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Scienze sociali e dottrina sociale della Chiesa Carlo ... - Meic Marche

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contrapposizione tra regioni e paesi ricchi e regioni e paesi poveri. La nuova geografia<br />

economica mondiale tende a evidenziare l’esistenza di una sorta di gerarchia di territori dotati di<br />

differenti capacità di integrare efficacemente risorse (materiali e immateriali) endogene ed<br />

esogene e, soprattutto, di accedere ai network internazionali attraverso i quali avviene la<br />

circolazione delle informazioni e <strong>della</strong> ricchezza. Le «città globali», quelle cioè in cui si<br />

concentrano le funzioni terziarie maggiormente qualificate, fungono da nodi nel contesto di tali<br />

network, ma questa loro posizione privilegiata, che rende possibile l’integrazione del sistema<br />

economico mondiale, sembra andare a discapito <strong>della</strong> capacità di irrorare proficuamente la<br />

periferia più immediata. La frontiera tra sviluppo e sottosviluppo, denunciano le encicliche più<br />

recenti, attraversa gli stessi paesi ricchi: questo ammonimento delinea un ambito ancora in buona<br />

parte inesplorato dagli scienziati <strong>sociali</strong>, e comunque non affermato con sufficiente forza. Quale<br />

ruolo verrà ad assumere ciascun territorio nel contesto <strong>della</strong> cosiddetta «nuova divisione<br />

internazionale del lavoro»? Quali potenzialità fertilizzatrici sono connesse con le più innovative<br />

concentrazioni di attività ad elevata tecnologia (i parchi tecnologici, per esempio)? Qual è il grado<br />

di reversibilità dell’attuale distribuzione <strong>della</strong> ricchezza e del sapere? Quali correttivi possono<br />

essere adottati per contenere gli squilibri <strong>sociali</strong> e territoriali di cui sono foriere le nuove<br />

dinamiche di sviluppo fondate sul controllo delle tecnologie più sofisticate? Qual è la reale<br />

capacità inclusiva - o viceversa il rischio di marginalizzazione - che contraddistingue i sistemi<br />

produttivi post-fordisti?<br />

Un ambito in qualche modo idealtipico per l’analisi di queste problematiche è indubbiamente<br />

rappresentato dalle grandi città, che da un lato adempiono, come si è appena ricordato, al ruolo di<br />

nodi connettori, un ruolo fondamentale per il funzionamento dell’economia mondiale, ma dall’altro<br />

incarnano i limiti e le contraddizioni degli attuali modelli di sviluppo. Nelle metropoli mondiali si<br />

contrappongono l’élite avvantaggiata dai processi di internazionalizzazione e l’underclass non<br />

soltanto esclusa ma spesso vittima dei processi di sviluppo 138 . Alla luce di questa situazione, che<br />

coinvolge le stesse capitali dei paesi più ricchi del mondo, il monito di Giovanni Paolo II acquista<br />

il suo più pieno significato: «dovrebbe esser pacifico che lo sviluppo o diventa comune a tutte le<br />

parti del mondo o subisce un processo di retrocessione anche nelle zone segnate da un costante<br />

progresso. Fenomeno, questo, particolarmente indicativo <strong>della</strong> natura dell’autentico sviluppo: o vi<br />

partecipano tutte le Nazioni del mondo, o non sarà veramente tale» (Sollicitudo rei <strong>sociali</strong>s,<br />

n.17).<br />

2. Uno degli indicatori più emblematici delle conseguenze <strong>della</strong> globalizzazione dell’economia è<br />

quello delle migrazioni internazionali. A questo proposito va sottolineato come i documenti<br />

pontifici, enfatizzando la libertà di movimento che discende dal fondamentale principio <strong>della</strong><br />

dignità dell’uomo, implicitamente denunciano la limitatezza delle cosiddette «visioni idrauliche» di<br />

questo problema, cioè del tipo di interpretazione che, limitandosi a un solo esempio eloquente, ha<br />

informato lo stesso documento preparatorio ai lavori <strong>della</strong> Conferenza mondiale <strong>della</strong> popolazione<br />

svoltasi al Cairo nel 1995. Visioni, cioè, che enfatizzano unilateralmente il ruolo dei cosiddetti<br />

138 «Tappa indubbiamente irreversibile nello sviluppo delle società umane, l’urbanesimo pone all’uomo<br />

difficili problemi: come determinare la crescita, regolarne l’organizzazione, ottenerne l’animazione per il<br />

bene di tutti. In questa crescita disordinata nascono, infatti, nuovi proletariati. Essi s’installano nel cuore<br />

delle città, talora abbandonate dai ricchi; si accampano nelle periferie, cintura di miseria che già assedia in<br />

una protesta ancora silenziosa il lusso troppo sfacciato delle città consumistiche e sovente scialacquatrici.<br />

Invece di favorire l’incontro fraterno e l’aiuto vicendevole, la città sviluppa le discriminazioni e anche<br />

l’indifferenza; fomenta nuove forme di sfruttamento e di dominio, dove certuni, speculando sulle necessità<br />

degli altri, traggono profili inammissibili. Dietro le facciate si celano molte miserie, ignote anche ai più<br />

vicini; altre si ostentano dove intristisce la dignità dell’uomo: delinquenza, criminalità, droga, erotismo»<br />

(Octogesima adveniens, n. 10).

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