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Scienze sociali e dottrina sociale della Chiesa Carlo ... - Meic Marche

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Anche in questo caso, sembra necessario fare distinzioni a seconda dei livelli a cui viene<br />

elaborata la <strong>dottrina</strong> <strong>sociale</strong>. L’incidenza <strong>della</strong> teoria sulla <strong>dottrina</strong>, nella misura in cui è avvenuta,<br />

c’è stata per quanto riguarda il magistero pontificio. Mi sembra più limitata quella sul magistero<br />

episcopale, e, forse sorprendentemente, ma qui occorre ribadire la scarsità di conoscenze in<br />

materia di chi scrive, ancora più limitata sul lavoro di esegesi.<br />

Ho molti dubbi invece sul fatto che la <strong>dottrina</strong> <strong>sociale</strong> abbia influenzato il modo in cui si studiano<br />

questi problemi in ambito scientifico.<br />

A mio avviso questo è un riflesso <strong>della</strong> scelta del tipo di linguaggio utilizzato ed il tipo di<br />

interlocutori a cui ci si rivolge l’esegesi. Anche qui occorre fare una distinzione tra il linguaggio<br />

che è lecito, e probabilmente è necessario, usare in documenti del magistero e quello che invece<br />

si dovrebbe usare da parte di chi ne fa un’analisi. Da quest’ultimo punto di vista, mi sembra che,<br />

da un lato, l’analisi tenda a privilegiare quelle che vengono viste come le implicazioni pratiche,<br />

assai più che non la struttura teorica del discorso; d’altro lato, la mia impressione è che non ci sia<br />

alcuna attenzione per alcuni tipi di interlocutori. Queste scelte hanno costi che non sono sicuro<br />

siano stati attentamente valutati e, almeno potenzialmente, assai più alti di quanto si pensa.<br />

Molti dei concetti cardine utilizzati dal magistero nei suoi documenti non sono quelli usati nella<br />

letteratura scientifica corrente. Per fare un esempio, è molto difficile trovare in questa letteratura<br />

un concetto come quello di bene comune, largamente usato nei documenti; non che esso sia interamente<br />

assente, ma viene variamente declinato in termini di efficienza paretiana, funzione <strong>sociale</strong><br />

del benessere, funzione di scelta collettiva e così via. Nella letteratura scientifica, quando<br />

vengono usati, si insiste sui limiti di questi concetti (questo è il caso di quello più facilmente<br />

definibile, di efficienza paretiana) e sui problemi di esistenza, di interpretazione e di identificazione<br />

o costruzione (questo è il caso delle funzioni di scelta collettive o delle funzioni del<br />

benessere <strong>sociale</strong>) ma sono queste le cose di cui si discute. Sembrerebbero perciò essere queste<br />

le categorie che dovrebbero essere poi usate dagli esegeti, almeno se vogliono rendersi<br />

comprensibili a un certo pubblico.<br />

E, non resistendo alla tentazione di un secondo esempio, mi pare molto più articolata la<br />

posizione sull’impresa <strong>della</strong> Centesimus annus 2 di quanto non dica, soprattutto a proposito del<br />

lavoro e del profitto, certa esegesi. Leggendo quest’ultima, non si capisce qual è il livello di conoscenza<br />

<strong>della</strong> moderna teoria dell’impresa, teoria che la vede essenzialmente come un luogo di<br />

interazione tra agenti con obiettivi potenzialmente in conflitto e allo stesso tempo con ragioni di<br />

cooperazione, o del ruolo che il profitto ha anche nei modelli economici più tradizionali. Certamente<br />

si può ben sostenere che se profitti più alti vogliono dire consumi ostentativi per il «padrone»,<br />

salari più bassi per i lavoratori e maggior disoccupazione, tutto ciò sia riprovevole; in<br />

questo caso però, non si sta parlando del profitto ma essenzialmente dello scopo perseguito dal<br />

padrone e dei modi in cui è realizzato, il consumo opulento anche a scapito di quello di sussistenza<br />

dei lavoratori. Credere che il problema dell’impresa, del profitto e del lavoro si riduca a<br />

questo mi sembra colpevolmente ingenuo.<br />

Usare concetti più precisi o circoscritti pone certamente problemi per i documenti del<br />

magistero che hanno come destinatario un pubblico ovviamente eterogeneo; questa ragione non<br />

c’è per le analisi esegetiche e, d’altra parte, non sono sicuro che senza questa precisione si possa<br />

andare molto avanti nell’analisi. Vi è certamente un delicato problema di equilibrio, sia nella<br />

scelta delle persone a cui rivolgersi, sia nella scelta dei temi da mettere in rilievo. Ma insisterei<br />

sul fatto che il tipo di problemi a cui ho fatto cenno sopra, anche se astratti e non immediata-<br />

2 «Scopo dell’impresa… non è semplicemente la produzione del profitto, bensì l’esistenza stessa<br />

dell’impresa come comu nità di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro<br />

fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società. Il profitto è un<br />

regolatore <strong>della</strong> vita dell’azienda, ma non è l’unico; …» (n. 35).

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