggettiva” dei moderni.<br />

Friedrich Creuzer, il padre del progetto di<br />

una “simbolica generale”, coglie il carattere<br />

endeictico, cioè mostrativo, creativo del<br />

simbolo. Il symbolon è, originariamente,<br />

quell’intero che, spezzato in due, consente<br />

il mutuo riconoscimento dell’unità ai possessori<br />

di ciascun pezzo; il “simbolo” non<br />

è dunque segno di una realtà data, sensibile<br />

o ideale che sia, non è una funzione, ma un<br />

evento. Eppure lo stesso Creuzer perde<br />

questo punto di vista, quando sovrappone<br />

una filosofia romantica e neoplatonizzante<br />

alle proprie acquisizioni di filologo. Dall’insieme<br />

di queste posizioni, osserva Sini,<br />

si può rilevare come l’idea di “definire” il<br />

simbolo, sottesa a ogni “scienza del simbolo”,<br />

muova dal presupposto che esiste un<br />

ambito concettuale che non è simbolico e<br />

che, pure, sul simbolico ha diritto di parola<br />

e di giudizio. Il problema, secondo Sini,<br />

consiste nel determinare “a partire da che”<br />

il concetto definisce il “simbolo” come<br />

“funzione simbolica”; vale a dire determinare<br />

quale sia la dimensione propria dell’operazione<br />

concettuale. Questa dimensione<br />

è quella pragmatica e riguarda il luogo in<br />

cui i soggetti sorgono in quanto comunicanti,<br />

essendo il gesto vocale autoggettivante.<br />

Tenendo fermo all’universalità oggettiva<br />

nel concetto, l’atto linguistico «si<br />

divincola dal grafema corporeo per sollevarsi<br />

a puro etere», respingendo nel privato<br />

e nell’insignificante ciò che non è riducibile<br />

a concetto. Così definita, la funzione<br />

pragmatica, intersoggettiva e universalizzante<br />

del linguaggio si presenta dunque<br />

come il fine della dimensione pubblica<br />

AUTORI E IDEE<br />

dell’atto linguistico.<br />

Un certo tipo di lettura di Nietzsche e di<br />

Heidegger ha condotto, osserva Sini, alla<br />

“crisi del concetto”, delle ideologie, della<br />

ragione, dell’Occidente e, alla fine, al salto<br />

nell’”Altro”. Da qui il proliferare delle<br />

ricerche sul simbolo, sulla metafora, sulla<br />

conoscenza estetica e così via. A parere di<br />

Sini occorre invece chiedersi, “platonicamente”,<br />

cosa sia il simbolo. Quando si dice<br />

“questo è un simbolo”, “questo è un concetto”,<br />

in questo momento, nell’atto di compiere<br />

questo gesto, ci si muove su un terreno<br />

che è precedente alla decisione stessa su<br />

cosa sia “simbolo” e cosa sia “concetto”. E’<br />

un terreno etico, nel senso etimologico del<br />

termine, e indica il radicarsi del soggetto in<br />

una dimensione ontologica che lo precede,<br />

l’ethos. L’impostazione delle “scienze umane”,<br />

ma anche quella dell’”uomo comune”,<br />

fa proprio il contrario, e cerca di parlare<br />

del simbolo a partire dall’uomo.<br />

L’enunciato, che vuole poi essere una definizione,<br />

“l’uomo è un animale simbolico”,<br />

dice che c’è un’entità, l’uomo, che si presume<br />

di conoscere, che appartiene al genere<br />

“animale” e che si differenzia dagli altri<br />

membri di questo gruppo per il suo caratterizzarsi<br />

come “produttore di simboli”. In<br />

questa prospettiva le sole questioni plausibili<br />

sono, per esempio, quella sul “come” e<br />

sul “quando” sia nata e si sia evoluta questa<br />

“facoltà simbolica”: questioni da antropologi,<br />

da psicologi o da sociologi, appunto.<br />

Il filosofo si deve invece chiedere - e non<br />

soltanto presupporre - cosa sia uomo, cosa<br />

sia simbolo. Per fare ciò deve vedere come<br />

l’ente uomo “abbia luogo”, in senso letterale,<br />

fra gli altri enti, a partire dalla relazione<br />

che costituisce l’uno e gli altri enti come<br />

tali in un “mondo”. F.C.<br />

Un manifesto dell’edonismo<br />

A dispetto di una casuale quasi omonimia,<br />

l’ultimo libro di Michel Onfray<br />

s’intitola: L’Art de jouir, (L’arte di<br />

godere, Grasset, Parigi 1991), proprio<br />

come suonava il titolo di una delle<br />

opere più note del medico-filosofo<br />

Julien Offray de La Mettrie. Il libro<br />

costituisce una nuova tappa del lavoro<br />

di ricostruzione antropologica<br />

dell’homo philosophicus, che da qualche<br />

anno Onfray va compiendo. Recente<br />

è la traduzione italiana di una<br />

sua opera significativa in tal senso: Il<br />

ventre dei filosofi (Rizzoli, Milano<br />

1991).<br />

Dall’esperienza e dai postumi di un esaurimento<br />

organico La Mettrie aveva dedotto<br />

la materialità della psiche e del pensiero,<br />

tesi che aveva suscitato scandalo e ostilità,<br />

tali da costringerlo a fuggirsene dalla Francia.<br />

L’idea che il pensiero possa essere<br />

prodotto dal corpo fisico urta ancor oggi<br />

tanto la coscienza religiosa, quanto quella<br />

filosofica. Se ancora per i presocratici -<br />

afferma Michel Onfray - «l’esercizio mentale<br />

si fa in opposizione ad una energia di<br />

cui il corpo è portatore», da Platone in poi<br />

si afferma il dualismo tra mente e corpo e la<br />

relativa squalifica di quest’ultimo. Al filosofo,<br />

disincarnato dai suoi umani appetiti,<br />

spetta soltanto la contemplazione del cielo<br />

delle idee. «Né carne, né muscoli, né pelle,<br />

né sesso, l’angelo è la forma assunta dalla<br />

mente», da cui la condanna non soltanto del<br />

corpo, ma delle sue stesse facoltà. Ai “sensi<br />

interni” del gusto e dell’odorato viene negata<br />

qualsiasi vera potenzialità conoscitiva;<br />

essi sono gerarchizzati in un ordine che<br />

vede prevalere la facoltà della vista, più<br />

spirituale e asettica. Così Kant disprezza il<br />

naso, ricettore dei più vili effluvi, che per<br />

suo tramite pervengono a disturbare la coscienza.<br />

Tuttavia, osserva del resto Onfray,<br />

se «il corpo è il grande assente della tradizione<br />

filosofica in generale», nondimeno i<br />

filosofi, in quanto creature terrestri, sono<br />

anch’essi fatti «di carne, di pelle, di sangue<br />

e di desiderio», con un corpo dunque che,<br />

negato, riafferma la sua esistenza attraverso<br />

i sintomi e le affezioni. E’ tra i più<br />

convinti denigratori della corporalità che<br />

Onfray va a cercare i segni somatici dei più<br />

evidenti conflitti intellettuali: nella conversione<br />

di Agostino, nell’esperienza mistica<br />

di Pascal, egli rintraccia i passaggi<br />

cruciali verso una nuova salute, dove alla<br />

carne viene ingiunto di risolvere il conflitto<br />

dello spirito.<br />

E’ una prospettiva da “fisiologia del filosofico”,<br />

quella che l’autore riprende dal radicalismo<br />

nicciano, nella sua intenzione di<br />

rovesciare il platonismo, e che trova un<br />

altro maestro in Gilles Deleuze, fautore di<br />

una «rematerializzazione e rinascita del<br />

corpo», unità ripristinata di spirito e materia,<br />

dove «pensare è ciò che può apprendere<br />

un corpo non pensante, la sua capacità, le<br />

sue attitudini o posture». L’araldica di una<br />

tradizione filosofica più sensibile ai temi<br />

del corpo è tracciata da Onfray lungo una<br />

linea che parte dal materialismo di<br />

Democrito, attraversa un certo settarismo<br />

gnostico (i barbelognostici) e il pensiero<br />

libertino, e arriva a Nietzsche, la cui critica<br />

allo spirito ascetico è preliminare ad una<br />

morale post-metafisica e post-cristiana, ancora<br />

da inventare. Su questa linea il libro di<br />

Onfray dà in effetti ragione del suo sottotitolo:<br />

«per un materialismo edonistico».<br />

E.N.<br />

L’integrità della ragione umana<br />

Dopo la pubblicazione di The critical<br />

theory of Jürgen Habermas<br />

(1978), Thomas McCarthy é stato riconosciuto<br />

come il principale commentatore<br />

e interprete del lavoro di<br />

Habermas nel mondo anglo-sassone.<br />

Sebbene McCarthy abbia nell’insieme<br />

della sua produzione teorica sviluppato<br />

una posizione indipendente dagli<br />

esiti della teoria sociale habermasia


na, egli viene tuttavia ancora per la<br />

maggior parte considerato il fedele<br />

“lettore” americano di Habermas. La<br />

pubblicazione del suo ultimo saggio:<br />

Ideals and illusions: on reconstruction<br />

and deconstruction<br />

in contemporary critical theory<br />

(Ideali e illusioni: ricostruzione e decostruzione<br />

nella teoria critica contemporanea,<br />

MIT Press, Cambridge 1991),<br />

conferma tuttavia la posizione critica<br />

di McCarthy nei confronti della complessa<br />

e voluminosa teoria di<br />

Habermas, dando diversa voce, nel<br />

contesto, a pensatori come Derrida,<br />

Foucault e Rorty.<br />

Thomas McCarthy condivide pienamente<br />

l’opinione di coloro che vedono oggi in<br />

pericolo il destino della legalità della teoria<br />

sociale e politica, che ci proviene da Kant<br />

e dall’Illuminismo, e di conseguenza in<br />

pericolo l’integrità stessa della ragione umana.<br />

Tuttavia la sua ricezione della critica<br />

della ragione universalista esposta da<br />

Foucault è meno allarmista rispetto a quella<br />

di Habermas. Inoltre McCarthy critica<br />

anche il tentativo attuato da Habermas per<br />

salvare l’eredità dell’Illuminismo, salvando<br />

qualcosa della forza della trascendentalità<br />

kantiana, al fine di dedurre l’etica e<br />

l’universalismo cognitivo senza far riferimento<br />

ad altro che alle caratteristiche innate<br />

nella struttura della comunicazione umana.<br />

Cosí, per esempio, gli strenui sforzi di<br />

Habermas per mostrare la possibilità di<br />

raggiungere il consenso razionale riguardo<br />

alla politica sociale all’interno di “un’ideale<br />

situazione di discorso”, dove niente conta<br />

se non il riconoscimento della razionalità<br />

degli argomenti individuali, non sono, come<br />

suppone Habermas, condizione necessaria<br />

per il conseguimento di una libertà<br />

ottimale. La minimalizzazione della repressione,<br />

aggiunge McCarthy, non é il<br />

risultato di un qualche consenso irraggiungibile<br />

su ciò che é giusto universalmente,<br />

ma di un generale consenso sociale circa la<br />

legittimità delle differenze nelle opinioni e<br />

il conseguente accordo sulla desiderabilità<br />

razionale effettiva delle forme istituzionali,<br />

attraverso le quali può essere raggiunto<br />

il compromesso.<br />

La tendenza di McCarthy a pragmatizzare<br />

il significato degli argomenti di Habermas,<br />

con lo scopo di salvare le sue conclusioni,<br />

emerge anche in un suo precedente libro:<br />

Democracy and complexity, (Democrazia<br />

e complessità, 1989) dove McCarthy sembra<br />

criticare ciò che egli considera una<br />

predilezione sfortunata di Habermas per i<br />

sistemi teorici, che lascia intravedere una<br />

certa sua disposizione alla sistematizzazione<br />

in quanto tale. Ideals and illusions,<br />

ponendosi in linea con questa impostazione,<br />

raccoglie otto saggi recenti di McCarthy.<br />

I primi quattro, riuniti sotto il titolo di<br />

“Deconstruction and critical theory”, si occupano<br />

rispettivamente di Rorty, Foucault,<br />

Derrida e Heidegger, evidenziando la loro<br />

comune tensione verso una prospettiva di<br />

AUTORI E IDEE<br />

neo-Illuminismo, che McCarthy condivide.<br />

La seconda sezione, “Reconstruction<br />

and critical theory”, include tre analisi critiche<br />

di McCarthy sul pensiero di Habermas<br />

e un interessante studio sugli aspetti religiosi<br />

del problema del trascendente in relazione<br />

a Kant, alla scuola di Francoforte e al<br />

teologo politico contemporaneo Helmut<br />

Peukert. V.R.<br />

Breve storia dell’apparenza<br />

Si situano in un territorio intermedio<br />

tra teoria della conoscenza ed estetica<br />

le riflessioni sviluppate da Norbert Bolz<br />

in Eine kurze Geschichte des<br />

Scheins (Una breve storia dell’apparenza,<br />

W. Fink Verlag, München 1991).<br />

Di fronte ai mutamenti introdotti dai<br />

moderni media, e in particolare dalle<br />

tecnologie computerizzate, nella nostra<br />

percezione della realtà, Bolz ripropone<br />

la questione, antica come la<br />

filosofia, del rapporto tra essenza e<br />

apparenza.<br />

Le riflessioni di Norbert Bolz si situano<br />

nell’orizzonte di una crisi del concetto di<br />

realtà e di una corrispondente confusione<br />

dei confini tra essere e apparire, realtà e<br />

immaginario, che dal suo punto di vista è<br />

determinata dalla presenza massiccia nel<br />

nostro mondo della vita dei nuovi media<br />

elettronici e delle tecnologie computerizzate,<br />

attraverso le quali si possono ottenere<br />

sofisticati effetti di simulazione della realtà.<br />

Partendo dalla constatazione che «oggi<br />

le tecnologie della simulazione mettono in<br />

questione la tradizionale differenza tra reale<br />

e immaginario», Bolz mira ad una «rideterminazione<br />

filosofica del rapporto fra<br />

essere e apparenza». Nelle correnti filosofiche<br />

moderne il problema del rapporto tra<br />

essenza e apparenza diventa di competenza<br />

della teoria della conoscenza e dell’estetica,<br />

perdendo progressivamente le sue valenze<br />

ontologiche. Secondo Bolz, l’estetica<br />

non è più nell’epoca attuale una “teoria<br />

delle (belle) arti”, ma si suddivide in una<br />

“teoria della aisthesis” (come teoria dei<br />

media), e in una “tecnologia della produzione<br />

digitale di immagini” (grafica computerizzata).<br />

Bolz intende circoscrivere con le proprie<br />

riflessioni il concetto e l’ambito di una<br />

“estetica dei media” come “nuova scienza<br />

guida”. I riferimenti filosofici, antropologici<br />

e sociologici che Bolz richiama, sono<br />

disparati, e vanno da Nietzsche a Benjamin,<br />

da Carl Schmitt a Gehlen, da Hobbes a<br />

Hegel, da Heidegger a Adorno, da Gunter<br />

Anders a Baudrillard, fino ad una serie di<br />

studi socio-psicologici sui nuovi media e<br />

sul concetto di simulazione.<br />

In Nietzsche da un lato la razionalità intende<br />

dissolvere, attraverso gli strumenti del<br />

pensiero critico, le immagini della tradizione,<br />

dei miti e delle religioni (tendenza iconoclasta<br />

dell’Aufklärung); dall’altro que-<br />

sta stessa critica non può fare a meno di<br />

creare nuove immagini e nuove mitologie<br />

(tendenza mitopoietica dell’Aufklärung).<br />

Ciò comporta un mutamento dell’ottica del<br />

filosofare: il “filosofare col martello”, che<br />

è al tempo stesso il risultato e il punto di<br />

partenza della “trasvalutazione dei valori”<br />

e del “crepuscolo degli idoli”, scopre nella<br />

capacità di produrre metafore e immagini<br />

una dimensione originaria dell’esistenza<br />

umana, la dimensione estetica, conducendo<br />

ad una giustificazione dell’esistenza in<br />

quanto progetto creativo.<br />

Facendo riferimento ad autori che si collocano<br />

su versanti ideologici e culturali diversi<br />

- come ad esempio Gehlen e Benjamin<br />

- Bolz delinea ora i contorni di una antropologia<br />

filosofica “materialistica”, secondo<br />

cui la caratteristica fondamentale dell’essere<br />

umano è il suo bisogno di immagini,<br />

insieme alla sua capacità di produrne. Ma<br />

come valutare il profluvio di immagini<br />

tipico delle società moderne, nelle quali<br />

l’immaginario umano si nutre alla fonte dei<br />

media? A questo proposito Bolz mette a<br />

confronto due posizioni opposte: quella di<br />

Heidegger, da lui definita “auratica”, che<br />

vede nella possibilità di riprodurre tecnicamente<br />

le immagini un’espressione dell’oblio<br />

dell’essere nell’”epoca dell’immagine<br />

del mondo”; e quella di Benjamin, che con<br />

il suo “materialismo antropologico del film”<br />

tenta di conferire un “indice rivoluzionario”<br />

al profluvio di immagini tipico dell’epoca<br />

della riproducibilità tecnica delle opere<br />

d’arte. In questo l’attenzione di Bolz<br />

cade in particolare sulla distinzione benjaminiana<br />

tra “prima” e “seconda” tecnica<br />

(che riecheggia la dialettica marxiana di<br />

“prima” e “seconda” natura): dove dal lato<br />

della “prima” tecnica stanno consumo e<br />

sacrificio dell’individuo, dominio della natura,<br />

estraniazione e rimozione delle domande<br />

ultime; mentre a favore della “seconda”<br />

troviamo il suo carattere sperimentale<br />

e creativo e la sua capacità di mantenere<br />

un atteggiamento ludico e non violento<br />

nei confronti della natura.<br />

Nel suo studio Bolz ripercorre alcuni momenti<br />

della discussione filosofica e teologico-politica<br />

sul rapporto realtà/apparenza<br />

e sul concetto di immagine: dalla tragedia<br />

greca, che mostra, come ebbe a dire<br />

Heidegger, «la necessità dell’essere nell’apparenza»,<br />

a Parmenide e Platone, che<br />

fanno valere la forza del pensiero contro la<br />

minaccia insita nell’aprirsi della differenza<br />

tra realtà e apparenza, fino al monoteismo<br />

ebraico e alle sue propaggini moderne nella<br />

Religion der Vernunft (Religione della ragione)<br />

di Hermann Cohen. Comune al pensiero<br />

parmenideo e a quello ebraico è la<br />

negazione del valore delle apparenze a<br />

favore dell’essere o di un “mondo vero”, di<br />

cui il mondo apparente non sarebbe che una<br />

manifestazione imperfetta. E tuttavia, afferma<br />

Bolz, «in questo rinnegamento parmenideo<br />

ed ebraico-monoteistico della realtà,<br />

l’apparenza viene pur sempre riconosciuta<br />

nella sua potenza storica; sarà solo il<br />

discorso cristiano-platonico a ridurla a me


a apparenza». Diversamente vanno le cose<br />

in Nietzsche, che nega il valore di un mondo<br />

“in sé”, “vero”, al di là del mondo<br />

apparente, individuando in esso nient’altro<br />

che una “favola” metafisica, e nella fenomenologia<br />

ermeneutica di Heidegger, per<br />

il quale “fenomeno” è “ciò che si mostra”:<br />

solo sulla base del mostrarsi, l’essente può<br />

anche presentarsi come ciò che non è, dunque<br />

come illusione, “apparenza”. La questione<br />

fondamentale non è più quella del<br />

rapporto tra essere e apparire, ma tra fenomeno,<br />

come mostrarsi dell’ente così come<br />

esso è, e nascondimento. M.M.<br />

Isaiah Berlin:<br />

il conflitto inevitabile<br />

Non esiste alcun dubbio sull’importante<br />

e originale contributo fornito da<br />

Isaiah Berlin con la sua analisi della<br />

storia delle idee. I suoi saggi, riuniti e<br />

pubblicati in cinque volumi dal suo<br />

editore ed esecutore letterario, Henry<br />

Hardy del Wolfson College di Oxford,<br />

sviluppano un’interpretazione nuova<br />

e profonda del moderno pensiero europeo.<br />

Proprio al fine di sottolineare<br />

l’importanza dell’opera di Berlin nel<br />

quadro della moderna cultura occidentale<br />

e del movimento delle idee nel<br />

mondo, é stato recentemente pubblicato<br />

un saggio che vuole essere, come<br />

viene dichiarato nel titolo, una celebrazione<br />

della figura di questo pensatore:<br />

Isaiah Berlin: a celebration<br />

(Isaiah Berlin: una celebrazione,<br />

a cura di Edna e Avishai Margalit,<br />

Hogarth, London 1991).<br />

Nell’analisi della storia delle idee che Isaiah<br />

Berlin ci propone colpisce innanzitutto la<br />

grande capacità di penetrare nel pensiero di<br />

pensatori nient’affatto vicini alla sua visione<br />

del mondo. Il suo contributo alla filosofia<br />

politica e morale inizia con i suoi scritti<br />

sulla libertà, che sovvertono le prevalenti<br />

regole ortodosse, sollevando dubbi sulla<br />

vera origine della tradizione occidentale.<br />

Pur ammettendo che i valori ultimi sono<br />

oggettivi e conoscibili, Berlin afferma che<br />

essi sono molteplici e differenti e proprio a<br />

causa di questa differenziazione e molteplicità<br />

entrano in conflitto gli uni con gli<br />

altri. I valori inoltre sono tra loro incommensurabili<br />

e le scelte che noi operiamo su<br />

di loro, sono scelte intrinsecamente tragiche<br />

e radicali. Per Berlin non esiste nessun<br />

bene sommo, nessuna forma perfetta di<br />

vita umana che si possa aspirare a raggiungere<br />

e che non potrà mai essere raggiunta,<br />

né esiste un metro di misura comune, con<br />

cui valutare differenti forme di vita umana,<br />

implicanti beni differenti e inconciliabili.<br />

Questa affermazione della varietà e incommensurabilità<br />

dei valori della vita umana<br />

vuole corrisponde alla tesi secondo cui<br />

l’idea di perfezione è in sé stessa incoerente.<br />

I conflitti tra i valori non sono per Berlin<br />

AUTORI E IDEE<br />

provocati dalla contingenza, ma dalla natura<br />

dei valori stessi. L’incommensurabilità<br />

di cui parla Berlin è dunque una incommensurabilità<br />

costitutiva. Questa caratteristica<br />

radicale di pluralismo oggettivo del<br />

pensiero di Berlin è stata facilmente fraintesa<br />

e accusata di relativismo. Al contrario<br />

Berlin ha sempre sottolineato che sebbene<br />

i valori si realizzino in differenti modalità<br />

di vita, dipendenti da forme culturali diverse,<br />

i valori ultimi sono oggettivi e universali,<br />

come lo sono i conflitti tra di essi.<br />

Il pluralismo di Berlin è espressione di un<br />

certo tipo di realismo dei valori, non di<br />

scetticismo o di relativismo, come egli stesso<br />

sottolinea in una recente raccolta di<br />

saggi, The crooked timber of humanity:<br />

chapters in the history of ideas (Il carattere<br />

tortuoso dell'umanità: capitoli di storia di<br />

idee,1990). La sua tesi dell’incommensurabilità<br />

dei valori possiede in effetti un<br />

significato universale e la sua interpretazione<br />

non differenzia la cultura tradizionale<br />

europea del razionalismo e del monismo<br />

dalla altre culture del mondo. Le implicazioni<br />

di questa tesi nel campo della filosofia<br />

politica minano alla base il pensiero<br />

liberale, proponendo invece un liberalismo<br />

agnostico. Per Berlin, cosí come entrano in<br />

conflitto i valori, anche le diverse concezioni<br />

di libertà sono incommensurabili e in<br />

opposizione tra loro. In tal senso il progetto<br />

legalista o costituzionalista che trova chiara<br />

espressione nel lavoro di Rawls, quale<br />

tentativo di specificare un insieme unico di<br />

diritti o di libertà-base in connessione armonica<br />

tra di loro, è per Berlin pura illusione.<br />

In Two concepts of liberty (Due concetti<br />

di libertà, 1959) Berlin tenta appunto di<br />

applicare il pluralismo dei valori all’ideale<br />

della libertà stessa. Nel fondare il valore<br />

della libertà sull’incommensurabilità,<br />

Berlin mette in discussione il liberalismo<br />

dottrinale e fondamentalista, cioè il liberalismo<br />

di Nozick, Hayek, Rawls e di<br />

Ackerman, che sembrano supporre che l’incommensurabilità<br />

della vita morale e politica,<br />

e quella della libertà stessa, possano<br />

essere rimosse con l’applicazione di una<br />

teoria che pare possedere il carattere di una<br />

formula talismanica.<br />

Berlin é filosofo della storia tanto quanto<br />

della libertà. Il suo rifiuto della inevitabilità<br />

storica è coerente con il suo rifiuto generale<br />

del determinismo umano. Nel riaffermare<br />

il pensiero di Vico e di Herder egli<br />

cerca infatti di rendere plausibile l’idea<br />

secondo cui nella storia esiste una modalità<br />

di comprensione, che è irriducibile a quella<br />

delle scienze naturali. A questo proposito è<br />

da sottolineare la vicinanza tra il pensiero<br />

di Berlin e quello di Hume. Entrambi infatti<br />

mostrano una propensione per la contingenza<br />

della storia, entrambi sono uomini<br />

profondamente civili, difensori dei valori<br />

che hanno animato l’Illuminismo: le loro<br />

concezioni sono alla base delle società moderne,<br />

nella cui difesa essi si sono fermamente<br />

impegnati. V.R.<br />

Giustificazioni di Dio<br />

La figura biblica di Giobbe ha offerto<br />

spunti di riflessione a due opere, che<br />

pur proveniendo da contesti intellettuali<br />

diversi, camminano entrambe sul<br />

crinale tra filosofia e religione: si tratta<br />

del volume di Lev Sestov, Sulla bilancia<br />

di Giobbe. Peregrinazioni<br />

attraverso le anime (traduzione di<br />

Alberto Pescetto , con un saggio<br />

Czeslaw Milosz, Adelphi, Milano 1991)<br />

e dello studio di Giovanni Moretto,<br />

Giustificazione e interrogazione.<br />

Giobbe nella filosofia<br />

(Guida, Napoli 1991).<br />

Giobbe è il giusto che, provato da Satana<br />

con il permesso di Dio, accetta il tormento<br />

unicamente in forza della fede. Durante le<br />

prove cui è sottoposto rifiuta le giustificazioni<br />

razionali che gli amici gli offrono, si<br />

tiene ben saldo nella propria disperazione,<br />

nella convinzione che il proprio stato è<br />

assolutamente assurdo e non giustificabile<br />

dal punto di vista della argomentazioni che<br />

l’uomo può escogitare. Tentare di comprendere<br />

ciò che gli sta accadendo sarebbe<br />

già un venir meno alla fede in Dio. C’è però<br />

in questo atteggiamento riflessivo una sorta<br />

di ambivalenza: se indubbiamente “umano”<br />

è lo strumento razionale, lo è pure il<br />

rifiuto di considerarlo come esaustivo rispetto<br />

alla totalità della condizione umana.<br />

L’ambivalenza conduce qui a un paradosso:<br />

ancora più profondamente umana delle<br />

giustificazioni razionali è la disperazione<br />

di Giobbe, per cui chi sa essere uomo, chi<br />

sa permanere nella disperazione, entra in<br />

contatto con Dio.<br />

Come filosofo, Lev Sestov rifiuta questo<br />

esito “umanistico”, o anzi, “umanocentrico”.<br />

La sua polemica antiumanistica è infatti<br />

radicale, come Czeslaw Milosz evidenzia<br />

nel suo saggio d’introduzione, “Salvezza<br />

dalla disperazione”. Presi di mira da<br />

Sestov sono gli inventori di teodicee, che<br />

tentano di conciliare razionalmente l’esistenza<br />

di Dio con quella del male nel mondo,<br />

come coloro che dalla ribellione alla<br />

necessità imposta da un ordine razionale<br />

delle cose concludono a un’esaltazione quasi<br />

prometeica della libertà dell’uomo.<br />

Ma la condanna di Sestov investe anche chi<br />

alla Rivelazione ha sostituito una “filosofia<br />

della Rivelazione”, e chi al riconoscimento<br />

della disperazione e dell’assurdo, come<br />

tratti distintivi della condizione umana, sostituisce<br />

una “filosofia della disperazione”<br />

e una “filosofia dell’assurdo”. Ciò spiega<br />

anzitutto perché, nonostante la figura di<br />

Sestov sia stata rivendicata dall’esistenzialismo<br />

parigino degli anni Quaranta e Cinquanta,<br />

i punti di contatto fra il movimento<br />

e il pensatore russo siano di fatto solo<br />

superficiali. In secondo luogo spiega l’idem<br />

sentire, su cui si fonda forse l’amicizia<br />

personale a dispetto delle divergenze teo


AUTORI E IDEE<br />

Georges de la Tour, Giobbe e la moglie (Epinal, Musée Départment des Vosges


etiche, che accomuna Sestov a Husserl.<br />

Certo, nell’aut-aut tra ragione e fede, tra<br />

Atene e Gerusalemme, tra Platone e gli<br />

stoici da una parte, Pascal, Dostoiewskij,<br />

Nietzsche e Kierkegaard dall’altra, Sestov<br />

aveva scelto la fede, Husserl la ragione; ma<br />

simile era, si potrebbe dire, la risolutezza<br />

con cui era stata fatta la scelta e la determinazione<br />

ad accettare le insolubilità e i vicoli<br />

ciechi di fronte ai quali ci si sarebbe potuti<br />

trovare. Il più evidente dei quali è il fatto<br />

che Sestov, proprio come “filosofo”, resta<br />

totalmente all’interno del paradosso relativo<br />

all’aspetto “umanistico” del proprio rifiuto<br />

dell’esaustività della ragione nei confronti<br />

del problema del male nel mondo,<br />

cioè del problema della vita dell’uomo e<br />

non solo del suo pensiero. Il filosofo Sestov<br />

pare non avvedersi del fatto che ponendo il<br />

problema dell’inadeguatezza della ragione<br />

nei confronti delle esperienze che l’uomo<br />

fà del divino e della propria stessa condizione,<br />

con ciò stesso tali esperienze si vengono<br />

a qualificare come tanto propriamente<br />

umane da diventare caratteristiche definitorie<br />

dell’uomo. Solo l’uomo di fatto è<br />

colui che è messo alla prova da Dio, e deve<br />

dare di ciò una giustificazione.<br />

Proprio questo è invece il problema centrale<br />

messo a fuoco da Giovanni Moretto<br />

nella raccolta di saggi dal titolo: Giustificazione<br />

e interrogazione. Moretto sostiene<br />

che la struttura della teodicea, in quanto<br />

forma di giustificazione, non é propria soltanto<br />

di una riflessione inserita nella prospettiva<br />

cristiana, ma appartiene anche «ad<br />

un tempo post-cristiano, caratterizzato dalla<br />

morte del Dio biblico». L’origine della<br />

teodicea è «universalmente filosofica e<br />

quindi extra biblica». Fin qui anche Sestov<br />

potrebbe essere d’accordo con la riconduzione<br />

della prospettiva della giustificazione<br />

a quella della speculazione razionale e<br />

antropocentrica, che egli considera contraria<br />

alla fede. Ma Moretto insiste sul carattere<br />

antropologico della giustificazione, sul<br />

fatto che la teodicea possiede “un’intima<br />

convertibilità” in antropodicea. In questo<br />

modo la vicenda di Giobbe «è il libro<br />

classico della teodicea, proprio perché non<br />

intende facilitarsi le cose, sopprimendo l’uno<br />

o l’altro dei protagonisti del dramma,<br />

Dio e l’uomo. Il senso del dramma è che i<br />

due protagonisti hanno bisogno l’uno dell’altro<br />

per definirsi».<br />

Alla luce del problema della giustificazione<br />

Moretto legge anche il pensiero di Martin<br />

Heidegger, in particolare il suo Satz vom<br />

Grund, il “principio del fondamento”. Nel<br />

passaggio dall’accezione leibniziana del<br />

principium rationis a quella heideggeriana<br />

della “tesi del fondamento” Moretto vede<br />

una peculiare forma di conversione dell’antropodicea<br />

in teodicea, stante il presupposto<br />

del carattere religioso dell’Essere<br />

heideggeriano. Tale conversione sarebbe<br />

anzi interna alla storia della riflessione<br />

heideggeriana, per via della “svolta” - la<br />

cosiddetta Kehre - operata da Heidegger<br />

rispetto a una figura del pensare che per<br />

Moretto è «jobica, in quanto costruita attra-<br />

AUTORI E IDEE<br />

verso la pretesa dell’uomo (Dasein) di “giustificare”<br />

l’essere...alla figura del pensiero<br />

(Denken)».<br />

Non si tratta, dunque, di rinunciare alla<br />

giustificazione, né di rimuovere l’uomo<br />

con un improbabile abbandono a Dio, ma<br />

di analizzare la specificità dell’interrogazione<br />

radicale che ci proviene dalla cultura<br />

greca e di quella che ci proviene dalla<br />

Bibbia, la specificità della dimensione razionale<br />

e di quella della preghiera. Secondo<br />

Moretto le due vie, che sono consustanziali,<br />

possono e debbono intersecarsi, per<br />

rispondere “al più classico” dei problemi<br />

della filosofia, quello della giustificazione<br />

del male. La filosofia, per incontrare la<br />

verità della Bibbia, «deve soltanto iuxta<br />

naturam suam universalizzare quelle verità,<br />

rendendole patrimonio di ogni uomo<br />

che venga in questo mondo». La filosofia,<br />

per raggiungere il suo scopo, l’universalizzazione<br />

della verità riguardo l’esperienza<br />

umana, «non ha nemmeno bisogno di passare<br />

attraverso l’esperienza della teologia<br />

cristiana». Se la grandezza di Giobbe è per<br />

Sestov l’aver abbandonato la conoscenza a<br />

favore della fede, per Moretto, che riprende<br />

Agostino, la pazienza di Giobbe è una virtù<br />

non solo etica ma «dianoetica dell’uomo<br />

che contempla il mondo in una luce crepuscolare,<br />

nell’ora del giudizio e della verità<br />

ultima». F.C.<br />

Habermas: pensiero postmetafisico<br />

ed etica del discorso<br />

Con gli studi raccolti in Erläuterungen<br />

zur Diskursethik (Chiarimenti<br />

sull’etica del discorso, Suhrkamp,<br />

Frankfurt a. M. 1991) Jürgen Habermas<br />

prosegue le ricerche presentate nell’opera<br />

del 1983 Moralbewusstsein<br />

und kommunikatives Handeln (Coscienza<br />

morale e agire comunicativo),<br />

nel tentativo di fondare, dal punto di<br />

vista della teoria dell’agire comunicativo,<br />

la possibilità e la specificità del<br />

discorso etico. Alcuni dei tratti che<br />

differenziano la proposta teorica di<br />

Habermas tanto dal relativismo postmoderno<br />

quanto da rinnovate tentazioni<br />

metafisiche sono ora accessibili<br />

ai lettori italiani nella raccolta di saggi:<br />

Il pensiero post-metafisico (a<br />

cura di Marina Calloni, Laterza, Roma-<br />

Bari 1991).<br />

In Erläuterungen zur Diskursethik Jürgen<br />

Habermas tenta di superare, attraverso la<br />

discussione di alcune questioni riguardanti<br />

lo statuto gnoseologico del discorso etico,<br />

il contrasto tra un astratto universalismo<br />

morale ed una posizione relativistica, delineando<br />

così la possibilità di una discussione<br />

razionale anche se di una razionalità sui<br />

generis) dei problemi etici. Nel volume<br />

sono raccolti saggi già pubblicati in volumi<br />

collettivi e interventi letti da Habermas in<br />

occasione di incontri organizzati da uni-<br />

versità statunitensi. Unica eccezione, l’ampio<br />

studio che dà il titolo al volume e che<br />

deriva da appunti di ricerca degli anni 1987-<br />

90. Scorrendo il volume si ha l’impressione<br />

che questi testi, per struttura e modalità<br />

di approccio ai problemi, rappresentino più<br />

momenti di una riflessione in progress (o,<br />

con le parole di Habermas, di un “processo<br />

di apprendimento”) che non risultati definitivi<br />

della ricerca. Lo sfondo della discussione<br />

è qui dato dalle critiche mosse alle<br />

concezioni universalistiche della morale<br />

da pensatori come Aristotele, Hegel e dal<br />

contestualismo contemporaneo. Questa<br />

prospettiva non porta però Habermas a<br />

negare, come fanno le correnti che si rifanno<br />

all’empirismo, la possibilità di una discussione<br />

e di una decisione razionale delle<br />

questioni etiche, ma al contrario lo induce<br />

a individuare la specificità del discorso<br />

morale. Questo, che non è una forma di<br />

conoscenza nel senso delle scienze esatte o<br />

della “ragion pura” di Kant, ma si fonda<br />

sulle intuizioni della vita quotidiana, si<br />

presenta con il carattere di una razionalità<br />

che gli è specifica, e che Kant aveva già<br />

individuato quando distingueva tra uso “puro”<br />

e “pratico” della ragione.<br />

Partendo da questo tentativo (condiviso,<br />

sia pure con diverse accentuazioni, anche<br />

da Karl-Otto Apel) di riprendere e riformulare<br />

la teoria morale kantiana avvalendosi<br />

degli strumenti della teoria dell’agire<br />

comunicativo, Habermas discute in questo<br />

volume una serie di problemi e obiezioni<br />

mosse ai suoi studi precedenti. Tra i problemi<br />

fondamentali indichiamo qui: il significato<br />

dell’etica del discorso; il rapporto tra<br />

i concetti dell’etica del discorso e le intuizioni<br />

morali che si trovano alla sua base; il<br />

rapporto tra ragione pratica e teoretica, tra<br />

fondazione teorica della norma e sua applicazione.<br />

Nel saggio che dà il titolo al volume,<br />

Erläuterungen zur Diskursethik, questi<br />

problemi vengono discussi con riferimento<br />

alle posizioni di autori che recentemente<br />

hanno posto le questioni etiche al<br />

centro della propria riflessione: tra gli altri<br />

J. Rawls, E. Tugendhat, K.-O. Apel, A.<br />

MacIntyre.<br />

L’orizzonte teorico generale di questi studi<br />

più recenti di Habermas è delineato in<br />

maniera sistematica soprattutto nella<br />

Theorie des kommunikativen Handelns del<br />

1981 (trad. it. Teoria dell’agire comunicativo,<br />

Il Mulino, Bologna). Ora, con la recente<br />

traduzione italiana di Nachmetaphysisches<br />

Denken (Il pensiero post-metafisico),<br />

pubblicato originariamente nel<br />

1988, vengono presentati al lettore italiano<br />

alcuni saggi risalenti alla seconda metà<br />

degli anni Ottanta, in cui Habermas prende<br />

posizione da un lato contro gli esiti “disfattistici”,<br />

relativisti e post-moderni della critica<br />

kantiana delle pretese assolutistiche<br />

della ragione, dall’altro «contro quei tentativi<br />

che mirano a ritornare a forme di pensiero<br />

metafisico»: pagine polemiche al riguardo<br />

sono dedicate in particolare alle<br />

concezioni di Dieter Henrich. I saggi raccolti<br />

da Habermas in questo volume riper


corrono diversi temi e momenti della storia<br />

della filosofia dall’antichità ai giorni nostri,<br />

giungendo a prendere in considerazione<br />

alcune questioni cruciali dell’attuale<br />

filosofia analitica del linguaggio, della psicologia<br />

sociale e relative a quello che potremmo<br />

chiamare lo “statuto letterario”<br />

della filosofia. A questo proposito si veda<br />

l’ultimo saggio, “Filosofia e scienza come<br />

letteratura”, che prende spunto da un’analisi<br />

di Se una notte d’inverno un viaggiatore<br />

di Italo Calvino). L’intenzione comune<br />

ai diversi studi è però quella di individuare<br />

gli elementi di una concezione della razionalità<br />

che, pur volendosi “scettica” e consapevole<br />

dell’impossibilità di realizzare le<br />

pretese metafisiche avanzate dalla filosofia<br />

nel corso della sua storia, non rinunci a far<br />

valere un’esigenza di validità universale.<br />

Ciò porta Habermas a sostenere una concezione<br />

comunicativa e intersoggettiva della<br />

ragione, che sembra avere il suo punto<br />

d’appoggio nella sostituzione del primato<br />

della coscienza con quello del linguaggio.<br />

In questa prospettiva di concretizzazione<br />

del concetto di razionalità e di superamento<br />

dell’astrattezza dell’io trascendentale<br />

kantiano, Habermas integra gli esiti delle<br />

più recenti teorie pragmatistiche del significato<br />

e dell’azione con il concetto fenomenologico<br />

di “mondo della vita”, nel cui<br />

orizzonte comunicativo si intrecciano dialetticamente<br />

le istanze dell’individuo, della<br />

cultura e della società.<br />

Da questi studi di Habermas sul Pensiero<br />

post-metafisico prende le mosse lo studio<br />

di Elena Agazzi, Dopo Francoforte. Dopo<br />

la metafisica (Liguori, Napoli 1990), che<br />

mette a confronto le posizioni di Habermas<br />

con quelle di Karl Otto Apel e Hans<br />

Georg Gadamer, individuando rispettivamente<br />

nella “teoria dell’agire comunicativo”,<br />

nella “ritrascendentalizzazione del soggetto”<br />

e nell’”orizzonte della tradizione”<br />

tre diverse proposte teoriche alternative al<br />

“nichilismo” e ad una “rappresentazione<br />

individuale della realtà, priva di sbocchi<br />

emancipativi”. M.M.<br />

Michael Dummett:<br />

alla base della verità<br />

L’influenza che Michael Dummett sta<br />

esercitando sul pensiero contemporaneo,<br />

e non solo limitatamente al mondo<br />

anglo-americano, si è realizzata attraverso<br />

la pubblicazione di una dozzina<br />

di saggi, due libri sulla filosofia di<br />

Gottlob Frege e un trattato di logica.<br />

Attraverso di essi Dummett ci ha spinto<br />

a ripensare il problema del vero,<br />

della logica, del significato e della loro<br />

relazione con le più profonde questioni<br />

metafisiche. Il suo nuovo libro, The<br />

logical basis of metaphysics (Le<br />

basi logiche della metafisica,<br />

Duckworth, London 1991) prende in<br />

considerazione questi temi parallelamente,<br />

presentando per la prima volta<br />

AUTORI E IDEE<br />

in forma sistematica un resoconto delle<br />

sue idee. La pubblicazione di quest’opera<br />

rappresenta la principale affermazione<br />

delle idee che hanno provocato<br />

la maggior parte delle controversie<br />

fondamentali della filosofia analitica<br />

in quest’ultimo scorcio del ventesimo<br />

secolo.<br />

Con quest’ultimo libro Michael Dummett<br />

ci presenta l’odierna sistemazione del suo<br />

pensiero, risultato di un lungo lavoro, iniziato<br />

nel 1976, di revisione e di sviluppo<br />

delle sue primitive posizioni. Scopo di<br />

Dummett é cercare qui di porre le basi per<br />

una meaning-theory, che possa spiegare in<br />

che cosa consista la conoscenza del linguaggio<br />

per un individuo parlante. Nel<br />

proporre un modello generale per il linguaggio,<br />

una meaning-theory deve saper<br />

determinare in particolare la corretta logica<br />

del linguaggio, specificando il significato<br />

delle costanti logiche, e fornendo l’insieme<br />

delle leggi logiche che valgono per esso.<br />

Simultaneamente deve chiarire il concetto<br />

di vero, evidenziando le sue relazioni con il<br />

significato. Secondo Dummett, se si riesce<br />

a dare risposta alle domande poste da questi<br />

problemi, si riescono anche a risolvere insieme<br />

i vecchi problemi posti dal realismo<br />

metafisico. Ovunque, nella storia della filosofia,<br />

il realismo ha prodotto controversie.<br />

In taluni casi si è detto che non esistono<br />

valori oggettivi nel mondo, che è la natura<br />

umana che produce le nostre vedute morali.<br />

Analogamente si è affermato che le<br />

verità matematiche non sono indipendenti<br />

da noi, ma sono il prodotto delle nostra<br />

creatività; cosí come si è detto che il mondo<br />

fisico non può essere concepito come esistente<br />

indipendentemente dall’esperienza,<br />

ma che anzi la sua relazione con l’esperienza<br />

è interna ad esso. Per Dummett il bisogno<br />

di un nuovo approccio a questi problemi<br />

scaturisce proprio dal fallimento di questi<br />

dibattiti tradizionali. Egli pensa che la<br />

chiave dell’inadeguatezza delle soluzioni<br />

proposte dal realismo si trovi nella accettazione,<br />

comune a queste soluzioni, del principio<br />

di bivalenza, secondo cui ogni affermazione<br />

appartenente ad un universo dato<br />

è determinatamente vera o falsa. La connessione<br />

tra bivalenza e realismo produce<br />

la credenza che la verità o falsità di un’affermazione<br />

non é una funzione della nostra<br />

indagine, ma è determinata da una realtà<br />

che esiste indipendentemente dalla nostra<br />

conoscenza. Ciò vuol dire che impiegare il<br />

principio di bivalenza, cioé impiegare una<br />

logica classica generante una semantica<br />

bivalente, equivale a essere realisti.<br />

In definitiva, per Dummett proporre una<br />

soluzione ai problemi sollevati dal realismo<br />

equivale ad evitare la teoria semantica<br />

che ad esso sottende. Proprio questo è lo<br />

sforzo che egli intraprende, ponendo le sue<br />

idee come punto di partenza per la costruzione<br />

di un’adeguata teoria del significato<br />

e con ciò una soluzione del problema metafisico<br />

ad essa collegato. In The logical<br />

basis of metaphysics si ritrovano di fatto<br />

tutti i principali temi della filosofia analitica:<br />

il problema del vero, del significato,<br />

della conoscenza, della comprensione, dell’olismo<br />

e della giustificazione delle leggi<br />

logiche. Ripudiando apertamente la semantica<br />

classica, Dummett difende una posizione<br />

verificazionista-pragmatista per la<br />

sua meaning-theory, affermando che il miglior<br />

modello disponibile in tal senso è<br />

quello offerto dall’intuizionismo, dal momento<br />

che la logica intuizionista si autogiustifica,<br />

non richiedendo l’appoggio di<br />

una teoria semantica.<br />

Sebbene nel libro siano presenti i temi<br />

consueti trattati da Dummett, essi vengono<br />

qui riaffermati con argomenti nuovi. Uno<br />

degli sviluppi più interessanti, mai espresso<br />

prima con tale chiarezza, é quello che<br />

afferma le ragioni per cui egli crede che i<br />

problemi metafisici si risolvono conseguentemente<br />

alla soluzione di quelli logici. Incominciare<br />

da un’indagine metafisica, provando<br />

a derivare da essa una descrizione di<br />

ciò che pensiamo del vero e dunque della<br />

logica, significa adottare una strategia topdown,<br />

che possiede lo svantaggio di non<br />

darci la possibilità di conoscere come poter<br />

fornire una chiara visione delle controversie<br />

metafisiche in questione. Adottando al<br />

contrario un procedimento d’indagine bottom-up,<br />

incominciando cioé col fornire un<br />

corretto modello del significato per le affermazioni<br />

controverse, è possibile per<br />

Dummett risolvere in un secondo tempo le<br />

controversie metafisiche stesse. Questo perché<br />

ciascun modello di significato porta<br />

con sé un modello metafisico, sicchè una<br />

volta determinata una descrizione del significato,<br />

non resta che accettare il modello<br />

metafisico ad esso relativo. Una strategia<br />

questa, che richiama alcune idee caratteristiche<br />

del pensiero dummettiano.<br />

Dummett infatti considera come indagine<br />

fondamentale la filosofia del pensiero, e la<br />

sola maniera per approfondirla si attua attraverso<br />

il linguaggio, con cui il pensiero si<br />

esprime. Un’indagine sul linguaggio equivale<br />

ad analizzare ciò che chiunque deve<br />

implicitamente sapere per essere considerato<br />

parlante una determinata lingua. Il<br />

primo passo nel costruire una teoria del<br />

significato è infatti fornire una rappresentazione<br />

sistematica della pratica necessaria<br />

per parlare un linguaggio. Dei problemi<br />

sorgono invece a questo proposito se si<br />

accetta il principio di bivalenza che produce<br />

una meaning-theory incapace di stabilire<br />

un’unione tra la conoscenza del parlante<br />

e la sua pratica, unione che deve essere<br />

stabilita se la nostra teoria del significato<br />

vuole essere adeguata.<br />

E’ proprio questo il nodo centrale che ha<br />

generato negli ultimi venti anni il dibattito<br />

intorno al lavoro di Dummett. La sua posizione<br />

appare poggiare su di una inestricabile<br />

doppia tensione tra da una parte il problema<br />

legato alle leggi logiche, al loro bisogno<br />

di essere giustificate e a come giustificarle,<br />

dall’altra il fatto che la natura dell’inferenza<br />

deduttiva ci costringe ad accettare una<br />

distinzione tra la verità delle affermazioni


e il possedere dei motivi per considerarle<br />

vere. Per Dummett tale distinzione deve<br />

essere mantenuta, anche se ci conduce all’accettazione<br />

di una teoria realistica del<br />

significato. Nonostante molte affermazioni<br />

discutibili, senza dubbio Dummett ci<br />

mette a disposizione con questo libro un<br />

materiale interessante e articolato, capace<br />

di arricchire un dibattito che sta uscendo<br />

dai confini anglo-americani, per essere accolto<br />

anche dalla cultura europea. V.R<br />

Su Sartre e Beauvoir<br />

Se come maîtres à penser sembrano<br />

piuttosto dimenticati, come personaggi<br />

Jean-Paul Sartre e Simone de<br />

Beauvoir non smettono di suscitare<br />

interesse in Francia. Nella ricezione<br />

del pubblico il loro ruolo di protagonisti<br />

della cultura degli anni Sessanta<br />

sembra di fatto essersi depositato in<br />

un interesse biografico che, nella sostanza,<br />

è indifferente ai contenuti filosofici<br />

del loro pensiero. Parliamo di<br />

due studi biografici recentemente ap-<br />

AUTORI E IDEE<br />

Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir nello studio in Boulevard Raspail 22 (G. Freund 1964, G. Neri)<br />

parsi nelle librerie francesi: Simone de<br />

Beauvoir, di Deirdre Bair (traduzione<br />

dall’inglese di Marie France de<br />

Palomera, Fayard, Parigi 1991) e Une<br />

si douce Occupation... Simone<br />

de Beauvoir e Jean-Paul Sartre<br />

1940-1944, di Gilbert Joseph (Una<br />

Occupazione tanto dolce... , Albin<br />

Michel, Parigi 1991).<br />

A queste biografie fa riscontro un testo<br />

inedito di Sarte, che raccoglie i<br />

quaderni composti durante un viaggio<br />

in Italia nel giugno 1952, pubblicato<br />

a cura di Arlette Elkaim-Sartre col<br />

titolo: La reine Abermarle (La<br />

regina Abermarle, Gallimard, Parigi<br />

1991). Si tratta di note sparse, dove<br />

emerge un’immagine dell’Italia tutto<br />

sommato da cartolina e che ricordano,<br />

per molti versi, la sensibilità spaesata<br />

di Antoine Roquentin, il famoso<br />

personaggio della Nausea.<br />

Il libro di Gilbert Joseph è una ricostruzione<br />

storica, dati alla mano e veleno nell’inchiostro,<br />

che costituisce un pesante atto<br />

d’accusa del dégagement della coppia negli<br />

anni dell’Occupazione tedesca. E’ noto<br />

come il primo successo teatrale di Sartre,<br />

Les Mouches (Le mosche), sia stato rappresentato<br />

nel teatro collaborazionista “Sarah<br />

Bernhard”, previo visto della censura “ariana”;<br />

come pure è risaputo che Simone de<br />

Beauvoir collaborava in quel periodo alle<br />

trasmissioni della Radio-diffusion<br />

Nationale. Da qui le accuse di opportunismo<br />

dell’autore di questa biografiapamphlet,<br />

che ha il vizio evidente di detestare<br />

i suoi protagonisti, di far intervenire il<br />

giudizio estetico sull’opera e la riprovazione<br />

morale quali inutili commentari alle<br />

imprese di Sartre e della Beauvoir. Calcolo,<br />

ambizione letteraria, sete di celebrità a<br />

tutti i costi e persino dissolutezza erotica i<br />

capi d’accusa accumulati da Joseph, che è<br />

andato a spulciare tra gli archivi di polizia<br />

e tra gli statini professionali dei due brillanti<br />

professori di liceo col solo intento di<br />

dimostrare come fosse usurpato il titolo di<br />

“resistenti”, di cui essi si sono fregiati nel<br />

Dopoguerra.<br />

C’è da dire che la ricostruzione di Joseph<br />

non pecca certo per mancanza di dati storici.<br />

Riscontri che possiamo augurarci vengano<br />

utili per un lavoro biografico più<br />

complessivo e meno partigiano, dove so


prattutto il giudizio sul personaggio non<br />

venga automaticamente e ingiustificatamente<br />

portato sull’opera.<br />

Di parte sembra anche l’analisi che la studiosa<br />

americana Deirdre Bair dedica a<br />

Simone de Beauvoir - un monumento di<br />

800 pagine - che fin dalla prefazione denuncia<br />

l’intenzione di proporsi come una<br />

«biografia femminista». Non si può certo<br />

negare l’importanza dell’opera della<br />

Beauvoir come autrice di Le Deuxième<br />

Sexe (Il secondo sesso) nella storia del<br />

pensiero femminista. Ma se la biografia<br />

della Bair non diventa agiografica è perché<br />

mantiene una precisione e mobilita una<br />

messe di dati da renderla preziosa, pur<br />

conservando una distanza critica che è tuttavia,<br />

nello stesso tempo, ideologica. Ciò è<br />

evidente nella valutazione del presunto ruolo<br />

subalterno che viene attribuito alla<br />

Beauvoir nei confronti di Sartre; in fondo ci<br />

troviamo di fronte a una donna sottomessa<br />

che scrive: «io ero intelligente, certo, ma<br />

Sartre era un genio». Può essere vera l’annotazione<br />

secondo cui Simone de Beauvoir<br />

era stata «educata, come tutte le donne del<br />

suo tempo, a sentirsi inferiore agli uomini»,<br />

ma non c’è bisogno di rilevare quanto<br />

Sartre fosse un uomo «minuscolo, un metro<br />

e cinquanta al massimo», per farne<br />

risaltare la grande statura intellettuale.<br />

E.N.<br />

L’inumano dell’uomo: la morale<br />

di André Glucksmann<br />

«Fai in modo che niente di ciò che è<br />

inumano ti sia estraneo». Non è una<br />

citazione da Dostoievskij, ma l’imperativo<br />

di L’XI Commandément (L’XI<br />

Comandamento, Flammarion, Parigi<br />

1991) di André Glucksmann.<br />

E’ un libro di “morale”, avverte subito<br />

l’autore, che si propone di demolire<br />

l’intero edificio della morale corrente,<br />

costruita sulle buone intenzioni e sui<br />

pii desideri di un sognante umanesimo.<br />

All’origine della gioconda concezione che<br />

vede l’uomo abitato dalla virtù e il Bene<br />

quale destino del mondo vi è, per André<br />

Glucksmann, l’ottimismo razionalista<br />

dell’Illuminismo. E’ la storia del nostro<br />

secolo a fornire la tragica smentita di tali<br />

visioni, ma è proprio questa tragedia che<br />

impone di ripensare le categorie della morale<br />

e di vedere «il luogo dell’inumano»<br />

nell’uomo stesso. Assumere la componente<br />

di Male intrinseca all’uomo significa<br />

arginarla e combatterla senza avere la pretesa<br />

di abolirla. I veri nichilisti, sostiene<br />

Glucksmann, sono coloro che rifiutano la<br />

realtà, che sognano la palingenesi morale<br />

degli uomini e costruiscono sistemi per<br />

reinventare il mondo. La legittimazione<br />

delle tendenze integraliste che vediamo<br />

affermarsi oggi risiederebbe in questo integralismo<br />

filosofico, nella sua essenza tota-<br />

AUTORI E IDEE<br />

litario.<br />

L’analisi dell’integralismo moderno è una<br />

delle parti più argomentate e convincenti<br />

del libro, che si chiede come esso sia potuto<br />

prosperare in un secolo che ha glorificato i<br />

valori universali e l’idea di uguaglianza.<br />

L’instabilità che caratterizza la modernità,<br />

osserva Glucksmann, l’anonimia dello spazio<br />

tecnologico, la neutralizzazione del senso<br />

operata dalla logica dell’informazione<br />

totale, producono un effetto di angoscia e<br />

una tentazione di ripiego sui valori minimi,<br />

ma assoluti, dell’integralismo. Questo può<br />

di volta in volta assumere connotati e finalità<br />

diversi, ma sempre partecipa di una<br />

medesima logica di esclusione che deriva<br />

dalla necessità di definirsi polemicamente<br />

contro un nemico. Un soggettivismo assoluto<br />

ne è alla base: «esso dà conto di sé solo<br />

a se stesso, si fa giudice, pentito, vittima,<br />

carnefice e ricompensa ultima di una propria<br />

azione che riprende su di sé la schiuma<br />

della propria infinità.» Se gli integralismi<br />

esprimono del resto la versione caricaturale<br />

ed esacerbata della disillusione umanista<br />

di un mondo improntato al Bene, conviene,<br />

conclude Glucksmann, portare a compimento<br />

il processo di autocritica dei valori<br />

della cultura occidentale per riaprire il campo<br />

di possibilità ad una nuova morale.<br />

E.N.<br />

Ricoeur e lo spazio pubblico<br />

della lettura<br />

Interpretare significa in primo luogo<br />

per Paul Ricoeur imparare a leggere, e<br />

questo per due motivi: perchè per criticare,<br />

analizzare, comprendere bisogna<br />

frequentare i testi, ascoltarli, provarsi<br />

nella spiegazione; poi perchè il<br />

mondo circostante si offre come un<br />

universo di alfabeti, libri, interpretazioni<br />

già avvenute. Con Lectures 1<br />

(Letture 1, Seuil, Parigi 1991) prende<br />

avvio la presentazione degli articoli<br />

pubblicati da Ricoeur nel corso degli<br />

anni spesso in merito ad altri libri e<br />

autori, a confronti diretti con le problematiche<br />

più attuali. Il primo volume<br />

raccoglie gli interventi “Autour du<br />

politique”: il prossimo comprenderà i<br />

saggi di ordine estetico, il terzo quelli<br />

inerenti al problema della religione e<br />

del male.<br />

I tre campi secondo cui sono raccolti gli<br />

articoli ricoeriani esprimono in modo molto<br />

perspicuo gli interessi teroretici di questa<br />

mente enciclopedica: Lectures ci fa<br />

entrare nella biblioteca ideale di Paul<br />

Ricoeur, ci indica gli autori più sottolineati,<br />

più interrogati, ci fa toccare con mano le<br />

conversazioni solitarie e ideali con i testi<br />

più incisivi della personale riflessione dell’autore.<br />

Questo volume è dedicato al “politico<br />

“, o per meglio dire, come suggerisce<br />

lo stesso Ricoeur: «Avrei amato chiamare<br />

questo libro Lo spazio pubblico, nel senso<br />

arendtiano, cioè la manifestazione del rapporto<br />

con altri in un ambito istituzionale,<br />

che si tratti di istituzioni linguistiche o<br />

politiche». L’interesse per la scena pubblica<br />

e etica dell’esperienza umana fu sollevato<br />

in Ricoeur dall’incontro con Jaspers, con<br />

Weil, con Patocka, con Arendt e con i<br />

problemi relativi alla filosofia della azione,<br />

alla deliberazione pubblica, alla salvaguardia<br />

di ciò che è umano di fronte al nichilismo<br />

imperante. Osserva ancora Ricoeur a<br />

proposito di questo testo: «Dobbiamo tener<br />

conto di un certo numero di fragilità fondamentali<br />

dell’esistenza. Non dobbiamo creare<br />

ex nihilo il senso, ma rispondere a interrogativi<br />

ineluttabili». Lectures, “Autour du<br />

politique”, connette molto strettamente fragilità<br />

e responsabilità. Sono questi i due<br />

poli, i due luoghi che definiscono la scena<br />

pubblica: da un lato la fragilità della vita in<br />

società, i conflitti di interpretazione, i differenti<br />

dissidi e punti di vista, dall’altro la<br />

responsabilità a cui tutti sono chiamati per<br />

non scivolare nella rassegnazione, nell’anarchismo.<br />

Il problema per Ricoeur non è essere o non<br />

essere nichilisti, ma come pensare e agire<br />

di fronte al nichilismo. Frequentare la propria<br />

biblioteca ideale significa porsi con<br />

altri, contro altri, i medesimi problemi,<br />

ingaggiare un dialogo a più voci, seguire le<br />

tracce di una propria, condivisibile tradizione.<br />

Lectures raccoglie testi che esprimono<br />

i temi cari alla riflessione ricoeuriana,<br />

come quello dell’impossibilità di una<br />

scienza della praxis: l’azione è sottoponibile<br />

solo, secondo la linea aristotelica, a<br />

una saggezza probabile, per accenni, schizzi,<br />

mai per certezze. In questo senso la<br />

retorica per il suo carattere argomentativo,<br />

pubblico, fra dimostrabile e aleatorio, è il<br />

linguaggio proprio dello spazio pubblico.<br />

Ma in questa raccolta si trova anche espresso<br />

uno dei temi centrali dell’ultimo Ricoeur,<br />

ossia la “saggezza pratica”, la prudenza,<br />

quale corretivo della possibile rigidità della<br />

morale dei costumi, delle istituzioni di<br />

una comunità data. Centrale è anche il tema<br />

della giustizia. Estremamente interessanti<br />

infine gli interventi a caldo, “circostanziali”,<br />

sulla rivoluzione cinese, su Israele,<br />

sulla situazione universitaria del ’68.<br />

F.M.Z.


AUTORI E IDEE<br />

Sils Maria (Engandina), Das trunkene Lied dallo Zarathustra di Nietzsche.


Ecce Nietzsche: un filosofo<br />

per tutti e per nessuno<br />

In Francia è noto come negli anni ‘6O<br />

Friedrich Nietzsche sia stato adottato<br />

dal milieu intellettuale come filosofo<br />

del sospetto, della riabilitazione delle<br />

gioie del corpo, della sensibilità come<br />

profusione infinita: enfant terrible del<br />

pensiero, Nietzsche mette a soqquadro<br />

tutte le categorie della tradizione<br />

metafisica. Una serie di recenti pubblicazioni<br />

segnala un nuovo interesse in<br />

Francia per questo autore “polimorfo”,<br />

ma la discussione oggi non si gioca<br />

più tanto sul piano metafisico-estetico<br />

quanto su quello politico-storico.<br />

E’ il caso di una serie di testi di autori<br />

vari, testimonianza di una recente discussione<br />

sulla ricezione del filosofo<br />

da parte degli intellettuali ebrei: De<br />

Sils Marie à Jerusalem. Nietzsche<br />

et le judaisme; les intellectuelles<br />

juifs et Nietzsche (Da<br />

Sils Maria a Geru-salemme. Nietzsche<br />

e l’ebraismo; gli intellettuali ebrei e<br />

Nietzsche, Cerf, Paris 1991). A ciò si<br />

affianca la traduzione francese dell’ormai<br />

classico studio di Karl Löwith:<br />

Nietzsche: philosophe de l’éternel<br />

retour du même (Nietzsche:<br />

filosofo dell’eterno ritorno, Calmann-<br />

Lévy, Paris 1991) e dell’altrettanto classico<br />

Introdution 9 Nietzsche (Introduzione<br />

a Nieztsche, Ed Univ/ De<br />

Boeck Université 1991) di Gianni<br />

Vattimo. Completa la panoramica un<br />

volume collettivo, Pourquoi nous ne<br />

sommes pas nietzschéens?” (Perchè<br />

non siamo nietzscheani, Grasset, Paris<br />

1991), che si presenta come il manifesto<br />

di una generazione intellettuale<br />

che prende posizione rispetto agli anni<br />

e ai maestri (“padri”) della loro formazione,<br />

ossia coloro che avevano dato<br />

vita alla “Nietzsche-Renaissance”<br />

degli anni ‘6O.<br />

Lo stacco avviene sul piano politico in base<br />

all’”esigenza ancestrale di razionalità”, rispetto<br />

alla quale la filosofia incendiaria di<br />

Nietzsche comporterebbe nefaste e mortifere<br />

conseguenze nel dominio dell’azione<br />

pubblica e della società democratica. Scontro<br />

generazionale? Eredità edipica? Gusto<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

polemico? Sia quel che sia, per gli autori in<br />

questione: A. Boyer, A. Compte-<br />

Sponville, V. Descombes, L. Ferry, R.<br />

Legros, P. Raynaud, A. Renaut, P.-A.<br />

Taguieff, Nietzsche è un punto di non<br />

ritorno della filosofia e soprattutto della<br />

critica alla tradizione metafisica occidentale.<br />

La posta in gioco non è tanto una<br />

visione dell’essere, quanto la possibile “presa”,<br />

da parte della riflessione filosofica,<br />

sulla realtà politico-pubblica.<br />

La questione è: fino a che punto è possibile<br />

seguire la critica nietzscheana della tradizione<br />

razionalista? Cosa comporta questa<br />

posizione sul piano dell’azione libera e<br />

responsabile degli individui? Detto altrimenti:<br />

lo stile decostruzionista, critico, caro<br />

alla “Nietzsche-Renaissance”, non mina<br />

alla base la “passione democratica”? L.<br />

Ferry e A. Renaut pongono questa alternativa:<br />

di fronte all’erosione della tradizione<br />

da parte della critica, da un lato, e<br />

l’intrinseca debolezza della democrazia dall’altro,<br />

la fondazione e la legittimità dei<br />

valori pubblici, comunicabili, condivisibili<br />

(e cioè: le norme, le istituzioni, i criteri)<br />

diventano estremamente complesse. Due<br />

sono allora i possibili atteggiamenti: il primo,<br />

a cui si richiamano gli stessi Ferry e<br />

Renaut e filosofi come Rawls, Apel, si<br />

propone di «approfondire i presupposti teorici<br />

e le modalità pratiche del modello della<br />

deliberazione argomentativa». Il secondo,<br />

a cui parteciperebbe Mac Intyre, per esempio,<br />

denuncia insormontabile il vuoto di<br />

punti di riferimento reali e attacca la fragilità<br />

della democrazia per «interrogarsi sulle<br />

possibilità di far sorgere, attraverso una<br />

critica della moderna democrazia, l’analogo<br />

contemporaneo di un universo tradizionale».<br />

L’aut-aut è chiaro: argomentazione<br />

contro tradizione, democrazia contro neo<br />

conservatorismo, deliberazione pubblica<br />

contro autorità. Nietzsche a questo proposito<br />

costituisce l’espressione più raffinata<br />

della prospettiva neo-conservatrice, che<br />

mira a trovare un analogo della tradizione,<br />

e il confronto diretto con la sua acutezza<br />

d’analisi permetterebbe di misurarsi con<br />

gli effetti “perversi” di tale opzione. D’altra<br />

parte il rapporto con Nietzsche non puo’<br />

che essere contraddittorio. La critica nietzscheana<br />

della scienza, della modernità,<br />

della razionalità è certo convincente, se<br />

non seducente. Ma Nietzsche non è un<br />

bieco e ingenuo conservatore: il processo<br />

della modernità è irriversibile. Nietzsche<br />

ricerca allora il “grande stile “, perseguendo<br />

l’ideale di un’integrazione delle forze<br />

vitali, di una intensificazione della vita<br />

creativa, estetica “sovraumana”: una «gerarchizzazione<br />

armoniosa delle forze vitali<br />

che corrisponderebbe all’analogo dell’universo<br />

della tradizione».<br />

Da qui sorgono due questioni. Da un lato:<br />

può l’eterno ritorno avere un carattere dialettico?<br />

Dall’altro: come conciliare nello<br />

stesso Nietzsche quello strano misto fra<br />

autonomia (super/oltre uomo ) e gerarchia<br />

(cosmologia, eterno ritorno dell’identico)?<br />

Questo “misto” sarebbe possibile, affermano<br />

Ferry e Renaut, «se l’integrazione di<br />

cio’ che la modernità ha conquistato non<br />

costringesse a rompere, per sempre, con<br />

l’eventuale eredità degli Antichi». Su questa<br />

linea si situa anche l’intervento di P.<br />

Raynaud, che propone di rilanciare una<br />

certa strategia nietzscheana: come il filosofo<br />

tedesco ha saputo fare dell’Aufklarung<br />

uno strumento per criticare dall’interno la<br />

ragione, così il suo “irrazionalismo” puo’<br />

divenire un mezzo per perseguire e non<br />

rinunciare all’emancipazione delle<br />

Lumières. Secondo Raynaud «il compito<br />

della filosofia politica sarebbe allora di<br />

prendere il pensiero nietzscheano come<br />

antidoto dello spirito moderno, o meglio<br />

come un mezzo privilegiato per l’autocritica<br />

della modernità». A questo proposito<br />

l’autore dà luogo a un confronto molto<br />

stringente fra Nietzsche e Weber, al quale<br />

viene attribuita una critica di stile nietzscheano<br />

della modernità, il cui esito sarebbe<br />

una discussione della medesima e<br />

non un suo oltrepassamento.<br />

Sebbene questa raccolta non apporti nessun<br />

particolare contributo innovativo all’interpretazione<br />

del pensiero nietzscheano,<br />

è pur vero che il lettore francese, di<br />

questi tempi, ha la possibilità di mettere a<br />

confronto punti di vista differenti sul pensiero<br />

di Nietzsche. Chi accostasse le traduzione<br />

francesi delle monografie di Karl<br />

Löwith, da un lato, e di Gianni Vattimo,<br />

dall’altro, avrebbe molti elementi per rivisitare<br />

il problema dell’essere o non essere<br />

“nietzscheani”. La lettura di Löwith può<br />

essere considerata un “antidoto” al manifesto<br />

generazionale degli intellettuali francesi<br />

in rapporto a Nietzsche: l’interpreta-


zione dell’eterno ritorno proposta da Löwith<br />

porta più sulla cosmologia nietzscheana<br />

che non sul suo naturalismo metafisico.<br />

D’altra parte l’interpretazione di Vattimo<br />

può essere letta come correttivo della visione<br />

riduttiva dell’alternativa argomentazione-tradizione,<br />

nel momento in cui la tradizione<br />

metafisica viene rivisitata come destino<br />

dell’essere e l’ermeneutica dal canto<br />

suo ha di mira la semplice opposizione<br />

autorità-conformità-passato e argomentazione-deliberazione-presente.<br />

Un ‘altra iniziativa considerevole è la pubblicazione<br />

degli atti del recente colloquio<br />

dedicato ai rapporti fra Nietzsche e gli<br />

intellettuali ebrei, raccolti con il titolo: De<br />

Sils Marie a Jerusalem, da D. Bourel e di<br />

J. Le Rider. A partire dagli anni 1874/5 la<br />

ricezione del filosofo nel mondo ebraico è<br />

stata complessa: per certi sionisti Nietzsche<br />

offriva l’esempio di un rovesciamento fecondo<br />

dei valori borghesi della vecchia<br />

Europa; per altri proponeva una filosofia<br />

d’élite che andava semplicemente liberata<br />

dalla sua tonalità troppo tedesca. In epoca<br />

più recente l’influenza nietzscheana ha giocato<br />

un ruolo importante nel divenire-ebreo<br />

di autori come Rosenzweig, Scholem,<br />

Buber. Fermo restando l’ambiguità di<br />

Nietzsche nei confronti degli ebrei, la tesi<br />

più interessante che questa raccolta suggerisce<br />

è che l’antisemitismo nietzscheano<br />

dipenda più da un filoellenismo, che da un<br />

odio reale per gli ebrei. Inoltre bisogna<br />

considerare la reale ignoranza degli ebrei<br />

da parte del filosofo tedesco, e non solo di<br />

quelli del suo tempo, ma anche di quelli<br />

dell’Antico Testamento, tant’è che per<br />

Nietzsche gli ebrei più ebrei sono Gesù e<br />

Paolo.<br />

Segnaliamo qui infine un’iniziativa delle<br />

edizioni La Pléiade, che a partire dal ’94<br />

avvieranno la pubblicazione delle opere<br />

complete di Nietzsche sulla base della edition<br />

grise di Gallimard. F.M.Z.<br />

Chi è Nietzsche?<br />

Tra i vari studi critici recentemente<br />

pubblicati in Italia sulla figura e l’opera<br />

di Friedrich Nietzsche, alcuni sembrano<br />

orientarsi in particolare verso una<br />

tendenza interpretativa che vede il filosofo<br />

tedesco più come moralista e<br />

“profeta”, che come filosofo sistematico.<br />

Segnaliamo in tal senso la pubblicazione<br />

di una conferenza di Hans-<br />

Georg Gadamer, Il dramma di<br />

Zarathustra (a cura di Carlo Angelino,<br />

Il Melangolo, Genova 1991) e il saggio<br />

di uno dei maggiori interpreti dell’opera<br />

di Nietzsche, Sossio Giametta,<br />

Nietzsche, il poeta, il moralista,<br />

il filosofo. Saggio su<br />

Così parlò Zarathustra (prefazione<br />

di Claudio Magris, Garzanti, Milano<br />

1991). Notevole contributo a questa<br />

tendenza interpretativa viene peraltro<br />

dall’edizione critica delle opere di<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

Nietzsche, curata da Giorgio Colli e<br />

Mazzino Montanari, di cui è recente la<br />

pubblicazione di La gaia scienza.<br />

Idilli di Messina e frammenti<br />

postumi 1881-1882 (Adelphi, Milano<br />

1991);<br />

Raccolta di aforismi composti tra il 1881 e<br />

il 1882, La gaia scienza appartiene al cosiddetto<br />

“periodo illuminista” di Friedrich<br />

Nietzsche. E’ il periodo che segna il distacco<br />

dalla metafisica di Schopenhauer e dall’arte<br />

di Wagner, che aveva preso coloriture<br />

fin troppo misticheggianti per i gusti di<br />

Nietzsche: il reciproco dono di una copia<br />

del Parsifal e di una di Umano - troppo<br />

umano fu tra i due un «incrociarsi di spade»,<br />

come ebbe a dire il filosofo. In questo<br />

contesto prende forma la “filosofia del mattino”:<br />

religione greca, metafisica schopenhaueriana<br />

e arte wagneriana decadono ora<br />

a “illusioni”, ad apparenze che devono essere<br />

smascherate, e tale smascheramento è<br />

delegato alla “scienza”. In Umano - troppo<br />

umano la scienza che smaschera è la psicologia;<br />

essa però non è ancora “gaia”, poiché<br />

il livore con cui metafisica, religione e arte<br />

appaiono “maschere” degli umani impulsi<br />

non permettono ancora quella “leggerezza”<br />

che è condizione imprescindibile dello<br />

spirito liberato, e che si concretizza in una<br />

presa di distanza dalla scienza stessa. E’<br />

questo il punto di vista che viene raggiunto<br />

con la Gaia scienza, che è tale proprio<br />

perché essa non è né la forma esistenziale,<br />

né la verità ontologica dello spirito libero,<br />

ma solo lo strumento per la sua liberazione.<br />

Qui la forma aforistica prepara già il “pensare<br />

poetico” di Così parlò Zarathustra,<br />

ideato e composto fra il 1881 e il 1885.<br />

Questo non è casuale, spiega Sossio<br />

Giametta nel suo recente studio critico,<br />

dato che Nietzsche è “filosofo per necessità”:<br />

prima di tutto scettico, poi moralista e<br />

infine, di conseguenza, poeta, quando deve<br />

comunicare un pensiero che è “per tutti e<br />

per nessuno”. Pensiero che è in verità incomunicabile,<br />

sicchè per Nietzsche la filosofia,<br />

strumento per la vita, deve assumere<br />

necessariamente di volta in volta i caratteri<br />

dell’invettiva rapsodica e asistematica degli<br />

aforismi, piuttosto che la forma sapienziale<br />

del poema oracolare. Non si tratta<br />

però di una opportuna commistione fra un<br />

pensiero non sufficientemente “fine”, o<br />

troppo “freddo”, e la poesia, che gli fornisce<br />

le nuances, o anche solo le immagini<br />

necessarie a esprimere la “vita”. Si tratta<br />

invece, suggerisce Giametta nelle trecento<br />

pagine del suo saggio, di un diverso interesse,<br />

che si esprime anche con lo strumento<br />

della filosofia.<br />

E’ dunque una forzatura ricondurre le riflessioni<br />

in forma aforistica della Gaia<br />

scienza, e ancor più quelle in forma poetica<br />

dello Zarathustra, a un impianto concettuale<br />

sistematico; tesi questa che accomuna<br />

Giametta a Mazzino Montanari - di cui<br />

Giametta fu collaboratore - e che figura<br />

come presupposto filologico all’edizione<br />

critica dell’opera completa di Nietzsche.<br />

“Superuomo”, “morte di Dio”, “eterno ritorno”<br />

non valgono dunque come concetti,<br />

ma come “idee limite”: la posizione di<br />

Nietzsche nei confronti della “funzione<br />

logica della filosofia” è negativa; la filosofia<br />

“serve” per la vita dell’uomo non per<br />

interpretare la realtà dell’essere, ma per<br />

viverla, e a questo scopo devono essere<br />

orientati i suoi concetti. Nietzsche stesso,<br />

quando si autocomprende come filosofo,<br />

cade nell’errore che egli stesso rimprovera<br />

ai filosofi: ipostatizzando posizioni quali il<br />

rifiuto vitalistico della teoria e della religione,<br />

egli dimentica la leggerezza del canto<br />

e della danza e va avanti a parlare, cioè<br />

a filosofare. Eppure, proprio perché dietro<br />

alla posizione dello scettico c’è quella del<br />

moralista, e dietro quella del moralista quella<br />

di un credente in un sistema di valori,<br />

occorre chiedersi fino a che punto non<br />

fosse necessario il fraintendimento, o l’autofraintendimento,<br />

della “battaglia filosofica”<br />

nietzscheana. Sorge addirittura il sospetto<br />

che, perfino sul piano storiografico,<br />

potesse avere ragione Heidegger, quando<br />

collocava Nietzsche sulla vetta più alta del<br />

cammino della filosofia occidentale - e<br />

comunque al di qua del crinale - come<br />

l’ultima figura del soggettivismo della metafisica.<br />

Con l’interpretazione heideggeriana della<br />

tensione tra vita e saggezza in Nietzsche fa<br />

i conti anche Hans-Georg Gadamer nel<br />

suo libretto: Il dramma di Zarathustra, che<br />

presenta il testo di una conferenza tenuta in<br />

occasione del centenario della pubblicazione<br />

dell’opera nietzscheana. Nietzsche,<br />

prima che filosofo, è anzitutto un “inguaribile<br />

moralista”, uno “sperimentatore straordinario”;<br />

per questo Gadamer nega che la<br />

forma letteraria scelta per lo Zarathustra<br />

possa essere poi ripudiata a favore di una<br />

presunta maggior sistematicità teoretica.<br />

Singolare caso di incompatibilità profonda,<br />

quella delle filosofie di Nietzsche e<br />

Gadamer. Se, come ricorda Carlo Angelino<br />

nella sua Prefazione al testo gadameriano,<br />

la coscienza della finitezza umana rappresenta<br />

il presupposto dell’ermeneutica filosofica<br />

di Gadamer, proprio questo presupposto<br />

è l’obiettivo polemico di Nietzsche.<br />

Quella di Gadamer è una filosofia fondata<br />

su una coscienza che è anzitutto autocoscienza<br />

della propria storicità, cioè del proprio<br />

essenziale pro-venire. Il gioco cosmico<br />

nietzscheano si pone invece nella dimensione<br />

sovratemporale dell’eterno ritorno,<br />

in quell’implosione dell’attimo nella<br />

quale si avvita e precipita la relazione<br />

causale, fondata sulla temporalità del rapporto<br />

di successione.<br />

Nonostante però la lontananza delle prospettive<br />

e il fatto che Gadamer dichiaratamente<br />

non ami lo Zarathustra, penetrante è<br />

la sua analisi del testo, da lui ritenuto anzitutto<br />

«un’opera d’arte letteraria», dalla quale<br />

non è affatto facile, e forse neppure legittimo,<br />

estrapolare «un universo di concetti<br />

unitario». Se non si tiene in adeguato conto<br />

questo fatto si va incontro a un duplice,<br />

possibile fraintendimento. Il primo riguar-


da il rischio di irrigidire concettualmente<br />

alcune intuizioni di Nietzsche, incagliando<br />

il suo pensiero in contraddizioni apparentemente<br />

insanabili, come quella a cui giunge<br />

ad esempio Karl Löwith, rendendo inconciliabile<br />

l’idea dell’”eterno ritorno” con<br />

quella di “volontà di potenza”. Merito precipuo<br />

di Heidegger, dice Gadamer, è stato<br />

proprio quello di aver composto questo<br />

apparente contrasto, mostrando come l’anello<br />

dell’eterno ritorno e la volontà di<br />

potenza siano facce di una stessa medaglia,<br />

la dissoluzione del problema del senso e<br />

della causalità finalizzata. Il secondo rischio<br />

di fraintendimento consiste nell’identificazione<br />

della figura di Zarathustra<br />

con Nietzsche stesso. Bisogna invece tener<br />

conto del fatto, osserva Gadamer, che lo<br />

Zarathustra di Nietzsche è composto non<br />

solo dai discorsi, ma anche dalla vicenda di<br />

Zarathustra. Quello che ne esce, e che costituisce<br />

il frutto teoretico dell’opera, è la<br />

tensione fra vita e sapere: cercare la saggezza<br />

preclude la vita, ma preclude anche<br />

la saggezza stessa, perché essa è accettazione<br />

della vita, amor fati. F.C.<br />

Nietzsche alla ribalta<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

Friedrich Nietzsche<br />

nel mondo anglosassone<br />

L’interesse che il pensiero nietzscheano<br />

sta riscuotendo nei paesi anglosassoni<br />

sorprende non solo gli studiosi<br />

europei, ma lo stesso mondo intellettuale<br />

di quei paesi. Colpisce innanzitutto<br />

la quantità degli studi sul pensiero<br />

di Nietzsche apparsi tra il 1990<br />

ed il 1991 presso le maggiori case<br />

editrici inglesi e americane. Dare una<br />

spiegazione esauriente di questo fenomeno<br />

é cosa complessa; certamente<br />

si può dire che con queste pubblicazioni<br />

gli studi su Nietzsche nella cultura<br />

anglo-americana hanno raggiunto<br />

una maturità in grado di riconoscere<br />

in questo filosofo un pensatore di eccezionale<br />

importanza, sottraendolo all’abbraccio<br />

soffocante del “nuovo<br />

Nietzsche decostruzionista”, sia al severo<br />

giudizio della filosofia analitica.<br />

Lo studio di Robert John Ackerman,<br />

Nietzsche: a frenzied look (Nietzsche: uno<br />

sguardo amichevole, University of Massachusetts<br />

Press, Amherst 1990), è il frutto di<br />

anni di riflessioni e di insegnamento. La<br />

sua discussione poco sistematica del filosofo<br />

non ha come scopo di descrivere ciò<br />

che Nietzsche è stato o ha detto, ma di<br />

fornire delle risposte alle problematiche<br />

nietzschiane, mettendo in evidenza il proprio<br />

punto di vista. I limiti di una tale lettura<br />

vengono d’altra parte sollevati dallo stesso<br />

Ackerman nell’introduzione.<br />

Al Nietzsche degli anni de La nascita della<br />

tragedia (1872) è dedicato il libro di John<br />

Sallis, Crossings: Nietzsche and the space<br />

of tragedy (Passaggi: Nietzsche e lo spazio<br />

della tragedia, University of Chicago Press,<br />

Chicago 1991). Utilizzando spesso un gergo<br />

heideggeriano-derridiano - in genere<br />

mal sopportato dai lettori anglo-americani<br />

- Sallis critica l’idea semplicistica e comunemente<br />

accettata secondo cui la prima<br />

filosofia nietzscheana è quasi interamente<br />

debitrice del pensiero di Schopenhauer.<br />

Mettendo in evidenza i testi greci su cui<br />

presumibilmente Nietzsche studiò, in particolare<br />

Euripide, Sallis riesce a fornire una<br />

interpretazione alternativa.<br />

In Nietzsche and the question of interpretation:<br />

between hermeneutics and decon


struction (Nietzsche e il problema dell’interpretazione:<br />

tra ermeneutica e decostruzione,<br />

Routledge, London 1990) Alan D.<br />

Schrift cerca di trovare un punto di unione<br />

tra l’interpretazione di Nietzsche avanzata<br />

da Heidegger e quella fornita da differenti<br />

pensatori contemporanei francesi, fra cui<br />

Derrida. Pur restringendo la sua attenzione<br />

solo a una parte dei pensatori implicati,<br />

Schrift affronta questo difficile compito in<br />

maniera lodevole, mentre la lettura che egli<br />

propone di Nietzsche, improntata a un pluralismo<br />

interpretativo, in cui l’attenzione<br />

filologica è congiunta a uno sviluppo della<br />

nostra capacità di interpretazione creativa,<br />

appare meno incisiva e non sufficentemente<br />

articolata. Un’alternativa più radicale al<br />

Nietzsche decostruzionista per quanto riguarda<br />

il problema della verità, della conoscenza<br />

e della filosofia sembra essere quella<br />

offerta da Maudemarie Clark in<br />

Nietzsche on truth and philosophy<br />

(Nietzsche, sulla verità e sulla filosofia,<br />

Cambridge University Press, Cambridge<br />

1991). Secondo l’autrice, la negazione della<br />

possibilità della conoscenza e il rifiuto<br />

del vero, che caratterizzano il primo pensiero<br />

di Nietzsche, sono dovuti in particolare<br />

all’idea dell’esistenza della cosa in sé<br />

e al modello rappresentazionale della percezione<br />

ad essa associato, di cui egli inizialmente<br />

era prigioniero. Una volta liberatosi<br />

da questi legami, Nietzsche riesce però<br />

a ripensare in maniera significante il vero e<br />

la conoscenza. Clark interpreta questo passaggio<br />

non come una ricaduta in una posizione<br />

pre-nichilistica, ma come un superamento<br />

del nichilismo, che permette a<br />

Nietzsche di sviluppare una posizione che<br />

si potrebbe dire “neo-kantiana”. Pertanto<br />

l’esito del pensiero nietzscheano non condurrebbe<br />

verso la dissoluzione del concetto<br />

di vero e di conoscenza, ma al contrario ad<br />

una nuova vita di questi due concetti. Ciò<br />

tuttavia non è sufficiente, fa notare Clark,<br />

per affermare una rinascita della metafisica<br />

sotto gli auspici nietzscheani.<br />

Alistair Moles, nel suo Nietzsche’s<br />

philosophy of nature and cosmology (La<br />

filosofia della natura e la cosmologia di<br />

Nietzsche, Lang, New York 1989), cerca di<br />

chiarire l’interpretazione della vita e del<br />

mondo, quale emerge sia negli scritti pubblicati,<br />

che in quelli non pubblicati di<br />

Nietzsche. Ne scaturisce una sorta di filosofia<br />

della natura e di cosmologia caratterizzata<br />

da un intento che oltrepassa quello<br />

scientifico. Con essa Nietzsche non solo<br />

critica l’interpretazione tradizionale della<br />

vita e del mondo, ma esprime anche una sua<br />

propria opinione su questi concetti, tanto<br />

che il libro di Moles può essere considerato<br />

uno dei più profondi tentativi apparsi fino<br />

ad oggi di chiarire che cosa Nietzsche abbia<br />

voluto affermare su questi argomenti, demolendo<br />

in maniera pressoché definitiva<br />

quell’interpretazione semplicistica che attribuiva<br />

a Nietzsche la caratterizzazione<br />

della vita e del mondo esclusivamente in<br />

termini di volontà di potenza. Un approccio<br />

completamente diverso é invece quello<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

adottato da Henry Staten nel suo<br />

Nietzsche’s voice (La voce di Nietzsche,<br />

Cornell University Press, Ithaca/NY 1990),<br />

in cui si tenta di dare un’interpretazione<br />

psicoanaliticamente orientata dei testi nietzschiani.<br />

Un’operazione questa giustificata<br />

in parte dal fatto che Nietzsche stesso<br />

utilizzò frequentemente “letture psicologiche”<br />

di altri filosofi.<br />

Within Nietzsche’s labyrinth (Nel labirinti<br />

di Nietzsche, Ruotledge, London 1990) di<br />

Alan White 6 uno dei libri più complessi.<br />

White appare come il lettore e l’interlocutore<br />

ideale di Nietzsche, soprattutto se lo si<br />

considera come un sostenitore dell’elemento<br />

dionisiaco della filosofia nietzscheana.<br />

Le teorie di Nietzsche sulla tragedia e la sua<br />

concezione genealogica sono seguite da<br />

un’estesa riflessione sulla resurrezione dell’anima<br />

di Zarathustra; una sezione finale<br />

del libro considera questa interpretazione<br />

in rapporto alla comprensione della concezione<br />

nietzscheana della vita umana. In<br />

connessione con l’impostazione interpratativa<br />

di White si può collocare lo studio di<br />

Leslie Paul Thiele, Friedrich Nietzsche<br />

and the politics of the soul: a study of<br />

heroic individualism (F. Nietzsche e la<br />

politica dell’anima: uno studio di individualismo<br />

eroico, Princeton University<br />

Press, 1990), che aggiunge alle considerazioni<br />

sulla rivalutazione del genere umano<br />

un’analisi dei vari tipi umani, su cui<br />

Nietzsche ha posto la sua attenzione: il<br />

filosofo, l’artista, il santo, l’eremita, il super-uomo.<br />

Tutta questa interpretazione soggiace<br />

però alla semplicistica assunzione<br />

come idea guida dell’individualismo eroico.<br />

Infine la discussione sul valore, sull’etica,<br />

sulla politica e sulla loro reciproca<br />

connessione, sviluppata da Lester H. Hunt<br />

nel suo Nietzsche and the origin of virtue<br />

(Nietzsche e l’origine della virtù, Routledge,<br />

London 1991), è un tentativo di considerare<br />

che cosa abbia prodotto in Nietzsche<br />

l’immoralismo e la rivalutazione dei valori,<br />

con cui il filosofo non ha voluto semplicemente<br />

criticare i luoghi comuni circa la<br />

morte e i valori, ma mostrare la strada per<br />

una riorientazione della teoria morale e<br />

politica secondo una concezione del valore<br />

e della virtù, svincolata da un pensiero antinaturalistico.<br />

V.R.<br />

Il dibattito sul libero arbitrio<br />

Nel mondo anglo-sassone il dibattito<br />

sul libero arbitrio ha sempre suscitato<br />

grande interesse, forse anche a causa<br />

della sua associazione con ciò che può<br />

essere definito come la “speranza della<br />

nostra vita”, cioé la nostra propensione<br />

a considerarci come unici responsabili<br />

del nostro carattere e delle<br />

nostre scelte, piuttosto che vittime<br />

della natura, del destino o di altro che<br />

sia, incluso Dio. A partire circa dal<br />

1980 si può constatare un’ulteriore<br />

rinascita di questo dibattito, che vede<br />

la recente pubblicazione di una serie<br />

di studi sul tema: Free will and the<br />

christian faith (Il libero volere e<br />

la fede cristiana, Clarendon, Oxford<br />

1991), di W. S. Anglin; The dilemma<br />

of freedom and foreknowledge (Il<br />

dilemma della libertà e della preconoscenza,<br />

Oxford University Press,<br />

Oxford 1991), di Linda Trinkaus<br />

Zagzebski; The non-reality of free<br />

will (La non-realtà del libero volere,<br />

Oxford University Press, Oxford 1990),<br />

di Richard Double; Freedom within<br />

reason (La libertà nella ragione,<br />

Oxford University Press, Oxford 1990),<br />

di Susan Wolf. Altri saggi affrontano<br />

invece le radici del problema, analizzando<br />

per esempio il concetto di libertà<br />

in filosofi come Kant, quasi per operare<br />

una sorta di legittimazione del<br />

dibattito. E’ il caso dell’opera di Henry<br />

E. Allison, Kant’s theory of freedom<br />

(La teoria della libertà di Kant,<br />

Cambridge University Press,<br />

Cambridge 1990).<br />

In Free will and the Christian faith, W. S.<br />

Anglin afferma che la speranza dell’uomo<br />

di sentirsi padrone della propria vita, può<br />

essere raggiunta solo se si possiede un<br />

libero arbitrio, una capacità di scegliere i<br />

valori e i propri scopi indipendentemente<br />

da ogni determinismo. Una tale concezione<br />

della libertà umana può conciliarsi con<br />

l’ortodossa dottrina cristiana dell’onnipotenza,<br />

onniscienza e bontà di Dio, apportando<br />

un contributo interessante al dibattito<br />

sul problema cristiano del male, dell’immortalità<br />

e della rivelazione. A differenza<br />

di molti altri filosofi, Anglin non elimina<br />

gli argomenti più deboli a favore del libero<br />

arbitrio, proponendo una completa ed informata<br />

visione delle recenti controversie<br />

su questo tema. Linda Trinkaus Zagzebski<br />

mostra invece diffidenza nell’appellarsi all’argomento<br />

della causazione e una certa<br />

ritrosia nel risolvere l’apparente conflitto<br />

tra la pre-conoscenza divina e la libertà<br />

umana. Zagzebski analizza criticamente le<br />

tre soluzioni tradizionali di questo dilemma,<br />

quella dovuta a Boezio, a Ockham, e<br />

alla scolastica spagnola del sedicesimo secolo,<br />

in particolare a Luis de Molina. A<br />

queste soluzioni, Zagzebski oppone tre argomentazioni<br />

alternative, che tuttavia non<br />

convincono pienamente, dato che ciascuna<br />

si appoggia ad assunzioni discutibili, non<br />

potendo ammettere, come soluzione del<br />

problema, un’impostazione che limiti la<br />

pre-conoscenza divina. In definitiva, sia<br />

Anglin, che Zagzebski affermano che l’idea<br />

di un libero volere, non deterministico<br />

e non causale, é necessaria per dare significato<br />

alla speranza della vita umana e al<br />

credo teistico. Ma essi pongono poca attenzione<br />

al problema centrale se il libero arbitrio,<br />

che in senso tradizionale é il fautore,<br />

sia attaccabile o intelligibile.<br />

In The non-reality of free will Richard<br />

Double affronta ogni teoria corrente con<br />

argomenti provocatori, spesso originali.


Egli afferma che le nostre idee di libero<br />

volere e di responsabilità morale sono un<br />

misto di fattori pragmatici, ideologici, convenzionali<br />

e psicologici, che non si basano<br />

su fatti oggettivi. Prendendo a prestito una<br />

terminologia propria della psicologia cognitiva,<br />

Double pensa che il concetto di<br />

libero arbitrio sia un concetto “esemplare”,<br />

il cui significato 6 determinato dai paradigmi<br />

applicati; inoltre esso possiede molteplici<br />

modelli contradittori, che non potendo<br />

essere conciliati tra loro inducono Double<br />

ad affermare la non realtà del libero volere.<br />

Come Double, anche Susan Wolf, in<br />

Freedom within reason, rifiuta l’interpretazione<br />

tradizionale dell’agire, criticando<br />

la teoria compatibilista, che cerca di armonizzare<br />

il libero volere con il determinismo.<br />

Difendendo essenzialmente un pluralismo<br />

normativo, Wolf afferma che un individuo<br />

6 responsabile unicamente se 6 in<br />

grado di formare le proprie azioni sulla<br />

base di ciò che è vero e buono; il che<br />

dovrebbe significare, non senza una certa<br />

ambiguità, che le persone sono moralmente<br />

responsabili solo se possiedono la capacità<br />

di agire giustamente per buoni motivi.<br />

«L’idea della libertà non potrà mai ammettere<br />

una piena comprensione» - sosteneva<br />

Kant - intendendo con ciò il fatto che la<br />

libertà, poiché richiede assenza di determinazione<br />

causale, non potrà mai essere spiegata.<br />

La nostra conoscenza è confinata agli<br />

oggetti dell’esperienza possibile, in quanto<br />

sottoposta al principio di causalità. Inoltre<br />

non possiamo nemmeno comprendere pienamente<br />

perché il concetto di causalità sia<br />

una categoria fondamentalmente implicita<br />

nei nostri giudizi, nella nostra rappresentazione<br />

delle cose. Cosí Henry Allison cerca<br />

di chiarire e difendere l’affermazione di<br />

Kant, secondo cui l’assenza della causalità<br />

è una condizione per l’esistenza dell’azione<br />

razionale e per la responsabilità morale.<br />

Per Kant l’individuo che agisce secondo<br />

ragione non agisce semplicemente per soddisfare<br />

i propri desideri, ma in quanto egli<br />

valuta se questi desideri siano degni o non<br />

degni di essere perseguiti. Tuttavia questo<br />

atto di valutazione, osserva Allison, non<br />

deve essere pensato come una conseguenza<br />

causale dei desideri dell’individuo. Questa<br />

nozione di valutazione non-causale é il<br />

cuore di molti argomenti kantiani sul rapporto<br />

tra libertà, razionalità e morale.<br />

Anche all’interno della teoria dell’idealismo<br />

trascendentale Allison tenta di salvare<br />

la concezione della libertà di Kant, ma<br />

travalica il pensiero kantiano, non rimanendogli<br />

fedele. L’idealismo trascendentale,<br />

sostiene Allison, può essere interpretato<br />

in due differenti maniere: la prima<br />

concepisce il mondo delle cose in sé e<br />

quello delle apparenze come due mondi<br />

separati; la seconda considera l’esistenza<br />

di un solo mondo, giudicato in due maniere<br />

differenti, o come concepito da noi, soggetto<br />

dunque a una connessione spaziotemporale<br />

o causale, o come indipendente<br />

da queste condizioni implicite nell’esperienza<br />

umana. Per Allison, la prima inter-<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

pretazione toglie valore alla libertà, rendendola<br />

inaccessibile e senza rilevanza rispetto<br />

al mondo in cui noi viviamo, mentre<br />

la seconda implica la possibilità dell’esistenza<br />

di un duplice problema della libertà.<br />

V.R.<br />

Ritorno alla Grecia<br />

Che significato ha per i moderni il<br />

culto degli antichi dei greci? E’ questo<br />

il tema comune sotto il quale possono<br />

essere riassunte tendenze di pensiero<br />

per molti aspetti diverse, come quelle<br />

sviluppate da Friedrich Otto, James<br />

Hillmann e Hans Blumenberg. Per tutti<br />

questi autori, in ogni caso, quello<br />

greco è un “paesaggio dell’anima”,<br />

condizione ontologico-esistenziale ineludibile.<br />

Walter Otto sta recentemente<br />

conoscendo in Italia, dopo le<br />

prime traduzioni degli anni Quaranta,<br />

una notevole attenzione editoriale: alla<br />

traduzione italiana, cinquantasette<br />

anni dopo la sua comparsa in Germania,<br />

di Dioniso. Mito e culto<br />

(traduzione di Albina Ferretti Calenda<br />

Il Melangolo, Genova 1990), fa seguito<br />

quella de Il poeta e gli antichi<br />

dei (traduzione di Monica Ferrando,<br />

introduzione di Gianni Carchia, Guida,<br />

Napoli 1991). Di James Hillmann, invece,<br />

è da segnalare Vana fuga dagli<br />

Dei (traduzione di Adrian a Bottini<br />

Adelphi, Milano 1991), mentre di<br />

Hans Blumenberg, la sua voluminosa<br />

Elaborazione del mito (a cura di<br />

Bruno Argenton, introduzione di<br />

Gianni Carchia, Il Mulino, Bologna<br />

1991).<br />

Per Walter Friedrich Otto, filologo classico<br />

e storico delle religioni, la comprensione<br />

della breve stagione storica della<br />

religiosità degli antichi Greci è la chiave<br />

indispensabile per quella della modernità.<br />

Non si tratta solo di trovare - come in fondo<br />

è per Hillmann - in questa o quella figura<br />

della costellazione religiosa o mitologica<br />

greca, un archetipo mentale o psichico sovrastorico;<br />

né, tantomeno, “scientificamente”,<br />

cioè razionalisticamente e positivisticamente,<br />

di ridurre quella greca e, in genere,<br />

tutte le forme di religiosità, a produzione<br />

storica legata a uno stadio “infantile”<br />

dell’umanità. A parere di Otto è la forma di<br />

religiosità greca nel suo complesso, la sua<br />

peculiare concezione del sacro, a costituirsi<br />

per noi come problema, tanto nella sua<br />

presenza, quanto nella rimozione, vera o<br />

apparente, subita da questa concezione ad<br />

opera del cristianesimo e della scienza moderna.<br />

Quando Otto prende in considerazione<br />

una figura particolare dell’universo<br />

mitologico greco, lo fa perché ritiene che in<br />

essa emergano i caratteri salienti di questo<br />

universo nel suo complesso. E’ il caso dello<br />

studio su Dioniso, in cui Otto tematizza la<br />

questione della dimensione greca del sa-<br />

cro. Un testo ormai “classico”, rappresentativo<br />

di una prospettiva di ricerca nel campo<br />

dell’antichistica che si impose in Germania<br />

negli anni Venti e Trenta; si ricordi<br />

almeno, a questo proposito, Karl<br />

Reinhardt, del quale è stato recentemente<br />

tradotto lo studio su Sofocle (Il Melangolo,<br />

Genova 1990).<br />

Gli approcci etnologici, antropologici al<br />

problema del sacro, per il solo fatto appunto<br />

di essere “logici”, cioè “scientifici”, non<br />

colgono il segno del problema e si rendono<br />

perciò responsabili dell’”oblio del sacro”.<br />

Il libro di Otto vuole essere dunque innanzitutto<br />

una difesa della “specificità del sacro”<br />

contro ogni impostazione positivistica,<br />

ma anche, difesa della specificità del<br />

sacro in Grecia: lo “spirito greco”, radice<br />

della cultura occidentale, è un prodotto<br />

unico, irripetibile. Il mito e il rito sono ciò<br />

da cui traluce la “profondità” del divino<br />

greco, che nel culto di Dioniso manifesta le<br />

sue caratteristiche essenziali.<br />

Ne Il poeta e gli antichi dei, Otto mette più<br />

direttamente a fuoco il problema, impostosi<br />

soprattutto a partire dal neoclassicismo,<br />

del valore della grecità per l’uomo moderno.<br />

Goethe e Hölderlin sono le due figure<br />

che mettono fine all’illusione, già propria<br />

dell’età romana, di quella rinascimentale e<br />

di gran parte del neoclassicismo, della possibilità<br />

di un recupero storico delle forme<br />

della grecità. Con Goethe e con Hölderlin,<br />

a parere di Otto, prende forma la dimensione<br />

tragica dell’esistenza: la “scoperta” dello<br />

scarto irriducibile che, con l’avvento del<br />

Cristianesimo, separa i moderni dai Greci.<br />

Dopo il Cristianesimo, solo attraverso la<br />

mediazione della religiosità greca l’uomo<br />

moderno può rapportarsi alla grecità. Per<br />

Goethe e Hölderlin è anzitutto il poeta che<br />

è chiamato a questa mediazione: l’attività<br />

che si esplica nel poiein accomuna, infatti,<br />

questa figura alla dimensione della religiosità<br />

mitologica greca.<br />

Per James Hillmann, psicologo di formazione<br />

junghiana, quello della religiosità<br />

mitologica dell’antica Grecia è, invece,<br />

“paesaggio dell’anima”, nel senso che i<br />

suoi elementi sono “archetipi dell’inconscio<br />

collettivo”. Per questo ogni fuga dagli<br />

dei è “vana”; essi abitano da sempre in noi<br />

e proprio nella malattia la loro presenza<br />

diviene evidente. La Grecia è allora la<br />

regione della nostra “storia immaginale”:<br />

un’espressione questa con cui Hillmann<br />

sottolinea l’aspetto di “datità” delle figure<br />

psichiche, degli archetipi, rispetto all’aspetto<br />

attivo del soggetto immaginante.<br />

Quasi paradossalmente, per Hillmann la<br />

malattia mentale ha un carattere “divino”:<br />

basterebbe rovesciare il senso di questa<br />

affermazione, per riconoscere alla follia<br />

un’origine non esogena, ma radicalmente,<br />

profondamente umana, e perciò terapizzabile.<br />

Vana fuga dagli dei raccoglie due conferenze;<br />

esaminando tre casi clinici di paranoia,<br />

la follia paranoide, la credenza religiosa<br />

e, addirittura, la ricerca filologica,<br />

qualora questa pretenda positivisticamente


di esaurire il senso del mito, Hillmann ne<br />

rintraccia la radice comune nella fede per la<br />

“lettera” della manifestazione divina e nel<br />

rifiuto della dimensione misterica. Alla “fanìa”<br />

del divino si richiede che diventi “illuminazione”,<br />

cioè che si dia con i caratteri<br />

della totalità, univoca e universale. Il ricorso<br />

a Ermes, dio dell’interpretazione e dell’ironia,<br />

come riconoscimento della distanza<br />

fra la “lettera” della manifestazione del<br />

divino e il suo senso, è il rimedio che<br />

Hillmann propone, sul piano individuale,<br />

per la follia paranoide e per le sue forme;<br />

sul piano sociale ciò corrisponde al riconoscimento<br />

del carattere ambiguo della rivelazione,<br />

e di quello ermeneutico, non univoco,<br />

della sua comprensione.<br />

Ciò che accomuna l’impostazione di Hans<br />

Blumenberg a quelle di Otto e Hillmann è<br />

il rifiuto di considerare il mito come un<br />

comodo strumento per rivestire conoscenze<br />

razionali, una sorta di “banca iconografica”,<br />

da affiancare alle indagini dell’inteletto,<br />

o da utilizzare come decorazione di<br />

esperienze estetiche. “Elaborazione del mito”<br />

è anzitutto, in un senso del tutto particolare,<br />

il nisus conoscitivo del mito stesso,<br />

che per questo aspetto viene avvicinato allo<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

Trittico Ludovisi: Nascita di Afrodite, 470-450 circa (Roma, Museo Nazionale)<br />

sguardo teoretico, come tentativo d’interpretazione<br />

del reale attraverso una sua “elaborazione”.<br />

Di qui la continuità e la convivenza<br />

di mythos e logos, che non significa<br />

affatto un dissolversi del primo nel secondo.<br />

Al di fuori di qualsiasi impostazione<br />

ingenuamente illuminista, come ribadisce<br />

Gianni Carchia nell’Introduzione all’opera<br />

di Blumenberg, il mito non è qui un<br />

“accecamento della coscienza”, che precede<br />

il rischiaramento della ragione, ma un-<br />

’esperienza affatto peculiare del reale, che<br />

si pone al di là della scissione tra soggetto,<br />

spazio e tempo, all’interno dei quali il mito<br />

si muove, incontra gli oggetti costituiti<br />

come tali, li conosce, li utilizza; il debito di<br />

Blumenberg nei confronti di Heidegger è<br />

in tal senso evidente.<br />

Estranea all’esperienza mitica è dunque la<br />

nozione stessa di “processo”: se la riflessione<br />

filosofica, e la sua storia, si svolgono<br />

come un succedersi di figure, il “ragionare”<br />

mitico “procede” per sovrapposizioni e continui<br />

“riempimenti di senso” delle situazioni<br />

che esperisce. L’impostazione teorica<br />

blumenbergiana è stata per questo interpretata<br />

come una sorta di “metaforologia”.<br />

Non c’è in questo, nota Carchia, alcun culto<br />

dell’arcaico: il paradigma conoscitivo blumenberghiano<br />

è quello ermeneutico e la<br />

produttività storica del mito passa attraverso<br />

una continua opera di risemantizzazione.<br />

Ciò d’altra parte non significa che il<br />

mito proponga una costellazione di archetipi,<br />

con la contrapposizione tra processualità<br />

del divenire temporale e immodificabilità<br />

del divenire mitico. Blumenberg stesso,<br />

come ricorda Carchia, prende le distanze<br />

da un possibile accostamento a Otto,<br />

chiarendo che la propria nozione di<br />

Zeitindifferenz è tutt’altra cosa dalla<br />

Zeitlosigkeit, con cui si vuole caratterizzare<br />

ciò che è “sovratemporale”, eterno.<br />

Dal punto di vista dell’indagine teorica, in<br />

effetti, il tentativo di lettura del reale condotto<br />

dal mito si qualifica come uno scacco,<br />

come logica dell’inspiegabilità; anche<br />

qui è evidente l’influenza di Heidegger. La<br />

“spiegazione” mitica è tanto poco una spiegazione,<br />

frutto di una “ricerca”, di un’indagine,<br />

che all’ideale conoscitivo di rendere<br />

trasparente il proprio oggetto con l’illuminazione<br />

della ragione, il mito oppone l’oscura<br />

alterità di ciò che è originario. Per<br />

l’indagine storica i “fatti” narrati dai miti<br />

non possono che sprofondare nell’oblio.


F. C.<br />

Trasformazione<br />

delle scienze dello spirito<br />

In due libri recentemente pubblicati in<br />

Germania viene discusso il problema<br />

del significato filosofico, gnoseologico<br />

ed epistemologico delle ‘Geisteswissenschaften’<br />

(scienze dello spirito).<br />

Si tratta del volume collettivo<br />

Geisteswissenschaften heute<br />

(Scienze dello spirito oggi, Suhrkamp,<br />

Frankfurt a.M. 1991) e dell’opera di G.<br />

Scholtz, Zwischen Wissenschaftsa<br />

n s p r u c h u n d<br />

Orientierungsbedürfnis. Zu<br />

Grundlage und Wandel der<br />

Geisteswissens-chaften (Tra esigenza<br />

di scientificità e bisogno di orientamento.<br />

Sul fondamento e sulla<br />

trasformazione delle scienze dello spirito”,<br />

Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1991).<br />

La raccolta di studi: Geisteswissenschaften<br />

heute - che ha come sottotitolo “un memoriale”<br />

- è una sorta di bilancio conclusivo di<br />

un progetto di ricerca sull’attuale situazione<br />

delle scienze dello spirito, realizzato<br />

presso l’università di Costanza con lo scopo<br />

di fare il punto sulle prospettive di<br />

ricerca nell’ambito delle scienze dello spirito<br />

dal punto di vista della storia della<br />

scienza, dell’epistemologia e della teoria<br />

della conoscenza. Nel suo contributo<br />

Jürgen Mittelstrass affronta la questione<br />

della possibilità di un sistema unitario delle<br />

scienze, in cui anche le scienze dello spirito<br />

troverebbero una loro collocazione. Nelle<br />

condizioni della scienza moderna, che riconosce<br />

una pluralità di livelli di realtà e di<br />

modelli epistemologici, il concetto di un<br />

sistema delle scienze va inteso come un<br />

concetto regolativo, da utilizzarsi criticamente<br />

e costruttivamente contro le tendenze<br />

delle diverse discipline alla particolarizzazione.<br />

Per definire l’ambito delle scienze<br />

dello spirito Mittelstrass utilizza l’espressione<br />

- già neo-kantiana - di scienze della<br />

cultura (Kulturwissenschaften): queste avrebbero<br />

per oggetto la cultura come «insieme<br />

del lavoro umano e delle forme di<br />

vita», ”la forma culturale del mondo”, e<br />

con ciò avrebbero la possibilità di annoverare<br />

tra i loro oggetti anche le scienze della<br />

natura, in quanto espressione di una determinata<br />

forma culturale. Hans Robert Jauss<br />

affronta invece il problema del ruolo delle<br />

scienze dello spirito in rapporto al dialogo<br />

tra le diverse discipline e allo sviluppo di<br />

una cultura scientifica, individuando una<br />

loro triplice funzione: interdisciplinare, integrativa<br />

e dialogica.<br />

Wolfgang Frühwald individua la base storica<br />

di alcuni sviluppi errati dell’università<br />

moderna nella contrapposizione, che ha<br />

origine nel secolo XIX, tra formazione<br />

culturale linguistico-umanistica e politecnica.<br />

A questo riguardo egli considera le<br />

scienze dello spirito come «scienze formatrici,<br />

produttrici di illuminismo (aufklärende),<br />

che agiscono come una barriera contro<br />

TENDENZE E DIBATTITI<br />

le tendenze del nostro tempo alla rimitizzazione<br />

e come elemento integrale<br />

della riflessione della scienza su se stessa».<br />

Per quanto riguarda l’antico problema del<br />

rapporto tra scienze della natura e dello<br />

spirito, Reinhart Koselleck prende spunto<br />

dal fatto che nella prassi della ricerca i<br />

confini tra questi due gruppi di scienze<br />

vengono costantemente trasgrediti. Da un<br />

lato vengono messe in luce le specializzazioni<br />

metodiche delle scienze, che rinviano<br />

a comunanze teoretiche di fondo, senza<br />

le quali non sarebbero possibili i progressi<br />

negli ambiti particolari della ricerca; dall’altro<br />

vengono delineate le trasformazioni<br />

del concetto di “spirito” (Geist) dall’epoca<br />

dell’idealismo tedesco fino all’attuale epoca<br />

scientifica. Le scienze dello spirito riducono<br />

il concetto di Geist, tramite un processo<br />

iniziato con la filosofia neo-kantiana,<br />

ad un ambito di operazioni soggettive della<br />

conoscenza; tuttavia in questo processo<br />

non si perdono le esigenze di unità sistematica<br />

che nel concetto di Geist erano implicite,<br />

in quanto ad esso subentrano altri<br />

concetti, come ad esempio quelli di “vita”<br />

e di “cultura”.<br />

Infine Burkhart Steinwachs si chiede fino<br />

a che punto le trasformazioni del mondo<br />

della comunicazione attraverso i mass-media<br />

coinvolgano le scienze dello spirito,<br />

individuando al proposito tre punti centrali:<br />

i media diventano mezzi di comunicazione<br />

e di trasmissione del sapere delle<br />

scienze dello spirito; trasformano il ruolo<br />

dei mezzi tradizionali di trasmissione del<br />

sapere e con ciò modificano il rapporto<br />

delle scienze umane con la dimensione<br />

pubblica; offrono alla ricerca di queste<br />

scienze nuovi ambiti oggettuali.<br />

Alcune delle tematiche discusse in<br />

Geisteswissenschaften heute ritornano nell’opera<br />

di Gunter Scholtz, come ad esempio<br />

il rapporto delle scienze dello spirito<br />

con la tradizione della filosofia classica<br />

tedesca (in particolare con la riflessione<br />

estetica dell’idealismo e con pensatori come<br />

Herder e Schopenhauer) ed il problema<br />

di una definizione delle Geisteswissenschaften<br />

in relazione alle scienze della<br />

natura, da una parte, alle Kultur- e<br />

Sozialwissenschaften (scienze sociali e della<br />

cultura), dall’altra. Il punto di partenza<br />

degli studi raccolti da Scholtz in questo<br />

volume è la discussione riapertasi recentemente<br />

- sia nell’ambito dell’ermeneutica e<br />

del pensiero post-moderno, sia in quello<br />

delle filosofie di matrice analitica - sulla<br />

funzione e sul ruolo delle scienze dello<br />

spirito nell’ambito del sapere umano. Il<br />

tentativo di Scholtz è di sottrarsi agli esiti<br />

negativi dello scetticismo per quanto riguarda<br />

sia le possibilità conoscitive delle<br />

scienze della natura, sia il carattere di scientificità<br />

delle scienze dello spirito.<br />

Particolare attenzione è dedicata da Scholtz<br />

alla determinazione del concetto di<br />

Geisteswissenschaften, che coincide qui<br />

con la determinazione dell’ambito e del<br />

compito di quelle che egli chiama anche<br />

Nichtnaturwissenschaften (non-scienze<br />

della natura): un problema questo che conduce<br />

alla discussione del rapporto di queste<br />

scienze con l’ambito della prassi sociale.<br />

Già Wilhelm Dilthey, che fu il primo a<br />

conferire al termine Geisteswissenschaften<br />

un significato sistematico (anche se l’espressione<br />

compare per la prima volta nella<br />

traduzione tedesca del System of logic di<br />

John Stuart Mill, per designare le “scienze<br />

morali”), sottolineava, nella sua Introduzione<br />

alle scienze dello spirito del 1883, il<br />

significato delle scienze dell’uomo e della<br />

storia per la prassi sociale. A questo riguardo<br />

Scholtz individua due tradizioni opposte:<br />

la prima pone l’accento sul significato<br />

etico e pratico di queste scienze<br />

(Schleiermacher, Gervinus, Troeltsch, J. S.<br />

Mill, Comte); la seconda le considera come<br />

scienze empiriche, strutturali o nomologiche<br />

della natura umana e della società. In<br />

entrambe le concezioni si ha per Scholtz<br />

una considerazione unilaterale dell’ambito<br />

e della funzione delle scienze dello spirito.<br />

E’ solo nel riconoscimento e nell’accettazione<br />

della tensione tra esigenza di scientificità<br />

e bisogno di un orientamento nella<br />

prassi vitale che risiede la natura più specifica<br />

di queste scienze. Attraverso questo<br />

riconoscimento si potranno evitare, secondo<br />

Scholtz, due opposti errori: quello per<br />

cui le scienze dello spirito diventano semplici<br />

“dottrine morali”, produttrici di “visioni<br />

del mondo” e di “ideologia”, e quello<br />

che le riduce ad un “positivismo privo di<br />

spirito”. M.M.


TENDENZE E DIBATTITI<br />

Pieter Bruegel, La Torre di Babele (1564)


Diverse lingue<br />

Prima traduzione italiana di un testo a<br />

cui la cultura occidentale degli ultimi<br />

centocinquanta anni ha ampiamento<br />

attinto, l’opera di Wilhelm vom<br />

Humboldt, La diversità delle lingue<br />

(a cura di Donatella Di Cesare,<br />

premessa di Tullio De Mauro, Laterza,<br />

Roma-Bari 1991), che segna l’inizio della<br />

moderna filosofia del linguaggio.<br />

L’opera di Maurice Olender, Le lingue<br />

del paradiso (Il Mulino, Bologna<br />

1991) è invece una ricostruzione<br />

critica della storia della linguistica “antropologica”,<br />

di quella, cioè, che partendo<br />

dalla diversità delle lingue muove<br />

a cercarne la radice nelle diversità<br />

religiose e culturali prima, razziali poi.<br />

Filosofo, non meno che linguista, Wilhelm<br />

von Humboldt ne La diversità delle lingue,<br />

uscita postuma nel 1836, indaga le<br />

radici antropologiche della varietà linguistica,<br />

considerata nella sua dimensione storica.<br />

Linguista, non meno che filosofo, come<br />

ricorda Tullio De Mauro, Humboldt<br />

compone il suo quadro d’insieme elaborando<br />

il patrimonio tecnico di nozioni linguistiche,<br />

accumulate da lui stesso e dai suoi<br />

contemporanei. Se l’analisi dei concreti<br />

fatti linguistici, soprattutto nei loro aspetti<br />

fonetici, occupa buona parte di questo lavoro,<br />

emerge però di continuo il vero obiettivo<br />

di Humboldt, che è anzitutto filosofico:<br />

dar conto della formazione del pensiero, o<br />

meglio, della differenza fra i modi di pensare<br />

e di vivere. Come sottolinea Donatella<br />

Di Cesare nell’Introduzione al testo, proprio<br />

al tentativo di essere sintesi di filosofia<br />

e ricerca linguistica empirica va ricondotta<br />

l’”inattualità” della prospettiva humboldtiana:<br />

accantonata dalla linguistica comparata,<br />

che sul modello delle scienze esatte<br />

tende a porsi come scienza del linguaggio,<br />

l’indagine di Humboldt si configura piuttosto<br />

come un’ermeneutica del linguaggio.<br />

Humboldt individua due possibili livelli di<br />

analisi del fenomeno linguistico, corrispondenti<br />

ai suoi due principi costitutivi: «la<br />

forma fonica e l’uso che ne viene fatto per<br />

designare gli oggetti e per connettere i<br />

pensieri». Il principio designativo riguarda<br />

le leggi generali che il pensiero impone al<br />

linguaggio; la forma fonica, invece, «è il<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

vero principio costitutivo e direttivo della<br />

diversità delle lingue». Il divaricarsi storico<br />

e geografico delle varie culture non ha<br />

dunque una radice esclusivamente linguistica,<br />

ma più propriamente mentale; in<br />

secondo luogo la lingua ha un’influenza<br />

diretta sul pensiero, non unicamente il contrario.<br />

La dimensione storica della ricerca<br />

humboldtiana consegue dalla definizione<br />

del linguaggio che in essa viene data: la<br />

lingua non è un’opera (ergon), ma un’attività<br />

(enérgheia). Nella prospettiva di<br />

Humboldt il carattere cinetico del divenire<br />

delle lingue si salda con il divenire dello<br />

spirito in un senso tanto specificatamente<br />

intellettuale - il pensiero si forma nel e con<br />

il linguaggio - quanto, in senso più lato,<br />

antropologico: l’essere del linguaggio è il<br />

divenire dello spirito, che si particolarizza<br />

e si individualizza nelle singole culture<br />

storiche. Humboldt ha esplicitamente rifiutato,<br />

a questo proposito, una gerarchia<br />

fra le culture e fra i popoli in funzione di<br />

una gerarchia fra le lingue, ma ha ipotizzato<br />

una distinzione fra le lingue stesse in<br />

base al loro maggiore o minore grado di<br />

avvicinamento alla “forma legale”, ovvero<br />

in base alla loro maggiore o minore capacità<br />

di raggiungere il proprio “scopo ultimo”,<br />

lo sviluppo dello spirito.<br />

Da una medesima identificazione tra spirito<br />

e linguaggio la linguistica ottocentesca<br />

muoveva di fatto i passi necessari verso<br />

l’individuazione di una contrapposizione<br />

non linguistica, ma spirituale e antropologica,<br />

tra Ariano ed Ebreo: questa la “coppia<br />

provvidenziale” che Maurice Olender affronta<br />

nella sua opera: Le lingue del paradiso.<br />

L’opposizione tra le due figure non<br />

rimanda, come nota Jean-Pierre Vernant<br />

nell’Introduzione al testo, a un equilibrio<br />

per cui l’Ebreo avrebbe dalla sua il monoteismo,<br />

ma sarebbe una figura statica, puramente<br />

autoconservativa, chiusa al progresso<br />

spirituale e ai valori della cristianità,<br />

mentre l’Ariano, al contrario, sarebbe<br />

una figura storica, dinamica, creativa, e<br />

proprio perciò progressiva.<br />

Muovendo dalla questione di quali fossero<br />

le “lingue del Paradiso” - così suonava il<br />

titolo di un’opera secentesca di Andreas<br />

Kempe - Olender ricostruisce una storia e<br />

una preistoria della linguistica prima del<br />

suo attuale statuto, quando essa, ancora<br />

prima di Humboldt, si collocava tra<br />

“mythos” e “logos”, tra filologia e mitologia.<br />

La dimensione dinamica, ovvero storica,<br />

costituisce il momento di continuità<br />

fra l’impostazione humboldtiana e le ricerche<br />

prese in esame da Olender, e si sviluppa<br />

attraverso due riferimenti, il “mito delle<br />

origini” e l’idea di una teodicea, cioè di una<br />

Provvidenza operante nella storia, che giustifica<br />

l’idea di progresso. Il “mito delle<br />

origini” determina l’indirizzo delle ricerche<br />

in due momenti successivi: la questione<br />

della “lingua del Paradiso” prima, e<br />

quella dell’origine delle lingue indoeuropee<br />

poi. Elemento di continuità fra i due<br />

momenti è d’altronde la dimensione antropologica,<br />

in cui la ricerca filologica viene<br />

collocata dal “mito delle origini”, dimensione<br />

ancora più evidente laddove più marcato,<br />

nel secondo momento, è l’incrocio<br />

con le tematiche religiose. Quando infatti<br />

si incomincia a pensare a una lingua diversa<br />

dall’ebraico come “lingua dell’origine”,<br />

quando si costituisce la “coppia provvidenziale”<br />

di ebraico e sanscrito - quella<br />

lingua che pure Humboldt considerava come<br />

la più vicina alla sua forma legale,<br />

ovvero la più adeguata al suo scopo ultimo,<br />

la manifestazione e il progresso dello spirito<br />

-, di cultura semita e cultura ariana, ciò<br />

avviene in considerazione dell’uno e dell’altro<br />

termine della coppia nel loro ruolo<br />

di matrici, l’una religiosa, l’altra culturale,<br />

del cristianesimo. E’ a questo punto che si<br />

fa luce l’idea di un progresso che rimanda<br />

alla teodicea e si costituisce come dualità<br />

ideologica il già ricordato dualismo fra una<br />

presunta caratterizzazione statica della cultura<br />

giudaica - che troverebbe riscontro<br />

nella lingua - e una caratterizzazione creativa<br />

di quella ariana. Gottfried Herder è<br />

una figura esemplare di questo momento<br />

di trapasso: l’idea di progresso si fonda in<br />

lui su quella di Provvidenza e si coniuga<br />

con quella dell’unità del genere umano,<br />

che si realizza nella storia come affermazione<br />

progressiva degli ideali della cristianità.<br />

Anche in lui si ritrova l’ambivalenza<br />

fondamentale riscontrata in Humboldt: se<br />

«capire l’umanità diventa l’arte di scoprire<br />

l’ordine divino inscritto nella Bibbia» -<br />

afferma Olender - allora «al limitare del<br />

suo cristianesimo il pluralismo culturale di<br />

Herder si trasforma in una storia delle<br />

religioni che non fa mistero delle sue priorità».


Come in molte delle figure prese in considerazione<br />

da Olender il rifiuto di un uso<br />

“razzista” della nozione di “razza” e di<br />

antisemitismo va di pari passo con valutazioni<br />

negative, seppur limitatamente a talune<br />

razze “in quanto tali” e alla “cultura<br />

giudaica”. L’ultima parola, quella più importante<br />

e più coerente dal punto di vista<br />

teoretico, finisce per essere non l’opposizione,<br />

pure apertamente professata, a ogni<br />

forma di classificazione e discriminazione<br />

razziale, ma la gerarchia dei valori che<br />

nella filosofia della storia si accompagna e<br />

fonda le scelte lato sensu ideologiche.<br />

Humboldt ed Herder sono per questo problema<br />

cruciale figure paradigmatiche. L’atto<br />

valutativo connesso a una qualunque<br />

filosofia della storia si scontra con la necessità<br />

di considerare anzitutto iuxta propria<br />

principia le singole culture storiche, e poi<br />

di considerarle effettivamente in quanto<br />

tali, cioè nella loro determinazione storica,<br />

in modo il più possibile scevro da ipoteche<br />

ideologiche. Come osserva Jacques Le<br />

Goff, in un’ampia recensione del testo di<br />

Olender, si potrebbe pensare alla storia<br />

come antidoto a questa filologia culturale<br />

a-storica e ideologica, infiltrata dal razzismo.<br />

A prescindere però dal fatto che,<br />

come ammette Le Goff stesso, la storia<br />

stessa non è certo stata esente da manipola-<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

zioni, e il dibattito sul suo statuto epistemologico<br />

è quantomai aperto, occorre chiedersi<br />

fino a che punto, fatta la scelta di<br />

elaborare non una ricostruzione di tipo<br />

etnologico, ma una filosofia della storia<br />

che si fonda necessariamente su un’assiologia,<br />

non sia una scelta altrettanto “ideologica”<br />

quella di considerare iuxta propria<br />

principia ciascuna cultura storica, piuttosto<br />

che inserirla in un processo in cui essa<br />

è solo “momento”. F.C.<br />

Maimonide e la cabala<br />

L’opera di Mosheh ben Maimôn, più<br />

noto con il nome di Mosè Maimonide,<br />

è al centro delle interessanti analisi di<br />

due studiosi francesi: Moshe Idel, autore<br />

di Maimonide et la mystique<br />

juive (Maimonide e la mistica ebraica,<br />

Cerf, Parigi 1991), e Jean Robelin<br />

con il suo Maimonide et le langage<br />

religieux (Maimonide e il linguaggio<br />

religioso, PUF, Parigi 1991).<br />

Mosè Maimonide è senz’altro una delle<br />

figure di primo piano nella storia della<br />

cultura ebraica. La sua opera di rinnovamento<br />

della tradizione filosofica cabalisti-<br />

Marc Chagall, I cancelli del cimitero, (1917)<br />

ca trova la sua espressione più significativa<br />

nella Guida dei perplessi (1170), testo complesso<br />

e di ricchissima erudizione, dove<br />

sono sintetizzate le diverse matrici culturali<br />

della filosofia maimonidea: la tradizione<br />

ebraica, quella araba e quella di ascendenza<br />

aristotelica. Proprio nel solco dell’aristotelismo<br />

procede il discorso del filosofo di<br />

Cordoba che intende interpretare la rivelazione<br />

religiosa attraverso una rigorosa dimostrazione<br />

filosofica.<br />

Il programma dottrinale di Maimonide, proprio<br />

per il suo carattere razionale, era stato<br />

violentemente osteggiato da alcuni autorevoli<br />

rappresentanti della tradizione mistica<br />

e condannato come estraneo allo spirito<br />

autentico dell’ebraismo. Nella concezione<br />

di questi cabalisti, per i quali l’intuizione<br />

mistica rimaneva la sorgente unica ed autentica<br />

di tutto il pensiero religioso ebraico,<br />

il concetto e lo stesso procedimento razionale<br />

venivano stimati quali pallide rappresentazioni<br />

metaforiche delle verità contenute<br />

negli arcani della cabala. In questo<br />

quadro, come rivela Moshe Idel, c’è chi,<br />

attraverso un complicato lavoro esegetico,<br />

tenta invece di inscrivere l’opera di<br />

Maimonide all’interno della tradizione esoterica<br />

ebraica. Ciò che veniva messo in<br />

evidenza da certi cabalisti meno legati all’ortodossia,<br />

era un certo esoterismo della<br />

formulazione del discorso filosofico di<br />

Maimonide, che rimane tuttavia di natura<br />

razionalista. Idel segue lo svolgersi di questa<br />

disputa dottrinaria attorno all’opera di<br />

Maimonide, che verrà tradotta in latino col<br />

titolo di Ductor perplexorum (Guida dei<br />

perplessi) e mette in evidenza come, grazie<br />

al confronto su questo testo fondamentale,<br />

il pensiero ebraico si apre al colloquio con<br />

la cultura araba e con la filosofia scolastica.<br />

Lo studio di Jean Robelin prende invece in<br />

esame il progetto filosofico che sottende<br />

l’opera di Maimonide. Il primo passo di<br />

questa analisi è costituito dalla definizione<br />

di uno specifico linguaggio religioso.<br />

Robelin mostra poi come la razionalità<br />

religiosa costituisca il terreno di crescita<br />

del razionalismo maimonideo. Il saggio si<br />

conclude con una limpida analisi che prende<br />

in esame le apparenti contrazioni in seno<br />

al corpo dottrinario della religione ebraica,<br />

evidenziando come, per Maimonide, la<br />

Legge oscilli tra Storia ed Eternità. E.N.<br />

Una storia dello Strutturalismo<br />

La biografia critica di quello che è stato<br />

il riferimento metodologico e culturale<br />

di un decennio, i contestati anni<br />

Sessanta, viene pubblicata in Francia<br />

a cura di François Dosse col titolo:<br />

Histoire du Structuralisme, (Storia<br />

dello Strutturalismo, tomo I,<br />

Editions de la Découverte, Parigi 1991).<br />

Le matrici del metodo strutturalista sono da<br />

ricercarsi nella linguistica di Ferdinand<br />

de Saussure. Nel suo Corso di linguistica


generale (1913) lo studioso svizzero aveva<br />

osservato come il linguaggio funzioni secondo<br />

proprie ed autonome regole, mettendo<br />

in rilievo che il significato delle parole<br />

non viene soddisfatto dalla pura funzione<br />

definitoria delle stesse. Soltanto attraverso<br />

uno studio di carattere scientifico, che stabilisca<br />

le strutture del linguaggio, si può<br />

raggiungere quello che nel linguaggio è<br />

solamente evocato. «Non esiste struttura<br />

che non sia linguaggio, sia pure un linguaggio<br />

esoterico o non verbale» - scriverà<br />

Gilles Deleuze nel 1972.<br />

Questa struttura linguistica fondamentale<br />

sarà cercata da Claude Lévi-Strauss nell’ambito<br />

del mito, Jacques Lacan cercherà<br />

di definirla per quanto riguarda la psicoanalisi,<br />

Louis Althusser proverà a rinnovare<br />

il pensiero marxista attraverso il<br />

ricorso al concetto di struttura. Roland<br />

Barthes infine ne farà l’utensile critico<br />

fondamentale della sua analisi della letteratura.<br />

Sono questi - nel libro di François<br />

Dosse - i “quattro moschettieri” che, a metà<br />

degli anni Sessanta, irradiano a colpi di<br />

polemiche, ma soprattutto di scritti, il discorso<br />

strutturalista.<br />

D’impronta tipicamente francese, tanto da<br />

essere registrato come “French Criticism”<br />

nel mondo anglo-sassone, lo Strutturalismo<br />

si presenta come un programma di<br />

rinnovamento delle scienze umane, un metodo<br />

per sua natura indifferente agli ambiti<br />

di applicazione. La definizione più sintetica<br />

e aperta ci viene da Michel Serres:<br />

«Una struttura è un insieme operazionale a<br />

significazione indefinita, che raggruppa un<br />

numero qualsiasi di elementi di cui non<br />

viene specificato il contenuto, e di relazioni,<br />

in numero finito, senza specificarne la<br />

natura, ma di cui si definisce la funzione».<br />

Anche Dosse mette in rilievo la dimensione<br />

epistemologica del metodo strutturalista,<br />

rimarcando tuttavia il carattere ideologico<br />

che esso è venuto col tempo ad assumere.<br />

Forti del riconoscimento di un metodo<br />

che si voleva scientifico e che aveva<br />

scalzato la tradizione filosofica a vantaggio<br />

delle scienze umane, non pochi strutturalisti<br />

si sono lanciati nel progetto di una<br />

«scienza unitaria» che rendesse conto dell’intero<br />

universo umano. Sarebbe questo,<br />

secondo Dosse, il programma comune di<br />

una generazione di intellettuali: un progetto<br />

epistemologico globale che nascondeva<br />

un’ideologia antiumanistica di fondo, di<br />

cui è interprete conseguente Michel<br />

Foucault che, in Le parole e le cose, scrive:<br />

«non si può più pensare se non nel vuoto<br />

dell’uomo scomparso».<br />

Il primo volume della storia dello strutturalismo<br />

di Dosse si presenta così come un<br />

atto critico, che denuncia a sua volta un<br />

proprio progetto culturale: «Mettere in evidenza<br />

gli empasses dello Strutturalismo<br />

non deve significare una regressione all’età<br />

d’oro dei Lumi, ma al contrario un superamento<br />

verso un avvenire, quello della<br />

costituzione di un umanesimo storico». Non<br />

resta che attendere il secondo volume, annunciato<br />

per la primavera del’ 92. E.N.<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

Husserl<br />

Edmund Husserl é stato un filosofo<br />

estremamente prolifico e versatile, e<br />

proprio per la vastità dei temi trattati<br />

chiunque cerchi di proporre una valutazione<br />

comprensiva del suo lavoro si<br />

trova di fronte ad un compito assai<br />

arduo. Questo non sembra però spaventare<br />

David Bell, che nella sua monografia:<br />

Husserl (Routledge, London<br />

1990), muove da una brillante esposizione<br />

di uno dei primi lavori di Husserl,<br />

ormai quasi dimenticato, Filosofia<br />

dell’aritmetica (1891), procedendo<br />

poi, in modo illuminante, attraverso<br />

le difficili e frammentarie Ricerche<br />

logiche (1901). Ma quando si<br />

tratta di prendere in esame la riduzione<br />

fenomenologica introdotta da<br />

Husserl in Idee per una fenomenologia<br />

pura e per una filosofia<br />

fenomenologica (1913), sembra che<br />

Bell non riesca a cogliere il potere e la<br />

coerenza della matura posizione husserliana,<br />

né a capire la sua vulnerabilità<br />

rispetto alla critica elaborata da<br />

Heidegger.<br />

David Bell mette in evidenza come, dopo<br />

aver studiato filosofia a Vienna con<br />

Brentano, Edmund Husserl ne accetti il<br />

Edmund Husserl<br />

progetto di base, consistente nel fondare<br />

l’apparente certezza e universalità delle<br />

teorie astratte nella particolarità e incertezza<br />

dell’esperienza quotidiana. E’ quanto<br />

emerge dal tentativo husserliano di applicare<br />

l’approccio genetico-psicologico di<br />

Brentano alla fondazione della matematica<br />

in Filosofia dell’aritmetica. Nonostante<br />

Husserl non si ritenesse soddisfatto di questo<br />

suo lavoro, Bell fornisce una brillante<br />

difesa del proposito fondamentale del filosofo<br />

di considerare i concetti matematici<br />

come derivati da esperienze quotidiane. In<br />

questo Bell riconosce in Husserl l’atteggiamento<br />

proprio di un solipsista metodologico,<br />

secondo il quale la costituzione effettiva<br />

del mondo non implica alcuna differenza<br />

per gli stati mentali. D’altra parte un<br />

metodo di indagine che non si richiami ad<br />

altro che alla vita mentale individuale del<br />

soggetto, non costringe a negare, osserva<br />

Bell, che esistano delle entità oggettive.<br />

Un’altra concezione fondamentale che<br />

Husserl trae da Brentano è l’idea di “intenzionalità”,<br />

secondo cui la mente è essenzialmente<br />

caratterizzata dal suo “dirigersi”<br />

verso qualcosa. Questa spiegazione relazionale<br />

della mente fa tuttavia sorgere il<br />

problema della caratterizzazione di un oggetto<br />

non esistente (è noto l’esempio dell’unicorno),<br />

che rientra però nell’insieme<br />

di oggetti verso cui il pensiero può diriger-


si. Nelle Ricerche logiche Husserl avanza a<br />

questo proposito una soluzione a questo<br />

problema; egli infatti pur continuando a<br />

considerare l’intenzionalità come distintivo<br />

mentale, corregge la confusa nozione di<br />

oggetto intenzionale con la nozione di contenuto<br />

intenzionale, inteso come ciò che<br />

dirige la mente verso un oggetto più o meno<br />

esistente. A questo proposito Bell propone<br />

tuttavia un’interpretazione prettamente psicologica<br />

delle Ricerche, che mette in pericolo<br />

la sua stessa difesa degli argomenti<br />

husserliani contro quelli sollevati da Frege.<br />

Anche l’interpretazione di Bell del rapporto<br />

che lega le Ricerche alle Idee per una<br />

fenomenologia pura e per una filosofia<br />

fenomenologica è completamente differente<br />

da quella tradizionale e sembra effettivamente<br />

conseguenza di una posizione erronea.<br />

In effetti Bell non vede, nelle problematiche<br />

affrontate dai due testi, una continuità<br />

capace di dar conto dello sviluppo<br />

fenomenologico di Husserl verso un’analisi<br />

universale della coscienza. Ciò conduce<br />

Bell a confondere la riduzione trascendentale<br />

con ciò che Husserl chiama la “neutralizzazione”,<br />

o la limitazione della riflessione<br />

che coglie la nostra esperienza del mondo,<br />

quando non prendiamo una decisione<br />

sulla sua attualità o inattualità. Da questo<br />

fraintendimento segue anche l’incapacità<br />

di Bell di considerare adeguatamente la<br />

critica heideggeriana alle posizioni di<br />

Husserl, che dal punto di vista dell’agire<br />

quotidiano metteva in discussione che la<br />

mente fosse separabile dal mondo e diretta<br />

verso di esso esclusivamente attraverso il<br />

suo contenuto intenzionale. Una serie di<br />

fraintendimenti questi che, complice molto<br />

probabilmente il pragmatismo proprio della<br />

cultura anglo-americana, si ripercuotono<br />

nel giudizio conclusivo di Bell sull’opera<br />

di Husserl, la cui importanza risiederebbe<br />

nel fatto che la fenomenologia induce il<br />

filosofo ad abbandonare la filosofia trascendentale<br />

a favore della priorità della<br />

pratica quotidiana. V.R.<br />

La ripetizione di Kierkegaard<br />

Il 16 ottobre 1843 usciva nelle librerie<br />

di Copenhagen, ad opera di un certo<br />

Constantin Constantius, un singolare<br />

racconto a sfondo psicologico dal titolo:<br />

Gjentagelsen (La ripetizione).<br />

Quello stesso giorno veniva pubblicata<br />

un’altra opera del medesimo autore,<br />

Frygt og Baeven ,(Timore e<br />

tremore). La notorietà di quest’ultima<br />

svela il nome dell’autore che si nasconde<br />

sotto lo pseudonimo: si tratta<br />

di Sören Kierkegaard. Con il titolo: La<br />

ripetizione. Un esperimento psicologico<br />

(a cura di Dario Borso,<br />

Guerini e Associati, Milano 1991) è<br />

oggi disponibile in traduzione italiana<br />

la prima edizione critica di questo scritto<br />

pseudonimo di Kierkegaard.<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

“Libro bizzarro”, come lo definì lo stesso<br />

Sören Kierkegaard, La ripetizione tocca<br />

in verità alcuni nodi fondamentali della<br />

riflessione del pensatore danese, paludati<br />

sotto le spoglie del resoconto di un innamoramento<br />

di un fidanzamento e del definitivo<br />

abbandono da parte della ragazza. Il<br />

manoscritto kierkegaardiano, con le parti<br />

espunte, lascia intravedere, in modo ancora<br />

più esplicito di quanto non faccia il testo<br />

pubblicato, la presenza della vicenda personale<br />

di Kierkegaard, il fidanzamento e la<br />

rottura con Regine Olsen. Non questo però<br />

è l’interesse di questo conte philosophique,<br />

che nella sua forma letteraria dichiara il<br />

proprio intento, quello di rovesciare la metafisica.<br />

“Rovesciamento” in senso letterale,<br />

perché nello scontro dialettico fra particolare<br />

(l’”eccezione”) e universale, è il<br />

primo che viene privilegiato dal punto di<br />

vista teoretico da Kierkegaard. Quella di<br />

Kierkegaard vuole essere qui una confutazione<br />

“non filosofica” della metafisica, attuata<br />

cioè senza seguire i modi argomentativi<br />

ad essa propri, e soprattutto senza seguire<br />

quelli dell’aborrita dialettica hegeliana<br />

in voga nella Danimarca dell’epoca. Il<br />

metodo “psicologico”, prospettiva cui fa<br />

riferimento il sottotitolo dell’opera, è dunque<br />

lo strumento con cui Kierkegaard vuole<br />

smascherare l’apparente sicurezza della<br />

metafisica e la fiducia che essa ripone nell’argomentazione<br />

razionale.<br />

Per confortare le proprie confutazioni della<br />

metafisica, Kierkegaard chiama in causa<br />

Diogene, quel Diogene che con la semplice<br />

azione del camminare confutò le argomentazioni<br />

degli Eleati contro il movimento.<br />

Aneddoto scelto non casualmente, nota<br />

Dario Borso, in quanto ripreso a bella<br />

posta da Hegel, che aveva irriso alla “confutazione”<br />

di Diogene, misconoscendone<br />

il carattere peculiare rispetto a quello di una<br />

qualsiasi argomentazione di stampo metafisico.<br />

Si badi bene però: proprio per la sua<br />

irriducibilità a un’argomentazione prettamente<br />

filosofica, la nozione kierkegaardiana<br />

di ripetizione non vuole affatto porsi come<br />

una soluzione della diatriba fra Parmenide<br />

ed Eraclito. Se l’idea di repetere è incompatibile<br />

con la fissità e l’immutabilità dell’Essere,<br />

lo è in misura ancor maggiore con<br />

l’idea di divenire.<br />

Eppure la nozione di ripetizione vuole proprio<br />

essere una soluzione, anche se non<br />

esclusivamente teorica, del rapporto ontologico<br />

fra l’eternità dell’Essere e la caducità<br />

del divenire, vuol fondare un atteggiamento<br />

che tenga conto dell’irrompere della<br />

dimensione dell’eterno in quella della temporalità<br />

della storia. La ripetizione si rivela<br />

in tal senso una categoria esistenziale che<br />

Kierkegaard utilizza per richiamare anche<br />

in questo scritto la propria celebre tripartizione<br />

tra vita estetica, vita morale e vita<br />

religiosa, anche se con un certo spostamento<br />

di accenti. Il giovane al quale Constantin<br />

Costantius si rivolge è un poeta, ma questi<br />

non è affatto una pura e semplice esemplificazione<br />

di “vita estetica”, quella che si<br />

esaurisce nel godimento dell’attimo, sem-<br />

pre fuggente e, per definizione, irripetibile.<br />

Nel suo farsi disponibile alla ripetizione, al<br />

matrimonio, nel suo rinunciare all’eccezionalità<br />

fine a se stessa, il poeta arriva<br />

quasi a essere figura della vita morale.<br />

Questo perché egli ha in sé, pur senza<br />

impadronirsene nella piena consapevolezza,<br />

un fondo religioso che è «come un<br />

segreto che non sa spiegare, mentre questo<br />

segreto lo aiuta a spiegare poeticamente la<br />

realtà». Se di questo animo religioso il<br />

giovane fosse stato consapevole, non avrebbe<br />

certo potuto evitare la sofferenza<br />

procuratagli dalla vicenda; anzi essa sarebbe<br />

stata ancora più acuta, Ma egli avrebbe<br />

saputo con “logica ferrea” andare incontro<br />

allo scandalo e al grottesco che le sue<br />

azioni, comandate da un’autorità sovrumana,<br />

gli avrebbero procurato: «avrebbe esaurito<br />

religiosamente tutti gli errori deducibili<br />

da quella vicenda», comprendendo<br />

però se stesso dal principio alla fine, «con<br />

religioso timore e tremore, ma pure con<br />

fede e fiducia». F.C.<br />

Ripensando Kant e altri filosofi<br />

Nell’ambito dell’interesse della filosofia<br />

anglosassone per i problemi inerenti<br />

alla teorizzazione di un modello<br />

per la mente nel contesto di una teoria<br />

della conoscenza, si può notare la tendenza<br />

ad un riesame del pensiero di<br />

grandi filosofi appartenenti a quella<br />

che é stata definita la moderna filosofia<br />

continentale, con l’intento di porre<br />

in relazione le soluzioni da loro proposte<br />

con quelle perseguite oggigiorno.<br />

Le reinterpretazioni del pensiero<br />

kantiano proposte da Patricia Kitcher<br />

in K a n t ’ s t r a s c e n d e n t a l<br />

psychology (La psicologia trascendentale<br />

di Kant, Oxford University<br />

Press, Oxford 1990) e da Wayne<br />

Waxman in Kant’s model of the<br />

mind a new interpretation of<br />

trascendental idealism (Il modello<br />

della mente di Kant: una nuova<br />

interpretazione dell’idealismo trascendentale,<br />

Oxford University Press,<br />

Oxford 1991) hanno senso se inserite<br />

all’interno di questa tendenza interpretativa.<br />

Lo stesso accade con lo studio<br />

di David Pears, Hume’s system:<br />

an examination of the First<br />

Book of his ‘Treatise’ (Il sistema<br />

di Hume: un esame del primo libro del<br />

suo ‘Trattato’, Oxford University Press,<br />

Oxford 1991), in cui viene riproposta<br />

una rilettura di Hume e della sua teoria<br />

della conoscenza.<br />

Come è noto Kant non ha rispettato la<br />

distinzione tra filosofia e psicologia. Egli<br />

infatti ha affermato sia che l’esperienza<br />

dell’auto-coscienza per essere possibile deve<br />

possedere il carattere proprio dell’esperienza<br />

di oggetti, sia che è l’immaginazione,<br />

guidata dai concetti degli oggetti, che


possiede la capacità di unificare il dato<br />

sensibile e cosí di produrre rappresentazioni.<br />

Quest’ultimo aspetto della filosofia di<br />

Kant viene considerato da molti come un<br />

futile tentativo per determinare questioni<br />

empiriche tramite la riflessione filosofica.<br />

Di questo avviso non è Patricia Kitcher,<br />

che cerca di riabilitare proprio ciò che é<br />

stato definito “il soggetto immaginario della<br />

psicologia trascendentale”. La psicologia<br />

trascendentale in tal senso analizzerebbe<br />

i compiti della conoscenza per determinare<br />

una specificazione globale di una mente<br />

capace di adempiere a questi compiti. A<br />

questo proposito Kitcher arriva a definire<br />

l’immaginazione come ciò che possiede le<br />

regole per sintetizzare gli stati cognitivi,<br />

facendo sorgere però il sospetto che la<br />

psicologia trascendentale non possa subire<br />

tale metamorfosi, senza cadere in una semplice<br />

psicologia empirica. Ciò che Kant ha<br />

messo in chiaro non è come si formano le<br />

rappresentazioni di oggetti, ma che cosa si<br />

deve intendere per percezione per ottenere<br />

un comportamento oggettivo, quale è necessario<br />

per l’autocoscienza. Questo forse<br />

é il suo maggior contributo alla psicologia<br />

trascendentale. Un contributo che Kant stesso<br />

ha considerato più importante della sua<br />

analisi delle facoltà cognitive, e che tuttavia<br />

non fa parte della versione della psicologia<br />

trascendentale, a cui hanno mosso<br />

obiezioni i commentatori della tradizione<br />

analitica.<br />

Come Kitcher, anche Wayne Waxman<br />

dichiara che per Kant il concetto di immaginazione<br />

è un ingrediente necessario della<br />

percezione; ma egli mette in relazione questa<br />

affermazione con l’idealismo trascendentale<br />

kantiano: il pensare lo spazio e il<br />

tempo come cose in sé. Anche se si può<br />

sostenere che la rappresentazione di oggetti<br />

si ottiene con l’immaginazione senza<br />

l’implicazione dei grezzi dati sensibili, è<br />

naturale supporre che le stesse impressioni<br />

sensibili si presentano in un determinato<br />

ordine temporale, indipendentemente dall’attività<br />

dell’immaginazione. Secondo<br />

Waxman, considerare le relazioni temporali<br />

a livello di dati non sintetizzati dai sensi<br />

come realtà sopra(meta)-immaginazionali<br />

non è consonante con l’idealismo trascendentale.<br />

Per Kant i dati attuali dei sensi, che<br />

giacciono oltre la soglia della coscienza,<br />

sono materia primaria assolutamente informe.<br />

Tutte le relazioni temporali, anche<br />

quelle esistenti tra sensazioni di cui noi<br />

siamo consci, sono prodotte dall’immaginazione.<br />

Il che tuttavia implicherebbe, in<br />

modo difficilmente plausibile, l’idea di una<br />

immaginazione che impone forme temporali<br />

a dati intrinsecamente atemporali.<br />

Nella sua interpretazione del pensiero humiano<br />

David Pears si pone in linea con la<br />

tendenza, già perseguita da John Wright in<br />

Sceptical realism (1983) e da Galen<br />

Strawson in The secret connexion (1989), a<br />

fornire un’interpretazione del concetto di<br />

causalità di Hume in contrasto con quella<br />

tradizionale, considerata riduzionistica, secondo<br />

cui la causazione non é nient’altro<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

che una regolare sequenza di eventi congiunti,<br />

e ogni altra nozione di “potere” o<br />

“forza” causale, unita all’idea di un’unione<br />

necessaria tra causa ed effetto, non sono<br />

altro che chimere. Questa spiegazione riduzionistica<br />

non coglie per Pears lo spirito<br />

centrale della filosofia scettica di Hume,<br />

che afferma l’esistenza di una forza reale<br />

propria della natura, la quale non risulta<br />

direttamente accessibile ai nostri sensi.<br />

Pears inoltre afferma che Hume non può<br />

essere considerato un mero riduzionista,<br />

perché altrimenti risulterebbe difficile spiegare<br />

la sua continua insistenza sulla nostra<br />

ignoranza dei principi ultimi, che per essere<br />

ignorati, devono evidentemente esistere.<br />

Il radicale riduzionismo applicato a Hume,<br />

osserva Pears, non tien conto del grande<br />

balzo che egli compie nel passare dalla sua<br />

teoria del significato alla teoria della credenza.<br />

A questo proposito Pears presenta<br />

Hume come un proto-wittgensteiniano.<br />

Come Wittgenstein neutralizza la domanda<br />

sulla legittimità delle nostre inferenze<br />

logiche e matematiche, appellandosi alla<br />

struttura della pratica naturalmente adottata<br />

dagli individui, cosí Hume nella sua<br />

analisi dell’ambiguità della causalità insiste<br />

sulla futilità della continua ricerca di<br />

giustificazioni oggettive e razionali per le<br />

nostre credenze. L’interpretazione che Pears<br />

propone di Hume ha molto da dire a coloro<br />

che sono impegnati in quello che oggi è<br />

forse il problema centrale della teoria della<br />

conoscenza, il problema della frattura tra<br />

ciò che noi siamo naturalmente disposti a<br />

credere e ciò che possiamo legittimamente<br />

credere. Se l’interpretazione di Pears è giusta,<br />

Hume può rappresentare per noi una<br />

via intermedia tra il pallido scetticismo e il<br />

riduzionismo dogmatico. V.R.<br />

l granaio di Montesquieu<br />

L’edizione critica delle Pensées di<br />

Montesquieu, a cura di Louis<br />

Desgraves, è oggi disponibile nelle librerie<br />

francesi: Pensées suivies du<br />

Spicilège (Pensieri, seguiti dallo<br />

spicilegio, Laffont, Parigi 1991). Le note,<br />

gli umori, le considerazioni a margine<br />

della sua attività di saggista, come<br />

pure aforismi, note di viaggio e di<br />

spesa, sono scrupolosamente raccolti<br />

nei quaderni, che costituiscono una<br />

sorta di archivio di materiali, utilizzato<br />

da Montesquieu per la redazione delle<br />

Lettres Persanes e dell’Esprit<br />

des Lois.<br />

«Pensieri sparsi che non ho inserito nelle<br />

mie opere, idee che non ho approfondito e<br />

che conservo per ripensarvi all’occasione»<br />

- così commentava l’autore - tutto questo<br />

costituisce lo “spicilegio” (letteralmente:<br />

antologia scelta di scritti o, in una più<br />

suggestiva accezione, raccolta di messi prima<br />

della spigolatura) di Charles-Louis de<br />

Montesquieu. Originariamente non desti-<br />

nati alla pubblicazione, i tre volumi delle<br />

Pensées e lo spicilegio furono redatti a<br />

intervalli irregolari tra il 1720 e il 1755,<br />

anno della morte del filosofo. Per lo specialista<br />

essi rappresentano il vasto cantiere<br />

intellettuale che porterà all’edificio complesso<br />

dell’Esprit des Lois (Spirito delle<br />

leggi, 1748); storia, economia, geografia,<br />

religione e antropologia, tutti i temi maggiori<br />

di Montesquieu sono abbozzati con<br />

decisione, e spesso si condensano in aforismi<br />

dalla forma definitiva. Nelle tante considerazioni<br />

sui costumi umani, si rende<br />

evidente una vena moralistica che apparenta<br />

Montesquieu ai grandi, La Rochefoucauld<br />

e Vauvenargues, ma il tono rimane sereno,<br />

divertito, ironico, anche quando può sembrare<br />

feroce, come si può rilevare da questa<br />

considerazione: «Senza la sifilide le signore<br />

per bene sarebbero perdute: tutti andrebbero<br />

con le cortigiane. E’ dunque la sifilide<br />

a produrre la galanteria». O ancora: «Ciò<br />

che manca agli oratori in profondità, essi ve<br />

lo restituiscono in lungaggine». Lo studioso<br />

dei costumi e il moralista si incontrano<br />

in queste brevi note, ne uscirà quel capolavoro<br />

di leggerezza e di ironia rappresentato<br />

dalle Lettres Persanes (Lettere persiane,<br />

1721). E.N.<br />

Wittgenstein: una biografia<br />

e un romanzo<br />

E’ solo da un paio di anni che l’opera e<br />

il pensiero di Ludwig Wittgenstein sono<br />

stati introdotti in Francia, principalmente<br />

attraverso il magistero di<br />

Jacques Bouveresse. L’interesse per<br />

la figura intellettuale ed umana di uno<br />

dei più originali ed eclettici pensatori<br />

della Vienna finis Austriae si specchia<br />

nel successo che sta riscuotendo la<br />

recente traduzione francese di due opere<br />

appartenenti alla cultura anglosassone:<br />

la biografia di Wittgenstein<br />

curata da Brian Mac Guinness,<br />

Wittgenstein. Les années de<br />

jeunesse, (Wittgenstein. Gli anni<br />

della giovinezza, trad. franc. di W.<br />

Tennenbaum, Tomo I, Seuil, Parigi<br />

1991) e il romanzo dell’americano<br />

Bruce Duffy, (Le monde tel que je<br />

l’ai trouvé), Il mondo come l’ho<br />

trovato, trad. franc., di Christophe<br />

Marchande - Kiss, Flammarion, Parigi<br />

1991), liberamente ispirato al personaggio<br />

di Wittgenstein.<br />

La ricostruzione biografica di Brian Mac<br />

Guinness è accurata e precisa nel presentare<br />

la vicenda esistenziale del filosofo viennese,<br />

dagli anni dell’infanzia fino alla stesura<br />

del Tractatus logico-philosophicus<br />

(1913-1918). Uno dei meriti dell’autore è<br />

quello di aver potuto lavorare su materiali<br />

finora inediti (i diari e le corrispondenze di<br />

Wittgenstein), che gli hanno permesso di<br />

aprire nuove prospettive d’interpretazione<br />

non solo per quanto riguarda la complessa


personalità del filosofo, ma anche la sua<br />

formazione intellettuale.<br />

L’infanzia di Ludwig Wittgenstein, nato<br />

in una famiglia della ricca borghesia viennese,<br />

è dominata dalla figura del padre<br />

Karl, uomo di ricca cultura e dalla personalità<br />

intransigente. Come ai fratelli, anche a<br />

Ludwig viene imposta una carriera di ingegnere<br />

e di uomo d’affari, una costrizione<br />

che porterà tre dei suoi fratelli al suicidio e<br />

che verrà dolorosamente accettata da<br />

Ludwig al prezzo di un rinnegamento della<br />

propria personalità. Nei diari intimi, riflettendo<br />

sui propri anni di infanzia,<br />

Wittgenstein li vedrà segnati da un profondo<br />

senso di colpa e dal sentimento di una<br />

mancanza. La lettura di Schopenhauer, conosciuto<br />

negli anni dell’adolescenza, e l’amicizia<br />

con Otto Weininger, il giovane<br />

autore di Sesso e Carattere, che si toglierà<br />

la vita a 28 anni, segnano profondamente il<br />

carattere e la sensibilità di Wittgenstein e lo<br />

convincono che il suicidio, il «peccato elementare»,<br />

resti la sola vera soluzione per<br />

chi abbia smesso di essere all’altezza delle<br />

proprie esigenze morali. E’ con questa predisposizione<br />

che egli si iscrive alla facoltà<br />

di ingegneria dell’Università di Manchester,<br />

dove si impegna in uno studio approfondito<br />

dei fondamenti della logica matematica.<br />

Nei diari di questo periodo troviamo annodate<br />

le preoccupazioni di carattere morale<br />

con i problemi logici: «Come posso essere<br />

un logico - si chiede Wittgenstein - se non<br />

sono ancora un essere umano?». A<br />

Cambridge - dove ha modo di conoscere<br />

Russell, subito colpito dal genio del giovane<br />

austriaco, e dove entra in amicizia con<br />

George Moore, autore dei Principia Ethica<br />

- Wittgenstein riceve la notizia della morte<br />

del padre. Gli avvenimenti precipitano:<br />

Wittgenstein litiga con Russell e decide di<br />

tornare in Austria per arruolarsi nell’esercito.<br />

Il Tractatus logico-philosophicus trova<br />

la sua prima stesura nelle trincee. Non è<br />

più lo stesso uomo quello che torna dal<br />

fronte e che si chiede se prendere i voti o se<br />

fare il maestro elementare; accompagnano<br />

questa metamorfosi le letture di Kierkegaard<br />

e di Angelus Silesius. Nel 1922, data in cui<br />

viene infine pubblicato il Tractatus,<br />

Wittgenstein ha già simbolicamente chiuso<br />

i conti con la sua vita precedente: la ricca<br />

eredità paterna è stata devolta a vari scrittori<br />

e artisti (ne beneficiano tra gli altri Rilke,<br />

Kokoschka, Loos), nonché alla rivista Der<br />

Brenner, il cui spirito si avvicinava alle<br />

idee di riforma morale e intellettuale di<br />

Wittgenstein.<br />

Il saggio biografico di Mac Guinness ripropone<br />

dunque una immagine sdoppiata di<br />

Wittgenstein, dove il punto di frattura starebbe<br />

appunto negli anni successivi alla<br />

guerra. Il mistero di questa affascinante<br />

personalità resta racchiuso nella definizione<br />

che Wittgenstein stesso ha dato del suo<br />

lavoro e della filosofia in generale, secondo<br />

cui essa «non è un corpo di dottrine, ma<br />

un’attività». Attività che, secondo Mac<br />

Guinness, è comparabile ad una ricerca<br />

mistica; in questo senso il cambiamento di<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

posizione di Wittgenstein viene “letto” nei<br />

termini di una «conversione religiosa».<br />

Il nucleo narrativo del romanzo di Bruce<br />

Duffy, Le monde tel que je l’ai trouvé, si<br />

sviluppa attorno al rapporto umano e intellettuale<br />

tra Wittgenstein, Russell e il già<br />

citato George Moore. Uno dei vantaggi<br />

della fiction rispetto alla biografia, sostiene<br />

Duffy, è quello di poter stabilire delle connessioni<br />

ipotetiche, ma significative, laddove<br />

il puro dato biografico rimane muto.<br />

La correlazione tra ciò che Wittgenstein<br />

vede, quello che sente e quello che pensa<br />

viene dunque ripristinata in via immaginaria<br />

ed è sottoposta unicamente al criterio<br />

della credibilità romanzesca: «Il romanzie-<br />

Ludwig Wittgenstein<br />

re - afferma Duffy nella sua Introduzione -<br />

è in grado di mostrare ai lettori una sorta di<br />

continuità, di comprensione dell’esistenza<br />

quale il biografo non ha il diritto di supporre.<br />

Per questo motivo ho deliberatamente<br />

scelto di scrivere un romanzo, perché la<br />

finzione è irresponsabile». E.N.<br />

Felice Tocco e la tradizione<br />

filosofica italiana<br />

C’è una specificità della tradizione filosofica<br />

italiana? Ci fu, e in che misura,<br />

una dittatura del così detto idealismo


italiano? E in questo quadro, chi furono<br />

e che funzione svolsero i “minori”?<br />

Queste le domande che negli anni ’80<br />

animavano un vivace dibattito. Alle<br />

prime due domande si rispose, come è<br />

ovvio, sia in senso affermativo, sia<br />

negativo. Quanto ai “minori”, si trattò<br />

di cogliere, illuminare e capire i contesti<br />

nei quali a attraverso i quali i singoli<br />

studiosi avevano lavorato. Nel frattempo<br />

si è diventati consapevoli che il<br />

problema della specificità o della crisi<br />

di identità della filosofia italiana è un<br />

problema che deve essere affrontato<br />

volta per volta, autore per autore, contesto<br />

per contesto, facendo anche un<br />

po’ di storia a proposito di ciò che gli<br />

altri presentano e ripresentano come<br />

problema e teoria della storia. Da questo<br />

punto di vista è il caso di menzionare<br />

la monografia che Massimo<br />

Ferrari ha recentemente dedicato al<br />

neokantismo italiano e a Felice Tocco<br />

(1845-1911): I dati dell’esperienza.<br />

Il neokantismo di Felice<br />

Tocco nella filosofia italiana<br />

tra Ottocento e Novecento<br />

(L. S. Olschki, Firenze 1990).<br />

Stroncato da Gentile e trattato come studioso<br />

domenicale, Felice Tocco esce dallo<br />

studio di Massimo Ferrari come quel “protagonista”<br />

che oggettivamente era, in dialogo<br />

con il meglio della filosofia europea.<br />

Dice bene Ferrari, avviandosi a concludere:<br />

«Tra gli allievi di Tocco ve ne sono<br />

alcuni [...] che meritano di essere ricordati:<br />

[...] Faggi, Vidari, Lamanna, Levi,<br />

Mandolfo, Lombardo Radice, lo stesso<br />

Gentile si laurearono e si perfezionarono a<br />

Firenze con Tocco [...] ed è nell’Istituto di<br />

<strong>Studi</strong> Superiori che, sotto il segno della<br />

filosofia positiva di Villari e dell’intreccio<br />

tra storia e filologia, venne costituendosi<br />

anche per gli studi filosofici una tradizione<br />

feconda, improntata a una severa disciplina<br />

mentale che non era né morta erudizione,<br />

né stanca ripetizione dei valori perenni,<br />

bensì impegno costante per la comprensione<br />

della filosofia come giustificazione della<br />

conoscenza e legittimazione delle idee<br />

che guidano l’uomo nella storia.» A questo<br />

si aggiunga che Arturo Massolo, che aveva<br />

iniziato i suoi studi alla fine degli anni<br />

Trenta dedicandosi in particolare a Kant, ci<br />

raccomandava, ancora negli anni Cinquanta,<br />

di leggere il Kant e il Platone di Tocco.<br />

La monografia di Ferrari, già noto per i suoi<br />

studi su Varisco, si articola in tre capitoli<br />

assai omogenei nel tono, nell’oggetto e<br />

nell’ampiezza: Da Spaventa al neokantismo;<br />

Il neokantismo degli anni Ottanta; il<br />

Kant di Tocco tra la “crisi del positivismo”<br />

e la “rinascita idealistica”. A questo materiale<br />

di studio fa riscontro la pubblicazione,<br />

risalente al 1988, delle lezioni di Tocco su<br />

Kant, divise in due quaderni: 1900-1902,<br />

brevemente commentate da Giulio Raio:<br />

Lezioni su Kant di Felice Tocco. <strong>Studi</strong>o ed<br />

edizione.<br />

Kant risulta tra i pensatori più meditati<br />

PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

anche da Annibale Pastore (1868-1956),<br />

altra figura che meriterebbe un’attenzione<br />

meno corriva. E’ ciò che ha fatto Fabio<br />

Bazzani, che ha schedato e datato le carte,<br />

i manoscritti e le lettere di Pastore, ora<br />

raccolti in Le carte di Annibale Pastore.<br />

Fondo dell’Accademia “La Colombaria”<br />

(L. S. Olschki, Firenze 1990). Un’edizione<br />

che giunge a proposito in attesa di leggere<br />

gli atti del convegno su Pastore che si è<br />

svolto a Siena nel maggio 1990 e che saranno<br />

pubblicati dall’Istituto L. Geymonat.<br />

Per dare un’idea del filosofo, che fu spirito<br />

libero ed eccentrico, studioso di problemi<br />

logici e scientifici in un momento non<br />

propriamente favorevole, mette conto riportare<br />

qualche riga del curatore che ne<br />

illumina anche l’attualità: «Mi sembra che<br />

nella ipotesi di una metafisica critica, conciliativa<br />

di opposte tendenze, pure nel caso<br />

della filosofia pratica Pastore si muova in<br />

una prospettiva di conciliazione e, in primo<br />

luogo, nella prospettiva di conciliare l’etica<br />

di Marx e di Hegel con la morale di Kant.<br />

Se l’intento è quello di costruire una società<br />

retta da principi solidaristici, allora ci si<br />

deve rivolgere a Marx, forse a Hegel, ma<br />

non a Kant, poichè Marx, e Hegel, elaborano<br />

un’etica della collettività, mentre Kant<br />

si colloca in un’ottica eminentemente individualistica.<br />

Se, al contrario, l’intento è<br />

quello di garantire la libertà personale, la<br />

priorità del soggetto sull’oggetto, allora è<br />

necessario rivolgersi a Kant, poichè Hegel<br />

e Marx, in quanto incentrano tutta l’attenzione<br />

sulla socialità dell’etica, non sanno<br />

conferire spazio adeguato alle libertà singole.<br />

Ma l’intento è duplice: armonizzare<br />

libertà del singolo ed esigenza del mantenimento<br />

sociale. E proprio sul piano pratico,<br />

tramite la duplicità dell’intento che indica,<br />

Pastore riesce a correggere l’interpretazione<br />

forse troppo schematica e riduttiva che<br />

fornisce tanto di Marx e di Hegel quanto di<br />

Kant». Per quanto ci sia dello schematismo<br />

in queste carte, come nota Bazzani, e talora<br />

anche qualche ingenuità, viene spontaneo<br />

chiedersi se non siano proprio questi i problemi<br />

che troviamo al fondo del dibattito<br />

filosofico contemporaneo o meglio: che<br />

dovremmo trovarvi - almeno per coloro<br />

che credono che la filosofia abbia a che fare<br />

con gli uomini e non con gli dei o gli angeli,<br />

con gli esseri (umani), piuttosto che con<br />

l’Essere. L.S.<br />

William Whewell<br />

A una considerazione della scienza<br />

non semplicemente come invenzione,<br />

rivoluzione e intuizione, ma anche come<br />

tentativo di ordinare e sistematizzare<br />

le teorie e le tecniche scientifiche<br />

per creare una struttura d’insieme capace<br />

di garantire un normale funzionamento<br />

della scienza, risponde la recente<br />

pubblicazione in Inghilterra di<br />

due monografie sull’opera di un pensatore<br />

per lo più dimenticato del seco-<br />

lo scorso, William Whewell (1794-<br />

1866). Si tratta del saggio di Menachem<br />

Fisch, William Whewell: philosopher<br />

of science (William Whewell:<br />

filosofo della scienza, Clarendon Press,<br />

Oxford 1991) che figura anche come<br />

curatore, insieme a Simon Schaffer,<br />

del volume: William Whewell: a<br />

composite portrait (William<br />

Whewell: un ritratto composito,<br />

Clarendon Press, Oxford 1991). In entrambi<br />

i casi abbiamo di fronte un’interessante<br />

analisi dello sviluppo intellettuale<br />

di Whewell in relazione allo<br />

sviluppo scientifico della sua epoca.<br />

William Whewell fu storico della scienza<br />

e filosofo. Visse e insegnò a Cambridge. Fu<br />

autore di opere scientifiche, per la maggior<br />

parte espositive, di scritti di filosofia morale<br />

e soprattutto di due importanti lavori di<br />

storia e filosofia della scienza: The history<br />

of inductive sciences (3 voll., 1837) e The<br />

philosophy of the inductive sciences (1840).<br />

Dalla morte di Whewell poco del suo lavoro<br />

è stato ristampato, data anche una certa<br />

obsolescenza che in breve tempo colse<br />

gran parte dei suoi testi. Nonostante questo,<br />

Whewell ha svolto un ruolo importante<br />

nel mondo scientifico inglese della prima<br />

metà del XVIII secolo. I suoi due lavori più<br />

importanti, anche se risultano superati, sono<br />

molto interessanti se considerati come<br />

l’espressione di un certo periodo scientifico,<br />

così come viene riportato e analizzato<br />

attraverso gli occhi di un osservatore interno<br />

ai problemi stessi. A questo proposito si<br />

può menzionare la posizione che Whewell<br />

assunse nei confronti di J. S. Mill, sostenendo<br />

che l’induzione può essere definita<br />

solo come metodo effettivamente usato<br />

nella costruzione delle scienze cosidette<br />

induttive, e non astrattamente e indipendentemente<br />

da esse. L’idea dell’esistenza<br />

di una logica induttiva è del tutto futile per<br />

Whewell, dato che il procedimento di formazione<br />

di un’ipotesi non risulta mai logicamente<br />

corretto.<br />

Lo studio di Menachem Fisch analizza<br />

dettagliatamente parecchi degli scritti filosofici<br />

di Whewell, anche quelli mai pubblicati,<br />

dimostrando che il sistema filosofico<br />

di Whewell fu originariamente pensato secondo<br />

un ordine esattamente opposto a<br />

quello usato poi dal filosofo nella sua<br />

Philosophy of the inductive sciences: ciò<br />

risulterebbe confermato dal fatto che l’epistemologia<br />

quasi-kantiana con cui quest’opera<br />

inizia è una delle ultime teorie formulate<br />

dall’autore.<br />

Ulteriori considerazioni su aspetti del lavoro<br />

e della vita di Whewell le si può trovare<br />

nella raccolta di saggi: William Whewell: a<br />

composite portrait. Tra le analisi più interessanti<br />

contenute in questo volume si segnalano<br />

i saggi di John Hedley Brooke e<br />

di Michael Ruse. Brooke fornisce una descrizione<br />

illuminante del credo religioso di<br />

Whewell e della sua tendenza verso la<br />

teologia naturale, che nonostante l’impegno<br />

religioso di Whewell non emerge chiaramente<br />

dai suoi scritti. Ruse esamina invece<br />

il personale lavoro scientifico di


PROSPETTIVE DI RICERCA<br />

Mathias Grünewald, Altare di Issenheim (1505-1516) particolare della Crocefissione (Colmar, Musée<br />

d'Unterlinden)


Il dolore, la sofferenza<br />

Organizzato dalla Società Filosofica<br />

Italiana, si è tenuto a Matera, dal 3 al 5<br />

ottobre 1991, un convegno nazionale<br />

dal titolo: Il dolore; modi e interpretazioni<br />

della sofferenza.<br />

Relazioni di Armando Rigobello, Giorgio<br />

Penzo, Aldo Zenardo, Salvatore<br />

Veca, Piero Di Giovanni, Andrea Milano,<br />

alle quali sono seguite vivaci comunicazioni<br />

e discussioni. A concludere<br />

il convegno è stata una tavola<br />

rotonda, dedicata alla specificità dell’insegnamento<br />

della filosofia nelle<br />

scuole secondarie.<br />

Diversi e numerosi i contributi per un convegno<br />

che ha evidenziato le difficoltà di<br />

lettura di un problema così complesso quale<br />

si è rivelato quello della sofferenza. Armando<br />

Rigobello ha definito il dolore un<br />

enigma di cui non si può semplicemente<br />

cogliere il senso. Per cercare di comprenderlo<br />

e delinearne un orizzonte di senso, è<br />

necessario un approccio fenomenologico<br />

al quale deve seguire il momento interpretativo.<br />

Rigobello ha fatto un richiamo a<br />

Husserl, che pone il dolore e il piacere<br />

all’interno di una esperienza corporea. Passando<br />

dalla fenomenologia all’interpretazione,<br />

Rigobello ha delineato due proposte<br />

di senso, che vedono rispettivamente il<br />

dolore connesso alla creatività e come occasione<br />

di rinnovamento morale. Giorgio<br />

Penzo ha guardato alla possibilità di considerare<br />

una radice metafisica della sofferenza<br />

e una radice che metta in discussione la<br />

componente metafisica. Egli ha così parlato<br />

di scandalo della sofferenza che trova il<br />

suo senso nel Dio assente. L’uomo, in tal<br />

modo, non può mai spiegarsi il perchè della<br />

presenza della sofferenza il cui senso è,<br />

appunto, il non aver senso. Emerge così, di<br />

fronte a tale impossibilità, la finitezza dell’uomo:<br />

il senso del non senso del dolore sta<br />

nel non cercare di definirlo dogmaticamente,<br />

nell’accettarlo (Nietzsche) e nell’intendere<br />

l’uomo come essere per la sofferenza.<br />

Anche Andrea Milano, nell’intenzione di<br />

fornire dei materiali per un’interpretazione<br />

del dolore, ne ha proposto un approccio<br />

all’interno di un orizzonte teologico metafisico.<br />

Egli ha sostenuto che la teologia si è<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

sempre lasciata orientare in quanto costruita<br />

su presupposti pensati come razionali,<br />

ma che in realtà sono precristiani. I teologi<br />

hanno, così, interpretato il dolore come<br />

afflizione di un male percepito come male<br />

(S. Tommaso), come malattia storica, di<br />

cui è responsabile l’uomo che soffre perchè<br />

ha peccato (Genesi), come possibilità<br />

di ammaestramento. Tuttavia la sofferenza<br />

rimane, per la fede, un mistero che sussiste<br />

nel mistero di Dio, il quale attraverso di<br />

essa manifesta le sue opere.<br />

Per Aldo Zanardo la sofferenza ha vari<br />

esiti fra cui esiti di saggezza. Egli si è<br />

soffermato sul senso del limite e sul ricollocamento<br />

nella vita di una più adeguata<br />

comprensione di sé e del mondo, entrambe<br />

forme di saggezza di cui la sofferenza può<br />

essere occasione. In questo senso il dolore<br />

è da intendere come un’esperienza che, nel<br />

farci sentire deboli come soggetti, inadatti<br />

rispetto al mondo circostante, ci insegna la<br />

finitezza, imponendoci una rettifica della<br />

nostra comprensione di noi stessi, degli<br />

altri e del mondo naturale. Questa ricostruzione<br />

del nostro essere nella vita rappresenta<br />

una svolta che ci conduce alla saggezza.<br />

Per il mondo antico si può parlare di<br />

una saggezza accettativa, derivante dalla<br />

constatazione dell’inestirpabilità della sofferenza<br />

dalla vita umana, diversa dalla<br />

saggezza di consolazione del mondo cristiano,<br />

che guarda invece a un mondo futuro<br />

senza sofferenza. Il mondo moderno<br />

non ha una saggezza del limite, perchè non<br />

ha consapevolezza del per sé del mondo<br />

naturale e del cosmo. Dalla sofferenza l’uomo<br />

ha ancora da imparare il senso del<br />

limite, l’avere misura nel rapporto con il<br />

mondo naturale e con gli altri. Salvatore<br />

Veca ha centrato invece l’attenzione sulle<br />

sofferenze sociali. Egli ha esordito illustrando<br />

una tesi dell’utilitarismo negativo<br />

che, connettendo la nozione di sofferenza<br />

con quella di utilità o disutilità, prescrive<br />

una minimizzazione della disutilità collettiva<br />

e quindi della sofferenza evitabile, e<br />

una massimizzazione della utilità e quindi<br />

della felicità o del benessere collettivo. Ciò<br />

che connette la sofferenza con la dignità è<br />

il linguaggio in quanto forma di vita, rinvio<br />

ad una comunità di parlanti che in esso<br />

riconoscono il senso della sofferenza collettivamente<br />

interpretata. Se non viene riconosciuta<br />

la pari dignità fra parlanti aven-<br />

ti un patrimonio linguistico comune, si ha<br />

esclusione dalla comunità, il che ha come<br />

conseguenza l’umiliazione, la degradazione,<br />

l’erosione dell’autonomia e della dignità<br />

di agenti. Questa è la sofferenza<br />

sociale più saliente, generata da un certo<br />

assetto delle istituzioni fondamentali; essa<br />

è la rottura del presupposto di un tale<br />

assetto, ovvero la necessità dell’identità<br />

stabile nel tempo, fra individuo e collettività.<br />

Il contributo infine di Piero Di Giovanni<br />

ha avuto come presupposto la lettura in<br />

termini filosofici dell’opera di Freud, che<br />

pone in relazione il dolore con i temi dell’angoscia,<br />

del lutto e della nevrosi. La<br />

psicanalisi deve considerare il soggetto<br />

affetto da nevrosi nella sua specificità di<br />

individuo che vive in una dimensione storica,<br />

dove la presenza del dolore è causata<br />

dall’uomo stesso, ma anche dalla caducità<br />

della vita. L’uomo soffre anche perchè<br />

comprende tale caducità, ed è per questo<br />

motivo che per Freud la psicanalisi, nel<br />

tentativo di liberare l’uomo dal dolore,<br />

deve assumere una connotazione filosofica.<br />

L.L.<br />

I problemi del tradurre<br />

L’argomento dell’ultimo simposio della<br />

Humboldt-Stifung: Geisteswissenschaftliches<br />

und literarisches<br />

Übersetzen im internationalen<br />

Kulturaustausch (La<br />

traduzione nel campo della letteratura<br />

e delle scienze dello spirito dal punto<br />

di vista di uno scambio culturale tra<br />

nazioni, Sonthofen 7-11.X.1991), ha<br />

preso in considerazione i problemi<br />

della traduzione di testi filosofici, giuridici,<br />

storici, sociologici e, naturalmente,<br />

letterari. L’argomento non è<br />

nuovo; ciò che è nuovo, ovvero ciò che<br />

è divenuto evidente dopo la riunificazione<br />

del 3 ottobre 1990, è il ruolo<br />

sempre più cospicuo svolto dalla nazione<br />

culturale tedesca, oggi come in<br />

passato, nel mettere in moto gli sforzi<br />

della comunità dei ricercatori, promuovendo<br />

ricerche, sperimentazioni,<br />

addirittura nuovi modi di pensare in<br />

tutte le nazioni del mondo.


Che significato hanno le traduzioni nel<br />

contesto delle singole culture? Quali sono<br />

le condizioni meteriali e di mercato, di cui<br />

deve tener conto chi si dedica alla traduzione?<br />

Queste le domande principali discusse<br />

al simposio. Chi si reca a Parigi, al Ministère<br />

de la francophonie, trova tutte le informazioni<br />

necessarie a proposito del ruolo svolto<br />

in tal senso dalla lingua e dalla cultura<br />

francese. Ma un ministero siffatto non lo si<br />

trova né a Bonn, né a Berlino: al più si<br />

trovano, a Monaco e in tutto il mondo, le<br />

sedi del Goethe Institut (il corrispondente<br />

della nostra Società Dante Alighieri) e, a<br />

Bonn, l’istituto Inter Nationes, che mette a<br />

disposizione fondi per tradurre sal tedesco<br />

in altre lingue. Di fatto sono proprio i<br />

ricercatori che hanno avuto esperienza dei<br />

risultati più avanzati della ricerca prodotta<br />

in Germania a fornire oggi, con il loro<br />

impegno in quanto traduttori, un’efficace<br />

risposta a questo bisogno di comunicazione.<br />

Il motto lanciato dal segretario della<br />

Humboldt-Stiftung, Heinrich Pfeiffer si<br />

riassume nella formula: «tradurre significa<br />

gettare ponti»; la traduzione aiuta alla comprensione<br />

tra culture diverse e dunque non<br />

solo al progresso della ricerca, ma anche<br />

alla pace. Squisitamente letterario, e di<br />

portata tanto più universale, è stato l’intervento<br />

di Karl Dedecius, direttore del<br />

Deutsches Polen-Institut di Darmstadt. Se<br />

Benedetto Croce negava la possibilità di<br />

una traduzione, perchè il testo scritto può<br />

dare espressione al pensiero solo nelle stesse<br />

parole attraverso le quali il pensiero ha<br />

preso forma, ciò non toglie, ha osservato<br />

Dedecius, che il lettore di una traduzione<br />

possa mettersi lui stesso a pensare, dando<br />

nuova forma al pensiero espresso dal testo<br />

originale. Considerazioni sistematiche sui<br />

problemi metodologici della traduzione sono<br />

venute invece da Marco Buzzoni, che<br />

ha insistito sull’esistenza di tre antinomie<br />

fondamentali: 1) in linea di principio si può<br />

dire che ogni testo sia, in quanto tale, traducibile,<br />

ma in verità ogni traduzione dipende<br />

dal contesto storico e sociale che l’ha prodotta;<br />

2) la traduzione è una fonte, perchè<br />

riproduce un originale, ma è anche il risultato<br />

di un’attività ermeneutica, perchè dà<br />

un giudizio sulla natura dell’originale; 3) la<br />

traduzione, infine, può essere o letterale o<br />

libera.<br />

Molto vivace il lavoro delle sezioni. La<br />

prima, diretta da due linguisti, Wolfram<br />

Wills e Mario Wandruszka, si è occupata<br />

degli aspetti concettuali di lingua, interpretazione<br />

e traduzione, fermandosi in particolare<br />

sul fatto che tradurre serve a mettere<br />

in discussione le grammatiche delle singole<br />

lingue, e serve anche a verificare la<br />

legittimità di nuove forme idiomatiche. Il<br />

punto che più ha agitato gli animi è stato,<br />

ovviamente, l’accettabilità o meno di “universali<br />

linguistici”, come è avvenuto, ad<br />

esempio, nella relazione di Paolo Ramat.<br />

La terza sezione, diretta da Christian<br />

Tomuschat e Kurt Lipstein ha considera-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

to le traduzioni di testi giuridici, sociologici<br />

ed economici; la quarta, diretta da Rudolf<br />

Vierhaus e Rudolf Makkreel, è stata dedicata<br />

alle scienze storiche. Degli aspetti<br />

artistici della traduzione di testi letterari<br />

hanno discusso i relatori della quinta sezione,<br />

diretta da Wilhelm Voßkamp e Ludo<br />

Verbeeck; mentre si sono occupati di “storia<br />

e tipologia della traduzione” i relatori<br />

della sesta, diretta da Armin Paul Frank e<br />

Marion Adams. L’”estraneità culturale” è<br />

stata l’argomento della settima sezione,<br />

diretta da Horst Turk e Anil Bhatti, e il<br />

contesto culturale dell’attività del traduttore<br />

lo è stato per l’ottava, diretta da Fritz<br />

Nies, Fritz Paul e Yushu Zhang. Con<br />

particolare attenzione si è discusso sia del<br />

traduttore, in quanto libero soggetto culturale,<br />

sia della comunità dei lettori, il cui<br />

interesse obiettivo per un testo proveniente<br />

da un’altra cultura è sempre condizionato<br />

dalle proprie componenti culturali.<br />

Dedicata ai problemi specifici della traduzione<br />

filosofica è stata invece la seconda<br />

sezione, diretta da Rüdiger Bubner e<br />

Istvan M. Feher. Dal punto di vista pratico,<br />

sono stati gli scritti di Hegel e Heidegger<br />

(senz’altro i più citati) a esemplificare le<br />

difficoltà incontrate nella traduzione. Delle<br />

loro esperienze in quanto traduttori di<br />

Hegel hanno parlato Marina Bykova, per<br />

il russo, e Georgia Apostolopoulou, per il<br />

greco; di Heidegger hanno parlato Jorge<br />

Rivera, per lo spagnolo, e Istvan M.<br />

Fehrer, per l’ungherese. Discutendo su<br />

questi due grandi filosofi è divenuto chiaro<br />

che, se è vero che ogni lingua ha un suo<br />

proprio spirito, è anche vero che ogni lingua<br />

contiene termini presi a prestito dal<br />

greco e dal latino. A ragione Ryosuke<br />

Osashi (traduttore di Heidegger in giapponese)<br />

ha però fatto notare che nelle lingue<br />

dell’Estremo Oriente, pur a fronte di importanti<br />

prestiti dalla terminologia filosofica<br />

di origine greco-latina (risalenti al Seicento),<br />

la morfologia e la sintassi sono<br />

talmente diverse da costringere il traduttore<br />

a percorrere una delle seguenti alternative:<br />

o un creativo fraintendimento o un’analogia<br />

con la tradizione confuciana o una<br />

consapevole decisione sul modo in cui ciò<br />

che viene dall’Occidente possa entrare a<br />

formare una cultura dell’Estremo Oriente.<br />

Detto questo, è evidente che la nota questione<br />

teorica dello “spirito di una lingua”<br />

deve essere fatta oggetto di un’analisi fenomenologica.<br />

Se Dariusz Aleksandrowicz<br />

ha parlato di gradi di “trasparenza”, Tom<br />

Rocmore ha insistito sul fatto che, da una<br />

parte, la traduzione presuppone una comprensione,<br />

ma, d’altra parte, la comprensione<br />

presuppone ben più che solo una<br />

traduzione; per comprendere un determinato<br />

testo noi dobbiamo fare uso di una<br />

traduzione, ma il resto, la ricerca di altre<br />

formulazioni, la sostituzione di certe parole<br />

con altre, la trasposizione di un’idea in<br />

un’altra prospettiva, ecc. spetta a noi.<br />

Una tavola rotonda, a cui hanno partecipato<br />

Dieter W. Benecke, Manfred Egelhard,<br />

Claus Sprick, Fritz Nies, José Lambert,<br />

Markku Mannila, sotto la moderazione di<br />

Kurt-Jürgen Maaß, è servita a mettere in<br />

chiaro possibilità e limiti di un approccio<br />

teorico e pratico ai problemi della traduzione.<br />

R.P.<br />

Il ritorno dei neokantiani<br />

In una recente rassegna di alcuni studi<br />

sul neokantismo, Dominique Bourel<br />

parla di un vero e proprio “retour des<br />

néo-kantiens” (“Archives de philosophie”,<br />

LIV, 1991, pp. 518-522).<br />

L’espresione è quanto mai appropriata<br />

e l’ormai diffuso interesse per la<br />

complessa parabola del neokantismo<br />

tedesco (ma in realtà non solo tedesco)<br />

ha trovato una conferma ulteriore,<br />

se non addirittura un riconoscimento<br />

“istituzionale”, in occasione del<br />

convegno internazionale organizzato<br />

da Ernst Wofgang Orth e Helmut<br />

Holzhey, dal 9 al 13 settembre 1991<br />

presso l’Università di Trier, sul tema:<br />

Neukantianismus. Perspektiven<br />

und Probleme (Neokantianismo. Prospettive<br />

e problemi).<br />

Le relazioni e le comunicazioni di numerosi<br />

e qualificati studiosi (cospicua, peraltro,<br />

la partecipazione italiana) hanno messo a<br />

fuoco sia lo stato attuale della ricerca sulle<br />

diverse ‘scuole’ neokantiane o su singoli<br />

rappresentanti del neokantismo tedesco a<br />

cavallo tra Otto e Novecento (da Cohen a<br />

Windelband, da Rickert a Cassirer), sia<br />

l’importanza delle filosofie neocriticiste<br />

nel panorama della filosofia europea di<br />

questo secolo, nonostante una sorta di ‘rimozione’<br />

che ha per lungo tempo declassato<br />

il “ritorno a Kant” ad una sterile filosofia<br />

professorale, tramontata senza clamori dopo<br />

la prima guerra mondiale.<br />

Tra gli interventi si segnala in primo luogo<br />

(Friedrich Tenbruck, Wolfgang Schulz,<br />

Mario Signore, Harald Homann,<br />

Ferdinand Fellmann) quelli che hanno<br />

affrontato l’importanza del neokantismo<br />

per l’elaborazione di una teoria della cultura<br />

moderna, tanto nella direzione della problematica<br />

dei “valori”, tipica della scuola<br />

del Baden, quanto nell’accezione dinamica<br />

e vitalistica di Simmel, centrando al contempo<br />

l’attenzione sull’analisi del mondo<br />

sociale nel punto di incrocio - o di “concorrenza”<br />

- tra etica e sociologia (Klaus<br />

Christian Köhnke), così come sui fondamenti<br />

dell’analisi sociale in Tönnies e<br />

Weber o nel confronto Weber-Rickert<br />

(Peter-Ulrich Merz, Milos Havelka,<br />

Franco Bianco). Un rilievo non inferiore è<br />

stato attribuito al contributo che le filosofie<br />

neokantiane hanno offerto in ambito epistemologico,<br />

nel tentativo di determinare<br />

le condizioni di possibilità dell’esperienza<br />

fisica (su questo tema si è intrattenuto Jules<br />

Vuillemin nella relazione che ha aperto il<br />

convegno) e, più in generale, di delineare<br />

una teoria della scienza (Werner Flach), la


cui importanza può essere ancora oggi criticamente<br />

rivendicata (Jean Petitot), specie<br />

se si tien conto dei fraintendimenti in<br />

cui è incorso il neopositivismo nella sua<br />

‘demolizione’ del kantismo (Massimo<br />

Ferrari).<br />

Nelle altre sessioni del convegno sono stati<br />

analizzati alcuni pensatori della generazione<br />

neokantiana più giovane - come Max<br />

Adler, Emil Lask e Bruno Bauch - che<br />

ancora non hanno ricevuto adeguata attenzione<br />

(Wilfried Lehre, Stephan<br />

Nachtsheim, Walter Zeidler); ma particolarmente<br />

stimolante è stata soprattutto la<br />

messe dei contributi su Cohen - sia il Cohen<br />

della ‘logica della conoscenza pura’, sia il<br />

Cohen della filosofia della religione -, su<br />

Cassirer e la Lebensphilosophie, e infine su<br />

Natorp, nel suo duplice rapporto con<br />

Heidegger e con Dilthey (Jean Seidengart,<br />

Geert Edel, Andrea Poma, Pierfrancesco<br />

Fiorato, Thomas Knoppe, Karl-Heinz<br />

Lembeck, Christoph von Wolzogen).<br />

Parallelamente altri studiosi hanno invece<br />

tentato sia un quadro generale delle interpretazioni<br />

di Kant e della ‘filologia kantiana’<br />

che hanno avuto origine dal neokantismo<br />

di fine Ottocento (Rudolf Malter, Nobert<br />

Hinske), sia un bilancio del contributo che<br />

la scuola di Marburgo o le correnti<br />

neokantiane nel loro complesso hanno lasciato<br />

in eredità al dibattito attuale nell’ambito<br />

dell’etica, della filosofia del diritto e<br />

della filosofia della religione (Helmut<br />

Holzhey, Hans Ludwig Ollig).<br />

Il convegno di Trier ha fornito uno sguardo<br />

d’insieme sulle ricerche dedicate al<br />

neokantismo, oggi in pieno svolgimento,<br />

per quanto tutt’altro che riconducibili a un<br />

denominatore comune sia per l’impostazione<br />

storico-teorica che le guida, sia per le<br />

valutazioni a cui esse approdano. Su un<br />

punto, tuttavia, gli studiosi convenuti a<br />

Trier sembrano concordare unanimamente:<br />

il neokantismo - giuste le parole introduttive<br />

di Ernst Wolfgang Orth - ha rappresentato<br />

un’epoca filosofica che, proprio<br />

per la sua brusca interruzione dopo il 1933,<br />

deve essere sondata in profondità se si<br />

vuole comprendere veramente il senso della<br />

filosofia contemporanea. Dopo Kant - ha<br />

aggiunto Orth - non si può non essere in<br />

qualche misura ‘neokantiani’: da questo<br />

punto di vista, come ha osservato Gerhard<br />

Funke, intervenendo alla tavola rotonda<br />

che ha concluso il convegno, il neokantismo<br />

rappresenta ancora oggi un irrinunciabile<br />

“fermento della vita filosofica” M.F.<br />

Michael Walzer<br />

sui nuovi comunitarismi<br />

Quello che più colpisce dell’attuale<br />

scena internazionale è il “nuovo disordine”<br />

che la regola, che scuote antichi<br />

equilibri, ricomponendo comunità nazionali<br />

e ristretti gruppi di appartenenza<br />

culturale. La crisi dello Stato<br />

nazionale classico, così come la disso-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

luzione dell’impero russo hanno travolto<br />

tanto l’idea dello Stato centrale,<br />

limitato da confini nazionali, quanto la<br />

prospettiva del centralismo comunista.<br />

Ciò impone altresì la necessità di<br />

ripensare da una parte la costituzione<br />

di organismi soprannazionali, mentre<br />

dall’altra di riconsiderare anche i limiti<br />

stessi di una forma di Stato sociale<br />

che si dimostra tanto più debole, quanto<br />

più eterogenee sono le sue componenti<br />

culturali ed etniche. Di questi<br />

problemi, articolati secondo un linguaggio<br />

trasversale che coinvolgeva<br />

filosofia, sociologia e politica, si è discusso<br />

con Michael Walzer nell’ambito<br />

del Festival Nazionale de “l’Unità”<br />

il 6 settembre 1991 a Bologna.<br />

Giancarlo Bosetti ha posto l’accento sulla<br />

progressiva divaricazione che si è venuta a<br />

creare fra la concezione universalistica della<br />

politica mondiale e quella realistica dell’ordine<br />

sociale, ovvero fra la versione cosmopolitica<br />

kantiana e quella particolaristica<br />

della fattualità storica, che mette in<br />

crisi la stessa prospettiva degli ideali soprannazionali.<br />

In tal senso, si è chiesto<br />

Bosetti, può ancora esistere un qualche<br />

rapporto normativo fra giustizia internazionale<br />

e governo mondiale? Su questa<br />

domanda iniziale si è venuta ad articolare<br />

l’intera relazione di Michael Walzer, docente<br />

a Princeton e noto in Italia oltre che<br />

per i suoi saggi (si veda il n. 5 di<br />

“MicroMega”), soprattutto per le sue opere:<br />

Sfere di giustizia (Feltrinelli), Guerre<br />

giuste e ingiuste (Liguori), Esodo e rivoluzione<br />

(Feltrinelli) e Interpretazione e critica<br />

sociale (Lavoro), mentre sono di prossima<br />

pubblicazione La compagnia dei critici<br />

e una raccolta di saggi presso l’editore<br />

Marsilio.<br />

Walzer viene comunemente considerato<br />

come uno dei maggiori teorici dei cosiddetti<br />

comunitari, una corrente di pensiero che<br />

si è sviluppata negli Stati Uniti fra gli anni<br />

’70 e ’80, a seguito della pubblicazione<br />

dell’opera di John Rawls, Una teoria della<br />

giustizia, che riproponeva una concezione<br />

universalistica e astratta del soggetto, secondo<br />

un’impostazione liberal-kantiana. Di<br />

contro i comunitari, a partire da Michael<br />

Sandel, sostengono una concezione contestualistica<br />

e culturalmente relativistica dell’etica<br />

e della giustizia, in rapporto alle<br />

diverse sfere di appartenenza culturale.<br />

Nella sua analisi Walzer è partito da una<br />

constatazione fenomenologico-descrittiva,<br />

secondo cui attualmente la scena mondiale<br />

è caratterizzata dal riemergere di forme di<br />

“tribalismo” e di “parrocchialismo”, sulla<br />

base dell’appartenenza etnica, religiosa e<br />

culturale e della condivisione di certe pratiche<br />

sociali, su cui si baserebbe anche la<br />

solidarietà reciproca. Partendo da questa<br />

struttura molecolare della convivenza civile,<br />

Walzer ha poi affrontato quello che da<br />

sempre è stato uno dei presupposti cardinali<br />

del liberalismo, è cioè la necessità di far<br />

coesistere il “pluralismo culturale” con for-<br />

me di vita eterogenee, nella pace e nel<br />

rispetto reciproco. Ma nel corso di questo<br />

secolo la storia dell’integrazione multiculturale<br />

in Europa e negli Stati Uniti è stata<br />

indubbiamente molto diversa, proprio perché<br />

il continente europeo è stato per lo più<br />

caratterizzato dalla presenza di Stati nazionali<br />

e da forme di Stato sociale con una<br />

popolazione pressoché omogenea. Con<br />

l’occhio puntato verso la futura identità<br />

della Comunità Europea, Walzer ritiene<br />

che l’esperienza politica e culturale delle<br />

nuove immigrazioni sia un esperimento<br />

fondamentale che potrebbe contribuire anche<br />

al superamento del dislivello fra Nord<br />

e Sud, ma soprattutto al superamento del<br />

tradizionale concetto liberale di cittadinanza<br />

o di solidarietà internazionalistica, tramite<br />

una nuova figura di cittadino, in grado<br />

di vivere in pace con la propria comunità di<br />

appartenenza e con la più ampia società che<br />

lo circonda.<br />

Numerose sono state le obiezioni sollevate<br />

contro questa impostazione comunitaristica.<br />

In particolare, Gianfranco Pasquino<br />

ha fatto rilevare la sottovalutazione della<br />

problematica dei conflitti che verrebbe operata<br />

da questa concezione dell’appartenenza<br />

etnica. Michelangelo Bovero ha invece<br />

riproposto la visione cosmopolitica<br />

kantiana, sottolineando il deficit normativo<br />

che caratterizzerebbe la teoria dei comunitari.<br />

Salvatore Veca ha d’altra parte<br />

sottolineato la difficoltà che si incontrerebbe<br />

nel comunicare fra comunità diverse,<br />

soprattutto nel dover stabilire quale tipo di<br />

linguaggio possa essere reciprocamente usato<br />

e perché questo debba essere prioritario<br />

rispetto agli altri. Walzer ha ribattuto<br />

affermando che lui stesso non si ritiene<br />

cittadino del mondo e che è illusorio parlare<br />

di cittadinanza in termini universalistici.<br />

Le varie forme di conflittualità e i pericoli<br />

del fanatismo possono essere viceversa risolti<br />

attraverso un processo di negoziazione.<br />

Questi stessi temi sono stati poi ripresi<br />

dallo stesso Walzer nel corso di una conferenza<br />

pubblica, a cui hanno partecipato<br />

Claudia Mancina, Maurizio Viroli, Salvatore<br />

Veca e Giancarlo Bosetti. Walzer<br />

ha nuovamente ripreso la differenza che<br />

distingue l’Europa dagli Stati Uniti in termini<br />

di politica immigratoria, mettendo in<br />

luce quali dovrebbero essere a suo parere i<br />

fattori indispensabili e scalari per una politica<br />

d’integrazione, tale da permettere una<br />

società multiculturale: a) articolazione delle<br />

differenze, in cui ogni gruppo possa dare<br />

voce alle proprie aspirazioni, senza tendere<br />

ad una forzata omogeneizzazione con altri<br />

raggruppamenti sociali; b) negoziabilità<br />

delle differenze; c) incorporazione delle<br />

differenze - non trascendibili - entro lo<br />

Stato che non le emargini, ma che sappia<br />

anzi far loro da supporto strutturale. E’<br />

questo il principale pericolo a cui vanno<br />

incontro le società e le democrazie multiculturali<br />

e polietniche. Le obiezioni hanno<br />

di nuovo ribadito che se da una parte l’attuale<br />

cultura democratica tende a superare


l’antica dicotomia fra particolarismo e universalismo,<br />

dall’altra essa ripropone invece<br />

la necessità di ridefinire il livello normativo<br />

dell’interazione collettiva. Forse la<br />

visione un po’ “rappacificata” all’interno<br />

dell’identità di gruppo che Walzer sostiene<br />

con una certa enfasi comunitaristica, sottovaluta<br />

in effetti i molti pericoli insiti in<br />

certe forme di “tribalismo”, così come non<br />

prende esaustivamente in considerazione<br />

l’identità complessa del soggetto attuale,<br />

ma soprattutto minimizza la necessità di<br />

ritrovare nuove forme di solidarietà, al di là<br />

del gruppo di appartenenza. La solidarietà<br />

verso i non-partecipanti alla comunità non<br />

può infatti essere di tipo culturale, bensì<br />

normativo, dal momento che essa deve<br />

poter comprendere ex-negativo e in modo<br />

contro-fattuale le forme di “ingiustizia”<br />

ancora presenti nelle diverse sfere sociali.<br />

L’universalismo si ripresenta così sotto<br />

mutate spoglie, proprio grazie alla critica<br />

radicale mossa ad esso dai comunitari. M.C.<br />

La ‘pace perpetua’:<br />

storia di un dibattito<br />

Organizzato dall’Istituto Italiano per<br />

gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, si è svolto a Napoli<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

dal 23 al 27 settembre 1991 un seminario<br />

condotto da Domenico Losurdo,<br />

che ha avuto come tema il concetto di<br />

“pace perpetua”, dalle sue prime formulazioni<br />

fino alle trasformazioni prodotte<br />

in questo concetto dalla storia<br />

contemporanea.<br />

Per Domenico Losurdo il concetto di “pace<br />

perpetua” non può essere disgiunto da<br />

quella concezione universalistica dell’umanità<br />

che si afferma solamente con la<br />

Rivoluzione francese. Infatti in Erasmo da<br />

Rotterdam la “pace perpetua” è un invito<br />

alle sole nazioni cristiane allo scopo di<br />

meglio condurre le operazioni militari contro<br />

gli “infedeli”. L’abate di Saint-Pierre<br />

opera poi un duplice invito alla pace perpetua<br />

innanzitutto tra gli stati e poi tra i<br />

sovrani cristiani: si tratta essenzialmente di<br />

un patto di mutuo soccorso, grazie al quale<br />

ogni sovrano si impegnerà a sedare con il<br />

massacro di ribelli ogni sedizione sfuggita<br />

al controllo di un altro sovrano. Di contro<br />

già in Voltaire gli ideali pacifisti cominciano<br />

a collegarsi a concezioni universalistiche<br />

e di trasformazione politica e sociale<br />

dell’esistente e Rousseau, nel curare le<br />

opere dell’abate di Saint-Pierre, vi premette<br />

un “giudizio” nel quale afferma che solo<br />

una rivoluzione a carattere democratico<br />

Diego Velazquez, La resa di Breda, (Las Lauzas, 1634-35)<br />

potrà estirpare la guerra. Con la rivoluzione<br />

del 1789 la “pace perpetua” diviene una<br />

parola d’ordine politica. A differenza della<br />

Rivoluzione Americana, la Rivoluzione del<br />

1789 dichiara il carattere universale della<br />

concezione dell’uomo e dei suoi diritti,<br />

abrogando colonie e schiavitù.<br />

Kant ritorna a riaffermare il rapporto tra<br />

pace e democrazia: rifiuta l’idea di un esercito<br />

permanente e esalta l’immagine di un<br />

cittadino-soldato pronto alle armi per l’autodifesa<br />

della patria, propugna il principio<br />

del non intervento, l’interruzione della vergognosa<br />

tratta degli schiavi e, infine, auspica<br />

una federazione di liberi stati. Ma quest’ultima<br />

concezione giustifica di fatto operazioni<br />

militari contro gli stati assolutistici<br />

e diverrà l’ideologia espansionistica<br />

della Francia. L’ideale della “pace perpetua”<br />

comincia paradossalmente a trasformarsi,<br />

attraverso l’idea di creare una “grande<br />

e universale nazione degli uomini”, in<br />

una ideologia della guerra.<br />

Hegel individua il paradosso: la violenza<br />

come strumento di realizzazione della “pace<br />

perpetua”. In base a questa assunzione<br />

egli critica i meccanismi ideologici della<br />

richiesta di pace perpetua che la trasformano<br />

in un’ideologia della guerra. Inoltre se<br />

Kant e Rousseau credevano che la forma<br />

repubblicano-democratica dello Stato ga


antisse automaticamente la pace tra i popoli,<br />

Hegel osserva che il cessare del dispotismo<br />

non è affatto garanzia di pace, poiché<br />

la passione bellica può infiammare le masse<br />

altrettanto quanto i sovrani, come peraltro<br />

dimostra l’esempio rivoluzionario francese.<br />

D’altro canto, l’esempio inglese mostra<br />

invece come Stati costituzionali possano<br />

intraprendere guerre non solo per il<br />

capriccio dei regnanti, ma per precisi e<br />

pressanti interessi economici e commerciali.<br />

A differenza questa volta di Kant,<br />

osserva Losurdo, Hegel cade vittima dell’ideologia<br />

guerrafondaia della pace perpetua<br />

quando invoca una pace degli Stati europei<br />

allo scopo di mantenere un saldo controllo<br />

sulle colonie.<br />

La posizione di Marx ed Engels sul tema<br />

della pace perpetua tende a radicalizzare i<br />

temi della riflessione illuministica: è possibile<br />

la pace perpetua solo a patto di rivoluzioni<br />

politiche e sociali ben più radicali di<br />

quelle prospettate dagli illuministi. Lenin<br />

riprenderà il progetto della pace perpetua<br />

proponendo l’abolizione della diplomazia<br />

segreta e il controllo dal basso della politica<br />

internazionale. A differenza però della tradizione<br />

di pensiero illuministica, il<br />

marxismo non ha mai nascosto il fatto che<br />

le invocate rivoluzioni sono, a tutti gli<br />

effetti, delle guerre.<br />

Da ultimo Losurdo ha analizzato l’ideologia<br />

della guerra nata nell’Intesa durante il<br />

primo conflitto mondiale. L’ “interventista<br />

democratico” Salvemini parla di “guerra<br />

per la pace”, per abbattere il militarismo<br />

tedesco e con esso i motivi di turbamento<br />

della pace in Europa. Le posizioni di<br />

Salvemini trovano una eco imponenete nelle<br />

idee wilsoniane della “guerra contro la<br />

guerra”, della guerra contro Austria e Germania<br />

per insegnar loro le “buone maniere”<br />

pacifiste e democratiche. D’altro canto<br />

la socialdemocrazia tedesca all’inizio del<br />

conflitto utilizzava concezioni assai simili:<br />

occorreva combattere la guerra contro l’impero<br />

autocratico e militarista dello Czar in<br />

nome di un duraturo periodo di pace. Ma se<br />

questa ideologia della guerra in Germania<br />

è una eccezione, nell’intesa è la norma: è<br />

ancora Salvemini a parlare di una “civile<br />

guerra internazionale” che faccia in Austria-Ungheria<br />

e in Germania la democratizzazione<br />

voluta dalle socialdemocrazie<br />

di quei paesi; Mussolini gli fa eco e Boutroux<br />

parla di una “crociata filosofica” antitedesca:<br />

nasce così la posizione che dipinge la<br />

cultura tedesca tout court come reazionaria<br />

e militarista.<br />

L’ideologia dell’Intesa è uno sviluppo delle<br />

idee nate nella lotta coloniale, per cui<br />

occorreva portare la “civiltà” ai “barbari” -<br />

dove qui civiltà sono diventate le istituzioni<br />

liberali e i barbari i popoli militaristi di<br />

lingua tedesca. Wilson parlerà a tal proposito<br />

di una “guerra santa” che non si interromperà<br />

mai fin quando ogni ingiustizia<br />

sarà debellata. E’ tipico notare che le operazioni<br />

belliche compiute dopo il 1918<br />

contro il territorio sovietico non siano mai<br />

state accompagnate da una formale dichia-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

razione di guerra: si trattava evidentemente<br />

nella mente dei leaders occidentali solo di<br />

“operazioni di ristabilimento dell’equilibrio<br />

internazionale turbato”. E.V.<br />

Wilhelm von Humboldt<br />

Organizzato dal Dipartimento di Filosofia<br />

e dalla Facoltà di Lettere e Filosofia<br />

dell’Università di Napoli, si è svolto<br />

ad Anacapri dal 12 al 14 settembre<br />

1991 un Convegno internazionale sulla<br />

figura e l’opera di Wilhelm von<br />

Humboldt, che ha messo in luce la<br />

personalità così ricca di interessi per i<br />

vari aspetti del mondo umano, per<br />

l’uomo come singolo e nella totalità<br />

della storia, per il linguaggio come<br />

forma spirituale, che è sempre concretezza<br />

delle diverse lingue, per il problema<br />

del comprendere e per la promozione<br />

di una migliore costituzione<br />

civile<br />

In quella che si è soliti denominare l’età di<br />

Goethe, al compiersi dell’epoca dei lumi e<br />

nei primi decenni del XIX secolo, la filosofia<br />

classica tedesca fu un vero crogiuolo di<br />

idee, rappresentato da singolari figure di<br />

pensatori. Tra queste, un posto di particolare<br />

rilievo spetta a Wilhelm von Humboldt.<br />

Ne è una conferma, ha osservato Fulvio<br />

Tessitore in apertura del convegno, la crescente<br />

fioritura di studi humdoltiani degli<br />

ultimi decenni, segno di quella svolta antropologica<br />

della filosofia che, operata da<br />

Humboldt nell’epoca dei sistemi metafisici<br />

dell’idealismo classico tedesco, sempre<br />

più oggi appare una feconda via di ricerca,<br />

dopo gli ontologismi, gli strutturalismi, il<br />

decostruzionismo.<br />

Humboldt visse profondamente i travagli<br />

della storia del suo tempo, mentre ne analizzava<br />

i problemi anche sul piano teorico:<br />

i problemi del diritto, della conoscenza del<br />

passato. Fu comunque essenziale per la sua<br />

attività di intellettuale-politico, funzionario<br />

dello stato, linguista e sociologo, il<br />

passaggio attraverso l’antichità classica,<br />

come ha riccamente documentato Umberto<br />

Carpi (Università di Pisa). Riferendosi in<br />

particolare agli studi humboldtiani di archeologia,<br />

in cui la Bildung greca viene<br />

delineata come il modello più alto di umanità,<br />

Carpi individua un punto cruciale nel<br />

rapporto tra il discorso estetico-antropologico<br />

e la problematica del lavoro, che i<br />

greci delegavano agli schiavi, laddove per<br />

i moderni la specializzazione delle facoltà<br />

è fonte di progresso. Agli studi di antropologia<br />

di Humboldt si è rivolto invece Jean<br />

Quillien, autore di un recente volume su<br />

L’anthropologie philosophique de G. von<br />

Humboldt (Presses Universitaires de Lille),<br />

che nella sua relazione ha preso in considerazione<br />

le motivazioni teoriche essenziali<br />

della distanza che separa Humboldt da Kant.<br />

Pur muovendosi entro la tradizione,<br />

Humboldt maturò un’idea del filosofare<br />

che avrebbe costituito una sorta di fondazione<br />

delle scienze umane, abbandonando<br />

la dimensione ontologica, ancora presente<br />

in Kant, nella direzione di una antropologia<br />

filosofica, che a partire dal linguaggio gli<br />

consentì di riproporre in maniera costruttiva<br />

la domanda su “che cos’è l’uomo?”,<br />

senza trascurare la tensione di individuale<br />

e universale che caratterizza la storia della<br />

filosofia dalle sue origini.<br />

Prendendo spunto dalla rilettura delle considerazioni<br />

hegeliane sul linguaggio e sull’assoluto,<br />

Josef Simon (Università di<br />

Bonn) ha indicato un punto di convergenza<br />

tra Humboldt e Hegel. Per quest’ultimo il<br />

vero non fu Sostanza, ma Soggetto, come si<br />

apprende dalla Prefazione alla Fenomenologia<br />

dello Spirito, e l’assoluto può dirsi<br />

che “non è”, ma “si mostra” (Zeigen) attraverso<br />

il linguaggio, che è il Dasein (l’esistenza)<br />

dell’assoluto. Allo stesso modo<br />

Humboldt, che certo non teorizzò lo spirito<br />

assoluto, intese però il linguaggio come il<br />

Dasein dello spirito nella lingua determinata<br />

di ognuno e sempre in un contesto<br />

particolare: un mostrare oltre il segno.<br />

Antonio Carrano (Università di Napoli)<br />

ha analizzato invece il ruolo delle idee nella<br />

concezione di filosofia della storia di<br />

Humboldt. La filosofia del comprendere di<br />

Humboldt ha il suo centro nell’universale<br />

non astratto, nella funzione orientativa delle<br />

idee, che esprimono un bisogno di totalità<br />

mai separabile dai momenti concreti<br />

della sua attuazione nel processo della storia.<br />

Riprendendo in particolare le importanti<br />

considerazioni di Humboldt sul compito<br />

dello storico, e collocandole all’interno<br />

del più ampio raggio dei suoi interessi<br />

estetici e linguistici, Tilman Borsche (Università<br />

di Heildesheim) ha illustrato l’analogia<br />

posta da Humboldt tra lo storico e<br />

l’artista. Come il poeta, lo storico è creativo<br />

nell’atto di comprendere i fatti come elementi<br />

di un contesto significante, nel quale<br />

una verità interiore viene alla luce, non<br />

senza rapporto indissolubile con il documento<br />

accertato.<br />

Donatella Di Cesare (Università di Roma)<br />

attenta conoscitrice dei testi di Humboldt<br />

(è recente la sua traduzione di La diversità<br />

delle lingue, per l’editore Laterza), ha parlato<br />

della fondazione dell’ermeneutica filosofica<br />

in Humboldt dal punto di vista di<br />

un abbandono della filosofia come sistema<br />

in direzione di un filosofare come interpretazione<br />

dei modi di essere e di comprendersi<br />

dell’uomo nel mondo. In tal senso, nota<br />

la Di Cesare, la concezione humboldtiana<br />

del linguaggio si può dire rappresenti un<br />

traguardo insuperato nella consapevolezza<br />

delle difficoltà della comprensione.<br />

Il progetto di una antropologia comparata<br />

fu interesse precipuo di Humboldt in evidente<br />

sintonia con gli studi di anatomia<br />

comparata di Goethe. L’analogia fra i due<br />

piani di ricerca, ha fatto notare Paola<br />

Giacomoni (Università di Trieste), si spiega<br />

sulla base dell’unità dell’ “oggetto-uomo”,<br />

anche se in definitiva assai diversi<br />

furono i modi di approccio al mondo viven-


te: Goethe fu attirato dalle forme e dalle<br />

superfici, Humboldt dalle forze misteriose<br />

e magmatiche della natura e dell’interiorità<br />

umana. Del “lavoro dello spirito”, secondo<br />

una nota espressione di Humboldt, nelle<br />

sue articolazioni linguistiche ha specificamente<br />

trattato Jurgen Trabant (Università<br />

di Berlino). Accentuando la rottura con<br />

la tradizione leibniziano-kantiana, Trabant<br />

ha individuato nella concezione humboldtiana<br />

del linguaggio come suono che articola<br />

il pensiero una profonda unità di segno<br />

ed espressione. Il tema dell’articolazione si<br />

muove sul doppio referente dei moti dell’animo,<br />

razionali e passionali, e della convenzione<br />

segnica: labirinti per i quali<br />

Humboldt è in grado di fornire un filo<br />

d’Arianna.<br />

Tra le relazioni conclusive del convegno<br />

quella di Giovanni Moretto (Università di<br />

Genova) ha affrontato il rapporto tra<br />

Schleiermacher e Humboldt, un rapporto<br />

che, altre volte indagato per lo più sul piano<br />

del metodo della ricerca storica, viene qui<br />

posto dal punto di vista della dimensione<br />

religiosa. Il “cristiano” Schleiermacher e il<br />

“pagano” Humboldt si incontrano sul significato<br />

di un’esperienza umana che è<br />

ricerca dell’infinito nel finito, come accade<br />

nella poesia e nell’arte in generale. Giuseppe<br />

Cacciatore (Università di Napoli)<br />

ha infine presentato un documentato studio<br />

su Humboldt e la tradizione storicistica<br />

tedesca. E’ stato proprio Dilthey infatti a<br />

indicare nella riflessione di Humboldt sulla<br />

storia quei motivi essenziali che sono all’origine<br />

della prospettiva storicistica: l’individualità,<br />

il nesso di universale e singolare,<br />

la polemica contro la filosofia della storia,<br />

il tema del comprendere che colloca l’uomo<br />

al centro del processo della storia universale.<br />

A conclusione dei lavori del convegno<br />

Giuseppe Cantillo ha tracciato un limpido<br />

bilancio dell’incontro scientifico di<br />

Anacapri, che ha rappresentato un momento<br />

di chiarificazione e di approfondimento<br />

del più ampio contesto in cui nacque e<br />

maturò l’idealismo classico tedesco.<br />

R.V.C.<br />

La filosofia di<br />

Michael Dummett<br />

Si è svolto a Mussomeli (Caltanisetta)<br />

un convegno internazionale dal titolo:<br />

La filosofia di Michael Dummett.<br />

Uno tra i principali punti di riferimento<br />

della discussione filosofica contemporanea,<br />

Michael Dummett è conosciuto<br />

in Italia sia per la traduzione di<br />

diversi suoi lavori, sia per aver contribuito<br />

alla formazione di diversi filosofi<br />

italiani, che si sono recati a Oxford per<br />

approfondire con lui i loro studi.<br />

Di Michael Dummett sono noti in Italia:<br />

Filosofia del linguaggio. Saggio su Frege<br />

(a cura di C. Penco, Marietti, Genova 1983);<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

La verità e altri enigmi (raccolta di scritti a<br />

cura di M. Santambrogio, Il Saggiatore,<br />

Milano 1986); Alle origini della filosofia<br />

analitica (serie di lezioni tenute a Bologna<br />

a cura di E. Picardi, Il Mulino, Bologna<br />

1991). Recentemente sono stati pubblicati<br />

in Inghilterra altri lavori di Dummett d’importanza<br />

fondamentale per la discussione<br />

dei prossimi decenni; oltre a un’altra raccolta<br />

di suoi articoli dal titolo: Frege and<br />

other philosophers, è finalmente uscito il<br />

tanto atteso Frege, Philosophy of mathematics.<br />

Da segnalare infine la pubblicazione<br />

di un testo che raccoglie ed elabora le<br />

idee filosofiche fondamentali del filosofo<br />

oxoniense, il cui titolo richiama la grande<br />

tradizione della filosofia occidentale: The<br />

logical Basis of Metaphysics.<br />

Il filo conduttore della filosofia di Michael<br />

Dummett passa attraverso una ridefinizione<br />

delle dicotomie filosofiche tradizionali,<br />

in particolare il contrasto tra il realismo e le<br />

diverse filosofie che vi si oppongono, da lui<br />

raccolte sotto l’etichetta di anti-realismo,<br />

come l’idealismo, la fenomenologia, il verificazionismo,<br />

il comportamentismo in psicologia<br />

e il costruttivismo in matematica.<br />

L’originalità di Dummett è stata prima di<br />

tutto quella di definire una nuova forma di<br />

anti-realismo, che sfugga agli aspetti riduzionistici<br />

delle diverse posizioni del genere,<br />

succedutesi nella storia della filosofia.<br />

In secondo luogo la sua caratterizzazione<br />

del dibattito realismo-antirealismo ha messo<br />

in evidenza come esso abbia due facce:<br />

una metafisico-ontologica, riguardante cioè<br />

la sussistenza degli oggetti di cui si parla, e<br />

una semantica, riguardante cioè la validità<br />

di certe classi di asserzioni. In questo secondo<br />

caso il problema diventa: possiamo<br />

ammettere che ogni nostra asserzione sia<br />

vera o falsa indipendentemente dai mezzi<br />

che abbiamo per controllarne la verità? Per<br />

un realista esisteranno sempre asserzioni,<br />

la cui verità dipende da una realtà esterna a<br />

noi e che per principio ci saranno sempre<br />

inconoscibili; un antirealista dubita della<br />

validità di questa nozione di verità e cerca<br />

delle alternative ad essa.<br />

Il convegno di Mussomeli è stato organizzato<br />

e introdotto da B. Mc Guinness (Università<br />

di Siena). Tra gli intervenuti, Donald<br />

Davidson (Università di Berkeley), la cui<br />

posizione realista in teoria del significato si<br />

contrappone all’antirealismo di Dummett,<br />

ha presentato una relazione sull’aspetto<br />

sociale del linguaggio, tesa polemicamente<br />

a ridimensionare l’importanza degli aspetti<br />

normativi e istitiuzionali del linguaggio<br />

rispetto alla comunicazione. Su posizioni<br />

realiste è stata anche la relazione di Akeel<br />

Bilgrami (Columbia University), che ha<br />

discusso il classico problema delle altre<br />

menti e della attribuzione di stati mentali ad<br />

altri e a sé.<br />

Seguendo i due principali filoni della filosofia<br />

di Dummett, alcune relazioni sono<br />

state dedicate alla filosofia della matematica<br />

e altre alla teoria del significato: tra le<br />

prime Crispin Wright (Università di S.<br />

Andrews, Scozia), autore di un fondamen-<br />

tale libro sulla filosofia della matematica di<br />

Wittgenstein, ha discusso la posizione di<br />

Dummett sull’importanza filosofica del teorema<br />

di Gödel; C. Penco (Università di<br />

Genova) ha discusso l’interpretazione di<br />

Dummett della filosofia della matematica<br />

di Wittgenstein; G. Luigi Olivieri (Oxford),<br />

uno degli organizzatori del convegno, ha<br />

presentato una discussione critica dell’anti-realismo<br />

in filosofia della matematica.<br />

Sulla teoria del significato sono intervenuti<br />

E. Picardi (Università di Bologna); sul<br />

tema dei rapporti tra asserzione e convenzione,<br />

Dag Prawitz (Università di<br />

Stoccolma) ha dato una discussione generale<br />

sulla posizione anti-realista in teoria<br />

del significato e Bob Hale (Università di S.<br />

Andrews) ha presentato una ricostruzione<br />

della discussione fatta da Dummett nel<br />

capitolo sui nomi propri del suo libro su<br />

Frege. G. Sundholm (Università di Leida)<br />

ha discusso connessioni tra le idee di<br />

Dummett e teorie di Martin Löf.<br />

Le restanti discussioni hanno toccato altri<br />

grossi temi della filosofia di Dummett; B.<br />

F. Mc Guinnes ha discusso alcune posizioni<br />

di Dummett anche in connessione al<br />

suo ultimo libro, The logical basis of<br />

metaphysics. Un confronto tra la posizione<br />

di Dummett e quella di Wittgenstein sul<br />

modo di intendere la filosofia, e in particolare<br />

sul problema della sistematicità dell’impresa<br />

filosofica, è stato sviluppato da<br />

David Pears (Università di Oxford), mentre<br />

Joachim Schulte, che ha recentemente<br />

curato l’edizione tedesca del testo di<br />

Dummett: Alle origini della filosofia analitica,<br />

ha discusso il tema delle asserzioni<br />

sul passato, con riferimento a un lavoro di<br />

Dummett presente nell’antologia Verità e<br />

altri enigmi. C.P.<br />

Una nuova immagine<br />

di Platone<br />

«Le dottrine non scritte non sono altre<br />

da quelle scritte, ma sono ciò a cui lo<br />

scritto rinvia oltre sé»: con queste parole<br />

Vittorio Mathieu ha commentato<br />

il convegno internazionale di studi dal<br />

titolo: Verso una nuova immagine<br />

di Platone, svoltosi dal 7 al 9<br />

ottobre 1991 all'Istituto Suor Orsola<br />

Benincasa di Napoli. Nell’occasione<br />

sono state presentate la nuova edizione<br />

degli scritti di Platone, Tutti gli<br />

scritti (Rusconi, Milano 1991), diretta<br />

da Giovanni Reale e la raccolta<br />

delle relazioni tenutesi al convegno,<br />

pubblicata con lo stesso titolo del convegno:<br />

Verso una nuova immagine<br />

di Platone (Istituto Suor Orsola<br />

Benincasa, Napoli 1991, distrib.<br />

Rusconi).<br />

Nella prima delle sue relazioni, Giovanni<br />

Reale ha trattato dei tre paradigmi storici<br />

nell’interpretazione di Platone e dei fondamenti<br />

del nuovo paradigma. Il paradigma


“neoplatonico” era basato su di una rilettura<br />

di Platone in chiave allegorica. Il paradigma<br />

moderno, inaugurato dagli studi platonici<br />

di Schleiermacher, era fondato sull’ipotesi<br />

dell’azzeramento della tradizione<br />

del platonismo e sull’autarchia dei dialoghi<br />

platonici. Le difficoltà principali di questo<br />

paradigma, stavano nella ricerca di quella<br />

“sistematicità” del pensiero di Platone, che<br />

pur postulata non era ricavabile dai soli<br />

dialoghi scritti. Dal superamento di questo<br />

paradigma scaturisce il nuovo: i dialoghi<br />

scritti di Platone trovano completamento e<br />

organicità nelle dottrine non scritte, esoteriche,<br />

legate all’insegnamento interno alla<br />

scuola di Platone e che ci vengono tramandate<br />

da varie fonti della tradizione platonica.<br />

Un ulteriore approfondimento di questo<br />

progetto ermeneutico è stato svolto nella<br />

relazione di Thomas Szlezàk, dedicata al<br />

rapporto fra oralità e scrittura nella filosofia<br />

di Platone. Szlezàk sottolinea la distinzione<br />

fra esoterismo o segretezza nell’insegnamento<br />

orale platonico: l’esoterismo ha<br />

fondamento nella qualità pedagogica e dottrinale<br />

specifica del dialogo vivo tra mestro<br />

e discepoli, non certo in una aristocratica<br />

segretezza del sapere filosofico. Platone,<br />

collocato al confine fra tradizione orale e<br />

scritturale, riservava alle lezioni non scritte<br />

il compito di dare risposta sintetica e definitiva<br />

alle discussioni “aperte”, contenute<br />

nei testi scritti, togliendo fissità e approssimazione<br />

ai concetti morti della parola scritta<br />

con il vivo intervento del pensiero.<br />

La tradizione della filosofia orale di Platone<br />

rimonta innanzitutto ad Aristotele ed è<br />

dal confronto fra essa e gli scritti platonici<br />

che può trovare soluzione il problema ermeneutico.<br />

Il piano dei lavori del Convegno<br />

prevedeva di fatto un approfondimento<br />

dell’immagine neoplatonica di Platone e<br />

una analisi del paradigma romantico.<br />

Werner Beierwaltes si è posto il problema<br />

della continuità-discontinuità del neoplatonismo<br />

rispetto alla tradizione propriamente<br />

platonica. Se Zeller è per la continuità<br />

dei fondamenti platonici, Hegel ha visto<br />

nel neo-platonismo uno sviluppo speculativo<br />

del platonismo originario. Il “medioplatonismo”<br />

ha poi cercato di ricostruire il<br />

tessuto storico del graduale trapasso dottrinale<br />

da Platone a Plotino e a Proclo.<br />

Beierwaltes si è quindi soffermato sul ruolo<br />

originale svolto dai neoplatonici nel disporre<br />

la sintesi tra teologia ebraicocristiana<br />

e razionalismo greco.<br />

Hans Kramer ha vagliato invece il paradigma<br />

romantico dell’ermeneutica platonica:<br />

estromissione della tradizione “indiretta”,<br />

ricerca del “sistema” nella molteplicità<br />

dei dialoghi, apprezzamento della forma-dialogo<br />

come espressione artistica del<br />

pensiero. Il rapporto di Schleiermacher con<br />

Schelling, da un lato, e con Schlegel, dall’altro,<br />

è il riferimento per la ricostruzione<br />

dell’immagine romantica di Platone, caratterizzata<br />

dalla tendenza a ricercare il pensiero<br />

di Platone nella sola sede dei dialoghi<br />

scritti. E qui risulta evidente come il “nuovo<br />

paradigma” proposto dalla scuola di<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

Tubinga non sia solo un paradigma storiografico,<br />

ma ponga le premesse per una<br />

diversa ipotesi teoretica ed ermeneutica. Il<br />

tema teoretico, dopo quello storico-ermeneutico,<br />

è emerso nelle relazioni che hanno<br />

riguardato le dottrine non scritte di Platone<br />

nelle loro connessioni con i concetti esposti<br />

nei dialoghi scritti. Enrico Berti ha affrontato<br />

il tema de “Le dottrine non scritte<br />

intorno al Bene nelle testimonianze di<br />

Aristotele”. Le dottrine orali, secondo Berti,<br />

sono solo il “succo” filosofico di quanto,<br />

nei dialoghi scritti, Platone si limitava ad<br />

esporre in contesti dialettici diversi e in<br />

forma indiretta, ironica, allusiva, incompleta<br />

ecc. In effetti le dottrine platoniche<br />

non scritte vertono tutte intorno alla concezione<br />

morale e all’idea del Bene come<br />

l’Uno. La questione ermeneutica è in tal<br />

senso complessa, ha osservato Berti, in<br />

quanto le dottrine orali imputate da<br />

Aristotele (per confutarle, fra l’altro) a Platone<br />

mostrano una concezione sistematica,<br />

ontologica e apodittica dei Principi (il Bene,<br />

l’Uno, la Diade ecc.) e dell’etica piuttosto<br />

che una concezione dialettica, quale appare<br />

invece dai Dialoghi scritti.<br />

Michel Erler ha preso ad oggetto del suo<br />

intervento in particolare i cosidetti Dialoghi<br />

“aporetici”, quei dialoghi cioè che si<br />

concludono con un nulla di fatto, con un<br />

vicolo cieco della dialettica. Per Erler l’unica<br />

ipotesi convincente è considerare tale<br />

aporeticità come propedeutica ad un superiore<br />

livello di pensiero, che Platone riteneva<br />

di non poter affidare ai testi scritti.<br />

Secondo Platone i dialettici che incappino<br />

nelle aporie si muovono ad un livello di<br />

“fondazione” del pensiero non sufficientemente<br />

“alto” e ugualmente si ingannano<br />

coloro che affidano la loro ansia di conoscenza<br />

esclusivamente al commercio con<br />

la parola scritta. Inserendosi in un medesimo<br />

contesto problematico Maurizio Migliori<br />

ha esaminato il rapporto scritturaoralità<br />

nel Parmenide, giungendo alla conclusione<br />

che, per Platone, l’autentica “dialettica”<br />

del pensiero e della conoscenza<br />

non può mai esser riprodotta dalla parola<br />

scritta. Ma allora, quale sarebbe il significato<br />

di dialoghi complessi come il<br />

Parmenide? Il fatto è che il passaggio dal V<br />

al IV secolo segna la crisi della cultura<br />

orale a vantaggio di quella scritta, di cui la<br />

trattatistica aristotelica è un esempio supremo.<br />

Il dialogo scritto di Platone è il<br />

tentativo, poco convinto, di cercare una<br />

mediazione fra la dialettica orale e la scrittura,<br />

fra l’ordine originario del pensare e le<br />

forme di espressione e di conoscenza dei<br />

nuovi tempi. Sviluppando ulteriormente il<br />

confronto, Giancarlo Movia ha affrontato<br />

questa tematica attraverso un’analisi del<br />

Sofista. Come il Parmenide anche il Sofista<br />

si rivela debitore nei confronti di un pensiero<br />

maturato e discusso nella riflessione e<br />

nella discussione orale. Il tema stesso del<br />

dialogo, il metodo della filosofia contrapposto<br />

a quello della sofistica, conduce proprio<br />

al nodo del rapporto fra pensiero e<br />

linguaggio, fra lògos e dialettica: siamo di<br />

fronte a un pensiero che opera con il linguaggio,<br />

rendendosi autonomo dagli errori<br />

del linguaggio naturale evidenziati dall’analisi<br />

filosofica. La tematica perì toù agathoù<br />

è il fulcro dell’insegnamento orale di<br />

Platone, ad essa è stata dedicata la seconda<br />

relazione al convegno di Giovanni Reale.<br />

Platone si guardava dal mettere per iscritto<br />

la sua dottrina intorno al Bene per evitare<br />

fraintendimenti e derisioni. I concetti fondamentali<br />

del pensiero e della filosofia<br />

intrattengono con il linguaggio comune un<br />

rapporto difficoltoso e stratificato, né d’altra<br />

parte possono essere tradotti in modo<br />

articolato e preciso, nella scrittura. Nella<br />

scrittura, come nel linguaggio ordinario, si<br />

perde per Platone il rapporto profondo e<br />

fondante fra pensiero e parola, pensiero e<br />

linguaggio tipico della filosofia. Da questo<br />

punto di vista il nuovo paradigma storiografico<br />

si presenta come propedeutico per<br />

una corretta interpretazione del pensiero di<br />

Platone: le idee fondanti del platonismo<br />

tornano ad essere il presupposto teoretico<br />

di quanto Platone volle consegnare alla<br />

scrittura. Si comprende in tal senso il commento<br />

che Emanuele Severino ha fatto del<br />

convegno: Platone è il filosofo che ha allontanato<br />

definitivamente il pensiero occidentale<br />

da quello orientale aprendolo alla<br />

comprensione della molteplicità. E’ questo<br />

il vero valore delle sue dottrine e lo sforzo<br />

di collocarle correttamente nel loro tempo<br />

rende più completa ogni interpretazione<br />

del pensiero fondativo della cultura europea.<br />

G.d.M.<br />

Nietzsche tra filologia<br />

e attualizzazione<br />

A Sils Maria, in Engadina, si è svolto<br />

nell’estate 1991 l’annuale convegno<br />

nietzscheano, organizzato dal germanista<br />

svizzero Peter André Bloch, in<br />

cui alcuni temi dell’opera del filosofo<br />

sono stati letti, in una prospettiva attualizzante,<br />

anche alla luce degli attuali<br />

mutamenti politici nell’Europa<br />

dell’Est. Vengono intanto pubblicati<br />

dal filologo Wolfram Groddeck i testi<br />

che documentano la genesi dei<br />

Ditirambi di Dioniso, l’opera in<br />

versi scritta da Nietzsche sulla soglia<br />

della follia.<br />

Con riferimento alla critica nietzscheana di<br />

alcuni aspetti della cultura illuministica e<br />

razionalistica europea, alcuni dei partecipanti<br />

hanno interpretato le recenti trasformazioni<br />

politiche nei paesi dell’Europa<br />

dell’Est come la fine di presupposti fondamentali<br />

della cultura dell’Aufklärung. Ralf<br />

Eichberg (Halle) ha ad esempio individuato<br />

nel crollo dei sistemi sociali e politici dei<br />

paesi dell’Europa orientale la fine del sogno<br />

dell’Aufklärung di liberare l’essere<br />

umano dal male attraverso l’educazione e<br />

la ragione, di considerare la storia come<br />

processo di realizzazione della felicità uni-


versale. Su tutto ciò già Nietzsche aveva<br />

gettato l’ombra del dubbio attraverso una<br />

critica - a sua volta “illuministica”, in quanto<br />

demistificante - del culto della ragione e<br />

della metafisica illuministica dell’immanenza.<br />

Ciò non toglie, osserva Eichberg,<br />

che dopo l’opera nietzscheana di demitizzazione<br />

resti pur sempre lo spazio per prospettive<br />

etiche individuali. Dal problema<br />

del significato di una prospettiva individualistica<br />

nei paesi “post-socialisti” ha preso<br />

le mosse lo studioso jugoslavo di Nietzsche<br />

Mihailo Djuric, che ha indicato nel concetto<br />

nietzscheano di “individuo sovrano”<br />

l’espressione di una nuova dimensione della<br />

ragione. Le sue riflessioni sul concetto di<br />

individuo e di prospettivismo della razionalità<br />

appaiono però ambigue, se si tien<br />

conto del fatto che Djuric - dopo essere<br />

stato incarcerato per vent’anni sotto il regime<br />

di Tito - sembra oggi essersi lasciato<br />

sedurre dalle ambizioni di grandezza del<br />

nazionalismo serbo, le cui tragiche conseguenze<br />

sono oggi sotto gli occhi di tutti.<br />

Ancora nell’ambito del rapporto tra<br />

Nietzsche e la cultura di matrice socialista<br />

e marxista, il germanista italiano Aldo<br />

Venturelli ha dedicato il proprio intervento<br />

al tema: “Lenin lettore di Nietzsche”. In<br />

particolare negli anni di Ginevra, tra 1905<br />

e 1908, Nietzsche era, accanto a Marx, uno<br />

degli autori più letti da Lenin, come testimonia<br />

il rinvenimento nella biblioteca di<br />

Lenin al Cremlino di un un esemplare della<br />

Nascita della tragedia. Più interessante di<br />

questi elementi già noti è però la considerazione<br />

che, per caratterizzare gli obiettivi<br />

politici da raggiungere dopo la sconfitta<br />

della rivoluzione del 1905, Lenin impiegò<br />

la formula nietzscheana della “trasvalutazione<br />

dei valori”, ad indicare che il<br />

marxismo non è un dogma morto ed irrigidito,<br />

ma una guida teorica per l’azione.<br />

D’altra parte, dal punto di vista delle democrazie<br />

liberali, c’e da dire che Nietzsche fu<br />

tra i più accesi critici della democrazia, e<br />

nei tratti aristocratici della sua critica, che<br />

vede nei sistemi politici democraticoliberali<br />

il dominio della maggioranza ed il<br />

predominio dell’interesse materiale sui valori<br />

spirituali, egli si dimostrò figlio del suo<br />

tempo. Il timore di Nietzsche, come ha<br />

rilevato Urs Marti (Berna/Berlino), era<br />

che le società democratiche e di massa si<br />

sviluppassero nella direzione di uno sradicamento<br />

della cultura e della mancanza di<br />

un’autorità, che potesse integrare le diverse<br />

spinte centrifughe. Compito del filosofo<br />

doveva essere quello di una riflessione<br />

critica spregiudicata e dell’invenzione di<br />

nuove possibilità di vita. Ma se le società<br />

democratiche si basano sul conflitto e sull’equilibrio<br />

tra diversi individui - nel linguaggio<br />

nietzscheano diverse “volontà di<br />

potenza” - c’è da chiedersi allora su cosa<br />

possa basarsi una nuova connessione tra le<br />

diverse soggettività? Il filosofo della religione<br />

Jörg Salaquarda (Vienna) ha indicato<br />

nella dimensione del “sacro” la possibilità<br />

di stabilire una nuova coesione tra gli<br />

individui. Di diverso tenore l’intervento di<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

Iso Camartin, dedicato al tema della “solitudine”<br />

di Nietzsche come “forma di vita”.<br />

Nell’intento di presentare una sorta di<br />

“fenomenologia della solitudine” Camartin<br />

ha paragonato l’esperienza di Nietzsche a<br />

Sils Maria, con il distacco dall’amato-odiato<br />

Wagner, a quella della solitudine dei<br />

mistici. Dal punto di vista storico-culturale,<br />

invece, il significato della solitudine consisterebbe<br />

nel fatto che, quanto più importante<br />

diventa l’individuo nella società, tanto<br />

più intensa diventa l’esperienza della<br />

solitudine.<br />

All’ultimo, drammatico periodo dell’esistenza<br />

di Nietzsche rinvia il testo poetico<br />

dei Ditirambi di Dioniso, che il filosofo<br />

intendeva inviare nel gennaio 1889, poco<br />

prima del manifestarsi della follia, al poeta<br />

francese Catulle Mendès. Gli interpreti di<br />

Nietzsche hanno lungamente discusso il<br />

problema del significato da attribuire a<br />

questi testi, ed in particolare se essi siano<br />

l’espressione di una poesia “dionisiaca” in<br />

cui si trasfigura e supera il livello della<br />

razionalità filosofica, o se non siano invece<br />

da intendersi come le prime avvisaglie della<br />

malattia di Nietzsche. A favore della<br />

prima tesi si schiera ora il filologo Wolfram<br />

Groddeck, con una monumentale opera in<br />

due volumi pubblicata dall’editore De<br />

Gruyter (Berlino/New York 1991). Nel primo<br />

volume, Die Dionysos-Dithyramben.<br />

Textgenetische Edition der Vorstufen und<br />

Reinschriften (I ditirambi di Dioniso. Edizione,<br />

dal punto di vista della genesi del<br />

testo, delle prime stesure e delle trascrizioni<br />

in bella copia) Groddeck dà alle stampe,<br />

oltre all’ultima versione del testo, tutti i<br />

lavori preparatori che la precedono, solo in<br />

parte accolti nell’edizione critica di Colli e<br />

Montinari. Nel secondo volume, Die<br />

Dionysos-Dithyramben”. Bedeutung und<br />

Entstehung von Nietzsches letztem Werk)<br />

lo studioso presenta un accurato commentario<br />

in cui viene discusso il significato<br />

della stesura definitiva dei Ditirambi. M.M.<br />

Cielo fisico e cielo morale<br />

Nelle sue lezioni sul tema Rivoluzione<br />

del cielo fisico e riforma<br />

del cielo morale. Scienza e<br />

vita civile da Giordano Bruno<br />

ai Lincei, tenute dal 4 all’8 novembre<br />

1991 presso l’Istituto Italiano per<br />

gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli, Saverio<br />

Ricci ha posto in relazione due ambiti<br />

storiografici finora tenuti distinti dalla<br />

letteratura sull’argomento: da un lato<br />

la storia della fortuna di Giordano Bruno<br />

nella cultura moderna, dall’altro la<br />

storia dell’Accademia dei Lincei e la<br />

biografia intellettuale del suo fondatore,<br />

il principe romano Federico Cesi.<br />

Tra i motivi della distanza tra i due ambiti<br />

storiografici prevale sicuramente il configurarsi<br />

nella coscienza europea dell’immagine<br />

di Giordano Bruno come martire<br />

della scienza moderna, fortemente in contrasto<br />

con quella, peraltro meno nota, di<br />

Federico Cesi come diplomatico della scienza,<br />

impegnato in un’opera di cauta mediazione<br />

tra i rappresentanti della nuova scienza,<br />

che egli andava accogliendo nella nuova<br />

Accademia, e la Chiesa cattolica. In<br />

realtà, dopo la sua morte, il pensiero di<br />

Giordano Bruno ha esercitato, anche se in<br />

modo non dichiarato e sotterraneo, una<br />

profonda influenza sull’ambiente intellettuale<br />

linceo, che sotto l’accorta direzione<br />

di Cesi riprenderà alcuni motivi cosmologici<br />

del programma bruniano, lasciando<br />

però cadere le radicali istanze di riforma<br />

etica e civile in esso contenute, pur insistendo<br />

sull’utilità del sapere per il buon<br />

reggimento degli ordini civili.<br />

L’Accademia dei Lincei venne fondata il<br />

17 agosto 1603, quando solo da pochi giorni<br />

era stato promulgato l’editto con il quale<br />

la Chiesa proibiva le opere di Bruno. E in<br />

effetti il nome di Bruno non ricorre mai nel<br />

carteggio dei Lincei. Neppure nelle opere<br />

di Nicola Antonio Stigliola, l’unico linceo<br />

che conobbe direttamente Bruno, si trova<br />

menzione diretta del suo pensiero. In realtà,<br />

il silenzio su Bruno in ambiente linceo<br />

mostra con quale efficacia il monito di<br />

Campo dei Fiori abbia agito come un limite<br />

oggettivo su tutti coloro, che dopo il 1600<br />

ebbero in animo di procurare un progresso<br />

della scienza. Anche se gli elementi del<br />

programma unitariamente filosofico, religioso<br />

e politico di Bruno ritorneranno in<br />

qualche modo in tutta la storia dell’Accademia<br />

dei Lincei.<br />

Il programma bruniano era consistito nella<br />

finale rivendicazione alla filosofia della<br />

dignità di legge, ovvero di un sapere che -<br />

come scrive Bruno nel De la causa - si<br />

faccia concreto promotore di giustizia e<br />

civiltà «ordinando leggi e riformando costumi».<br />

Già nella Cena delle ceneri Bruno<br />

aveva conferito alla scoperta copernicana<br />

un preciso significato etico-religioso: essa<br />

non è che l’aurora, che prelude alla rinascita<br />

del sole dell’antica vera filosofia, quella<br />

degli antichi pitagorici, una filosofia che<br />

ispiri una radicale riforma degli ordinamenti<br />

morali, civili e politici, eliminando le<br />

cause che su questo piano ostacolano e<br />

bloccano la rivoluzione del cielo fisico, la<br />

rifondazione del sapere come cosmo. Ora,<br />

questa rinascente antica filosofia sarà la<br />

filosofia nolana: Bruno è colui il quale ha<br />

varcato i cieli, svelando l’inconsistenza<br />

dell’ordine cosmologico tradizionale. Nell’infinità<br />

dell’universo risplende, secondo<br />

Bruno, la stessa infinità di Dio che è presente<br />

in ogni parte della creazione, e in noi<br />

stessi non meno che negli astri.<br />

La base di un possibile accordo, costantemente<br />

ricercato, con la Chiesa, è in Bruno<br />

la distinzione tra il piano della verità e<br />

quello della fede: le sacre scritture non<br />

hanno come scopo quello di comunicare il<br />

vero circa le cose naturali, ma quello di<br />

prescrivere leggi circa i comportamenti<br />

morali; hanno quindi validità sul piano<br />

morale, non su quello della verità scientifi-


CONVEGNI E SEMINARI<br />

ca. Tuttavia, nell’acuirsi dello scontro con<br />

i puritani inglesi, si fa chiara agli occhi di<br />

Bruno la consapevolezza che non è possibile<br />

una rifondazione del sapere senza una<br />

riforma radicale sul piano etico: così la<br />

rivendicazione del valore etico-religioso<br />

del copernicanesimo assume alla fine i<br />

tratti drammatici di una critica radicale di<br />

tutto il cristianesimo sul piano dell’efficacia<br />

sociale e civile dei suoi insegnamenti.<br />

Nello Spaccio della bestia trionfante, alle<br />

costellazioni dell’astrologia tradizionale<br />

Bruno fa corrispondere i vizi ed i crimini<br />

dell’uomo in terra. Su tutto predomina quella<br />

che Bruno chiama la grande avarizia che<br />

va lavorando sotto il pretesto di voler mantenere<br />

la religione. La grande avarizia è<br />

innanzitutto il protestantesimo che mortifica<br />

la scienza e infiamma guerre fratricide;<br />

ma poi è anche il cattolicesimo che pur non<br />

disprezzando le buone opere, ne tollera un<br />

uso falso e corrotto; grande avarizia è in<br />

generale la fede nel cui nome vengono<br />

compiuti massacri e spoliazioni nel nuovo<br />

mondo.<br />

Condannando Bruno, la Chiesa cattolica di<br />

fatto non condannò soltanto il sostenitore<br />

dell’infinità dell’universo e l’eretico dubbioso<br />

circa i dogmi fondamentali della divinità<br />

di Cristo e della Trinità, ma anche il<br />

sostenitore di una precisa politica dei dotti<br />

e di una precisa politica tout court. Si<br />

trattava del programma massimo della filosofia<br />

europea: rivoluzione dell’immagine<br />

dell’universo e attacco frontale all’aristotelismo<br />

nello sviluppo del copernicanesi-<br />

Presunto ritratto di federico Cesi (Palazzo Cesi)<br />

mo; rivendicazione dell’autonomia dei sapienti<br />

dall’autorità della Chiesa nel riordinamento<br />

delle leggi e nella riforma dei<br />

costumi; critica della morale cristiana e<br />

soprattutto della sua degenerazione protestante,<br />

con i suoi effetti deleteri sul piano<br />

civile; opposizione all’alleanza tra politica<br />

spagnola e Controriforma cattolica; rifondazione<br />

della vita civile sui valori della<br />

giustizia, del merito e della fatica, e sua<br />

riconsacrazione come tramite efficace della<br />

giustizia divina.<br />

Il programma di Federico Cesi, invece,<br />

sarà alla fine sensibilmente diverso: egli<br />

reclama la libertà di filosofare in naturalibus,<br />

ma non pretende di riformare la vita<br />

civile. Tuttavia, l’accorta opera di mediazione<br />

che Cesi svolse per quasi un trentennio<br />

tra i nuovi filosofi e le autorità ecclesiastiche,<br />

rappresenta anche lo sforzo di trovare<br />

forme nuove in cui esprimere un’ansia<br />

antica, quella che Bruno aveva manifestato<br />

in toni radicali e scandalosi: l’ansia cioè di<br />

ricomporre l’unità tra il cielo fisico e il<br />

cielo morale, tra una nuova immagine dell’universo<br />

e i valori e le istituzioni della<br />

civiltà. Nei suoi scritti inediti, Cesi delinea<br />

una critica assai severa dei costumi del suo<br />

tempo in cui ricorrono motivi analoghi a<br />

quelli della polemica civile di Giordano<br />

Bruno. Alla società del suo tempo Cesi,<br />

come Bruno, contrappone l’epoca classica<br />

con le sue lotte per il bene comune, per la<br />

pubblica utilità. Deplora inoltre la decadenza<br />

del sapere nelle Università di cui Giordano Bruno (incisione di C. Mayer, pubblicata nel 1824)


sono responsabili gli aristotelici, a causa<br />

dei quali l’insegnamento della filosofia è<br />

ormai generalmente stimato inutile rispetto<br />

all’assoluto prevalere delle arti pratiche.<br />

In toni meno accesi il principe dei Lincei<br />

riprende questi temi nel suo Discorso sul<br />

naturale desiderio di sapere, pronunciato<br />

nel 1616. Qui Cesi, richiamandosi alla grande<br />

tradizione delle Accademie d’Italia, afferma<br />

l’urgenza di rinnovare la funzione<br />

civile della cultura e la collaborazione dei<br />

dotti per l’avanzamento del sapere, cui è<br />

connesso il bene della società e dello Stato.<br />

Alla Chiesa e ai prìncipi Cesi propone il<br />

compito di un attivo sostegno al progresso<br />

della scienza in vista del pubblico utile. Il<br />

che implica però una precisa delimitazione<br />

di campi: i Lincei non si occuperanno né di<br />

questioni teologiche, né di questioni politiche,<br />

ma d’altra parte la Chiesa e i prìncipi<br />

dovranno lasciare ai ricercatori la libertas<br />

philosophandi in naturalibus, vale a dire<br />

quell’autonomia che già Bruno aveva vigorosamente<br />

rivendicato al prezzo della<br />

vita. G.D.R.<br />

Heidegger e i Greci<br />

Nell’ambito del ciclo di seminari su<br />

momenti e problemi della storia del<br />

pensiero, organizzato dall’Istituto Italiano<br />

per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, Manfred<br />

Riedel ha tenuto nei giorni 20-22 maggio<br />

1991 una serie di lezioni sul tema:<br />

Martin Heidegger e i Greci, in cui<br />

è stato posto il problema della necessità<br />

per Heidegger di un ritorno agli<br />

inizi per ricercare il “senso dell’essere”<br />

originariamente esperito e successivamente<br />

consegnato all’oblio e al<br />

nascondimento.<br />

Per Heidegger, ha sottolineato Manfred<br />

Riedel, si tratta di recuperare ciò che della<br />

verità dell’essere è stato anticipato e poi<br />

consumato nel corso della storia della filosofia:<br />

questo il compito che la filosofia<br />

deve assumere e che può assolvere percorrendo<br />

i sentieri del “domandare”. Porre il<br />

problema della Verità significa infatti per<br />

Heidegger ripercorrere la storia del pensiero<br />

occidentale attraverso una vera e propria<br />

decostruzione fonomenologica dell’ontologia,<br />

con cui egli tenta di ricostruire il<br />

senso della concezione greca. Circoscrivere<br />

i limiti della tradizione ontologica, in<br />

una appropriazione positiva del passato è il<br />

fondamentale compito critico della filosofia,<br />

un compito che per Heidegger si esplica<br />

nel rendere trasparente la comprensione<br />

dell’essere. Seguendo Aristotele, Heidegger<br />

riconosce come la storia della filosofia<br />

antica sia la storia della scoperta della distinzione<br />

dell’essere dall’ente. La metafisica<br />

si è sempre mossa nell’ambito della<br />

differenza ontologica ed è in quest’ambito<br />

che Heidegger intraprende la sua ricerca<br />

sul senso della verità come non essere<br />

nascosto.<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

Riedel ha poi sottolineato come la questione<br />

dell’essere in Heidegger sia scaturita a<br />

partire dalla domanda, propria della filosofia<br />

neokantiana del valore, «se la verità sia<br />

un valore atemporale che deve essere, e se<br />

l’essere vada inteso a partire dal dover<br />

essere». L’essere per Heidegger non è un<br />

“ente atemporale”, bensì si tratta per esso<br />

del senso dell’essere del suo esserci. Esso<br />

dunque può essere compreso solamente a<br />

partire dalla sua situazionalità. Viene qui<br />

chiamata in causa l’esperienza del tempo,<br />

attraverso la quale Heidegger restituisce<br />

alla vita la cosa del pensiero. D’altra parte<br />

però quella stessa esperienza diviene ciò<br />

che permette a Heidegger, nel passaggio<br />

dall’esserci all’essere, di non considerare<br />

più la storia come possibilità di una critica<br />

del presente e quindi come una possibilità<br />

per l’esistenza umana; il problema dell’esperienza<br />

del tempo si fa allora storia dell’essere<br />

stesso «nei suoi momenti sublimi,<br />

che si temporalizzano come “destino” nelle<br />

epoche della metafisica».<br />

In un primo tempo si è trattato per Heidegger<br />

di ripercorrere la storia della scoperta dell’essere<br />

come distinto dall’ente. Ma per<br />

poter meglio distinguere la domanda dell’essere<br />

in generale, osserva Riedel,<br />

Heidegger ha dovuto isolare il problema<br />

del modo in cui il tempo fa parte del senso<br />

dell’essere, il che implicava un allontanamento<br />

da quella metafisica della libertà e<br />

della volontà di potenza che precludeva la<br />

possibilità di comprendere l’esperienza originariamente<br />

greca.<br />

Da un lato si trattava dunque di decostruire<br />

la via fondamental-ontologica, ma dall’altro<br />

di acquisire la capacità dell’ascolto di<br />

ciò che viene da lontano ed è teso verso il<br />

lontano. Sono questi i termini della svolta<br />

heideggeriana, con cui viene compiuto il<br />

primo passo verso la storia dell’essere,<br />

lasciandosi alle spalle la comprensione dell’essere<br />

propria dell’esserci e la temporalizzazione.<br />

Il tempo infatti diviene “tempo<br />

dell’apertura”, “luogo”: il luogo in cui ha<br />

inizio contemporaneamente il denascondimento<br />

dell’ente, la domanda rivolta<br />

all’ente in quanto tale e la storia<br />

dell’Occidente.<br />

Riedel ha fatto notare come nei corsi del<br />

1932 su Anassimandro e Parmenide, non<br />

ancora pubblicati, la storicità del domandare<br />

sia centrale e mostri come nella conoscenza<br />

storica vi sia per Heidegger la necessità<br />

di elevare ciò che è stato all’altezza<br />

di una storia che è storia dell’essere stesso<br />

nei suoi momenti sublimi. Riedel ha inoltre<br />

sottolineato come nelle intenzioni di<br />

Heidegger vi fosse - almeno in una fase<br />

iniziale - l’interesse a rilevare che per i<br />

Greci porre il problema dell’essere e della<br />

verità vuol dire occuparsi di qualcosa che è<br />

nel mondo, fa parte della vita e del suo<br />

movimento. La custodia dell’essere ha la<br />

sua dimora in un luogo preciso: la polis. In<br />

tal modo la funzione del logos non è solo<br />

quella di rendere accessibile l’ente, ma<br />

anche di custodirlo.<br />

A differenza di Heidegger che a partire<br />

dalla critica nietzscheana, assume un atteggiamento<br />

fondamentalmente antiplatonico<br />

- considerando anzi la filosofia platonica il<br />

luogo del cominciamento del nascondimento<br />

- Hans Georg Gadamer si attiene<br />

fermamente al pensiero platonico. Dopo la<br />

svolta infatti per Heidegger l’inizio della<br />

metafisica non è più individuato con l’avvio<br />

della domanda dell’essere, quanto con<br />

il destino del suo nascondimento. La metafisica<br />

viene interpretata come abbandono,<br />

che ha inizio con la filosofia greca, quella<br />

platonica, e si estende fino a caratterizzare<br />

l’atteggiamento mondano del pensiero calcolatore<br />

e tecnico. Riedel ha voluto in effetti<br />

rilevare come la differenza di posizione<br />

nei confronti dei Greci da parte di<br />

Heidegger e Gadamer, si manifesti in fondo<br />

a partire dal problema dell’ethos: domandare<br />

se non sia necessario mantenere il<br />

livello etico, come aver cura del mondo,<br />

all’interno dello statuto filosofico. E’ questo<br />

il motivo per il quale, secondo Riedel,<br />

vale la pena affrontare il problema stesso<br />

della storia e segnalare come, contrapponendosi<br />

a Heidegger, alla sua via in alto<br />

della storia, Gadamer voglia piuttosto valutare<br />

la storia a partire dai suoi effetti sul<br />

mondo, dalla sua via in basso. Egli osserva<br />

come nonostante la necessità per Heidegger<br />

di non sostenere un evolversi progressivo<br />

della storia, la stessa modalità con cui questi<br />

ricostruisce il percorso storico attraverso<br />

l’oblio comporti in fondo un qualcosa di<br />

quella logica che regge l’astratta costruzione<br />

hegeliana, là in vista della fine, qui<br />

dell’inizio.<br />

In ogni caso, ha sottolineato Riedel, aldilà<br />

della chiusura che la stessa riflessione gadameriana<br />

ad un certo punto rivela, vale<br />

soffermarsi su ciò che il diverso orientamento<br />

di Gadamer e Heidegger nei confronti<br />

dell’inizio della filosofia in Grecia<br />

apre per la nostra riflessione. V.L.<br />

Filosofia e liberazione<br />

Si è svolto presso la Facoltà di Lettere<br />

e Filosofia dell’Università di Napoli,<br />

nei giorni 15-16 aprile 1991, un convegno<br />

internazionale sul tema: Filosofia<br />

e liberazione, organizzato dal<br />

Dipartimento di Filosofia, dal Dipartimento<br />

di Filosofia e Politica dell’Istituto<br />

Universitario Orientale di Napoli e<br />

dall’Istituto Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>.<br />

Accanto agli ospiti stranieri e ai<br />

relatori hanno partecipato al convegno<br />

Fulvio Tessitore, Giuseppe<br />

Cantillo, Mario Agrimi, Giuseppe Lissa,<br />

Aldo Masullo, e numerosi altri studiosi.<br />

L’intervento di Paul Ricoeur, particolarmente<br />

atteso, ha chiuso le due<br />

giornate di studio, in cui si è dibattuto<br />

intorno a un concetto come quello di<br />

“liberazione”, oggi come non mai il<br />

più problematico nel confronto tra l’Europa<br />

e gli altri mondi storici.


La filosofia della liberazione non intende<br />

esprimere semplicemente una tendenza “naturale”<br />

dell’uomo all’intersoggettività, ma<br />

si presenta come un vero e proprio movimento<br />

di lotta, calato nella situazione sociale<br />

ed esistenziale dei paesi latino-americani<br />

e in polemica con la connotazione<br />

eurocentrica del pensiero occidentale, di<br />

cui non ha però mancato, nell’ultimo ventennio,<br />

di approfondire il dibattito eticoteoretico,<br />

scoprendo in particolare Marx<br />

dopo il comunismo, e in certo senso liberandolo<br />

dalla storia del cosiddetto socialismo<br />

reale.<br />

Alfredo Gomez Müller, dell’Institut<br />

Catholique di Parigi, ha illustrato le tappe<br />

di una filosofia della liberazione, che si<br />

radica fortemente nella questione sociale<br />

dei paesi dell’America latina, e che, pur<br />

nella interna diversità di accenti, rappresenta<br />

una sorta di uscita dalla minorità dei<br />

filosofi ispano-americani rispetto alla tradizione<br />

occidentale.<br />

Gwendoline Jarczyk del Collège de<br />

France, ha sostenuto la tesi assai impegnativa<br />

di una sostanziale indifferenza delle<br />

grandi filosofie, dai greci ai giorni nostri,<br />

nei confronti delle condizioni storiche immediate<br />

in cui si attua il concetto di libertà.<br />

Da ciò consegue l’esclusione dal dibattito<br />

filosofico delle tematiche libertarie dei popoli<br />

assolutamente poveri, ai limiti della<br />

sussistenza economico-politica, che si richiamano<br />

a un’idea di libertà come autonomia<br />

delle decisioni e libero accesso a tutte<br />

le risorse della terra e dell’intelligenza. E’<br />

chiaro in tal senso che il referente polemico<br />

obbligato della filosofia della liberazione è<br />

ogni analisi dei problemi condotta dal punto<br />

di vista esclusivamente europeo.<br />

Pierre-Jean Labarrière ha ben distinto<br />

tra “europeismo”, che mira a costituire<br />

l’unità politica dei paesi europei, e “eurocentrismo”,<br />

al cui interno ancora si deve<br />

chiarire la differenza tra una posizione che<br />

mira a confrontarne i valori con quelli<br />

extra-europei e quella che invece vuole<br />

affermare il dominio di una piccola parte<br />

del mondo sul resto del pianeta. La conquista-scoperta<br />

del nuovo mondo nel secolo<br />

XV e il colonialismo sono stati espressione<br />

di una volontà di potere che ancora oggi<br />

riscontriamo nell’opposizione Est-Ovest,<br />

Nord-Sud. L’insieme di queste considerazioni<br />

ha trovato riscontro immediato nell’intervento<br />

di Giulio Girardi, dell’Università<br />

di Sassari, che si è fatto carico di una<br />

presa di posizione politica, schierandosi<br />

dalla parte del Sud e delle correnti culturali,<br />

teologiche e filosofiche che esprimono il<br />

punto di vista dei popoli oppressi, emergenti<br />

alla dignità di soggetti storici.<br />

Restando del tutto all’interno del pensiero<br />

occidentale contemporaneo, Domenico<br />

Iervolino, dell’Università di Napoli, ha<br />

tracciato un profilo penetrante del pensiero<br />

di Ricoeur, nel suo svolgersi tra ermeneutica<br />

e storia come racconto, filosofia della<br />

pratica ed etica della comunicazione con<br />

l’altro. Il pensiero di Ricoeur potrebbe dirsi<br />

umanistico, non però antropocentrico: egli<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

pone l’identità personale sempre al plurale<br />

e sempre nella serietà dell’agire tra i molteplici<br />

giochi dell’essere e della coscienza<br />

riflessiva. In discussione polemica con<br />

Ricoeur si è posto Enrique Dussel, dell’Università<br />

di Città del Messico, esponente<br />

di primo piano della filosofia della liberazione,<br />

di cui è stato uno degli iniziatori.<br />

Questi ha messo in evidenza la specificità<br />

della filosofia della liberazione rispetto alla<br />

stessa teologia della liberazione e alle<br />

filosofie dell’occidente: quelle di Gadamer,<br />

Habermas, Apel, Lévinas. La rilettura dei<br />

testi di Marx operata dalla filosofia della<br />

liberazione muove dal presupposto che il<br />

tema del Capitale non sia il capitale, bensì<br />

la miseria, il povero, il non-uomo.<br />

Conseguentemente Dussel pone l’esigenza<br />

che la filosofia diventi “economia”, rivolgendosi<br />

alla relazione interumana di<br />

base, che a suo dire non è mera produzione<br />

di materiali-merci, ma è al tempo stesso<br />

relazione etica, spirituale, linguistica, politica.<br />

Paul Ricoeur ha infine preso la parola per<br />

sottolineare la presenza del rapporto filosofia-liberazione<br />

nel pensiero della nostra<br />

tradizione, le cui tappe essenziali da Spinoza<br />

all’evento della Rivoluzione francese, alla<br />

nascita del contrattualismo sino ad oggi,<br />

hanno rappresentato un cammino di lenta,<br />

ma decisa affermazione dell’idea di democrazia<br />

contro ogni sacralità del dominio<br />

sull’uomo. Certamente Ricoeur ha più a<br />

cuore la dimensione etica dell’ermeneutica,<br />

che non la sua riduzione ad un’economia,<br />

alla quale egli guarda con esplicito<br />

sospetto. R.V.C.<br />

Nuove vie della filosofia<br />

Nella sede dell’Istituto Italiano per gli<br />

<strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>, André Jacob, dell’Università<br />

di Nanterre, ha tenuto dal 21 al<br />

25 ottobre 1991 una serie di lezioni sul<br />

tema: Nuove vie della filosofia<br />

all’alba del III millennio. Dalla<br />

considerazione delle dieci diverse vie<br />

filosofiche che si sono dispiegate nel<br />

corso della storia, Jacob ha tratto le<br />

indicazioni per un nuovo percorso praticabile<br />

che, come via alla verità, eredita<br />

la funzione mediatrice del metodo,<br />

e permette all’uomo contemporaneo<br />

di superare l’ostacolo che si staglia sul<br />

suo cammino: il nihilismo, inteso da<br />

Jacob nella sua complessità di fenomeno<br />

culturale e sociale.<br />

Lo sforzo teoretico messo in atto da André<br />

Jacob consiste in un’assunzione di responsabilità<br />

rispetto all’opposizione tra la negazione<br />

nihilista e la tradizione da essa messa<br />

in crisi che individui una “terza posizione”<br />

in cui l’opposizione può essere superata.<br />

Questa via dell’esistenza alla ricerca di<br />

senso si dispiega come antropo-logica (etimologicamente:<br />

come logica dell’esistenza<br />

umana), come teoria generale dell’uma-<br />

no (del linguaggio, del comportamento,<br />

delle istituzioni). Fornendo indicazioni sulla<br />

forma d’esistenza a maggior contenuto di<br />

senso, essa permette anche di fondare l’etica;<br />

o meglio, permette d’individuare la<br />

forma d’esistenza in cui si potrà fondare<br />

un’umanità più compiuta.<br />

Come approccio all’umano nella sua generalità,<br />

la via antropo-logica supera la frammentarietà<br />

delle scienze umane. Il suo campo<br />

si origina a partire dall’opposizione<br />

lamarckiana individuo-ambiente. Come logica,<br />

essa è com-prensione del processo<br />

dell’umano a partire dall’individuazione<br />

che apre a uno spazio-tempo-materia che<br />

diviene senso. La logica dell’esistenza umana<br />

s’induce per omologia dalla logica<br />

del linguaggio, derivante da quella che<br />

Jacob chiama la “linguistica operativa” di<br />

Guillaume. Infatti, per via del carattere<br />

trascendentale del linguaggio, mediatore<br />

universale dell’esperienza umana, l’operatività<br />

linguistica offre il modello di un<br />

individuo che ha la possibilità di sollevarsi<br />

da un livello di particolarità ad uno di<br />

universalità. Inoltre, l’istanza di discorso<br />

che unifica sul piano della sincronia il<br />

processo discorsivo funge da modello dell’<br />

“istante fondatore” del soggetto (su-jet);<br />

istante che permane nella “temporalizzazione”<br />

in cui il soggetto stesso si costituisce.<br />

L’operatività linguistica comporta però<br />

sempre, nella sua diacronicità, la possibilità<br />

di un’eccedenza rispetto alla lingua<br />

intesa come sistema sincronicamente definito;<br />

pertanto essa offre anche il modello di<br />

un individuo che preserva la propria singolarità<br />

dall’ “assoggettamento” ad un sistema<br />

impersonale.<br />

Sono quindi distinguibili tre campi in cui<br />

può articolarsi lo spazio-tempo-senso. Dall’individualità<br />

si può svolgere un processo<br />

verso l’assoggettamento alla legge da parte<br />

di un “ego” che resta al sicuro, chiuso nella<br />

staticità (la sfera ne è rappresentazione<br />

efficace). Diviene anche com-prensibile il<br />

rischio di una dissoluzione e-motiva dell’individuo<br />

nel cosmo, anticipazione della<br />

morte, che è riduzione al piano puramente<br />

biologico. Infine si può comprendere la<br />

possibilità di un processo umanizzante: la<br />

“personalizzazione” di un soggetto (su-jet)<br />

sempre “da fare”, caratterizzato dall’essere<br />

in relazione di co-operazione e dia-logo<br />

con l’Altro. Questo soggetto teoretizzante<br />

si libera da ogni condizionamento immediato<br />

dell’ambiente, elevandosi ad un universale<br />

interculturale, a un “modello antimodello”.<br />

Il cono capovolto, come immagine<br />

della relazione fra individuale e universale,<br />

rappresenta efficacemente un soggetto<br />

in tal modo costituito il cui carattere<br />

“dia-tropico” ha la proprietà del superamento<br />

dinamico delle dualità, evitandone<br />

però l’empasse del logocentrismo eurocentrico,<br />

incapace di restituire la ricchezza<br />

e la flessibilità del “tropos” (figura, gesto,<br />

giro) con le e-voluzioni, ma anche con la<br />

sov-versività e la con-versità che ne possono<br />

derivare.<br />

L’etica, come ritrovamento della dimora


(ethos) dell’umano, ricava dall’antropologica<br />

i principi dell’autonomia e dell’interrelazione.<br />

Superando la chiusura coscienzialistica<br />

della morale, l’etica, come ricerca<br />

di uno spazio-tempo pienamente umano,<br />

ha di mira non il Bene, ma la riconfigurazione<br />

dei rapporti intersoggettivi, in cui<br />

siano salvaguardate le esigenze dell’aristos<br />

e del demos. Il superamento dell’interiorismo<br />

della morale comporta anche un-<br />

’indispensabile riferimento all’agire politico.<br />

Alla luce di queste indicazioni antropologiche<br />

Jacob ha suggerito una lettura dell’attuale<br />

situazione internazionale. La cattura<br />

del soggetto nell’etero-nomia, realizzatasi<br />

con i totalitarismi di questo secolo, si<br />

ripresenta oggi con la chiusura che accompagna<br />

l’affacciarsi dei particolarismi (razzismi,<br />

nazionalismi, localismi). Ma Jacob<br />

ha voluto anche mettere in guardia dalla<br />

cattura economica che costringe l’individuo<br />

della società dei consumi entro l’arco<br />

ferreo dello stimolo-risposta. La spersonalizzazione<br />

conseguente alla perdita della<br />

distinzione tra fine e mezzo comporta una<br />

privazione di senso, un’involuzione dello<br />

spazio-tempo-senso a spazio-tempomateria.<br />

G.L.<br />

Da Vienna a Napoli:<br />

il viaggio di Lessing in Italia<br />

Il 30 ottobre 1991, nel Teatro di corte di<br />

Palazzo Reale in Napoli, Mario De<br />

Cunzo, Gerardo Marotta, Paul Raabe,<br />

Lea Ritter Santini e Nicola Spinosa<br />

hanno inaugurato la mostra: Da<br />

Vienna a Napoli in carrozza. Il<br />

viaggio di Lessing in Italia.<br />

Era presente S. E. Friedrich Ruth, Ambasciatore<br />

della Repubblica di Germania<br />

in Italia. La ricca esposizione è<br />

stata completata da un Convegno Internazionale<br />

di <strong>Studi</strong>, tenutosi dal 31<br />

ottobre al 1 novembre 1991 a Palazzo<br />

Serra di Cassano, sul tema: Lessing e<br />

i suoi contemporanei in Italia,<br />

organizzato dall’Istituto Italiano per<br />

gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> e dal Goethe Institut<br />

di Napoli.<br />

Nel suo intervento d’apertura Gonrad<br />

Wiedemann, uno degli studiosi più attenti<br />

di Lessing, ha messo in rilievo una sostanziale<br />

disomogeneità degli interessi di<br />

Lessing rispetto a quelli dei suoi più noti<br />

contemporanei. Il viaggio di Lessing appare<br />

radicalmente differente da quelli che<br />

successivamente intraprenderanno, per esempio,<br />

Goethe e Humboldt. Lessing non<br />

pare condividere il cliché, per altro molto<br />

diffuso nella seconda metà del XVIII sec.,<br />

dell’Italia come Paese politicamente e culturalmente<br />

decaduto. Al contrario, riallacciandosi<br />

in qualche modo alla tradizione<br />

umanistica, Lessing si reca in Italia con<br />

l’intenzione di visitare una provincia della<br />

“Repubblica dei letterati”. Nonostante l’o-<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

riginalità dell’approccio, il “diario” di viaggio<br />

non appare uno scritto particolarmente<br />

significativo: è sintomatico che l’attenzione<br />

di Lessing non sia stata richiamata, per<br />

esempio, da personaggi come Vico, Muratori<br />

o Beccaria.<br />

Paolo Chiarini ha riportato il dibattito su<br />

un piano più strettamente “germanistico”,<br />

mettendo in luce il carattere di opera sistematica<br />

aperta della Hamburgische<br />

Dramatugie, che segna un momento fondamentale<br />

dell’estetica tedesca, sottraendo<br />

la rappresentazione tragica alla tradizione<br />

dei canoni aristotelici.<br />

Ampio spazio è stato dedicato alle esperienze<br />

e ai colloqui “torinesi” di Lessing. A<br />

questo scopo Giancarlo Romagnani ha<br />

ricostruito il panorama della Torino intellettuale<br />

negli anni 1775-76, rilevando la<br />

presenza di tutta una letteratura che potremmo<br />

definire “sotterranea”, propria dei<br />

circoli segreti della massoneria. Carlo<br />

Ossola ha evidenziato l’influsso su Lessing<br />

della Bibliopea, pubblicata nel 1776 da<br />

Carlo Denina con l’intento di fornire un’esposizione<br />

dell’arte di comporre libri. Resta<br />

comunque certo che il confronto fra<br />

Lessing e la cultura torinese di quel periodo<br />

fu estremamente fecondo: a tal fine Lucetta<br />

Levi Momigliano si è soffermata sull’incontro<br />

tra Lessing e Giuseppe Vernazza,<br />

uno degli intellettuali italiani più prestigiosi<br />

del tempo.<br />

Un’analisi della letteratura critica più recente<br />

su Lessing, in particolare degli interventi<br />

di Wiedmann, Raabe e Grimm, pubblicati<br />

a metà degli anni 80, ha caratterizzato<br />

l’intervento di Gert Mattenklott.<br />

Wiedemann aveva espresso un giudizio<br />

sostanzialmente negativo del “diario” lessingiano,<br />

rimproverandogli un eccessivo<br />

interesse per l’erudizione libresca a discapito<br />

«delle impressioni esteriori, della loro<br />

varietà cromatica e della loro intensità sensoriale”.<br />

Raabe invece, basandosi principalmente<br />

su fonti epistorali, aveva proposto<br />

l’immagine di un Lessing fervidamente<br />

interessato alla realtà quotidiana, letteraria<br />

e scientifica del paese che visita, ma impossibilitato<br />

dalla prematura morte a comporre<br />

un’opera che rendesse conto di questo<br />

interesse. Mattenklott cerca di superare il<br />

contrasto tra i due studiosi, sostenendo<br />

l’impossibilità per Lessing di descrivere le<br />

proprie inmpressioni attraverso il genere<br />

del “diario”. Quello che appare come limite<br />

principale del “diario” di viaggio in<br />

Italia, in quanto miscellanea di scritti eruditi,<br />

diventa, semmai, il limite della concezione<br />

stessa che ha Lessing della dignità<br />

letteraria. Marta Cavazza ha invece evidenziato<br />

la curiosità scientifica e la passione<br />

bibliofila di Lessing. Tra i disparati testi<br />

acquistati in Italia per la biblioteca di<br />

Wolfenbüttel, la Cavazza ha menzionato la<br />

Philocentria, operetta di un ex-gesuita sul<br />

fenomeno di gravità, ed un lavoro sui fuochi<br />

di Pietramala, dovuto all’astronomo<br />

Francesco Bianchini. Stefan Mattuschek<br />

ha tracciato infine un interessante quadro<br />

del rapporto tra Vico e Lessing, che si<br />

sviluppa nel momento in cui lo scrittore<br />

tedesco si interessa al problema dell’educazione<br />

del genere umano e della filosofia<br />

del linguaggio. Per Vico come per Lessing<br />

è necessario immaginare la Provvidenza<br />

divina come l’istanza predominante per<br />

arrivare al concetto del genere umano: una<br />

Scienza Nuova della Bibbia. R.I.<br />

Pluralismo delle religioni<br />

Si è svolto a Torino nei giorni 18 e 19<br />

Ottobre un convegno internazionale<br />

sul tema: Cristianesimo e Religioni.<br />

Filosofia e teologia di<br />

fronte alla sfida del pluralismo.<br />

Organizzato dall’Università di Torino,<br />

di Macerata e di Roma (Tor Vergata)<br />

e dalla redazione della rivista<br />

“Filosofia e teologia”, l’incontro ha<br />

tematizzato il problema del pluralismo<br />

religioso, sia come realtà sociologicamente<br />

rilevabile, sia come valore,<br />

di fronte alla pretesa di assolutezza e<br />

verità che le singole religioni, ma anche<br />

la filosofia e la teologia, portano<br />

inevitabilmente con sé.<br />

L’apertura dei lavori è stata affidata a M.<br />

Pagano (Torino), che ha delineato l’itinerario<br />

del convegno e la natura della posta in<br />

gioco. Individuando nella prospettiva dei<br />

lavori di J. Hick e di W. Pannenberg i due<br />

modelli più caratteristici di risposta filosofico-teologica<br />

al problema del pluralismo,<br />

Pagano ha richiamato il rilevante apporto<br />

della prospettiva teoretica di L. Pareyson,<br />

che riportando alla luce il carattere costitutivamente<br />

ermeneutico della filosofia e il<br />

suo radicamento nella verità, può offrire un<br />

modello di risposta ai problemi del pluralismo.<br />

J. Hick (Claremont, California), ha portato<br />

la discussione sul piano teologico, all’interno<br />

della prospettiva cristiana del rapporto<br />

tra cristianesimo e religioni mondiali<br />

(ebreismo, islam, induismo e buddhismo),<br />

individuando due ordini di problemi, inerenti<br />

cioè le istanze salvifiche e le istanze<br />

veritative delle religioni. Sotto il primo<br />

profilo, dopo aver definito in termini generali<br />

la nozione di salvezza come riscatto/<br />

liberazione dal carattere insoddisfacente e<br />

imperfetto della vita umana, Hick ha mostrato<br />

l’impossibilità di un raffronto delle<br />

fedi sulla base della loro efficacia salvifica<br />

proponendo di pensare la salvezza come<br />

una realtà, non esclusivamente cristiana,<br />

che muovendo dall’Unica realtà trascendente<br />

influisce sulla vita umana attraverso<br />

differenti totalità religiose. Sotto il profilo<br />

veritativo i conflitti tra le religioni si situano<br />

a livello di credenze storiche, metafisiche<br />

e teo-logiche.<br />

Al primo livello le differenze interreligiose,<br />

componibili solo attraverso prove storiche,<br />

sembrano rimanere permanenti. Anche<br />

a livello metafisico le credenze in gioco<br />

non paiono componibili tra loro, perchè


funzioni di un sistema più ampio centrato<br />

sulla concezione della Realtà Ultima, che,<br />

ed è il terzo livello, concepita personalmente<br />

o impersonalmente permane difficilmente<br />

accessibile nella sua relazionalità<br />

interreligiosa. Semmai si dovrà pensare la<br />

Realtà Ultima come realtà mai adeguatamente<br />

esprimibile in termini umani, realmente<br />

trascendente, capace tuttavia di una<br />

salvezza che passa proprio nelle forme<br />

storiche della risposta umana alla volontà<br />

salvifica. Pur ribadendo l’imprescindibile<br />

necessità del dialogo. Dal punto di vista<br />

della riflessione teologica cristiana W.<br />

Pannenberg (Monaco di Baviera) ha mostrato<br />

di considerare i conflitti di ordine<br />

veritativo presenti nelle varie religioni, in<br />

modo pregnante. Le domande poste in tal<br />

senso da Pannenberg si sono incentrate<br />

sulla realtà divina della fede cristiana, sul<br />

contenuto di salvazione delle altre religioni<br />

e sull’insegnamento per la religione cristiana<br />

proveniente dalla realtà divina di<br />

quest’ultime. Nelle risposte si è fatto riferimento<br />

sia alla polemica profetica che neotestamentaria<br />

circa le rappresentazioni antropomorfiche<br />

di Dio, ma anche all’idea<br />

paolina della confusione tra Creatore e<br />

creature, presente nelle religioni ellenistiche.<br />

Nell’accezione cristiana la salvezza<br />

non può non mantenere Cristo come unico<br />

criterio di salvezza che non esclude però<br />

coloro che, pur non partecipando della comunità<br />

storica della Chiesa, vivono secondo<br />

il messaggio di Cristo.<br />

W. Waldenfels (Bonn) ha ripercorso le<br />

tappe della biografia e della riflessione di<br />

Keiji Nishitani, uno dei più autorevoli rappresentanti<br />

della scuola di Kyoto, aperta a<br />

molteplici influssi culturali dell’occidente.<br />

Nishitani, definitosi “buddhista e cristiano<br />

in divenire”, approfondendo la nozione di<br />

vuoto, tipica di autori come Nagarjuna e<br />

anche dello Zen, ha incontrato il locus<br />

classicus cristologico della ekkenosis (farsi-vuoto)<br />

di Cristo nella kenosis essenziale<br />

di Dio, presentando così una suggestiva<br />

realizzazione dell’incontro tra cristianesimo<br />

e buddhismo. Parallelamente a questa<br />

apertura verso espressioni culturali e religiose<br />

dell’estremo oriente, Kh. Fouad<br />

Allam (Trieste) ha aperto una finestra sulle<br />

dinamiche, anche contradditorie, presenti<br />

nell’Islam contemporaneo e concernenti il<br />

riconoscimento del pluralismo religioso e<br />

la difesa dell’identità islamica.<br />

V. Melchiorre (Milano) e C. Geffrè (Parigi)<br />

hanno affrontato la questione delle condizioni<br />

teoriche ed ermeneutiche del dialogo<br />

dal punto di vista filosofico, il primo,<br />

teologico il secondo. Melchiorre ha preso<br />

le mosse dall’insanabile aporia della coscienza<br />

religiosa, la quale afferma i nomi<br />

molteplici del divino, da una parte, e insieme,<br />

dall’altra, anche «l’impossibilità di<br />

dire l’Ultimo Nome». Rileggendo alcune<br />

tappe cruciali della storia del pensiero da<br />

Anselmo a Gassendi, a Descartes, a Kant e<br />

a Hegel, Melchiorre ha inteso mostrare<br />

come ogni processo conoscitivo, che sempre<br />

parte dal finito, porti in sé la necessità<br />

CONVEGNI E SEMINARI<br />

della postulazione dell’Infinito o dell’Assoluto<br />

fondante. E’ nel simbolo e nel linguaggio<br />

metaforico del Sacro che si ritrova<br />

la composizione dell’ambivalenza di silenzio<br />

e parola, tipica dell’esperienza religiosa,<br />

capace di fondare la legittimità e l’esigenza<br />

di un pluralismo espressivo intorno<br />

alla Causa di tutte le cose. Riprendendo in<br />

prospettiva teologica la distinzione già introdotta<br />

da E. Schillebeeckx tra “pluralismo<br />

di fatto” e “pluralismo di diritto”, C.<br />

Geffrè ha posto la fondazione del pluralismo<br />

di diritto nella ricomprensione del<br />

rapporto tra Chiesa e Israele. La morte di<br />

Cristo, rompendo il diaframma tra Israele e<br />

“le Genti”, pone la Chiesa di fronte ad una<br />

salvezza, il cui compimento è nel Regno di<br />

Dio ed è capace di valorizzare pienamente<br />

le ricchezze autentiche presenti nelle altre<br />

tradizioni religiose.<br />

Infine G. Filoramo (L’Aquila) ha centrato<br />

l’attenzione sull’apporto offerto dalle Scienze<br />

Umane allo studio del rapporto religione/religioni.<br />

Dopo aver ripreso la questione<br />

epistemologica, egli ha evidenziato come<br />

la configurazione di una disciplina definibile<br />

come “Scienza delle Religioni”<br />

possa contemporaneamente salvare il dato<br />

molteplice delle religioni storiche e il pluralismo<br />

metodologico di approccio a un<br />

oggetto non riducibile ad unità. Filoramo<br />

ha poi ripreso la polemica, avviatasi negli<br />

anni ’60 tra un’accezione di Scienza della<br />

Religione erede del verstehen di<br />

Schleiermacher, Otto, Van del Leeuw, che<br />

considera la religione come realizzazione<br />

Villard de Honnecourt (XIII sec.)<br />

Il grande Architetto dell'Universo. (Bibliothèque nationale de Paris)<br />

del suo proprio Geist, e una prospettiva


Nel quadro della propria attività, la<br />

Fondazione San Carlo di Modena ha<br />

organizzato, a partire dall’ottobre<br />

1991, un ciclo di lezioni sul tema:<br />

Religioni in dialogo. Storia e<br />

attualità, che si protrarrà fino al<br />

marzo 1992. Il calendario delle relazioni<br />

è il seguente: 3 ottobre, A. Rizzi:<br />

“Il dialogo tra le religioni”; 17<br />

ottobre, L. Caro: “Israele e i popoli<br />

della Bibbia”; 14 novembre, P.<br />

Sequeri: “Extra ecclesiam nulla salus?<br />

Dalla teologia medievale a Pico<br />

ed Erasmo”; 12 dicembre, G.<br />

Imbruglia: “Il cristianesimo nelle<br />

Americhe”; 16 gennaio, E. Mazza:<br />

“La liturgia dopo il Concilio di Trento.<br />

Dai riti-spettacolo alla pastorale liturgica”;<br />

6 febbraio, G. Sorani: “La<br />

‘Nostra Aetate’ e il dialogo cristianoebraico”;<br />

27 febbraio, M. Introvigne:<br />

“Nuove sette, nuovi sincretismi e ritorno<br />

al sacro”; 5 marzo, K. Fouad<br />

Allam: “L’Islam e l’Occidente”. Il 12<br />

marzo le lezioni si chiuderanno con<br />

una tavola rotonda su “Il dialogo ecumenico<br />

in Italia verso il terzo<br />

Millenio” a cui partecipano M.<br />

Vingiani, S. Ribet e T. Valdam.<br />

Aperture al futuro. Le forme e la<br />

storia è il titolo di un ciclo di lezioni,<br />

che ha preso il via nell’ottobre 1991 e<br />

si protrarrà fino all’aprile 1992 con il<br />

seguente calendario: 25 ottobre, P. P.<br />

Portinaro: “Signum prognosticum.<br />

Meditazioni postkantiane sulla filosofia<br />

della storia”; 8 novembre, M.<br />

Cometa: “Soglie dell’abbandono. La<br />

secolarizzazione della pazienza nella<br />

letteratura tedesca contemporanea”;<br />

22 novembre, S. Vegetti Finzi: “Il<br />

doppio tempo dell’attesa. Tempo biografico<br />

e tempo biologico nel ‘mettere<br />

al mondo”; 6 dicembre, G.<br />

Bompiani: “In attesa dell’occasione.<br />

Due forme della temporalità”; 14 febbraio,<br />

A. M. Iacono: “Futuro, ciclo,<br />

evoluzione, apocalisse”; 14 febbraio,<br />

C. Grottanelli: “La prognosi tra divinazione<br />

e profezia. Grecia natica e<br />

mondo biblico”; 23 marzo, A.<br />

Placanica: “Futuro temuto-futuro sperato.<br />

Coerenze e mutazioni nel paradigma<br />

della fine”; 10 aprile, A. Prosperi:<br />

“Fine del mondo-conquista del<br />

mondo. Ascesa e crisi del profetismo<br />

apocalittico nell’età delle scoper<br />

te”.Venerdì 11 ottobre 1991, Albano<br />

CALENDARIO<br />

CALENDARIO<br />

Biondi e Massimo Cacciari hanno<br />

presentato il De Vita di Marsilio<br />

Ficino (a cura di A. Biondi e G. Pisani,<br />

Ed. Biblioteca dell’immagine).Sabato<br />

30 novembre 1991 è stato presentato<br />

il libro di Pier Cesare Bori, Per un<br />

consenso etico tra culture<br />

(Marietti, Genova 1991): al dibattito<br />

con l’autore sono intervenuti Guglielo<br />

Forni e Mohamed Kerrou. Un seminario<br />

di studio su: Alfred Schutz.<br />

Le strutture del mondo della<br />

vita, è annunciato per gennaio-marzo<br />

1992. Questo il calendario degli interventi:<br />

15 gennaio, E. Melandri:<br />

“Alfred Schutz e i rapporti tra sociologia<br />

e fenomenologia”; 3 febbraio,<br />

R. Bodei: “Transiti: i confini del mondo<br />

della vita”; L. Muzzetto: “La ‘werelation’<br />

come fondamento dell’intersoggettività”;<br />

4 marzo, L. Sciolla:<br />

“Strutture di rilevanza e mondo della<br />

vita”. Sempre per gennaio-marzo<br />

1992 è annunciato un seminario di<br />

studio sul tema: Non violenza e<br />

jihad nella cultura e nella storia<br />

islamica, a cui parteciperanno<br />

Khaled Fouad Allam e Bianca Maria<br />

Amoretti Scarcia.<br />

● Informazioni: Fondazione Collegio<br />

San Carlo, via S. Carlo, 5, 41100<br />

Modena, tel. 059/222315<br />

Si è tenuto l’8 e 9 ottobre 1991 presso<br />

l’Università di Essen un convegno<br />

sul tema: Est-Ovest oggi: contro<br />

la coazione al metodo nelle<br />

scienze dello spirito, organizzato<br />

dall’editore “Die Blaue Eule”. Sono<br />

intervenuti: N. Thon, R. Maiwald, J.<br />

Klein, K. R. Wagner, K. Bering, A.<br />

Steffens, A. Rooch, J. Fellsche, E.<br />

Lehmann, G. Zimmermann, E.<br />

Reckwitz e R. Heinz.<br />

● Informazioni: Verlag Die Blaue<br />

Eule, Aktienstr. 8, D-4300 Essen 11.<br />

Si è svolto dal 16 al 18 ottobre 1991 a<br />

Weilburg un convegno sul tema:<br />

Princìpi cognitivi per l’ordinamento<br />

e la rappresentazione del<br />

sapere.<br />

● Informazioni: P. Jaenecke, SEL<br />

Alcatel, Ostendstr. 3, D-7530<br />

Pforzheim.<br />

Il 24 e 25 ottobre 1991 si è tenuto a<br />

Greifswald un convegno sul tema:<br />

Linguaggio e atto del parlare: strutture<br />

e funzioni, norme, valori e azione.<br />

● Informazioni: D. Bastian, Institut<br />

für Deutsche Philologie, Ernst-<br />

Moritz-Arndt-Universität, Bahnhofstr.<br />

46-47, D-2200 Greifswald.<br />

Si è tenuto a Monte Livata (Subiaco/<br />

RM), nei giorni 28-30 ottobre 1991,<br />

un convegno su: Il problema del<br />

fondamento e la filosofia italiana<br />

del Novecento, organizzato dal<br />

Centro per la Filosofia Italiana. Questo<br />

il programma degli interventi: V.<br />

Mathieu: “L’atto come fondamento”;<br />

A. Masullo: “Il fondamento e il tempo”;<br />

F. Bosio: “La razionalità discorsiva<br />

e il problema del fondamento nel<br />

pensiero italiano contemporaneo”; A.<br />

Capizzi: “La scelta come fondamento”;<br />

E. Severino: “Elenchos”; E.<br />

Baccarini: “Il fondamento nel pensiero<br />

di E. Severino”; F. Prini: “Fondamento<br />

e finalità”; F. Rivetti Barbò:<br />

“Un dibattito sui fondamenti conoscitivi<br />

in Italia”; P. Miccoli: “Il fondamento:<br />

tirannia o seduzione del filosofare?”;<br />

G. Vattimo: “Il fondamento<br />

secolarizzato”; G. Carcaterra:<br />

“Il problema del fondamento nella<br />

filosofia morale del ‘900 in Italia”; S.<br />

Moravia: “Esperienza vissuta e morale”;<br />

B. Lauretano: “Il problema dello<br />

sfondamento”; I. Mancini: “Filosofia<br />

della religione: il fondamento”;<br />

F. Barone: “Il problema del fondamento<br />

e la filosofia della scienza”; A.<br />

Pieretti: “Fondamento e linguaggio:<br />

un problema aperto”; R.D. Brienza:<br />

“L’uomo e la sua formazione: il fondamento<br />

tra troppo e il troppo poco di<br />

semanticità”.<br />

● Informazioni: Centro per la Filosofia<br />

Italiana, viale Piave 79, 00040 Tor<br />

San Lorenzo (RM), tel. 06/9103741<br />

I giorni 18 e 19 ottobre 1991, presso<br />

il Centro Culturale San Fedele di<br />

Milano, è stato organizzato dall’Associazione<br />

Hans Urs von Balthasar,<br />

in collaborazione con l’Editoriale Jaca<br />

Book e l’Editrice Morcelliana, un convegno<br />

di studi sul tema: Solo l’amore<br />

è credidibile. Hans Urs von<br />

Balthasar, una teologia dagli spazi<br />

illimitati. Hanno preso la parola: P.<br />

Henrici: “La formazione culturale e<br />

teologica di H. Urs von Balthasar; R.<br />

Vignolo: “Gloria, una rilettura dell’estetica<br />

teologica; G. Dalmasso: “Teologica:<br />

la verità ‘di’ Dio”; G.<br />

Sommavilla: “Balthasar in Italia: la<br />

testimonianza di un traduttore”; E.<br />

Guerriero: “L’estremo amore di Dio<br />

nella gloria del suo morire:<br />

Teodrammatica”; J. Servais: “L’Istituto<br />

S. Giovanni e la Casa Balthasar”;<br />

A. Sicari: “Maria, Pietro e Giovanni,<br />

figure della Chiesa. L’ecclesiologia<br />

di H. Urs von Balthasar”.<br />

● Informazioni: Associazione Hans<br />

Urs von Balthasar, Via S. Simpliciano<br />

7, 20121 Milano<br />

Organizzato dalla rivista “Nuova Secondaria”,<br />

il 28 e 29 ottobre 1991,<br />

presso la Camera di Commercio di<br />

Brescia, si è tenuto il corso nazionale<br />

di aggiornamento: “Filosofia” e<br />

“Filosofia di”. Ruolo e funzioni<br />

della filosofia nella nuova scuola<br />

secondaria. Relazioni di E.<br />

Agazzi, D. Antiseri, G. Giorello, M.<br />

Perniola, N. Matteucci, F.<br />

D’Agostino, A. Rigobello, I. Mancini,<br />

G. Acone, E. Berti, C. Sini.<br />

● Informazioni: Editrice La Scuola,<br />

Ufficio corsi e convegni, Via Cadorna<br />

11, Brescia<br />

I giorni 1 e 2 novembre 1991, il Centro<br />

Internazionale di <strong>Studi</strong> di Estetica<br />

ha tenuto a Palermo un seminario dal<br />

titolo: Laocoonte 2000, in occasione<br />

della pubblicazione del Laocoonte<br />

di Lessing, promossa dallo stesso<br />

Centro. Si segnalano le relazioni di B.<br />

Andreae: “Perchè il prete Laocoonte<br />

è così grande in confronto ai suoi figli<br />

e per quale motivo ha i capelli scomposti<br />

e irsuti?”; Giorgio Cusatelli:<br />

“Laokoon: un gesto; e Vittorio<br />

Fagone: “Laocoonte: un «errore necessario»?”.<br />

● Informazioni:Centro Interna-zione<br />

<strong>Studi</strong> di Estetica, Viale delle Scienze,<br />

90128 Palermo, tel. 091/6560274<br />

Si è svolto dall’1 al 3 novembre 1991<br />

a Bad Boll un convegno su: Simone<br />

Weil pensatrice politica.


● Informazioni: Evangelische<br />

Akademie, Akademieweg 11, D-7325<br />

Bad Boll.<br />

E’ iniziato il 5 novembre 1991 ad<br />

Amburgo un ciclo di seminari sul<br />

tema: Caos e sistema.<br />

● Informazioni: Evangelische Akademie<br />

Nordelbien, Esplanade 15, D-<br />

2000 Hamburg 36.<br />

Si è tenuto il 6 e 7 novembre 1991<br />

presso l’Università di Osnabruck un<br />

convegno sul tema: Redenzione attraverso<br />

la rivelazione o la conoscenza?<br />

Sul risveglio della<br />

gnosi.<br />

● Informazioni: Prof. Dr. Georg<br />

Untergassmair, Universität Osnabrück,<br />

Fachbereich Katholische<br />

Theologie, Driverstr. 26, D-2848<br />

Vechta.<br />

La Casa della Cultura di Milano, nel<br />

quadro della sua attività seminariale,<br />

organizza a partire dal novembre 1991<br />

una serie di incontri sul Pensiero<br />

inventivo. La fabbrica della cultura,<br />

a cura di Psòmega, che si articoleranno<br />

secondo il seguente calendario:<br />

6 novembre, M. Bonfantini: “Il<br />

Pragmatismo è un umanesimo?”; 6<br />

dicembre, M. Bertoldini, C. Talamo:<br />

“L’atto progettuale”; 24 gennaio, M.<br />

Bonfantini, M. Ferraresi, L. Marconi:<br />

“Le semiotiche speciali”; 14 febbraio,<br />

M. Bonfantini, A. Ponzio: “Dialogo<br />

della menzogna”; 16 aprile, M.<br />

Macciò: “Freud e il comunismo”; 30<br />

aprile, R. Satolli, F. Terragni:<br />

“Bioetica ed ecopolitica”; 14 maggio,<br />

G. Neri, R. Valtorta, M. Ferraresi,<br />

M. Finazzi: “Futuro e immagine”; 28<br />

maggio, G. Liguori, G. Stocchi: “Da<br />

sogni e da città”.<br />

Martedì 10 dicembre ha inoltre avuto<br />

luogo una tavola rotonda con la partecipazione<br />

di M. Cacciari, M. Ferraris,<br />

C. Formenti, R. Madera, M. Spinella,<br />

sul tema: Miti e misteri del mondo<br />

laico. La discussione ha preso<br />

spunto dalla pubblicazione del libro<br />

di Carlo Formenti: Piccole apocalissi.<br />

Tracce della divinità nell’ateismo<br />

contemporaneo (Cortina editore,<br />

1991).<br />

● Informazioni: Casa della Cultura,<br />

Via Borgogna 3, 20122 Milano, tel.<br />

02/795567<br />

Il Club dei Club e il Laboratorio<br />

Riformista, insieme alla rivista “Il<br />

Bianco e il Rosso” e con la collaborazione<br />

scientifica del Centro studi<br />

Politeia di Milano, hanno organizzato<br />

un convegno sul tema: Etica laica<br />

ed etica cattolica a confronto.<br />

Valori, Cultura e Politica, che si è<br />

svolto al Palazzo delle Stelline di<br />

Milano nei giorni 8 e 9 novembre<br />

1991. Il primo giorno, il tema “Laicità<br />

e religiosità nel mondo secolarizzato”<br />

è stato discusso da H. T. Engelhardt<br />

Jr., M. Mori, A. Bausola; è seguita<br />

una serie di interventi di studiosi,<br />

mentre le conclusioni sono state tratte<br />

da S. Veca e F. Forte. Il secondo<br />

giorno del convegno, alla tavola rotonda<br />

sul tema: “Dopo i comunismi:<br />

politica e valori in Italia e in Europa”,<br />

hanno pertecipato P. Carniti, C. Martelli,<br />

M. Martinazzoli, G. Napolitano;<br />

le conclusioni sono state di G.<br />

Spadolini.<br />

● Informazioni: Politeia, Via Brera<br />

18, Milano, tel. 02/877873<br />

Il giorno 11 novembre 1991, presso<br />

l’Aula Absidale di Santa Lucia in<br />

Bologna, il Ministero dell’Università<br />

e della Ricerca Scientifica e l’Università<br />

di Bologna hanno organizzato<br />

una giornata di studio e dibattito per<br />

presentare la ricerca: Come finanziare<br />

l’istruzione universitaria,<br />

realizzata dal Centro Politeia di Milano.<br />

L’analisi della situazione del diritto<br />

allo studio e le nuove proposte di<br />

intervento, quali i prestiti di studio,<br />

sono stati dibattuti in una serie di<br />

interventi di docenti, sindacalisti e<br />

uomini politici. Relazioni di: A.<br />

Visalberghi: “Uno sguardo al panorama<br />

internazionale”; A. Martinelli,<br />

V. Capecchi e A. Zuliani: “Gli aspetti<br />

sociologici: gli effetti sulla composizione<br />

sociale degli studenti, gli sbocchi<br />

professionali dei laureati”; G.<br />

Mazzocchi e F. Cavazzutti: “Gli aspetti<br />

economici: effetti sulla finanza<br />

pubblica, problemi di equità e di efficienza”.<br />

● Informazioni: Politeia, Via Brera<br />

18, 20100 Milano, tel. 02/877873<br />

Il giorno 14 novembre 1991, l’Università<br />

degli <strong>Studi</strong> di Milano, in occasione<br />

del centenario della nascita di<br />

Antonio Banfi ha inaugurato un ciclo<br />

di letture intitolate al nome del filosofo,<br />

che verranno tenute annualmente<br />

da illustri studiosi italiani e stranieri.<br />

Per l’anno accademico 1990-91,<br />

Norberto Bobbio ha parlato sul tema:<br />

La filosofia della storia oggi.<br />

● Informazioni: Dipartimento di Filosofia,<br />

Università degli <strong>Studi</strong> di Milano,<br />

Via Festa del Perdono 7, 20122<br />

Milano, tel. 02/58352733<br />

Si è svolto il 14 novembre 1991 a<br />

Norimberga un convegno su: La conoscenza<br />

di sé e la notte della<br />

colpa. Giovanni della Croce e la<br />

mistica della liberazione.<br />

●Informazioni: C. Pirckheimer Haus,<br />

Königstr. 64, D-8500 Nürnberg 1.<br />

Il 16 novembre 1991 si è tenuto a<br />

Karlsruhe un convegno su: L’uomo,<br />

centro della creazione. Sulla visione<br />

della vita e del mondo di<br />

Albert Schweitzer. Interventi di<br />

CALENDARIO<br />

Claus Günzler (Karlsruhe), Hans H.<br />

Jenssen (Berlin) e Hans-Joachim<br />

Werner (Karlsruhe).<br />

● Informazioni: Katholische<br />

Akademie der Erzdiözese Freiburg,<br />

Postfach 947, D-7800 Freiburg, tel.<br />

0761/19180.<br />

Si è svolto a Heidelberg, il 16 e 17<br />

novembre 1991, un convegno dedicato<br />

al tema: Fenomenologia e<br />

filosofia della natura, cui hanno<br />

partecipato Eberhard Avé-Lallement<br />

(Monaco), Heribert Nobis (Monaco)<br />

e Bernhard Rang (Friburgo in<br />

Brisgovia).<br />

● Informazioni: Katholische<br />

Akademie der Erzdiözese Freiburg,<br />

Postfach 947, D-7800 Freiburg, tel.<br />

0761/19180<br />

L’Accademia Cattolica di Treviri ha<br />

organizzato, dal 21 al 23 novembre<br />

1991, un convegno su: Libertà e<br />

giustizia: due principi contrastanti<br />

nell’attività economica?<br />

●Informazioni: Katholische<br />

Akademie Trier, Postfach 2330, D-<br />

5500Trier<br />

Nel novembre 1991 ha preso il via, a<br />

cura degli Editori Laterza e della<br />

Fodazione Sigma Tau, un ciclo di<br />

conferenze dal titolo: Lezioni italiane,<br />

che studiosi di fama internazionale<br />

terranno in diverse Università<br />

italiane. Il programma per il 1991-<br />

92 è il seguente: 21-22 novembre,<br />

Università ‘La Sapienza’ di Roma -<br />

Wolf Lepenies: “Ascesa e caduta dell’intellettuale<br />

in Europa”; 11-13 dicembre,<br />

Università degli <strong>Studi</strong> Milano<br />

- John Barrow: “Perchè il mondo è<br />

matematico?”; 16-18 dicembre, Università<br />

degli <strong>Studi</strong> di Bologna -<br />

Francisco Varela: “Un know-how per<br />

l’etica”; 17-18 gennaio, Università<br />

‘La Sapienza’ di Roma - Francesco<br />

Corrao: “Modelli psicoanalitici”; 12-<br />

14 febbraio, Università degli <strong>Studi</strong> di<br />

Milano - Ilya Prigogine: “Le leggi del<br />

caos”; 24-26 marzo, Università ‘La<br />

Sapienza’ di Roma - Hilary Putnam:<br />

“Il Pragmatismo, una questione aperta”;<br />

7-9 aprile, Università degli <strong>Studi</strong><br />

di Milano - Aldo Giogio Gargani: “Il<br />

testo del tempo”; s.g. novembre 1992,<br />

Università ‘La Sapienza’ di Roma -<br />

Jean Starobinski: “Aspetti del dono”.<br />

● Informazioni: Fondazione Sigma-<br />

Tau, P.zza S. Ignazio 170, 00186<br />

Roma, tel. 06/6783458.<br />

La Heimvolkshochschule St.<br />

Jakobushaus di Goslar ha organizzato<br />

dal 25 al 29 novembre 1991 un<br />

seminario di introduzione alla filosofia<br />

dedicato al tema: Verità e realtà.<br />

● Informazioni: Heimvolkshochschule<br />

St. Jakobushaus,<br />

Reusstr. 4, D-3380 Goslar.<br />

Il 27 novembre 1991, presso la Sala<br />

del Guariento dell’Accademia<br />

Patavina di Scienze, Lettere e Arti, è<br />

stata organizzata dall’Università degli<br />

<strong>Studi</strong> di Padova una giornata di<br />

studio: Luigi Stefanini (1891-<br />

1956). Nel centenario della nascita.<br />

Dell’opera e del pensiero del<br />

filosofo hanno parlato: G. M. Pozzo:<br />

“Stefanini maestro”; P. Prini: “Il pensiero<br />

di Luigi Stefanini”; G. Flores<br />

d’Arcais: “L’estetica e la pedagogia<br />

di L. Stefanini”. Nell’occasione sono<br />

stati presentati l’edizione di due opere:<br />

L. Stefanini, Platone (2 voll.,<br />

CEDAM, Padova 1991) e Dialettica<br />

dell’immagine. <strong>Studi</strong> su l’<br />

“Imaginismo” di L. Stefanini (A cura<br />

dell’Associazione Filosofica<br />

Trevigiana, Marietti, Genova 1991).<br />

● Informazioni: Accademia Patavina<br />

di Scienze Lettere e Arti, Via Accademia<br />

7, Padova, 049/655249<br />

Si è svolto il 29 e 30 novembre 1991<br />

presso l’Accademia cattolica ‘Die<br />

Wolfsburg’ a Gelsenkirchen un corso<br />

filosofico di base sul tema: Simone<br />

Weil: mistica e filosofia del quotidiano.<br />

● Informazioni: Katholische Akademie<br />

Die Wolfsburg, Virchowstr. 120,<br />

D-4650 Gelsenkirchen.<br />

Il giorno 30 novembre 1991, a cura<br />

delle Università ‘La Sapienza’ e ‘Tor<br />

Vergata’ di Roma, si è tenuto presso<br />

il Dipartimento di Filosofia e di Teoria<br />

delle Scienze Umane un colloquio<br />

sul tema: Prospettive del Realismo.<br />

Hanno preso la parola: A. Stroll:<br />

“Reflection on Surfaces”; P. Bozzi:<br />

“E’ la percezione una facoltà ‘psichica’?”;<br />

H. Hochberg: “Russell’s<br />

Hypothetical Realism”; F. Restaino:<br />

“Realismo senza fondamenti”; B. Mac<br />

Guinness, “Truth, Time and Deity”;<br />

G. Frongia, “Può lo scetticismo essere<br />

confutato?”<br />

● Informazioni: Dipartimento di Filosofia<br />

e Teoria delle Scienze Umane,<br />

Via Magenta 5, 00100 Roma<br />

L’Istituto Suor Orsola Benincasa di<br />

Napoli, in collaborazione con il Dipartimento<br />

di Filosofia dell’Università<br />

di Napoli, ha organizzato, nei<br />

giorni 2 e 3 dicembre 1991, un convegno<br />

dal titolo: Ricordo di Pietro<br />

Piovani (1922-1980). Sono intervenuti<br />

G. Galasso: “Presentazione del<br />

volume di autori vari: L’opera di Pietro<br />

Piovani (Napoli 1991); E.<br />

Opocher: “La filosofia del diritto di<br />

P. Piovani e il pensiero di Capograssi”;<br />

V. Mathieu: “P. Piovani e il diritto<br />

naturale”; M. A. Cattaneo: “Alcune<br />

considerazioni su giusnaturalismo,<br />

giustizia e sentimento del diritto naturale”;<br />

P. Rescigno: “Le ‘situazioni’<br />

del diritto”; A. Giuliani: “Attualità<br />

del vichismo di P. Piovani”; A. Tarantino:<br />

“Dalla natura delle cose sto-


iche al principio di effettività”; G.<br />

Marino: “Filosofia della legge e il<br />

positivismo della scienza”; G.<br />

Martano: “L’ars poetica oraziana<br />

nella germinazione del pensiero vichiano”;<br />

A. Masullo: “La difettività<br />

del fondamento”; G. Calabrò: “Incontro<br />

con Montaigne”; M. Agrimi:<br />

“Ancora sul Vico di Piovani”; D.<br />

Corradini: “La norma e le norme: il<br />

problema dell’intersoggettività e del<br />

riconoscimento; A. Agnelli: “Filosofia<br />

politica e filosofia monastica: la<br />

scelta vichiana di P. Piovani”.<br />

Dal 12 al 14 dicembre 1991 l’Istituto<br />

Suor Orsola Benincasa ha organizzato<br />

un convegno sul pensiero di Augusto<br />

del Noce. Il convegno è stato articolato<br />

per aree tematiche e ha visto la<br />

partecipazione di circa trenta studiosi,<br />

impegnati in sei tavole rotonde. Per la<br />

sezione: “Il problema dell’ateismo”,<br />

hanno preso la parola M. Cacciari: “Il<br />

‘problema dell’ateismo’”; S. Natoli:<br />

“Salvare il tempo e dominare l’evento?<br />

Ateismo e modernità nel pensiero<br />

di A. Del Noce”; A. Rigobello: “Male<br />

e giustizia in A. Del Noce”; M. M.<br />

Olivetti: “Status naturae lapsae e ateismo<br />

nel costituirsi della filosofia moderna”;<br />

R. Buttiglione: “Il rapporto tra<br />

Filosofia e Teologia e la questione<br />

del cristianesimocome problema fondamentale<br />

della filosofia moderna nel<br />

pensiero di A. Del Noce”. Per la sezione:<br />

“Del Noce e il Marxismo”, hanno<br />

parlato E. Berti: “la dialettica nel pensiero<br />

di A. Del Noce”; S. Azzaro:<br />

“Marx, Gramsci, Gentile”; R. De<br />

Mattei: “A. Del Noce e il suicidio della<br />

rivoluzione”; G. Cotroneo: “Il ‘cattolicesimo<br />

comunista’”; V. Strada: “Il<br />

marxismo nell’interpretazione di Del<br />

Noce”. Per la sezione:”Gnosticismo e<br />

utopia”, hanno parlato L. Pellicani:<br />

“Del Noce e lo gnosticismo rivoluzionario”;<br />

A. Andreatta: “Su alcune riflessioni<br />

delnociane in tema di utopia”;<br />

T. Perlini: “L’influenza del pen-<br />

9-12 dicembre<br />

Giancarlo Rota (M.I.T. Boston)<br />

Phenomenology<br />

and the foundations<br />

of mathematics<br />

The axiomatic method and the hermeneutic<br />

circle in mathematics - The<br />

problem of existence of mathematical<br />

constructs - Invention and<br />

discovery in mathematics -<br />

Mathematization as the ideal of the<br />

science.<br />

16-20 dicembre<br />

F. Jarauta, E. Trias, F. Savater A.<br />

Gonzales, J. I. Linazasoro<br />

Pensamiento español<br />

contemporaneo<br />

España, o la historia de una incertidumbre<br />

- Exilio occidental y viaje a<br />

Oriente - Amor proprio y libertad.<br />

siero russo sulla riflessione delnociana”;<br />

G. Riconda: “Del Noce e il pensiero<br />

esostenziale russo”; M. Quaranta:<br />

“A. Del Noce o della Ragion divisa”.<br />

Per la sezione: “Del Noce e la<br />

critica dell’idea di modernità”, hanno<br />

preso la parola L. Colletti: “Del Noce<br />

e la critica della civiltà moderna; S.<br />

Maffettone: “Scienza moderna e riflessione<br />

critica nel pensiero di A. Del<br />

Noce”; A. Zanfarino: “Politica e critica<br />

della modernità”; A. Agnelli: “Il<br />

giudizio sul Risorgimento come misura<br />

dei filosofi italiani del Novecento<br />

per A. Del Noce”; G. Calabrò:<br />

“Cartesio e la crisi libertina nell’interpretazione<br />

di A. Del Noce”. Per la<br />

sezione: “Del Noce e l’interpretazione<br />

di Gentile”, hanno preso la parola A.<br />

Negri: “Del Noce, Gentile e l’interpretazione<br />

transpolitica della storia contemporanea”;<br />

V. Possenti: “Il Gentile<br />

di Del Noce”; B. De Giovanni: “L’interpretazione<br />

del pensiero di Gentile”;<br />

R. De Felice: “La storia contemporanea<br />

nella visione di A. Del Noce alla<br />

luce delle ultime vicende del comunismo”;<br />

P. Prini: “Rosmini, Gioberti,<br />

Gentile e il senso della filosofia del<br />

Risorgimento secondo Del Noce”. Infine<br />

per la sezione: “Del Noce filosofo<br />

della politica italiana”, hanno parlato<br />

C. Vasale: “Il problema di Del Noce<br />

come ‘problema Del Noce’. Appunti e<br />

spunti per una interpretazione politica<br />

del suo pensiero politico”; L. Russi:<br />

“Del Noce storico delle dottrine storiche.<br />

(1970-75)”; D. Castellano: “A.<br />

Del Noce e il problema della definizione<br />

di ‘destra’”; G. Galasso: “La<br />

lettura gramsciana di Del Noce”.<br />

Prosegue intanto il corso di aggiornamento<br />

e perfezionamento in discipline<br />

storico-filosofiche per l’anno accademico<br />

1991-92, dal titolo: Dal<br />

criticismo allo storicismo. Storia<br />

della Storiografia Filosofica,<br />

che l’Istituto Suor Orsola Benincasa<br />

organizza dal novembre 1991 all’a-<br />

CALENDARIO<br />

prile 1992. Ecco il calendario delle<br />

lezioni: 25 novembre - V. Mathieu:<br />

“Il criticismo kantiano (I)”; 26 novembre<br />

- V. Mathieu: “Ilcriticismo<br />

kantiano (II)”; 5 dicembre - C. Cesa:<br />

“Fichte: la dottrina della scienza”; 9<br />

dicembre - G. Moretto: “Schleiermacher<br />

e i nuovi orizzonti della filosofia<br />

della religione”; 17 dicembre -<br />

F. Moiso: “Schelling: dalla filosofia<br />

della natura all’idealismo trascendentale”;<br />

9 gennaio - B. Forte: “Teologia<br />

e filosofia della storia: un dibattito<br />

‘moderno’”; 13 gennaio - V. Verra:<br />

“Hegel: dalla Fenomenologia all’Enciclopedia”;<br />

21 gennaio - C. Cesa:<br />

“Le vie dell’hegelismo”; 28 gennaio<br />

- C. Fabro: “Kierkegaard oggi”; 4<br />

febbraio - G. Riconda: “Schopenhauer:<br />

volontà e rappresentazione”;<br />

11 febbraio - L. Colletti: “Marx e la<br />

concezione materialistica della storia”;<br />

18 febbraio - E. Rambaldi:<br />

“Feuerbach: umanesimo e critica della<br />

religione”; 25 febbraio - G. Vattimo:<br />

“Nietzsche: morte di Dio e rovesciamento<br />

dei valori”; 5 marzo - A. Negri:<br />

“La scienza della società: Comte e<br />

Spencer”; 10 marzo - V. Cappelletti:<br />

“Darwin: tra storia della vita e storia<br />

dell’uomo”; 17 marzo - G. Oldrini:<br />

“La cultura napoletana dell’Ottocento<br />

e l’Europa (I)”; 18 marzo - G.<br />

Oldrini: “La cultura napoletana dell’Ottocento<br />

e l’Europa (II)”; 24 marzo<br />

- F. Barone: “La crisi delle scienze<br />

empiriche”; 1 aprile - S. Mastellone:<br />

“Il pensiero politico dell’Ottocento<br />

tra liberalismo e democrazia”; 7 aprile<br />

- A. Trione: “L’estetica di Francesco<br />

De Sanctis”; 29 aprile - F. Tessitore:<br />

“Il sapere storico: filologia e<br />

metodologia delle scienze storiche”.<br />

● Informazioni: Istituto Suor Orsola<br />

Benincasa, C.so Vittorio Emanuele<br />

292, Napoli<br />

Il 7 e 8 dicembre 1991, presso il<br />

Centro Culturale Polivalente di Cat-<br />

ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI<br />

Palazzo Serra di Cassano - Via Monte di Dio, 14 - 80132 Napoli<br />

Los paradojas de la ética - «La noche<br />

española». España como metaforta<br />

del exceso en el arte del siglo XX - El<br />

espacio interiorizado. Un analisis y<br />

una propuesta.<br />

7-10 gennaio<br />

Gianfranco Poggi (Uni. Virginia)<br />

La Filosofia del denaro di Simmel<br />

La Filosofia del denaro: contesti della<br />

genesi dell’opera - Azione sociale,<br />

agire economico, spirito oggettivo -<br />

La natura del denaro - La società<br />

moderna nel prisma del denaro.<br />

7-11 gennaio<br />

Adriaan Peperzak (Amsterdam)<br />

Il superamento<br />

delle tradizioni antiche e moderne<br />

nella filosofia pratica di Hegel<br />

La filosofia del diritto di Hegel come<br />

trasformazione della Repubblica di<br />

Platone - Elementi aristotelici nella<br />

filosofia hegelianan della prassi -<br />

Hegel contra Hobbes e Rousseau - La<br />

recezione hegeliana dell’etica trascendentale<br />

kantiana - La prassi secondo<br />

Hegel e Heidegger.<br />

13-16 gennaio<br />

Aldo Masullo (Napoli)<br />

Fenomeno-patia del tempoed etica<br />

della salvezza<br />

Il tempo fenomeno-logico e il paradosso<br />

della fattualità - L’ermeneutica<br />

della fattualità e il paradosso del tempo<br />

- La fenomeno-patia del tempo - Il<br />

tempo fenomeno-patico e l’etica della<br />

salvezza.<br />

20-24 gennaio<br />

Patrizia Caselli (Pisa)<br />

tolica, ha avuto luogo un convegno<br />

dal titolo: Elogio della Politica,<br />

organizzato dalla Biblioteca Comunale<br />

in collaborazione con l’Istituto<br />

Italiano per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong>. Alla<br />

discussione, cui faceva da moderatore<br />

Beniamino Placido, sono intervenuti:<br />

R. Bodei, A. Bolaffi, G.<br />

Carandini, G. Carbone, U. Galimberti,<br />

A. Giolitti, D. Losurdo, A. Manzella,<br />

G. Marramao, S. Vertone.<br />

● Informazioni: Centro Culturale Polivalente,<br />

Piazza della Repubblica 2,<br />

47033 Cattolica (FO), tel. 0541/<br />

967802.<br />

Dal 9 al 12 dicembre 1991, l’Università<br />

degli <strong>Studi</strong> della Repubblica di San<br />

Marino, in collaborazione con il Centro<br />

Internationale di <strong>Studi</strong> Semiotici e<br />

Cognitivi, ha organizzato nella sede<br />

della Biblioteca di Stato un seminario<br />

sul tema: Semantic Theory. Relazioni<br />

di C. Fillmore: “Integrating<br />

Lexical Semantics and the Semantics<br />

of Grammar”; M. Bierwisch:<br />

“Semantic Form as an Interface<br />

between Grammatical and Conceptual<br />

Structure”; G. Nunberg: “Deixis and<br />

Property Transfer: The Varieties of<br />

Deference”; B. Shanon: “The Place of<br />

Semantic Repre-sentation in Cognitive<br />

Theory”; A. Caramazza: “The<br />

Dissolution of Meaning in Brain<br />

Damage”.<br />

● Informazioni: Università di San Marino,<br />

Contrada Omerelli 77, 47031 San<br />

Marino, tel. 0549/882516<br />

Martedì 10 dicembre 1991, presso l’aula<br />

magna dell’Università degli <strong>Studi</strong> di<br />

Pavia, in occasione della presentazione<br />

della traduzione italiana del libro di<br />

Michel Mayer, Problematologia. Filosofia,<br />

scienza e linguaggio (Pratiche<br />

Editrice, Parma 1991), l’autore, presentato<br />

da Livio Rossetti, ha tenuto<br />

una conferenza sul tema: Passioni e<br />

identità personale.<br />

Il sogno<br />

tra Medioevo e Rinascimento<br />

Il sogno nella tarda antichità - Le<br />

visioni: sogno e sognatori nelle fonti<br />

letterarie e nell’iconografia medievale<br />

- La «natura» nel sogno: l’incubo e<br />

le metamorfosi - Il sogno del sogno: i<br />

labirinti di Poliphilo -Il sogno e i<br />

sogni: dal testo all’immagine.<br />

27-30 gennaio<br />

Girolamo Cotroneo (Messina)<br />

Benedetto Croce<br />

dalla politica all’etica<br />

La riscoperta della politica - Un liberalismo<br />

anomalo - Liberalismo, socialismo,<br />

democrazia - Il primato dell’etica.<br />

3-7 febbraio<br />

Carlo Sini (Milano)


● Informazioni: Dipartimento di Filosofia,<br />

Università degli <strong>Studi</strong>, B.go<br />

Carissimi 10, Parma<br />

Il 10 dicembre 1991 ha avuto luogo<br />

ad Amburgo, presso l’Accademia evangelica,<br />

un convegno, con la partecipazione<br />

della teologa Dorothee<br />

Sölle, sul tema: Il valore di mercato<br />

dell’etica.<br />

● Informazioni: Evangelische Akademie<br />

Nordelbien, Esplanade 15, D-<br />

2000 Hamburg 36, tel. 040/341264.<br />

Nei giorni 13 e 14 dicembre 1991 si<br />

sono tenute a Roma due giornate di<br />

studio su: La teoria generale dell’interpretazione<br />

di Emilio Betti.<br />

Al convegno, organizzato dall’Istituto<br />

di Teoria dell’Interpretazione e di<br />

Informatica Giuridica dell’Università<br />

‘La Sapienza’ di Roma e dal C.N.R.,<br />

hanno partecipato: G. Benedetti: “Interpretazione<br />

dell’atto di autonomia<br />

privata tra teoria generale e dommatica.<br />

Un paradosso”; F. Bianco: “La<br />

‘Teoria generale dell’interpretazione’<br />

nel dibattito ermeneutico contemporaneo”;<br />

F. P. Casavola: “Emilio<br />

Betti tra storiografia ed ermeneutica”;<br />

G. Crifò: “La genesi della teoria<br />

dell’interpretazione di Emilio<br />

Betti”; J. Grondin: “L’universalité del<br />

l’herméneutique selon Emilio Betti”.<br />

● Informazioni: Brunella Talarico,<br />

tel. 06/49910222<br />

Si è tenuto il 13 e 14 dicembre 1991<br />

presso l’Accademia cattolica ‘Die<br />

Wolfsburg’ a Gelsenkirchen un corso<br />

filosofico di base sul tema: Edith<br />

Stein: essere finito ed essere eterno<br />

nell’attimo.<br />

● Informazioni: Katholische Akademie<br />

Die Wolfsburg, Virchowstr.<br />

120, D-4650 Gelsenkirchen, tel. 0209/<br />

202499.<br />

Filosofia e scrittura<br />

La pratica del discorso tra oralità e<br />

scrittura - L’alfabeto e la nascita della<br />

logica - La tradizione della filosofia<br />

— La fine della metafisica e il futuro<br />

del pensiero - L’etica della scrittura e<br />

la pratica del foglio-mondo.<br />

10-13 febbraio<br />

Alfonso Ingegno (Firenze)<br />

Malebranche.<br />

Dalla ‘Recherche de la vérité’<br />

al ‘Traité de la natureet de la grâce’<br />

Nasita e metamorfosi della Recherche<br />

de la vérité - La polemica con Foucher:<br />

una revisione decisiva - Traité de la<br />

nature et de la grâce - Da Malebranche<br />

a Vico.<br />

10-14 febbraio<br />

Ettore Lojacono (Bruxelles)<br />

Dal 29 dicembre 1991 al 4 gennaio<br />

1992 si è svolto a Gerusalemme e Tel<br />

Aviv un convegno sul tema: Leibniz<br />

e Adamo.<br />

● Informazioni: Prof. Dr. Marcelo<br />

Dascal, P.O. Box 296, 5500 Kiron,<br />

Israele.<br />

Mercoledì, 8 gennaio 1992 ha avuto<br />

inizio, nella sede della Fondazione<br />

Rosselli di Torino, un ciclo d’incontri,<br />

con riunioni mensili riservate a studiosi<br />

e ricercatori, su: Globalizzazione<br />

e la Triade: conflitto e cooperazione<br />

nell’attuale sistema internazionale.<br />

Agli incontri, coordinati<br />

da Miriam Campanella, sono stati invitati<br />

tra gli altri Susan Strange, Stuart<br />

Holland (Istituto Universitario Europeo<br />

di Firenze) e Pierre Allan (Università<br />

di Ginevra). La relazione introduttiva<br />

all’incontro inaugurale del ciclo è<br />

stata tenuta da James N. Rosenau<br />

(University of Southern California),<br />

che ha parlato sul tema: “La turbolenza<br />

nella politica mondiale”.<br />

● Informazioni: Fondazione Rosselli,<br />

Via S. Quintino 18/c, 10121 Torino,<br />

tel. 011/541113<br />

Il centro culturale ‘La Casa Zoiosa’<br />

organizza per il 1992 nella propria<br />

sede di Milano una serie di corsi: Alle<br />

origini del cristianesimo: la cultura<br />

ellenica nei suoi rapporti<br />

tra giudaismo e cristianesimo,<br />

quattro incontri con Rizzardi (ogni<br />

martedì alle ore 20.30, a partire dal 14<br />

gennaio); Scrittura letteraria, cinque<br />

incontri con A. Nociti (ogni giovedì,<br />

alle ore 20.30, a partire dal 16<br />

gennaio); La cinematografia di<br />

Luis Buñuel, quattro incontri co R.<br />

Escobar (ogni lunedì, alle ore 20.30,<br />

a partire dal 20 gennaio); per la serie:<br />

Storia di luce tra ‘500 e ‘600:<br />

funzione e significati della luce<br />

nella pittura da Leonardo a<br />

Descartes: la logica e il metodo.<br />

Problemi e ipotesi interpretative<br />

I manuali di logica della fine del XVI<br />

e dei primi decenni del XVII secolo -<br />

Dalla logica al metodo - Le diverse<br />

proposte teoretiche cartesiane e il metodo<br />

in atto: dalle Regulae agli Essais<br />

(I e II) - Metodo e metafisica alla luce<br />

deu recenti contibuti di J. L. Marion.<br />

9-13 marzo<br />

Bernard Besnier (Saint-Cloud)<br />

Conjectanea<br />

ad Timaeum pertinentia<br />

Le sens de la figure du démiurge - La<br />

psychologie (l’essence mixte de<br />

l’âme, ses deux facultés cognitives) -<br />

L’astronomie: les mouvements de<br />

Venus et de Mercure - La formation<br />

des corps simples: a) signification<br />

des triangles élémentaires - La for-<br />

CALENDARIO<br />

Rembrandt: “Da Leonardo a<br />

Caravaggio”, quattro incontri con<br />

E. Cerchiari (ogni mercoledì, alle ore<br />

20.30, a partire dal 5 febbraio), e “Il<br />

grand siécle in Francia, Spagna<br />

e Olanda”, quattro incontri con E.<br />

Cerchiari (ogni mercoledì, alle ore<br />

20.30, a partire dal 4 marzo); La perfezione<br />

della distanza: quattro<br />

variazioni sul tema, quattro incontri<br />

con R. Ronchi (esercizi di lettura<br />

di poesia contemporanea, ogni<br />

martedì, alle ore 20.30, a partire<br />

dall’11 febbraio); Etica oggi. Tre<br />

generazioni di filosofi a confronto,<br />

incontro con L. Sichirollo, G.<br />

Bonacina, A. Burgio (lunedì 17 febbraio,<br />

alle ore 20.30); L’eredità che<br />

il pensiero filosofico del nostro<br />

secolo lascia al duemila, lezioni<br />

di P. Rossi, E. Severino, J. Petitot, I.<br />

Toth, H. G. Gadamer (ogni lunedì,<br />

alle ore 20.30, a partire dal 9 marzo).<br />

Per la partecipazione ai corsi è necessaria<br />

l’iscrizione.<br />

● Informazioni: ‘La Casa Zoiosa’,<br />

C.so di Porta Nuova 34, 20121 Milano,<br />

tel. 02/6551813<br />

A partire dal 15 gennaio 1992, la Fondazione<br />

Corrente organizza per l’anno<br />

1992 un seminario permanente di filosofia<br />

dal titolo: Oggetti e forme del<br />

pensiero. Muovendo da ambiti di<br />

riflessione molto differenziati, la proposta<br />

è quella di “riprovare a fare<br />

filosofia”, ridar voce a questioni magari<br />

“vecchie”, comunque “fondamentali”,<br />

cercando di individuare percorsi<br />

dimenticati, indicare nuove strade, coniugare<br />

tradizione e invenzione. Il calendario<br />

degli incontri è il seguente: 15<br />

e 22 gennaio, L. Magnani: “Conoscenza<br />

e matematica”; 29 gennaio e 5<br />

febbraio, M. Prandi: “Volontà di comprendere”;<br />

12 e 19 febbraio, G. Scibilia:<br />

“Decostruzione e costruzione”; 11 e<br />

18 marzo, L. Bonesio: “L’apertura del-<br />

ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI<br />

Palazzo Serra di Cassano - Via Monte di Dio, 14 - 80132 Napoli<br />

mation des corps simples: b) l’unification<br />

des corps simples dans un<br />

même: surmonter le désordre de la<br />

doxa.<br />

23-27 marzo<br />

Reiner Wielh (Heidelberg)<br />

Caso e libertà<br />

La negazione teologica del caso nell’etica<br />

di Spinoza - La revisione antropologica<br />

di caso e libertà nell’etica<br />

di Spinoza - Dei diversi significati di<br />

caso e necessità nella filosofia di Kant<br />

- Teologia e Libertà in Kant - Sguardi<br />

sull’attuale discussione circa il rapporto<br />

tra caso e necessità.<br />

23-27 marzo<br />

Marcello Pera (Catania)<br />

Dal metodo della scienza<br />

alla retorica degli scienziati<br />

lo spazio estetico”. Gli atti degli incontri<br />

verranno pubblicati presso l’editore<br />

Guerini e Associati di Milano.<br />

● Informazioni: Fondazione Corrente,<br />

via Carlo Porta 5, 20121 Milano,<br />

tel.02/6572627<br />

Si è svolto dal 17 al 19 gennaio 1992,<br />

presso l’Accademia evangelica di<br />

Tutzing, un convegno su: Pensare<br />

nella costellazione. L’attualità<br />

di Walter Benjamin nel centenario<br />

della nascita.<br />

● Informazioni: Evangelische<br />

Akademie Tutzing, Schlossstr. 2-4,<br />

D-8132 Tutzing, tel. 08158/2510.<br />

Dal 17 al 19 gennaio 1992, presso<br />

l’Accademia Evangelica del<br />

Palatinato, si è tenuto un convegno<br />

sul tema: Diritto e morale. Qualcosa<br />

di vecchio e di nuovo su un<br />

difficile rapporto. Scopo del convegno<br />

è di chiarire il complesso rappporto<br />

tra diritto e morale in una prospettiva<br />

filosofica, giuridica, politologica<br />

e teologica.<br />

● Informazioni: Evangelische<br />

Akademie der Pfalz, Domplatz 5, 6720<br />

Speyer, tel. 06232 109191.<br />

Viene spostato dal 3-6 ottobre 1991 al<br />

13-16 febbraio 1992 il convegno di<br />

Ginevra sul tema: Giustizia sociale:<br />

pro e contro.<br />

● Informazioni: Christine Tappolet,<br />

Département de Philosophie,<br />

Université de Genève, CH-1211<br />

Genève 4.<br />

Si svolgerà a Urbino dal 2 al 4 marzo<br />

1992 un convegno sul tema: Il giovane<br />

Nietzsche. Aspetti del suo<br />

pensiero e della sua opera con<br />

particolare attenzione al primo<br />

periodo di Basilea.<br />

● Informazioni: Segreteria Convegno<br />

Nietzsche, Istituto di Lingue, Piazza<br />

Rinascimento 7, I-60129 Urbino.<br />

Nascita e decadenza del metodo scientifico<br />

- Dal metodo della scienza alla<br />

retorica degli scienziati - retorica e<br />

logica - Retorica e conoscenza.<br />

30 marzo-3 aprile<br />

Giuseppe Orsi (Ist.It.St.Fil.)<br />

Momenti<br />

di una filosofia<br />

dello spirito<br />

Poesia, filosofia, cristologia in<br />

Petrarca - Storia, verità, certezza in<br />

Vico - Spirito, logica, tempo in Hegel<br />

- «Natura», «natura umana», «alto<br />

sentire» in Leopardi - Spirito, espressione,<br />

memoria in Croce.


L’insegnamento della filosofia<br />

attraverso i testi<br />

E’ possibile costruire un itinerario di<br />

attraversamento della filosofia che sappia<br />

congiungere l’attenzione per la riflessione<br />

specifica dei filosofi con il<br />

rinvio ai contesti culturali e alle correnti<br />

di pensiero, l’esposizione storicocronologica<br />

e il primato della lettura<br />

diretta dei testi? Il nuovo corso di filosofia:<br />

Il testo filosofico. Storia<br />

della filosofia: autori, opere,<br />

problemi (Edizioni Scolastiche Bruno<br />

Mondandori, Milano 1991), nato da<br />

un progetto collettivo elaborato da<br />

Fabio Cioffi, Giorgio Luppi, Amedeo<br />

Vigorelli ed Emilio Zanette, cerca di<br />

impostare l’insegnamento della filosofia<br />

secondo una pluralità di modelli<br />

e di prospettive, tutte convergenti però<br />

nel riconoscimento della centralità<br />

dei testi e nel tentativo di costruire le<br />

necessarie mediazioni per la loro interpretazione.<br />

Con l’apparizione del primo volume de Il<br />

testo filosofico, che riporta come titolo:<br />

L’età antica e medievale, prende avvio la<br />

pubblicazione di un nuovo corso per l’insegnamento<br />

della filosofia, destinato ad articolarsi<br />

attraverso altri due volumi, di cui il<br />

terzo, dedicato alla filosofia contemporanea,<br />

si articolerà a sua volta in due tomi. Le<br />

notevoli dimensioni dell’opera non devono<br />

indurre a pensare che gli autori si siano<br />

proposti l’obbiettivo di un’irraggiungibile<br />

esaustività sul piano dell’informazione. Si<br />

è cercato invece di costruire uno strumento<br />

che, pur compiendo alcune precise scelte,<br />

nel senso di privilegiare nella trattazione i<br />

“classici” del pensiero e le correnti fondamentali<br />

della filosofia antica, presenti tuttavia<br />

una notevole flessibilità di utilizzo e<br />

lasci ampio spazio alla costruzione di percorsi<br />

individuali nell’insegnamento. L’ampiezza<br />

del lavoro dipende inoltre dalla ricerca<br />

di conciliare il mantenimento di una<br />

struttura espositiva dei percorsi della filosofia<br />

con la lettura di un’ampia selezione di<br />

testi, integrata da un adeguato apparato<br />

esplicativo. Convinzione degli autori è che,<br />

se il testo filosofico costituisce il luogo<br />

DIDATTICA<br />

DIDATTICA<br />

a cura di Riccardo Lazzari<br />

privilegiato attraverso cui lavorare per raggiungere<br />

gli obbiettivi formativi e cognitivi<br />

dell’insegnamento della filosofia, «occorre<br />

tuttavia costruire le condizioni di<br />

accesso al testo stesso» e cioè «mettere a<br />

fuoco... gli elementi di contesto, storicoculturale<br />

e teoretico, necessari a collocare<br />

e a leggere ogni singolo testo; gli strumenti<br />

fondamentali di lettura e di interpretazione;<br />

le strategie argomentative e comunicative<br />

seguite dall’autore; il repertorio lessicale<br />

utilizzato dall’autore stesso». In questa<br />

prospettiva il testo dell’autore non è<br />

introdotto come supporto antologico dell’esposizione<br />

manualistica, non costituisce<br />

una semplice esemplificazione dei contenuti<br />

di una narrazione che si sviluppa del<br />

tutto indipendentemente da esso, ma rappresenta<br />

una parte integrante ed essenziale<br />

di ciascuna delle unità didattiche attraverso<br />

cui si articola il corso d’insegnamento.<br />

Le singole unità, a loro volta, non sono<br />

costruite secondo un modello unico di organizzazione<br />

della materia: accanto a unità<br />

organizzate per autori (che presentano cioè<br />

il pensiero di un filosofo nella sua organicità),<br />

abbiamo unità costruite per temi e<br />

problemi; a queste si aggiungono unitàbiografie<br />

(che illustrano “casi” di itinerario<br />

biografico-filosofico) e unità costruite per<br />

intersezioni. Del primo tipo sono gli ampi<br />

capitoli riservati a Platone, ad Aristotele, a<br />

Plotino, a Tommaso d’Aquino e a Ockham.<br />

Socrate, Agostino e Abelardo sono invece<br />

presentati seguendo il filo conduttore della<br />

loro vicenda biografica e intellettuale. Sotto<br />

il titolo “temi e problemi” vengono ricostruiti<br />

alcuni dei principali nodi problematici<br />

del pensiero antico-medievale, intorno<br />

a cui si sono intrecciate più strategie intellettuali<br />

(per es.: uno e molteplice, linguaggio<br />

e verità, felicità, scepsi). Le “intersezioni”,<br />

a loro volta, analizzano particolari<br />

interrelazioni fra pensiero filosofico e scienze<br />

(per es.: “Da Ippocrate a Galeno: filosofia<br />

e medicina in Grecia”). Ciascuna unità,<br />

poi, si articola attraverso un ampio apparato<br />

didattico: oltre alle introduzioni ai vari<br />

autori e correnti, scritte con linguaggio<br />

chiaro ed accessibile agli studenti, compaiono<br />

le introduzioni ai brani tratti dalle<br />

opere, che a loro volta sono ampiamente<br />

commentati attraverso note esplicative. I<br />

testi di più ardua comprensione sono poi<br />

accompagnati da schede di lettura. La pre-<br />

senza per ciascun capitolo di un dizionario<br />

filosofico cerca di facilitare l’acquisizione,<br />

da parte dello studente, del lessico<br />

specifico della disciplina. Particolari temi<br />

e percorsi di approfondimento sono sviluppati<br />

attraverso delle schede che si affiancano<br />

al percorso principale, senza gravare<br />

sulla sua struttura espositiva. Va segnalato<br />

il fatto che ogni unità presenta<br />

delle schede di lavoro che suggeriscono<br />

possibili percorsi operativi di riflessione e<br />

di rielaborazione, oltre che di verifica dell’apprendimento.<br />

Ma l’aspetto forse più originale del nuovo<br />

corso di filosofia è la presentazione di<br />

alcune “unità-opere”, nelle quali non si<br />

presentano soltanto ampie sezioni di un<br />

testo, ma si forniscono strumenti specifici<br />

per l’avviamento alla lettura di un’opera<br />

filosofica (e, nella fattispecie, per il Gorgia<br />

di Platone e per il De Anima di Aristotele).<br />

Si intende in questo modo mettere in luce<br />

il rapporto che intercorre tra le strutture<br />

teoriche e le strutture comunicative, e tracciare<br />

una sorta di mappa dei generi filosofici.<br />

Il Testo filosofico mette dunque in gioco<br />

una pluralità di metodi e di possibili approcci<br />

all’insegnamento della disciplina,<br />

venendo incontro alle esigenze di una didattica<br />

complessa e non riducibile ad un<br />

unico “stile”. Questa complessa organizzazione<br />

del manuale non dà peraltro luogo<br />

ad una frammentazione e dispersione dei<br />

contenuti, poiché la struttura del corso<br />

rimane trasparente e chiara nelle sue articolazioni<br />

di fondo, anche grazie alla veste<br />

editoriale dell’opera. Hanno collaborato<br />

alla stesura di singoli capitoli Paolo Concetti,<br />

Marco Fossati, Guido Piazza, Giuseppe<br />

Pirola, Paola Pirzio, Anna Sordini<br />

e Paolo Ferri.<br />

Interventi, proposte, ricerche<br />

Nell’ambito di una discussione avviata<br />

sulla rivista “Paradigmi” da un primo<br />

intervento di Franco Bianco sulla<br />

didattica della filosofia (“Insegnamento<br />

della filosofia: metodo ‘storico’ o<br />

metodo ‘zetetico’?”, n. 23, 1990), vengono<br />

pubblicati sulla medesima rivista<br />

(n. 26, maggio-agosto 1991) due


contributi di Bruno Coppola: “Normalità<br />

e rivoluzione in filosofia”, e di Fulvio<br />

Papi: “Sull’identità culturale dell’insegnante<br />

di filosofia nelle scuole medie<br />

superiori”.<br />

Nell’insegnamento della filosofia, è noto,<br />

si sono concentrate tutte le contraddizioni<br />

della cosiddetta “Riforma-Gentile”, che faceva<br />

della filosofia, ben più di una disciplina,<br />

un criterio regolatore di fondo: di una<br />

interpretazione del significato della filosofia<br />

si fece una funzione trascendentale -<br />

come mette in luce Bruno Coppola. L’esigenza<br />

attuale di rinnovamento rischia peraltro<br />

di stemperarsi spesso nella ricerca di<br />

una soluzione solo tecnico-operativa, ossia<br />

di un orientamento didattico valutato soltanto<br />

per i suoi caratteri di efficacia e di<br />

efficienza. Occorre invece restituire alla<br />

didattica della filosofia uno spessore teorico,<br />

ossia la «possibilità di proporsi come<br />

“pensiero della filosofia”», partendo da<br />

un’autentica passione per la teoria che deve<br />

animare il docente. Suo compito, infatti, è<br />

di reimpossessarsi del ruolo “pensante” di<br />

ricercatore, di non limitarsi a «trasmettere<br />

il sapere surgelato di una, comunque intesa,<br />

storia della filosofia», ma di entrare nel<br />

merito di quel sapere, di collocarsi in esso<br />

e di prendere posizione. A partire poi da<br />

alcune precisazioni circa i rapporti fra quelli<br />

che, per ricorrere ad una metafora kuhniana,<br />

si possono definire i momenti di “normalità”<br />

e i momenti di ricerca “straordinaria o<br />

rivoluzionaria” nel lavoro dei filosofi, l’autore<br />

affronta la questione inerente al ritmo<br />

e alla scansione dello sviluppo della filosofia,<br />

mostrando le complesse problematiche<br />

che si celano nella diffusa immagine della<br />

filosofia come incessante ricerca della verità.<br />

Che al problema della difficoltà dell’insegnamento<br />

nelle scuole superiori della filosofia<br />

- come disciplina che non dovrebbe<br />

essere insegnata attraverso un processo di<br />

“miniaturizzazione” - non sia possibile porre<br />

semplicemente rimedio attraverso il ricorso<br />

ad una qualche forma di “tecnologia<br />

didattica” - che pretenda di offrire la garanzia<br />

di «controllare, verificare, quantificare<br />

i risultati dell’insegnamento in una dimensione<br />

capace di una sua istituzionale obbiettività»<br />

-, è anche il punto di avvio della<br />

complessa riflessione di Fulvio Papi. Nel<br />

suo ampio intervento Papi muove da una<br />

individuazione della «difficoltà» come «isola<br />

emergente della figura culturale dell’insegnante<br />

di filosofia», per allargare la<br />

considerazione alla totalità di questioni che<br />

mettono oggi in forse l’identità culturale<br />

dell’insegnante, in generale, delle scuole<br />

superiori. «L’insegnante di filosofia non è,<br />

se non per una elevata finzione come, ad<br />

esempio, era quella della pedagogia di<br />

Gentile, un personaggio che si identifica<br />

idealmente in alcuni testi della tradizione<br />

filosofica, e che fa da tramite, evocativo,<br />

orale, vivente e teatrale assieme, tra lo<br />

spirito, ma anche la razionalità, il senso o il<br />

nulla, e coloro che, a loro volta, devono<br />

DIDATTICA<br />

essere identificati in questo modo. L’identità<br />

culturale non si ritrova mai in un processo<br />

così semplice, quasi una deduzione<br />

della forma dell’esistenza da un cielo simbolico».<br />

Vanno diversamente esaminati<br />

quelli che di volta in volta sono «i significati<br />

pubblici che vengono attribuiti alle<br />

azioni di un insegnante di filosofia», «gli<br />

immaginari che sono prossimi al suo lavoro,<br />

quelli dunque degli allievi», i livelli di<br />

interazione sociale e comunicativa, l’immaginario<br />

che è proprio dell’insegnante e<br />

le sue forme di razionalizzazione, infine lo<br />

stato generale del sapere filosofico che<br />

costituisce la linea di continuità rispetto<br />

alla scelta originaria insegnante. Si tratta di<br />

una pluralità di variabili che non si situano<br />

«su una linea di composizione armonica»,<br />

ma che costituiscono elementi per lo più<br />

conflittuali. Da qui discende la prima indicazione<br />

per chi voglia assumere la complessa<br />

funzione dell’insegnante: «la prima<br />

azione educativa che deve compiere un<br />

insegnante è sostanzialmente su se stesso,<br />

per dare un ordine accettabile a questo<br />

sistema di tensioni e per ostacolare, nei<br />

limiti del possibile, lo spontaneo trasferimento<br />

metaforizzato di queste tensioni nello<br />

stesso esercizio didattico».<br />

A partire da qui la riflessione di Papi si<br />

snoda nel duplice tentativo di mettere a<br />

fuoco l’insegnamento come pratica materiale<br />

e come senso, nonché la relazione che<br />

intercorre tra il senso dell’insegnamento ed<br />

il compito più generale del pensare filosofico.<br />

Meta orientativa delle argomentazioni<br />

dell’autore è la convinzione che «si<br />

possa insegnare meglio filosofia se si pensa<br />

che essa non sia una infinita autoriflessione<br />

su se stessa che si frammenta nel nulla, ma<br />

un particolare conoscere del mondo che<br />

nasce da una passione vitale di sapere, così<br />

come passioni di sapere sono le teorie scientifiche,<br />

le poesie, le pitture.»<br />

Convegni<br />

Alla Casa della Cultura di Milano ha<br />

preso avvio nel novembre 1991 un<br />

Corso di aggiornamento per insegnanti<br />

di filosofia delle<br />

scuole medie superiori, diretto da<br />

Fulvio Papi, che si protrarrà fino al<br />

febbraio 1992.<br />

Il calendario del Corso ha visto le seguenti<br />

relazioni: 7 novembre, G. Marchianò:<br />

“L’unificazione degli studi di estetica: convergenze,<br />

prospettive e progetti novecenteschi”;<br />

14 novembre, G. Scaramuzza: “Per<br />

una fenomenologia dell’arte”; 28 novembre,<br />

A. Trione: “Arte, natura, simbolo”; 5<br />

dicembre, F. Papi: “Sulla poesia”; 12 dicembre,<br />

F. Fanizza: “La genealogia della<br />

coscienza artistica moderna”; 23 gennaio,<br />

P. Montani: “Il soggetto e gli intrecci”; 30<br />

gennaio, S. Givone: “Poesia e filosofia”; 6<br />

febbraio, S. Zecchi: “Grande stile”. L’entrata<br />

è libera. Il corso è gratuito. Le lezioni<br />

saranno disponibili, registrate su audiocassette,<br />

al costo di L. 15.000.<br />

Informazioni: Casa della Cultura, Via<br />

Borgogna 3, 20122 Milano, tel. 02/795567<br />

Un convegno dal titolo: Radici storiche<br />

e problemi teorici della<br />

filosofia politica contemporanea,<br />

è previsto a Pisa nei giorni 10-12<br />

aprile 1992. Promotori dell’inizianita<br />

per l’aggiornamento degli insegnanti<br />

di filosofia sono il Dipartimento di Filosofia<br />

dell’Università di Pisa, la sezione<br />

lucchese della Società filosofica Italiana<br />

e il Liceo Classico “G. Galilei” di<br />

Pisa, insieme con gli Assessorati comunale<br />

e provinciale alla cultura.<br />

Il lavori del convegno inizieranno il giorno<br />

10 aprile alle ore 15.00, continueranno il<br />

giorno 11 mattina e pomeriggio, per concludersi<br />

nella mattinata del giorno 12. Queste<br />

le relazioni previste: V. Sainati: “Presentazione<br />

del corso”; Baccelli: “Temi e<br />

problemi della filosofia politica contemporanea”;<br />

S. Veca: “Contrattualismo e neocontrattualismo”;<br />

D. Zolo: “Teorie classiche,<br />

moderne e contemporanee della democrazia”;<br />

N. Badaloni: “Filosofie contemporanee<br />

ed epocali: il caso del<br />

marxismo”. In chiusura dei lavori (prevista<br />

per le ore 12.30 del giorno 12 aprile) si terrà<br />

una tavola rotonda con la partecipazione di<br />

tutti i relatori.<br />

Informazioni: Liceo Classico “G. Galilei”,<br />

via B. Croce 32, Pisa, tel. 050/23240 (dal<br />

lunedì al venerdì, ore d’ufficio); 050/47310<br />

e 0584/791279 (ore 19-20). Per la partecipazione<br />

al convegno occorre inviare domanda<br />

e versare L. 20.000 su cc. postale n.<br />

12848560, intestato a Liceo Classico “G.<br />

Galilei”, Pisa, specificando la causale del<br />

versamento.<br />

Il Dipartimento di Filosofia dell’Università<br />

degli <strong>Studi</strong> di Milano e<br />

l’I.R.R.S.A.E. Lombardia hanno promosso<br />

una tavola rotonda, tenutasi il<br />

24 ottobre 1991 presso l’Università<br />

degli <strong>Studi</strong> di Milano, sul tema: Nuovi<br />

linguaggi per la professionalità<br />

docente. Rapporto tra arti,<br />

scienze e filosofia. Vi<br />

hanno partecipato: C. Scurati, G. Gori,<br />

F. Botturi, P. D’Alessandro, M. A. Del<br />

Torre, E. Franzini, G. Micheli, S. Pizzetti,<br />

S. Restelli, S. Sidoni.<br />

Cesare Scurati (Presidente dell’I.R.R.S.A.E.<br />

Lombardia) ha introdotto la<br />

tavola rotonda mettendo in luce come l’iniziativa<br />

di aggiornamento copra un’area formativa<br />

che è rimasta finora poco valorizzata<br />

rispetto ad altre discipline nell’ambito<br />

del rinnovamento degli insegnamenti e delle<br />

metodologie. Un primo traguardo del gruppo<br />

di ricerca, che vede la collaborazione di<br />

insegnanti di liceo di discipline umanistiche<br />

e filosofiche e di docenti e ricercatori


del Dipartimento di Filosofia dell’Università<br />

degli <strong>Studi</strong> di Milano, è quello di preparare<br />

i “formatori”, come specifica figura<br />

professionale operante nella scuola nell’ambito<br />

dell’aggiornamento.<br />

Giambattistia Gori, Direttore del Dipartimento<br />

di Filosofia, ha invece sottolineato<br />

come fra insegnamento universitario e insegnamento<br />

filosofico liceale esista una<br />

continuità maggiore di quanto appaia dall’assetto<br />

istituzionale: una continuità, rappresentata<br />

anzitutto dagli studenti. Occorre<br />

pertanto lavorare su un’idea comune di<br />

insegnamento filosofico, confrontandosi<br />

con quelle che sono le stesse attese degli<br />

studenti quando intraprendono lo studio<br />

della filosofia. E’ evidente ormai l’insufficienza<br />

di un modello d’insegnamento che<br />

privilegia esclusivamente l’asse storicocronologico;<br />

è evidente anche l’insoddisfazione<br />

odierna degli studenti nei riguardi<br />

degli sfondi storico-culturali, davanti ai<br />

quali si poteva in passato rappresentare<br />

qualsiasi dramma filosofico. D’altronde, la<br />

necessità di superare un insegnamento manualistico,<br />

spesso identificato dallo studente<br />

che proviene dalle scuole superiori<br />

con lo studio della filosofia come tale, non<br />

deve far perdere di vista l’esigenza di commisurarsi<br />

con il piano della “generalità” in<br />

senso storico-culturale. In positivo, si tratta<br />

di promuovere una maggiore attenzione<br />

per la dimensione argomentativa del discorso<br />

filosofico, spesso finora trascurata a<br />

vantaggio di scelte ideologiche, di favorire<br />

un’indagine storico-filosofica che non rinunzi<br />

a prese di posizione concettuale e a<br />

valutazioni, per abbandonarsi semplicemente<br />

al flusso storico, di fare i conti con il<br />

carattere composito del linguaggio filosofico<br />

(in cui confluiscono più elementi del<br />

linguaggio scientifico, letterario, giuridico),<br />

ricuperando la stessa dimensione interdisciplinare<br />

della filosofia intesa come<br />

“genere misto”.<br />

La valorizzazione di questa dimensione<br />

interdisciplinare del discorso filosofico è<br />

quanto si propongono di conseguire i vari<br />

gruppi di ricerca che operano già da tempo<br />

nell’ambito della collaborazione fra<br />

I.R.R.S.A.E. e Dipartimento di Filosofia.<br />

Sono state quindi presentate, dai rispettivi<br />

coordinatori, alcune relazioni sulle seguenti<br />

attività di gruppo: “Filosofia e scienza” (G.<br />

Micheli), “Filosofia e cinema” (E.<br />

Franzini), “Letteratura e filosofia”<br />

(D’Alessandro), “Filosofia e storia” (F.<br />

Botturi, S. Pizzetti), “Filosofia e musica”<br />

(M. Fabbri), “Filosofia, educazione e scienze<br />

umane” (Zanelli).<br />

La Bibbia è uno dei grandi “codici” che<br />

sono alla base della cultura occidentale.<br />

Lo studio e la conoscenza di essa,<br />

anche sul piano meramente storicoculturale<br />

ed indipendentemente dal<br />

valore “sacro” attribuito ad essa dalle<br />

varie tradizioni religiose, sono ineludibili<br />

per chi voglia ricostruire le radici<br />

storiche dell’Occidente. E’ inevitabile<br />

DIDATTICA<br />

quindi il confronto con il testo biblico<br />

nell’ambito della scuola a fianco dello<br />

studio della filosofia greca. Questi in<br />

particolare i temi emersi al convegno:<br />

Il libro assente: Bibbia, cultura<br />

e scuola in Italia, tenutosi<br />

a Bologna il 20 ottobre 1991.<br />

Organizzatrice del convegno è stata un’associazione<br />

laica di cultura biblica, Biblia,<br />

nata nel 1984 con sede nei pressi di Firenze,<br />

a cui aderiscono studiosi italiani di differente<br />

provenienza culturale, con la collaborazione<br />

di altre associazioni e riviste interessate<br />

all’argomento. I lavori erano articolati<br />

in tre relazioni fondamentali durante il<br />

mattino e in una tavola rotonda al pomeriggio.<br />

L. A. Schokel, del Pontificio Istituto<br />

Biblico, ha affrontato il tema: «Ricezione e<br />

produzione di cultura nella Bibbia», da un<br />

punto di vista più analitico che teorico, con<br />

esemplificazione di testi biblici. La Bibbia<br />

è infatti anche un testo culturale che ha<br />

prodotto figure tipologiche, moduli e forme<br />

poetiche, trame di simboli che hanno<br />

alimentato le culture occidentali successive<br />

e che non sono per nulla inferiori, per<br />

originalità, ai prodotti della cultura greca.<br />

Collocandosi su di un versante più filosofico,<br />

S. Natoli, dell’Università di Milano, ha<br />

sviluppato il tema: «Ermeneutica “laica”<br />

del testo sacro», mettendo in evidenza l’esperienza<br />

del sacro, rivissuta attraverso il<br />

rito, che si deposita nella Bibbia. Di fronte<br />

a questo testo, un atteggiamento “razionalista”<br />

sarebbe sempre riduzionistico; è necessario<br />

piuttosto un approccio di tipo ermeneutico,<br />

che stabilisca una fusione di<br />

orizzonti. Ogni atto ermeneutico, che è<br />

sempre esperienza dell’altro, implica sia<br />

l’inesauribilità dell’altro sia la finitezza<br />

dell’uomo interpretante. Nel testo sacro è<br />

in questione la verità come vita vissuta e<br />

non come teoria: termini e simboli religiosi<br />

sono trasposti dall’orizzonte originario a<br />

quello “secolare” e il testo”sacro” diventa<br />

“genere letterario”. La Bibbia si costituisce<br />

così come ermeneutica dell’Occidente o<br />

documentazione delle sue radici. La Bibbia<br />

come testo generativo di cultura è stato<br />

appunto il tema affrontato da S. Quinzio,<br />

noto studioso di ebraismo e in generale di<br />

questioni religiose. Senza il riferimento<br />

alla Bibbia - questa la considerazione introduttiva<br />

- non si possono capire grandi masse<br />

di fenomeni culturali dell’Occidente,<br />

come la pittura la poesia o l’ethos. Nonostante<br />

il processo di “ellenizzazione”, il<br />

messaggio biblico ha saputo conservare la<br />

sua specificità di fattore costitutivo della<br />

stessa modernità, la cui essenza può essere<br />

individuata nel passaggio dalla metafisica<br />

alla storia. La religiosità biblica sottrae alla<br />

natura la dimensione sacrale, in forza della<br />

trascendenza dell’unico Dio, consegnando<br />

il mondo alla sua autonomia. Su questa<br />

base, infatti, è potuta nascere l’idea di storia,<br />

che è più una creazione dei profeti<br />

ebraici che degli storici greci: Agostino e<br />

Gioacchino da Fiore sono i lontani precur-<br />

sori di Hegel.<br />

D’impostazione dichiaratamente didattica<br />

è stato l’intervento di M. Laeng, pedagogista<br />

dell’Università di Roma, che ha parlato<br />

su «La collocazionde di un insegnamento<br />

aconfessionale della Bibbia nella scuola».<br />

A partire dalla “canonizzazione” della Bibbia<br />

come un testo scritto, si è sviluppata la<br />

gamma complessa e tormentata dei vari tipi<br />

di lettura del testo sacro. Dalle letture originarie<br />

pneumatiche, mistiche ed anche<br />

visionarie, si è passati ad una considerazione<br />

di tipo prevalentemente filologico, in<br />

cui sono esaltate le dimensioni letterare,<br />

storiche, giuridiche e filosofiche. Ma come<br />

studiare oggi il testo biblico? Laeng ha<br />

proposto un itinerario “scolastico” così<br />

strutturato: nella scuola elementare dovrebbe<br />

valere un metodo di acculturazione a<br />

episodi (come le parabole); nella scuola<br />

media si dovrebbe lasciare spazio all’inquadramento<br />

storico dei testi biblici; nella<br />

scuola secondaria si dovrebbe procedere<br />

all’analisi del linguaggio biblico e dei concetti-chiave<br />

del testo. Ancora in ambito<br />

didattico si è sviluppato l’intervento di C.<br />

Bucciarelli, ricercatore del Censis, che ha<br />

presentato una ricerca sull’insegnamento<br />

della Bibbia nelle scuole dei vari Stati<br />

europei. Secondo Bucciarelli sembra che<br />

con la caduta delle ideologie totalizzanti si<br />

assista all’eclisse del fenomeno della “secolarizzazione”.<br />

D’altro canto, la generalizzazione<br />

del modello funzionalistico del<br />

mercato costringe la scuola a sintonizzarsi<br />

con questa realtà dominante. Una futura<br />

collocazione dello studio della Bibbia dovrà<br />

dunque puntare sulla dimensione umana<br />

del testo religioso, al di fuori di ogni<br />

ipoteca di tipo confessionale.<br />

Infine P. Stefani, biblista oltre che operatore<br />

scolastico, ha presentato una ricerca su<br />

«La Bibbia nei libri di testo della scuola<br />

secondaria». Nei manuali di storia e di<br />

filosofia, la presenza di sezioni dedicate<br />

alla Bibbia appare del tutto opzionale. Laddove<br />

compare la Bibbia è considerata sempre<br />

e solo Bibbia cristiana e mai anche<br />

ebraica; non si dà mai una “storia degli<br />

effetti” profondissimi di questo testo nella<br />

civiltà occidentale; non si conosce affatto<br />

la storia della genesi di questo “grande<br />

codice” (N. Frye) della nostra cultura. La<br />

proposta è allora quella di un’insegnamento<br />

aconfessionale della Bibbia, da svolgersi<br />

sul piano storico-culturale. A.C.


NOTIZIARIO<br />

Si sapeva dalle biografie che il primo<br />

e più importante filosofo russo,<br />

VLADIMIR SOLOV’EV (1853-1900)<br />

fu sospeso dall’insegnamento dopo<br />

l’uccisione di Alessandro II, per aver<br />

ricordato al successore che un principe<br />

cristiano non poteva autorizzare,<br />

senza cadere in contraddizione, delle<br />

esecuzioni capitali. Fra i 39 documenti<br />

della vita e dell’opera di<br />

Solov’ev, recentemente pubblicati da<br />

Ju. N. Sucharev nei “Vosprosy filosofii”<br />

(n. 2, 1991, pp. 136 e sgg.), nel<br />

quadro delle iniziative suggerite dall’attuale<br />

ripresa d’interesse per gli<br />

aspetti della cultura russa prerivoluzionaria,<br />

finora trascurati, sono ora<br />

accessibili: 1) la lettera con cui il<br />

Ministro degli interni, conte Michail<br />

T.Loris-Melikov, comunicò al collega<br />

dell’istruzione, barone Aleksandr<br />

P. Nikolai, l’ordine dello zar di sospendere<br />

Solov’ev dall’insegnamento;<br />

2) l’accompagnamento di una ulteriore<br />

trasmissione della stessa lettera<br />

al ministro dell’istruzione, in relazione<br />

all’incarico, che Solov’ev anche<br />

deteneva, di membro del Comitato<br />

scientifico.<br />

E’ stata presentata il 14 novembre a<br />

Milano una nuova “iniziativa editoriale”,<br />

la EGEA (Edizioni giuridiche<br />

economiche aziendali) promossa dall’Università<br />

Bocconi e dall’editore<br />

Giuffré, che si affaccia sulla scena<br />

editoriale con tre proposte: una raccolta<br />

di testi di Samuel Beckett,<br />

Disiecta, a cura di Aldo Tagliaferri, la<br />

traduzione di una parte delle Enneadi<br />

di Plotino con il titolo: L’eternità e il<br />

tempo, a cura di Mario Vegetti, e<br />

l’opera di Carlo Sini, Dal simbolo<br />

all’uomo. Oltre agli autori dei suddetti<br />

volumi, hanno partecipato alla<br />

presentazione di questa collana Rocco<br />

Ronchi e Gino Zaccaria, direttori della<br />

collana insieme a Sini. La scelta di<br />

pubblicare opere così eterogenee come<br />

quelle di Beckett e di Plotino, ha<br />

osservato Sini, non vuole essere una<br />

“controtendenza”; un progetto di questo<br />

genere, prima ancora che velleitario,<br />

sarebbe ingenuo, perché non coglierebbe<br />

il nocciolo del problema,<br />

che consiste nella “ricerca di senso”<br />

di ciò che si fa. Per porsi una domanda<br />

di questo genere occorre muovere da<br />

una convinzione che è l’esatto contrario<br />

del presupposto su cui si fonda<br />

l’”industria culturale”: la filosofia non<br />

è un “aspetto” della cultura, è essa<br />

sola “cultura” in senso proprio, se con<br />

ciò si intende la riflessione su ciò su<br />

cui la chiacchiera non riflette. Volendo<br />

concretizzare questo rapporto con<br />

un’immagine, è la cultura che è “a<br />

rimorchio” della filosofia, e non viceversa.<br />

Il proliferare di traduzioni, la<br />

diffusione dei libri, la circolazione<br />

delle informazioni, la cosiddetta<br />

“sprovincializzazione” della cultura<br />

italiana sarà certo un aspetto positivo;<br />

chi vuole però realmente occuparsi di<br />

filosofia, ha concluso Sini, deve cercare<br />

non libri “culturali”, ma libri<br />

“che fanno cultura”.<br />

Per iniziativa di Mirella Mauro Bove,<br />

Maria Rosaria Alfani e Maurizio<br />

Zanardi sono nate a Napoli le EDIZIO-<br />

NI CRONOPIO, un’impresa culturale<br />

che si propone di percorrere sentieri<br />

nuovi o comunque scarsamente battuti<br />

dalla grande editoria. Classici della<br />

letteratura e del pensiero, ma anche<br />

saggi che interrogano le forme di vita,<br />

le etiche e le politiche del nostro tempo,<br />

costituiranno i titoli delle varie<br />

collane. La casa editrice farà il suo<br />

ingresso nelle librerie con due testi di<br />

carattere filosofico: Dopo il comunismo<br />

di Biagio de Giovanni, e Dell’io<br />

come principio della filosofia, ovvero<br />

sull’incondizionato nel sapere umano<br />

(a cura di Antonella Moscati), di F.<br />

W. J. Schelling. Il volume di De Giovanni,<br />

dialogando con grandi pensatori<br />

come Machiavelli, Tocqueville,<br />

Marx, Gramsci, tenta di delineare una<br />

teoria politica nuova, dimostrando come<br />

oggi essa sia resa possibile proprio<br />

dalla catastrofe dei regimi politici<br />

dell’Est europeo. Nel definitivo<br />

congedo dal comunismo, De Giovanni<br />

invita a riprendere il filo di un<br />

discorso politico incentrato sull’idea<br />

di libertà, antidoto ai totalitarismi ideologici<br />

e storici che hanno percorso<br />

la vicenda del secolo. Il secondo<br />

testo che queste Edizioni propongono<br />

è la prima traduzione integrale di<br />

uno scritto che Schelling compose<br />

all’età di vent’anni. Discutendo con<br />

grande vigore critico le posizioni filosofiche<br />

di Cartesio, Spinoza, Kant e<br />

Fichte, Schelling muove con decisione<br />

verso la sua originale concezione<br />

della libertà, attualmente al centro - in<br />

particolar modo nei lavori di Cacciari<br />

e di Pareyson - di una grande attenzione<br />

da parte degli studiosi. Nel programma<br />

della casa editrice figura, tra<br />

gli altri titoli, la traduzione della<br />

Prototeodicea, prima stesura della<br />

Teodicea di G. W. Leibniz, testo importante<br />

ed inedito anche in lingua<br />

tedesca.<br />

Del filosofo rinascimentale PIETRO<br />

POMPONAZZI è stata pubblicata la<br />

prima traduzione in lingua tedesca<br />

del Trattato sull’immortalità dell’anima<br />

(Abhandlung über die<br />

Unsterblichkeit der Seele, traduzione<br />

e introduzione di Burkhard Mojsisch,<br />

Felix Meiner, Amburgo 1990). Pubblicato<br />

nel 1516 a Bologna in lingua<br />

latina, il Trattato è il risultato di un<br />

confronto con Aristotele e con le posizioni<br />

aristotelico-scolastiche a proposito<br />

della questione tradizionale dell’immortalità<br />

dell’anima. Facendo ricorso<br />

all’esperienza, Pomponazzi mostra<br />

come nei limiti della ragione filosofica<br />

l’anima appaia sempre in connessione<br />

con il corpo e non possa<br />

darsi al di fuori di esso. Duecento<br />

anni separano questa traduzione dalla<br />

prima edizione tedesca del testo latino<br />

dell’opera, curata nel 1791 dall’erudito<br />

Chr. G. Bardili, cugino di<br />

Schelling.<br />

In collaborazione con L’Istituto Italiano<br />

per gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli<br />

e in relazione al programma filosofico<br />

che ha portato, presso l’editore<br />

Meiner di Amburgo, alla recente pubblicazione<br />

della Europaïschen<br />

Enzyklopädie zu Philosophie und<br />

Wissenschaften, é nata nel 1991, presso<br />

il medesimo editore, la rivista quadrimestrale<br />

DIALEKTIK. In ogni numero<br />

della nuova rivista vengono af-<br />

NOTIZIARIO<br />

frontati alcuni nodi cruciali della riflessione<br />

filosofica contemporanea in<br />

campo teoretico-epistemologico, etico-politico<br />

e nel settore delle scienze<br />

sociali. Tenendo costantemente presenti<br />

l’attualità delle problematiche<br />

affrontate e la loro reale incisività nel<br />

dibattito filosofico odierno (la questione<br />

della filosofia di Marx e del<br />

marxismo è oggetto, ad esempio, del<br />

secondo numero), lo scopo che la<br />

rivista si propone è quello di fornire<br />

un esame razionale e comparato delle<br />

forme di conoscenza filosofica e scientifica<br />

nella prospettiva non solo dell’attualità<br />

della conoscenza, ma anche<br />

della totalità della comprensione.<br />

E’ stato pubblicato nella serie di atlanti<br />

del Deutscher Taschenbuch<br />

Verlag, dedicati a diversi ambiti del<br />

sapere, l’ ATLANTE DI FILOSOFIA<br />

(DTV, München 1991). L’atlante ripercorre<br />

la storia della filosofia dall’oriente<br />

all’antichità, dal medioevo<br />

al rinascimento, dall’idealismo tedesco<br />

alla filosofia contemporanea, presentando<br />

cronologicamente il pensiero<br />

dei diversi filosofi. L’intento è<br />

quello di rendere familiare il lettore<br />

con problemi, metodi e concetti fondamentali<br />

della filosofia, senza sacrificare<br />

alle esigenze didattiche la ricchezza<br />

informativa e la complessità<br />

dei problemi in questione. A questo<br />

scopo l’atlante si avvale - e qui risiede<br />

la sua originalità - di un ampio apparato<br />

di immagini che intendono visualizzare<br />

concetti e impostazioni problematiche<br />

dei diversi filosofi.<br />

Domenica 22 dicembre 1991 si è spento<br />

a Monaco di Baviera ERNESTO<br />

GRASSI. Nato a Milano nel 1902, fu<br />

allievo di Martinetti in Italia e di<br />

Blondel in Francia, seguendo poi per<br />

molti anni Heidegger a Marburgo e<br />

poi a Friburgo. Dopo aver insegnato<br />

nelle Università di Berlino e Monaco,<br />

era presidente del Centro Internazionale<br />

di <strong>Studi</strong> Umanistici di Roma e<br />

direttore dell’Istituto di <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong><br />

e Umanistici di Monaco. Tra i<br />

suoi lavori recenti ricordiamo: Macht<br />

des Bildes. Ohnmacht der Rationalen<br />

Sprache (2 ed., 1972), Humanismus<br />

und Marxismus (1973), Die Macht<br />

der Phantasie: zur Geschichte abendländischen<br />

Denkens (1979),<br />

Rhetoric as Philosofy. The humanist<br />

tradition (1980), Heidegger and the<br />

Question of Renaissance Humanism<br />

(1983), Humanism and Rhetoric. The<br />

Problem of Folly (1985).<br />

Dopo una lunga malattia, si è spento<br />

a Poitiers il 9 ottobre 1991 GUY<br />

PLANTY-BONJOUR. Docente di Storia<br />

della Filosofia all’Università di<br />

Poitiers, era direttore del Centre de<br />

Rechèrche sur Hegel e Marx. Tra le<br />

sue opere ricordiamo in particolare:<br />

Les Catégories du matérialisme dialectique,<br />

l’ontologie soviétique contemporaine<br />

(1965) e Hegel et la pensée<br />

philosophique en Russie: 1830-<br />

1917 (1974); le importanti traduzioni<br />

di Hegel, La première philosophie de<br />

l’esprit (Jena 1803-04) (1969) e La<br />

Philosophie de l’esprit de la<br />

Realphilosophie de 1805 (1982); la<br />

cura, insieme a H. C. Lucas della<br />

raccolta di saggi Logik und Geschichte<br />

in Hgels System (1989).<br />

Martedì 19 novembre, nella sede del<br />

Parlamento Europeo a Strasburgo, sono<br />

state presentate la mostra delle<br />

pubblicazioni dell’Istituto Italiano per<br />

gli <strong>Studi</strong> <strong>Filosofici</strong> di Napoli e le<br />

traduzioni spagnola e tedesca della<br />

Scienza Nuova di G. B. Vico, promosse<br />

dall’istituto stesso. Alla presentazione,<br />

introdotta dall’On. Biagio<br />

de Giovanni alla presenza dell’On.<br />

Enrique Baron Crespo, Presidente del<br />

Parlamento Europeo, hanno partecipato:<br />

José M. Bermudo (Madrid),<br />

Jacques D’Hondt (Poitiers) Vittorio<br />

Hösle (Trondheim), Vittorio Mathieu<br />

(Torino), Otto Pöggeler (Bochum),<br />

Giovanni Pugliese Carratelli (Pisa),<br />

March Roche (Ohio), Imre Toth<br />

(Regensburg); Jürgen Traband (Berlino).<br />

Il gennaio 1992 è morto a Milano<br />

MARIO DAL PRA. Nato a Montecchio<br />

Maggiore (Vicenza) nel 1914, Dal<br />

Pra è stato uno dei maestri della rinnovata<br />

storiografia filosofica italiana<br />

del Novecento e anche uno dei nostri<br />

maggiori storici della filosofia. Laureatosi<br />

in Filosofia a Padova (’36),<br />

dopo aver insegnato per circa tre lustri<br />

filosofia nei licei (Rovigo, Vicenza<br />

e Milano), dal ’51 all’86 ha insegnato<br />

Storia della filosofia all’Università di<br />

Milano, succedendo ad Antonio<br />

Banfi. Ha svolto un ruolo di primo<br />

piano durante la guerra di Liberazione<br />

in Lombardia nelle formazioni<br />

azioniste. Dopo la Liberazione ha<br />

fondato nel ’46 la “Rivista di storia<br />

della filosofia”, che ha diretto fino<br />

alla morte, dalle cui pagine ha promosso<br />

un profondo rinnovamento<br />

della filosofia, dando contemporaneamente<br />

vita ad importanti iniziative<br />

editoriali e di ricerca, nonché ad una<br />

vera e propria “scuola” milanese di<br />

storici della filosofia. Nel 1990 l’Accademia<br />

dei Lincei gli ha assegnato il<br />

Premio Nazionale di filosofia. E’ autore<br />

di moltissime pubblicazioni tra<br />

le quali ci si limita a ricordare:<br />

Condillac (Bocca ’42); Il pensiero di<br />

S. Maturi (ivi ’43); Hume (ivi ’49,<br />

nuova ed. Hume e la scienza della<br />

natura umana presso Laterza ’73);<br />

La storiografia filosofica antica (Bocca<br />

’50); Lo scetticismo greco (ivi ’50,<br />

poi Laterza ’75); Amalrico di Béne<br />

(Bocca ’51); Giovanni di Salisbury<br />

(Bocca ’51); Nicola d’Autrecourt (ivi<br />

’51); Scoto Eriugena (ivi ’51); La<br />

dialettica in Marx (Laterza ’65, ’77);<br />

Logica e realtà (ivi ’74); Logica, esperienza<br />

e prassi (Morano ’76); <strong>Studi</strong><br />

sul pragmatismo italiano (Bibliopolis<br />

’84); <strong>Studi</strong> sull’empirismo critico di<br />

G. Preti (ivi ’88); Filosofi del Novecento<br />

(Angeli ’89) oltre alla<br />

monumentale Storia della filosofia (I<br />

ed. Vallardi 1975-78 in 10 voll; II ed.<br />

Piccin 1991-92 in 11 voll.). L’ultimo<br />

suo libro, Ragione e storia. Mezzo<br />

secolo di filosofia italiana (con F.<br />

Minazzi, Rusconi 1992) è in corso di<br />

pubblicazione.


AUT-AUT<br />

n. 243-244, maggio/agosto 1991<br />

La Nuova Italia, Firenze<br />

Questo fascicolo speciale della rivista, dal<br />

titolo: Il mito in questione ha per oggetto il<br />

dibattito filosofico sul mito, che ha animato<br />

la filosofia tedesca dalle interpretazioni<br />

romantiche alle letture in chiave politica<br />

proposte negli anni ’20-’30, fino alla più<br />

recente discussione sulla “nuova mitologia”.<br />

Anche nel panorama filosofico italiano<br />

la questione del mito é ben radicata e<br />

soggetta a periodiche rivisitazioni. Ne è un<br />

esempio questo fascicolo, che si propone<br />

non tanto di esaminare la presenza del mito<br />

nella filosofia, quanto di interrogare il mito,<br />

in un’ ottica più problematica, come<br />

chiave di lettura del lavoro filosofico stesso,<br />

in base al presupposto secondo cui<br />

«reincontrando e interrogando il mito, la<br />

filosofia non fa che tematizzare la propria<br />

scena».<br />

Mito. Esperienza del presente e critica<br />

della demitizzazione, di G. Carchia.<br />

Poesia, favola, verità, di S. Givone: il rapporto<br />

mito-verità dalla tradizione romantica<br />

alla lettura di Nietzsche e Heidegger; la<br />

favola come approdo del “mondo vero”.<br />

Filosofia dell’immemoriale e lavoro del<br />

mito, di G. Gabetta: la figura dell’”immemoriale”<br />

nella filosofia dell’ultimo<br />

Schelling.<br />

Soggetto e mito. Per una rilettura della<br />

Dialettica dell’Illuminismo, di R. Genovese.<br />

La risonanza mitica, di G. Comolli.<br />

Mitologia della ragione o supplemento d’anima.<br />

Sugli sviluppi recenti della “Mythos-<br />

Debatte”, di F. Cuniberto: a partire da una<br />

proposta di M. Frank: Der kommende Gott.<br />

Vorlesungen über die neue Mythologie<br />

(Frankfurt, 1983) l’articolo fa il punto sulla<br />

riflessione sul mito quale emerge da una<br />

determinata interpretazione della<br />

Frühromantik: dagli sviluppi tardo-ottocenteschi<br />

alle proposte più recenti.<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

a cura di Silvia Cecchi<br />

Leopardi e il mito, di A. Prete.<br />

Il mito e l’immagine. Da Hölderlin a<br />

Hillman, di M. Pezzella.<br />

“Sepulkralhermeneutik”. Considerazioni<br />

sul “mito” a partire da Bachofen, di G.<br />

Moretti.<br />

Diotima. Il mito platonico dell’Eros e il<br />

“Matriarcato” di Bachofen, di E Pulcini.<br />

Il sogno di Endimione. Capitoli sull’arte<br />

delle immagini, di F. Donfrancesco: il mito<br />

di Endimione nella pittura; la figura e l’opera<br />

di Carlo Mattioli (Modena, 1911).<br />

Postilla su Rilke e Orfeo, di F. Rella.<br />

Sulla certezza mitica, di J. Hillman: questo<br />

testo di James Hillman viene pubblicato in<br />

versione riveduta rispetto ad un’edizione<br />

francese del 1982, apparsa sulla rivista<br />

ginevrina “Cadmos”.<br />

Nel prossimo fascicolo della rivista comparirà<br />

un inedito di Husserl dal titolo: Rovesciamento<br />

della dottrina copernicana nell’interpretazione<br />

della corrente visione del<br />

mondo.<br />

IL CONTRIBUTO<br />

Vol. 15, n.3, luglio/settembre 1991<br />

Editoriale B. M. Italiana, Roma<br />

Il post-moderno, di L. Geymonat: brevissima<br />

sintesi delle concezioni che stanno alla<br />

base della differenza tra moderno e postmoderno.<br />

“Pensiero debole” e ragione critica, di A.<br />

Sabetti: la caduta delle illusioni “moderne”,<br />

dal sogno illuministico del primato<br />

della ragione al sogno marxista, di ascendenza<br />

illuministica, della realizzazione di<br />

un mondo costruito in base alla ragione ed<br />

alla giustizia, costituisce l’atto di nascita<br />

del “pensiero debole”; accanto ad esso é<br />

forse altrettanto importante, secondo l’autore,<br />

richiamarsi alla fede nella ragione<br />

critica come punto di partenza per una<br />

filosofia realmente ancorata allo spirito del<br />

tempo.<br />

Motivazioni del tramonto delle “grandi<br />

narrazioni” moderne. Confutazione della<br />

post-moderna “irriducibilità dell’incertezza”,<br />

di F. Rivetti Barbò.<br />

Il post-moderno, gli intellettuali e la cosiddetta<br />

“crisi dei valori”, di D. Cofrancesco:<br />

il disagio degli intellettuali nei confronti<br />

della modernità; questo disagio si concretizza<br />

in tre direzioni: la crisi dell’idea moderna<br />

di Stato, la crisi della contrapposizione<br />

destra/sinistra, la crisi di un modello di<br />

cultura “omologante”.<br />

Oltre il moderno. Verso un nuovo paradigma,<br />

di B. Lauretano: le argomentazioni di<br />

Lyotard sulla condizione post-moderna e<br />

la ricostruzione di Habermas del discorso<br />

filosofico della modernità a partire dal<br />

XVIII sec. come “principio della soggettività”.<br />

Per superare questo paradigma moderno<br />

é necessario adottare un nuovo paradigma,<br />

quello della ragione decentrata e<br />

dell’azione comunicativa.<br />

Il superamento delle categorie storiche<br />

nella ripresa in atto delle filosofie dell’esistenza,<br />

di G. Invitto.<br />

Il post-moderno come metafora dell’angoscia<br />

contemporanea, di A. Rizzacasa.<br />

Un evento paradigmatico del post-moderno:<br />

la manipolazione genetica, di M.<br />

Alcaro.<br />

“Lasciateci passare...” e se il logos fosse<br />

soltanto un artificio linguistico?, di P.<br />

Ciaravolo: proposta di un’istanza criticistica<br />

sul valore del logos come atteggiamento<br />

proprio dell’odierna cultura post-moderna.<br />

FILOSOFIA<br />

Anno XLII, n.2, maggio/agosto 1991<br />

Mursia, Milano<br />

La possibilità della possibilità, di V.<br />

Mathieu: a partire dalle proposte di riflessione<br />

di Kant (Opus Postumum) e di<br />

Abbagnano, l’articolo affronta il problema<br />

della “possibilità della possibilità”, svilup-


pandone le implicazioni.<br />

Bergson e Einstein. Le idee di durata e di<br />

tempo dell’universo materiale. I. Dal “tempo”<br />

della coscienza ai livelli paralleli della<br />

durata, di A. Genovesi: l’opera di Bergson<br />

del 1922, Durée et simultanéité. A propos<br />

de la théorie d’Einstein (Durata e simultaneità.<br />

A proposito della teoria di E.) affronta<br />

specificatamente la questione della relatività<br />

di Einstein nella sua formulazione<br />

ristretta. L’opera del 1922 si colloca nella<br />

prospettiva di sviluppo di una filospfia che<br />

va dalla matematica e dalla fisica alle scienze<br />

della vita; essa muove da due esigenze:<br />

una, personale e particolare, di delineare<br />

affinità e divergenze tra la propria dottrina<br />

della durata e la concezione del tempo di<br />

Einstein; l’altra, più generale, di indagare il<br />

rapporto tra scienza e filosofia.<br />

Modernità e metafisica, di V. Possenti: a<br />

breve distanza dalla morte, l’articolo si<br />

propone di analizzare l’opera di Augusto<br />

Del Noce, filosofo “politico”, alla luce di<br />

due termini guida: modernità e matafisica.<br />

Storicità e situazione epistemologica della<br />

psicoanalisi: filiazione ed ortoprassi, di<br />

M. Francioni.<br />

L’aporetica leibniziana della sostanza tra<br />

metafisica e dinamica. Esiti, implicazioni e<br />

corollari del Discorso di Metafisica, di A.<br />

Delcò.<br />

La sovrana intolleranza. Nuova androginia<br />

e modelli normativi, di V. Vitale: il<br />

mito dell’androgino, emblematicamente delineato<br />

nel Simposio platonico, ha sempre<br />

rappresentato per la cultura occidentale<br />

una dimensione non soltanto ambigua e<br />

inquietante, ma anche affascinante. L’epoca<br />

contemporanea non si sottrae a questa<br />

situazione, ma la vive in maniera nuova,<br />

come “progetto operativo”.<br />

La svolta ermeneutica, di L. Bottani: le<br />

considerazioni di Gerd Gemünden sulla<br />

svolta ermeneutica, esposte in Die hermeneutische<br />

Wende. Disziplin und<br />

Sprachlosigkeit nach 1800 (La svolta ermeneutica.<br />

Disciplina e mancanza di linguaggio<br />

dopo il 1800, Lang, New York,<br />

Bern, Frankfurt a/M, Paris, 1990), come<br />

tentativo di nascondere l’incomprensibile.<br />

ELENCHOS<br />

Anno XII, n. 1, 1991<br />

Bibliopolis, Napoli<br />

L’”atomismo” e il corpuscolarismo empedocleo:<br />

frammenti di interpretazioni nel<br />

mondo antico, di M. L. Gemelli Marciano:<br />

riprendendo alcune osservazioni di<br />

Aristotele e di Teofrasto a proposito della<br />

presenza dei presupposti dell’atomismo nella<br />

teoria di Empedocle, l’articolo ricostrui-<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

sce le tracce del corpuscolarismo empedocleo<br />

nei frammenti e nella testimonianze a<br />

disposizione.<br />

Sokrates: Tugend ist Wissen, di R. Ferber.<br />

Movimenti ed attività. L’interpretazione di<br />

Aristotele, Metaph Th 6, di C. Natali: la<br />

distinzione aristotelica tra movimenti e attività,<br />

questione rilevante anche da un punto<br />

di vista etico per il legame che é possibile<br />

instaurare tra la distinzione movimenti/<br />

attività e quella produzione/prassi.<br />

Why Pericles’ slave fell into the fourth<br />

mode, di E. De Olaso.<br />

Le avventure del platonismo (a proposito<br />

di pubblicazioni recenti sul Platone di<br />

Tubinga e sul rapporto platonismo- neoplatonismo),<br />

di L.M. Napolitani Valditara:<br />

confronto tra alcuni testi usciti in Italia nel<br />

1990, tra cui D. Pesce: Il Platone di Tubinga<br />

(Brescia 1990) e P. Merlan: Dal platonismo<br />

al neoplatonismo (Milano, 1990)<br />

TEORIA<br />

Vol. XI, n. 1, 1991<br />

ETS, Pisa<br />

Tema della rivista: “Filosofia della religione:<br />

questioni aperte”.<br />

La decomposizione dell’”interiorità” come<br />

categoria filosofica, di V. Sainati: prendendo<br />

spunto da un dibattito sviluppatosi<br />

tra il 1931 ed il 1933 tra la filosofia neotomista<br />

di Francesco Olgiati e lo spiritualismo<br />

cristiano di Armando Carlini, l’articolo<br />

mette in evidenza i limiti dell’assunzione<br />

dell’”interiorità” come categoria filosofica.<br />

Storia e giustificazione in Ernst Troeltsch,<br />

di G. Moretto.<br />

Teologia ed ermeneutica in Claude Geffré,<br />

di E. Clemente: la riflessione teologica di<br />

Geffré, nato nel 1926 e docente di teologia,<br />

come esempio del rinnovamento e del ripensamento<br />

della teologia cattolica alla<br />

luce degli esiti del Concilio Vaticano II<br />

circa la prospettiva ecumenica, l’atteggiamento<br />

di dialogo con il mondo, la necessità<br />

di un’autointerrogazione della teologia stessa<br />

sulle proprie possibilità e sui propri<br />

fondamenti.<br />

Ricordo di Alberto Caracciolo (1918-<br />

1990), di X. Tilliette.<br />

L’inconsistenza ontologica della persona,<br />

di A. Negri: una rilettura “moderna” delle<br />

Confessioni di S. Agostino tesa a mettere in<br />

evidenza “l’inconsistenza personale” dell’uomo<br />

di fronte alla “consistenza” di Dio.<br />

Parola e passione: Levinas e il problema<br />

del linguaggio nella letteratura critica più<br />

recente, di A. Fabris.<br />

La dimensione ermeneutica della teologia<br />

francese contemporanea, di C. Semplici:<br />

Segue una bibliografia su: “Ermeneutica e<br />

teologia: vent’anni di dibattito in Francia”.<br />

Il rischio dell’interpretazione, di C. Geffré:<br />

intervista di E. Clemente a Claude Geffré,<br />

esponente francese dell’ermeneutica teologica<br />

contemporanea.<br />

RIVISTA<br />

DI STORIA DELLA FILOSOFIA<br />

Vol. XLVI, n. 3, 1991<br />

Franco Angeli, Milano<br />

Platone e il discorso scritto, di M. Isnardi<br />

Parente: la posizione di Platone in relazione<br />

al dibattito sulla superiorità dell’orale<br />

sullo scritto nell’Atene del IV sec. Nel<br />

Fedro e nella VII Epistola, Platone affronta<br />

questa tematica e sostiene l’importanza del<br />

discorso scritto, purchè esso rimanga sempre<br />

“aperto” a nuove interrogazioni e correzioni<br />

e rimanga comunque ancorato alla<br />

verità. E’ per questo che il mezzo di comunicazione<br />

adottato da Platone é il “discorso<br />

socratico”.<br />

Una via a Dio nel pensiero mistico di al-<br />

Ghazali, di M. Campanini: l’esperienza<br />

mistica di al- Ghazali alla luce della questione,<br />

posta dalla critica, dell’autenticità o<br />

meno di essa. L’articolo mette in luce il<br />

legame strettissimo nella filosofia di al-<br />

Ghazali tra mistica, ambito teoretico e ambito<br />

pratico.<br />

Prudenza, utilità e giustizia nel Seicento:<br />

Pierre Gassendi, di G. Paganini: il problema<br />

del diritto in Gassendi, oscillante tra il<br />

positivismo epicureo, influenze giusnaturalistiche<br />

e hobbesiane.<br />

Oggettività scientifica e ontologismo critico,<br />

di F. Minazzi.<br />

Ancora su filosofia e storia della filosofia,<br />

di P. Parrini.<br />

Lettere di Robin George Collingwood a<br />

Benedetto Croce (1912-1939), a cura di A.<br />

Vigorelli.<br />

Cassirer, Husserl e l’ermeneutica, di L.<br />

Landi: prendendo spunto da alcune critiche<br />

mosse a Cassirer sull’assenza di un esame<br />

approfondito della questione epistemologica<br />

e di un inquadramento storico della<br />

sua filosofia nel panorama filosofico del<br />

tempo, l’articolo esamina il libro di G. Raio<br />

(Cassirer e Husserl in Id Ermeneutica e<br />

teoria del simbolo, Napoli, Liguori, 1988)<br />

che analizza il ruolo della fenomenologia


nella riflessione di Cassirer, in contrasto<br />

con l’attuale tendenza ad evidenziare solo<br />

le componenti ermeneutiche della sua filosofia,<br />

che rischia di ridurre alla sola sfera<br />

linguistica la ricchezza dell’esperienza umana.<br />

Il primo convegno del gruppo italiano di<br />

storia delle scienze biologiche, di M. T.<br />

Monti: nota sul convegno: Le rivoluzioni<br />

scientifiche nelle scienze della vita (Pisa,<br />

26-27 novembre 1990).<br />

RIVISTA DI FILOSOFIA<br />

Vol. LXXXII, n.2, agosto 1991<br />

Il Mulino, Bologna<br />

Heidegger, la scienza, e il linguaggio, di H.<br />

Albert.<br />

Struttura del tempo e formazione delle categorie<br />

nelle Meditationes di Descartes, di<br />

L. Neri: benchè il problema del tempo<br />

rimanga scarsamente esplicitato nella riflessione<br />

di Cartesio, é possibile tuttavia<br />

individuare all’interno dell’argomentazione<br />

cartesiana alcuni concetti riconducibili<br />

alla tematica temporale. L’articolo si rivolge<br />

soprattutto alle Meditationes de prima<br />

philosophia (1641)<br />

Bolzano e le dimostrazioni matematiche, di<br />

F. Paoli: il contributo di Bolzano alla chiarificazione<br />

di inferenza e dimostrazione<br />

matematica.<br />

Cassirer, Schlick e l’interpretazione<br />

“kantiana” della teoria della relatività, di<br />

M. Ferrari.<br />

Il regionalismo epistemologico: una tendenza<br />

della filosofia contemporanea delle<br />

scienze in Francia, di P. Jacob.<br />

“Bis bina quatror”, di M. Spallanzani: la<br />

teoria cartesiana della creazione delle verità<br />

eterne ed il dibattito da essa suscitato<br />

nella cultura coeva.<br />

Il problema della giustificazione di una<br />

teoria della conoscenza, di L. Floridi: il<br />

dibattito epistemologico sul problema della<br />

natura della giustificazione e sulla legittimità<br />

di una teoria della giustificazione.<br />

ITINERARI FILOSOFICI<br />

Vol I, n. 1, settembre/dicembre 1991<br />

Soc. It. Ricerca Filosofica, Milano<br />

Inizia con questo numero la pubblicazione<br />

di una rivista di filosofia, nata dall’iniziativa<br />

di alcuni giovani studiosi dell’Università<br />

degli <strong>Studi</strong> di Milano, che si propone di<br />

rilevare ed esporre prospettive di ricerca<br />

filosofica maturatesi all’interno del mondo<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

accademico; questo progetto é animato dalla<br />

consapevolezza della specificità dello statuto<br />

della filosofia, attraverso la quale s’intende<br />

“leggere” tematiche e problemi anche<br />

extrafilosofici.<br />

Filosofia sbilenca. Attraverso Tracce e<br />

Spirito dell’utopia di Ernst Bloch, di E.<br />

Fagiuoli.<br />

Il superamento della prospettiva antropologica<br />

nelle opere e nelle lezioni di<br />

Heidegger su Kant, di F. Cassinari: le lezioni<br />

heideggeriane, recentemente pubblicate,<br />

mostrano come Kant rappresenti un<br />

interlocutore privilegiato di Heidegger nel<br />

suo tentativo di superare la prospettiva<br />

antropologica. Kant sarebbe giunto alle<br />

soglie di tale superamento, pur ritraendosi<br />

successivamente dalle posizioni teoretiche<br />

raggiunte. In ciò pare configurarsi una sorta<br />

di paradosso: da un lato Heidegger proietta<br />

su Kant difficoltà intrinseche alla propria<br />

posizione, dall’altro alcuni testi kantiani<br />

sembrano quasi proporre una risposta “heideggeriana”<br />

a tali difficoltà.<br />

L’orizzonte filosofico della psicologia comprensiva<br />

di Karl Jaspers, Wilhelm Dilthey<br />

e Georg Simmel, di F. Paracchini: prendendo<br />

le mosse dal rinnovamento in senso<br />

antiempiristico che percorre la filosofia<br />

tedesca tra Ottocento e Novecento, vengono<br />

considerati gli effetti di questo processo<br />

nelle sezioni psicologiche della<br />

Psicopatologia generale di Jaspers in cui,<br />

ricorrendo ai contributi antipsicologistici<br />

di Dilthey e Simmel, il filosofo ripensa i<br />

presupposti gnoseologici della sua scienza.<br />

Oltre la definizione. A proposito di L’altra<br />

storia di Aldo G. Gargani, di M. Fortunato.<br />

Intervista a Carlo Sini.<br />

RIVISTA INTERNAZIONALE<br />

DI FILOSOFIA DEL DIRITTO<br />

Vol. LXVIII, gennaio/marzo 1991<br />

Giuffrè editore, Milano<br />

L’esplicitazione dei principi della legge<br />

naturale e le sue difficoltà, di D. Farias: gli<br />

elementi caratteristici della dottrina dei principi<br />

del diritto naturale e le difficoltà nell’esplicitazione<br />

di tali principi.<br />

Indolenza e politica in Fichte. La libertà, il<br />

male, l’azione, di J. C. Merle: l’evoluzione<br />

del pensiero politico di Fichte, con particolare<br />

attenzione alle vicende della Rivoluzione<br />

francese; l’ideale della libertà e l’aporia<br />

del diritto sul piano religioso come<br />

viene trattata nella Staatslehre (1813).<br />

The Greeks and democratic theory: Moses<br />

I. Finley’s Democracy Ancient and Modern<br />

revisited, di A. Moulakis.<br />

La questione della crisi del diritto e dello<br />

Stato come messa in questione dell’obbligazione<br />

giuridica e dell’obbligazione politica,<br />

di E. Ripepe: le riflessioni sulla crisi<br />

del diritto e dello Stato proposte da Ripepe<br />

in occasione della lezione inaugurale dell’anno<br />

accademico 1990/91: dalla perdita<br />

di efficienza e di efficacia del sistema giuridico<br />

italiano, alla distanza tra cittadini ed<br />

istituzioni, ai rischi dell’individualismo deresponsabilizzato.<br />

La teoria, l’ordine e il diritto; di F. Sciacca:<br />

nota al libro di Bruno Montanari: Profili e<br />

letture di teoria generale del diritto (Torino,<br />

Giappichelli, 1990).<br />

Umanizzazione e giustizia nella fenomenologia<br />

del diritto di Kojève, di A. Costanzo:<br />

recensione dell’opera di A. Kojève: Linee<br />

di una fenomenologia del diritto (Jaca Book,<br />

Milano, 1989).<br />

L’Europa e il diritto, di L. Franzese.<br />

Il pensiero filosofico di Augusto Del Noce:<br />

brevissimo resoconto redazionale del convegno:<br />

Il pensiero filosofico di Augusto<br />

Del Noce (12-13 novembre 1990, Università<br />

di Udine).<br />

Lévi Strauss e l’antropologia strutturale:<br />

materiali per una possibile riflessione in<br />

sede filosofico-giuridica, di L. Scillitani.<br />

Notas sobre la existencia de un posible<br />

derecho general a la desobediencia, di M.<br />

Gascon Abellan.<br />

REVUE DE METAPHYSIQUE<br />

ET DE MORALE<br />

Vol. 96, n. 2, aprile/giugno 1991<br />

A. Colin, Paris<br />

Tema della rivista: “Logica e filosofia della<br />

conoscenza”.<br />

Logique et métaphysique, di F. Poublanc:<br />

l’articolo considera come alcuni aspetti<br />

della dialettica hegeliana, che si propone di<br />

rivelare la contraddizione di fondo di tutte<br />

le cose, si pongono in una prospettiva demistificatrice.<br />

Eléments pour une “philosophie de la<br />

psychologie” à partir de la Grammaire<br />

Philosophique de Wittgenstein, di J. L. Petit:<br />

vengono prese in considerazione alcune<br />

conseguenze dell’analisi grammaticale di<br />

Wittgenstein per la psicologia. Il rinvio ad<br />

una fenomenologia della nostra esperienza<br />

intenzionale e ai meccanismi mentali e<br />

celebrali, a cui essa si richiama.<br />

L’assertion dans les contextes épistémiques;<br />

garants objectaux et bases d’évalua-


tion, di N. Mouloud.<br />

Die Wissenschaft denkt nicht, Di J. M.<br />

Salanskis: analisi di questa celebre affermazione<br />

di Heidegger da due punti di vista:<br />

quello delle opposizioni heideggeriane ontologia<br />

fondamentale/ontologia regionale<br />

e metafisica/pensiero, da un lato, e quello<br />

dell’ermeneutica di Essere e Tempo e dei<br />

testi posteriori, dall’altro.<br />

L’identitité personnelle et la source des<br />

concepts, di A. Shalom.<br />

Science et déterminisme, di L. Bouquiaux e<br />

P. Gochet: recensione di P. Amselek:<br />

Science et déterminisme, éthique et liberté<br />

(Scienza e determinismo, etica e libertà,<br />

Paris, PUF, 1988).<br />

REVUE DE METAPHYSIQUE<br />

ET DE MORALE<br />

Vol. 96, n.3, luglio/settembre 1991<br />

A. Colin, Paris<br />

Le judaïsme et les mythes politiques modernes,<br />

di E. Cassirer: l’articolo qui tradotto<br />

é tratto dalla rivista: “Contemporary<br />

Jewish Record, Review of events and Digest<br />

of opinion” (n.7, giugno 1944, pp. 115-<br />

126), rivista le cui pubblicazioni si collocano<br />

tra il 1938 ed il 1945.<br />

Liberté et ordre des découvertes chez<br />

Descartes, di G. J. D. Moyal: dall’ipotesi<br />

del genio maligno della prima Meditazione<br />

prende spunto la questione del rapporto tra<br />

cogito e libertà esaminata nell’articolo.<br />

Substance et infini chez Spinoza, di J. M.<br />

Lespade.<br />

La relation du fini et de l’infini dans la<br />

genèse de l’être conscient, di J. L. Chédin:<br />

nella storia della filosofia moderna, da<br />

Cartesio all’idealismo tedesco, si é sviluppata<br />

una riflessione sistematica sulle condizioni<br />

di possibilità e la genesi dell’essere<br />

cosciente, che si scontra con l’impossibilità<br />

di determinare una relazione soddisfacente<br />

tra finito ed infinito nella prospettiva<br />

dell’”esplicazione della coscienza”. La filosofia<br />

contemporanea, in particolare la<br />

fenomenologia husserliana, hanno ereditato<br />

e sviluppato una tale aporia.<br />

L’origine et la fonction de la Metaphysica<br />

naturalis chez Kant, di L Freuler: secondo<br />

Mendelssohn, Kant sarebbe l’affossatore<br />

(Alleszermalmer) della metafisica. I suoi<br />

testi mostrano tuttavia come non solo un<br />

tale atteggiamento fosse estraneo a Kant,<br />

ma come addirittura egli progettasse una<br />

riforma ed una rinascita della metafisica.<br />

Substantialisation et substantivation: la<br />

syntaxe de l’objectivation religeuse chez<br />

Feuerbach, di C. Berner: prendendo le<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

mosse dal principio di oggettivazione religiosa,<br />

criticato da Feuerbach, l’articolo si<br />

propone di cogliere il senso autentico della<br />

riflessione feuerbachiana, che non risiederebbe<br />

tanto nella dimostrazione della nonesistenza<br />

di Dio, quanto nel desiderio di<br />

sradicare i dogmatismi dalla filosofia ed<br />

offrire l’uomo concreto.<br />

Natural right and the end of history. Leo<br />

Strauss and Alexandre Kojève, di M. Roth.<br />

REVUE INTERNATIONALE<br />

DE PHILOSOPHIE<br />

Vol. 177, n. 2, 1991<br />

Universa, Wetteren<br />

Tema della rivista: “Bergson”, di cui ricorre<br />

il cinquantenario della morte. Gli articoli<br />

esaminano la produzione del filosofo francese<br />

relativamente al problema del rapporto<br />

immanenza-trascendenza nel saggio:<br />

Evoluzione creatrice del 1907 (Bergson et<br />

l’indien sioux, di A. Robinet); in riferimento<br />

al Saggio sui dati immediati della coscienza<br />

del 1889 viene invece affrontata la<br />

questione relativa ad un confronto della<br />

filosofia di Bergson con quella di Husserl<br />

(La phénoménologie de l’intensité, di D. J.<br />

Herman). Viene inoltre esaminato il legame<br />

tra libertà e vita a partire da un’analisi<br />

della coscienza in chiave antiassociazionistica<br />

(La liberté et la vie chez Bergson, di<br />

G. Lafrance); secondo Bergson, infatti, l’associazionismo<br />

rappresenterebbe una teoria<br />

che riduce la coscienza ad un aggregato di<br />

stati senza una vera unità interna e condurrebbe<br />

ad una falsa idea di libertà.<br />

Compaiono inoltre i seguenti articoli:<br />

Bergson and non-linear non-equilibrium<br />

thermodynamics: an application of method,<br />

di P.A.Y. Gunter.<br />

Physique et métaphysique du rythme comme<br />

mimésis, di A. Kremer-Marietti: analisi<br />

della nozione bergsonniana di ritmo in chiave<br />

estetica, fisica e metafisica.<br />

Henry Bergson. Kritik der Quantität als<br />

allgemeine Entfremdungstheorie der<br />

Gegenwart, di K. P. Romanos.<br />

ARCHIVES DE PHILOSOPHIE<br />

Tomo 54, n.3, luglio-settembre 1991<br />

Beauchesne, Paris<br />

Le premier registre de Descartes, di G.<br />

Rodis-Lewis: indagine sulle riflessioni cartesiane<br />

contenute nel Manuscrit des pensées<br />

de Descartes (Manoscritto dei pensieri<br />

di Descartes), copiato in parte da Leibniz<br />

e pubblicato da Foucher de Careil, con<br />

particolare attenzione alle questioni scien-<br />

tifiche esaminate, la loro possibile datazione,<br />

ed un commento anche dell’importante<br />

racconto dei sogni, trascurato da Leiniz.<br />

Métaphysique radicale, di J. Margolis: la<br />

storia della metafisica può essere letta alla<br />

luce di un dualismo fondamentale: da un<br />

lato la tradizione classica, risalente a<br />

Parmenide, Platone e Aristotele, secondo<br />

la quale il reale é immutabile, si identifica<br />

con il pensabile e dipende da un’interpretazione<br />

metafisica del principio di noncontraddizione<br />

e del terzo escluso. Dall’altro<br />

lato la tradizione che rifiuta questa<br />

impostazione. A questa tradizione, risalente<br />

a Anassimandro e Protagora, si richiamano<br />

le teorie di tre filosofi americani:<br />

Peirce, Quine e Goodman.<br />

Idéalisme ou réalisme?, di J. Largeault: se<br />

i Greci hanno privilegiato l’immutabilità e<br />

la permanenza dell’Essere, rendendo possibile<br />

la nascita e lo sviluppo delle scienza<br />

razionale, gli Orientali hanno sottolineato<br />

piuttosto la molteplicità degli aspetti dell’Essere<br />

come manifestazione di unità. Per<br />

questo, secondo l’autore, essi sono idealisti.<br />

Segue il Bulletin de littérature hégélienne<br />

VIII, a cura di P. J. Labarrière, G. Jarczyk,<br />

J. F. Kervegan.<br />

REVUE PHILOSOPHIQUE<br />

DE LOUVAIN<br />

Vol. 89, agosto 1991<br />

Ed. Institut Supérieur de Philosophie<br />

Louvain La Neuve<br />

Des sensibles communs dans le De Anima<br />

d’Aristote, di D. Lories: gli studiosi, pur<br />

essendo d’accordo che nel De Anima (425<br />

a 14- a 30) Aristotele non individua un<br />

organo sensoriale specifico preposto al coglimento<br />

dei sensibili comuni, sono in disaccordo<br />

a proposito delle interpretazioni<br />

da dare a questo fatto. Ciò che é essenziale<br />

in Aristotele é tuttavia l’unità delle facoltà<br />

sensitive e la corrispondenza alla cosa percepita.<br />

L’athéisme de Diderot, di B. Baertschi:<br />

Diderot é il primo a mettere in luce che gli<br />

sviluppi della scienze dell’epoca mettono<br />

in pericolo le prove dell’esistenza di Dio<br />

proposte da Cartesio in poi. Da ciò deriva<br />

anche la sua elaborazione di una concezione<br />

della natura ancora valida ai giorni nostri.<br />

Loi et éthique chez Kant et Lacan, di R.<br />

Bernet: le sorprendenti analogie tra il rigorismo<br />

della morale kantiana e l’etica del<br />

desiderio di Lacan.<br />

Rationalisation sociale et rationalité juridique,<br />

di H. Pourtois: a partire dalle lezioni


tenute da Habermas alla Harvard University<br />

nel 1986 dal titolo Law and Morality (in<br />

The Tanner Lectures on Human Values,<br />

Cambridge University Press, Cambridge<br />

1986, pp. 217-279), viene esaminato il ruolo<br />

del diritto nella ricostruzione habermasiana<br />

della logica dell’evoluzione sociale<br />

come Medium di regolazione sistemica dell’azione<br />

nella società moderna e come istituzione.<br />

Philosophie et christianisme, di F. Van<br />

Steenberghen: replica ad un articolo di J.<br />

Garcia Lopez, “La cuestion de la filosofia<br />

cristiana” (Scripta theologica, XXII, 1990).<br />

A propos de la biographie de Simplicius, di<br />

S. Van Riet.<br />

ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE<br />

FORSCHUNG<br />

Vol. 45, n. 1, gennaio/marzo 1991<br />

Klostermann, Frankfurt a/M<br />

Der Harmonie-Gedanke im frühen Mittelalter,<br />

di W. Beierwaltes: analisi di alcuni<br />

tratti fondamentali del pensiero filosofico<br />

dell’armonia nel Medioevo, con particolare<br />

attenzione al pensiero di Eriugena e agli<br />

apetti di questo dibattito che si aprono alla<br />

dimensione di una teoria della musica. Particolare<br />

attenzione viene dedicata ai concetti<br />

di Uno e di Unità, in quanto l’armonia<br />

é una forma determinata dell’unità.<br />

Die Folgen vorherrschender Moralkonzeptionen,<br />

di T. Pogge.<br />

Der Begriff der Bewegung bei Kant, di T. S.<br />

Hoffmann.<br />

“Natur” als Massstab menschlichen<br />

Handelns, di D. Birnbacher: la natura come<br />

concetto etico e come criterio etico; il naturalismo<br />

etico.<br />

Kants Schemata als Anwendungsbedingungen<br />

von Kategorien auf Anschauungen,<br />

di D. Lohmar: il concetto di affinità<br />

nello schematismo della Critica della ragion<br />

pura.<br />

Etwas ist in mir da, di U. Wolf: recensione<br />

di U. Pothasts, Philosophische Buch<br />

(Suhrkamp, Frankfurt a/M. 1988).<br />

Bibliographie der Schriften von Theodor<br />

Lipps, di N. W. Bokhove e K. Schuhmann.<br />

Philosophie der Subjektivität? Zur<br />

Bestimmung des neuzeitlichen Philosophierens,<br />

di H. Korten: resoconto dell’omonimo<br />

convegno tenutosi a Leonberg il<br />

14 ottobre 1989 a cura della Schelling-<br />

Gesellschaft.<br />

ZEITSCHRIFT FÜR PHILOSOPHISCHE<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

FORSCHUNG<br />

Vol. 45, n. 2, aprile/giugno 1991<br />

Klostermann, Frankfurt a/M<br />

Nihilismus und Revolte: Camus’<br />

Nietzschekritik, di A. Pieper.<br />

Georg Simmel. Eine Religion der<br />

Immanenz, di C. F. Geyer: lo scritto di<br />

Simmel, La religione (1906, 1912, 1922)<br />

non é soltanto un primo, sistematico bilancio<br />

dei primi lavori filosofici e sociologici<br />

del filosofo, ma la lunga elaborazione di<br />

questo scritto offre anche uno spaccato<br />

della vita filosofica dell’autore e testimonia<br />

la costanza dei suoi interessi filosofici<br />

per la religione.<br />

Zur Wiederkehr des Historismus in der<br />

Gegenwartsphilosophie, di V. Steenblock:<br />

lo status attuale della discussione sullo<br />

storicismo alla luce degli odierni orientamenti:<br />

Habermas, Apel, Hösle.<br />

Ernst Cassirer über Geschichte und<br />

Geschichtswissenschaft, di T. Göller.<br />

Weshalb sind die Philosophischen<br />

Untersuchungen Wittgensteins nur ein Album?,<br />

di J. P. Schobinger.<br />

Die Bergson-Rezeption in Deutschland, di<br />

G. Pflug.<br />

Neuere ausländische Arbeiten zu Kants<br />

Kritik der Urteilskraft, di G. Zöller.<br />

Selbstschöpferische Ironiker und erschöpfte<br />

Liberale. Richard Rorty Utopie einer argumentationsfreien<br />

Zone, di H. Busche.<br />

“Deutsche Zeitschrift für Philosophie”:<br />

Rückbesinnung auf ihre Ursprünge, di K.<br />

Gloy.<br />

Bericht über den XV Kongress der<br />

Allgemeine Gesellschaft für Philosophie in<br />

Deutschland, “Philosophie der Gegenwart-<br />

Gegenwart der Philosophie”, vom 24-28<br />

September 1990 in Hamburg, di M. Wetzel.<br />

ARCHIV FÜR GESCHICHTE<br />

DER PHILOSOPHIE<br />

Vol. 73, n. 1, 1991<br />

de Gruyter, Berlin, New York<br />

Politik und Philosophie bei Aristoteles und<br />

im frühen Peripatos, di C. Mueller-<br />

Goldingen.<br />

Property as an institutional Convention in<br />

Hume’s Account of Justice, di S. Freeman:<br />

l’interpretazione di Hume della natura e<br />

delle condizioni dei sistemi di proprietà<br />

come base primaria dei sistemi politici ed<br />

economici; le analogie e le differenze rispetto<br />

a Hobbes e Locke, la questione del<br />

rapporto simpatia-giustizia.<br />

Kant’s Amphiboly, di D. Pereboom: la componente<br />

antirazionalistica della riflessione<br />

kantiana, giudicata poco significativa dalla<br />

maggior parte degli interpreti, é l’oggetto<br />

di quest’articolo, impostato sull’argomento<br />

dell’anfibolia dei concetti della riflessione;<br />

il rapporto con Leibniz.<br />

Die Naturphilosophie im 18 Jahrhundert<br />

und der naturwissenschaftliche Unterricht<br />

in Tübingen, di M. Durner: le origini della<br />

riflessione schellinghiana sulla natura a<br />

Tubinga tra Rivoluzione francese e filosofia<br />

kantiana.<br />

Zur Kants Theorie der physikalischen<br />

Gesetze, di S. Marcucci: recensione di V.<br />

Murdroch: Kants Theorie der<br />

physikalischen Gesetze (La teoria kantiana<br />

delle leggi fisiche, de Gruyter, Berlin 1987).<br />

ARCHIV FÜR GESCHICHTE<br />

DER PHILOSOPHIE<br />

Vol. 73, n. 2, 1991<br />

de Gruyter, Berlin, New York<br />

“Esti Triton” Aristoteles De Interpretatione<br />

10,19, b 21-22, di C. Rapp.<br />

Platonism and Descartes’ view of immutable<br />

Essences, di T. M. Schmaltz: la questione,<br />

densa di difficoltà per il sistema cartesiano,<br />

del Dio creatore di verità eterne.<br />

Freiheit, Gleichheit, Brüderlichkeit bei<br />

Kant, di B. Kienzle.<br />

Wittgenstein und Spengler, di R. Ferber.<br />

MAN AND WORLD<br />

Vol. 24, n. 3, luglio 1991<br />

Kluwer, Dordrecht<br />

The life of order and the order of life: Eric<br />

Voegelin on modernity and the problem of<br />

philosophical anthropology, di D. J. Levy.<br />

Foucault: making a difference, di R. Lilly:<br />

il principio dell’esteriorità come guida del<br />

pensiero filosofico di Foucault; l’archeologia<br />

come analisi della produzione di differenze<br />

ed essa stessa differenza critica.<br />

A little daylight: a reading of Derrida’s<br />

“White Mythology”, di L. Lawlor: rilettura<br />

di La Mythologie blanche (La mitologia<br />

bianca, 1972) di Derrida.<br />

Willing and acting in Husserl’s lectures on<br />

ethics and value theory, di T. Nenon: la<br />

recente pubblicazione di scritti di Husserl<br />

sull’etica, Vorlesungen über Ethik und<br />

Wertlehre 1908-1914 (Lezioni sull’etica e


la dottrina dei valoroi 1908-1914, Kluwer,<br />

Dordrecht 1988) offre nuovi spunti di riflessione<br />

sulla sua concezione della volontà.<br />

The de-con-struction of reason, di S. Glynn:<br />

qual’é la natura della razionalità della ragione,<br />

da dove deriva e come é giustificata?<br />

Le possibili soluzioni, anche alla luce del<br />

dibattito epistemologico più recente.<br />

Intersubjectivity without subjectivism, di<br />

B. J. Singer: la filosofia di Mead e Buchler.<br />

JOURNAL OF THE HISTORY<br />

OF PHILOSOPHY<br />

Vol. XXIX, n. 2, aprile 1991<br />

Washington University, St. Louis<br />

Plato and the senses of words, di T. A.<br />

Blackson: la questione dell’omonimia nei<br />

dialoghi platonici. Prendendo le mosse dalla<br />

tesi di G. Vlastos (Reason and causes in<br />

the Phaedro, 1969) l’autore, difendendo il<br />

ruolo di Aristotele nella storia della filosofia,<br />

nega che Platone teorizzi un’omonimia,<br />

filosoficamente insidiosa, delle parole.<br />

Malebranche versus Arnauld, di M. Cook.<br />

Locke on personal identity, di K. P. Winkler:<br />

le difficoltà che emergono all’interno della<br />

dottrina lockeana dell’identità personale.<br />

Kant, Mendelssohn, Lambert and the<br />

subjectivity of time, di L. Falkenstein.<br />

Hegel, Marx and the concept of immanent<br />

critique, di A. Buchwalter: contrariamente<br />

alla affermazioni di Marx, i principi della<br />

logica speculativa hegeliana non sono estranei<br />

al concetto di immanenza critica<br />

che Marx ritiene implicito nella dialettica<br />

ragione-realtà.<br />

JOURNAL OF THE HISTORY<br />

OF PHILOSOPHY<br />

Vol. XXIX, n. 3, luglio 1991<br />

Washington University, St. Louis<br />

Socratic reason and socratic revelation, di<br />

M. L. Mcpherran: l’immagine tradizionale<br />

che la storia della filosofia ha dato di Socrate<br />

esclude che questi potesse rivolgersi a qualsiasi<br />

esperienza religiosa extrarazio-nale.<br />

L’articolo intende invece recuperare quest’ultimo<br />

aspetto della riflessione socratica,<br />

attraverso l’evidenziazione della portata<br />

del daimonion per il pensiero del filosofo.<br />

The Dating of Rule IV-B in Descartes’s<br />

Regulae ad directionem ingenii, di F. P.<br />

Van De Pitte.<br />

RASSEGNA DELLE RIVISTE<br />

The role of perceptual relativity in<br />

Berkeley’s philosophy, di R. Muehlmann.<br />

Fichte on skepticism, di D. Breazeale: i<br />

riferimenti allo scetticismo nell’opera fichtiana<br />

oscillano tra un atteggiamento di<br />

ferma ostilità e uno di apprezzamento. L’articolo<br />

tenta di spiegare come e perchè Fichte<br />

potesse, senza cadere in contraddizione,<br />

elogiare lo scetticismo per il suo indispensabile<br />

contributo alla crescita della filosofia<br />

e al tempo stesso rifiutarlo come autocontraddizione,<br />

denunciandolo per i suoi<br />

effetti negativi.<br />

A unique Way of existing: Merleau- Ponty<br />

and the subject, di J. Siegel.<br />

INTERNATIONAL PHILOSOPHICAL<br />

QUARTERLY<br />

Vol. XXXI, n. 3, settembre 1991<br />

Fordham University, New York<br />

Time in Hegel’s Phenomenology of Spirit,<br />

di J. C. Flay.<br />

The insufficiency of Descartes’ provisional<br />

morality, di F. P. Coolidge: la morale<br />

provvisoria di Cartesio e il suo rapporto<br />

con la dottrina del metodo esposta nel Discorso.<br />

Religion, Nothingness and the challenge of<br />

post- modern thought: an introduction to<br />

the philosophy of Keiji Nishitani , di G. A.<br />

James: le opere ed il pensiero di Keiji<br />

Nishitani, nato nel 1900 e considerato come<br />

il più importante rappresentante della<br />

scuola di filosofia giapponese di Kyoto.<br />

The Many-Gods objection and Pascal’s<br />

wager , di J. Jordan.<br />

Condemned to time: the limits of Merleau-<br />

Ponty’s quest for being, di A. C. Lowry.<br />

Radical hermeneutics, critical theory, and<br />

the political, di J. A. Doody: la teoria della<br />

prassi comunicativa di Habermas e l’utilità<br />

del suo pensiero per l’ermeneutica radicale.<br />

LES ETUDES PHILOSOPHIQUES (aprile/giugno<br />

1991, PUF, Paris) propone un<br />

articolo su Schopenhauer di R. Malter (Le<br />

transcendentalisme de Schopenhauer) ed<br />

una interessante rilettura del libro di M.<br />

Henry, L’essence de la manifestation (PUF,<br />

Paris 1963) centrato sul problema dell’alterità<br />

e sul concetto di immanenza che<br />

emergono dal testo (Une autre lecture de<br />

l’Essence de la manifestation: immanence,<br />

présent vivant et altérité, di Y. Yamagata).<br />

AESTHETICA<br />

(n. 31, aprile 1991), rivista del Centro Internazionale<br />

di <strong>Studi</strong> di Estetica di Palermo,<br />

pubblica, per la prima volta in Italia, la<br />

Prefazione a L’Ordonnance des Cinq<br />

Espèces de Colonnes selon la Méthode Des<br />

Anciens, di Claude Perrault, testo chiave<br />

per una corretta ricostruzione e interpretazione<br />

del dibattito teorico in campo architettonico<br />

nella Francia del tardo Seicento.<br />

La figura di Perrault é peraltro rilevante<br />

anche in relazione all’intera cultura del<br />

Seicentoin: come menbro della prestigiosa<br />

Académie des Sciences egli è in contatto<br />

con i maggiori nomi della cultura coeva,<br />

Leibniz, Arnauld e Nicole (numerosi cono<br />

i legami delle idee di Perrault con il giansenismo).<br />

Al testo fa seguito un’appendice<br />

bibliografica a cura di M. S. Scalvini e S.<br />

Villari, curatori anche dell’introduzione al<br />

testo.<br />

THEOLOGIE UND PHILOSOPHIE (Vol.<br />

66, n. 2, 1991, Herder, Freiburg, Basel,<br />

Wien) propone un articolo di C. Hörl<br />

(Semantik und Handlungskausalität) sulla<br />

discussione circa l’intelligenza artistica nella<br />

filosofia analitica; in Die Wahrheit und<br />

das Gute, di J. Splett si esamina la figura di<br />

Socrate in rapporto alla nascita della metafisica.<br />

Nel numero successivo (Vol. 66, n.<br />

3. 1991) appare un articolo di H. L. Ollig<br />

(Philosophische Zeitdiagnose im Zeichen<br />

des Postmodernismus) che esamina sinteticamente<br />

lo status del dibattito sul postmoderno<br />

in Germania, analizzando più precisamemte<br />

la posizione di Sloterdijk, Welsch<br />

e Koslowski.<br />

II BOLLETTINO DELLA SOCIETA’ FILO-<br />

SOFICA ITALIANA (n. 143, maggio-agosto<br />

1991) presenta un articolo di M. Zani<br />

dal titolo L’identità personale secondo<br />

Simone Weil che si propone di costruire su<br />

un piano logico la questione posta dalla<br />

Weil sul piano metafisico della “prospettiva<br />

impersonale riferita ad un io semza<br />

prospettiva”.<br />

Compaiono inoltre un articolo di G. Patella<br />

su Vico e la retorica e la proposta di un<br />

itinerario didattico di O. Frizzera dal titolo:<br />

Dal Mythos al logos nel pensiero antico.<br />

INTERSEZIONI (Vol. XI, n. 2, agosto<br />

1991) presenta un articolo di A. Meschiari<br />

dal titolo: Contributi allo studio dei fondamenti<br />

dello storicismo. La filosofia della<br />

lingua di Heymann Steinthal, che ricostruisce,<br />

parallelamente alla riflessione di<br />

Steinthal, lo status della filosofia del linguaggio<br />

nella metà del XIX sec.


AA.VV<br />

Razionalità fenomenologica<br />

e destino della filosofia<br />

Marietti, Genova ott./dic. 1991<br />

pp.263, L. 40.000<br />

Il punto sugli studi dedicati a Husserl,<br />

in una raccolta di saggi che affronta i<br />

temi fondamentali del più acuto indagatore<br />

nel campo della fenomenologia.<br />

AA.VV.<br />

Preghiera e filosofia<br />

Morcelliana, Brescia ottobre 1991<br />

pp.438, L. 40.000<br />

I saggi di questo volume tentano di<br />

rispondere a queste domande: è possibile<br />

una interrogazione filosofica della<br />

preghiera? Nel tempo del compiuto nichilismo,<br />

la crisi culturale della preghiera,<br />

del suo invocare, non tocca la<br />

stessa filosofia nel suo essere sguardo<br />

stupefatto dell’esistente?<br />

Aarnes, Asbjoern<br />

Cartesianische Perspektiven.<br />

Von Montaigne bis Paul Ricoeur<br />

Bouvier, Bonn sett./ott. 1991<br />

pp.222, DM 58<br />

Il libro apre una nuova strada nella vita<br />

spirituale della Francia: i discorsi del<br />

poeta e del filosofo si separano, condizionati<br />

dalla stretta vicinanza di letteratura<br />

e filosofia.<br />

Adinolfi, Isabella<br />

Poeta o testimone?<br />

Il problema della comunicazione<br />

del cristianesimo<br />

in Søren Kierkegaard<br />

Marietti, Genova ott./dic. 1991<br />

pp.77, L. 25.000<br />

Uno studio che si inserisce in una corrente<br />

diversa da ogni interpretazione<br />

riduttiva di Kierkegaard in chiave fideistica.<br />

Il tema della giustificazione della<br />

fede vi appare come un momento centrale<br />

nella riflessione del filosofo.<br />

Agazzi, E. - Cordero, A. (a cura di)<br />

Philosophy and the origin<br />

and evolution of the Universe<br />

Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991<br />

pp.480, Dfl 190<br />

Il libro fornisce elementi essenziali del<br />

retroterra scientifico necessario per<br />

comprendere le principali questioni della<br />

cosmologia moderna, offrendo allo<br />

stesso tempo un dibattito sui problemi<br />

che vi sorgono, che non sono di carattere<br />

puramente scientifico, né filosofico.<br />

Allen, R.E. (a cura di)<br />

Platone<br />

The dialogues of Plato:<br />

vol.II. The Symposium<br />

Yale UP, Yale ottobre 1991<br />

pp.184, £ 16,95<br />

NOVITA' IN LIBRERIA<br />

NOVITA' IN LIBRERIA<br />

Questa nuova traduzione del Simposio<br />

cerca di far rivivere questo classico per<br />

il lettore moderno. La traduzione è accompagnata<br />

da un commento che mira<br />

a facilitare la comprensione del pensiero<br />

platonico e a fornire riferimenti in<br />

relazione alla filosofia contemporanea.<br />

Alvarez, Fabio Ch.<br />

Die brennende Vernunft. <strong>Studi</strong>en<br />

zur Semantik der “rationalitas”<br />

bei Hildegard von Bingen<br />

Frommann-Holzboog<br />

Stuttgart sett./ott. 1991<br />

pp.288, DM 68<br />

Amtmann, Rolf<br />

Die Ganzheit<br />

in der europäischen Philosophie<br />

Grabert, Tübingen sett./ott. 1991<br />

pp.444, DM 68<br />

Opposizioni come quella di corpo e<br />

anima, materia e spirito, materialismo e<br />

idealismo spesso conducono a vicoli<br />

ciechi. L’autore spiega che la soluzione<br />

andrebbe cercata nella moderna teoria<br />

della totalità.<br />

Annerl, Charlotte<br />

Das neuzeitliche Geschlechterverhältnis.<br />

Eine philosophische Analyse<br />

Campus, Frankfurt/M. sett./ott. 1991<br />

pp.180, DM 38<br />

La Sala, Federico<br />

La mente accogliente.<br />

Tracce per una svolta antropologica<br />

Pellicani, Roma ott./dic. 1991<br />

pp.210, L. 35.000<br />

Saggio su Nietzsche “e i suoi dintorni”<br />

(parmenide, Platone, Marx, Freud,<br />

Benjamin) tenta di andare “oltre”<br />

l’Edipo e la metafisica. Spesso con tono<br />

nietzscheano, chiarisce - attravesro<br />

Parmenide e d Eraclito - il fondamento<br />

della concezione tragica della realtà,<br />

verso il nuovo concetto di “mente accogliente”.<br />

Arens - John - Rottländer<br />

Erinnerung, Befreiung, Solidarität.<br />

Benjamin, Marcuse, Habermas<br />

und die politische Theologie<br />

Patmos, Düsseldorf sett./ott. 1991<br />

pp.200, DM 29,80<br />

Armon-Jones, Claire<br />

Varietes of affect<br />

Harvester Wheatsheaf, settembre 1991<br />

pp.208, £ 30<br />

Questo studio intende dimostrare che<br />

abbiamo bisogno di collocare le nostre<br />

emozioni in una più ampia visione dei<br />

nostri affetti. Si può confidare nel fatto<br />

che un tale approccio ci permetterà di<br />

spiegare la continuità delle emozioni<br />

con altri tipi di stati affettivi e special-<br />

mente con quello stato denominato “umore”.<br />

Audi, Robert<br />

Practical reasoning<br />

Routledge, London settembre 1991<br />

pp.240, £ 9,99<br />

Questa monografia propone un’originale<br />

teoria sul ragionamento pratico,<br />

che combina il realismo psicologico<br />

con l’adeguatezza filosofica, e mira ad<br />

integrare la struttura del ragionamento<br />

pratico in una plausibile psicologia cognitiva.<br />

Auroux, Sylvain - Weil, Yvonne<br />

Dictionnaire des auteurs<br />

et des themes de la philosophie<br />

Hachette, Paris sett./ott. 1991<br />

pp.526, FF 75<br />

Questo dizionario ha un repertorio di<br />

circa cento autori, una guida bibliografica<br />

e raccoglie piu’ di cento temi. E’<br />

una fonte sulla quale verificare i riferimenti.<br />

Baccelli, Luca<br />

Praxis e Poiesis<br />

nella filosofia politica moderna<br />

Franco Angeli, Milano ottobre 1991<br />

pp.272, L. 35.000<br />

Bal,. K. - Wollgast, S. -<br />

Schellenberger, P. (a cura di)<br />

Frühaufklärung<br />

in Deutschland und Polen<br />

Akademie, Berlin sett./ott. 1991<br />

pp.374, DM 48<br />

Baldini, Massimo<br />

Contro il filosofese<br />

Laterza, Bari settembre 1991<br />

pp.190<br />

Di fronte all’ “imperativo storico” di<br />

parlar chiaro come si sono comportati<br />

nel passato e come ancor oggi si comportano<br />

i filosofi? Una carrellata spesso<br />

polemica e sempre vivace su quanto è<br />

stato detto dai vari filosofi sul loro<br />

stesso linguaggio.<br />

Barret, Cyril<br />

Wittgenstein on ethics<br />

and religious belief<br />

Blackwell, London ottobre 1991<br />

pp.256, £ 45<br />

Espone le prospettive etiche religiose<br />

di Wittgenstein. L’opera sottolinea la<br />

suprema convinzione di Wittgenstein<br />

sull’importanza dei valori etici e religiosi;<br />

egli credeva che tale importanza<br />

non potesse tuttavia essere espressa adeguatamente.<br />

Bäumer, A. - Benedikt, M. (a cura di)<br />

Dialogdenken - Gesellschaftsethik.<br />

Wider die allgegenwärtige Gewalt<br />

gesellschaftlicher Vereinnahmung<br />

Passagen-Vlg., Wien sett./ott. 1991<br />

pp.432, ÖS 598 - DM 85<br />

Bäumer, A. - Benedikt, M. (a cura di)<br />

Gelehrtenrepublik - Lebenswelt.<br />

Edmund Husserl und Alfred Schütz<br />

in der Krisis<br />

der phänomenologischen Bewegung<br />

Passagen-Vlg., Wien sett./ott. 1991<br />

pp.400, DM 80 - ÖS 560<br />

Bechler, Zev<br />

Newton’s physics<br />

and the conceptual structure<br />

of the scientific revolution<br />

Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991<br />

pp.624, Dfl. 300<br />

Le due ontologie arrivano ineluttabilmente<br />

allo stesso posto: da una parte il<br />

rettilineo e ordinato verbalismo dell’aristotelico,<br />

dall’altra il platonico costretto<br />

a una circolarità della scienza<br />

che non può eludere, se non rinunciando<br />

agli ideali di certezza che condivide<br />

con l’aristotelico.<br />

Beierwaltes, Werner<br />

Selbsterkenntnis und Erfahrung<br />

der Einheit. Plotins Enneade V 3.<br />

Text, Übersetzung, Interpretation,<br />

Erläuterungen<br />

Klostermann, Frankfurt a.M.<br />

sett./ott. 1991<br />

pp.260, DM 88<br />

Bergson, Henri<br />

Materie und Gedächtnis.<br />

Aine Abhandlung über die Beziehung<br />

zwischen Körper und Geist<br />

Intr. di E. Oger<br />

trad. di J. Frankenberger<br />

Meiner, Hamburg sett./ott. 1991<br />

pp.256, DM 36<br />

Beschin, Giuseppe (a cura di)<br />

Filosofia e ascesi<br />

nel pensiero di Antonio Rosmini<br />

Morcelliana, Brescia 1991<br />

pp.397, L. 50.000<br />

Una prima parte dedicata a un “sondaggio<br />

teoretico” fra platonismo, neoplatonismo<br />

e aristotelismo, una seconda<br />

specificamente dedicata a Rosmini sul<br />

possibile connubio tra filosofia e ascesi.<br />

Bhaskar, Roy<br />

Philosophy and the idea of freedom<br />

Blackwell, London ottobre 1991<br />

pp.256, £ 35<br />

La prima parte è una citica del lavoro di<br />

Richard Rorty sulla problematica epistemologica.<br />

La seconda parte consta<br />

di tre testi complementari a questa critica:<br />

il primo esamina la natura del<br />

realismo critico, il secondo indaga i


legami tra realtà e valore e il terzo è una<br />

visione sinottica del pensiero marxista.<br />

Bianco, Franco -<br />

Di Bernardo, Giuliano (a cura di)<br />

Episteme e azione<br />

Franco Angeli, Milano settembre 1991<br />

pp.248, L. 32.000<br />

I diversi saggi che compongono questo<br />

volume analizzano l’attuale pluralizzazione<br />

dei criteri euristico-interpretativi<br />

dell’impresa cognitiva, il rifiuto delle<br />

prospettive di tipo riduzionistico sostenute<br />

dalle epistemologie analitiche standard,<br />

la valorizzazione delle dimensioni<br />

linguistiche, pragmatiche e intenzionali<br />

presenti nell’indagine eticofilosofica.<br />

Vengono così studiate concezioni<br />

e teorie che sono alla base non<br />

soltanto dell’odierna prospettiva “postanalitica”,<br />

ma anche di movimenti come<br />

lo storicismo, l’ermeneutica, il pragmatismo,<br />

“la nuova filosofia della scienza”,<br />

l’epistemologia evoluzionistica e<br />

il neoutilitarismo.<br />

Blumenthal, Henry -<br />

Robinson, Howard (a cura di)<br />

Aristotle and the later tradition<br />

Clarendon, London settembre 1991<br />

pp.288, £ 35<br />

Il tema centrale di quest’opera è la<br />

filosofia di Aristotele e la sua influenza<br />

sul pensiero della tarda classicità, in<br />

particolare sul neoplatonismo. Include<br />

articoli sulla fisica, la metafisica, la<br />

teologia, l’etica, la logica e la filosofia<br />

della mente, scritti da alcuni studiosi<br />

americani ed europei.<br />

Bortolotti, Arrigo<br />

La religione nel pensiero di Platone<br />

Olschki, Firenze ott./dic. 1991<br />

pp.300, L. 52.000<br />

Lo studio contenuto in questo volume è<br />

la continuazione e il completamento<br />

del discorso iniziato in La religione nel<br />

pensiero di Platone. Dai primi dialoghi<br />

al Fedro, pubblicato dall’autore nel<br />

1986.<br />

Bos, P. Adam<br />

Teologia Cosmica e Metacosmica<br />

Vita e Pensiero, Milano ottobre 1991<br />

pp.404, L. 45.000<br />

Una nuova interpretazione delle opere<br />

“perdute” di Aristotele che comportano<br />

una nuova considerazione globale della<br />

sua filosofia.<br />

Braitling, Petra<br />

Hegels Subjektivitätsbegriff.<br />

Aine Analyse mit Berücksichtigung<br />

intersubjektiver Aspekte<br />

Königshausen & Neumann<br />

Würzburg sett./ott. 1991<br />

pp.234, DM 46<br />

Brandl, J. (a cura di)<br />

Metamind, knowledge, and coherence.<br />

Essays on the philosophy<br />

of Keith Lehrer<br />

Ed. Rodopi, Amsterdam sett./ott. 1991<br />

pp.200, Dfl 65<br />

Braude, Stephen E.<br />

First person plural:<br />

multiple personality<br />

and the philosophy of the mind<br />

Routledge, London ottobre 1991<br />

pp.288, £ 35<br />

Un’analisi filosofica del fenomeno dello<br />

sdoppiamento della personalità.<br />

Braude sostiene che l’avvicendarsi delle<br />

personalità è una profonda ed autentica<br />

divisione dell’io.<br />

Braun, Johann<br />

Freiheit, Gleichheit, Eigentum.<br />

Grundfragen des Rechts<br />

im Lichte der Philosophie<br />

J.G. Fichtes Mohr<br />

Tübingen sett./ott. 1991<br />

pp.189, DM 64<br />

NOVITA' IN LIBRERIA<br />

Bruno, Giordano<br />

Über di Monas, die Zahl und die Figur<br />

als Elemente einer sehr gemeinen<br />

Physik, Mathematik und Metaphysik<br />

A cura di E. von Samsonow<br />

Meiner, Hamburg sett./ott. 1991<br />

pp.294, DM 88<br />

In questa prima traduzione tedesca della<br />

sua fondamentale trilogia, Bruno individua<br />

nel numero la chiave dell’allontanamento<br />

del pensiero dai principi<br />

semplici verso l’idea della totalità.<br />

Calasso, Roberto<br />

I quarantanove gradini<br />

Adelphi, Milano ottobre 1991<br />

pp.500, L. 32.000<br />

Nietzsche, Kraus, Robert Walser. Adorno,<br />

Benjamin, Heidegger, Marx, sono<br />

alcuni dei nomi che appaiono in questo<br />

libro. Sono incontri che hanno lasciato<br />

traccia in saggi, indagini, articoli composti<br />

nel corso di più di vent’anni e qui<br />

presentati nell’ordine in cui sono stati<br />

scritti.<br />

Camastra, Francesco (a cura di)<br />

Libido dominandi. La teoria politica<br />

da Gregorio Magno a Gregorio VII<br />

Unicopli, Milano ott./dic. 1991<br />

pp.173, L. 26.000<br />

Attraverso una scelta di testi con ampia<br />

introduzione, il volume offre uno sguardo<br />

sulla filosofia politica di importanti<br />

esponenti medievali del potere politico<br />

e di quello religioso: da Gregorio magno<br />

a Aluino, da Carlo Magno a<br />

Gregorio VII.<br />

Cambiano, Giuseppe<br />

Platone e le Tecniche<br />

Laterza, Bari settembre 1991<br />

pp. 270<br />

A vent’anni dalla prima edizione, questo<br />

saggio rimane ancora oggi l’unico<br />

lavoro complessivo che tratti organicamente<br />

la riflessione platonica sul mondo<br />

concreto della “operatività” umana.<br />

Campbell, T.D. (a cura di)<br />

Biotechnologie, Ethik und Recht<br />

im wissenschaftlichen Zeitalter<br />

Steiner, Stuttgart sett./ott. 1991<br />

pp.200, DM 70<br />

Raccolta di saggi tedeschi, inglesi e<br />

francesi.<br />

Canto, Monique (a cura di)<br />

Les paradoxes de la connaissance:<br />

essais sur le Menon de Platon<br />

O. Jacob, Paris ottobre 1991<br />

pp.280, FF 180<br />

Uno studio sul Menone, che presenta<br />

nella forma piu’condensata e piu’ drammatica<br />

i punti principali del pensiero<br />

platonico.<br />

Cardoff, Peter<br />

Martin Heidegger<br />

Campus, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991<br />

pp.140, DM 17,80<br />

Questo scritto introduttivo cerca di rompere<br />

il campo del pensiero, comunicando<br />

con la filosofia di Heidegger in modo<br />

dialogico ed esaminando l’opera al<br />

di là dei pro e dei contro in cui è arenata.<br />

Carré, Patrick<br />

D’Elis a Taxila: eloge de la vacuité<br />

Criterion, Paris ottobre 1991<br />

pp.110, FF 75<br />

Al centro di questo viaggio iniziatico ai<br />

confini tra saggistica e narrativa, è<br />

Pirrone, filosofo greco dell’antichita’,<br />

fondatore dello scetticismo e compagno<br />

di Alessandro, che scortera’ durante<br />

le sue conquiste.<br />

Casati, R. (a cura di)<br />

Europena Yearbook of Philosophy.<br />

Vol.1/1991: Philosophy of mind<br />

Neske, Pfullingen sett./ott. 1991<br />

pp.160, DM 38<br />

Questo periodico è la piattaforma di<br />

lancio delle nuove generazioni accademiche<br />

del pensiero filosofico e viene<br />

pubblicato una volta all’anno da giovani<br />

universitari europei in lingua inglese.<br />

Gli otto articoli del numero 1 trattano<br />

problemi specifici della filosofia dello<br />

spirito.<br />

Cassirer, Ernst<br />

Rousseau, Kant, Goethe<br />

A cura di Rainer A. Bast<br />

Meiner, Hamburg sett./ott. 1991<br />

pp.204, DM 32<br />

Il presente volume comprende quattro<br />

importanti testi di Rousseau, Kant e<br />

Goethe, due dei quali appaiono per la<br />

prima volta in lingua tedesca. L’accurata<br />

edizione filologica comprende anche<br />

le note del curatore, con documentazione<br />

delle citazioni e utili spiegazioni.<br />

Cioran, E. M.<br />

L’inconveniente di essere nati<br />

Adelphi, Milano novembre 1991<br />

pp.187, L. 25.000<br />

Cioran vaga in questo libro non già<br />

intorno ai problemi come fanno spesso<br />

i filosofi, ma intorno alle “cose” come<br />

fanno i pochi che pensano veramente e<br />

fra le tante cose il puro fatto di essere<br />

nati. In questo libro, più che mai prima,<br />

Cioran si avvicina a certi temi, a certi<br />

modi dei buddhisti più radicali.<br />

Conche, Marcel (a cura di)<br />

Anassimandre.<br />

Fragmentes et temoignages<br />

PUF, Paris settembre 1991<br />

pp.256, FF 245<br />

Il problema iniziale della filosofia, quello<br />

del senso dell’uomo, ha preso sin<br />

dalle origini, con Anassimandro, la sua<br />

forma essenziale: cosa significa la morte?<br />

La “Parola di Anassimandro” è una<br />

giustificazione della morte.<br />

Corbin, Henry<br />

Storia della filosofia islamica<br />

Adelphi, Milano ottobre 1991<br />

pp.285, L. 16.000<br />

La vicenda del pensiero islamico non<br />

solo attraverso le figure che ebbero<br />

immensa influenza in Occidente, come<br />

Avicenna e Averroè, ma in tutte le sue<br />

molteplici, affascinanti ramificazioni,<br />

molte delle quali pressochè ignote fra<br />

noi prima di questo libro.<br />

Cusano, Nicola<br />

La dotta ignoranza<br />

a cura di G. Federici Vescovini<br />

Città Nuova, Roma settembre 1991<br />

pp. 229, £. 23.000<br />

Il problema che interessa Cusano, nella<br />

Dotta ignoranza è quello del rapporto<br />

tra verità di fede e verità di ragione,<br />

rivelazione cristiana e filosofia. Moderna<br />

la soluzione, che sfocia in una<br />

«mondanizzazione» del messaggio re-<br />

ligioso, nella pacificazione terrena della<br />

fede fondata sulla universalità del<br />

suo messaggio, il Verbo come Logos<br />

rivelato.<br />

Damascius, Westerink Leendert<br />

Gerrit (a cura di)<br />

Traité des premiers principes<br />

Belles Lettres, Paris 1986-1991<br />

3 vol.<br />

Deleuze, Gilles - Guattari, Felix<br />

Qu’est-ce que la philosophie?<br />

Minuit, Paris ottobre 1991<br />

pp.208, FF 85<br />

La filosofia, in quanto attivita’ che crea<br />

concetti, si differenzia dalla scienza e<br />

dalla logica, le quali operano attraverso<br />

funzioni, su un piano di riferimento e<br />

con osservatori parziali.<br />

Derrida, Jacques<br />

Oggi l’Europa<br />

Garzanti, Milano ottobre 1991<br />

pp.126, L. 18.000<br />

“A quale concetto, a quale individuo<br />

reale, a quale entità determinata si può,<br />

al giorno d’oggi, assegnare in nome di<br />

Europa?” E’ questo lo spunto da cui<br />

parte la riflessione di Jacques Derrida<br />

che affronta in questo saggio uno dei<br />

temi più profondi e centrali dell’attualità<br />

culturale e politica: qual’è e quale<br />

sarà il ruolo del Vecchio Continente?<br />

Quale potrà essere il suo destino, ora<br />

che la situazione mondiale sta cercando<br />

nuovi equilibri?<br />

Derrida, Jacques<br />

La mano di Heidegger<br />

Laterza, Bari novembre 1991<br />

pp.210<br />

Un confronto di altissimo livello tra<br />

uno dei maggiori filosofi francesi contemporanei<br />

e il grande filosofo tedesco.<br />

Di Francesco, Michele<br />

Il Realismo analitico<br />

Guerini e Ass., Milano sett. 1991<br />

pp.280, L. 40.000<br />

Il volume fornisce un’ampia panoramica<br />

della filosofia del linguaggio in<br />

Russel mettendo a fuoco uno dei principali<br />

punti teoretici da cui si è originata<br />

la filosofia analitica.<br />

Druwe-Mikusin, Ulrich<br />

Moralische Pluralität. Grundlegung<br />

einer Analytischen Ethik der Politik<br />

Königshausen & Neumann<br />

Würzburg sett./ott. 1991<br />

pp.216, DM 44<br />

Il saggio contrappone (a livello analitico)<br />

il problema del fondamento normativo<br />

e di quello morale. Sulla base della<br />

filosofia della scienza di Quine viene<br />

elaborata una metaetica concezione di<br />

fondamento di nuovo genere, che costituisce<br />

il punto di partenza per una teoria<br />

dell’etica politica.<br />

Duhamel, Roland<br />

Nietzsches Zarathustra - Mystiker<br />

des Nihilismus. Eine Interpretation<br />

von F. Nietzsches<br />

Also sprach Zarathustra.<br />

Königshausen & Neumann<br />

Würzburg sett./ott. 1991<br />

pp.128, DM 29,80<br />

Dumont, Louis<br />

Homo aequalis.<br />

2: L’ideologie allemande<br />

Gallimard, Paris ottobre 1991<br />

pp.324, FF 145<br />

Dopo aver posto in rilievo l’individua-


lismo del nostro mondo contemporaneo<br />

in “Homo hierarchicus” (1966),<br />

Dumont questa volta confronta l’aspetto<br />

francese e l’aspetto tedesco dell’individualismo<br />

moderno.<br />

Edmond, Michel-René<br />

Platon le philosophe roi<br />

Payot, Paris ottobre 1991<br />

FF 140<br />

L’impresa platonica si regge sulla necessita’per<br />

la politica di essere sorretta<br />

dalla filosofia. Questo saggio sviluppa<br />

tre punti: la critica dell’interpretazione<br />

cristiana, l’analisi della concezione platonica<br />

della giustizia e infine l’ordine<br />

politico giusto come oggetto di un sapere<br />

stabilito.<br />

Emanuele, Pietro - Plebe, Armando<br />

L’Euristica. Come nasce una filosofia<br />

Laterza, Bari ottobre 1991<br />

pp.200<br />

Espagnat, Bernard d’<br />

A la recherche du reel<br />

Presses Pocket, Paris sett./ott. 1991<br />

FF 48<br />

Una questione classica della filosofia<br />

viene riproposta da questo autore che<br />

rilegge le risposte tradizionali utilizzando<br />

un occhio scientifico.<br />

Un’iniziazione ai problemi della fisica<br />

dei nostri giorni.<br />

Fadini, Ubaldo<br />

Configurazioni antropologiche<br />

Liguori, Napoli 1991<br />

pp. 274, L. 25.000<br />

Raccolta di saggi, frutto delle ricerche<br />

di Fadini tra il 1985 e il 1990, che<br />

intende ribadire l’importanza di una<br />

costellazione filosofica - caratterizzata<br />

da un particolare “materialismo antropologico”<br />

- che sottolinea il significato<br />

“critico-affermativo” di un insediamento<br />

materiale/sensibile nel contesto sempre<br />

più artificiale della vita umana.<br />

Fellmann, Ferdinand<br />

Symbolischer Pragmatismus.<br />

Hermeneutik nach Dilthey<br />

Rowohlt, Reinbek sett./ott. 1991<br />

DM 18,80<br />

Il “pragmatismo simbolico” è il tentativo<br />

di una nuova ermeneutica filosofica<br />

che tenga conto nel processo di comprensione<br />

dell’esperienza emotiva.<br />

Formenti, Carlo<br />

Piccole apocalissi<br />

Tracce della divinità<br />

nell’ateismo contemporaneo<br />

Cortina, Milano settembre 1991<br />

pp.196, L. 23.000<br />

Il risveglio delle grandi religioni<br />

d’Oriente e Occidente suscita diffidenza<br />

nella società secolarizzata del XX<br />

secolo. Il crollo dell’utopia comunista<br />

ha appena riconsegnato la sinistra al<br />

mondo laico e ai suoi valori. L’ateismo<br />

è una religione. Una religione senza<br />

Dio, una religione dell’uomo che ignora<br />

i suoi stessi presupposti teologici.<br />

Questo libro ne analizza i miti, le rivelazioni<br />

e i messaggi di salvezza.<br />

Frazer, James G.<br />

Matrimonio e parentela<br />

a cura di Giulio Guidorizzi<br />

Il Saggiatore, Milano 1991<br />

pp. 269, L. 50.000<br />

E’ il sesto capitolo della seconda parte<br />

del II volume della monumentale opera<br />

di Frazer, Il Folklore nell’Antico Testa-<br />

NOVITA' IN LIBRERIA<br />

mento. Prendendo spunto dall’episodio<br />

relativo alle nozze di Giacobbe, viene<br />

individuata una struttura fondamentale<br />

per l’analisi della società, il “matrimonio<br />

tra cugini”.<br />

Freadman, Richard -<br />

Reinhardt, Lloyd<br />

On literary theory and philosophy.<br />

A cross-disciplinary encounter<br />

Macmillan, London sett./ott. 1991<br />

pp.246, £ 35<br />

Il saggio esplora i rapporti tra teoria<br />

letteraria contemporanea e filosofia analitica.<br />

Fra gli argomenti centrali del<br />

volume: l’io, l’etica, l’interpretazione,<br />

il linguaggio e la caratterizzazione della<br />

filosofia “analitica” e “continentale”.<br />

Freund, Julien - Blanchet, Charles<br />

L’aventure du politique<br />

Criterion, Paris ottobre 1991<br />

Frigerio, Maurilio<br />

Invito al pensiero di Bruno<br />

Mursia Editore, Milano settembre 1991<br />

pp.216, L. 13.000<br />

Fuller, Michael<br />

Truth, value and justification<br />

Avebury, ottobre 1991<br />

pp.200, £ 32<br />

Una ricerca sui fondamenti dell’ epistemologia<br />

e dell’etica, che traccia legami<br />

tra valore e realtà, vero e valore, realtà<br />

e teoria. L’autore conclude affermando<br />

che la filosofia non è mai esistita oltre il<br />

“paradigma kantiano”.<br />

Gander, H.-H. (a cura di)<br />

Von Heidegger her. Wirkungen<br />

in Philosophie - Kunst - Medizin<br />

Klostermann, Frankfurt a.M.<br />

sett./ott. 1991<br />

pp.160, DM 48<br />

Gane, Michael<br />

Baudrillard’s bestiary:<br />

Baudrillard and culture<br />

Routledge, London ottobre 1991<br />

pp.192, £ 35<br />

Attingendo da numerosi importanti<br />

scritti di Baudrillard, che sono tuttora<br />

disponibili solo in lingua francese, Gane<br />

fornisce un’introduzione alla teoria culturale<br />

di questo pensatore, in particolare<br />

soffermandosi sulla concezione della<br />

modernità e sul complesso processo<br />

di simulazione.<br />

Gannon, Timothy<br />

Shaping psychology:<br />

how we got where we’re going<br />

UP of America, settembre 1991<br />

pp.322, $ 33,95<br />

Questo testo tratta le origini delle idee<br />

psicologiche in filosofia e le origini<br />

della psicologia scientifica. L’autore<br />

mostra le implicazioni della psicologia<br />

con la semiotica.<br />

Gehlhaar, Sabine S.<br />

Die frühpositivistische (Helmholtz)<br />

und phänomenologische (Husserl)<br />

Revision der Kantischen<br />

Erkennt-nislehre<br />

Junghans, Cuxhaven sett./ott. 1991<br />

pp.278, DM 58<br />

Geist, Werner<br />

Vom Wert des Menschen.<br />

Aus der Evolution zur Provolution.<br />

Versuch einer analytischen<br />

Hominologie<br />

Radius-Vlg., Stuttgart sett./ott. 1991<br />

pp.332, DM 36<br />

Gembillo, Giuseppe<br />

Croce e il problema del metodo<br />

Flavio Pagano Ed., Napoli 1991<br />

pp.139, L. 15.000<br />

Tappe del confronto di Croce con autorevoli<br />

metodologi quali Galileo,<br />

Droysen, Vailati, Mach; l’interesse di<br />

Croce comprende tanto le teorie dei<br />

epistemologi quanto quelle degli studiosi<br />

di storiografia etico-politica.<br />

Gerri, Giovanni<br />

Platone<br />

sociologo della comunicazione<br />

Pref. di Bruno Gentili<br />

Il Saggiatore, Milano 1991<br />

L. 38.000<br />

Platone comprese perfettamente vantaggi<br />

e svantaggi della parola scritta nei<br />

confronti dell’agonismo orale e della<br />

comunicazione diretta in voga fino al<br />

periodo precedente al proprio. La forma<br />

letteraria del dialogo vuole congiungere<br />

la possibilità di articolazione<br />

concettuale con il dinamismo della parola<br />

parlata.<br />

Gilman, Sander (a cura di)<br />

Conversation with Nietzsche<br />

Oxford UP, ottobre 1991<br />

pp.304, £ 10,95<br />

Questo album di ricordi, aneddoti e<br />

memorie private, provenienti da svariate<br />

fonti, riflette la realtà e i miti che<br />

circondavano Nietzsche. Il libro ricopre<br />

l’intero arco della sua vita e narra la<br />

sua visione delle figure storiche che<br />

hanno influenzato il suo pensiero, come<br />

Goethe e Napoleone.<br />

Gilson, Bernard<br />

L’essor de la dialectique moderne<br />

et la philosophie du droit<br />

Vrin, Paris ottobre 1991<br />

pp.703, FF 390<br />

Dal contenuto delle opere di Kant, Fichte<br />

ed Hegel, Gilson si è sforzato di determinare<br />

il significato del movimento del<br />

loro pensiero filosofico e giuridico.<br />

Gilson, Etienne - Maritain, Jacques -<br />

Prouvost, Gery (a cura di)<br />

Correspondances 1923-1971:<br />

deux approches de l’etre<br />

Vrin, Paris ottobre 1991<br />

Giorello, Giulio -<br />

Strata, Piergiorgio (a cura di)<br />

L’automa spirituale.<br />

Menti cervelli computers<br />

Laterza, Bari 1991<br />

pp.240, L. 33.000<br />

Quattordici saggi elaborati dai partecipanti<br />

ai seminari organizzati dal Premio<br />

Europeo Cortina Ulisse sul tema<br />

“Corpo e mente nella storia e nella<br />

filosofia della scienza”. Interventi, fra<br />

gli altri di Daniel Deumet; Michele Di<br />

Francesco, John Eccles, Giulio Giorello,<br />

Thomas Nagel, Karl R. Popper, Roger<br />

Sperry sul problema del rapporto fra<br />

mente e cervello e sulla struttura e il<br />

funzionamento cerebrale.<br />

Glucksmann, André<br />

Le XIe commandement<br />

Flammarion, Paris ottobre 1991<br />

pp.348, FF 120<br />

A partire dalla sanguinosa storia del<br />

ventesimo secolo, una riflessione morale<br />

che porta a questo “undicesimo<br />

comandamento”: niente di cio’ che è<br />

inumano ci deve essere estraneo.<br />

Gomez-Muller, Alfred<br />

Chemins d’Aristote<br />

Felin, Paris sett./ott. 1991<br />

pp.163, FF 110<br />

Un’introduzione ad Aristotele attraverso<br />

tre percorsi. Il primo ripercorre la sua<br />

vita nella societa’ greca del quarto sec.<br />

a.C.; il secondo sviluppa la sua teoria<br />

della conoscenza; il terzo segue le tracce<br />

che la sua riflessione etico-politica<br />

ha lasciato nella storia del pensiero occidentale.<br />

Guillemin, Henri<br />

Regards sur Nietzsche<br />

Seuil, Paris ottobre 1991<br />

pp.309, FF 130<br />

Tentativo di indovinare o intravvedere<br />

il personaggio e le sue differenti maschere.<br />

Habermas, Jürgen<br />

Il pensiero post-metafisico<br />

Laterza, Bari settembre 1991<br />

pp.300<br />

Il volume è arricchito dall’introduzione<br />

di Marina Calloni e da un glossario, una<br />

sorta di dizionario filosofico del pensiero<br />

di Habermas nei termini in cui è<br />

stato tradotto in Italia.<br />

Handjaras, Luciano<br />

Problemi e progetti del costruzionismo<br />

Saggio sulla filosofia<br />

di Nelson Goodman<br />

Franco Angeli, Milano novembre 1991<br />

pp.184, L. 25.000<br />

Goodman si interroga essenzialmente<br />

su un unico problema: come costruiamo<br />

i nostri mondi della filosofia, dell’arte,<br />

della scienza e come ne valutiamo<br />

la giustezza. Ridifinendo i rapporti<br />

tra conoscenza, comprensione e operazioni<br />

costruttive, amplia e ridetermina<br />

l’idea di conoscenza e delinea una trama<br />

di somiglianze e differenze cognitive<br />

ed estetiche tra “opere” di solito<br />

considerate inconfrontabili.<br />

Hannay, Alastair<br />

Kierkegaard<br />

Routledge, London ottobre 1991<br />

pp.390, £ 14,99<br />

Un esauriente studio critico di Soren<br />

Kierkegaard. Nonostante il rifiuto di<br />

Kierkegaard di costruire un edificio teoretico<br />

alla maniera di Hegel, Alastair<br />

Hannay mostra come in realtà egli usi<br />

sistematicamente la filosofia per chiarire<br />

gli esiti della fede religiosa, della<br />

moralità e dell’etica.<br />

Harding, Sandra<br />

Whose science? Whose knowledge?:<br />

thinking from women’s lives<br />

Open UP, Milton Keynes<br />

settembre 1991<br />

pp.320, £ 30<br />

Esamina la possibilità di un modo femminista<br />

di conoscere e di una scienza<br />

femminista, considerando le conseguenze<br />

pratiche che un metodo femminista<br />

potrebbe avere per le relazioni politiche,<br />

sociali e sessuali. L’autrice esplora<br />

la natura e le implicazioni dell’epistemologia<br />

femminista e del postmodernismo<br />

femminista.<br />

Hare, R. M.<br />

Moralisches Denken.<br />

Seine Ebenen, seine Methode, sein Witz<br />

Bouvier, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991<br />

pp.280, DM 48<br />

“Moralisches Denken” è nello stesso<br />

tempo l’esposizione più concisa e più<br />

avanzata del progetto che R.M. Hare ha<br />

iniziato con “Die Sprache der Moral” e


“Freiheit und Vernunft” e che ogg, con<br />

il nome di “prescrittivismo universale”<br />

è fra le teorie di filosofia morale più<br />

discusse.<br />

Hare, R. M. - Barnes, Jonathan -<br />

Chadwick, Henry<br />

Founders of thought<br />

Oxford UP, Oxford ottobre 1991<br />

pp.304, £ 7,99<br />

Quest’opera fornisce un’introduzione<br />

a tre influenti pensatori della classicità:<br />

Platone, i cui dialoghi costituiscono la<br />

base degli sudi logici, metafisici, morali<br />

e politici; Aristotele e S.Agostino.<br />

Harris, Errol E.<br />

Salvezza dalla disperazione.<br />

Rivalutazione della filosofia<br />

di Spinoza<br />

Guerini e Ass., Milano settembre 1991<br />

pp.335, L. 48.000<br />

Una ricostruzione filosofica e interpretativa<br />

della dottrina di Spinoza che offre<br />

una risposta ai problemi teoretici<br />

che essa pone. Il saggio offre originali<br />

prospettive concernenti le relazioni tra<br />

due dei massimi esponenti del razionalismo<br />

moderno, Spinoza appunto e<br />

Hegel.<br />

Hegel, Georg Wilhelm F.<br />

Fenomenologia della natura<br />

a cura di Pier Giuseppe Milanesi<br />

Unicopli, Milano 1991<br />

pp.189, L. 26.000<br />

Prima traduzione delle pagine delle<br />

Lezioni jenesi nelle quali Hegel espone<br />

la propria analisi del mondo fisico come<br />

puro mondo di rapporti qualitativi.<br />

Con testi, su questi stessi temi, di<br />

Goethe, Schelling, Kant e<br />

Schopenhauer.<br />

Hegel, Georg Wilhelm Friedrich<br />

Phenoménologie de l’esprit<br />

a cura di Jean-Pierre Lefebvre<br />

Aubier, Paris ottobre 1991<br />

pp.576, FF 180<br />

Uno dei più importanti scritti della storia<br />

della filosofia, ora in nuova traduzione<br />

francese.<br />

Heidegger, Martin<br />

Saggi e discorsi<br />

a cura di Gianni Vattimo<br />

Mursia, Milano settembre 1991<br />

pp.198, L. 12.000<br />

I saggi e i discorsi riuniti in questo<br />

volume, uscito in edizione originale nel<br />

1954, sono stati tutti composti intorno<br />

al 1950, nel momento in cui si andava<br />

diffondendo nella filosofia europea la<br />

discussione intorno al significato della<br />

cosiddetta “svolta” del pensiero heideggeriano<br />

annunciata dalla Lettera sull’umanismo<br />

nel 1946. Più di altri scritti<br />

heideggeriani, i Saggi e discorsi offrono<br />

un punto di vista privilegiato per<br />

cogliere l’immagine dell’uomo e del<br />

compito del pensiero.<br />

Heidegger, Martin<br />

Prolegomena alla storia<br />

del concetto di tempo<br />

Il Melangolo, Genova settembre 1991<br />

pp.384, L. 50.000<br />

Questo scritto si colloca sullo sfondo<br />

della filosofia dell’essere con una notevole<br />

potenza innovativa che mette in<br />

risalto i caposaldi del pensiero heideggeriano.<br />

E’ il corso di lezioni che<br />

Heidegger tenne a Marburgo nel 1924/<br />

25.<br />

Henrich, Dieter<br />

NOVITA' IN LIBRERIA<br />

Konstellationen. Probleme<br />

und Debatten am Ursprung der<br />

idealistischen Philosophie (1789-1795)<br />

Klett-Cotta, Stuttgart sett./ott. 1991<br />

pp.176, DM 68<br />

La nascita dell’idealismo speculativo<br />

nelle lettere e nei discorsi.<br />

Heipke, K. (a cura di)<br />

Die Frankfurter Schriften Brunos<br />

und ihre Voraussetzungen<br />

VCH, Weinheim sett./ott. 1991<br />

pp.309, DM 128<br />

Raccolta degli interventi al convegno<br />

in una seduta del Gruppo di Lavoro<br />

Interdisciplinare di Filosofia dell’Università<br />

di Cassel sulle opere tarde latine<br />

di Giordano Bruno.<br />

Hermann, Friedrich-W. von<br />

Heideggers Grundprobleme<br />

der Phänomenologie. Zur<br />

“zweiten Hälfte” von Sein und Zeit<br />

Klostermann, Frankfurt a.M.<br />

sett./ott. 1991<br />

pp.64, DM 19,80<br />

Hoogendijk, A.<br />

Phlilosophy for managers<br />

Veen, 1991<br />

Visto che i managers devono programmare<br />

il futuro, devono avere una chiara<br />

visione dei propri obbiettivi; la riflessione<br />

“filosofica” su fini e mezzi può<br />

essere loro utile.<br />

Horster, Detlef<br />

Richard Rorty zur Einführung<br />

Junius, Hamburg sett./ott. 1991<br />

pp.160, DM 17,80<br />

Hübner, Benno<br />

Der de-projizierte Mensch.<br />

Metaphysik der Langeweile<br />

Passagen-Vlg., Wien sett./ott. 1991<br />

pp.176, DM 37,80<br />

Hude, Henri<br />

Prolegomenes<br />

Ed. Universitaires<br />

Paris sett./ott. 1991<br />

pp.219, FF 165<br />

Come cominciare? La messa in moto<br />

della riflessione filosofica è al tempo<br />

stesso semplice ed assai complessa.<br />

Hume, David<br />

Enquete sur les principes de la morale<br />

a cura di Saltel Philippe<br />

Flammarion, Paris ottobre 1991<br />

pp.352, FF 38<br />

Un’introduzione alla filosofia della quale<br />

l’autore vorrebbe fare un piacere e<br />

non gia’ un lavoro.<br />

Hume, David<br />

Les passions<br />

a cura di Jean-Pierre Clero<br />

Flammarion, 1991<br />

pp.352, F 38<br />

Raccoglie il Trattato sulla natura<br />

umana e le Dissertazioni sulle passioni<br />

Hyppolite, Jean<br />

Figures de la pensée philosophique<br />

PUF, Paris ottobre 1991<br />

2 vol. pp.544, FF 149<br />

Il pensiero filosofico della nostra epoca<br />

si caratterizza attraverso due movimenti<br />

antitetici, quello che cerca di svelare<br />

l’esistenza, che si è spesso opposto alle<br />

scienze, e quello che invece si è innalzato<br />

a considerare le strutture immanenti<br />

le scienze stesse.<br />

Ingegno, Adolfo (a cura di)<br />

Da Democrito a Collingwood<br />

Leo S. Olschki, Firenze<br />

pp.208, L. 40.000<br />

Jankélévitch, Vladimir<br />

L’avventura, la noia, la serietà<br />

Marietti, Genova ott./dic. 1991<br />

pp.298, L. 35.000<br />

Tre momenti dell’esistenza di ogni uomo<br />

interpretati come elementi fondamentali<br />

del vivere.<br />

Jaspers, Karl<br />

Il medico nell’età della tecnica<br />

Cortina Editore, Milano ottobre 1991<br />

pp.158, L. 18.000<br />

Non vi è stato alcun altro importante<br />

filosofo del nostro secolo che abbia<br />

conosciuto i problemi della condizione<br />

medica nell’età della tecnica come<br />

Jaspers, sia per l’esperienza diretta, sia<br />

per una riflessione su questa esperienza.<br />

I suoi scritti sulla condizione medica,<br />

raccolti qui per la prima volta in un<br />

unico volume, assumono pertanto un<br />

valore particolare.<br />

Jonas, Hans<br />

Lo gnosticismo<br />

a cura di Raffaele Farina<br />

Sei, Torino 1991<br />

pp.437, L. 45.000<br />

In questo studio, considerato ormai un<br />

classico, Jonas mette in luce i fondamenti<br />

dottrinari dello gnosticismo esaminando<br />

caratteristiche e teorie delle<br />

varie sette.<br />

Joukovsky, Francoise<br />

Le Feu et le fleuve:<br />

Heraclite et la Renaissance francaise<br />

Droz, Paris ottobre 1991<br />

pp.152, FF 240<br />

Mostra l’influenza di questo filosofo<br />

greco che postulava che il mondo racchiude<br />

una sola forza viva ed unica il<br />

cui simbolo è il fuoco.<br />

Kopper, Margit<br />

Die Systemfrage in der transzendentalen<br />

Methodenlehre der Kritik der reinen<br />

Vernunft und ihre Bedeutung für<br />

die Reflexion des Wissens in sich bei<br />

Hegel<br />

Königshausen & Neumann<br />

Würzburg sett./ott. 1991<br />

pp.304, DM 68<br />

Krüger, H.-P. (a cura di)<br />

Objekt- und Selbsterkenntnis.<br />

Zum Wandel im Verständnis<br />

moderner Wissenschaften<br />

Akademie-Vlg., Berlin sett./ott. 1991<br />

pp.200, DM 51<br />

Kühlewind, Georg<br />

Der sprechende Mensch.<br />

Ein Menschenbild aufgrund<br />

des Sprachphänomens<br />

Klostermann, Frankfurt a.M.<br />

sett./ott. 1991<br />

pp.224, DM 48<br />

L’autrice colloca le differenze sessuali<br />

nel movimento di passaggio storico dal<br />

precedente modello di pensiero e di<br />

comportamento improntato a uno stile<br />

di vita a un tipo di ragione maschile del<br />

moderno soggetto. I suoi fondamenti<br />

tuttavia non vengono individuati in una<br />

natura maschile, ma nella struttura del<br />

comportamento razionale.<br />

Lacarriere, Jacques<br />

Les gnostiques<br />

A.M. Metaillé, Paris sett./ott. 1991<br />

pp.192, FF 78<br />

Un saggio originale, una sorta di meditazione<br />

poetica sugli gnostici estinti<br />

d’Egitto; il loro radicale rifiuto di credere<br />

nel mondo disegnato dai teologi<br />

del cristianesimo, li ha condotti alla<br />

distruzione.<br />

Lacoue-Labarthe, Philippe -<br />

Nancy, Jean-Luc<br />

Le mythe nazi<br />

Ed. de l’aube, Paris ottobre 1991<br />

pp.70, FF 45<br />

Primo di una serie di brevi testi filosofici<br />

attraverso i quali importanti pensatori<br />

dei nostri giorni interverranno nel<br />

dibattito in corso. Quest’opera cerca di<br />

definire una peculiarita’ fondamentale<br />

del nazismo, nella misura in cui esso<br />

viene pensato come mito moderno.<br />

Lalande, André<br />

Vocabulaire technique<br />

et critique de la philosophie<br />

PUF, Paris ottobre 1991<br />

2 vol.<br />

pp.704, FF 160<br />

Fornisce delle definizioni semantiche,<br />

che non vanno considerate come dei<br />

principi formali, ma come delle spiegazioni.<br />

Non si tratta di costituire un’assiomatica,<br />

ma di conoscere delle realta’<br />

linguistiche e di prevenire dei malintesi.<br />

Lash, Scott - Friedman, Jonathan<br />

Modernity and identity<br />

Blackwell, London settembre 1991<br />

pp.448, £ 45<br />

Un contributo al dibattito contemporaneo<br />

su modernismo e postmodernismo.<br />

Questo libro prefigura la possibilità di<br />

una “terza via”, rifiutando l’opposizione<br />

tra il razionalismo impersonale dell’alto<br />

modernismo e l’irrazionalismo<br />

antietico del postmodernismo.<br />

Lavelle, Louis<br />

Traité des valeurs:<br />

1. Theorie generale de la valeur<br />

PUF, Paris sett./ott. 1991<br />

pp.768, FF 350<br />

Un quadro di tutte le direzioni nelle<br />

quali la riflessione umana si è impegnata,<br />

nel corso della sua storia, al fine di<br />

definire il valore assoluto e i valori<br />

particolari.<br />

Leach, Edmund<br />

Lévi-Strauss zur Einführung<br />

prefazione di K.-H. Kohl<br />

Junius, Hamburg sett./ott. 1991<br />

pp.184, DM 17,80<br />

Leibniz, Gottfried Wilhelm<br />

De l’horizon de la doctrine humaine<br />

(1693); La restitution universelle (1715)<br />

a cura di Fichant Michel<br />

Vrin, Paris ottobre 1991<br />

pp.218, FF 120<br />

Il testo è stato riprodotto in base al<br />

manoscritto originale. Nell’appendice<br />

Fichant propone un commento filosofico.<br />

Lemaire, Jacques (a cura di)<br />

La pensee et l’homme n. 18;<br />

le rationalisme est-il en crise?<br />

Ed. de l’Université de Bruxelles<br />

Bruxelles ottobre 1991<br />

pp.165, FF 83<br />

Si sono espressi a riguardo dei razionalisti<br />

convinti, degli scettici, degli specialisti<br />

nelle scienze umane, dei ricercatori<br />

in scienze esatte e degli storici.<br />

Lenk, Hans


Prometheisches Philosophieren. Von<br />

Paradoxien und pragmatischen<br />

Problemen<br />

heutigen verantwortlichen Denkens<br />

Radius-Vlg, Stuttgart sett./ott. 1991<br />

pp.160, DM 24<br />

Leser, N. (a cura di)<br />

Die Gedankenwelt Sir Karl Poppers.<br />

Kritischer Rationalismus in Dialog.<br />

Winter, Heidelberg sett./ott. 1991<br />

pp.422, DM 148<br />

Atti del simposio tenutosi a Lochau,<br />

presso Bregenz, nell’ottobre 1989, organizzato<br />

dall’ Instituts für Neuere<br />

Österreichische Geistesgeschichte della<br />

Ludwig-Boltzmann-Gesellschaft e<br />

dalla Internationale Akademie für<br />

Philosophie del Principato del<br />

Liechtenstein<br />

Lisciani-Petrini, Enrica<br />

L’apparenza e le forme.<br />

Filosofia e musica in Jànkélévitch<br />

Nuove ediz.Tempi Moderni, 1991<br />

L. 20.000<br />

Al regime discontinuo, inquietamente<br />

metamorfico della musica moderna si<br />

accosta la riflessione di Jankélévitch, al<br />

fine di mostrare un diverso modo di<br />

intendere la realtà. Attraverso il filosofo<br />

francese e altri - Adorno e Benjamin<br />

- il saggio affronta il cambiamento radicale<br />

impresso dalla modernità al rapporto<br />

uomo-mondo.<br />

Litt, Theodore<br />

L’individu et la communauté<br />

Age d’homme, Losanna settembre/ottobre<br />

1991<br />

pp.347, FF 160<br />

Litt arricchisce il metodo dialettico tanto<br />

caro ad Hegel, grazie al suo confronto<br />

con la fenomenologia descrittiva di<br />

Husserl. E’ l’autore di “Introduction a<br />

la philosophie” e di “Hegel: essai d’un<br />

renouvellement critique”<br />

Lutz-Bachmann, M. -<br />

Schmid Noerr, G. (a cura di)<br />

Die Unnatürlichkeit des Sozialen<br />

Nexus-Vlg., Frankfurt a.M.<br />

sett./ott. 1991<br />

pp.154, DM 29<br />

Makdisi, George<br />

Religion, law and learning<br />

in classical Islam<br />

Variorum, ottobre 1991<br />

pp.336, £ 43,50<br />

Questa seconda raccolta di articoli di<br />

George Makdisi riguarda le scuole di<br />

pensiero religioso e di sapere giuridico<br />

nel mondo islamico medievale e la loro<br />

difesa dell’ortodossia. L’autore cerca<br />

di rivalutare le implicazioni del conflitto<br />

tra i teologi “razionalisti” e quelli<br />

“tradizionalisti”, gli uni accettando l’influenza<br />

della filosofia greca, gli altri<br />

rifiutandola; in particolare viene esaminato<br />

il conflitto tra una di queste<br />

scuole tradizionaliste, la scuola di diritto<br />

Hanbali, ed il misticismo Sufi. La<br />

sezione finale del libro analizza le strutture<br />

della cultura ufficiale, le sue istituzioni,<br />

l’organizzazione e i principi che<br />

la ispirano in rapporto all’evoluzione<br />

delle Università nell’occidente medievale<br />

e ai Collegi degli Avvocati in Inghilterra,<br />

discutendo il contributo islamico<br />

ed arabo al concetto di libertà<br />

accademica ed intellettuale e allo sviluppo<br />

della scolastica e dell’umanesimo.<br />

Malebranche, Nicolas de -<br />

NOVITA' IN LIBRERIA<br />

Minazzoli, Agnes (a cura di)<br />

De l’imagination<br />

A. Minazzoli Ed., Paris settembre 1991<br />

FF 50<br />

Un classico della filosofia, un’introduzione<br />

all’opera di Malebranche. Questa<br />

edizione comprende un’importante sezione<br />

che propone altri punti di vista sul<br />

tema, come quelli di Descartes, Pascal<br />

o S.Agostino.<br />

Mangiagalli, Maurizio<br />

La “Rivista di filosofia<br />

neoscolastica” (1909-1959)<br />

Vol. I.: Il movimento neoscolastico<br />

e la fondazione della rivista<br />

Vita e Pensiero, Milano ottobre 1991<br />

pp.374, L. 60.000<br />

Sullo sfondo della Milano tardoromantica<br />

e scapigliata dei primi del nostro<br />

secolo, viene presa in esame la fondazione<br />

della “Rivista di Filosofia neoscolastica”,<br />

dalla quale nascerà l’Università<br />

Cattolica.<br />

Marcel, A.J. - Bisiach, E. (a cura di)<br />

Consciousness<br />

in contemporary science<br />

Clarendon, London settembre 1991<br />

pp.416, £ 17,50<br />

Il peso della coscienza nella scienza<br />

moderna è discusso in questo volume,<br />

da alcune eminenti autorità nei campi<br />

della psicologia, della neurologia e della<br />

filosofia. Tra i temi trattati vi sono i<br />

disturbi della coscienza, le funzioni della<br />

coscienza e i fondamenti della coscienza<br />

nell’apprendimento.<br />

Margolis, Joseph<br />

The truth about relativism<br />

Blackwell, London ottobre 1991<br />

pp.240, £ 35<br />

Un’esauriente difesa del relativismo filosofico.<br />

Riunisce le principali linee<br />

d’attacco del mondo antico (soprattutto<br />

contro Protagora) e le varie critiche che<br />

sono state sviluppate dalla filosofia contemporanea<br />

angloamericana ed europea<br />

continentale.<br />

Margreiter, R. - Leidlmair, K.<br />

(a cura di)<br />

Heidegger. Technik - Ethik - Politik<br />

Königshausen & Neumann<br />

Würzburg sett./ott. 1991<br />

pp.281, DM 58<br />

Marx, W. (a cura di)<br />

Die Struktur lebendiger Systeme.<br />

Zu ihrer wissenschaftlichen<br />

und philosophischen Bestimmung<br />

Klostermann, Frankfurt a.M.<br />

sett./ott. 1991<br />

pp.140, DM 48<br />

Il volume raccoglie i risultati del gruppo<br />

di studio “Philosophisce Grundlagen<br />

der Wissenschaften”.<br />

Melchiorre, Virgilio<br />

Analogia e analisi trascendentale<br />

Mursia, Milano settembre 1991<br />

pp.176, L. 28.000<br />

Una nuova, originale e organica lettura<br />

del progetto metafisico kantiano. L’analisi<br />

condotta in questo volume mira a<br />

leggere nel “non detto” o nei presupposti<br />

che reggono sia l’interpretazione<br />

kantiana del mondo fisico, sia quella<br />

del processo storico, e infine la stessa<br />

ricerca trascendentale de la grande Critica.<br />

Merquior, J. G.<br />

Foucault<br />

Fontana, London settembre 1991<br />

pp.196, £ 4,99<br />

Questo libro, oltre ad occuparsi delle<br />

pubblicazioni di Foucault, offre numerosi<br />

contributi riguardanti la sua storia<br />

filosofica, i suoi debiti verso altri pensatori<br />

e i suoi complessi rapporti con lo<br />

strutturalismo francese. L’autore s’interroga<br />

inoltre sul valore della retorica<br />

filosofica di Foucault.<br />

Meyer, Michel<br />

Problematologia.<br />

Filosofia, scienza e linguaggio<br />

Pratiche Ed., Parma 1991<br />

pp. 431, £. 43.000<br />

Evidenziando la differenza problematologica<br />

tra domanda e risposta, Meyer<br />

chiarisce il ruolo delle filosofia come<br />

capo in cui rispondere equivale alla<br />

formulazione stessa della domanda. Ne<br />

risulta una tipologia di razionalità radicata<br />

nell’interrogatività, che si differenzia<br />

tanto dal modello scientifico che<br />

dalla tradizionale impostazione logicoontologica.<br />

Meyer, Michel<br />

Problematologia. Filosofia, scienza e<br />

linguaggio<br />

Trad. it. di Mario Porro<br />

Guerini e Ass., Milano ottobre 1991<br />

pp.410, L. 40.000<br />

Con il termine problematologia l’autore<br />

intende un pensiero filosofico che si<br />

fonda sul “domandare”, su una dialettica<br />

di domande e risposte che, in sintonia<br />

con la tradizione filosofica classica,<br />

sia interrogazione radicale, ricerca del<br />

fondamentale. Mayer prende le mosse<br />

dalla situazione attuale degli studi filosofici,<br />

che giudica debole ed arbitraria:<br />

sia il relativismo filosofico attuale che<br />

la storicizzazione a tutti i costi di ogni<br />

pensiero filosofico sono, in quanto frammentazioni<br />

del pensiero, anti-filosofia,<br />

perchè la filosofia è sempre, intrinsecamente,<br />

sistematizzante.<br />

Michel Foucault, philosopher<br />

Harvester Wheatsheaf, ottobre 1991<br />

pp.368, £ 35<br />

Questa raccolta di saggi sulla filosofia<br />

di Foucault valuta le sue varie opere<br />

sotto diverse prospettive: il suo posto<br />

nella storia della filosofia, il suo stile e<br />

il suo metodo di espressione filosofica,<br />

le sue nozioni di potere politico, il suo<br />

pensiero etico e la sua attitudine alla<br />

psicoanalisi.<br />

Milani, Raffaele<br />

Le categorie estetiche<br />

Pratiche Ed., Parma 1991<br />

pp.371, L. 40.000<br />

Sistemazione, in forma di “elenco”, delle<br />

principali categorie estetiche cui studiosi<br />

e autori hanno fatto riferimento<br />

nel corso degli ultimi tre secoli: bello,<br />

brutto, sublime e così via.<br />

Mittelstraß, Jürgen (a cura di)<br />

Einheit der Wissenschaften.<br />

De Gruyter, Berlino sett./ott. 1991<br />

pp.538, DM 138<br />

Atti del colloquio internazionale della<br />

AdW di Berlino (Bonn, giugno 1990).<br />

Gruppo di lavoro: “Unità delle scienze”.<br />

Temi trattati: “Teoria della scienza.<br />

Interdisciplinarietà nella teoria e<br />

nella prassi”; “Il compito delle scienze<br />

dello spirito nel sistema delle scienze”;<br />

“Scienza e mondo della vita”.<br />

Montesquieu, Charles de<br />

Pensées; Le spicilege<br />

a cura di Louis Desgraves<br />

Laffont, Paris ottobre 1991<br />

pp.1220, FF 150<br />

I Pensieri e Lo spicilegio sono presentati<br />

qui nell’integralita’ del manoscritto<br />

di Bordeaux. Vi si trova un Montesquieu<br />

polemista, ritrattista impietoso e moralista.<br />

Moyal, Georges J.D. (a cura di)<br />

René Descartes: Critical assessments<br />

Routledge, London ottobre 1991<br />

4 volumi, £ 300<br />

Una raccolta dei più importanti contributi<br />

sulla dottrina cartesiana. Sono qui<br />

proposti circa 120 articoli concernenti<br />

il metodo cartesiano, l’epistemologia,<br />

la metafisica e gli apporti alla matematica<br />

e alle scienze.<br />

Negele, Manfred<br />

Grade der Freiheit.<br />

Versuch einer Interpretation von Hegels<br />

Phänomenologie des Geistes<br />

Königshausen & Neumann<br />

Würzburg sett./ott. 1991<br />

pp.241, DM 56<br />

Nietzsche, Friedrich<br />

David Strauss.<br />

L’uomo di fede e lo scrittore<br />

Adelphi, Milano ottobre 1991<br />

pp.120, L. 10.000<br />

David Strauss, studioso del cristianesimo<br />

e saggista, sarebbe oggi generalmente<br />

dimenticato se Nietzsche non lo<br />

avesse scelto come bersaglio di questa<br />

“considerazione inattuale” per delineare<br />

il ritratto del “filisteo della cultura”,<br />

puro prodotto della Germania del suo<br />

tempo, in cui intravedeva un penoso<br />

modello per le età future.<br />

Nietzsche, Friedrich<br />

Ecce Homo<br />

a cura di Roberto Calasso<br />

Adelphi, Milano ottobre 1991<br />

pp.250, L. 16.000<br />

Nell’autunno del 1888, nelle febbrili<br />

settimane che precedettero la “follia di<br />

Torino” e il successivo, definitivo silenzio,<br />

vennero scritte queste pagine<br />

che rimangono una delle vette stilistiche<br />

di Nietzsche e insieme un tentativo<br />

senza precedenti di capire se stessi.<br />

Nietzsche, Friedrich<br />

La filosofia nell’epoca tragica<br />

dei Greci e Scritti 1870-1873<br />

Adelphi, Milano novembre 1991<br />

pp.294, L. 18.000<br />

Questo libro è il primo esempio di quell’approccio<br />

del tutto personale ad altri<br />

pensatori, che poi resterà caratteristico<br />

di Nietzsche.<br />

Nietzsche, Friedrich<br />

Le livre du philosophe<br />

a cura di Angele Kremer-Marietti<br />

Flammarion, Paris ottobre 1991<br />

pp.192, FF 30<br />

Alcuni testi scritti, a volte in forma<br />

frammentaria, tra il 1872 e il 1875.<br />

Niquet, Marcel<br />

Transendentale Argumente. Kant,<br />

Strawson und die sinnkritische Aporetik<br />

der Detranszendentalisierung<br />

Suhrkamp, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991<br />

pp.580, DM 78<br />

Al centro di questa analisi c’è il concetto<br />

di argomentazione trascendentale.<br />

Alla fine l’autore, partendo dalla critica<br />

categoriale del senso, riesce a sbarazzare<br />

l’argomentazione della detrascendentalizzazione<br />

dal fuorviante frainten-


dimento di sé e quindi a mettere a nudo<br />

il nocciolo razionale di questo tipo di<br />

necessaria autochiarificazione della “ragione”<br />

filosofica.<br />

Noonan, Harold<br />

Personal identity<br />

Routledge, London ottobre 1991<br />

pp.272, £ 10,99<br />

In quest’opera l’autore fornisce un’introduzione<br />

sulle maggiori teorie storiche<br />

e sul dibattito corrente, includendo<br />

la sua interpretazione del problema dell’identità<br />

personale.<br />

Nothelle-Wildfeuer, Ursula<br />

“Duplex ordo cognitionis”.<br />

Zur systemathischen Grundlegung<br />

einer katholischen Soziallehre im<br />

Anspruch von Philosophie und<br />

Theologie<br />

Schöningh, Paderborn sett./ott. 1991<br />

pp.855, DM 98<br />

Orth, E. W.<br />

Perspektiven und Probleme<br />

der Husserlschen Phänomenologie.<br />

Beiträge zur neueren Husserl-<br />

Forschung<br />

K. Alber, Freiburg i.Br. sett./ott. 1991<br />

pp.360, DM 98<br />

Perissinotto, Luigi<br />

Logica e immagine del mondo. <strong>Studi</strong>o<br />

su Über Gewissheit di Wittgenstein<br />

Guerini e Ass., Milano ottobre 1991<br />

pp.256, L. 34.000<br />

Spunto per la stesura del lavoro, che<br />

risale agli anni 1950-51, è il viaggio che<br />

Wittgenstein compì nell’anno immediatamente<br />

precedente negli Stati Uniti,<br />

viaggio nutrito di discussioni e polemiche<br />

con i filosofi americani. Il lavoro<br />

di Perissinotto costituisce una piena<br />

valorizzazione dell’immensa ricchezza<br />

teoretica di quest’ultima opera<br />

wittgesteiniana, collocandola in modo<br />

equilibrato e coerente all’interno di una<br />

lettura globale del percorso filosofico<br />

di Wittgestein.<br />

Philippe, Marie-Dominique<br />

Introduction<br />

a la philosophie d’Aristote<br />

Ed. Universitaires<br />

Paris settembre 1991<br />

pp.302, FF 198<br />

Fino a che punto la ricerca di Aristotele<br />

ha penetrato la conoscenza dell’uomo,<br />

dell’universo e dell’essere primo?<br />

L’opera è completata da un breve studio<br />

degli scritti aristotelici, per facilitarne<br />

la lettura.<br />

Philosophie, n. 31: Marx<br />

Minuit, Paris settembre 1991<br />

pp.92, FF 52<br />

Contiene un frammento inedito dei manoscritti<br />

del 1844 concernente il sapere<br />

assoluto secondo Hegel. Il legame tra<br />

Marx ed Aristotele secondo alcuni appunti<br />

di Marx stesso.La lingua di Marx:<br />

le sue invenzioni concettuali e le sue<br />

invenzioni linguistiche. I rapporti di<br />

marx col giudaismo e con la religione.<br />

Il pensiero di Marx e quello di Max<br />

Weber<br />

Picht, Georg<br />

Glaube und Wissen.<br />

Einleitung von Christian Link<br />

Klett-Cotta, Stuttgart sett./ott. 1991<br />

pp.300, DM 60<br />

Plebe, Armando - Emanuele, Piero<br />

NOVITA' IN LIBRERIA<br />

L’euristica. Come nasce una filosofia<br />

Laterza, Bari 1991<br />

pp.193, L. 27.000<br />

L’euristica, l’arte di trovare argomenti<br />

e di inventare concetti, è tornata di<br />

recente al centro del dibattito filosofico,<br />

scientifico ed estetico, contrapponendosi<br />

all’ermeneutica per l’accento<br />

posto sul valore dell’originalità. Dalla<br />

sua prospettiva emerge una concezione<br />

nuova della maniera in cui nasce una<br />

filosofia.<br />

Pleines, J.E. (a cura di)<br />

Zum teleologischen Argument in der<br />

Philosophie. Aristoteles - Kant - Hegel<br />

Königshausen & Neumann,<br />

Würzburg sett./ott. 1991<br />

pp.224, DM 48<br />

Poiché anche le indagini storiche e i<br />

tentativi di ricostruzione nei confronti<br />

di Aristotele, Leibniz e Kant o Schelling<br />

e Hegel sono caratterizzati dalla preoccupazione,<br />

dovremmo verificare la solidità<br />

dell’argomento teleologico nelle<br />

attuali condizioni, se non vogliamo<br />

sconsideratamente buttarlo via in nome<br />

della scienza o dell’illuminismo.<br />

Pöggeler, Otto<br />

Neue Wege mit Heidegger<br />

Alber, Freiburg i.Br. sett./ott. 1991<br />

pp.500, DM 98<br />

Popper, Karl R.<br />

Die beiden Grundprobleme<br />

der Erkenntnistheorie. Aufgrund von<br />

Manuskripten aus den Jahren 1930-33<br />

hrsg. von Hansen Troels Eggers<br />

J.C.B. Mohr, Tübingen sett./ott. 1991<br />

pp.450, DM 90<br />

Porphyrios, Demetri<br />

Classical architecture<br />

Academy, London ottobre 1991<br />

pp.200, £ 35<br />

Questo libro consta di una serie di lezioni<br />

tenute dall’autore alla University<br />

of Virginia. Sono discussi il concetto<br />

aristotelico di “techne”, il significato<br />

fondamentale del Classicismo e dello<br />

stile, le implicazioni dell’odierno pluralismo<br />

e il reale valore della tradizione.<br />

Price, B. B.<br />

Medieval thought: an introduction<br />

Blackwell, Oxford ottobre 1991<br />

pp.240, £ 35<br />

Ripercorre i modi nei quali il pensiero<br />

astratto medievale ha espresso le interazioni<br />

tra i corsi di studio e la lettura<br />

dei classici, il latino e la lingua volgare,<br />

la filosofia e la teologia. Il libro presenta<br />

inoltre i profili dei principali intellettuali<br />

dell’epoca.<br />

Pufendorf, Samuel<br />

a cura di Tully James<br />

On the duty of man and citizen<br />

according to natural law<br />

Cambridge University Press,<br />

ottobre 1991<br />

pp.232, £ 27,50<br />

Un compendio della teoria politica del<br />

diritto naturale di Pufendorf, la piu’<br />

influente teoria del diritto naturale dei<br />

secoli diciassettesimo e diciottesimo.<br />

L’autore offre una classica giustificazione<br />

del primo stato illuminato moderno<br />

e delle sue appropriate relazioni di<br />

soggezione politica e morale.<br />

Putnam, Hilary<br />

La sfida del realismo<br />

Garzanti, Milano settembre 1991<br />

pp.132, L. 18.000<br />

“La filosofia moderna” afferma Putnam<br />

“è stata ipnotizzata dall’idea che gli<br />

eventi scientifici siano i soli eventi possibili<br />

“ Nelle quattro lezioni che compongono<br />

La sfida del realismo, Putnam<br />

si fa portavoce di un “realismo pragmatico”<br />

teso ad eliminare quel dualismo, e<br />

a restituire al pensiero la possibilità di<br />

pensare tutta la realtà (l’io più il mondo)<br />

secondo uno schema unitario, non<br />

frammentato.<br />

Quillien, Jean<br />

L’antropologie philosophique de G.de<br />

Humboldt<br />

Presses Universitaires de Lille<br />

Lille ottobre 1991<br />

pp.644, FF 150<br />

Per meglio comprendere la teoria humboldiana<br />

del linguaggio e dei linguaggi.<br />

Un’analisi approfondita di cio’che ne<br />

costituisce il fondamento antropologico.<br />

Raio, Giulio<br />

Introduzione a Cassirer<br />

Laterza, Bari novembre 1991<br />

pp.260<br />

Il primo studio generale e approfondito<br />

che ripercorre l’intera opera di Ernst<br />

Cassirier, completato da una breve storia<br />

della critica e da un’ampia bibliografia.<br />

Reale, Mario (a cura di)<br />

Verso una nuova immagine di Platone<br />

Ist. Suor Orsola Benincasa/Rusconi<br />

Napoli novembre 1991<br />

Le lezioni di studiosi italiani e stranieri<br />

in occasione del convegno: “Verso una<br />

nuova immagine di Platone”, tenutosi a<br />

Napoli il 7-9 ottobre 1991.<br />

Ricoeur, Paul<br />

Filosofia della volontà 1<br />

Marietti, Genova ott./dic. 1991<br />

pp.482, L. 70.000<br />

Il primo volume dell’opera-chiave di<br />

uno dei più importanti filosofi francesi<br />

del Novecento.<br />

Ricoeur, Paul<br />

Dell’interpretazione.<br />

Saggio su Freud<br />

Il Melangolo, Genova settembre 1991<br />

pp.600, L. 60.000<br />

Ricoeur in questa suo opera capitale,<br />

precisa e feconda di nuovi spunti critici<br />

tutti i testi di Freud, dal Progetto del<br />

1895 all’Interpretazione dei sogni, alle<br />

ultime opere sul disagio nella civiltà e<br />

sul significato della cultura e di Eros.<br />

Ritter, Jaochim<br />

Paesaggio. Sulla funzione<br />

dell’estetico nella società moderna<br />

Guerini e Ass., Milano ottobre 1991<br />

pp.88, L. 14.000<br />

All’interno delle riflessioni sul paesaggio<br />

si propone per la prima volta in<br />

italiano un saggio di Ritter scritto in<br />

occasione dell’accettazione del<br />

Rettorato di Münster nel 1963, in cui il<br />

senso estetico del paesaggio è analizzato<br />

prendendo spunto dalla celebre scalata<br />

del Monte Ventoso (26 aprile 1335)<br />

da parte di Francesco Petrarca. Da qui<br />

l’autore prende lo spunto per analizzare<br />

il rapporto tra natura e speculazione<br />

filosofica come caratteristica del mondo<br />

moderno.<br />

Röbig, Klaus<br />

Sind Soldaten potentielle Mörder?<br />

Zum Problem der moralisch-ethischen<br />

Rechtfertigung des Tötens im Krieg<br />

Prolog-Verlag, Kassel sett./ott. 1991<br />

pp.100, DM 18<br />

Roellecke, G. (a cura di)<br />

Öffentliche Moral. Gut und Böse<br />

in der Beobachtung durch Geschichte,<br />

Religion, Wirtschaft, Verteidigung<br />

und Recht<br />

Müller, Heidelberg sett./ott. 1991<br />

pp.182, DM 88<br />

Rosset, Clément<br />

La philosophie tragique<br />

PUF, Parigi sett./ott. 1991<br />

pp. 176, FF 44<br />

Il tradico come paradigma e termine di<br />

confronto per l’etica e la morale.<br />

Ryle, Gilbert<br />

Per una lettura di Platone<br />

Guerini e Ass., Milano ottobre 1991<br />

pp.236, L. 34.000<br />

Una difesa di Platone, accusato di aver<br />

attaccato importanti politici del suo tempo.<br />

Accuse in seguito alle quali Platone<br />

abbandona il dialogo dialettico socratico,<br />

proibisce l’insegnamento della dialettica<br />

ai giovani, e fonda l’Accademia,<br />

dove non insegna ma dove è attivo<br />

Aristotele proprio con l’insegnamento<br />

della retorica e della dialettica. Ryle ci<br />

offre una storia diversa, che sfrutta testimonianze<br />

diverse e che cerca di riflettere<br />

su argomenti che sono stati trascurati.<br />

Sahel, Claude<br />

La Tolérance.<br />

Pour un humanisme hérétique<br />

Autrement, Parigi sett./ott. 1991<br />

pp. 221, FF 98<br />

L’analisi della tolleranza mette in campo<br />

le dissimetrie fondamentali della<br />

relazione umana e la loro apprensione<br />

etica.<br />

Sandkühler, H. J. - Holz, H. H.<br />

(a cura di)<br />

Geschechtliche Erkenntnis.<br />

Zum Theorietypus “Marx”<br />

Meiner, Hamburg sett./ott. 1991<br />

pp.150, DM 30<br />

Schällibaum, Urs<br />

Geschlechterdifferenz und Ambivalenz.<br />

Ein Vergleich zwischen Luce Irigaray<br />

und Jacques Derrida<br />

Passagen-Vlg., Wien sett./ott. 1991<br />

pp.256, DM 55<br />

Scheler, Claus-A.<br />

Wittgensteins Kristall.<br />

Ein Satzkommentar zur Logischphilosophischen<br />

Abhandlung<br />

Alber, Freiburg sett./ott. 1991<br />

pp.220, DM 48<br />

Schlette, Heinz Robert<br />

Konkrete Humanität.<br />

<strong>Studi</strong>en zur praktischen Philosophie<br />

und Religionsphilosophie.<br />

Aus Anlaß des 60. Geburtstages<br />

a cura di J. Brosseder<br />

Knecht, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991<br />

pp.480, DM 95<br />

Schmidt, S. J. (a cura di)<br />

Kognition und Gesellschaft.<br />

Der Diskurs des radikalen<br />

Konstruktivismus 2<br />

Suhrkamp, Frankfurt sett./ott. 1991<br />

pp.280, DM 18<br />

Questa antologia presenta le posizioni<br />

di discussione interdisciplinare in Germania<br />

all’inizio degli anni ’90. Filoso-


fi, studiosi della natura, dello spirito e<br />

di scienze sociali fanno il punto sulle<br />

ricerche attuali nei rispettivi campi.<br />

Schopenhauer, Arthur<br />

L’arte di ottenere ragione<br />

trad. it. di N. Curcio e F. Volpi<br />

Adelphi, Milano ottobre 1991<br />

pp.124, L. 12.500.<br />

In questo piccolo trattato Schopenhauer<br />

fornisce trentotto stratagemmi, leciti ed<br />

illeciti, a cui ricorrere per “ottenere”<br />

ragione: con freddezza classificatoria<br />

Schopenhauer ci indica le “vie traverse<br />

e i trucchi di cui si serve l’ordinaria<br />

natura umana per celare i suoi difetti”.<br />

Nello stesso tempo questo testo si colloca<br />

in un crocevia memorabile del<br />

pensiero moderno: negli stessi anni in<br />

cui Hegel indicava nella dialettica la<br />

via per giungere al culmine dello Spirito,<br />

Schopenhauer la raccomandava come<br />

fioretto da impugnare in quella<br />

“scherma spirituale” che è il discutere,<br />

senza badare alla verità.<br />

Severino Emanuele<br />

La filosofia moderna<br />

Rizzoli, Milano novembre 1991<br />

pp.256, L. 12.000<br />

Anche questo libro, come il precedente<br />

dedicato alla filosofia antica, si rivolge<br />

ad un pubblico non specializzato che<br />

non vuole avvalersi di un manuale, ma<br />

di una chiave che gli consenta di orientarsi<br />

verso le forme del pensiero moderno.<br />

Sfrisio, Maurizio<br />

Per una filosofia cristiana della storia<br />

Galleria, Padova 1991<br />

pp.108<br />

Lo studio si propone di enucleare la<br />

problematica concernente legittimità,<br />

campo di indagine, strumenti e limiti di<br />

una filosofia cristiana della storia.<br />

Silvermann, Hugh J. (a cura di)<br />

Gadamer and Hermeneutics<br />

Routledge, London ottobre 1991<br />

pp.288, £ 35<br />

Una raccolta di saggi, tra i quali uno di<br />

Gadamer stesso, sulla vita e l’opera di<br />

questo pensatore. In alcune sezioni speciali<br />

Gadamer è collocato in rapporto al<br />

lavoro di altri grandi filosofi come<br />

Heidegger, Ricouer, Barthes, Derrida e<br />

Habermas. Sono anche inclusi tre dialoghi<br />

concernenti le questioni della metafora,<br />

della scienza e del testo.<br />

Sloterdijk, P. - Macho, Th. H.<br />

(a cura di)<br />

Die Weltrevolution der Seele.<br />

Ein Gnosis-Lesebuch von der<br />

Spätantike bis zum New Age. II Vol.<br />

Artemis & Winkler<br />

Zürich sett./ott. 1991<br />

pp.400 DM 68<br />

Peter Sloterdijk e Thomas H. Macho in<br />

questa imponente opera aprono la storia<br />

di una rivoluzionaria tradizione di<br />

pensiero che si è difesa caparbiamente,<br />

accanto e sotto l’insegnamento filosofico<br />

religioso, dall’antichità fino ai giorni<br />

nostri.<br />

Speck, J. (a cura di)<br />

Grundprobleme der großen<br />

Philosophen. Philosophie der Neuzeit<br />

VI. Tarski, Reichenbach, Kraft, Gödel,<br />

Neurath, Schlick<br />

Vandenhoeck & Ruprecht,<br />

Göttingen sett./ott. 1991<br />

pp.250, DM 27,80<br />

Spies, Marcus<br />

NOVITA' IN LIBRERIA<br />

Unsicheres Wissen<br />

Spektrum, Heidelberg sett./ott. 1991<br />

pp.350, DM 44<br />

Il sapere incerto, come le previsioni del<br />

tempo, le diagnosi mediche e il mutevole<br />

confine fra opposti come grande e<br />

piccolo vengono trattati in questo libro<br />

avvalendosi della logica Fuzzy-Set e<br />

del connettivismo.<br />

Stehr, Nico<br />

Praktische Erkenntnis<br />

Suhrkamp, Frankfurt a.M. sett./ott. 1991<br />

pp.240, DM 36<br />

Il libro si propone di analizzare il sapere<br />

delle scienze sociali, le sue conseguenze<br />

pratiche e i risultati, ma anche i<br />

motivi della sua irrilevanza e si batte in<br />

favore di una scienza sociale orientata<br />

in senso pragmatico, indagandone le<br />

condizioni di possibilità.<br />

Stevens, Annick<br />

Posterité de l’etre:<br />

Simplicius interpreté de Parmenide<br />

Ousia, Bruxelles settembre 1991<br />

pp.146, FF 75<br />

Annick Stevens esamina il destino che<br />

la teoria parmenidea dell’essere subisce,<br />

quando Simplicio, nel suo commento<br />

alla “Fisica” e al “Trattato sul<br />

cielo” di Aristotele, interpreta il “Poema”<br />

come compatibile col platonismo e<br />

con l’aristotelismo.<br />

Strauss, Leo<br />

Socrate e Aristofane<br />

Il Melangolo, Genova ottobre 1991<br />

pp.416, L. 36.000<br />

Leo Strauss ha dedicato a Socrate più di<br />

un’opera; in questo libro esamina il<br />

rapporto tra Socrate e Aristofane nelle<br />

commedie di quest’ultimo. Grazie allo<br />

studio dei lavori teatrali che ci sono<br />

rimasti, Strauss mostra come in realtà<br />

nel confronto emerga il dissidio tra filosofia<br />

e poesia. In questo contesto<br />

Aristofane attribuisce alla poesia il ruolo<br />

di unico sapere autonomo in grado di<br />

confrontarsi con la filosofia.<br />

Sulami, Roger Deladrière<br />

La lucidité implacable<br />

Ed. Arléa, Arles settembre 1991<br />

pp. 109, FF 95<br />

Mistico, maesto spirituale e storico del<br />

sufismo, Sulami tratta in questo testo<br />

fondamentale della lucidità che l’uomo,<br />

per definirsi tale, deve esercitare su<br />

se stesso.<br />

Tessitore, Fulvio<br />

Introduzione allo storicismo<br />

Laterza, Bari ottobre 1991<br />

pp.300<br />

Thomas, H. (a cura di)<br />

Naturherrschaft. Wie Mensch und Welt<br />

sich in der Wissenschaft begegnen.<br />

Colloquium, Köln 1990<br />

Busse Seewald, Herford sett./ott. 1991<br />

pp.336, DM 28<br />

Raccolta di contributi interdisciplinari<br />

con un denominatore comune per un<br />

convegno del Lindenthal- Institut di<br />

Colonia sulla filosofia delle scienze naturali<br />

(dall’11 al 13 maggio 1990).<br />

Thompson, M. P. (a cura di)<br />

John Locke und Immanuel Kant.<br />

Historische Rezeption<br />

und gegenwärtige Relevanz<br />

Duncker & Humblot, Berlin sett./ott.<br />

1991<br />

pp.413, DM 98<br />

Tresmontant, Claude<br />

Problèmes de notre temps<br />

OEIL, Paris settembre 1991<br />

pp. 578, FF 195<br />

Rassegna e cronaca dei grandi problemi<br />

filosofici della fine del XX secolo.<br />

Tymieniecka, A.-T. (a cura di)<br />

The turning points<br />

of the new phenomenological era.<br />

Husserl’s research drawing upon<br />

the full extent of his development<br />

Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991<br />

pp. 584, Dfl 265<br />

Uebel, Th. E. (a cura di)<br />

Rediscovering<br />

the forgotten Vienna Circle.<br />

Austrian <strong>Studi</strong>es on Otto Neurath<br />

and the Vienna Circle<br />

Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991<br />

pp.340, Dfl 175<br />

Università di Firenze<br />

Annali del Dipartimento di Filosofia<br />

Olschki, Firenze ott./dic. 1991<br />

pp. 352, L. 70.000<br />

Viale, Riccardo<br />

Metodo e scienza nella società.<br />

Fattori metodologici, sociali e<br />

cognitivi delle decisioni scientifiche<br />

Franco Angeli, Milano ottobre 1991<br />

pp.336, L. 48.000<br />

Von Kutschera, Franz<br />

Fondamenti dell’Etica<br />

Franco Angeli, Milano ottobre 1991<br />

pp.398, L. 48.000<br />

Questo volume si contraddistingue dalla<br />

vasta produzione contemporanea nel<br />

settore etico per il taglio logico-epistemologico.<br />

Vengono presentati i concetti<br />

essenziali della logica deontica e<br />

della preferenza e discussi dal punto di<br />

vista logico la legge di Hume e il postulato<br />

di generalizzabilità.<br />

Walker, J. (a cura di)<br />

Thought and faith<br />

in the philosophy of Hegel<br />

Kluwer, Dordrecht sett./ott. 1991<br />

pp.204, Dfl 150<br />

Raccolta internazionale dei saggi emersi<br />

dalla conferenza di Oxford del 1987, il<br />

cui oggetto è la dimensione rleigiosa<br />

del pensiero di Hegel, nel senso più<br />

vasto del termine.<br />

Wallace, William A.<br />

Galileo, the jesuits<br />

and the medieval Aristotle<br />

Variorum, ottobre 1991<br />

pp.350, £ 45<br />

La convenzionale opposizione dell’aristotelismo<br />

scolastico alla scienza umanistica<br />

è stata trattata sempre più negli<br />

ultimi anni. Questi articoli mirano a<br />

dimostrare che un progressivo aristotelismo<br />

ha in effetti fornito le basi necessarie<br />

alle scoperte scientifiche di<br />

Galileo.<br />

Weier, Winfried<br />

Brennpunkte der Gegenwartsphilosophie.<br />

Zentralthemen und Tendenzen<br />

im Zeitalter des Nihilismus<br />

Wissenschaftlich. Buchges.,<br />

Darmstadt sett./ott. 1991<br />

pp.248, DM 49<br />

In opposizione alle visioni che liquidano<br />

la filosofia del presente come un<br />

ammasso di parole e di incerti tentativi,<br />

qui si intraprende il tentativo di riunire<br />

in una visione unitaria ciò che lega<br />

insieme gli approcci più disparati, vale<br />

a dire di scindere la concezione intellettuale<br />

di base dalla molteplicità delle sue<br />

posizioni.<br />

Weischedel, Wilhelm<br />

Il Dio dei filosofi (Vol. II)<br />

Il Melangolo, Genova ottobre 1991<br />

pp.320, L. 40.000<br />

Il secondo volume di quest’opera comprende<br />

la storia della teologia filosofica,<br />

dai primi segni della crisi del pensiero<br />

post-kantiano, fino al declino nei<br />

pensatori contemporanei. La ricerca affronta<br />

quindi l’analisi del rapporto tra<br />

speculazione filosofica e speculazione<br />

intorno a Dio così come si è presentato<br />

problematicamente nei diversi autori e<br />

nelle diverse correnti di pensiero.<br />

Weizsäcker, Carl Fr. von<br />

Der Mensch in seiner Gechichte<br />

Hanser, München sett./ott. 1991<br />

pp.250, DM 39,80<br />

Chi siamo? Da dove veniamo? Le risposte<br />

che l’autore dà a queste domande<br />

provengono da una conoscenza ampia<br />

e approfondita della moderna scienza<br />

naturale, della storia culturale, della<br />

politica, della teologia e dell’etica.<br />

Wiesing, Lambert<br />

Stil statt Wahrheit. Kurt Schwitters<br />

und Ludwig Wittgenstein über ästhetische<br />

Lebensformen<br />

Wilhelm Fink, München sett./ott. 1991<br />

pp.148, DM 48<br />

La sconfitta sulla verità viene ripensata<br />

attraverso lo stile, quando la verità non<br />

è considerata corrispondenza con l’idea<br />

della cosa, ma come una manifestazione<br />

della forma. Si schiudono così<br />

nuove possibilità alla filosofia estetica.<br />

Wolff, Michael<br />

Das Körper-Seele-Problem.<br />

Kommentar zu Hegel, Enzyklopädie<br />

(1830)<br />

Klostermann, Frankfurt a.M.<br />

sett./ott. 1991<br />

pp.240, DM 68<br />

Wood, Allen W. (a cura di)<br />

Hegel:<br />

Elements of the philosophy of right<br />

Cambridge UP, Cambridge ottobre<br />

1991<br />

pp.300, £ 25<br />

Un tentativo di sistematizzare teoria<br />

etica, diritto naturale, filosofia del diritto,<br />

teoria politica e sociologia dello<br />

stato moderno, nel contesto della filosofia<br />

della storia di Hegel. L’opera di<br />

Hegel è fondamentale per la tradizione<br />

comunitaria nel moderno pensiero etico,<br />

sociale e politico.

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