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Scienze sociali e dottrina sociale della Chiesa Carlo ... - Meic Marche

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promossa», sono passati dal progetto di una società cristiana opposta a quella secolarizzata, alla<br />

denuncia dei sistemi che intaccano la dignità e la libertà <strong>della</strong> persona (Codice di Malines e<br />

cosiddetto Codice di Camaldoli; dibattito alla Costituente; dibattito sul lavoro e sulla funzione del<br />

sindacato nel sistema) e di quelli che negano i valori <strong>della</strong> solidarietà e <strong>della</strong> corresponsabilità<br />

internazionale (teorie dello sviluppo economico e dell’arretratezza, dalle prime formulazioni di<br />

Vito ai congressi internazionali sui problemi dello sviluppo del 1955 e 1956).<br />

Un caso interessante nella storia dei rapporti tra lavoro dell’economista e <strong>dottrina</strong> <strong>sociale</strong> è<br />

quello di Joseph Alois Schumpeter. Egli nel 1945 nel corso di una conferenza davanti<br />

all’Association professionelle des industriels di Montréal, evidenzia i pericoli di «decomposizione»<br />

in cui il sistema economico e politico può incorrere qualora continui ad essere gestito da operatori<br />

che agiscono in base ai principi di quella filosofia utilitarista che «non riconosce altro principio<br />

regolatore che quello dell’egoismo individuale” e che “esprime fin troppo bene lo spirito<br />

d’irresponsabilità <strong>sociale</strong> che caratterizza la passione e lo stato laico, o meglio laicista del secolo<br />

XIX» 76 .<br />

Egli si chiede se la «soluzione di questo grave problema scaturirà dallo statalismo ... (o) dal<br />

<strong>sociali</strong>smo democratico» e, rifiutando categoricamente queste due soluzioni, conclude<br />

affermando:<br />

Bisognerà ricorrere all’organizzazione corporativa nel senso auspicato dalla Quadragesimo Anno. Non<br />

spetta all’economista fare l’elogio del messaggio morale del Papa. Ma egli potrà trarne una <strong>dottrina</strong><br />

economica. Tale <strong>dottrina</strong> non fa appello a false teorie. Essa non si basa su pretese tendenze che non<br />

esistono. Riconosce tutti i fatti dell’economia moderna. E, pur portando rimedio alla riorganizzazione<br />

attuale, ci mostra le funzioni dell’iniziativa privata in un quadro nuovo. Il principio corporativo riorganizza<br />

ma non irreggimenta. Si oppone a ogni sistema <strong>sociale</strong> a tendenza centralizzatrice e a ogni irregimentazione<br />

burocratica; in effetti, è il solo modo per rendere impossibile quest’ultima....[Il Papa] Ci mostrava un<br />

metodo pratico per la soluzione di problemi pratici che, a causa dell’incapacità di risolverli del liberalismo<br />

economico, richiedono l’intervento del potere politico......l’azione corporativa delle associazioni<br />

professionali, per il fatto stesso che garantisce a ogni singola impresa che non sarà la sola a farsi avanti, e<br />

che di conseguenza essa troverà nella produzione delle altre la domanda per i propri prodotti, ne è il rimedio<br />

più naturale. Ne consegue che il corporativismo associativo eliminerebbe gli ostacoli più gravi che si<br />

oppongono alla cooperazione pacifica tra operaio e padrone. .... Ora, il corporativismo associativo non è<br />

una cosa meccanica. Non può essere imposto o creato dal potere legislativo. Non tende a realizzarsi da<br />

solo. Può nascere soltanto dall’azione degli uomini liberi e da una fede che li ispiri. Per fondarlo e<br />

garantirne il successo ci vogliono volontà, energia, un senso nuovo di responsabilità <strong>sociale</strong>....ma il suo<br />

problema fondamentale (...) si riassume nel fatto che, più ancora che una riforma economica e <strong>sociale</strong>, esso<br />

implica una riforma morale.<br />

Schumpeter abbandona qui qualsiasi pretesa di neutralità e sceglie di esprimersi in termini<br />

normativi. Nel 1949 ritornerà sull’argomento con una comunicazione al congresso dell’American<br />

Economic Association e l’anno successivo in The march into <strong>sociali</strong>sm: una riorganizzazione<br />

<strong>della</strong> società secondo le direttive dell’enciclica «fornirebbe senza dubbio un’alternativa al<br />

<strong>sociali</strong>smo che permetterebbe di evitare lo “stato onnipotente”» 77 , senza naturalmente<br />

confondere il corporativismo societario da quello di stato dei regimi fascisti.<br />

In sostanza egli, mantenendosi lontano dal modello di managerialismo tecnocratico che negli<br />

Stati Uniti e in parte dell’Europa stava diffondendosi e prevedendo la possibilità di un esito<br />

alternativo al <strong>sociali</strong>smo, guarda ad un ordine <strong>sociale</strong> imperniato «sulla figura dell’imprenditore<br />

del capitalismo concorrenziale, su strutture familiari solide anche se aperte ad un continuo<br />

76 Il discorso è stato pubblicato in italiano in: J. A. Schumpeter, L’imprenditore e la storia dell’impresa.<br />

Scritti 1927-1949, a cura di Alfredo Salsano, Bollati Boringhieri, Torino 1993, pp. 91-96.<br />

77 Questa affermazione è riportata nell’ Introduzione di Salsano a J. A. Schumpeter, L’imprenditore e la<br />

storia dell’impresa. Scritto 1927-1949, cit., p. XXIII.

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