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Scienze sociali e dottrina sociale della Chiesa Carlo ... - Meic Marche

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<strong>sociali</strong> pubblici), il quadro generale emergente è quello di una copertura molto parziale e<br />

pragmatica dei bisogni <strong>sociali</strong> più rilevanti da parte degli enti pubblici, che si avvalgono comunque<br />

<strong>della</strong> collaborazione di organizzazioni private senza fini di lucro. A queste stesse organizzazioni<br />

spetta poi il compito di procurarsi i mezzi per far fronte ai bisogni che rimangono inevasi, secondo<br />

la propria sensibilità, capacità e orientamento culturale. Siamo ben lontani, pertanto, dai modelli<br />

universalistici di politica <strong>sociale</strong> che si è cercato di realizzare in Europa. L’impressione è che la<br />

cultura dominante negli Stati Uniti, fortemente influenzata dai principi del liberismo economico e<br />

politico, incida anche in misura consistente sui criteri e sulle modalità di realizzazione del<br />

benessere <strong>sociale</strong>. In questa situazione, a fronte dello svantaggio derivante dal fatto che alcuni<br />

bisogni rimangono inevasi, si registra l’indubbio vantaggio di una mobilitazione ed una<br />

valorizzazione sul piano istituzionale di tutte le forze che possono contribuire, anche mediante<br />

risorse autonome, a realizzare politiche ed interventi di welfare.<br />

Si può pertanto sostenere che in molti stati dell’Unione sia praticato un principio di «liberismoinclusivo»,<br />

riconducibile a tendenze corporatiste, di incorporazione cioè nello stato di organismi<br />

assistenziali privati. La quota dell’80% dei servizi <strong>sociali</strong> dell’Illinois, gestiti dalla Caritas<br />

diocesana di Chicago, ben documenta come lo stato, rispettando i principi del liberismo politico,<br />

non intenda intervenire con proprie strutture in un settore dove iniziative private siano in grado di<br />

rispondere in modo efficace e generoso ai bisogni <strong>sociali</strong> <strong>della</strong> popolazione, consentendo<br />

oltretutto un risparmio di denaro pubblico di circa il 50% 108 .<br />

A questa posizione «liberale» corrisponde tuttavia una viva (e forse un po’ eccessiva)<br />

preoccupazione da parte dello Stato di controllare l’autonomia e di garantire la laicità di queste<br />

iniziative, quasi che - rinunciando ad una gestione in proprio - le autorità statali vogliano poi<br />

assimilare nei loro apparati istituzionali almeno ciò che contribuiscono a finanziare. Se questa<br />

interpretazione è corretta, accanto al paradosso in cui si vengono a trovare i servizi privati senza<br />

fini di lucro, si può parlare anche di una situazione paradossale in cui versano le politiche <strong>sociali</strong><br />

negli Stati Uniti, che accettano la libera iniziativa in campo assistenziale, ma tendono poi ad<br />

«incorporarla« attraverso complessi meccanismi di finanziamento e di controllo.<br />

Può essere interessante mettere a confronto il «liberismo-inclusivo» statunitense con il<br />

principio di «sussidiarietà» praticato in Germania, cominciando col notare come in questa nazione<br />

esista un maggior rispetto dell’autonomia e dell’identità delle libere associazioni di assistenza<br />

(Freie Wolfhartspflege) da parte dello stato, che si concepisce come «stato <strong>sociale</strong>»<br />

(Sozialstaat) in base al dettato costituzionale, a differenza di quanto avviene negli Stati Uniti,<br />

dove il fallimento del progetto di riforma sanitaria, proposto dall’amministrazione Clinton nel 1994<br />

(Health Security Act), ha ulteriormente confermato il carattere settoriale e residuale delle<br />

politiche di welfare. In rapporto a queste due esperienze - che andrebbero in ogni caso<br />

ulteriormente analizzate e descritte - l’Italia si trova nella condizione di poter evitare gli errori già<br />

commessi e di mettere a frutto tutto ciò che di positivo è stato invece realizzato.<br />

Una delle strade da percorrere potrebbe essere quella di reperire le modalità per migliorare la<br />

quantità e la qualità dei servizi, anche senza ulteriori aggravi di spesa per lo stato (che in ogni<br />

caso deve fare la sua parte, soprattutto in campo fiscale), studiando le forme più pertinenti e<br />

idonee per consentire allo stato e agli enti locali di valorizzare le risorse solidaristiche presenti nel<br />

nostro paese, forse in misura maggiore che non negli Stati Uniti e in Germania. Se si decidesse di<br />

percorrere questa strada, all’interno di una concezione dello stato che non può essere diversa da<br />

quello dello stato <strong>sociale</strong> presente nella nostra costituzione, forse saremmo in grado di trovare<br />

modalità originali per coniugare l’intervento pubblico con i mondi <strong>della</strong> solidarietà, del volontariato<br />

e del privato-<strong>sociale</strong>.<br />

108 Ibid.

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