Il libretto - Radio Rai
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Q u a n d o D o n i z e t t i p a r l a f r a n c e s e<br />
ha un equivalente nell’aria di Caffariello parodiata da Rossini, mentre è<br />
nuovo il modo in cui viene contrapposta alla canzone del reggimento, che<br />
vi s’insinua dapprima in punta di piedi e poi la soppianta trionfalmente:<br />
qui le differenze tra l’aria ancien régime e la canzone militare entrano a<br />
far parte integrante dell’azione scenica e sono usate per dare vivacità alla<br />
partitura, con un gusto del pastiche stilistico che Donizetti aveva affinato<br />
in Francia. Non basta: la satira antiaristocratica e antitedesca che si scatena<br />
nel ritrattino della ridicola marchesa era possibile solo nella Francia<br />
della “monarchia borghese” di Luigi Filippo e dell’eterna rivalità con la<br />
Prussia. Anche in questo caso è difficile non pensare a Offenbach, la cui<br />
Grande-Duchesse de Gérolstein deriva direttamente dalla Marquise de<br />
Berkenfield. Questo gusto satirico rende nuova ed esilarante la zia (in<br />
realtà madre segreta) di Marie che, pur non avendo una parte da protagonista<br />
assoluta, interviene in alcune delle scene chiave, particolarmente nei<br />
due colpi di scena che prima aggrovigliano il nodo della trama (il forzato<br />
addio di Marie al reggimento) e poi lo sciolgono (la rivelazione che Marie<br />
è figlia della marchesa e di un ufficiale francese morto in battaglia).<br />
Questo tono francese - o, più precisamente, parigino - fatto di leggerezza,<br />
vivacità e ironia ha indotto più d’uno a scrivere che “non si fa fatica<br />
a immaginare che questa musica sia stata scritta in un periodo radioso di<br />
gioia senza ombre”. Non è affatto così. Donizetti usciva da una serie di<br />
lutti familiari, che avevano lasciato una traccia profondissima. Poco dopo<br />
aver perso uno dopo l’altro tre figli, tutti nati morti, il 30 luglio 1837<br />
perse anche la moglie, l’adorata e dolcissima Virginia. Le lettere di quei<br />
giorni al cognato sono strazianti: “Oh! Toto mio, Toto mio, fa che il mio<br />
dolore trovi un’eco nel tuo, perché ho bisogno di chi mi comprenda.<br />
Io sarò infelice eternamente. Non scacciarmi, pensa che siamo soli sulla<br />
terra”.<br />
“Mai invocai la morte di cuore come ora il feci. Pazienza! Stamani diedi<br />
via la culla nova, che doveami pur servire... tutto, tutto ho perduto.<br />
Senza padre, senza madre, senza moglie, senza figli. Per chi lavoro io<br />
dunque? Perché!”.<br />
Quando, quasi due anni dopo, si mise al lavoro per comporre La fille<br />
du régiment, il dolore era meno esasperato ma aveva messo radici profonde<br />
nel suo temperamento, già prima tendente alla malinconia e al pes-<br />
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