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Scienze sociali e dottrina sociale della Chiesa Carlo ... - Meic Marche

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vivendo in un periodo non meno caratterizzato da povertà e miseria del nostro, in cui carestie,<br />

pestilenze e guerre non erano sconosciute, con livello di reddito pro-capite risibili per gli standard<br />

di oggi, non solo si impegnavano, magari con qualche limite (ma gli storici ci ammoniscono dal<br />

fare storia con i se), per i poveri, i diseredati e gli ammalati, ma, oltre a realizzare importanti<br />

innovazioni nelle tecniche agricole e in quelle di amministrazione, fondavano e difendevano,<br />

qualche volta con un po’ di asprezza, delle proprie scuole, innanzitutto teologiche, ma anche filosofiche<br />

e scientifiche. Quanto <strong>della</strong> logica in uso fino a pochi decenni fa è stata raffinata da loro?<br />

Sarebbe difficile oggi associare qualcuna delle maggiori correnti filosofiche a uno qualsiasi di<br />

questi ordini. E il loro lavoro, ma anche quello degli altri che operano in campo teorico e culturale,<br />

mi sembra avere prevalentemente un interesse interno alla <strong>Chiesa</strong>, importante per noi ma privo di<br />

incidenza fuori dal nostro ambito.<br />

Perché? Sono queste cose meno importanti oggi di allora?<br />

Sarebbe interessante sapere se esistono stime sulla percentuale delle risorse e dell’attenzione<br />

che nel medioevo, in quelle condizioni, veniva destinata al lavoro puramente intellettuale, allo<br />

sviluppo e al rafforzamento <strong>della</strong> formazione culturale, e sapere come è cambiata venendo<br />

all’oggi. La mia impressione è che ora tale quota sia decisamente inferiore. Sono veramente dei<br />

beni inferiori o addirittura di Giffen?<br />

Allora la <strong>Chiesa</strong> aveva un ruolo che oggi non ha più; la <strong>Chiesa</strong> non ha oggi gli stessi compiti<br />

che doveva porsi allora; la <strong>Chiesa</strong> non ha più la responsabilità che deriva dall’essere uno dei<br />

pochi centri che sentono l’esigenza ed hanno la possibilità di elaborare questo tipo sapere. Oggi<br />

gran parte <strong>della</strong> cultura viene elaborata fuori dalla <strong>Chiesa</strong> e credo che in questo non ci sia nulla di<br />

male.<br />

Ma il confronto tra la situazione di allora e quella di oggi mi pare mettere in rilievo un altro<br />

fattore: allora si riteneva che anche chi si muoveva in una prospettiva essenzialmente religiosa<br />

dovesse interessarsi di tutto il campo dello scibile nel senso che nulla fosse estraneo all’uomo<br />

religioso proprio in quanto religioso. Ciò esponeva a molte tentazioni, specialmente fuori<br />

dall’ambito teologico, di scorciatoie e soprattutto di subordinazione del campo puramente<br />

scientifico e dell’interpretazione <strong>della</strong> natura che sono state duramente contestate in seguito.<br />

D’altra parte sembrava mettere in evidenza che non esiste tanto uno specifico territorio<br />

d’indagine religioso, ma piuttosto un’ottica che chi si muove in una prospettiva religiosa adotta<br />

nell’indagare un qualsiasi campo; ci possono essere oggetti d’indagine che sono di interesse quasi<br />

esclusivo di chi si muove in questa prospettiva, si pensi all’ambito strettamente teologico, mentre<br />

non lo sono per chi si muove in una diversa prospettiva, ma sembrerebbe non essere vero l’inverso.<br />

Ho il sospetto che oggi si tenda invece ad affermare che c’è un terreno di indagine proprio di<br />

ciò che è religioso, distinto se non separato dal resto del terreno culturale e scientifico. Se ci si<br />

muove in quest’ultima prospettiva, si è portati a trascurare ciò che non rientra in questo ambito<br />

specifico, e dunque a trascurare le interazioni con chi si muove in una prospettiva diversa ma<br />

sugli stessi temi. Il problema è che non ci si può aspettare che questa cultura necessaria mente<br />

adotti l’ottica, anche solo antropologica, di maggior interesse per la <strong>Chiesa</strong>. La mia impressione è<br />

che molti dei temi rilevanti, per il cristiano ma non solo, abbiano così finito per essere fortemente<br />

relegati in una regione guardata con sufficienza o almeno con sospetto nell’ambito <strong>della</strong> cultura<br />

prevalente. E forse non ci si deve meravigliare del proprio isolamento quando lo si constata nei<br />

congressi mondiali sulla popolazione, ad esempio, dove semplicemente si esprime ciò che si era<br />

culturalmente preparato prima.<br />

Se invece non esiste uno specifico religioso, ma un’ottica religiosa che pervade tutto, questa<br />

concentrazione perderebbe la sua ragione d’essere. Certamente ciò che accade in altri campi<br />

potrebbe porre interrogativi e problemi difficili a chi condivide un’ottica religiosa e che potrebbe<br />

evitare chiudendosi ad essi; l’interazione potrebbe non essere affatto facile ma fornirebbe un

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