Marrocu, Scarpe rosse, tacchi a spillo - Sardegna Cultura
Marrocu, Scarpe rosse, tacchi a spillo - Sardegna Cultura
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Luciano <strong>Marrocu</strong><br />
<strong>Scarpe</strong> <strong>rosse</strong>,<br />
<strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong><br />
Il Maestrale
Tascabili . Narrativa
Dello stesso autore con Il Maestrale:<br />
Fáulas, 2000<br />
Debrà Libanòs, 2002<br />
Editing<br />
Giancarlo Porcu<br />
Grafica e impaginazione<br />
Nino Mele<br />
Imago multimedia<br />
Foto di copertina:<br />
© Daniela Zedda<br />
© 2004, Edizioni Il Maestrale<br />
Redazione: via Massimo D’Azeglio 8 - 08100 Nuoro<br />
Telefono e Fax 0784.31830<br />
E-mail: edizionimaestrale@tiscali.it<br />
Internet: www.edizionimaestrale.it<br />
ISBN 88-86109-81-4<br />
Luciano <strong>Marrocu</strong><br />
<strong>Scarpe</strong> <strong>rosse</strong>, <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong><br />
Il Maestrale
1<br />
La giornata pubblica di Pompeo Amicucci era iniziata<br />
intorno alle dieci del mattino con la solita veloce ammiccante<br />
apparizione al caffè Colombia di via Marmorata.<br />
Non era sfuggito al barista, mentre gli versava un Campari,<br />
il significato di quella strizzatina d’occhio, certo un<br />
modo di ricordargli la rata che doveva pagare a fine mese.<br />
Amicucci era l’esattore di alcuni dei più quotati strozzini<br />
di Roma e puntualità e precisione nei pagamenti erano,<br />
con lui, leggi inderogabili. Dopo il Colombia, si era occupato<br />
di alcuni conti in sospeso che aveva in zona. A mezzogiorno,<br />
come ogni giovedì, aveva pranzato con la vecchia<br />
zia. A tavola, dopo qualche bicchiere di vino, si era<br />
lasciato andare alla promessa di una radio nuova, con annesso<br />
giradischi e mobile bar. Poi il consueto sonnellino<br />
pomeridiano, in un stanza da letto che la zia, religiosamente,<br />
riservava allo scopo.<br />
Il resto del pomeriggio l’aveva passato alle Capannelle.<br />
Perdita massima mille lire, si era detto, mentre al volante<br />
della sua Appia filava verso l’ippodromo. Nella prima<br />
corsa Menenio Agrippa gli aveva fatto guadagnare qualcosa.<br />
Nella seconda per poco con Soldatino e Smargiasso<br />
non beccava l’accoppiata. Ma già alla terza era sotto di<br />
milleduecento lire. E così aveva smesso. Quelli che per<br />
star dietro ai cavalli finivano dagli strozzini, lui li conosce-<br />
5
va bene, lui sapeva quando fermarsi, e non solo con i cavalli.<br />
Un uomo prudente, così era considerato nel suo ambiente,<br />
deciso sì - sapeva come passare alle vie brevi - ma<br />
prudente. Aveva lasciato l’ippodromo che il grande orologio<br />
sopra i botteghini delle scommesse faceva le quattro<br />
e mezza.<br />
Parcheggiò l’Appia in via Vetulonia. L’appuntamento<br />
era per le sette, aveva ancora due ore.<br />
– Buonasera, signor Amicucci, – lo salutò la cassiera del<br />
caffè.<br />
Quel caffè sotto casa era un po’ la sua base d’operazioni:<br />
chi voleva incontrarlo sapeva che durante la giornata<br />
prima o poi ci avrebbe fatto un salto. Naturale che avesse<br />
fissato là l’appuntamento di quella sera.<br />
Tracannò d’un fiato il primo Campari e subito ne ordinò<br />
un altro.<br />
– Ebbé, Aurelio, come ti sembra questo Selmosson, c’ho<br />
idea che alla Roma le hanno dato una bufala con ’sto Raggio<br />
di Luna, – disse al cameriere che gli serviva a tavolino<br />
il secondo Campari.<br />
– Veramente Selmosson è della Lazio, signor Amicucci.<br />
Ad Amicucci il calcio non interessava. Gli sembrava,<br />
però, un argomento per camerieri, anche se Aurelio più<br />
che col calcio amava intrattenere i clienti con un suo personalissimo<br />
repertorio di buffonerie, giochi di parole, arditi<br />
percorsi metafisici, che però riservava a persone di<br />
suo gradimento.<br />
6<br />
Non era certo per pagare che quella donna aveva chiesto<br />
di incontrarlo, pensò Amicucci portando alle labbra il<br />
terzo Campari. Aveva versato la sua rata mensile solo la<br />
settimana prima, e non si era mai visto che quei pidocchiosi<br />
anticipassero i pagamenti. Voleva altri soldi, probabilmente,<br />
ecco cosa voleva. Negli ultimi tempi Amicucci<br />
aveva iniziato anche lui a dare qualche lira a strozzo: piccole<br />
somme per ora, tanto per cominciare a mettersi in<br />
proprio. – Fai bene, Pompeo, – aveva commentato la vecchia<br />
zia, – così ti levi dalla strada, che tra l’altro non c’hai<br />
più l’età.<br />
Il telefono squillò.<br />
– Il signor Amicucci? – chiese conferma la cassiera. – È<br />
qui, glielo passo subito.<br />
Quando prese la cornetta dalle mani della donna, Amicucci<br />
fece una smorfia come a dire che non aveva la minima<br />
idea di chi lo stesse cercando.<br />
– Pronto… ah, è lei… capisco… non più al caffè… va<br />
bene, allora, tra mezz’ora a casa mia.<br />
– Segnami tre Campari, – disse alla cassiera uscendo.<br />
Il quaderno era sul piano di marmo del tavolo di cucina.<br />
Pompeo lo aprì e inforcò gli occhiali. Quegli occhiali<br />
da presbite erano una novità: il regalo dei suoi cinquanta<br />
anni appena compiuti. Sì, ecco… ricordava bene… ottobre<br />
e novembre non aveva pagato, però a dicembre aveva<br />
pagato, compresi gli arretrati.<br />
Chiuse il quaderno e si tolse gli occhiali, poggiandoli<br />
sul tavolo. Era stata la donna a chiedere che si incontrassero<br />
a casa sua. “Vediamoci a casa sua, signor Amicucci.”<br />
7
Glielo aveva detto con una vocina… una vocina così promettente…<br />
Amicucci sorrise.<br />
Il canarino, dalla gabbia, cominciò a cinguettare.<br />
– Cosa ti ridi tu, stronzetto? Che se non te la trovavo io<br />
una canarina erano pippe e basta.<br />
Suonò il campanello. Percorrendo l’andito, Amicucci<br />
si fermò per un attimo di fronte allo specchio, si ravviò i<br />
capelli e si aggiustò il nodo della cravatta. Poi aprì la<br />
porta.<br />
8<br />
2<br />
L’avvocato Luciano Serra era un melanconico, con tendenza<br />
alla depressione e un retrogusto di masochismo.<br />
La diagnosi se l’era fatta da sé e ne trovava conferma ogni<br />
giorno quando entrando la mattina nel suo studio pensava<br />
di voler essere altrove. Oggi poi…<br />
Posò sigarette e accendino sulla sinistra della scrivania.<br />
Alla destra mise la stilografica e al centro il fascicolo della<br />
causa di cui si stava occupando. Erano i gesti cui affidava<br />
ogni mattina l’inizio, sempre difficile, della sua giornata<br />
di lavoro.<br />
Si alzò, andò alla finestra e guardò il cielo. Fuori pioveva.<br />
Nell’altra stanza, un bugigattolo senza finestre che serviva<br />
da archivio, sentì il cavaliere pestare sulla macchina<br />
da scrivere. Era come se le vedesse le sue manone, le dita<br />
corte simili a salsicce, mentre massacravano la tastiera<br />
della Remington. Quando la mattina Serra arrivava in studio,<br />
il cavaliere era già al lavoro: a battere a macchina, oppure<br />
a riordinare l’archivio, sempre con l’aria indaffarata<br />
di chi vuole dimostrare d’essere utile.<br />
Serra si rimise alla scrivania, cominciò a sfogliare il fascicolo.<br />
9
…non essendo stato rinnovato il contratto di locazione,<br />
Lei è tenuto ad abbandonare l’appartamento della mia<br />
cliente entro e non oltre…<br />
Accese una sigaretta. No, proprio non gli riusciva di<br />
concentrarsi.<br />
Forse aveva sbagliato a lasciare la Polizia. Forse era proprio<br />
quello il suo posto: compiti precisi, una struttura definita,<br />
nulla da inventare. Tutto questo, però, se mai era<br />
stato vero, aveva presto smesso di esserlo. Un’ipotesi, una<br />
fantasia, che non aveva resistito alla prova dei fatti. Per intenderci,<br />
era stato il tipo del poliziotto frustrato, Serra, un<br />
poliziotto a metà, meno della metà di un poliziotto. Aveva<br />
provato di tutto per riempire la metà vuota. A un certo<br />
punto aveva ripreso gli studi in Leggi. Si era persino preso<br />
la laurea, una di quelle lauree in divisa, una laurea di guerra.<br />
Avrebbe potuto utilizzarla in Polizia quella laurea e invece<br />
era appena terminata la guerra e Serra si era dimesso.<br />
Poi aveva dato l’esame da procuratore, a cui si era presentato<br />
senza convinzione, e che invece aveva superato.<br />
Qualche mese più tardi era arrivato il cavaliere, il cavaliere<br />
Eupremio Carruezzo, l’ex commissario di prima classe<br />
Eupremio Carruezzo.<br />
Serra l’aveva incontrato a Palazzo Giustizia. Per anni ci<br />
aveva lavorato insieme, prima nella Questura di Roma<br />
poi come suo assistente nella tenebrosa Divisione Affari<br />
Generali e Riservati del Ministero dell’Interno. L’8 settembre<br />
li aveva divisi, sorprendendo l’uno a Nord, Carruezzo,<br />
e l’altro, Serra, a Sud. Da allora si erano completamente<br />
persi di vista.<br />
10<br />
L’abito stazzonato, un aspetto che tradiva i suoi settant’anni,<br />
Carruezzo aveva forse perso qualche chilo, pur<br />
continuando a dare l’impressione di un uomo decisamente<br />
grasso. Non lavorava più al Ministero dell’Interno. Costretto<br />
alle dimissioni. – Non che la cosa faccia molta differenza,<br />
– aveva aggiunto. – Presto sarei lo stesso andato<br />
in pensione. – Anche lo sguardo era diverso, quasi sfuggente.<br />
Si era però commosso quando Serra aveva rievocato<br />
la mamma, la signora Jolanda. – Mamma le voleva bene,<br />
sa. Diceva sempre che lei assomigliava al povero babbo<br />
da giovane.<br />
Neppure a Serra era chiaro perché, alla fine di quell’incontro,<br />
avesse detto a Carruezzo di avere bisogno di un<br />
collaboratore. – Se cercava un giovane di studio, – era<br />
stata la risposta di Carruezzo, – l’ha trovato.<br />
Quella domestica sarda, quell’Adelina Demontis.<br />
Dopo anni di sfratti e litigi condominiali, la prima causa<br />
degna di questo nome.<br />
Gli era arrivata attraverso una zia cagliaritana, una delle<br />
sorelle della madre. Cosa succede a una domestica sarda<br />
a Roma se l’accusano di omicidio? Che dalla <strong>Sardegna</strong><br />
i suoi parenti le trovano un avvocato sardo: magari coglione<br />
e inesperto, ma sardo.<br />
Serra si sentiva inadeguato. Difendere qualcuno dall’accusa<br />
di omicidio non era uno scherzo. Specie se questo<br />
qualcuno si proclamava innocente. Poniamo che Adelina<br />
Demontis fosse veramente innocente, e che invece il tribunale<br />
la dichiarasse colpevole, condannandola a trent’anni.<br />
E questo per incapacità del suo avvocato. Forse<br />
11
che un avvocato deve essere convinto dell’innocenza del<br />
suo cliente? Non necessariamente. Anche i colpevoli hanno<br />
diritto ad essere difesi. Sì, certo, ma come si fa a dimostrare<br />
l’innocenza di qualcuno se si pensa che è colpevole…?<br />
“Vostro onore, mi rimetto alla clemenza della corte.”<br />
Perché Adelina Demontis non si era trovato un vero<br />
avvocato?<br />
Si alzò di nuovo e si avvicinò alla finestra. La pioggia era<br />
aumentata e la gente si affollava sulla soglia dei negozi in<br />
attesa che calmasse. Alla fermata del tram di Porta Maggiore,<br />
sulla pedana, solo un vecchio, con un grande ombrello<br />
nero, sfidava la pioggia martellante.<br />
Era stata la portinaia a vederla. Ed era stata la portinaia<br />
a telefonare in questura. Di solito le pulizie in casa di Amicucci,<br />
un appartamento al primo piano, le finiva alle undici,<br />
ma quella mattina se n’era andata prima, lasciando dei<br />
piatti da lavare. Era tornata da Amicucci verso le sette di<br />
sera. – Sì, verso le sette di sera, – aveva ripetuto alla polizia.<br />
– No, non posso essere più precisa, mica sto a guardar<br />
l’orologio a ogni passo. – Aveva suonato il campanello,<br />
come faceva sempre prima di entrare, ma niente: nessuno<br />
aveva risposto. Solo allora aveva usato le chiavi. Aveva visto<br />
la scena dall’andito: quella donna con in mano una<br />
specie di soprammobile, un pezzo di quarzo, in piedi di<br />
fronte al letto dove, riverso su un fianco, c’era Amicucci<br />
con la testa sfondata. La portinaia aveva avuto la prontezza<br />
di lasciare subito l’appartamento. La telefonata in questura,<br />
l’aveva fatta da casa del geometra Frigerio del terzo<br />
piano. Quando i poliziotti erano arrivati, avevano trovata<br />
12<br />
Adelina Demontis seduta nell’ingresso, come se li aspettasse.<br />
Negli interrogatori successivi all’arresto, Adelina Demontis<br />
non aveva detto nulla che servisse a scagionarla.<br />
Lì, solo a ripetere che non era stata lei ad uccidere Amicucci.<br />
L’esigenza di sapere qualcosa di più sugli inquilini del<br />
trentasei di via Vetulonia - “il palazzo del cravattaro morto<br />
ucciso” come l’avevano foscamente ribattezzato nel<br />
quartiere - era stata affacciata da Serra in modo abbastanza<br />
generico, eppure Carruezzo si era subito investito del<br />
compito di quella ricerca.<br />
– Però bisogna iniziare dal contesto, – aveva sentenziato<br />
il cavaliere, e se ne era andato in giro nel quartiere a<br />
parlare con chiunque - bottegai, pensionati, perditempo<br />
di ogni genere - accettasse di parlare con lui.<br />
Fatto di sangue sconvolgente, quello di via Vetulonia:<br />
questo aveva ripetuto in coro la gente a Carruezzo. Sconvolgente,<br />
di certo il più sconvolgente in zona negli ultimi<br />
anni. È vero: sei mesi prima una donna era stata trovata<br />
morta ammazzata a casa sua, in via Casale di Merode. Ma<br />
via Casale di Merode è già oltre la marrana della Caffarella,<br />
per cui siamo già all’Ardeatino e dall’Ardeatino alle<br />
baracche di Porta Furba sono due passi, e poi quel caso<br />
era tutto diverso: una puttana, ad ucciderla a botte il suo<br />
protettore, una cosa tutta tra loro insomma. Non che Amicucci<br />
fosse stimato persona onesta o fosse particolarmente<br />
ben voluto nella zona, diceva la voce pubblica, ma il fatto<br />
stesso di abitare in via Vetulonia, a due passi da piazza<br />
13
Tuscolo cioè, che poi vuol dire San Giovanni, lo rendeva<br />
parte di un quartiere rispettabile, e dunque in qualche<br />
modo rispettabile lui stesso. Ad accrescere il disagio del<br />
quartiere, c’era poi il fatto che il fermo della domestica<br />
sarda non aveva del tutto sollevato dal sospetto i coinquilini<br />
di Amicucci.<br />
Sul trentasei di via Vetulonia, un condominio sino ad allora<br />
anonimo e tranquillo, si era precipitato nei giorni appena<br />
successivi al fatto un nugolo di poliziotti. Era anche<br />
apparso il capo della squadra mobile Matrone, e questo<br />
aveva fatto pensare che sarebbe stato lui in persona a condurre<br />
le indagini. Poi la faccenda era finita nelle mani del<br />
commissario Amitrano, scelta abbastanza indicativa per<br />
chi fosse addentro alle segrete cose della Questura, segnalando<br />
la convinzione di Matrone che su quel caso non vi<br />
fosse, nella sostanza, più nulla da indagare. Tramutato in<br />
arresto il fermo della domestica sarda, il più era fatto. Ad<br />
Amitrano sarebbero toccate “le indagini di rifinitura”,<br />
aveva detto Matrone, sottintendendo che solo di “indagini<br />
di rifinitura” Amitrano fosse capace. Così, nel giro di<br />
una settimana la presenza dei poliziotti al trentasei di Via<br />
Vetulonia si era prima diradata per poi cessare del tutto.<br />
L’interrogatorio dei condomini su dov’erano e cosa facevano<br />
al momento del delitto, se avevano un alibi insomma,<br />
all’inizio capillare e sistematico, si era col passare dei<br />
giorni sfilacciato in una serie di casuali accertamenti che<br />
Amitrano aveva chiamato “a macchia di leopardo”.<br />
Pareva a Carruezzo che il quartiere avesse registrato con<br />
un certo sollievo la fine, o quasi, delle indagini su Amicucci.<br />
Bisogna poi dire che non tutti nel quartiere erano al<br />
corrente dei suoi collegamenti malavitosi, anche perché<br />
14<br />
questi collegamenti non è che fossero particolarmente<br />
evidenti. All’interno del mondo criminale romano, i cravattari<br />
costituivano il ramo meno organizzato, con una<br />
certa propensione all’individualismo, e il ramo, soprattutto,<br />
socialmente più differenziato, non mancando tra le<br />
sue fila prìncipi della nobiltà nera, ufficiali di cavalleria,<br />
alti prelati, produttori cinematografici. Ma Pompeo Amicucci,<br />
nonostante i suoi recenti progetti e aspirazioni, non<br />
era propriamente un cravattaro, ma un uomo di mano dei<br />
cravattari, e dunque - divagava Carruezzo - un manovale<br />
del crimine, una figura alla fine imbarazzante per l’idea di<br />
sé di un quartiere come quello intorno a Piazza Tuscolo<br />
che, proiettato verso modelli di rispettabilità borghese,<br />
era però reso inquieto dalla contiguità con la Roma proletaria<br />
e popolare che avanzava ai suoi confini. Bastava che<br />
una strada prima sterrata venisse coperta d’asfalto, o che<br />
un antico villino di periferia sparisse lasciando spazio a un<br />
palazzone, perché quella nuova Roma facesse un altro minaccioso<br />
balzo in avanti, non solo occupando i terreni rimasti<br />
tra i quartieri nuovi e i precedenti confini cittadini<br />
ma insinuandosi, in alcuni punti, nel corpo stesso della<br />
città d’anteguerra.<br />
Tutto questo veniva oscuramente percepito dal quartiere,<br />
portandolo a sviluppare nei confronti di Amicucci<br />
una autentica damnatio memoriae, secondo la definizione<br />
di Carruezzo. – Il morto ammazzato di via Vetulonia?<br />
– gli aveva risposto Amedeo Feroci, titolare dell’avviatissima<br />
macelleria di Piazza Tuscolo da lui interrogato sul<br />
recente omicidio: – Non si può dire che fosse proprio del<br />
quartiere.<br />
15
Carruezzo entrò nella stanza, agitando un foglio di<br />
carta.<br />
– Serra, mi sono permesso di fare un po’ di conti.<br />
– Conti su che cosa, cavaliere?<br />
– Lo studio: entrate e uscite.<br />
– Ebbene?<br />
– Un disastro. Sa quanto è entrato allo studio in parcelle<br />
durante tutto l’anno scorso?<br />
– Il 1956 non è stata una grande annata, lo ammetto.<br />
– È necessario prendere provvedimenti.<br />
– Del tipo?<br />
– Mi sospenderò dallo stipendio.<br />
– Ma lei non prende una lira.<br />
– Appunto, evidentemente non basta. Ho deciso che<br />
d’ora in poi sarò io a pagare l’affitto dello studio.<br />
– Tutto questo non ha senso, cavaliere. Lei dovrebbe ricevere<br />
uno stipendio dallo studio, non mantenerlo.<br />
– Difendo il mio posto di lavoro, ecco quello che faccio.<br />
16<br />
3<br />
– Ebbé, avvocato, cosa mi dice di questo caffè?<br />
Serra stava ancora portando la tazzina alla bocca ma sapeva<br />
già cosa avrebbe risposto. Mandò giù il primo sorso:<br />
– Da resuscitare i morti, appuntato Capurso.<br />
– A fare il caffè me l’ha insegnato un ergastolano. Uno<br />
che aveva ammazzato la moglie a colpi di ferro da stiro.<br />
– E qual è il segreto?<br />
Sconcerto sul volto dell’appuntato.<br />
– Non per ammazzare la moglie, Capurso, il segreto del<br />
caffè…<br />
– Prendere il caffè in grani e macinarlo molto lentamente.<br />
Poi, quando si mette la caffettiera sul fuoco, tenere<br />
la fiamma bassissima. Non avere fretta, insomma. E a<br />
noi, qui, il tempo non manca di certo.<br />
Il caffè di Capurso era un omaggio al passato in Polizia<br />
di Serra. All’avvocato era offerto dentro la guardiola, una<br />
piccola stanza mal illuminata con appena lo spazio per un<br />
tavolino e qualche sedia, che stava appena al di là del portone<br />
d’ingresso al carcere.<br />
La guardiola, questa delle Mantellate come quella di<br />
tutte le carceri, è una camera stagna: hai lasciato il mondo<br />
di fuori, ma non sei ancora dentro. Non si mette piede in<br />
un carcere - non da uomo libero, almeno - se non si ha il<br />
17
proprio nome nell’elenco dei visitatori della giornata. La<br />
guardiola serve appunto a questo: a verificare che il tuo<br />
nome sia nell’elenco, a controllare i tuoi documenti - a<br />
Capurso però era bastato il semplice accenno di Serra a<br />
tirar fuori la carta d’identità - ed è anche il posto dove il<br />
visitatore attende che, da dentro il carcere, giunga il passi<br />
definitivo.<br />
– Serra può entrare, – gracchiò il telefono. Capurso<br />
non aveva grande familiarità con lo strumento e teneva la<br />
cornetta premuta con forza all’orecchio.<br />
Posò la cornetta e all’altra guardia carceraria disse: –<br />
L’avvocato Serra l’accompagno io.<br />
Attraversarono cortili e corridoi, un vero labirinto. Capurso<br />
portava con sé un grande anello di ferro con decine<br />
di chiavi. Trovava una porta, pescava con gesto secco<br />
la chiave giusta tra tante ad occhi profani indistinguibili,<br />
apriva la porta. Poi c’era un’altra porta, e un’altra ancora.<br />
Mentre camminava, stava sempre un passo avanti a<br />
Serra.<br />
– Adelina Demontis è una sua paesana, vero avvocato?<br />
– Sì, è sarda.<br />
– Strano tipo, non sembra neppure una serva.<br />
– Perché, come sono le serve?<br />
– Bisogna distinguere. Ci sono le serve con le tette grandi<br />
e quelle con i baffi.<br />
– Se è per questo, io ne conosco che c’hanno tutt’e due:<br />
le tette e i baffi, voglio dire.<br />
– Insomma questa qui non la diresti mai una serva.<br />
– Come ti sembra che stia reagendo al carcere?<br />
– Devo ancora trovarlo uno che al carcere reagisce bene.<br />
La sua cliente, in ogni modo, è una di quelle che non<br />
18<br />
si lamentano. Solo con la suora si è lasciata andare e ha ripetuto,<br />
piangendo, che lei è innocente.<br />
L’ennesima porta. Questa volta Capurso aveva tirato<br />
fuori la chiave sbagliata. Incredulo, continuava a forzarla<br />
nella serratura. Poi si arrese e ne scelse dal mazzo un’altra.<br />
– Sto proprio rincoglionendo, – brontolò mentre la porta<br />
si apriva.<br />
Adelina Demontis non aveva le tette grandi, e neppure i<br />
baffi. Aveva capelli neri, leggermente crespi, che portava<br />
raccolti con una crocchia sulla nuca. Indossava il grembiule<br />
grigio delle carcerate. A vederla così Serra le dava<br />
trentacinque anni, ma poteva anche averne qualcuno di<br />
più. Era entrata nella saletta dei colloqui accompagnata<br />
da un secondino, che poi si era allontanato.<br />
Solo dopo essersi seduta porse la mano a Serra, di fronte<br />
a lei, all’altro lato del tavolo.<br />
Serra si guardò intorno, guardò alle quattro pareti.<br />
Avrebbe voluto levarsi l’impermeabile, ma nella stanza<br />
non c’erano attaccapanni. Si sfilò però i guanti di pelle e li<br />
poggiò sul tavolo. Sul tavolo adagiò anche la cartella.<br />
– È importantissimo che mi racconti con precisione<br />
quello che è successo, – esordì l’avvocato.<br />
Ora che l’aveva di fronte, Serra capiva cosa volesse dire<br />
Capurso. Adelina Demontis gli ricordava la sua professoressa<br />
di latino al ginnasio. Gli stessi occhi neri allungati, le<br />
sopracciglia folte, le labbra sottili. Ma soprattutto lo stesso<br />
sguardo diritto e severo che aveva la professoressa di<br />
latino quando s’infilava, torbida e dissoluta, nelle sue complicate<br />
fantasie di adolescente.<br />
19
– Avvocato, posso affidarle un messaggio per la famiglia<br />
dove lavoro?<br />
– Naturalmente.<br />
– Dica al professor Zanda che io sto bene.<br />
– Non ti preoccupare, il professore avrà il tuo messaggio.<br />
Ora, però, dimmi di quel giovedì.<br />
– Ho già detto tutto alla Polizia e non mi hanno creduto.<br />
– Dì a me, ora.<br />
– E anche se parlo? Tanto non serve a nulla.<br />
– Serve, Adelina, ti assicuro che serve.<br />
– Io quell’Amicucci l’ho trovato già morto. Disteso sul<br />
letto e morto.<br />
Ma non era l’inizio di un racconto. Ora Adelina Demontis<br />
taceva.<br />
– Perché eri andata a casa di Amicucci? – riprese l’avvocato.<br />
– Per il motivo che ho detto alla Polizia.<br />
– Adelina, sei in un brutto guaio. Puoi uscirne solo dimostrando<br />
che sei innocente.<br />
– Io non ho fatto nulla… non l’ho ucciso io….<br />
– Avevi in mano quella pietra però.<br />
– Io… non lo so bene quello che è successo. Ero andata<br />
da lui solo per avere soldi.<br />
– Tu ogni mese versavi tremila lire ad Amicucci: questo<br />
risulta alla Polizia. Era la restituzione di un prestito?<br />
– Hanno trovato il mio nome in quel suo schifoso quadernetto,<br />
vero?<br />
– Proprio così. Dunque tu non avevi ancora pagato il<br />
primo debito e pensavi di avere altri soldi. A che cosa ti<br />
servivano?<br />
20<br />
– A restituire la somma che dovevo a un certo Cocchiara,<br />
l’usuraio per cui Amicucci lavorava. È stato lo stesso<br />
Amicucci a propormelo.<br />
– A proporti che cosa?<br />
– Di darmi lui i soldi per Cocchiara. Diceva che per restituire<br />
a lui ci saremmo messi d’accordo.<br />
Adelina Demontis teneva le braccia conserte, sopra il<br />
tavolo. Non le si vedevano le mani ed erano proprio le<br />
mani, invece, che Serra avrebbe voluto vedere. Per un<br />
momento gli era balenata l’immagine di Adelina che cala<br />
il blocco di quarzo sulla testa di Amicucci.<br />
– È inutile, – riprese Adelina Demontis. – Anche lei non<br />
mi crede.<br />
– Che io ti creda non basta. Bisogna convincere i magistrati.<br />
E per convincerli bisogna far luce su ogni singolo<br />
punto. Chiarire, tra l’altro, il motivo per cui sei ricorsa a<br />
uno strozzino come Cocchiara.<br />
– Avevo bisogno di soldi.<br />
– C’entra qualcosa il processo a tuo fratello in questo bisogno<br />
di soldi?<br />
– Già lo sa anche lei che gli avvocati non lavorano gratis.<br />
– Tuo fratello è sotto processo per un sequestro di persona,<br />
se non sbaglio.<br />
– Mio fratello non c’entra nulla con questa faccenda.<br />
– Quanto ti aveva prestato Cocchiara?<br />
– Ventimila lire.<br />
– … che ti servivano per pagare la difesa di tuo fratello.<br />
– Per questo e per altro. Forse…<br />
Adelina Demontis s’interruppe, come se quel “forse”<br />
avesse potuto condurla a cose che non voleva dire.<br />
21
– Forse…? – incalzò Serra.<br />
– Forse è stata una leggerezza farmi prestare quei soldi.<br />
Già a questo punto Serra si era fatto l’idea che Adelina<br />
Demontis nascondesse qualcosa. Anche quello che la donna<br />
gli avrebbe detto più avanti su ciò che era successo<br />
quel giovedì sera – la porta di casa trovata aperta, il corpo<br />
di Amicucci riverso sul letto, il gesto irriflesso di sollevare<br />
quel blocco di quarzo – non lo avrebbe convinto. Però<br />
quel racconto, proprio perché sgangherato, tutto poteva<br />
essere tranne l’autodifesa di una colpevole.<br />
22<br />
4<br />
– Ho avuto modo di incontrare suo padre, sa?<br />
– A Cagliari, suppongo.<br />
– A Cagliari: nel 1930 o nel 1931. Ero ancora un suo collega<br />
a quei tempi, poi dopo qualche anno ho iniziato a insegnare…<br />
suo padre era già in pensione, e lo studio per<br />
cui lavoravo, lo studio dell’avvocato Defraia… magari lo<br />
ricorda, l’avvocato Defraia, aveva lo studio in Piazza Martiri,<br />
quasi di fianco a Tramer…<br />
– Ricordo di averlo sentito nominare da mio padre. Era<br />
un avvocato di grido…<br />
– Nel senso più letterale del termine… mi perdoni la<br />
battuta, ma le arringhe di Defraia… le sentivo così tonanti,<br />
così trombonesche, così lontane dalla mia idea di ciò<br />
che dovesse fare ed essere un avvocato. I giovani sono severi<br />
ed io ero giovane allora. Sa che ora, a lezione, mi ritrovo<br />
a citare passaggi interi delle sue arringhe? E quelle<br />
che mi sembravano allora volgari furbate di Defraia….<br />
Luciano Serra e Attilio Zanda conversavano amabilmente<br />
immersi in due vecchie comode poltrone. Le poltrone<br />
- così come le alte librerie a vetri, lo scrittoio a chiusure<br />
del mobilificio Marino Cao, i quadri di pittori sardi<br />
appesi alle pareti, e ogni altro arredo del suo studio - il<br />
23
professor Zanda le aveva portate con sé da Cagliari quando,<br />
circa dieci anni prima, era giunto a Roma a ricoprire la<br />
cattedra di Procedura Penale e, quasi in contemporanea,<br />
un seggio alla Camera nelle file della Democrazia Cristiana.<br />
Da quel momento nulla era cambiato nel suo studio,<br />
salvo i libri, naturalmente, che avevano continuato ad accumularsi,<br />
non solo ricoprendo sino al soffitto le pareti<br />
dello studio ma tracimando negli anditi e in altre stanze<br />
della confortevole casa di piazza Ungheria. Anche Peppinetta,<br />
la domestichina poco più che adolescente che qualche<br />
momento prima aveva servito ai due il caffè fumante<br />
su un vassoio d’argento, veniva dalla <strong>Sardegna</strong>, da Fraus<br />
esattamente, lo stesso paese in cui il professore era nato e<br />
dove la sua famiglia aveva sempre goduto di posizione e<br />
proprietà. Il fatto che da qualche giorno mancasse Adelina<br />
assegnava a Peppinetta un ruolo nuovo, che lei non<br />
aveva esitato a far proprio, e con alacrità. Preparare il<br />
caffè era stata una sua iniziativa, che aveva anticipato la richiesta<br />
del professore.<br />
La conversazione tra Luciano Serra e Attilio Zanda, che<br />
stava a quel punto virando sulla comune origine dei due,<br />
era iniziata dal messaggio di Adelina, di cui Serra si era<br />
fatto portatore. Poi era stato il professore ad esprimere<br />
sconcerto per la disgrazia capitata a Adelina: mai e poi<br />
mai avrebbe potuto credere che si fosse macchiata d’un<br />
delitto del genere. Anche il fatto che fosse potuta “cadere<br />
nelle reti d’un usuraio” lo lasciava esterrefatto. Conosceva<br />
Adelina da quand’era bambina. Anche lei come Peppinetta<br />
(e come ogni altra domestica di casa Zanda, passata<br />
e futura) era di Fraus. Stava con loro da un’infinità d’anni:<br />
ora ne aveva trentotto. Lasciava anche capire, il professo-<br />
24<br />
re, che se Adelina si fosse da subito rivolta a lui, invece che<br />
ai suoi parenti in <strong>Sardegna</strong>… insomma… avrebbe avuto<br />
un altro difensore, magari un principe del foro: questo almeno<br />
aveva capito Serra.<br />
Ora il professore si lasciava andare ai ricordi di quand’era<br />
un giovane penalista a Cagliari, rievocava persone e fatti<br />
della Cagliari di quegli anni, di cui Serra non sapeva<br />
quasi nulla.<br />
– Ma io, con questi miei discorsi, la sto annoiando…<br />
– Affatto. Mi diceva di mio padre, piuttosto.<br />
Quando il professor Zanda aveva nominato suo padre,<br />
Serra aveva sentito come un senso di colpa addensarsi alla<br />
base dello stomaco. Suo padre era morto l’anno prima,<br />
dopo due mesi d’ospedale, e Serra era arrivato a Cagliari<br />
solo per il funerale.<br />
– Sì, certo, il maresciallo Serra… era già in pensione, allora.<br />
Defraia si serviva di lui come una sorta di consulente,<br />
di “esperto di comportamenti criminali”, così diceva il<br />
vecchio Defraia.<br />
– Non avevo mai considerato mio padre sotto questa<br />
luce. E non mi pare che la Cagliari di allora fornisse poi<br />
molti spunti.<br />
– Lei sottovaluta la nostra bella città, avvocato. Certo,<br />
non si può parlare di criminalità organizzata, nulla a che<br />
fare con fenomeni come in Sicilia la mafia, e neppure come<br />
la vendetta barbaricina: pochi fatti di sangue, ma quei<br />
pochi, le assicuro, di bello spessore. Io stesso ricordo di<br />
aver difeso - con totale insuccesso, devo confessare - due<br />
giovani, due fratelli, che fecero letteralmente a pezzi una<br />
loro vecchia zia, mettendola poi dentro una valigia. Non<br />
avevano gradito l’intenzione della zia di nominare suo<br />
25
erede un terzo nipote. La valigia, ricordo, fu ritrovata tra<br />
i cespugli, in riva allo stagno di Molentargius. Insomma,<br />
credo che Defraia avesse il gusto di questo genere di cose,<br />
teneva la statistica dei morti ammazzati in città e suo padre<br />
era un po’ la memoria storica della questura di Cagliari.<br />
Il professor Zanda lo aveva accompagnato sino al pianerottolo.<br />
Mentre scendeva le scale, sentì dai piani più alti passi<br />
leggeri e veloci. La stessa giovane domestica che gli aveva<br />
servito il caffè, raggiunse Serra quand’era ormai nell’atrio<br />
del palazzo.<br />
– Avvocato, scusate un attimo, – lo trattenne. E allo<br />
sguardo interrogativo di Serra: – …magari Adelina le ha<br />
parlato di me. Come sta Adelina?<br />
– Sta come si può stare in carcere. La sua è una posizione<br />
difficile, molto difficile.<br />
– Credete che la faranno uscire? – C’era un’intensità<br />
nel modo in cui la ragazza gli chiedeva di Adelina che<br />
colpì Serra.<br />
– No, se non emergono fatti nuovi, – rispose.<br />
– Lei la deve aiutare avvocato, se non l’aiuta lei…<br />
– Io faccio quello che posso. Ma, ti ripeto, è un caso<br />
molto complicato…<br />
Peppinetta sembrava tesa. Guardava verso le scale, come<br />
se aspettasse o temesse l’arrivo di qualcuno.<br />
– Senza di lei, senza Adelina, io non ci posso stare in<br />
questa casa, – aggiunse.<br />
Serra ebbe l’impressione che Peppinetta avesse qualco-<br />
26<br />
s’altro da dire. La stessa precisa impressione l’aveva ricevuta,<br />
oltre che da Adelina, anche dal professore.<br />
Da Piazza Ungheria a Porta Maggiore c’erano una decina<br />
di fermate, e forse qualcuna di più. La Circolare<br />
scoppiava di gente. Arcigne facciate di palazzi ornate da<br />
titani di pietra con sulle spalle pesanti balconi di marmo<br />
scorrevano lungo viale Regina Margherita. Al Policlinico<br />
furono in molti a scendere: con buste di frutta, arance soprattutto,<br />
che portavano ai parenti in ospedale. Appena<br />
giù dalla Circolare molti aprivano l’ombrello, cadevano<br />
le prime gocce, g<strong>rosse</strong> e pesanti, anche se ancora rade.<br />
Fermata dopo fermata, il tram inghiottiva torme di passeggeri<br />
e altrettanti ne vomitava. E ogni volta si rinnovava<br />
il miracolo dei nuovi passeggeri che, compiuta l’impresa<br />
di salire sul tram strapieno e spinti dal lento movimento<br />
della folla compatta, riuscivano a scivolare verso il centro<br />
della vettura. A regolare tutto questo, un’intelligenza collettiva<br />
da termitaio, al servizio della quale il singolo passeggero<br />
metteva solo la sua disperata volontà di raggiungere<br />
l’uscita.<br />
Serra scese dal tram a Porta Maggiore, accolto da una<br />
pioggia battente. Sollevò il bavero dell’impermeabile, calcò<br />
il cappello in testa e si diresse a grandi passi verso lo studio.<br />
27
5<br />
E poi c’era Marianna, la fedele Marianna. Come altro<br />
chiamarla, se no?<br />
Si erano conosciuti nel mezzo di una fila alla biglietteria<br />
del Quirino. Davano Via col Vento. Era una domenica di<br />
Novembre e Serra aveva passato il primo pomeriggio a seguire<br />
per radio i risultati del calcio, Catania-Cagliari: 0-2.<br />
Poi era uscito con l’idea di fare due passi, ma una pioggia<br />
battente l’aveva sorpreso in via Nazionale. Nonostante la<br />
fila, aveva deciso di entrare al Quirino, per poi pochi minuti<br />
dopo pentirsene.<br />
– Basta, mi sono stufato: me ne vado, – aveva bofonchiato<br />
tra sé e sé, ma a voce abbastanza alta.<br />
– Abbia pazienza, – era intervenuta lei, – non si pentirà,<br />
è un film bellissimo.<br />
– L’ha già visto?<br />
Marianna era arrossita: – Questa è la quarta volta.<br />
Avevano chiacchierato tutto il tempo della fila ed era<br />
venuto fuori che lei lavorava nel ristorante della madre,<br />
in via Tacito, ai Prati.<br />
Marianna aveva occhi grandi e scuri e labbra carnose.<br />
Al momento dell’incontro con Serra, aveva appena rotto<br />
un fidanzamento di anni e passava tutti i suoi pomeriggi al<br />
29
cinema. Alle scene d’amore le scendevano i lucciconi, non<br />
tanto perché si immedesimasse nella storia sullo schermo<br />
ma per certi dettagli minuti e apparentemente insignificanti<br />
che, attraverso vie misteriose, finivano per parlarle<br />
di lei. La prendeva in quei momenti un intenerimento per<br />
se stessa e per la sua esistenza, così lontana dalla vita appassionata<br />
e piena di trasporto dei personaggi dei film.<br />
Era passato solo un giorno da quell’incontro e Serra si<br />
era presentato al ristorante di via Tacito. Aveva scelto un<br />
tavolo d’angolo in fondo alla sala e dopo essersi consultato<br />
con un cameriere dai capelli bianchi aveva ordinato spaghetti<br />
alla carbonara e un’insalata. Marianna era apparsa<br />
solo alla fine del pranzo, portandogli la frutta. Aveva atteso<br />
che fosse lui a mostrare di riconoscerla. Dopo una settimana<br />
in cui ogni giorno Serra era andato a cenare in via<br />
Tacito, avevano cominciato a uscire insieme. Si vedevano<br />
già da qualche mese, quando lei aveva accettato di passare<br />
una sera da lui. Serra viveva in un piccolo appartamento<br />
non lontano da Piazza Fiume. In cucina Serra aveva stappato<br />
una bottiglia di spumante. Quando era tornato in<br />
soggiorno, l’aveva trovata senza scarpe che curiosava tra i<br />
suoi libri. Marianna aveva tirato fuori da uno scaffale Per<br />
chi suona la campana. – È bello come il film? – gli aveva<br />
chiesto. Poi, senza aspettare la risposta, aveva aperto il libro<br />
a caso e aveva letto a voce alta dove Maria entra nel<br />
sacco a pelo di Robert Jordan. Vieni dentro, coniglietto,<br />
non aver paura, sì, sì, lo desideravo anch’io, ora non mi<br />
amerai più, ti amo, ti amavo da sempre e non ti avevo mai<br />
visto. Avevano fatto l’amore in quella stessa stanza, sul divano.<br />
Dopo lei aveva detto: – Se avessi saputo che far l’amore<br />
con te era così, non avrei aspettato tanto.<br />
30<br />
Con i soliti quadri alle pareti e il sobrio decoro dei locali<br />
romani che vogliono un poco distinguersi dalle trattorie<br />
a buon prezzo, il ristorante di via Tacito era diventato<br />
per Serra uno spazio domestico. Non che ci fosse<br />
nel suo modo di fare qualcosa a distinguerlo da un normale<br />
habitué. Sedeva ogni sera nel tavolo d’angolo della<br />
prima volta e a servirlo era lo stesso cameriere dai capelli<br />
bianchi che, come accadeva a tutti gli assidui, ora Serra<br />
chiamava Ottavio. Seduto in fondo alla sala, Serra osservava<br />
compiaciuto Marianna girare tra gli avventori.<br />
Solo verso le undici, con la cucina ormai chiusa, lei si sedeva<br />
al suo tavolo, ed era così che di solito concludevano<br />
la serata. Sempre più spesso, negli ultimi tempi, a cena<br />
gli faceva compagnia Carruezzo. Eternamente a<br />
dieta, il cavaliere si rifaceva suggerendo a Serra i piatti<br />
più gustosi:<br />
– Perché non prende questi fegatelli?<br />
– E queste fave al guanciale non la solleticano?<br />
Poi gli chiedeva un resoconto puntuale, se i fegatelli<br />
erano stati rosolati al punto giusto, ad esempio, o se in<br />
cucina non erano andati troppo pesanti col pepe. Mostrava<br />
una virtuosistica capacità Carruezzo, nelle sue apparizioni<br />
in via Tacito, di allontanarsi dal tavolo di Serra<br />
un attimo prima dell’arrivo di Marianna.<br />
Al ristorante di via Tacito, Serra e Carruezzo avevano<br />
passato la sera dell’ultimo dell’anno, soli all’inizio e poi,<br />
quando tutti i clienti avevano lasciato il locale, in compagnia<br />
di Marianna, della madre di lei, e di Ottavio, il cameriere<br />
dai capelli bianchi. Ottavio, molto richiesto in<br />
cresime e matrimoni per una sua commovente interpretazione<br />
di Anema e core e grande appassionato d’opera,<br />
31
aveva cantato Di Provenza, facendosi poi trascinare da<br />
Carruezzo in un duetto dalla Bohème, quello famoso del<br />
primo atto, con Carruezzo nella parte di Mimì, che aveva<br />
eseguito con voce appassionata e a occhi socchiusi.<br />
Serra e Carruezzo, seduti al solito tavolo, stavano ora<br />
rievocando quella serata, ma il ricordo si era impantanato<br />
su un particolare controverso. Proprio in quel momento,<br />
con miracoloso tempismo, e con sull’avambraccio in acrobatico<br />
equilibrio due piatti di spaghetti al ragù, Ottavio si<br />
era presentato al loro tavolo.<br />
Fu Carruezzo che gli espose il problema: – Primo atto<br />
della Bohème, Ottavio, proprio l’inizio dell’opera…<br />
– Nei cieli bigi guardo fumar dai mille comignoli Parigi…<br />
– intonò il cameriere.<br />
– Un poco più avanti, – disse Carruezzo. Poi anche lui<br />
cantando: – L’amore è un caminetto che sciupa troppo…<br />
– …e in fretta!<br />
– …dove l’uomo è fascina…<br />
– …e la donna è l’alare…<br />
– Ora continui lei. È questo il punto, – disse Carruezzo.<br />
E Ottavio, in sicurezza: – … l’uno brucia in un soffio…<br />
Carruezzo assunse un’aria di trionfo: – Ha visto Serra?<br />
Ha visto? Soffio, soffio, non lampo come si ostina a dire<br />
lei, che poi è anche stonato.<br />
– Mi arrendo, cavaliere. Ha vinto.<br />
Mangiarono gli spaghetti al ragù parlando di ragù. Per<br />
meglio dire, il cavaliere parlò di ragù ricordando quello<br />
che preparava sua madre, la signora Jolanda, la domenica.<br />
Carne magra, mista di maiale e manzo, e carote tritate,<br />
tritate finissime, e poi fuoco lento, un ribollire lento e<br />
32<br />
gorgogliante, di ore. Sì, veramente un gran ragù quello<br />
della signora Jolanda.<br />
33
6<br />
Bizzarro e imprevisto l’incontro con il cavaliere, ma ancora<br />
più bizzarra la quasi contemporanea riapparizione<br />
di Nanni Er Frocione.<br />
Ciorciolini Giovanni, alias Er Frocione, apparteneva a<br />
una stagione che Carruezzo chiamava “la stagione delle<br />
grandi inchieste”. Carruezzo pensava a quegli anni come<br />
al periodo, forse l’unico della sua vita, in cui si era sentito<br />
vigorosamente vivo. Nei suoi racconti, d’altra parte, il<br />
passato, qualunque passato, manteneva sempre un respiro<br />
epico, come se un tono commosso e una manierata magniloquenza<br />
fossero attributi indispensabili di qualsiasi<br />
rievocazione. Le “grandi inchieste” condotte da Carruezzo<br />
e Serra ai tempi dell’oscura e lutulenta Divisione Affari<br />
Generali e Riservati erano state in realtà soltanto due.<br />
Nella prima, che si era svolta a Addis Abeba nel 1937, il<br />
colpevole si era alla fine rivelato da sé, riuscendo poi a dileguarsi.<br />
La seconda, di due anni successiva, era stata<br />
bloccata dalla stessa autorità che l’aveva commissionata -<br />
forse Mussolini in persona - proprio nel momento in cui<br />
Serra stava per mettere le mani sull’assassino. Ciorciolini<br />
Giovanni aveva avuto un ruolo non marginale in questa<br />
seconda vicenda. Sospettato di essere lui l’assassino, si era<br />
poi rivelato innocente: di quel reato, perlomeno, perché<br />
35
altri ne aveva commessi legati alla sua attività di ladro e<br />
scassinatore. Ma di questi altri non aveva dovuto dar conto<br />
nella circostanza, grazie al magnanimo intervento del<br />
cavaliere. Quanto al soprannome, lo stesso Ciorciolini l’aveva<br />
fatto proprio, usandolo come una sorta di nome di<br />
battaglia. – Ciorciolini Giovanni, noto Er Frocione, – si<br />
presentava a volte, ottenendo anche, per come se ne servivano<br />
i colleghi malavitosi, il miracoloso risultato di depurarlo<br />
dalle usuali risonanze.<br />
Insomma, Ciorciolini era capitato nello studio di Serra<br />
solo pochi giorni dopo l’incontro di quest’ultimo col cavaliere.<br />
Forse il nome sulla targa gli aveva ricordato qualcosa,<br />
o forse non era un caso che, avendo continuamente<br />
a che fare con galere tribunali e avvocati, Ciorciolini si<br />
fosse imbattuto in Serra. Il quale Serra, appena se l’era visto<br />
davanti, il gran naso rubizzo e l’aria del piccoletto che<br />
sa farsi rispettare, l’aveva immediatamente riconosciuto.<br />
Subito era stato chiamato il cavaliere, e l’agnizione aveva<br />
assunto toni festosi. C’era voluto poco a Carruezzo per<br />
decretare che Ciorciolini dovesse lavorare per loro: un secondo<br />
«giovine di studio», aveva detto ridacchiando. Più<br />
concreto, Ciorciolini aveva fatto notare di dover mandare<br />
avanti la sua attività, ma che in ogni circostanza in cui ci<br />
fosse stato bisogno della sua esperienza specifica e dei<br />
suoi servizi sarebbe stato ben felice…<br />
Ciorciolini si era comprato un quaderno a quadretti<br />
grandi con la copertina nera, di quelli che si usavano in<br />
prima elementare, e su esso aveva scritto a matita le sue<br />
scoperte su Pompeo Amicucci, il cravattaro. C’era volu-<br />
36<br />
ta una giornata intera a stendere quella relazione e ora<br />
avrebbe voluta leggerla a Carruezzo e Serra.<br />
– Raccontacela tu con parole tue, – lo bloccò Serra.<br />
– Ma capo, se non leggo rischio di confondermi.<br />
– Tu che ti confondi, Nanni, ma da quando in qua?<br />
– Insomma, da quello che ho sentito in giro, Pompeo<br />
Amicucci era uno che a parte la zia e il canarino non guardava<br />
in faccia nessuno. Pagare e zitti, la sua regola. Uno<br />
preciso. Non di quelli che stanno ogni momento a minacciare<br />
e a sbraitare. Tu paghi: bene. Non paghi: il giorno<br />
dopo ti trovi la porta del negozio bruciata, oppure un<br />
braccio rotto, cose così. Niente di più e niente di meno.<br />
– Un vero professionista, insomma.<br />
– Non proprio, non più come un tempo, almeno. Ultimamente<br />
aveva preso una certa strada … da qualche mese<br />
i lavori delicati, rompere le ossa a qualcuno tanto per<br />
intenderci, o altre cose del tipo, non li faceva più lui da se<br />
medesimo, come dev’essere…<br />
– Le inderogabili regole del mestiere, suppongo.<br />
– Lei ci ride, capo. Ma è proprio così. Se no, mi dice lei<br />
che differenza c’è tra l’esattore della Romana Elettrica,<br />
per di’ un esempio, e l’esattore dei cravattari?<br />
– Ciorciolini ha ragione, – intervenne Carruezzo. –<br />
Ogni subcultura criminale ha i suoi codici.<br />
– Il fatto è che, se tu il lavoro su quelli che hanno da pagare<br />
e non pagano, lavoro di pressione, chiamiamolo così,<br />
lo affidi a qualche bulletto e al bulletto gli scappa la<br />
mano… allora è un casino, e agli strozzini a loro gli piace<br />
lavorare sul tranquillo.<br />
– Sta dicendo Ciorciolini, – tradusse Carruezzo, – che<br />
anche il mondo dell’usura ha una sua deontologia e che il<br />
37
lavoro di quelli come Amicucci deve trovare un suo punto<br />
di equilibrio tra lassismo ed eccessi…<br />
– Come ha detto il cavaliere! – confermò con entusiasmo<br />
Ciorciolini.<br />
Serra iniziava a disperare che la relazione di Ciorciolini,<br />
intrecciandosi alle considerazioni di Carruezzo, potesse<br />
giungere al punto.<br />
– Fammi capire, Nanni. Vuoi dire che ad Amicucci gli<br />
hanno sfondato la testa perché qualche suo scherano è<br />
andato troppo avanti col lavoro di pressione, come lo<br />
chiami tu? È questo che vuoi dire?<br />
– No, voglio dire che Amicucci negli ultimi tempi aveva<br />
perso la fiducia dei suoi datori di lavoro, degli strozzini in<br />
altre parole. Di questo ne ho parlato anche col Papa… lo<br />
chiamano così perché è il più vecchio cravattaro sulla<br />
piazza …<br />
– Nanni, al dunque, – lo sollecitò Serra.<br />
– Se non v’interessa…<br />
– C’interessa, c’interessa e come, – intervenne rassicurante<br />
Carruezzo.<br />
– Per farla breve, il Papa ha detto che lo sapevano tutti<br />
nell’ambiente dell’idea di Amicucci di mettersi anche lui<br />
a dar soldi a strozzo, e a qualcuno questa idea non gli piaceva.<br />
Seguì una lunga pausa, come se Ciorciolini avesse terminato,<br />
e invece:<br />
– Ce ne sta un’altra, però, su Amicucci.<br />
Fatto loquace dall’interesse che vide riaccendersi nei<br />
volti dei suoi interlocutori - in quello di Carruezzo, in particolare<br />
- Ciorciolini si addentrò in una dettagliata disamina<br />
delle fonti, fonti primarie e fonti secondarie, e in parti-<br />
38<br />
colare la lunga conversazione con Pet<strong>tacchi</strong>oni Tito, borseggiatore<br />
professionista operante in zona Termini. Qui<br />
c’era stata una digressione del Frocione, che si era dilungato<br />
a spiegare come Pet<strong>tacchi</strong>oni fosse diventato borsaiolo<br />
rifinito dopo essere stato a bottega da Cacciapuoti:<br />
– Un vero maestro, – aveva sospirato con rimpianto il Frocione.<br />
Insomma, tornando a noi, Pet<strong>tacchi</strong>oni era uno<br />
che Amicucci lo conosceva bene. E da Pet<strong>tacchi</strong>oni il<br />
Frocione aveva saputo che cosa lo poteva veramente fregare<br />
Amicucci e fargli perdere giudizio e prudenza: – Ad<br />
Amicucci, gli piaceva la figa.<br />
– Oh Nanni, – era intervenuto Carruezzo, – non è che<br />
ora tutti quelli che gli piacciono le donne finiscono col<br />
cranio sfondato.<br />
– Lui però, quando andava a riscuotere, se c’era qualcuna<br />
che faceva al caso, sui soldi ci metteva anche una<br />
pietra sopra, soldi che non erano suoi…<br />
Che delusione Amicucci, pensò Carruezzo. Entrato nei<br />
loro discorsi con l’allure del professionista esemplare, ne<br />
usciva alla fine come un elemento inaffidabile, che i suoi<br />
datori di lavoro, se non fosse morto, avrebbero certamente<br />
scaricato. Vittima di una passione per la figa, Pompeo<br />
Amicucci, che gli era risultata fatale, facendogli perdere<br />
misura e punti di riferimento. Da quella passione Eupremio<br />
Carruezzo, nella sua nivea verginità, si era sempre tenuto<br />
lontano, pur intuendone oscuramente la potenza<br />
devastante.<br />
39
7<br />
L’aveva sempre colpito il sonnolento clima impiegatizio<br />
degli uffici della questura: gli schedari polverosi, i fascicoli<br />
accatastati sui tavoli, le file di persone in attesa nei corridoi.<br />
Sapeva però che, oltre la facciata, addentrandosi negli<br />
oscuri meandri del palazzo, sarebbe stato facile cogliere,<br />
già solo nel risuonare di voci minacciose dietro le porte<br />
chiuse, quel tratto di crudezza che immancabilmente porta<br />
con sé la repressione del crimine. Era da molti anni che<br />
Serra non metteva piede in questura, a pensarci bene dal<br />
giorno in cui aveva lasciato la Mobile. Ricordava in tutti i<br />
particolari il suo ultimo incarico prima di essere comandato<br />
al Ministero dell’Interno. Doveva indagare sull’improvvisa<br />
sparizione di un piccolo impresario edile del<br />
Prenestino: la moglie temeva che l’avessero ammazzato.<br />
Poi il piccolo impresario si era fatto vivo con Serra per dire<br />
che stava con un’altra donna, in un’altra città, che lo denunciassero<br />
pure per abbandono del tetto coniugale, lui a<br />
casa non sarebbe tornato. E quando Serra era andato dalla<br />
moglie a spiegarle la situazione, la donna aveva iniziato<br />
a urlargli contro, che lui era un poliziotto, la legge cioè, e<br />
che la legge doveva restituirle il marito.<br />
Seguendo le indicazioni del piantone, Serra percorse<br />
un lungo corridoio finché trovò su una targhetta smaltata<br />
41
il nome che cercava: Commissario Egidio Mastellone, Vice<br />
Capo della Squadra Mobile. Bussò e attese. Poi, mentre<br />
provava di nuovo a bussare, gli giunse da dietro una voce<br />
conosciuta: – Chi non muore si rivede.<br />
Serra si voltò e vide Mastellone: – Eccolo qui il vice capo<br />
della Mobile! – esclamò.<br />
– Era da molto che m’aspettavi? – disse il commissario.<br />
– Appena arrivato.<br />
Mastellone aprì la porta del suo ufficio e fece a Serra<br />
cenno di sedere.<br />
– Allora Luciano? Quanto tempo… ma ti rendi conto<br />
di quanto tempo è passato? – Non aspettò la risposta: –<br />
Ti ho seguito in questi anni, sai. So tutto di te.<br />
– Tutto che cosa?<br />
– Beh, che hai lasciato la Polizia, ad esempio. Non che<br />
ne sia rimasto sorpreso… Luciano Serra, un poeta… ti<br />
pare che un poeta può passare la vita a giocare a guardie e<br />
ladri.<br />
– Giocare a guardie e ladri mi piaceva.<br />
– E allora?<br />
– Non mi piaceva quando il gioco finiva, le guardie se<br />
ne tornavano a casa e ai ladri invece gli toccava andare in<br />
prigione. A quel punto m’immalinconivo.<br />
– Ho ragione che sei un poeta. – Gli puntò contro l’indice:<br />
– Tu scrivi romanzi.<br />
– No, faccio l’avvocato.<br />
– Lo so che fai l’avvocato. Se è per questo so anche perché<br />
sei qui: Adelina Demontis.<br />
Dunque era vero quel che gli avevano detto: Mastellone<br />
lo seguiva da vicino il caso Amicucci, anche se l’incarico<br />
delle indagini l’aveva un certo Amitrano.<br />
42<br />
– Adelina Demontis… – riprese Mastellone. – Una tua<br />
paesana, a giudicare dal cognome.<br />
– Una mia paesana e una mia cliente.<br />
– Lo so, lo so… una tua cliente.<br />
Ci fu a questo punto una pausa, come se Mastellone<br />
dovesse raccogliere le idee:<br />
– O la tua Adelina è una totale mentecatta, la qual cosa<br />
detto tra parentesi non mi pare… solo una mentecatta<br />
può riuscire a farsi sorprendere accanto al cadavere<br />
ancora caldo di qualcuno che non ha ucciso, per di più<br />
con l’arma del delitto in mano, e poi dare una giustificazione<br />
della sua presenza in quella casa, in quel momento<br />
che… ammetterai anche tu, non sta né in cielo né in<br />
terra.<br />
– Oppure?<br />
– Oppure è lei che ha ammazzato Amicucci. L’ha ammazzato<br />
e un momento dopo è entrata la portinaia: tutto<br />
qua.<br />
– E il movente?<br />
– Quello classico in situazioni come queste.<br />
– Cioè a dire?<br />
– Qualche volta Amicucci sapeva essere meno esoso,<br />
soprattutto in cambio di gentilezze femminili, lo faceva,<br />
l’ha fatto anche con la nostra Adelina. Lei forse in un primo<br />
tempo era disponibile, sono andati in camera da letto:<br />
poi invece non lo era più, disponibile. Ma Amicucci a<br />
questo punto era già partito, la butta sul letto, le salta addosso,<br />
il blocco di quarzo sul comodino… un classico. E<br />
magari una legittima difesa. Se è così, faresti bene a convincerla<br />
a parlare.<br />
– Perché non credere a quello che dice lei?<br />
43
– Per due motivi. Perché non ci spiega bene che ci faceva<br />
da Amicucci, su questo punto non è convincente. E<br />
poi… sostenere di avere trovato la porta accostata… ammettendo<br />
che sia stato un altro ad ammazzare Amicucci,<br />
mi dici perché uscendo dall’appartamento avrebbe dovuto<br />
lasciare la porta aperta…<br />
– Magari ha provato a chiudere, o ha creduto di farlo…<br />
una serratura difettosa.<br />
– Sì, però la portinaia l’ha trovata chiusa, la porta.<br />
– Adelina dice di essersela chiusa alle spalle quando è<br />
entrata…<br />
– E questa volta, invece, la serratura funziona perfettamente…<br />
– Capita con le serrature difettose… a volte s’incantano,<br />
altre volte no.<br />
– Il fatto è però che quella serratura è a posto, Luciano,<br />
questa è la verità…<br />
A Serra venne da chiedersi se, rimanendo in Polizia, sarebbe<br />
finito come Mastellone.<br />
E com’era finito Mastellone? Sicuramente meglio di lui,<br />
avvocaticchio senza clienti.<br />
A Mastellone piaceva essere vicecapo della Mobile: lo si<br />
capiva da come, sedendosi sulla poltrona, aveva abbracciato<br />
con sguardo avvolgente l’ufficio. Lo si capiva dal<br />
modo in cui aveva sollevato il telefono, “due caffè” aveva<br />
detto, non una parola di più, e dopo tre minuti i caffè erano<br />
arrivati.<br />
– Luciano, mi stai ascoltando?<br />
– Sì, certo… la serratura difettosa… comunque non<br />
penso che abbiate elementi sufficienti per tenerla dentro.<br />
Presenterò al magistrato un’istanza di scarcerazione.<br />
44<br />
– Tu presenta… d’altronde ti pagano per questo, no?<br />
Quella sera Marianna preparò lei la cena nell’appartamento<br />
di lui. A Serra un cliente aveva regalato una grossa<br />
lepre che aveva personalmente fatto fuori a colpi di doppietta<br />
nei monti della Tolfa. Marianna la servì in salsa di<br />
pomodoro e capperi.<br />
Cenavano in cucina.<br />
– Una donna di servizio intorno ai trentacinque trovata<br />
con un pesante soprammobile in mano, a casa di uno<br />
strozzino, nella camera da letto dello strozzino, accanto<br />
al suo cadavere. Colpevole o innocente?<br />
– Mi mancano troppi elementi, – disse lei.<br />
– Quali ad esempio?<br />
– Cosa ci faceva la donna nell’appartamento dello strozzino?<br />
– Lo strozzino le doveva dare dei soldi. Soldi a strozzo,<br />
appunto.<br />
– Perché aveva bisogno di quei soldi?<br />
– Doveva pagare l’avvocato del fratello, accusato di un<br />
sequestro di persona.<br />
– Sempre esosi voi avvocati. Altra domanda: da chi era<br />
a servizio la donna in questione?<br />
– E questo cosa c’entra?<br />
– Tu, rispondi alla domanda.<br />
– Era a servizio da un noto professore di diritto e onorevole<br />
democristiano.<br />
– Il professore c’entra qualcosa col delitto.<br />
– Come fai a dirlo?<br />
– Intuito femminile.<br />
45
8<br />
La portinaia era stata la prima fonte di notizie, una fonte<br />
generosa, anche se, a pensarci bene, d’importante non<br />
aveva detto nulla. Poi Carruezzo aveva allargato l’inchiesta<br />
e ora ne riferiva a Serra con lo stesso rigore classificatorio<br />
con cui aveva suonato, piano per piano, porta per<br />
porta, il campanello di ogni inquilino dello stabile di via<br />
Vetulonia, partendo dal primo piano, dal dirimpettaio<br />
del morto, un tale Venturini, pensionato, che secondo le<br />
indicazioni della portinaia, avrebbe dovuto essere in casa<br />
e invece non gli aveva aperto: cosa tutt’altro che strana,<br />
come gli aveva spiegato la portinaia quando alla fine del<br />
giro Carruezzo era ripassato da lei, visto che Venturini<br />
apriva o non apriva a seconda di come gli girava. Migliore<br />
fortuna aveva avuto ai piani superiori. Ma prima di relazionare<br />
ordinatamente su questi, dal basso all’alto, Carruezzo<br />
premetteva a Serra qualche dettaglio sparso, avventurandosi<br />
per alcuni inquilini ad esprimere il sospetto<br />
- dettato prevalentemente da considerazioni fisiognomiche<br />
- di una qualche loro propensione al delitto. Del geometra<br />
Frigerio, ad esempio, del terzo piano - da casa sua,<br />
forse Serra lo ricordava, era stata avvertita per telefono la<br />
polizia - aveva notato lo spiccato prognatismo. Non che<br />
questo volesse dire che Frigerio c’entrasse nella faccen-<br />
47
da… epperò il prognatismo porta con sé un sospetto di<br />
crudeltà sadica, come la storia dimostra, d’altra parte: basti<br />
pensare a Lui, e a come brandiva Lui il mascellone dal<br />
balcone di Palazzo Venezia. S’inoltrava, Carruezzo, preliminarmente,<br />
anche sull’ordine che regnava in casa Mangiarotti,<br />
trivano più cucina al secondo piano; parlava del<br />
tinello tutto specchi, della collezione di bamboline andaluse<br />
dentro una vetrinetta, dell’odore di cavolfiori e pesce<br />
lesso, di come i rispettabili coniugi Mangiarotti a malapena<br />
conoscessero il loro coinquilino - “buon giorno e<br />
buonasera, questo è tutto, e certe volte neppure rispondeva.”<br />
E alla domanda se sapevano dell’attività di Amicucci,<br />
un’espressione scandalizzata, ché in tutta la loro<br />
vita non avevano mai fatto un debito.<br />
A sentire di questo disinvolto entrare e uscire dagli appartamenti,<br />
Serra ebbe un dubbio.<br />
– Mi tolga una curiosità, cavaliere. Ma cosa ha raccontato<br />
ai Mangiarotti per entrare a casa loro, come si è presentato?<br />
– Lei non ci crederà, Serra, ma le vecchie tessere di<br />
quand’ero in servizio fanno ancora la loro impressione.<br />
– Ma si rende conto?<br />
– Mi rendo conto, mi rendo conto.<br />
Comunque, dopo il primo piano, Carruezzo era passato<br />
al secondo, dove oltre che con i Mangiarotti aveva parlato<br />
con la signorina Zanetti. La signorina Zanetti, però,<br />
tendeva a lasciarla fuori dai sospetti: poco più che nana,<br />
oltre gli ottanta, il blocco di quarzo, l’arma del delitto,<br />
non sarebbe neppure riuscita a sollevarlo.<br />
Diversamente che agli altri piani, c’erano al secondo<br />
non due ma tre appartamenti, anche se da quest’ultimo<br />
48<br />
nessuno aveva risposto alla sua scampanellata. Sul relativo<br />
inquilino, comunque, qualche informazione gli aveva<br />
dato la portinaia. Non più di trent’anni, suonava la tromba<br />
in un locale notturno dalle parti di Via Merulana, musica<br />
che aveva imparato da certi soldati americani, tornava<br />
a casa all’alba e di giorno dormiva.<br />
– Un bel tipo, ha detto la portinaia, magari un po’ imbambolato,<br />
ma un bel tipo… un po’ come lei, Serra.<br />
– Che c’entro io?<br />
– Anche lei appartiene al genere del bel tipo un po’ imbambolato.<br />
– Dice? Non ho più trent’anni, però.<br />
– Appunto per questo sarebbe ora che si sistemasse.<br />
– Questo vale anche per lei, cavaliere.<br />
Carruezzo sospirò: – Io sono ormai fuori tempo massimo.<br />
Poi al terzo piano. Il geometra Frigerio, scapolo, e di<br />
fronte a Frigerio tal Manighetti, vedovo con domestica e<br />
impiegato di concetto alla direzione provinciale delle poste<br />
di Piazza San Silvestro. Manighetti - a cui Carruezzo<br />
(a Serra l’aveva ammesso) si era presentato con la più rutilante<br />
e colorita delle sue tessere scadute, quella di primo<br />
dirigente della seconda sessione della Divisione Affari<br />
Generali e Riservati del Ministero dell’Interno - lo aveva<br />
fatto accomodare in tinello e intrattenuto in una funerea<br />
conversazione su temi postali. – Vede, signor commissario,<br />
– Carruezzo aveva avuto un tuffo al cuore a<br />
sentirsi chiamare commissario, – lei non ci crederà, ma la<br />
quadratura dei conti a fine mese è un’arte. I dati che ci arrivano<br />
dagli uffici postali, dagli sportelli, sono spesso<br />
caotici, dati bruti che vanno interpretati, centralizzati, ri-<br />
49
condotti a superiori esigenze contabili. Deve credermi, se<br />
le dico che in una chiusura dei conti ben fatta c’è poesia,<br />
è l’ordine che vince sul caos, un po’ mi scusi come quando<br />
voi poliziotti, – altro tuffo al cuore di Carruezzo, –<br />
prendete un assassino.<br />
– Ricordo male, cavaliere, – l’aveva a un certo punto interrotto<br />
Serra, – o quella tessera degli Affari Generali che<br />
avete usato per entrare a casa di Manighetti, aveva stampato,<br />
al centro, in bella vista, un fascio littorio?<br />
– No, ricorda bene.<br />
– E quel Manighetti… non ha avuto niente da ridire<br />
quando gliela avete mostrata?<br />
– Assolutamente nulla. Mi pare anzi che l’abbia osservato<br />
compiaciuto, il fascio.<br />
Il Ribolliti Cesare, del quarto, gestore e proprietario di<br />
un negozio di ferramenta in Via Sannio, gli era parso un tipo<br />
ordinato e preciso, quello che d’altra parte ci si aspetta<br />
da chi deve districarsi in un negozio che è un labirinto di<br />
oggetti diversi tra loro per forma e dimensioni ognuno dei<br />
quali va immediatamente individuato a richiesta del cliente.<br />
Un tipo nel complesso grigio e anonimo, – Anche se,<br />
anche se… – l’anche se del cavaliere a proposito di Ribolliti<br />
aveva fatto riferimento alla presenza-assenza della moglie<br />
del Ribolliti, tale Ribolliti Lavinia, assente fisicamente<br />
in quella circostanza ma evocata dai discorsi del marito<br />
con una intensità che lo aveva colpito.<br />
Carruezzo concluse la sua relazione diversamente da<br />
come l’aveva iniziata, in modo piuttosto sommario cioè,<br />
quasi che salendo di piano scemassero in proporzione le<br />
possibilità di coinvolgimento nel fattaccio.<br />
Superato il quarto, solo i due appartamenti del quinto<br />
50<br />
parvero a Carruezzo degni di qualche attenzione: quello<br />
del signor Antonelli, commesso alla farmacia Vaticana (il<br />
figlio, un adolescente occhialuto e pustoloso che si mangiava<br />
furiosamente le unghie, gli era parso anche lui fisiognomicamente<br />
sospetto) e quello della signora Barberis,<br />
che avendo in passato calcato le scene come mezzo soprano<br />
ora si barcamenava dando lezionuccie di canto. Al sesto<br />
nulla d’interessante, due appartamenti vuoti, o meglio<br />
uno solo era vuoto, per colpa del proprietario che, secondo<br />
la portinaia, chiedeva troppo di pigione e così l’appartamento<br />
nessuno se lo pigliava; l’altro, gli inquilini, marito<br />
e moglie, anziani, erano fuori da mesi: la figlia, residente<br />
a Viterbo, aveva scodellato un pupo e per tutto il primo<br />
periodo aveva voluto la sua mamma vicina a lei, che tirare<br />
su un bambino non è uno scherzo, diceva la portinaia. E<br />
infine al settimo, altro appartamento vuoto (stesso proprietario<br />
di quello, sfitto, del sesto) e poi, dirimpetto, un<br />
Di Palma, impiegato alla Centrale del Latte, nel quale<br />
Carruezzo aveva ravvisato, ancora una volta sommariamente,<br />
qualcosa di “fosco”.<br />
Si era poi spinto sino alla terrazza comune, dove gli inquilini<br />
avevano diritto a stendere i panni, anche se non<br />
tutte ne approfittavano, c’erano quelle - diceva la portinaia<br />
- che facevano le signore e non gli piaceva farsi vedere<br />
con i panni in mano.<br />
– Avendo parlato con la portinaia, immagino le abbia<br />
chiesto della sera del delitto, chi è entrato e chi è uscito<br />
dallo stabile…<br />
– Questo volevo sapere da lei, prima di tutto. È solo dopo<br />
averla sentita, che ho pensato ad allargare l’indagine<br />
agli inquilini.<br />
51
– Vuole dire che c’è qualcosa di nuovo nel racconto<br />
della portinaia?<br />
– Suppongo che le stesse cose le abbia dette prima alla<br />
polizia.<br />
– Certo che se la questura ci facesse vedere i verbali del<br />
suo interrogatorio….<br />
– Sì, le pare che quelli… – Carruezzo fece un gesto come<br />
a scacciare una mosca particolarmente fastidiosa. Poi<br />
riprese: – Ricorda quella porticina, una specie di uscita di<br />
servizio in fondo al cortile dello stabile, il cortile dove<br />
tengono i bidoni della spazzatura… dà su via Populonia…<br />
– Eccome se la ricordo: senza quella porticina la nostra<br />
ipotesi difensiva andrebbe a farsi friggere…<br />
Chi aveva ucciso Amicucci - così recitava l’ipotesi difensiva<br />
- doveva essere entrato e uscito proprio dalla porticina<br />
in fondo al cortile, visto che a presidiare la portineria<br />
c’era sempre stata la portinaia e la portinaia escludeva<br />
che tra il rientro a casa di Amicucci e la scoperta della sua<br />
morte qualcuno, oltre Adelina, fosse entrato nel palazzo.<br />
– La consideri bella e fritta, allora, la sua ipotesi difensiva.<br />
– E perché mai?<br />
– Non solo ho parlato con la portinaia, ma poi ho fatto i<br />
miei riscontri… di fronte alla porticina di servizio, quella<br />
su via Populonia, la sera della morte di Amicucci, c’era un<br />
fioraio col suo carretto, è stato là dalle quattro sino almeno<br />
alle nove di sera. E il fioraio ha escluso che in quel frattempo<br />
qualcuno abbia usato la porticina: non poteva non<br />
accorgersene, avrebbe dovuto spostare il carrettino…<br />
– Niente uscita di servizio, dunque. E allora…?<br />
52<br />
– Allora restano due ipotesi: o è stata Adelina, la qual<br />
cosa dobbiamo escluderla, se non altro per ragioni professionali.<br />
Oppure chi ha ucciso Amicucci ha un complice,<br />
o un appoggio tra gli inquilini. Oppure è lui stesso un<br />
inquilino.<br />
– C’è anche una terza ipotesi, – intervenne Serra.<br />
– Cioè?<br />
– Che qualcuno, avendo le chiavi o forzando la serratura,<br />
sia entrato da Amicucci prima delle quattro, a portineria<br />
ancora chiusa.<br />
– Pensa a un’amicizia femminile…<br />
– Non solo: magari qualcuno poteva voler dare una lezione<br />
ad Amicucci… poi questa lezione è finita com’è finita.<br />
– Rimarrebbe da capire come ha fatto questo qualcuno<br />
a lasciare lo stabile. A meno che non ce lo immaginiamo<br />
vagare per ore tra scale e cortile, senza che nessuno lo noti,<br />
dobbiamo anche qui pensare ad un punto d’appoggio<br />
all’interno.<br />
Serra abbassò il capo perplesso. – In effetti… – disse e<br />
sollevò lo sguardo: il bagliore negli occhi, il teatrale sollevarsi<br />
ad arco del sopracciglio, gli parve per un attimo di<br />
avere di fronte il Carruezzo di vent’anni prima.<br />
53
9<br />
Conciato così, pensò Serra, quasi sembrava meno<br />
brutto.<br />
L’occhio destro, di un colore violetto che virava sull’indaco,<br />
era completamente chiuso. Quello sinistro, sopravvissuto<br />
alla battaglia e rimasto miracolosamente integro,<br />
dunque conscio delle sue nuove responsabilità, si produceva<br />
in uno sguardo sereno. Il naso, ingrossandosi, aveva<br />
assunto proporzioni più equilibrate, non più uno di quei<br />
ridicoli nasoni a vela da vignetta del Travaso, ma un naso<br />
serio, importante, capace da solo di dare dignità ad un<br />
volto.<br />
Era seduto su una poltrona, Nanni, la gamba destra ingessata<br />
sino al ginocchio allungato su un piccolo puf.<br />
– Ci sono andati giù duri, a quanto vedo, – disse Serra.<br />
Con sforzo, le labbra tumefatte di Nanni si stirarono in<br />
una specie di sorriso.<br />
– Le assicuro, avvocà, che quelli là possono anche fare<br />
di meglio. Una volta, tanti anni fa, m’ero messo con uno<br />
della banda del Mortadella, uno di Primavalle… non sto<br />
a dirle, che mi fa anche fatica a parlare… questi, al confronto,<br />
sono gli scappellotti che mi dava mamma mia<br />
buonanima…<br />
55
– Eppure mi sento in colpa, – disse Serra.<br />
– Ci sentiamo in colpa, – confermò Carruezzo. Poi aggiunse:<br />
– Non ho capito bene la dinamica della cosa,<br />
però. Insomma, tu Nanni stavi facendo la tua inchiesta su<br />
Amicucci…<br />
– Non chiamiamola inchiesta, cavaliere, facevo qualche<br />
domanda qui e là, dove capita.<br />
– E magari qualcuno si è innervosito per queste tue domande,<br />
e se qualcuno si è innervosito allora vuol dire che<br />
hai toccato un nervo sensibile…<br />
– Io questo nervo sensibile, come dice lei, mica c’ho<br />
l’impressione di averlo toccato. Quello che mi son sentito<br />
dire di questo Amicucci già lo sapevamo, che si voleva<br />
metter per conto suo a prestar soldi a strozzo…<br />
– Fermati qui, Nanni. È questo il punto. Le aspirazioni<br />
di Amicucci, il suo progetto di mettersi in proprio.<br />
– Già l’ha detto un’altra volta cavaliè, ma io a questa cosa<br />
qui mica ci credo. Non è perché uno nuovo pensa di<br />
mettersi a fare il ladrone non è che quelli che già lo sono<br />
ladroni… da altre parti magari, non a Roma: qui a Roma<br />
siamo libertari e se uno vuol andare a ruba’ nelle case che<br />
vada a ruba’ nelle case, vuol dare soldi a strozzo che dia<br />
soldi a strozzo, vuole andare a borseggiare nei tram vada<br />
a borseggiare nei tram…<br />
– Facciamo il caso, Nanni, che tu sei un borseggiatore<br />
professionista…<br />
– Io l’ultimo borseggio che ho fatto non c’avevo neppure<br />
diciottanni, non è cosa per me il borseggio.<br />
– È solo un esempio. Metti che tu, borseggiatore professionista,<br />
lavori sul 64 e arriva uno nuovo e anche lui si<br />
mette a lavorare sul 64…<br />
56<br />
– Lei sta facendo un esempio che non è un esempio. Il<br />
64 va a San Pietro.<br />
– E questo cosa vuol dire?<br />
– Che non è un autobus come gli altri. Nel 64 c’è il pellegrino,<br />
e dove c’è il pellegrino, lo sappiamo tutti, il soldo<br />
scorre facile e abbondante. Lo dice anche il proverbio:<br />
rubare al pellegrino è più facile che rubare a un bambino.<br />
È chiaro che tutti i borseggiatori vorrebbero lavorare sul<br />
64, ma è altrettanto chiaro che se tutti i borseggiatori vanno<br />
a lavorare nel 64... Ma per i soldi a strozzo è tutta<br />
un’altra cosa, se lo lasci dire…<br />
I due cominciavano a infervorarsi nella discussione<br />
quando si sentì dall’anticamera il girare di una serratura.<br />
Dopo qualche secondo, un uomo entrò nella stanza. Sui<br />
quarant’anni, piuttosto alto, portava occhiali da vista con<br />
lenti scurite.<br />
– Beh Nanni, come va oggi? – disse il nuovo arrivato.<br />
– Va che sono tutto un dolore, buccio der culo compreso…<br />
cavaliere, avvocà questo è un mio amico… Quagliariello<br />
Tazio…<br />
Carruezzo e Serra gli strinsero la mano.<br />
– Mi tolga una curiosità, – disse Serra mentre gli stringeva<br />
la mano, – ma ricordo bene? Quagliariello… Quagliariello<br />
Tazio… lei è lo stesso…<br />
Ciorciolini anticipò la risposta dell’amico: – Certo che<br />
si ricorda bene, avvocà… eravamo in questura, mi stava<br />
interrogando Ingravallo, che mi faceva domande su domande<br />
su dove stavo una certa sera, lei si ricorda, che c’era<br />
stato un morto ammazzato in una villa sulla Nomentana,<br />
e a me m’avevano visto saltare il muro della villa, e io<br />
allora ho detto che stavo a cena con Quagliariello Ta-<br />
57
zio… il commissario fa: “ma ’sto quagliariello, ’sto passerotto,<br />
’sto uccellino, è amico amico o amico de culo”, e mi<br />
mette il dito di fronte al naso, “perché se è amico de culo…”<br />
sempre col dito di fronte al naso, che dico dito, un<br />
badile… non mi fate ridere che mi fa male tutto, non mi<br />
fate ridere…<br />
– Quello che il cavaliere e l’avvocato non sanno, – intervenne<br />
Quagliariello, – è che quella sera non ero a cena<br />
con te ma a letto ammalato.<br />
– Perché, se Ingravallo t’interrogava, tu che avresti detto?<br />
– Avrei detto che ero a cena con te.<br />
– E bravo Tazietto, che mi volevi bene allora e mi portavi<br />
ancora ai macchiozzi di Villa Borghese come ai primi<br />
tempi, ti ricordi?<br />
– Se è per questo… – Quagliariello s’interruppe. Poi rivolto<br />
a Carruezzo e Serra: – Non vi ho chiesto se gradite<br />
un caffè… o un tè.<br />
– No, grazie, – risposero all’unisono.<br />
– Stiamo per andare, – riprese Carruezzo. – Volevamo<br />
giusto sapere come stava Nanni… Nanni sia chiaro che la<br />
smetti di andare in giro a far domande su Amicucci, il segnale<br />
è fin troppo chiaro.<br />
– Io invece continuo avvocà: non saranno due cravattari<br />
a far paura a Nanni er Frocione.<br />
Quando uscirono da casa di Nanni cominciò a piovere.<br />
Nelle bancarelle di Piazza Vittorio alcuni rivenditori si<br />
affannavano ad aprire gli ombrelloni, altri ricoprivano<br />
con incerati le cibarie in vendita.<br />
58<br />
Il bavero dell’impermeabile rialzato, attraversarono il<br />
mercato all’aperto. Poi la pioggia si fece più fitta, costringendoli<br />
a sostare sotto i portici.<br />
– Credo sia meglio prendere un tassì, – disse Serra, indicandone<br />
uno fermo sul ciglio della strada.<br />
Il tassì rifece il giro della piazza e poi voltò per via Manzoni.<br />
Agli Archi di Santa Bibiana, imboccò il passaggio<br />
sotto la ferrovia per sbucare poi a Porta San Lorenzo.<br />
Ora la pioggia aveva preso a cadere sottile, dando a ogni<br />
cosa la stessa tonalità grigia: alle strade bagnate e alla gente,<br />
ai negozi e ai palazzi, e alle Mura Aureliane, quinte<br />
teatrali, queste, come in un quadro di De Chirico, allo<br />
scenario tutto novecentesco che, sul lato della stazione,<br />
chiudeva la via Tiburtina.<br />
59
10<br />
Gonna attillata, <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong>, calze velate con la riga.<br />
Se non fosse stato che l’aspettava, non l’avrebbe riconosciuta,<br />
tanto era diversa dall’adolescente - quasi una bambina,<br />
si era detto - che aveva servito il caffè nello studio del<br />
professor Zanda. Voleva essere provocante Peppinetta.<br />
Era difficile immaginare che potesse uscire da casa vestita<br />
in quel modo. Forse - pensò Serra - aveva qualcuno da cui<br />
cambiarsi ed era là che, una volta lasciata la casa del professore,<br />
indossava la sua tenuta da battaglia.<br />
Al Paradise, una sala da ballo dell’Ostiense che prima<br />
della guerra si era italianamente chiamata Notti d’Oriente,<br />
e capace il sabato sera di ospitare sino a trecento persone,<br />
quel pomeriggio non ce n’erano più di cinquanta.<br />
In gran parte sedute ai tavolini, che erano stati allineati<br />
lungo le pareti per lasciare spazio al centro alla pista da<br />
ballo. In una pedana in fondo alla sala, i due suonatori<br />
riempivano una sosta bevendo un bicchiere di vino. Sulle<br />
pareti, specchi piuttosto malandati si alternavano a grandi<br />
manifesti pubblicitari con paesaggi marini e palme. La<br />
schiena appoggiata al bancone di un bar, quattro o cinque<br />
ragazzi meno che ventenni, sigaretta tra le labbra e<br />
bicchiere in mano, erano soprattutto impegnati a darsi<br />
un contegno. Dall’altra parte della sala Serra notò un ta-<br />
61
volo, erano tre uomini e una donna, lei grossolanamente<br />
ricercata, i tre in abito scuro, che stavano avvicinando il<br />
tavolino alla pista, forse erano di quelli che gli piaceva veder<br />
ballare gli altri da vicino.<br />
Entrata nella sala da ballo, Peppinetta si era guardata<br />
intorno e aveva immediatamente individuato Serra, mandandogli<br />
da lontano un disinvolto cenno di saluto. Si era<br />
poi fermata con un tipo dall’aria impiegatizia, uno che<br />
non sembrava appiccicarci nulla con quel posto. Scambiata<br />
qualche parola, Peppinetta gli aveva voltato le spalle,<br />
ma il tipo l’aveva raggiunta e avevano ripreso a parlare.<br />
Così una volta, poi la seconda, poi un’altra volta ancora.<br />
Ora l’orchestra aveva riattaccato con la musica, un mambo<br />
particolarmente chiassoso. A Serra piaceva il mambo e<br />
cominciò col piede a batterne il ritmo. Al tavolo accanto<br />
al suo c’era un uomo solo, un bocchino tra i denti, che<br />
guardava di fronte a sé con aria annoiata. Indossava un<br />
completo di lino color panna e delle scarpe traforate bianche<br />
e nere, quelle che i commessi nei negozi mentre te le<br />
infilano ai piedi chiamano “modello piccioncino”.<br />
L’arrivo di Serra dovette sembrargli un diversivo e gli<br />
rivolse un cenno di saluto.<br />
– La prima volta al Paradise? – domandò.<br />
– La prima volta.<br />
– Ha scelto il giorno giusto. Tutti ci vengono il sabato,<br />
ma è giovedì il giorno giusto.<br />
– In realtà è un caso se sono qui… perché, succede<br />
qualcosa di speciale il giovedì?<br />
– Ci sono le serve il giovedì, – ammiccò l’uomo, come<br />
chi presuppone un’intesa virile.<br />
– Capisco, – fece Serra.<br />
62<br />
Ma all’uomo non dovette sembrare che il suo vicino di<br />
tavolo avesse capito a sufficienza.<br />
– La serva serve, – sottolineò la frase come in un a parte<br />
teatrale. – Lo dice anche Totò, – ribadì.<br />
– Certo, Totò… – fece Serra distrattamente, guardando<br />
verso l’altra parte della sala.<br />
– Quella non l’ho mai vista, – disse l’uomo, che aveva<br />
seguito lo sguardo di Serra. – Conosco il tipo, però.<br />
– Prego…? – fece Serra, che non aveva sentito bene.<br />
– La ragazza che lei sta guardando da quando è entrata,<br />
– rispose lo sconosciuto, puntando l’indice in direzione<br />
di Peppinetta. – La brunetta.<br />
– La brunetta, dice.<br />
L’uomo dovette pensare che se la conversazione faticava<br />
ad avviarsi era perché non si era ancora presentato.<br />
– Anche lei è sardo, vero? Io sono di Samassi. – Poi aggiunse<br />
qualcosa, il suo nome probabilmente, qualcosa<br />
con molte esse, poteva essere un Seonis, ma un’impennata<br />
del mambo rese le sue ultime parole incomprensibili.<br />
– Ha indovinato, sono di Cagliari.<br />
– Cagliari, Cagliari?<br />
– Sì, Cagliari. Da molti anni a Roma però.<br />
– L’avevo capito.<br />
L’uomo trascinò la sua sedia accanto a quella di Serra.<br />
Poi, con l’aria di chi la sa lunga: – Io, i sardi, li riconosco<br />
all’odore. La brunetta che vi interessa, ad esempio…<br />
Quasi a sottolineare la sospensione del discorso, l’uomo<br />
accese una sigaretta. Attendeva, evidentemente, una<br />
domanda da parte di Serra, che tuttavia non venne per il<br />
semplice fatto che proprio in quel momento Peppinetta<br />
si stava avvicinando al tavolo.<br />
63
– Chissà cosa vuole questa tzeracchetta, si sarà detto<br />
quando le ho telefonato.<br />
– Ti sono sembrato sorpreso?<br />
– No… ma è che dalle domestiche ci si aspetta che non<br />
si mettano in mezzo, che stiano al loro posto.<br />
– Nessuno dovrebbe stare al suo posto, tanto meno le<br />
domestiche.<br />
– Lo ridica come l’ha detto ora! Lo sa chi mi sembrava<br />
mentre lo diceva? Uguale, uguale a quell’attore americano,<br />
Bogàrt… lo conosce? Certo che lo conosce.<br />
Serra si accorse di essere arrossito e non trovò di meglio<br />
che accendere una sigaretta.<br />
– E a me non la offre?<br />
– Scusami… – Porse a Peppinetta il pacchetto di Nazionali.<br />
Con un gesto molto rapido, muovendo il pacchetto<br />
dal basso in alto, ne aveva fatto spuntare una sigaretta.<br />
– No grazie. Mangerei qualcosa invece. Ho fame. Mi capita<br />
sempre il giovedì: per la fretta di uscire, non pranzo.<br />
Servo a tavola, faccio i piatti ed esco.<br />
Al cenno di Peppinetta, un cameriere si avvicinò. In<br />
realtà non era vestito da cameriere, e neppure ne aveva<br />
l’aspetto. L’aria da bullo di quartiere, piuttosto, basette<br />
lunghe e maglietta a righe a maniche corte.<br />
– A Reginè, che te serve? – si rivolse alla ragazza.<br />
– Focaccia prosciutto e formaggio. Lei avvocato?<br />
– Un cognàc, grazie.<br />
– Nix cognàc. Avemo chinotti, avemo grappa e vermut,<br />
avemo l’amaro del Carabiniere.<br />
– Una grappa allora.<br />
L’estate prima, spiegò Peppinetta dopo che il cameriere<br />
si fu allontanato, aveva vinto una gara di ballo, era stata<br />
64<br />
eletta reginetta del mambo. Da allora nel locale la chiamavano<br />
in quel modo, Reginè. Serra notò che la ragazza si<br />
sforzava di imitare la parlata romana, ma non per questo<br />
risultava affettata. Sembrava una straniera, piuttosto.<br />
– Mi hai detto al telefono che volevi parlarmi di Adelina…<br />
– Ho molta paura, ho paura per lei.<br />
– Certo che Adelina è in un bel guaio.<br />
– In quel guaio ce l’hanno ficcata, avvocà.<br />
– Anch’io sono convinto che sia innocente.<br />
– Non è solo questo. È lui che ce l’ha ficcata…<br />
– Lui chi?<br />
– Lui… perché crede che Adelina c’è andata a casa di<br />
quello strozzino? Mica erano per lei i soldi che doveva<br />
chiedere in prestito.<br />
– Per chi allora?<br />
– Di preciso non lo so, ma magari per Zanda.<br />
– Ti ha detto questo Adelina?<br />
– M’ha detto che aveva un appuntamento con un cravattaro<br />
e che aveva paura. Le ho chiesto perché aveva così<br />
bisogno di soldi e lei allora… non è che me lo ha detto<br />
chiaro… insomma, io ho capito che c’entrava Zanda.<br />
– Da che cosa l’hai capito?<br />
– Bella scema che sei, le ho detto, quando m’ha raccontato<br />
che andava da questo cravattaro a chiedere soldi e<br />
che questi soldi non erano per lei. Bella scema, e chi te lo<br />
fa fare? E lei allora prima è stata zitta poi ha iniziato a fare<br />
un discorso su Zanda, che lei era entrata in quella casa che<br />
aveva quindici anni, e che insomma quella era la sua casa,<br />
e che il professore… beh sul professore meglio che me ne<br />
sto zitta.<br />
65
L’aiutò a stare zitta - per il momento, almeno - l’arrivo<br />
della focaccia prosciutto e formaggio, che addentò subito<br />
con appetito. Serra, da parte sua, riempì la pausa portando<br />
alle labbra la grappa per poi accendere un’altra sigaretta.<br />
Proprio in quel momento gli passò davanti, intrecciato<br />
in una languida beguine ad una rossa dal gran seno,<br />
lo sconosciuto di Samassi. Indirizzò a Serra una strizzatina<br />
d’occhio, che l’avvocato interpretò come un gesto<br />
d’intesa e forse d’incoraggiamento. Pensò allora che tutta<br />
la scena - la balera, il cameriere bullo con la maglietta a righe,<br />
lo sconosciuto avvinghiato alla tettona, la disinvolta<br />
brunetta di fronte a lui - tutta quella scena doveva averla<br />
già vista in un film.<br />
– Perché dovresti star zitta sul professore? – riprese<br />
Serra.<br />
– Il professore, la moglie morta del professore… non<br />
ce n’è uno in quella famiglia… e Adelina…<br />
– Adelina?<br />
– Senza Adelina quella famiglia non stava in piedi nemmeno<br />
un giorno. Lei forse questo non lo sa, ma la signora<br />
c’ha messo almeno un anno a morire ed è Adelina che<br />
l’ha assistita ogni santo giorno. E chi ha mandato avanti<br />
la casa da quando è iniziata la malattia della signora, chi<br />
secondo lei? A inizio mese il professore le dava una somma<br />
e Adelina pensava a tutto. “Adelina,” le diceva il professore,<br />
“tu sei della famiglia, tu sei la famiglia.” È così<br />
che Adelina si è fatta fregare. Così Zanda con uno stipendio<br />
solo, e pure basso, ha avuto non solo una serva, ma<br />
anche una che gli faceva i conti, un’infermiera e chissà<br />
cos’altro ancora.<br />
– Sarebbe, quest’altro ancora?<br />
66<br />
– Dicevo così per dire, – rispose Peppinetta, imbarazzata<br />
dalle sue stesse parole.<br />
La fisarmonica attaccò un tango e nel giro di qualche<br />
secondo la pista riprese ad animarsi. Un ragazzo in camicia<br />
bianca si avvicinò a Peppinetta, invitandola a ballare.<br />
Mentre i due si allontanavano, Serra pensò gli sarebbe<br />
piaciuto essere al posto di quel giovanotto. Stringendole<br />
con delicatezza la punta delle dita, mezzo passo davanti a<br />
lei, avrebbe guidato Peppinetta al centro della pista.<br />
Fu quando Peppinetta disegnò i primi passi del tango<br />
che Serra comprese come la gonna stretta, i <strong>tacchi</strong> alti, le<br />
calze nere con la riga fossero parti di un abito di scena e<br />
che la scena era appunto quella a cui stava assistendo. La<br />
scena di una seduzione esercitata su quanti, dentro e fuori<br />
la pista, la guardavano ballare. Il ragazzo in camicia bianca<br />
che ballava con lei sembrava servirle solo come un<br />
meccanico (e quasi astratto) punto d’appoggio: la più<br />
prossima ma l’unica persona nella sala ad essere tenuta<br />
fuori dalla sua sfera di seduzione. Che si nutriva, anzi, della<br />
evidente e compiaciuta crudeltà di quella esclusione.<br />
67
11<br />
La portinaia infilò la chiave nella toppa: – Io, aprire le<br />
apro. Lei però…<br />
– Non si preoccupi, – disse Serra, – è solo questione di<br />
un momento.<br />
L’andito era buio ma dalle stanze che vi si affacciavano<br />
filtrava un poco di luce.<br />
– Guardi pure in giro, ma non tocchi nulla. Io cambio<br />
l’acqua al canarino.<br />
Serra seguì la donna in cucina.<br />
– Amicucci era molto affezionato al canarino, ho sentito.<br />
– Per quello che uno si può affezionare a un canarino…<br />
– Ma che tipo era questo Amicucci? – fece Serra quasi<br />
di botto, come se da tempo tenesse la domanda in serbo.<br />
– Un inquilino come gli altri. Ricchi o poveri, belli o<br />
brutti, per me sono tutti uguali.<br />
– Beh, il mestiere che faceva…<br />
– Nessuno se n’è mai lamentato. Amicucci, poi, c’era<br />
da una vita nel palazzo. Anch’io ce l’ho trovato. Quando<br />
sono arrivata, viveva con la madre. Poi la madre è morta.<br />
Io di parenti suoi so solo di una sua zia anziana, sorella<br />
della madre sua buonanima, che c’aveva le chiavi di casa<br />
e ogni settimana veniva a cucinargli qualcosa, che so, una<br />
69
peperonata che quella può durare anche qualche giorno<br />
e anzi il giorno dopo è meglio del giorno prima, prende i<br />
sapori…<br />
– Dunque, morta la madre, era la zia che si occupava di<br />
Amicucci?<br />
– A dire la verità, ero io ogni giorno che gli sbrigavo le<br />
faccende, pulire la casa, il bucato, e poi stirargli le camicie,<br />
il signor Amicucci alle camicie ci teneva tanto, era<br />
tanto pignolo con le camicie. Io gli sbrigavo le faccende,<br />
però cucinare no: a me chiedetemi tutto però cucinare<br />
no, cucino solo per il marito mio che lui è un brav’uomo e<br />
si accontenta…<br />
– Lo sapevano gli altri inquilini che Pompeo Amicucci<br />
lavorava coi cravattari?<br />
Si notò un certo irrigidimento nella portinaia, come se<br />
la domanda non fosse gradita, o forse a non essere gradito<br />
era stato il tono di Serra che a un certo punto, come<br />
per antico riflesso, si era fatto poliziesco.<br />
– Qui tutti sanno tutto di tutti, – rispose la portinaia. –<br />
Lo sapevano e non avevano niente da ridire. Ma lei non<br />
voleva vedere la casa?<br />
– Sì certo… dov’è che ha trovato Adelina quando è entrata<br />
nell’appartamento?<br />
– Guardi che tutte queste cose le ho dette alla polizia.<br />
Se comunque…<br />
Uscì dalla cucina e si diresse lungo l’andito verso la camera<br />
da letto.<br />
– Ho aperto e ho visto quella là… la porta della camera<br />
da letto era aperta, esattamente come ora. Si vedeva lei, in<br />
piedi, e qualcuno disteso nel letto.<br />
– Posso dare uno sguardo?<br />
70<br />
– Se vuole, purché si sbrighi.<br />
L’umore che la stanza comunicava (e che comunicò a<br />
Serra, appena vi mise piede) era di blanda tristezza, a cui<br />
senz’altro contribuiva una carta da parati dagli stanchi<br />
fiori gialli. Al centro un letto alto, con un copriletto di<br />
percalle e una testiera in ferro battuto sopra la quale spiccava<br />
l’immagine incorniciata di un Gesù Cristo che moltiplicava<br />
pani e pesci. Da sotto il comodino spuntavano<br />
un paio di scarpe. C’era poi, alla destra del letto, un grande<br />
armadio scuro e accanto all’armadio una consolle di<br />
noce, sulla quale erano appoggiate delle fotografie. Una<br />
ritraeva una giovane coppia: baffuto e lo sguardo liquido<br />
lui, lei con un vestito da sposa di foggia orientaleggiante.<br />
Il padre e la madre di Amicucci, pensò Serra. Immaginò<br />
che Amicucci, morta la madre, avesse preso possesso della<br />
sua camera da letto, senza cambiare nulla dell’arredamento.<br />
Forse Amicucci c’era nato su quel letto.<br />
– Ho sentito dire che ultimamente Amicucci si portava<br />
donne in casa, – riprese Serra.<br />
– Donne? – fece eco la portinaia. – Donne di strada no,<br />
questo lo posso assicurare, non in orario di portineria, almeno.<br />
Poi, di quello che succede quando la portineria è<br />
chiusa…<br />
– M’ha detto che gli faceva anche le pulizie ad Amicucci,<br />
magari di qualcosa si è accorta.<br />
– Non sono una che ficca il naso tra le lenzuola della<br />
gente, io.<br />
Aveva sempre sentito di portiere ciarliere. E anche questa<br />
all’inizio era sembrato avesse voglia di parlare. Poi era<br />
successo qualcosa.<br />
71
Ritornò all’attacco: – Non mi ha risposto se portava a<br />
casa donne, – disse con evidente irritazione.<br />
– Non lo so… magari erano donne che abitavano qui<br />
nello stabile…<br />
Erano in piedi nella camera da letto di Amicucci e la<br />
portinaia nel dire queste ultime parole aveva mostrato un<br />
certo imbarazzo. Proprio il momento di darci dentro.<br />
Serra provò a metter su una faccia feroce.<br />
– Mi senta! Vuole parlare una buona volta? Amicucci<br />
incontrava una donna che abitava qui, nel palazzo? Ho<br />
capito bene?<br />
C’era un’espressione sul volto della portinaia che a Serra<br />
parve irridente: la faccia feroce non aveva funzionato.<br />
– Mi senta invece lei. Io non le devo nessuna risposta.<br />
Lei non è un poliziotto, e non ha nessun diritto di farmi<br />
domande.<br />
Serra capì di aver fatto la cosa sbagliata e per un momento<br />
non seppe come uscirne. Ne uscì però, miracolosamente,<br />
con una specie di sorriso imbarazzato col quale<br />
diceva alla portinaia: “guardi che non facevo sul serio<br />
quando facevo la faccia feroce”.<br />
– La cosa me l’ha detta Venturini, il dirimpettaio di<br />
Amicucci. A sentire lui una che andava da Amicucci c’era,<br />
ed era una del palazzo.<br />
– Venturini? Una del palazzo? Le ha fatto il nome?<br />
– M’ha detto che c’era una nel palazzo che se l’intendeva<br />
con Amicucci: ma il nome non l’ha fatto. Se vuole può<br />
andare a parlarci anche ora. Vive solo e non esce mai di<br />
casa.<br />
72<br />
Aveva la camminata sbilenca Venturini: a ogni passo<br />
abbassava una spalla, la spalla destra un po’ più della sinistra,<br />
con un effetto che a Serra, mentre lo seguiva lungo<br />
un corridoio con strane volte oblunghe, ricordò il Quasimodo<br />
di Notre Dame de Paris.<br />
– Le faccio strada, avvocato.<br />
Entrarono in una stanza che un gran tavolo da pranzo<br />
riempiva quasi completamente. In un angolo, ad occupare<br />
il poco spazio rimasto, una radio gigantesca incorporata<br />
in un mobile bar e di fronte ad essa due pesanti poltrone<br />
in pelle, in una delle quali con gesto cerimonioso Venturini<br />
lo invitò a sedersi.<br />
– Vorrei tornare su alcune cose che di sicuro ha già discusso<br />
con la polizia, – esordì Serra.<br />
– M’hanno liquidato in due minuti. Quando gli ho detto<br />
che la sera della morte di Amicucci ero fuori casa… io<br />
non esco mai, e se fossi stato in casa le assicuro… insomma,<br />
non hanno voluto sapere altro.<br />
– E invece c’era dell’altro…<br />
– E come se c’era dell’altro. Perché io osservo, sa, osservo<br />
sempre, osservo ogni minimo particolare.<br />
Con un gesto improvviso, si alzò. – Venga con me, – disse.<br />
Venturini gli camminava davanti, il passo oscillante alla<br />
Quasimodo. Cadenzato sul passo, un rantolo asmatico. –<br />
Venga, venga, le farò vedere qualcosa, – ripeté.<br />
Serra seguì Venturini lungo il corridoio e poi in una cucina<br />
che si affacciava su un cortile interno. In alto, sulla<br />
parete opposta, quella prospiciente al cortile, una finestrella<br />
quadrata, chiusa da una grata di ferro, lasciava intravedere<br />
la gabbia dell’ascensore e la rampa di scale tra il<br />
primo e il secondo piano.<br />
73
– Io li osservo, li controllo, – riprese Venturini. Poi, a<br />
dimostrazione di ciò che aveva detto, prese una sedia e<br />
dopo averla spostata in una posizione adatta a inquadrare<br />
la finestrella, ci si sedette. – Da qui vedo senza essere<br />
visto. Non mi sfugge nulla.<br />
– Mi faccia capire: osserva e controlla chi? – chiese Serra.<br />
– Quelli, – rispose e accompagnò le sue parole con un<br />
gesto largo.<br />
– I suoi coinquilini?<br />
– Soprattutto loro, ma non solo.<br />
L’avvocato - anche lui col naso per aria, a contemplare<br />
la grata - apprese che quello era il punto d’osservazione<br />
fondamentale degli usi e dei costumi della gente del palazzo.<br />
Di chi passava si vedevano solo le scarpe, ma lui,<br />
Venturini, dalle scarpe, diceva di aver imparato il più delle<br />
volte a risalire alla persona. E per quei molti inquilini<br />
dei piani alti, che non usavano quasi mai le scale e prendevano<br />
l’ascensore, aveva un altro punto d’osservazione.<br />
Si alzò, ancora una volta di scatto, e invitò l’avvocato a<br />
seguirlo.<br />
– Guardi qua dentro, – ordinò indicando lo spioncino<br />
della porta d’ingresso, – e mi dica cosa vede.<br />
– Vedo la porta dirimpetto, – disse Serra.<br />
– Certo, casa di Amicucci. Certo, certo… – gli era ripreso<br />
il rantolo ansioso. – Ma se sposta un po’ la visuale,<br />
verso sinistra… cosa c’é?<br />
– C’è l’ascensore.<br />
– Ecco, si vede chi entra e chi esce dall’ascensore. Non<br />
basta, non basta… mi segua, mi segua.<br />
Ora il passo di Venturini, lungo il corridoio, si era fatto<br />
quasi saltellante.<br />
74<br />
Arrivati alla stanza da pranzo, spostò una pesante tenda<br />
di lana, dietro la quale c’era una porta-finestra, aperta<br />
su uno stretto balcone e sulla strada.<br />
Indicò un angolo del balcone: – Si metta qui, ma non si<br />
sporga troppo.<br />
Serra obbedì.<br />
– Stia più all’interno però, non la devono vedere… lei<br />
cosa vede?<br />
– La strada, naturalmente, via Vetulonia…<br />
– E poi, e poi… appena sotto di lei, sulla destra?<br />
– L’ingresso dello stabile.<br />
– Appunto, l’ingresso dello stabile…<br />
Ora stavano di nuovo l’uno di fronte all’altro, sulle poltrone.<br />
– Ha capito, avvocato, un triangolo perfetto: tre punti<br />
d’osservazione.<br />
– Ed è da questi punti d’osservazione che lei controllava<br />
Amicucci…<br />
– Non solo Amicucci.<br />
– Insomma, voglio dire… Amicucci era pur sempre il<br />
suo dirimpettaio, più vicino di altri, un vertice del suo<br />
triangolo perfetto era tutto per lui, suppongo…<br />
– Beh, questo è vero…<br />
L’ammissione fu l’inizio di un lungo e dettagliato excursus<br />
su Amicucci e la sua peccaminosa esistenza. Prima<br />
della morte della madre, da cui erano passati non più di<br />
due anni, Amicucci si era comportato sempre bene, o almeno<br />
senza dar scandalo. Trovarsi con la casa vuota gli<br />
aveva evidentemente dato alla testa. Dicesse pure quel<br />
che voleva la portinaia: le aveva viste con i suoi occhi dallo<br />
spioncino le donnacce che entravano ed uscivano, an-<br />
75
che a notte alta, e a volte non era una sola, ma due o tre,<br />
vere e proprie orge, lui sentiva certi rumori, indescrivibili,<br />
rumori d’orgia insomma. A quel punto del racconto,<br />
giunto alle orge, a Venturini era ripreso il rantolo.<br />
– Amicucci, però, – disse Serra, – aveva qualcuna nel<br />
palazzo, qualcuna che lo andava a trovare?<br />
– E questo a lei chi glielo ha detto? Magari quel grassone<br />
che ha mandato in giro a far domande…<br />
– E a cui lei non ha aperto la porta.<br />
– L’ho visto dallo spioncino e aveva un’aria… un’aria<br />
malvissuta.<br />
Serra non aveva mai pensato al Cavaliere come a uno<br />
dall’aria malvissuta. Si sentì quasi offeso per lui.<br />
– Allora, signor Venturini, è vero o no che ha visto qualcuna,<br />
qualcuna di questo palazzo, entrare in casa di Amicucci?<br />
Venturini attese a rispondere, come se volesse assaporare<br />
l’interesse che leggeva in faccia al suo interlocutore.<br />
– Mah… – disse prudente, – una donna l’ho vista, scendeva<br />
le scale ed entrava da Amicucci. – Poi con più forza:<br />
– E questo in tre occasioni.<br />
– Lei ha riconosciuto questa donna, naturalmente.<br />
– No, purtroppo.<br />
– Come fa allora a dire che era la stessa?<br />
– Le scarpe, inconfondibili. Rosse, un colore da sfacciata:<br />
<strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong> e molto aperte sul davanti.<br />
– Mi faccia capire meglio. Lei queste scarpe…<br />
– Io ho visto la donna, le gambe della donna per essere<br />
precisi dalla finestrella… la finestrella in cucina. Mi sono<br />
incuriosito, volevo sapere chi c’era dentro quelle scarpe e<br />
sono corso allo spioncino: da là doveva passare, per usci-<br />
76<br />
re dal palazzo. Ma invece di uscire stava di fronte alla<br />
porta di Amicucci.<br />
– Lei quindi la vedeva di spalle?<br />
– Di spalle, certo.<br />
– E non l’ha individuata?<br />
– Aveva un fazzoletto in testa e un cappotto. E poi è<br />
stato solo un attimo. Amicucci le ha aperto la porta e lei<br />
è entrata.<br />
– Questo la prima volta…<br />
– Le altre due volte, più o meno la stessa cosa. Quelle<br />
scarpe sulla rampa di scale e poi lei di spalle di fronte alla<br />
porta di Amicucci.<br />
– E lei è convinto che si tratti di qualcuna che abita nel<br />
palazzo?<br />
– Beh… non vedo chi altro, venendo dalle scale, dai<br />
piani in alto.<br />
– In effetti.<br />
Ora Venturini sembrava essersi acquietato. Aveva<br />
smesso di rantolare. Disse: – Eppure quell’Amicucci, le<br />
sue puttane, le orge… – Non completò la frase. Aveva<br />
assunto un’aria pensosa. Poi, con un sorriso maligno: –<br />
Ma io lo sapevo che sarebbe finito male.<br />
– Sa che stamane sono finalmente riuscito a parlarci col<br />
dirimpettaio di Amicucci? – attaccò Serra.<br />
– Risultato? – chiese Carruezzo.<br />
Serra raccontò dell’inquietante Venturini, di quella<br />
sua finestra sulle scale, della donna dalle scarpe sfacciate.<br />
– Pista interessante, – fu il primo commento del cavaliere.<br />
77
– Quale pista: le scarpe sfacciate?<br />
– Perché no? Amicucci ha un’amante nello stabile,<br />
un’amante clandestina… poniamo che lui, a un certo<br />
punto, non ne voglia più sapere…<br />
– La sua nota propensione al melodramma le prende<br />
la mano, cavaliere.<br />
– Forse, Serra, forse: quelle scarpe senza volto, però…<br />
non glielo nascondo… eccitano la mia fantasia.<br />
78<br />
12<br />
La notizia è arrivata percorrendo le strade del borgo, veloce<br />
e precisa, come se conoscesse una per una le case dei<br />
minatori del turno di notte, del turno che è sceso nel pozzo<br />
alle 8 di sera e che ora, sono le sei della mattina, non è ancora<br />
risalito. Sono le sei e se le cose non fossero come sono,<br />
che loro, quelli del turno di notte, sono là in fondo alla miniera,<br />
sono là, c’è stata una esplosione, ci sono stati dei<br />
crolli, e loro sono là, vivi o morti, vivi e morti, morti ma<br />
forse qualcuno è vivo, se le cose fossero come sempre, come<br />
ogni giorno, Piero il marito di Maria, starebbe ora sotto la<br />
doccia e penserebbe che fra un po’, diciamo una mezz’ora, il<br />
tempo di finire la doccia e fare il pezzo di strada dal pozzo a<br />
casa, fra una mezzora sarebbe con lei. Maria ancora a letto,<br />
e lui si infilerà nel letto e faranno l’amore, lei che finge di<br />
essere addormentata, ma è un gioco, un gioco che piace a<br />
lui e ancora di più a lei, lei dorme e lui la prende, lei è la<br />
bella addormenta e lui il principe-padrone che la prende<br />
nel sonno e lei non si sveglia ma sogna, sogna lui il principe-padrone<br />
che la prende, ma questa volta non è così, qualcuno<br />
alle sei del mattino ha bussato alle porta di casa, Maria<br />
si è alzata, ha aperto in camicia da notte, sai Maria, in<br />
miniera, non sono risaliti, un’esplosione.<br />
79
Sono là, nel piazzale di fronte al pozzo, le Marie del borgo,<br />
le giovani Marie del turno di notte, poco più che bambine,<br />
vestite con i vestitini d’estate a fiori e insieme a loro, chiazze<br />
di nero con i fazzoletti neri annodati sotto il mento, le mamme,<br />
e poi fratelli e padri e poi i compagni a cominciare da<br />
quelli che sono arrivati, sembrava un giorno come un altro<br />
all’inizio, sono arrivati per scendere nel pozzo e invece lo<br />
sbuffo di vapore che sale su dalle viscere della terra ha annunciato<br />
ciò che sarebbe potuto succedere a loro e che invece,<br />
un intreccio imperscrutabile di caso e circostanze, non è<br />
successo, non a loro comunque. Ascoltano attenti, tutti<br />
quanti, le giovani Marie, le madri, i fratelli, i padri, i compagni,<br />
ascoltano le parole, rassicuranti, quasi, del direttore,<br />
che loda l’intelligenza degli uomini che stanno giù, dei suoi<br />
uomini, che sì è vero, a 774 c’è stata un’esplosione, ma loro<br />
sanno cosa fare, sanno dove andare, non verso su, ché troverebbero<br />
l’inferno di fiamme e fumo, ma verso giù dove il<br />
fuoco non è certo arrivato ed eccoli quasi li vede Maria, il<br />
suo Piero in mezzo a loro, piccoli lombrichi rintanati nella<br />
terra fresca, in attesa prudente delle squadre di soccorso che<br />
arriveranno, già stanno per arrivare, l’ha detto il direttore:<br />
ora sono a 300 ha detto il direttore, sarebbero già a 500 se<br />
non avessero trovato un tappo di fumo, ma ora lo stanno aggirando.<br />
Maria non ha capito bene, il direttore ha fatto anche<br />
un disegno per spiegare di pozzi e di cunicoli, e di come<br />
quel monte sia tutto un intrico, che chi conosce la miniera sa<br />
bene come passare da un pozzo all’altro, e sa superare le frane<br />
ribollenti di fumo, e i cunicoli allagati, e le pozze di grisou<br />
stagnante. Ma Maria ha voluto capire solo questo: il suo<br />
lombrichino si salverà.<br />
80<br />
Ci sono i molti che sono stati sommersi, dalla terra, dall’acqua,<br />
dal fuoco, e i pochi che si sono salvati: su ottantotto<br />
del turno di notte sei hanno visto del fumo e immediatamente<br />
si sono lanciati nella gabbia-ascensore, che li ha riportati<br />
in superficie. A proposito della sorte dei loro compagni,<br />
non sono ottimisti come il direttore. Il direttore ha<br />
le sue carte ben disegnate, loro il pozzo lo considerano per<br />
quel che è, una bestia infida dal respiro rotto e affannoso.<br />
Non sono ottimisti sui loro compagni, e già si insinua dentro<br />
di loro la colpa di essere vivi. Ora a dodici ore dal fatto,<br />
nella spianata di fronte al pozzo si agita una folla di infermieri<br />
e poliziotti, suore, pompieri, giornalisti, e ci sono<br />
consiglieri provinciali, assessori e perfino ministri, questi<br />
ultimi coi loro portaborse, e poi ci sono i curiosi. La spianata<br />
è percorsa da cavi e tubature e illuminata da forti lampade<br />
elettriche. Le tubature spingono giù nella miniera tonnellate<br />
di acqua, che dovrebbero spegnere l’incendio e raffreddare<br />
la terra. Ma alcuni vecchi minatori hanno paura<br />
che tutta quell’acqua possa far fare a chi sta laggiù la fine<br />
del topo di fogna. Così anche, dicono, che i ventilatori che<br />
aspirano fuori il fumo rischiano di alimentare gli incendi.<br />
Politici, giornalisti, curiosi, discutono di quote e livelli, di<br />
aprire nuove gallerie, di allargarne vecchie, col piglio degli<br />
esperti. Maria è là che aspetta con le altre. Con loro, a tarda<br />
sera, è rimasta solo una vecchia suora.<br />
Sono passate dodici ore e un vecchio minatore, che tutto<br />
sa della miniera, ma ne sa anche l’assoluta imprevedibilità,<br />
dice a voce alta cosa si immagina sia successo: Improvvisamente<br />
i minatori che lavoravano nelle gallerie inferiori a<br />
81
quota 774 si sono trovati sommersi nel buio più completo<br />
mentre tutte le macchine si arrestavano a causa del corto<br />
circuito. Pochi istanti dopo, l’odore di bruciato trasportato<br />
verso il basso dalle canalizzazioni dell’aria respirabile<br />
(quella dell’aria compressa ha da subito iniziato a non funzionare)<br />
deve essere giunto sino loro. A questo punto ha taciuto.<br />
E a chi gli chiedeva, e poi secondo te cosa è successo?<br />
ha risposto con voce meno ferma: Il panico deve essere stato<br />
grande. Hanno continuato a domandargli. E poi? E poi?<br />
Ma lui è stato zitto.<br />
Sono passate ventiquattro ore, è l’alba, e salgono su i primi<br />
corpi, venti, trenta, devastati dal calore e dai gas, irriconoscibili.<br />
Eppure bisogna identificarli. Solo in alcuni casi<br />
un fazzoletto, una canottiera, una cintura di pantaloni permettono<br />
di dare un nome a un cadavere. Altro modo non<br />
c’è: sigarette e accendini sono vietati giù nei pozzi, e così i<br />
temperini, quanto ai portafogli a ottocento metri sottoterra<br />
non servono. Uno dei soccorritori, è appena risalito in superficie<br />
e indossa ancora guanti di gomma e maschere di<br />
garza, racconta di aver trovato laggiù le carogne abbrustolite<br />
di una decina di muli. Ma se sono carogne abbrustolite i<br />
muli, si è detta Maria, lo sono anche i cristiani. Non vuole<br />
pensare a Piero come a una carogna abbrustolita.<br />
Sono passati quattro giorni, qualche altro cadavere è stato<br />
riportato in superficie e un certo numero di bare sono<br />
state allineate in una sala della palazzina della direzione.<br />
Ce n’è abbastanza da fare un funerale, anche se sono di più<br />
82<br />
quelli rimasti sottoterra di quelli che ora, dentro bare di legno,<br />
sottoterra torneranno. C’è molta gente al funerale,<br />
proprio tanta. C’è anche Maria al funerale, in prima fila<br />
con le altre vedove. Tutte vestite di nero, tutti, uomini e<br />
donne, sono vestiti di nero, e nero è il colore di questo funerale,<br />
con una pioggia sottile che scende trascinando con sé<br />
le particelle di polvere di carbone sospese nere nell’aria.<br />
83
13<br />
C’erano, di fronte alla scrivania di Serra, Nanni il Frocione<br />
e il suo amico Tazio Quagliariello. Nanni tentava<br />
con qualche successo di tenere in equilibrio una tazzina<br />
di caffè, con una mano sotto il piattino. Tazio, seduto in<br />
punta alla sedia, la tazzina l’aveva invece prudentemente<br />
appoggiata sulla scrivania.<br />
– Veramente buono questo caffè, cavaliere, – disse<br />
Nanni dopo un ultimo sorso, mentre con evidente sollievo<br />
poggiava la tazzina.<br />
Da Carruezzo, sprofondato in una poltrona posta di lato<br />
rispetto alla scrivania e alle sedie, giunse una sorta di<br />
grugnito, forse di soddisfazione. Fare il caffè era tra le<br />
mansioni che il nuovo giovane di studio si era motu proprio<br />
attribuito. Lo preparava nella stessa stanza dove batteva<br />
a macchina, facendolo bollire su un fornellino a spirito,<br />
per poi servirlo con fare cerimonioso nello studio di<br />
Serra.<br />
– Allora Nanni, – fece Serra, – sembra proprio che ti sei<br />
rimesso.<br />
– Ma sì, avvocato. Magari a occhio nudo non si vede,<br />
ma io sono di quelli tosti.<br />
– E siccome sei tosto e le botte che hai preso non ti han-<br />
85
no fatto un baffo, hai continuato a indagare nell’ambiente<br />
dei cravattari…<br />
– Non è proprio così avvocato. Poi, a essere sinceri,<br />
quando m’hanno pestato non sono sicuro che erano botte<br />
dei cravattari.<br />
– E di chi se no?<br />
– Lei lo sa, avvocato, quelli come noi, – disse guardando<br />
verso Tazio. – Quelli come noi c’abbiamo che diamo<br />
fastidio alla gente.<br />
– Se la dici, la devi dire tutta, – intervenne Tazio ar<strong>rosse</strong>ndo.<br />
– Diglielo all’avvocato quello che ti è successo al<br />
cinema di Centocelle, all’Astoria…<br />
– Ma Tazié, te lo già detto, quello è stato un malinteso,<br />
un… come dici sempre tu? un qui quo qua.<br />
– Un quid pro quo – corresse Tazio.<br />
– Proprio così, un abbaglio del ragazzino, che io gli ho<br />
offerto solo una sigaretta: e poi vallo a sapere che era figlio<br />
der Pistola.<br />
– Spiegami allora perché sei andato sino a Centocelle<br />
per vedere quella pellicola, che la davano anche al cinema<br />
sotto casa… lasciamo stare però, che all’avvocato e al<br />
cavaliere gli stiamo facendo perdere tempo…<br />
Tazio si interruppe per un attimo. Poi però riprese con<br />
enfasi: – Tu dici quelli come noi, Nanni. Ma sono quelli<br />
come te che ci fanno perdere la faccia, la dignità…<br />
– E chi è che perderebbe la faccia? La categoria? A Tazié,<br />
se fosse per te tu magari ci fai il sindacato di quelli come<br />
noi. – Poi rivolgendosi a Serra: – Vede avvocato, sarà<br />
perché è di un’altra generazione, sarà perché Tazietto mio<br />
lui è un animale a sangue freddo, ma uno se lo deve senti’<br />
il fuoco dentro per capi’ cosa vuol dire, che te ne andresti<br />
86<br />
non dico a Centocelle ma nella giungla delle Amazzoni. A<br />
tenerci costretti in una natura che non è la nostra e a dirci<br />
che non si può fa’, uno la voglia l’attizza ancora di più. E<br />
poi Tazié, te lo posso dire: noi, io, tu, tutti gli altri, froci<br />
siamo e froci restiamo che nella vita c’è anche peggio che<br />
di esse’ froci… mi scusi avvocato, ma era da tanto che dovevo<br />
farglielo a Tazio questo discorso. Le stavo dicendo…<br />
– Mi stavi dicendo delle indagini su Amicucci e i cravattari…<br />
– Io quelle indagini non le ho riprese, sinchè… ma forse<br />
è meglio che a dirglielo sia Tazio: è lui che…<br />
– No, parla tu, – disse Tazio. – D’altra parte sei tu quello<br />
che sa come vanno le cose del mondo.<br />
– A Tazié non mi dire che ti sei offeso. No che non ti sei<br />
offeso… insomma Tazio legge molti giornali e settimanali<br />
e in uno di questi, Il Pungolo, che ti va a trovare?<br />
– Che ti va a trovare? Dimmelo tu Nanni, – intervenne<br />
Serra.<br />
– Una serie di articoli sul professor Zanda, o per essere<br />
più precisi sul sottosegretario Zanda.<br />
– Che giornale è questo Il Pungolo?<br />
– Uno di quelli di politica.<br />
– Nulla di strano allora che un giornale politico parli di<br />
un uomo politico, tanto più se questo uomo politico ha<br />
un incarico di governo, è un sottosegretario.<br />
– Il fatto è che questo non è un giornale come gli altri…<br />
dài Tazié spiegaglielo tu per bene al cavaliere e all’avvocato,<br />
che io non mi ci sbrigo troppo con ’sti discorsi di<br />
politica.<br />
Tazio Quagliariello si appoggiò meglio alla sedia, e con-<br />
87
temporaneamente raddrizzò la schiena. Poi si schiarì la<br />
voce, come chi sta per iniziare un lungo discorso.<br />
– Ad esser precisi Il Pungolo è un giornale di destra, di<br />
estrema destra…<br />
– Perché Tazietto mio, – lo interruppe Nanni, – è rimasto<br />
fermo nell’idea, è un idealista lui: spiegaglielo Tazié<br />
all’avvocato.<br />
Per la seconda volta Tazio Quagliariello arrossì violentemente.<br />
– Che c’entra questo, – disse. – Non c’entra assolutamente<br />
nulla.<br />
– Era solo per spiegare perché leggi i giornali di destra:<br />
tu fascista eri e fascista sei rimasto, mica come quelli che<br />
cambiano casacca, che oggi è pieno…<br />
– Nanni, te l’ho già detto che non è come dici tu, che<br />
non è così semplice…<br />
– Ma io sono orgoglioso di te, Tazietto, e anche se di<br />
politica non ci capisco un’acca se tu sei dell’idea lo sono<br />
anch’io.<br />
– E di quale idea sarei?<br />
– Dell’idea che non muore mai: il Duce.<br />
– Spiegare a te è come spiegare ai banchi, il Duce non<br />
c’entra nulla…<br />
Eupremio Carruezzo aveva seguito le ultime battute di<br />
quella conversazione in piedi. Forse, alzandosi, aveva avuto<br />
l’intenzione di raggiungere il portacenere sulla scrivania<br />
di Serra, ma poi era rimasto là, accanto alla poltrona, il<br />
sigaro tra le dita e, sotto il sigaro, la mano sinistra a coppa<br />
pronta a raccoglierne la cenere.<br />
– Se non è il Duce l’idea, – intervenne Carruezzo, – qual<br />
è allora?<br />
– Nessuno meglio di lei può capirmi, cavaliere, – disse<br />
88<br />
Tazio. – Non è che se le cose sono andate in un’altra maniera,<br />
uno abbandona le sue convinzioni.<br />
– Ma neppure le mantiene, queste convinzioni, quando<br />
si dimostrano palesemente sbagliate.<br />
– Lei crede che la costruzione dell’uomo nuovo, la rinascita<br />
di un’Italia proletaria fossero idee sbagliate?<br />
– Quel che credo io, caro Tazio, non conta. Ero fuori<br />
del gioco allora, e fuori del gioco sono adesso. Di questo<br />
non aveva colpa allora Mussolini e non ha colpa adesso<br />
Adone Zoli…<br />
Proprio in quel momento la cenere cadde dal sigaro,<br />
senza che la mano a coppa del cavaliere la trattenesse. –<br />
Accidenti, – fece Carruezzo e cercò col piede di allontanare<br />
la cenere dal tappeto. Ne venne fuori una patacca<br />
grigiastra, a campeggiare nel simil persiano che ricopriva<br />
il pavimento. Gli occhi di tutti si erano concentrati<br />
sulla manovra del cavaliere, sino alla sua conclusione,<br />
con la scarpa di lui sopra la patacca, di sicuro per nasconderla.<br />
Serra fu il primo a riprendere il filo del discorso: – Insomma<br />
Tazio, ci stava parlando del Pungolo…<br />
– Un foglio antigovernativo, su questo non ci sono dubbi…<br />
– E diglielo chiaro Tazié. Un giornale contro il magnamagna<br />
degli onorevoli, contro i forchettoni, quelli democristiani<br />
e quelli degli altri partiti.<br />
– Un giornale senza peli sulla lingua, insomma, – riprese<br />
Tazio. – Fatto sta che negli ultimi due mesi si è occupato<br />
spesso del professor Zanda. Lei sa, avvocato, dell’inchiesta<br />
governativa sull’incidente minerario di Nuraxi<br />
Nieddu, in <strong>Sardegna</strong>?<br />
89
– Certo, ne ho letto sui giornali. A Nuraxi Nieddu erano<br />
morti ottanta minatori, mi pare di ricordare.<br />
– Esattamente. L’incidente è dell’inizio dell’anno scorso<br />
e a quel tempo Zanda era sottosegretario al ministero dell’Industria.<br />
A partire da gennaio Il Pungolo, ha pubblicato<br />
una lunga inchiesta sull’incidente: il lavoro dei minatori<br />
nei pozzi, le norme di sicurezza, e così via. Nel terzo<br />
pezzo sull’inchiesta, eravamo già all’inizio di marzo, è cominciato<br />
a venir fuori il nome di Zanda. Che il Ministero<br />
non aveva proceduto alla riorganizzazione del Servizio<br />
minerario, che la legislazione sulle miniere era carente e<br />
arretrata. Cose generiche, persino fumose, ma lasciando<br />
capire, dicendo e non dicendo, che c’era qualcosa di più,<br />
qualcosa su cui il giornale stava indagando, e che a suo<br />
tempo sarebbe venuto fuori…<br />
A quel punto intervenne Nanni: – E un giorno Tazietto<br />
mi fa: hai visto il tuo professor Zanda. Il mio professor<br />
Zanda, faccio io. Il tuo professor Zanda, fa lui, quello<br />
della serva sarda che l’hanno trovata col corpo del reato<br />
in mano. E poi mi fa vedere gli articoli. Io m’incuriosisco,<br />
io sono fatto così, sono curioso, mi conosco che certe volte<br />
è proprio la curiosità che m’ha fregato…<br />
– Nanni, veniamo al dunque, – fece Serra.<br />
– Gliela faccio breve avvocato. Stavo meglio, e decido<br />
di farmi un giro da certi amici miei per sapere qualcosa su<br />
questo giornale, tanto per capire, come si suol dire… insomma,<br />
faccio qualche domanda in giro e ti vado a scoprire<br />
due cose. La prima è che il proprietario, direttore,<br />
fattotum de questo giornale, di questo foglio come ha<br />
detto Tazio, il proprietario, tal Cantillo Michele, è uno,<br />
come si dice… non proprio un giornalista tale e quale, di<br />
90<br />
quelli che scrivono quello che c’hanno da scrivere e poi,<br />
ciccia: se ne tornano a casa. Il lavoro suo, quello vero, viene<br />
dopo che ha scritto. Lui scrive su uno che c’ha i cazzi<br />
suoi che non vuole che si sanno in giro. Poi va da questo e<br />
gli dice: tu mi sganci e io i cazzi tuoi non li scrivo sul giornale.<br />
È chiaro che questo lavoretto non lo fanno con la<br />
gente come noi, come me e Tazio ad esempio, che anche<br />
io e Tazio c’abbiamo i cazzi nostri - e ridi Tazié, ch’è una<br />
battuta! - ma di questi cazzi non gliene frega niente a nessuno.<br />
Il giochetto, Michele Cantillo, lo fa con quelli che<br />
c’hanno da masticare, lo fa coi forchettoni. Già a questo<br />
fatto mi sono messo in campana. Solo che poi che ti scopro?…<br />
ti scopro che certe volte Cantillo per i lavoretti<br />
suoi si serve come uomo di mano, come uomo di pressione…<br />
di Amicucci si serve, del nostro Amicucci che poi gli<br />
è capitato quello che gli è capitato. Io se posso di’ la mia<br />
idea…<br />
Ma il cavaliere lo interruppe: – Una cosa mi pare certa.<br />
Non può essere un caso che, partendo da Amicucci e seguendo<br />
strade diverse, si arrivi sempre al professor Zanda.<br />
– Proprio così, – intervenne Nanni, – è quello che volevo<br />
dire anch’io.<br />
E Serra: – Se le cose sono come dice Nanni non è impossibile<br />
che Zanda, essendo nel mirino di Cantillo, avesse<br />
già Amicucci alle calcagna.<br />
Tutto, continuò Serra, riportava ad Adelina e al motivo<br />
per cui si era rivolta ad Amicucci. Su questo, di sicuro,<br />
Adelina era reticente, forse mentiva.<br />
91
14<br />
Il Café de Paris non era il Paradise, non aveva vetri<br />
sbrecciati, né serviva chinotti, né lo frequentavano domestiche<br />
in libera uscita. Nelle ore in cui il Paradise celebrava<br />
i suoi fasti il Café de Paris era ancora vuoto. Solo verso<br />
le undici di sera cominciava a riempirsi di esponenti più o<br />
meno noti delle varie tribù che in quegli ultimi anni ne<br />
avevano fatto la fortuna: cinematografari, giornalisti, generici<br />
tiratardi, i quali dopo aver cenato nei ristoranti tra<br />
fontana di Trevi e il Tritone sciamavano verso i locali notturni<br />
intorno a via Veneto. Dal fondo oscuro della sala<br />
una voce femminile, quasi a mettersi a tono con l’atmosfera,<br />
cantava di lucciole amanti delle tenebre e perversi<br />
fiori del male, seguiva una canzone su una donna voluttuosamente<br />
avvinta al suo uomo, respiri che respirano altri<br />
respiri, corpi che s’intrecciano, bocche frementi. Appoggiato<br />
con un gomito al bancone, un bicchiere in mano,<br />
un mezzo sorriso sulle labbra, Michele Cantillo aveva<br />
l’aria di godersela un mondo.<br />
Serra non ebbe dubbi che fosse proprio lui l’uomo che<br />
cercava. – Mi riconoscerete dalla statura, – gli aveva detto<br />
al telefono, – se volete, però, infilo una gardenia all’occhiello.<br />
93
Per essere basso Cantillo era basso, sembrava però robusto,<br />
con quel doppiopetto a righe da gangster italoamericano.<br />
All’anulare sinistro un grande anello d’oro<br />
con lo stemma. Anche lui parve individuarlo, anche se<br />
Serra non gli aveva dato alcuna indicazione. Scese dall’alto<br />
sgabello su cui era appollaiato - per farlo dovette poggiare<br />
il piede sinistro sulla barra d’ottone poggiapiedi che<br />
correva alla base del bancone - e gli venne incontro.<br />
– L’avvocato che mi ha telefonato questo pomeriggio?<br />
– Luciano Serra, piacere.<br />
– Vuole che ci sediamo a un tavolo, o beve una cosa con<br />
me al bar?<br />
– Il bar va bene, – disse Serra e scelse lo sgabello accanto<br />
a quello di Cantillo.<br />
– Whisky?<br />
– Vada per il whisky.<br />
– Gianni, due Johnny Walker, – fece Cantillo al barman<br />
con un accenno di sorriso. Poi, rivolgendosi a Serra: – Mi<br />
faccia indovinare il motivo per cui mi ha cercato… lei cura<br />
gli interessi dell’onorevole Malavasi e l’onorevole Malavasi<br />
vorrebbe che io smettessi di parlare di lui sul mio<br />
giornale, soprattutto smettessi di parlare di quei suoi affarucci<br />
con il Banco Lariano…<br />
– La devo interrompere: non si tratta dell’onorevole<br />
Malavasi…<br />
– Allora è l’onorevole Gibelli che la manda…<br />
– Neppure. Si tratta di una mia assistita, al momento alle<br />
Mantellate perché accusata di aver ucciso tal Pompeo<br />
Amicucci. Ecco questo volevo chiederle, se lei ha conosciuto<br />
Pompeo Amicucci.<br />
Proprio in quel momento un gruppo colorito e chiasso-<br />
94<br />
so fece ingresso nel locale, tanto colorito e chiassoso da<br />
attrarre l’attenzione di Serra: al centro una donna, sinuosa<br />
e ondeggiante in un abito da sera molto attillato, al suo<br />
fianco due uomini, uno con una cravatta di cuoio e un sigaro<br />
in bocca, l’altro indossava degli occhiali scuri. La<br />
donna disse qualcosa in inglese che Serra non capì e l’uomo<br />
dalla cravatta di cuoio esplose in una fragorosa risata.<br />
Non avrebbe saputo dirne il nome, ma Serra era sicuro<br />
che la donna fosse una stella del cinema, e anche i due uomini<br />
avevano una faccia conosciuta. Più volte, per anni,<br />
quella scena gli sarebbe tornata in mente, ma velata nel<br />
ricordo, la figura della donna fiabescamente fluttuante<br />
nell’aria come in un quadro di Chagall.<br />
– Perché dovrei aver conosciuto questo Amicucci? – riprese<br />
Cantillo.<br />
– Non dico che lo ha conosciuto. Le sto solo chiedendo<br />
se lo ha conosciuto. Sa, Amicucci era una specie di cravattaro,<br />
come dicono qui a Roma…<br />
– Appunto, io sono un giornalista, un giornalista professionista,<br />
e non permetto… comunque, se le può servire,<br />
so chi è questo Amicucci. Non credo però di poterle<br />
essere di grande aiuto… se c’ho avuto a che fare, c’ho<br />
avuto a che fare superficialmente.<br />
– Si è per caso servito delle sue prestazioni?<br />
– Se gli ho chiesto soldi a strozzo?<br />
– No, non in quel senso…<br />
– Ho capito, lei vuol sapere se… prima risponda lei a<br />
una domanda, però: di quale informazione ha bisogno<br />
esattamente?<br />
– Le faccio un altro nome: il professor Zanda, l’onorevole<br />
Zanda…<br />
95
– Ora la seguo: dunque è per Zanda che è venuto a<br />
trattare.<br />
– Non sono venuto a trattare per nessuno, le ripeto. Il<br />
fatto è che la mia cliente, Adelina Demontis, è a servizio<br />
a casa di Zanda…<br />
– Capisco sempre meno come posso esserle utile.<br />
– Lei ha scritto a più riprese su Zanda nel suo giornale.<br />
– Senta avvocato, avvocato…<br />
– …Serra.<br />
– Bene, avvocato Serra, io sono un giornalista, e faccio<br />
giornalismo investigativo. Lei ha presente cos’è il giornalismo<br />
investigativo?<br />
– Suppongo di sì.<br />
– Invece sono sicuro che lei non ha un’idea del giornalismo<br />
investigativo. Non solo lei, intendiamoci. In questo<br />
paese il giornalismo investigativo praticamente non esiste.<br />
Sa perché non esiste? – Cantillo non aspettò la risposta:<br />
– Non esiste perché gran parte della stampa è governativa,<br />
e le magagne dei politici più che portarle alla luce<br />
è interessata a nasconderle.<br />
– Ci sono pur sempre i giornali d’opposizione.<br />
– Glieli raccomando quelli. Ha presente L’Unità? Contro<br />
chi ce l’ha L’Unità? Contro il capitalismo, contro l’imperialismo.<br />
Contro queste grandi entità metafisiche ce<br />
l’ha. Non certo contro i singoli politici, quelli che truffano,<br />
rubano, comprano voti. Questi li lascia in pace. Me lo<br />
dica lei avvocato: è o non è così?<br />
Cantillo portò alle labbra il bicchiere. Sembrava gli facesse<br />
piacere che qualcuno lo ascoltasse. Forse c’era stato<br />
un tempo in cui lo stesso Cantillo aveva creduto a quelle<br />
96<br />
sparate, ma ora solo la presenza di un pubblico nuovo lo<br />
poteva spingere a esibirsi in quel numero.<br />
– È o non è così, avvocato?<br />
– Non saprei. M’intendo poco di queste faccende.<br />
– Lei vuol sapere di Zanda, dunque?<br />
– Di Zanda, e di suoi eventuali rapporti con Amicucci.<br />
– E cosa dovrei sapere io di questi eventuali rapporti?<br />
Domanda ragionevole, pensò Serra. Perché mai Cantillo,<br />
ammesso sapesse qualche cosa, avrebbe dovuto parlarne<br />
con lui?<br />
– Lei conosceva Amicucci. Di Zanda, poi, sembra sapere<br />
molte cose…<br />
– Di Zanda so le cose che ho scritto sul mio giornale e<br />
quelle che scriverò prossimamente. Compri Il Pungolo e<br />
saprà tutto su Zanda. Cinquanta lire ben spese, glielo assicuro.<br />
– Magari mi può dire qualche cosa di Amicucci.<br />
– Quando ho letto sul giornale che un tal Amicucci era<br />
morto ammazzato, mi sono ricordato di un Amicucci che<br />
avevo conosciuto… Ho qualche appartamento in affitto<br />
e mi avrebbe fatto comodo incaricare qualcuno di riscuotere<br />
le pigioni. Mi avevano parlato di Amicucci come di<br />
uno che faceva lavori del genere. L’ho visto una volta,<br />
però, e mi è bastato: il tipo del truffatore, glielo si leggeva<br />
in faccia.<br />
Come in faccia si leggeva a Cantillo che mentiva. Perché<br />
dovrebbe dirmi la verità? si chiese ancora una volta<br />
Serra. La verità, quelli come lui, la vendono tanto al chilo,<br />
non la distribuiscono certo così al primo Serra che<br />
passa. Che figura tapina stava facendo di fronte a quel lestofante,<br />
con le sue domande balbettanti! Cosa si aspet-<br />
97
tava dal quell’incontro col giornalista? Che magari gli dicesse<br />
che, sì, lui aveva incaricato Amicucci di ricattare<br />
Zanda e che Zanda… ecco cosa ci sarebbe voluto, una<br />
storia convincente, capace di scagionare Adelina… avvocato<br />
Serra, un trionfo, gli avrebbero detto in Tribunale, e<br />
perché no, qualche titolo sui giornali. Il monologo si<br />
chiuse nel modo fulmineo in cui era solito chiudere queste<br />
conversazioni con se stesso: Serra, sei un patetico coglione.<br />
98<br />
15<br />
Quella notte Serra fece un sogno. Ma più che un sogno<br />
fu un incubo. Senza scarpe, a piedi nudi, e lo inseguivano.<br />
Lo inseguiva Adelina, ma non era lei sola. Adelina,<br />
anzi, la sentiva come il meno pericoloso dei suoi inseguitori.<br />
Gli altri, facce nell’ombra che non riusciva a riconoscere,<br />
lo volevano morto. Si rifugiava nella sacrestia della<br />
chiesa di San Michele, a Cagliari, e qui appariva suo padre<br />
in divisa da poliziotto. Figlio mio ti cercano - il tono<br />
lamentoso di suo padre - ti riconosceranno subito così<br />
senza scarpe. Procurami un paio di scarpe, babbo, ma lui<br />
si allontanava e lo lasciava solo. Poi indossava una tonaca<br />
nera e sopra la tonaca una cotta di lino orlata di pizzo -<br />
così aveva servito messa da bambino - e usciva dalla chiesa.<br />
Ai piedi aveva ora della scarpe femminili, scarpe <strong>rosse</strong><br />
coi <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong>. E la gente mormorava al suo passaggio:<br />
eccolo è lui l’assassino.<br />
Al risveglio ripercorse il sogno, passo a passo, provando<br />
il sollievo di chi riassapora la realtà, che per quanto<br />
triste possa essere, non è così orripilante come quella appena<br />
sognata. Lo colpiva che al centro di quello scenario<br />
d’incubo vi fosse lui stesso accusato d’omicidio, lui che<br />
invece era a caccia di un assassino. E la figura di suo padre…<br />
così elusiva nel sogno, cosa aveva a che fare con i<br />
99
suoi reali rapporti con lui? E le scarpe femminili che a un<br />
certo punto aveva indosso? I vertiginosi <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong>, ricordò<br />
la sensazione che gli dava nel sogno indossarle, un<br />
misto di imbarazzo e piacere. Particolari inquietanti, su<br />
cui non intendeva soffermarsi.<br />
Quando uscì di casa alla luce tenue di quella mattina di<br />
aprile, aveva appena smesso di piovere. Le nuvole, sino a<br />
poco prima basse e compatte, si andavano sfilacciando in<br />
un disordine di forme e di toni che prometteva l’irrompere<br />
del sole da un momento all’altro. Comprò il giornale a<br />
un’edicola e lo sfogliò sorseggiando un caffè in un bar di<br />
Corso d’Italia. Per circa una settimana l’assassinio di<br />
Amicucci aveva trovato spazio nelle pagine di cronaca del<br />
Messaggero, poco meno era durato l’interesse per la faccenda<br />
da parte del Tempo e del Giornale d’Italia. Il caso<br />
aveva incuriosito. Incuriosiva Amicucci - «esponente del<br />
demi monde criminale romano» scriveva il cronista - ma<br />
stuzzicava ancora di più una curiosità quasi morbosa<br />
Adelina Demontis, «la domestica sarda trovata sul luogo<br />
dell’efferato crimine.» Sulla terza pagina del quotidiano,<br />
era anche apparso l’articolo di un noto filosofo che collegava<br />
«l’enigmatica figura» della domestica al «fondo<br />
oscuro di un mondo, quello pastorale sardo, in cui le ragioni<br />
dell’onore e della stirpe sembrano ancora volere<br />
trovare espressione nel linguaggio della violenza e della<br />
vendetta.» Naturalmente il Messaggero aveva fatto ampi<br />
riferimenti al processo che vedeva il fratello della «domestica<br />
sarda» accusato di sequestro di persona, mentre solo<br />
di passata veniva menzionato il sottosegretario Zanda.<br />
Da qualche giorno del caso Amicucci non si parlava sul<br />
giornale, per cui fu con qualche sorpresa che Serra, quella<br />
100<br />
mattina al caffè notò sulle pagine di cronaca un titolo, «Il<br />
caso della domestica sarda. Un’intervista al suo datore di<br />
lavoro, il sottosegretario Zanda.» Si trattava di una breve<br />
intervista in cui Zanda, oltre a dirsi convinto dell’innocenza<br />
della donna, giustificava il fatto di tenersi in casa la<br />
sorella di un presunto sequestratore con l’impegno «cristiano»<br />
nei confronti di un mondo che necessitava, per<br />
«procedere alla propria redenzione», di comprensione e<br />
carità… cristiana, ovviamente, commentò fra sé Serra.<br />
Guidò la sua Giardinetta sino alla parte più alta di Via<br />
Veneto, poi percorse a piedi il vialetto di villa Borghese<br />
che sbocca sul Piazzale Flaminio. Oltre Porta del Popolo,<br />
lo aspettava Marianna.<br />
– Che ne dici di una cioccolata da Rosati? – chiese lui<br />
mettendole un braccio sulle spalle.<br />
– Preferisco passeggiare. Sai quanto mi piace andare a<br />
passeggio con te la domenica mattina, – disse lei.<br />
– Come una tranquilla famigliola borghese? – C’era<br />
una leggera intenzione ironica nella voce di Serra.<br />
– Un po’ lo siamo una famigliola borghese, o no?<br />
Serra non rispose.<br />
– Lo siamo o no, Luciano?<br />
– Tu che ne dici? … è la misura di questo po’… quali<br />
sono secondo te gli ingredienti che fanno la famigliola<br />
borghese?<br />
– Se vuoi dire che noi… insomma, non abbiamo una<br />
casa in comune, non abbiamo figli, non siamo neppure<br />
sposati. Però esistono molti modi di essere famiglia…<br />
– Te lo dico io, Marianna, quali sono gli ingredienti del-<br />
101
la famigliola italiana. Suocere e cognati! Le coppie che<br />
fanno famiglia hanno una quantità di suocere e cognati.<br />
– E i figli allora?<br />
– Suocere e cognati, ti dico. Noi, tutto quello che abbiamo<br />
nel ramo è una suocera. Una suocera che cucina<br />
molto bene: una suocera italiana che non cucinasse bene<br />
sarebbe una contraddizione in termini. Ne abbiamo una<br />
sola, però. E poi non abbiamo cognati. Ecco chi ci manca:<br />
i cognati. Quanti più cognati hai, più famiglia sei.<br />
– Abbiamo il cavaliere, però. Come vecchio zio, non è<br />
male, il cavaliere.<br />
– Non è come avere cognati, non è la stessa cosa.<br />
– Quella poverina è ancora in galera? – domandò lei<br />
mentre erano distesi a letto. Dopo la passeggiata al Corso,<br />
avevano pranzato in un ristorante di Piazza Augusto<br />
Imperatore. Poi erano andati a casa di lui.<br />
– Quale poverina?<br />
– La domestica sarda, la tua cliente.<br />
– È ancora alle Mantellate e ho paura che ci rimarrà.<br />
– Non ci sono elementi nuovi?<br />
– Qualcosa di nuovo potrebbe anche esserci. Il problema<br />
è che lei non parla. Se almeno dicesse tutto quello che<br />
sa…<br />
– Potrebbe essere scagionata?<br />
– Scagionata non lo so… certo è che peggio di così….<br />
– Tu cosa pensi? Pensi che sia innocente?<br />
– Devo pensare che sia innocente.<br />
– Non la difenderesti se no.<br />
– Non ho detto questo. Anche i colpevoli hanno diritto<br />
102<br />
a un avvocato. Sono io che per cercare di aiutarla ho bisogno<br />
di pensarla innocente, ma io sono un avvocato sui generis…<br />
– E me, se fossi colpevole, mi difenderesti?<br />
– Certo che ti difenderei.<br />
– Anche se avessi le prove che sono colpevole, se io te lo<br />
confessassi?<br />
– Dipenderebbe dalla colpa di cui ti sei macchiata.<br />
– Metti che sono la moglie di uno ricchissimo e che lo<br />
ammazzo col veleno per poter ereditare tutto e spassarmela<br />
col mio amante.<br />
– Beh, allora dipende.<br />
– Dipende da che cosa?<br />
– Se fossi io il tuo amante, allora farei carte false per farti<br />
assolvere: ho sempre avuto un debole per le vedove milionarie.<br />
103
16<br />
– Mi sento come ai vecchi tempi, – gli aveva detto il<br />
giorno prima il cavaliere, dopo una ennesima spedizione<br />
in via Vetulonia. Su quell’aspetto delle indagini, Carruezzo<br />
si era ritagliato una sorta di esclusiva. Andava su e giù<br />
per le scale, parlava con gli inquilini, prendeva informazioni<br />
da bottegai e baristi della zona, e soprattutto “annusava”.<br />
– Mi sento come ai vecchi tempi, – aveva ripetuto.<br />
I vecchi tempi. Del suo passato di poliziotto Serra ricordava<br />
soprattutto la sensazione di ripetitività: le domande<br />
ai sospetti, in fondo un’unica domanda, sempre la stessa<br />
(sei stato tu? dov’eri quella sera quando…? l’alibi, insomma),<br />
le minacce ai testimoni reticenti, e il disgusto, la<br />
ripugnanza, quando scoperto ciò che c’era da scoprire si<br />
giungeva al fondo oscuro di egoismo da cui pareva originarsi<br />
ogni delitto. E la sensazione di casualità, poi, l’impressione<br />
che solo il sommarsi di circostanze casuali e<br />
fortunate gli avesse consentito di mettere alle strette il<br />
colpevole, oppure che proprio l’ottusità dei criminali fosse<br />
alla fine la migliore alleata della giustizia, come la spinta<br />
a confessare, che a volte, imprevedibilmente, consentiva<br />
di risolvere casi sino a quel punto irrisolvibili. L’unica<br />
qualità che poteva riconoscere a un poliziotto - l’unica<br />
105
che riconosceva a se stesso, per lo meno - era la disposizione<br />
a disegnare trame, a immaginare motivazioni, a non<br />
escludere nessuna congettura, a figurarsi alternative possibili<br />
a ciò che appare, la capacità di seguire passo passo<br />
la mente contorta di un criminale, di comprenderne le<br />
pulsioni, quando in fondo comprenderle altro non vuole<br />
dire che ritrovarle in se stessi. Rispondimi: cosa c’è dentro<br />
di te? C’è voglia, c’è desiderio. Bene, gratta ancora:<br />
cosa c’è sotto il desiderio? La volontà di soddisfarlo. E<br />
sotto ancora? Nulla, non vedo, nulla che io voglia vedere.<br />
Accelerò il passo, quasi che in quel modo potesse lasciarsi<br />
alle spalle i pensieri cupi. Meglio riordinare le idee,<br />
invece, su quell’indagine così saltellante e sgangherata.<br />
Due le direzioni su cui si era sino ad allora mosso. Quella<br />
emersa per ultima, la catena o, volendo, il triangolo Cantillo-Amicucci-Zanda<br />
e quella da cui era invece partito, la<br />
pista che il cavaliere una volta per tutte aveva definito<br />
“condominiale”.<br />
La pista condominiale era stata costruita intorno all’innocenza<br />
di Adelina, capitata per caso sullo scenario del<br />
delitto, a delitto già consumato. La catena, il triangolo, invece<br />
- Cantillo che mette Amicucci alle calcagna di Zanda,<br />
per ricattarlo - presupponeva un ruolo di Adelina, un<br />
quarto anello-vertice che faceva saltare la catena-triangolo,<br />
ché in quest’ultima ipotesi non sarebbe bastato il caso<br />
a spiegare come la domestica del ricattato fosse in contatto<br />
col ricattatore e in casa sua proprio al momento della di<br />
lui dipartita.<br />
Ma in questa seconda ipotesi quale motivo poteva avere<br />
Adelina per tacere? Difendere se stessa da eventuali altre<br />
accuse? Evitare di fornire prove ulteriori all’accusa di<br />
106<br />
omicidio? Difendere altri? Era pensabile che, accusata di<br />
omicidio, rinunciasse a difendersi per coprire qualcuno?<br />
Così, sovrappensiero, Serra era arrivato quasi senza accorgersene<br />
a Campo dei Fiori. Ora, di fronte a lui, facce,<br />
gesti, voci dei venditori del mercato si producevano in<br />
una consumata teatralità, la stessa che gli capitava di ammirare,<br />
da ragazzo, quando, marinata la scuola, passava<br />
mattinate intere al mercato del Largo a Cagliari: e chi se<br />
lo vuole pappare questo cefalo grande e bello come un<br />
bambino? strillavano.<br />
– Eccolo il giovane poliziotto, magari un po’ meno giovane…<br />
– L’uomo gettò uno sguardo agli altri tavolini del<br />
bar, come ad accertarsi se ci fosse qualcuno di sua conoscenza.<br />
– Sai com’è, esser visto in giro con uno sbirro…<br />
anche se ora ti sei riciclato e non sei più un tutore dell’ordine.<br />
– Appunto, ma la faccia da poliziotto non la si perde<br />
così facilmente: è questo che vuoi dire? – fece sorridendo<br />
Serra.<br />
Da circa trent’anni, da quando stava ancora a Cagliari,<br />
conosceva Efisio Piccioni, amico di suo padre e giornalista,<br />
allora, dell’Unione Sarda. Si doveva a questa amicizia<br />
che il nome del vecchio Serra finisse tanto spesso sul giornale,<br />
come anche il fatto che i pezzi di nera di Piccioni, risultassero<br />
sempre i più informati e ricchi di particolari.<br />
Poi Piccioni aveva lavorato a Roma, al Messaggero, dove<br />
negli ultimi anni del regime si era conquistato una solida<br />
nomea di antifascista e rompicoglioni. I meriti antifascisti,<br />
arricchiti dalla militanza nei Gap, durante la guerra,<br />
107
gli erano valsi nel 1946 l’assunzione a L’Unità, nella cui redazione<br />
aveva avuto modo di rinverdire, e per molti<br />
aspetti rafforzare, questa sua fama di intemerato rompicoglioni.<br />
Nella redazione de L’Unità si ricordava ancora,<br />
con raccapriccio o ilarità, a seconda di chi ricordava, della<br />
sua proposta di un’inchiesta dal titolo «Nelle zone d’ombra<br />
dell’Unione Sovietica». Il passaggio dei sessant’anni<br />
aveva lasciato Piccioni con una faccia rugosa, che lasciava<br />
però intuire i tratti del giovane di una volta. Risaliva ai<br />
suoi primi anni a Roma l’abitudine, che il tempo aveva<br />
trasformato in rito, dell’aperitivo da Giolitti. – Dove c’incontriamo?<br />
– gli aveva chiesto Serra per telefono. – Da<br />
Giolitti, naturalmente.<br />
– E il tuo vecchio compare? – chiese Piccioni a Serra.<br />
– Chi sarebbe il mio vecchio compare?<br />
– Quell’Eupremio…<br />
– Carruezzo? Anche lui ha lasciato la Polizia. È andato<br />
in pensione. Al momento dà una mano nel mio studio.<br />
– La ditta non si è sciolta, insomma.<br />
– No, in un modo o nell’altro è ancora in piedi. Dimmi<br />
di te, piuttosto. Ho saputo che sei stato per qualche anno<br />
a Milano.<br />
– Così ha voluto il Partito. Poi ha voluto farmi ritornare<br />
a Roma e io sono ritornato, anche perché mi ero rotto le<br />
palle di Milano e Milano si era rotta le palle di me. Di Milano<br />
non sopportavo il clima. Quell’aria grigio-sporco<br />
che ti avvolge per dieci mesi all’anno e ti si appiccica addosso.<br />
– Insomma, tornare a Roma ti ha fatto piacere.<br />
108<br />
– Non avevo alternative, a meno di non considerare Cagliari<br />
un’alternativa.<br />
– Ti volevano mandare a Cagliari?<br />
– L’idea era di sbattermi in <strong>Sardegna</strong> a fare il segretario<br />
federale.<br />
– Non ti ci vedo come funzionario.<br />
– Cos’altro credi che sia un giornalista comunista se<br />
non un funzionario?<br />
– Comunque, a Cagliari non ti ci hanno mandato…<br />
– Si sono convinti (un po’ li ho aiutati io a convincersi)<br />
che a Cagliari, la mia città, magari avrei combinato guai<br />
ancora peggiori.<br />
– Perché, che guai hai combinato?<br />
– Mi sono concesso il lusso di pensare che la classe operaia<br />
ungherese che si ribellava al comunismo non lo faceva<br />
pagata dalla CIA, e l’ho anche detto pubblicamente.<br />
Ho anche detto che i carri armati russi a Budapest non ci<br />
dovevano entrare. Credo che considerino questa la mia<br />
colpa peggiore. E anche quando poi ho ritrattato…<br />
– Il grande Piccioni che fa marcia indietro! Questa da<br />
te non me la sarei aspettata, anzi non riesco proprio a<br />
spiegarmela…<br />
– Te la spiego io. C’è di mezzo una cosa che si chiama<br />
senso di colpa. Col senso di colpa non tratti, arriva là dove<br />
vuole arrivare, si insedia alla bocca dello stomaco e da<br />
là comanda: fai questo, accetta quest’altro, obbedisci,<br />
non sei tu che comandi, tu hai commesso la colpa, zitto<br />
dunque. La colpa è sempre la stessa: l’essersi separato dal<br />
tutto, dal cuore caldo, dalla massa gelatinosa, dall’unità<br />
indistinta, dalla famiglia, dalla patria, dalla classe, dall’umanità<br />
stessa. Perché Karl Radek nel corso del processo<br />
109
farsa del 1937 confessa di fronte al fosco inquisitore Vyshinsky<br />
brutture e tradimenti d’ogni tipo (che non ha<br />
commesso), perché quando Vyshinsky ubriaco balbetta<br />
confuse parole d’accusa contro di lui è lui stesso a precisarle,<br />
queste accuse, rincarando la dose? Senso di colpa,<br />
lo stesso senso di colpa che spinge Radek, negli anni del<br />
liceo, lui giovane rampollo di una borghesissima famiglia<br />
ebraica, ad avvicinarsi al socialismo e poi, studente all’università<br />
di Cracovia, a tuffarsi anima e corpo nella milizia<br />
rivoluzionaria. A volte il senso di colpa moderno sfocia<br />
nella rivoluzione, e chi è capace di muoverlo negli altri<br />
- suscitarlo, richiamarlo, attenuarlo, levarlo - ha in mano<br />
un fondamentale instrumentum regni. I preti di ogni religione<br />
sono maestri in questo, e così i tiranni di ogni epoca.<br />
Stalin era personalmente alieno da ogni senso di colpa<br />
ma ne sapeva riconoscere i sintomi negli altri e ne conosceva<br />
gli effetti. Non sappiamo cosa abbia detto Stalin a<br />
Radek quella volta che, tre mesi prima del processo che<br />
doveva condannarlo a morte, si fece portare nella cella in<br />
cui era rinchiuso e si intrattenne con lui per due ore. Possiamo<br />
però immaginare che Stalin gli prospettasse la confessione<br />
come una possibilità di raggiungere il riscatto e<br />
ottenere il perdono. Stalin le voleva dalla sua parte le vittime,<br />
non voleva che avessero dubbi di sorta, le voleva<br />
complici. Senso di colpa e bisogno di appartenenza. Io<br />
sono comunista, voglio essere comunista. Se però i comunisti<br />
non mi considerano uno dei loro…<br />
– Insomma, hai preferito avere torto dentro il partito…<br />
– …piuttosto che avere ragione da solo. Capisci ora,<br />
giovane Serra? Certo che tu questi problemi non li hai. E<br />
lo sai perché? Non hai bisogno tu, come altri, come me<br />
110<br />
ad esempio, di aggrapparti a una qualche mitologia. E<br />
poi sei un isolazionista, ecco cosa sei. Tu te ne freghi di<br />
appartenere, non hai bisogno di schierarti tu.<br />
– Se vuoi dire schierarmi in politica, hai ragione. Cose<br />
giuste e sbagliate ce ne sono dall’una e dall’altra parte.<br />
– Eccolo il menscevico! Toglimi una curiosità, Luciano.<br />
Cos’hai votato alle ultime elezioni? No, aspetta… te lo dico<br />
io. Hai votato socialdemocratico: dimmi se sbaglio.<br />
Piccioni non sbagliava, anche se prima delle ultime elezioni<br />
era capitato a Serra di votare un po’ per tutti, dai liberali<br />
ai comunisti.<br />
– E invece ti sbagli.<br />
– Non dirmi che hai votato democristiano!<br />
– Neppure. A proposito di democristiani, però: cosa sai<br />
del sottosegretario Zanda?<br />
Piccioni sorrise e portò alle labbra il Campari.<br />
– Allora è per questo che mi hai cercato? A qualcosa<br />
serve il vecchio giornalista rincoglionito quando si tratta<br />
di rovistare nella merda… ebbè, perché ti interessa Zanda?<br />
– Di certo ne hai letto sui giornali… la storia di quella<br />
domestica sarda accusata d’omicidio.<br />
– So tutto, era domestica da Zanda. Sì, ma tu che c’entri?<br />
– Io difendo la domestica.<br />
– Stigazzi… prima feroce poliziotto, ora difensore dei<br />
deboli e dei derelitti! La serva è colpevole, comunque.<br />
– E tu cosa ne sai?<br />
– Applico al caso le due grandi scienze del diciannovesimo<br />
secolo, il materialismo dialettico e la fisiognomica.<br />
Basta vederla in fotografia: la serva ha ucciso.<br />
111
– Che abbia ucciso o no, qualcuno la deve pure difendere.<br />
È per questo…<br />
– È per questo che vuoi sapere di Zanda. Sappi dunque,<br />
giovane Serra, che Zanda non solo è democristiano, ma è<br />
anche particolarmente stronzo. Stronzo più della media<br />
dei democristiani, aggiungo. E lo sai perché? Un democristiano<br />
normale, standard diciamo, lo si riconosce a prima<br />
vista: è democristiano, vuole essere democristiano,<br />
non fa nulla per nascondere il suo essere democristiano.<br />
Zanda no. Zanda tende ad occultarsi. Niente amicizie in<br />
Vaticano, nessun passato nella Fuci o nell’Azione Cattolica,<br />
l’aria del gran signore della cultura, la citazione dotta<br />
che spazia da Croce a Max Weber. Uno che se lo senti intervenire<br />
a Montecitorio ti dà l’impressione di essere appena<br />
sbarcato da Oxford. Dagli però un incarico dove<br />
possa gestire risorse o affari, allora ti diventa una macchina<br />
da guerra. Come uomo di governo sembra uscito dalla<br />
fantasia di un marxista d’altri tempi: hai presente il governo<br />
del Capitale e idee così. Zanda, detto in soldoni, è il<br />
punto di riferimento italiano di almeno due o tre gruppi<br />
internazionali. Una specie di loro agente. Lo so, messa in<br />
questo modo suona una cazzata, sembrerebbe che democristiani<br />
così non ne esistono, e invece ne esiste almeno<br />
uno, Zanda appunto.<br />
– Naturalmente hai seguito gli at<strong>tacchi</strong> che gli hanno<br />
fatto sul Pungolo, il foglio di quel Cantillo, certo lo conosci.<br />
È da lì che ho iniziato a interessarmi a Zanda, anche<br />
perché è venuto fuori che il cravattaro morto ucciso, Amicucci,<br />
lavorava per Cantillo. Sarà come dici tu, che ad ammazzare<br />
il cravattaro è stata Adelina, io però penso che sia<br />
innocente… voglio pensare che lo sia, in ogni caso.<br />
112<br />
– Un inguaribile romantico, ecco cosa sei: la povera tremula<br />
domestichina dev’essere innocente, e magari è il<br />
suo padrone il colpevole. Guarda che quelli come Zanda<br />
non ci si sporcano le mani in faccende del genere.<br />
– Non ho mai pensato a Zanda come a un possibile assassino.<br />
Mi è solo venuto in mente che Zanda c’entri<br />
qualcosa: metti che Amicucci gli stesse dietro per incarico<br />
di Cantillo e che la presenza di Adelina a casa sua,<br />
quando è stato ucciso, avesse a che fare con il ricatto.<br />
– E metti invece che Adelina abbia accettato di andare<br />
a casa di Amicucci, a saldo del suo credito… vorrei e non<br />
vorrei, certo mi batte il cuore, è incerta… Amicucci invece<br />
non ha dubbi su ciò che gli spetta… in fondo non è la<br />
prima volta che qualcuno con l’uccello all’aria finisce con<br />
la testa spaccata. Anzi, se la vogliamo mettere in termini<br />
di giustizia, il gesto di Adelina merita il nostro plauso: ha<br />
un po’ del Davide contro Golia, ma con un retrogusto di<br />
lotta di classe, alla Spartaco diciamo.<br />
– Avrà anche un bel retrogusto questa storia, ma non<br />
per Adelina che, nel caso i giudici si convincano sia andata<br />
così, come dici tu, si beccherebbe vent’anni…<br />
– Meno, molto meno, con una tua arringa accorata e<br />
partecipe.<br />
– Comunque sia, il tentativo di dimostrare che le cose<br />
sono andate diversamente lo devo fare. E Zanda non lo<br />
mollo. Voglio capire, tra l’altro, cosa c’è di vero negli articoli<br />
di Cantillo. Sono sicuro che tu ne sai qualcosa.<br />
– Se è per questo, di Cantillo so tutto. L’ho conosciuto<br />
nel 1944 al Messaggero, dove però si faceva vedere poco.<br />
La sua principale occupazione era procurare agli ufficiali<br />
tedeschi tutto ciò che la Wermacht non era in grado di for-<br />
113
nire: donne di un certo livello (nei normali casini, per<br />
quanto poco svegli, i crucchi ci sapevano arrivare da soli),<br />
ma anche oggetti d’arte, champagne, calze di seta. Aveva<br />
messo su un commercio di licenze - licenze a soldati tedeschi,<br />
bada bene - assolutamente geniale. C’erano ufficiali<br />
del Comando tedesco che vendevano le licenze, lo sapevano<br />
tutti a Roma. Non ci crederesti: questo commercio<br />
passava in buona parte attraverso Cantillo. Il soldatino<br />
della Wermacht voleva tornare a casa a dare un bacio alla<br />
mamma e alla fidanzata? Ne parlava a Cantillo e Cantillo<br />
organizzava la cosa. Geniale. Anche perché, contemporaneamente,<br />
Cantillo le cose che veniva a sapere sui tedeschi,<br />
movimenti di truppe, trasferimenti, nuove assegnazioni,<br />
le raccontava ai Gap, un modo efficace di pararsi il<br />
culo per il dopo. Nel 1947 ha lasciato il Messaggero e ha<br />
messo su quel suo giornale, Il Pungolo, e col giornale, da<br />
subito, il sistemino di ricatti ed estorsioni che hai visto all’opera<br />
con Zanda. Quello di Cantillo, bada bene, è un<br />
metodo collaudato e a suo modo scientifico. Ricostruita la<br />
storia, la divide in due parti. La prima la pubblica sul suo<br />
giornale, un modo di far sapere a chi di dovere che lui sa.<br />
Il silenzio sulla seconda lo offre direttamente all’interessato,<br />
il quale messo sull’avviso dagli articoli e adeguatamente<br />
innervosito è di solito disposto a pagare. Magari la<br />
seconda parte della storia non c’è o è molto meno esplosiva<br />
di quanto non pensi il politico malandrino caduto nelle<br />
grinfie di Cantillo. Cantillo è naturalmente pessimista sulla<br />
natura umana, lui pensa sempre al peggio, anche quando<br />
di questo peggio non sa tutti i particolari. Un po’ come<br />
il cuoco cinese che picchia la moglie…<br />
– Per cui gli articoli del Pungolo sul ruolo di Zanda a<br />
114<br />
proposito dell’inchiesta… insomma, non è detto che<br />
Cantillo abbia tra le mani molto di più di quello che ha<br />
scritto sul giornale.<br />
– A saperlo! L’arma di Cantillo è appunto questa: che<br />
noi non sappiamo quanto lui sa. La mia personale opinione<br />
è che le responsabilità di Zanda in tutta la vicenda dell’inchiesta<br />
sul disastro di Nuraxi Nieddu non siano poi<br />
clamorose. Insomma, tutto normale: normale lo sfruttamento<br />
dei minatori, normale l’indurirsi dello sfruttamento<br />
quando il prezzo del minerale sale, normale che ogni<br />
tanto i minatori rimangano intrappolati là sotto. Questa è<br />
la mia impressione, ripeto. Non escludo però che Cantillo<br />
oltre alla normale quantità di merda abbia raschiato<br />
dal barile qualcosa di più. Nel qual caso, giovane Serra,<br />
forse potrebbe essere che le cose siano andate come la tua<br />
mente fantasiosa e romantica ama figurarsi.<br />
Quale mente fantasiosa e romantica, pensò Serra. La<br />
mia mente confusa e incasinata, piuttosto, che da questa<br />
faccenda non ne cavava piedi.<br />
Dopo il primo Martini ne presero un secondo, poi Piccioni<br />
ordinò un Fernet Branca e per finire un Cognac.<br />
Serra propose di andare a mangiare qualcosa in una trattoria<br />
di Via delle Zoccolette, ma Piccioni obiettò che olive<br />
e salatini (al massimo un supplì) erano il suo pranzo abituale<br />
e che comunque aveva da fare al giornale. Mentre un<br />
po’ barcollante si alzava dalla sedia, biascicò qualcosa sul<br />
pezzo a cui stava lavorando. Su Stalin seminarista, credette<br />
di capire Serra, e si chiese anche se si trattasse di uno<br />
scherzo o se Piccioni parlava sul serio. Al volante della sua<br />
Giardinetta, ripensò alle parole del giornalista e al Piccioni<br />
di un tempo, al giovane cronista dell’Unione che aveva<br />
115
lasciato Cagliari con l’idea che oltre il mare iniziasse il<br />
mondo vero.<br />
In via Cavour, cominciò a piovere fitto. Col parabrise<br />
appannato e i tergicristalli che non riuscivano a star dietro<br />
alla pioggia battente pareva a Serra di essere dentro una<br />
nuvola d’acqua e vapore. Per qualche minuto procedette<br />
a passo d’uomo, tenendo l’automobile vicinissimo al marciapiede.<br />
Poi la pioggia cessò. Quando sbucò sul piazzale<br />
di fronte a Termini, c’era, alto sopra la stazione, uno grande<br />
arcobaleno.<br />
Erano a letto e avevano fatto l’amore.<br />
– A cosa stai pensando? – gli chiese Marianna.<br />
– A nulla di particolare. – Serra si accese una sigaretta.<br />
– A volte mi sembra che tu non mi veda. Ci potrebbe<br />
essere un’altra al mio posto e sarebbe lo stesso.<br />
– Stavo pensando a quel professore dove sta a servizio<br />
Adelina, quel…<br />
– Ti ricordi, Luciano, cosa ti ho detto la prima volta che<br />
abbiamo fatto l’amore?<br />
– Che se avessi saputo che far l’amore con me era così…<br />
– Sì, certo, poi però t’ho detto qualcos’altro.<br />
– Mi hai chiesto di riempirti il bicchiere di spumante,<br />
eri mezzo sbronza.<br />
– “Io ti salverò” ti ho detto. Ebbene non sono più convinta<br />
di poterlo fare...<br />
– Mi abbandoni al mio destino, insomma.<br />
– È quello che tu vuoi, essere abbandonato al tuo destino.<br />
E poi… questo non è il tuo destino è il tuo progetto.<br />
116<br />
– Quale sarebbe il mio progetto?<br />
– Di vivere così come vivi, di essere così come sei, un<br />
essere sospeso.<br />
– Un discorso così me l’ha fatto il mio amico Piccioni,<br />
proprio oggi. Ma lui parlava d’altro, parlava di politica…<br />
– Ti assicuro che non parlava d’altro.<br />
– Tu non mi lascerai, però, – disse Serra.<br />
– No, non ti lascerò, anche se certe volte vorrei riuscirci.<br />
117
17<br />
Era una giornata tetra, il cielo cupo, l’aria percorsa da<br />
folate di vento improvvise, una giornata di pioggia e di<br />
vento, di quelle che nulla e nessuno, agli occhi di Serra,<br />
avrebbe potuto redimere.<br />
L’avvocato entrò nello studio e fu come se con lui entrasse<br />
il tempo cattivo. Si tolse l’impermeabile gocciolante.<br />
Dopo averlo appeso all’attaccapanni, cercò di ridare<br />
forma al Borsalino con il quale aveva affrontato la tempesta.<br />
Poi, com’era suo solito, aprì la porta della stanza del<br />
cavaliere. Forse Carruezzo aveva deciso di starsene a casa,<br />
pensò Serra, trovandola vuota. Avrebbe fatto meglio a<br />
starsene a casa anche lui. Il lavoro non ne avrebbe sofferto.<br />
Il lavoro… Tre sfratti, due cause contro assicurazioni<br />
inadempienti, un po’ di recupero crediti, un borseggiatore<br />
colto in flagrante e Adelina che, comunque andasse la<br />
cosa, non vedeva bene come avrebbe potuto pagargli la<br />
parcella. Eccolo il lavoro. Cosa poteva desiderare di più?<br />
Serra, la sera prima, aveva avuto una conversazione con<br />
Marianna. Anche a Marianna, a volte, capitava di farsi<br />
prendere dalla sindrome della futura mogliettina, nella<br />
sua forma classica, quella della lungimiranza muliebre.<br />
– Io non ti capisco, non capisco perché non accetti la<br />
119
proposta della mamma di occuparti della contabilità del<br />
ristorante, – gli aveva detto.<br />
– Non sono un contabile, ecco perché.<br />
– Via, Luciano! È un modo come un altro per tirarti<br />
dentro il ristorante. La mamma, lo sai, vuole farsi da parte…<br />
– Mammina vuol farsi da parte e io dovrei mettermi a<br />
fare l’oste. Una splendida proposta, non c’è che dire.<br />
La conversazione era continuata, aspra quanto poteva<br />
esserlo con Marianna, che dopo qualche minuto aveva finito<br />
per gettargli le braccia al collo. Tracce di quella conversazione<br />
erano tuttavia penetrate nelle plaghe più riposte<br />
della coscienza di Serra, producendo nel corso della<br />
notte la visione da incubo di un se stesso in toga ma con<br />
sulla testa un capello da cuoco, e mammina di fronte a<br />
lui, ad applaudire freneticamente.<br />
Entrato nel suo studio, vide Carruezzo che brandiva un<br />
piumino.<br />
– Che fa cavaliere? – chiese Serra.<br />
– Spolvero, perbacco. Dio sa quanto il suo studio ne ha<br />
bisogno. L’aspettavo, e così nel frattempo… c’è posta per<br />
lei.<br />
Serra si avvicinò alla scrivania: – È arrivata aperta questa<br />
lettera?<br />
– Dice che l’udienza relativa a quel caso… il caso Matarrese,<br />
ricorda… insomma, si legga la lettera.<br />
– Perché mi aspettava?<br />
Carruezzo indicò un voluminoso incartamento proprio<br />
al centro della scrivania.<br />
Serra lo prese tra le mani e lesse l’intestazione: «Via Vetulonia,<br />
36». – Di cosa si tratta?<br />
120<br />
– Una relazione completa sugli inquilini dello stabile,<br />
quelli con cui sono riuscito a parlare e anche gli altri: ci<br />
sono tutti, insomma. E poi, alcune mie considerazioni.<br />
Avevano preso la rispettiva abituale posizione: Serra alla<br />
scrivania e Carruezzo sprofondato nella vecchia poltrona<br />
d’angolo. Dalla prima pagina si poteva pensare che il documento<br />
- un centinaio di cartelle, ad occhio e croce - fosse<br />
scritto a macchina, anche se ai margini del testo c’erano<br />
notazioni a penna.<br />
– Prima di parlarne, suppongo di doverlo leggere, –<br />
disse Serra.<br />
– Supposizione esatta.<br />
Il fatto che Carruezzo accendesse un sigaro stava a significare<br />
la sua ferma intenzione di attendere su quella<br />
poltrona la lettura dell’incartamento, e, peggio, di seguire<br />
la lettura intervenendo a commentare oralmente i passaggi<br />
per lui fondamentali.<br />
Serra si sentì preso in trappola. Non aveva nessuna voglia,<br />
ora, di sorbirsi quel malloppo, ma l’atteggiamento del<br />
cavaliere non lasciava alternative. Così cominciò a leggere.<br />
Lo scritto iniziava con alcune notizie sullo stabile - la<br />
disposizione rispetto agli edifici vicini, il numero degli<br />
appartamenti, le vie d’accesso. Seguiva poi, nella seconda<br />
pagina, la pianta, schizzata a matita, dell’ingresso e del<br />
piano terra.<br />
– La pianta serve a mostrare come nessuno possa entrare<br />
od uscire dal palazzo senza passare di fronte alla portineria,<br />
– disse Carruezzo.<br />
– Si potrebbe utilizzare anche la porticina secondaria<br />
dal cortile interno… se ricordo bene, però, questa possibilità<br />
l’avevamo esclusa…<br />
121
– Infatti, l’uscita diretta sulla strada era sotto gli occhi…<br />
– …di un fioraio…<br />
– Appunto. E il fioraio è certo che non è stata utilizzata,<br />
almeno nel lasso di tempo…<br />
– Oltre Adelina, dunque, solo uno che era già nello stabile<br />
quando Amicucci è tornato a casa avrebbe potuto<br />
ucciderlo. Dico bene?<br />
– Dice bene. Anche se “uno che era già nello stabile”<br />
non vuol dire, necessariamente, uno degli inquilini.<br />
Se non si era in grado di circoscrivere i sospetti agli abitanti<br />
dello stabile - intervenne Serra - voleva dire che erano<br />
al punto di partenza e che, l’assassino, non avevano<br />
nessuna speranza di trovarlo. Non capiva, allora, che senso<br />
avesse quel suo andare e venire su e giù per via Vetulonia:<br />
– Mi spieghi un po’, cavaliere qual è il senso della sua<br />
“indagine condominiale”, qual è il senso di questo suo<br />
papiello?<br />
– Glielo spiego in due parole. Ho ragionato come se chi<br />
ha ucciso Amicucci non potesse che essere uno dei condomini,<br />
come se, ripeto… ho formulato un’ipotesi, insomma.<br />
– E se l’ipotesi si dimostrasse infondata?<br />
– Vorrà dire che ho perso tempo.<br />
Serra riprese la lettura. In realtà scorreva velocemente<br />
le pagine, saltando interi brani.<br />
– Così non capirà nulla di quello che legge, – lo interruppe<br />
Carruezzo.<br />
– Ha ragione cavaliere, mi scusi… il fatto è che oggi<br />
non ci sto con la testa. Facciamo che me lo riassume lei.<br />
Gli acquosi occhi a palla del cavaliere non nascosero la<br />
122<br />
delusione per l’accoglienza riservata all’incartamento.<br />
Quando iniziò a riassumerlo, lo fece in tono dimesso, per<br />
ravvivarsi poi dopo alcuni brani che, lo si capiva dall’espressione<br />
compiaciuta, considerava particolarmente efficaci.<br />
I nuclei familiari o singoli inquilini dello stabile di via<br />
Vetulonia, li aveva distinti in tre categorie: insospettabili,<br />
sospettabili di aver avuto a che fare con Amicucci per ragioni<br />
d’usura o simili, possibili proprietarie delle scarpe<br />
<strong>rosse</strong> coi <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong>.<br />
Tralasciando ovviamente gli insospettabili, cominciò<br />
dalle supposte proprietarie delle scarpe in questione, una<br />
ricerca a cui si era applicato immediatamente dopo la rivelazione<br />
del dirimpettaio di Amicucci, il claudicante<br />
Venturini. Nessuno nel palazzo aveva mai visto quelle<br />
scarpe <strong>rosse</strong>, ma ciò non significava che il dirimpettaio di<br />
Amicucci avesse avuto le traveggole. Diversamente dalla<br />
prima volta, quando Venturini non gli aveva neppure<br />
aperto, il cavaliere era stato ricevuto con tutti gli onori, e<br />
con l’aggiunta di un buon vinello di Albano, ch’era poi il<br />
paese della povera madre di Venturini, ormai defunta.<br />
Anche in conseguenza di quell’allegra bicchierata, ora la<br />
stella di Venturini brillava di luce purissima nel Parnaso<br />
dei testimoni attendibili. Quindi, caro Serra, il faut chercher<br />
la femme, e Carruezzo si era messo a cercarla la femme,<br />
facendosi uno per uno tutti gli appartamenti di Via<br />
Vetulonia 36, dal primo piano al settimo piano riuscendo<br />
a parlare con gran parte dei condomini, e trovando “lumi<br />
additivi” in certe voci raccolte nei bar e nelle botteghe del<br />
quartiere. Serra non riusciva ad immaginare come il cavaliere<br />
avesse fatto a raccogliere quella massa d’informazio-<br />
123
ni, eppure le aveva raccolte, facendole ora confluire nei ritratti<br />
di tre possibili proprietarie delle scarpe <strong>rosse</strong> coi<br />
<strong>tacchi</strong>.<br />
Tre donne. La prima, Paternò Assunta, ufficialmente<br />
domestica a casa del Manighetti (terzo piano). Di fatto gli<br />
riscaldava il letto, pur senza trascurare le faccende di casa.<br />
“Due bei meloni che c’aveva” (così, in modo per lui<br />
inusuale, si esprimeva Carruezzo) spiegavano ad abundantiam<br />
l’affetto che le portava Manighetti, mentre spalle<br />
e bicipiti possenti la soccorrevano a dovere nei lavori domestici.<br />
C’era tutta una discussione, nel condominio, se<br />
lo scaldamento del letto precedesse o meno la dipartita<br />
della povera signora Rosa, moglie del Manighetti, o se,<br />
come dicevano alcuni, a scaldarlo Assunta provvedesse<br />
da prima. C’era anche una voce, ma questa del tutto incontrollata,<br />
che Manighetti se la portasse nel letto coniugale,<br />
la Paternò, costringendo la legittima moglie ad assistere<br />
ai suoi congiungimenti con la serva, che proprio del<br />
dispiacere di cuore di vedersi quella donna nel talamo era<br />
schiattata la signora Rosa. Comunque, dopo la sua morte,<br />
la Paternò Assunta aveva perso ogni freno, e la si vedeva<br />
ogni giorno andare avanti e indietro nel palazzo con un<br />
vestito nuovo, mica straccetti. Ma roba comprata da Cenci,<br />
che al Manighetti, impiegato alle poste, non si capiva<br />
come facesse a bastargli lo stipendio. In questo andar su e<br />
giù per le scale vestita di strass e lustrini, concluse Carruezzo,<br />
le scarpe <strong>rosse</strong> col tacco c’entravano a pennello,<br />
come c’entrava l’ipotesi che l’Assunta avesse allargato il<br />
raggio della sua azione erotica dal terzo piano di casa Manighetti<br />
sino al primo di Pompeo Amicucci.<br />
Ribolliti Lavinia, la seconda, era la moglie di Ribolliti<br />
124<br />
Cesare, fu Lanfranco, titolare di un avviato negozio di ferramenta<br />
in via Sannio. Anche alla Ribolliti, piaceva vestirsi<br />
di fino sebbene in uno stile molto diverso da Assunta,<br />
più nel genere donna di classe: tutta cappellini e velette e<br />
tailleur grigi molto stretti in vita che si faceva fare da una<br />
certa sartina di Ostia. Sarebbero forse bastati cappellini e<br />
velette perché la gente del palazzo vedesse in Lavinia Ribolliti<br />
una donna capace di tradire il marito. Ma, a prescindere<br />
da questi vezzosi capetti, l’assemblea condominiale,<br />
una volta tanto compatta, esibiva prove inconfutabili<br />
dei numerosi e sfacciati tradimenti della Ribolliti. Ed<br />
era appunto questa notoria tendenza all’adulterio a far sì<br />
che Carruezzo l’avesse inserita nella sua breve lista.<br />
Quello che aveva portato Carruezzo alla terza della lista<br />
era un ragionamento perlomeno bizzarro. Mentre le<br />
prime due rispondevano in modo perfino ovvio all’identikit<br />
della donna misteriosa dalle scarpe <strong>rosse</strong>, l’ultima se<br />
ne allontanava talmente - così argomentava il cavaliere -<br />
da essere solo per questo sospetta. Di Palma Pina, inquilina<br />
di un appartamento del terzo piano e sposata con il<br />
ragioniere Di Palma Amerigo impiegato alla Centrale del<br />
Latte, era vittima di un “sotterraneo bovarismo” che<br />
avrebbe potuto facilmente spingerla tra le braccia di<br />
Amicucci.<br />
– Qui non la seguo, cavaliere, – lo interruppe Serra,<br />
sempre più sconcertato da quel succedersi di illazioni<br />
gratuite e ipotesi scalcinate. – Non ho capito in che cosa<br />
l’ultima, Di Palma mi pare si chiami, dia segni di bovarismo.<br />
– Sotterraneo bovarismo, ho detto, proprio per questo<br />
difficile da individuare.<br />
125
– Lei l’ha individuato, però.<br />
– Dai gesti, dal modo di parlare, dal modo in cui guardava<br />
il marito… comunicava un senso d’insoddisfazione,<br />
come di chi vuole altro dalla vita ma ha una idea vaghissima<br />
di questo altro, tanto vaga che anche il modesto Amicucci...<br />
fidatevi del mio giudizio, ho occhio in queste cose<br />
di donne.<br />
L’unica donna con cui Carruezzo aveva avuto a che fare<br />
in più di sessant’anni era la mamma, la signora Jolanda.<br />
Di fronte ai vaneggiamenti del cavaliere, Serra ebbe all’improvviso<br />
una sensazione, quasi fisica, della propria<br />
esistenza come qualcosa di vago e improbabile, come improbabile<br />
e grottesco gli appariva in quel momento il suo<br />
“giovane di studio”.<br />
– Serra, mi sta ascoltando?<br />
– La seguo perfettamente. La donna, la bovarista… mi<br />
chiedo, però, tornando alla classificazione che avete fatto<br />
prima, quali siano gli inquilini che si sono rivolti ad Amicucci<br />
per aver soldi a strozzo.<br />
La domanda di Serra diede la stura a un nuovo interminabile<br />
racconto di Carruezzo sui “nuovi sentieri investigativi”<br />
che aveva aperto questa sua nuova visita ai condomini<br />
di via Vetulonia. Fu un succedersi turbinoso di notizie,<br />
ritratti psicologici, ipotesi, illazioni, notazioni estetiche,<br />
considerazioni morali, descrizioni di interni domestici,<br />
informazioni carpite nei bar, fantasie cavalieresche,<br />
pettegolezzi sussurrati sulle scale.<br />
– Conclusioni, cavaliere? – intervenne Serra, riuscendo<br />
finalmente ad interromperlo.<br />
Le conclusioni furono brevi, riducendosi al fatto che<br />
almeno sei degli inquilini, per varie ragioni in cattive ac-<br />
126<br />
que, erano potenziali clienti di Amicucci, ma di uno solo<br />
aveva la sicurezza che lo fosse.<br />
– Uno di quelli con cui ho parlato all’inizio, Mangiarotti…<br />
– Quello della vetrinetta con le bamboline andaluse? –<br />
chiese Serra.<br />
– Sì, proprio lui… d’altra parte, uno che colleziona<br />
bamboline andaluse…<br />
Logica avrebbe voluto che Serra chiedesse a Carruezzo<br />
il senso dell’ultima sua osservazione, ma Serra sentiva, in<br />
quel momento, di dover rinunciare alla logica. Così lasciò<br />
cadere il discorso.<br />
Più tardi, Carruezzo e Serra cenavano insieme nel ristorante<br />
di via Tacito. Parlavano del bel tempo andato, che<br />
in realtà bello non era stato secondo Serra.<br />
Carruezzo vedeva le cose diversamente.<br />
– Ammetterà con me, Serra, che gli anni che abbiamo<br />
passati all’Ovra sono stati elettrizzanti.<br />
– Cosa ci sia di elettrizzante nello stare a spiare dal buco<br />
della serratura la vita degli altri, questo non lo capisco.<br />
– Beh, il solo fatto di spiare… ora lei non mi faccia il<br />
moralista, lasciamo perdere il contesto politico, la dittatura,<br />
il duce…<br />
– Non sto facendo una valutazione politica. Dico solo<br />
questo, spiare è noioso, osservare la vita degli altri senza<br />
avervi parte è noioso.<br />
– Noi una qualche parte in quelle vite l’avevamo.<br />
– Sì, quando li facevamo arrestare…<br />
127
– Non sempre andava così… le ho mai raccontato del<br />
mio incarico al Vittoriale…<br />
– Raccontato no. Ricordo che lei a un certo punto…<br />
credo fosse nel 1934… già lavoravamo al Ministero degli<br />
Interni comunque… sparì per sei mesi. L’unica cosa che<br />
si seppe fu che le era stata affidata una missione delicatissima<br />
che riguardava D’Annunzio, così si disse. Ora può<br />
sciogliere il mistero: di cosa si trattava esattamente?<br />
– L’idea era stata del capo della polizia, di Bocchini.<br />
Dovevo coordinare l’attività… dire spionaggio è eccessivo…<br />
diciamo di controllo, al Vittoriale. Era una fissa di<br />
Mussolini, questa. Che D’Annunzio dovesse essere soggetto<br />
a un controllo quotidiano.<br />
– Sì, certo, del fatto che il Duce temesse D’Annunzio<br />
un po’ si sapeva. Ma lei, cavaliere, che ruolo ha avuto,<br />
precisamente?<br />
– Non ci si crederebbe, ma l’attività di spionaggio su<br />
D’Annunzio erano in molti a volerla. L’Aviazione aveva<br />
già allora i suoi servizi segreti, e si candidò… il Comandante<br />
aveva solcato i cieli, dicevano quelli dell’Aviazione…<br />
ma Bocchini si impose, questa è roba dell’Ovra, disse,<br />
e il Duce come sempre lasciò fare a Bocchini.<br />
– E Bocchini incaricò lei…<br />
– Io in realtà stetti al Vittoriale solo sei mesi, poi la cosa<br />
continuò, sino alla morte del Comandante più o meno.<br />
Venni assunto al Vittoriale come amministratore, ma anche<br />
il cuoco, un cameriere, due giardinieri erano gente<br />
nostra. Intendiamoci, il Comandante sapeva tutto, sapeva<br />
perfettamente chi eravamo e che cosa ci facevamo al<br />
Vittoriale…<br />
– Dunque lei ha avuto a che fare con D’Annunzio?<br />
128<br />
– Quotidianamente. Non voglio dire… in un certo senso,<br />
si creò un rapporto tra noi: il Comandante era un uomo<br />
molto solo, in realtà. Parlavamo spesso: mi faceva domande<br />
su Mussolini, sulla sua vita sessuale soprattutto.<br />
– E lei?<br />
– Io raccontavo le solite cose che si dicevano in giro sul<br />
Duce e le donne, e che D’Annunzio aveva sentito mille<br />
volte. Eppure sembravano impressionarlo.<br />
– Tutto questo, naturalmente, veniva riferito a Mussolini…<br />
– Naturalmente. Una volta il Duce mi convocò…<br />
– Voleva sapere di D’Annunzio, suppongo.<br />
– Era curioso di un aspetto particolare.<br />
Carruezzo si interruppe, come se avesse difficoltà a<br />
continuare.<br />
– Beh, cavaliere. L’aspetto particolare?<br />
– Beh, voleva sapere… il coso…<br />
– Il coso, che cosa?<br />
– Se il Comandante ce l’aveva grosso, insomma.<br />
– E come ce l’aveva il Comandante?<br />
– Su questo, almeno, lasci che mantenga il segreto.<br />
129
18<br />
– Mi sembra di capire, Serra, che il fatto investigativo<br />
abbia per lei una grande importanza… un avvocato all’americana<br />
dunque, bene, bene...<br />
Zanda accompagnò queste parole con un sorriso che a<br />
Serra più che ironico sembrò sfottente.<br />
– Da ciò che mi dice, – continuò il professore, – deduco<br />
che sta conducendo indagini alternative a quelle della<br />
polizia. È così che spera di salvare la nostra Adelina?<br />
Se era sua intenzione farlo sentire un pezzo di merda,<br />
allora aveva raggiunto lo scopo: un pezzo di merda si sentiva<br />
Serra, mentre a casa di Zanda, in una poltrona del<br />
suo studio, accendeva una Nazionale.<br />
– In realtà io non ho nessuna possibilità di condurre<br />
una vera inchiesta, – si schermì Serra. – La speranza è<br />
quella di individuare una nuova pista… sarà poi la polizia…<br />
è per questo, professore, che ho chiesto di vederla.<br />
– Spera che sia io a indicarle la pista alternativa? – Di<br />
nuovo il tono sfottente.<br />
– Spero solo in un suo aiuto. Infatti avevo una domanda<br />
da farle: lei ha conosciuto Amicucci?<br />
– Le pare che se avessi conosciuto Amicucci, non l’avrei<br />
detto dal primo giorno alla polizia?<br />
Sulla parete di fronte a Serra c’era un ritratto di Zanda:<br />
131
seduto in poltrona, le lunghe mani sulle ginocchia, una<br />
certa malinconia nello sguardo.<br />
– Lei dunque non ha mai visto Amicucci? – riprese Serra.<br />
– Glielo ho appena detto. Le pare che possa esserci relazione<br />
tra me e un personaggio del genere di Amicucci?<br />
– Una relazione ci sarebbe, veramente: Cantillo…<br />
– Mi faccia capire. Si riferisce a quel Cantillo là…<br />
– Il direttore del Pungolo.<br />
– Il direttore del Pungolo, certo. Continuo a non capire,<br />
però. Soprattutto non capisco perché Cantillo dovrebbe<br />
rappresentare un collegamento fra me e Amicucci.<br />
– Ho letto gli at<strong>tacchi</strong> che il giornale di Cantillo ha pubblicato<br />
contro di lei qualche settimana fa, a proposito<br />
della faccenda di Nuraxi Nieddu e relativa inchiesta.<br />
– Ebbene, come li ha trovati? Magari li ha trovati ben<br />
documentati.<br />
– Non direi. Se conta qualcosa la mia opinione…<br />
– Senta Serra, – lo interruppe Zanda, – sparate di quel<br />
genere, sul Pungolo, ne escono tutte le settimane, nelle<br />
più svariate direzioni. Per quel che mi riguarda, si tratta<br />
una montatura talmente grossolana che non penso neppure<br />
di denunciare Cantillo. A meno che non si faccia<br />
avanti con qualche strana richiesta. Nel qual caso, stia<br />
certo…<br />
– È appunto pensando a un ricatto, che mi è venuto in<br />
mente di un qualche rapporto tra lei e Amicucci.<br />
– Non la seguo, non capisco.<br />
– Dalle mie indagini… chiamiamole così, anche se, come<br />
le ho detto, sto solo raccogliendo qualche notizia, qua<br />
e là, in modo piuttosto casuale…<br />
132<br />
– Dalle sue indagini, avvocato…<br />
– Insomma, Cantillo si è servito più volte di Amicucci<br />
nei suoi ricatti.<br />
– La cosa mi giunge del tutto nuova e comunque io, le<br />
ripeto, Amicucci non l’ho mai conosciuto né nessuno mi<br />
ha mai ricattato.<br />
– Se è così…<br />
– Le voglio dare un consiglio Serra. Un consiglio non<br />
richiesto, mi dirà. Io però glielo voglio dare lo stesso. Lei<br />
sta cercando di aprire nuove strade che portino all’assassino<br />
di Amicucci, non è vero? Avremmo, nella sua ipotesi,<br />
un Amicucci ricattatore. Un’ipotesi abbastanza macchinosa,<br />
me lo lasci dire, quando invece la migliore linea<br />
di difesa l’ha lì proprio di fronte agli occhi. Come fa a non<br />
vederla?<br />
– Non lo so: me lo dica lei. Io, Vedo solo la possibilità<br />
di scagionare Adelina, scoprendo chi ha ucciso Amicucci.<br />
– Sta proprio qui l’errore: nell’escludere a priori la lectio<br />
facilior, l’ipotesi più semplice.<br />
– E quale sarebbe questa ipotesi più semplice?<br />
Zanda disegnò nell’aria un gesto vago, come a significare<br />
la sottigliezza estrema di ciò che stava per dire.<br />
– Ci sono circostanze in cui la strategia di difesa di un<br />
imputato non parte, non deve partire, dalla ricerca della<br />
realtà dei fatti. Questo è fin troppo evidente quando abbiamo<br />
a che fare con imputati di cui noi stessi sappiamo la<br />
colpevolezza. Suppongo che anche lei concordi con questa<br />
ovvietà, avvocato Serra. Ma non si tratta solo di questo.<br />
Le ho già parlato di Defraia, vero?<br />
Serra fece un cenno d’assenso.<br />
133
– Quando Defraia indottrinava noi, suoi giovani di studio,<br />
sui segreti della professione, arrivava sempre alla<br />
considerazione che i processi non si fanno per accertare<br />
la verità ma solo per condannare o assolvere. E che, per<br />
un avvocato, l’unica verità è quella che serve al suo cliente.<br />
Se la verità non serve, al diavolo la verità. Il processo è<br />
una prova di forza fra voi e il pubblico ministero, diceva.<br />
Occhio sul rappresentate dell’accusa, dunque. È lui che<br />
dovete stendere: potete sbranarlo, fargli fare la figura del<br />
fesso, far correre la voce che corre dietro ai ragazzini ai<br />
giardinetti, ma in un modo o nell’altro lo dovete far fuori.<br />
La verità in tutto questo non c’entra assolutamente nulla.<br />
Allora questi discorsi mi scandalizzavano, poi ho capito<br />
quanto il vecchio Defraia, magari un po’ grossolano negli<br />
argomenti, avesse però ragione.<br />
– Forse a Defraia la mia strategia difensiva non piacerebbe.<br />
A me, comunque, sembra l’unica possibile: quando<br />
Adelina è entrata in casa di Amicucci, l’uomo era già<br />
stato ucciso. Per scagionare Adelina, bisogna scoprire chi<br />
l’ha ucciso.<br />
– Lei, Serra, è stato in polizia, vero?<br />
– Sino a dieci anni fa, poi mi sono dimesso.<br />
– Ecco qual è il punto: lei continua a ragionare da poliziotto.<br />
Nulla di male, anzi benissimo: se non fosse che ora<br />
è un avvocato e deve pensare da avvocato.<br />
– Credo di farlo, almeno per quanto ne sono capace.<br />
– Mi segua, Serra. Ipotizziamo che Adelina sia innocente<br />
e non abbia ucciso Amicucci. Anch’io ne sono convinto.<br />
Ciò non toglie che è stata trovata accanto al cadavere<br />
ancora caldo di Amicucci. È questo il punto, l’elemento<br />
che condizionerà l’esito del processo. Lei dice: troverò il<br />
134<br />
vero assassino di Amicucci. Benissimo. E se però non lo<br />
trovasse? Cosa avrebbe in mano, di concreto, per scagionare<br />
Adelina? Nulla, o quasi. Ipotizziamo invece che Adelina<br />
abbia ucciso Amicucci. Lei come la difenderebbe in<br />
questo caso?<br />
– Come la difenderei? Le confesso che è un’ipotesi che<br />
non ho preso in considerazione.<br />
– Le dico io come la difenderebbe. Direbbe che Adelina<br />
è stata oggetto delle pesanti attenzioni di Amicucci,<br />
l’uomo ne era capace, ci sono mille testimonianze in questo<br />
senso. Adelina, dunque, si è difesa da una possibile<br />
violenza carnale. Cosa possiamo prevedere, in questo caso?<br />
Una condanna per eccesso di difesa, nella peggiore<br />
delle ipotesi. Se poi le cose vanno per il verso giusto, le<br />
potrebbe essere riconosciuta la legittima difesa.<br />
– Io non sarei così ottimista. Rimane il fatto, però, che<br />
Adelina dice di non averlo ucciso.<br />
– Sta a lei convincerla. Convincerla che per il suo bene…<br />
– … dovrebbe accusarsi di un delitto che non ha commesso.<br />
Per il suo bene, lei dice.<br />
– Sì, Serra, per il suo bene e per il bene di tutti.<br />
– La sono venuta a trovare, avvocato, per dirle che sono<br />
sicura che lei di galera riesce a tirarla fuori Adelina.<br />
Di fronte alla scrivania di Serra, stavano, l’una a fianco<br />
all’altra, due donne. Quella che aveva appena parlato dimostrava<br />
circa cinquant’anni e indossava, su una gonna<br />
plissettata nera lunga sino alle caviglie, una camicetta di<br />
raso, anch’essa nera. L’altra era Peppinetta.<br />
135
– Armida è venuta appositamente dalla <strong>Sardegna</strong> per<br />
dirle che ha molta fiducia in lei, – disse Peppinetta.<br />
Vero che Armida, la sorella maggiore di Adelina, aveva<br />
pensato di volerlo vedere in faccia l’uomo nelle cui mani<br />
aveva messo il destino della sorella, ma un altro motivo<br />
del viaggio era l’anticipo da versare a Serra. Nessuno l’aveva<br />
sollecitata a questo, ma si era convinta, anche per<br />
personale esperienza, che gli avvocati andassero pagati<br />
per tempo. Non facendolo, si rischiava di avere tra le mani<br />
avvocati a mezzo servizio. E lei non voleva un avvocato<br />
a mezzo servizio per la sorella.<br />
– È da molto a Roma? – chiese Serra.<br />
– Ieri, sono arrivata ieri. Con la nave della Tirrenia, da<br />
Cagliari.<br />
– Per noi di Fraus è la cosa più comoda. – intervenne di<br />
nuovo Peppinetta. – C’è una corriera per Cagliari tutti i<br />
giorni… arrivare a Olbia invece… anche se la nave da Olbia<br />
fa meno ore di mare. E poi a me il viaggio in nave mi<br />
piace, conosci gente, e quando la mattina presto vedi Civitavecchia<br />
dopo quattordici ore di viaggio ti sembra proprio<br />
che stai per sbarcare in un altro mondo.<br />
– Per noi è proprio un altro mondo, il Continente, – ribadì<br />
Armida. – Un altro mondo che non ci vuole.<br />
Peppinetta fece un movimento come se stesse per alzarsi<br />
dalla sedia: – Ma ne dici di cose Armida. Come non<br />
ci vuole? Siamo noi sardi, che siamo sempre così… siddiusu:<br />
lei lo capisce siddiusu, avvocato?<br />
– Credo di sì. Suppongo che tu voglia dire che noi sardi<br />
siamo chiusi in noi stessi.<br />
– Peggio avvocato, peggio. Siamo chiusi perché abbiamo<br />
vergogna. Abbiamo vergogna di quello che siamo e<br />
136<br />
questa è una cosa brutta: se uno non piace a se stesso stia<br />
sicuro che non piace neppure agli altri.<br />
– Io dico solo questo: che a mia sorella, ad Adelina, dal<br />
Continente non le è venuto niente di buono.<br />
– Cos’è, doveva restarsene tutta la vita a marcire a<br />
Fraus?<br />
– A Fraus chi ci sa vivere ci vive bene. Ti rispettano, a<br />
Fraus.<br />
– Ti mettono a fare la serva, a Fraus.<br />
– Meglio fare la serva in casa propria che in casa altrui.<br />
– È qui che ti sbagli, Armida. A Fraus sei serva sempre,<br />
serva la mattina, serva la sera e, secondo il padrone che<br />
capiti, anche di notte sei serva. A Roma, quando ti lasci<br />
dietro la porta di casa, sei quello che sei e, se la gente ti<br />
prende per signora, signora sei. Lei cosa ne pensa, avvocato?<br />
– Io, sono talmente tanti anni che vivo in Continente.<br />
Era tutto quello che Serra riusciva a dire al riguardo.<br />
Ripensò a suo padre che, mentre lasciava Cagliari per<br />
prendere servizio in Polizia, gli diceva sulle scalette della<br />
nave: – Vedrai, qualche anno e ti rimandano in <strong>Sardegna</strong>.<br />
– E Serra, invece, che si augurava di non rimetterci più<br />
piede in <strong>Sardegna</strong>. O forse non era così. In realtà non ricordava<br />
bene cosa pensasse allora al riguardo. Forse nutrire<br />
un sentimento di lontananza - questo sì che l’aveva<br />
accompagnato per anni, lasciata la <strong>Sardegna</strong> - non vuol<br />
dire che tu voglia tornare da dove sei partito.<br />
Armida sospirò. – Ad Adelina, comunque, glielo dicevo<br />
quando è venuta a Roma col professore, che una cosa<br />
è andare a servizio a Cagliari, dove ogni tanto torni a casa<br />
tua e vedi la tua famiglia e altra cosa è Roma, che sei lon-<br />
137
tana da ogni sguardo di quelli che ti vogliono bene. Io<br />
non la dovevo lasciare andare a Roma, ad Adelina… e ora<br />
dopo quello che è successo… io mi sento in colpa, avvocato,<br />
anche perché è colpa mia se Adelina si è messa nei<br />
guai.<br />
– Non vedo perché, – disse Serra.<br />
– Lei avvocato la sa la disgrazia che ci è capitata. Nostro<br />
fratello… Ero io che dovevo provvedere a trovargli i soldi<br />
per l’avvocato. E invece è Adelina che ci ha dovuto<br />
pensare. Per questo è successo quello che è successo.<br />
– Non dire così, – intervenne consolatoria Peppinetta.<br />
– È successo perché doveva succedere.<br />
– Il nostro cattivo destino, – assentì Armida.<br />
138<br />
19<br />
Non erano ancora le otto di mattina e Carruezzo tornava<br />
in tram dal mercato. Anche quando era viva la madre,<br />
andava lui tutti i giorni a far la spesa. Alla lista che gli dava<br />
la signora Jolanda, Carruezzo aggiungeva di suo qualche<br />
ghiottoneria che scovava nel mercato di via Alessandria:<br />
un pezzo di lardo di Norcia, un cartoccio di olive pugliesi,<br />
due mozzarelle di bufala. Curiosava tra i banchi, annusava,<br />
tastava, discuteva coi rivenditori. Solo nei mesi di<br />
sbandamento e sconforto seguiti alla morte della madre<br />
aveva smesso di fare la spesa in via Alessandria. Era allora<br />
che aveva pensato di abbandonare la casa di Piazza Verdi,<br />
salvo cambiare immediatamente idea rendendosi conto<br />
delle difficoltà pratiche e della foresta di alternative a cui<br />
un cambiamento lo poneva di fronte - comprare casa o<br />
andare in affitto? lasciare i Parioli? e se sì, in quale quartiere<br />
andare? nella nuova casa ci sarebbe stato posto per i<br />
suoi mobili?<br />
Scese dalla Circolare alla prima fermata di Viale Liegi.<br />
Arrivato in via Cimarosa, si fermò per un attimo a riposare.<br />
Poggiata a terra la borsa della spesa, accese un sigaro.<br />
Un uomo attempato con indosso un doppiopetto scuro,<br />
massiccio di corporatura, in piedi sul marciapiede che fuma<br />
un sigaro, e accanto per terra la sporta della spesa. Un<br />
139
occhio curioso si sarebbe chiesto cosa ci facesse lì quell’uomo.<br />
Ma in via Cimarosa non c’erano occhi curiosi a<br />
quell’ora del mattino: ce n’erano di assonnati e frettolosi,<br />
non di curiosi.<br />
A Carruezzo era sempre piaciuto come, lasciato il traffico<br />
e l’animazione di viale Liegi, ci si immergeva nella<br />
quiete e nel silenzio di quelle piccole strade laterali che<br />
portavano verso Villa Borghese. E anche piazza Verdi,<br />
con i suoi solidi palazzi grigi dagli ampi portali, conservava<br />
un tratto di appartato e rassicurante decoro borghese<br />
dove non stonava, nonostante le pretese monumentali, la<br />
stessa facciata della Zecca. Quando, quasi quarant’anni<br />
prima, lui e la madre erano sbarcati a Roma da Lecce, si<br />
erano dapprima sistemati in una stradina tra il Lungotevere<br />
e piazza Farnese. Ma il tono allora ancora popolare<br />
di quella zona del centro di Roma non era evidentemente<br />
congeniale alla signora Jolanda, che aveva insistito per un<br />
rapido trasloco. La casa di piazza Verdi, invece, si era rivelata<br />
da subito perfetta. – Sarebbe piaciuta anche a tuo<br />
padre, – aveva commentato la signora Jolanda mettendo<br />
piede la prima volta nella casa. Il padre di Carruezzo,<br />
scritturale al comune a Lecce, era morto quando lui era<br />
ancora bambino.<br />
Prima di affrontare le scale di casa, si concesse una nuova<br />
sosta in una delle panchine della piazza. Oltre alla<br />
grande borsa, pesante della spesa per una settimana, si<br />
sentiva sulle gambe quell’andare su e giù nel palazzo di<br />
via Vetulonia a cui si era costretto negli ultimi giorni.<br />
Tanta fatica per un pugno di mosche e, peggio ancora,<br />
per trovarsi di fronte Serra convinto che quella sua indagine<br />
fosse solo aria fritta. Ma era stata veramente così inu-<br />
140<br />
tile l’indagine in via Vetulonia? Ed era del tutto infondata<br />
l’ipotesi che quelle scarpe <strong>rosse</strong> portassero alla soluzione<br />
del caso? Il caso? Non c’era nessun caso, c’era una donna<br />
in galera e un avvocato che cercava di tirarla fuori. E lui,<br />
Carruezzo, che in tutto questo si era ficcato dentro a forza,<br />
inventandosi un ruolo che nessuno, neppure Serra, si<br />
sognava di riconoscergli. Il caso.<br />
Continuava a parlare, a pensare, come un poliziotto, a<br />
fare la faccia da poliziotto, perfino. Eppure erano dieci<br />
anni che aveva lasciato la polizia. – Vedi Carruezzo, – si<br />
era sentito dire a guerra finita, – l’unica cosa da fare è che<br />
ci dimettiamo. O ci dimettiamo o ci epurano. – A fargli<br />
questo discorso Faletti, che proprio negli ultimi mesi della<br />
Repubblica Sociale Italiana era stato promosso questore.<br />
Nell’estate del 1946 Carruezzo aveva firmato le sue dimissioni.<br />
Quanto a Faletti, aveva letto sul giornale qualche<br />
giorno prima del suo recente pensionamento col grado<br />
di prefetto. Non che Carruezzo si fosse mai pentito<br />
della scelta di dimettersi. In ultima analisi la considerava<br />
un obbligo. Aveva nutrito deferenza verso le proporzioni<br />
della tirannide mussoliniana, ma non si era mai considerato<br />
un fascista e già ai tempi della smargiassata africana<br />
aveva sviluppato un certo distacco dal regime. Ammetteva<br />
però, prima di tutto di fronte a se stesso, di essere stato<br />
parte integrante di quel regime e comprendeva - approvava<br />
perfino - che non ci fosse posto per gente come lui<br />
nel nuovo ordine di cose. Solo nutriva dubbi che questo<br />
supposto nuovo ordine fosse così diverso dal passato.<br />
Entrato in casa, l’accolse la semioscurità del lungo corridoio.<br />
Posò in cucina la borsa della spesa e si avviò, attraverso<br />
una porta a vetri, verso il salotto. Lì, dopo aver sco-<br />
141
stato i pesanti tendaggi, aprì ad una ad una le tre finestre<br />
sulla piazza, ripetendo un gesto che era stato della madre,<br />
ogni mattina, per anni. Era una giornata di sole, una di<br />
quelle giornate romane di primavera che rendono lucente<br />
l’aria e scaldano il cuore.<br />
142<br />
20<br />
Appena arrivato in studio, Serra si affacciò al bugigattolo<br />
del cavaliere:<br />
– Ha chiamato qualcuno?<br />
– Ha telefonato il suo amico Piccioni.<br />
– Lasciato detto qualcosa?<br />
– Preannuncia una sua visita in mattinata.<br />
– Bene.<br />
– Non da solo, però.<br />
– Non da solo?<br />
Carruezzo parlava con Serra senza guardarlo, continuando<br />
a pestare sulla macchina da scrivere. Poi con un<br />
gesto preciso sfilò i fogli dal rullo, li separò l’uno dall’altro<br />
e li dispose ordinatamente in tre pile diverse. Solo a<br />
questo punto si volse verso Serra.<br />
– Piccioni… sì, certo… Piccioni, non verrà da solo, –<br />
disse Carruezzo con l’espressione soddisfatta di chi ricorda<br />
all’improvviso qualcosa.<br />
– Questo l’ha già detto cavaliere.<br />
– Lei vuol sapere con chi verrà Piccioni, naturalmente.<br />
– Se possibile.<br />
– Verrà con Cantillo, ha presente Cantillo? Quello del<br />
Pungolo… – E avrebbe sicuramente continuato su Cantil-<br />
143
lo, se Serra nel frattempo, chiusa la porta del bugigattolo,<br />
non si fosse allontanato.<br />
Nel suo studio, prima ancora di sedersi alla scrivania,<br />
Serra sollevò la cornetta del telefono e fece il numero di<br />
Piccioni.<br />
– Cos’è questa storia di Cantillo?<br />
– Ieri sera è venuto qui in redazione, per chiedermi se<br />
lo potevo mettere in contatto con te.<br />
– A che scopo? E poi, perché non si è rivolto a me direttamente?<br />
– In quale ordine vuoi che risponda alle tue domande?<br />
– Nell’ordine che vuoi. La cosa che mi chiedo, però, è<br />
cosa può volere Cantillo…<br />
– Dice che vi siete già incontrati una volta e che sei stato<br />
tu a cercarlo…<br />
– Appunto, col risultato di sentirmi dire che lui era un<br />
giornalista onorato e che Amicucci appena sapeva chi fosse.<br />
– Ora dice di avere una proposta da fare a Zanda e che<br />
tu potresti essere l’intermediario adatto.<br />
– Ma tu gli hai spiegato che non sono l’avvocato di Zanda,<br />
che sono l’avvocato di Adelina Demontis io…?<br />
– Proprio questo dice Cantillo, che dalla sua proposta<br />
potrebbe trarre vantaggio anche Adelina Demontis… insomma<br />
Luciano, credo che dovresti sentirlo.<br />
– Continuo a non capire però perché si è rivolto a te.<br />
– Ha tirato fuori la storia della nostra antica colleganza…<br />
allora Luciano, cosa faccio? Lui a minuti sarà qui in<br />
redazione e in meno di mezzora potremmo essere da te.<br />
– Cosa vuoi che ti dica? Vi aspetto.<br />
144<br />
Cantillo sembrava un uomo diverso da quello che Serra<br />
aveva incontrato poche settimane prima. Tanto era stato<br />
allora arrogante e sicuro di sé, quanto conciliante e ossequioso<br />
ora, sin nell’espressione del viso, seduto in punta<br />
alla sedia che Serra gli aveva offerto. Ossequioso e quasi<br />
ammirato lo era stato anche la sera prima, nel guardare<br />
Piccioni che ricordava di quando avevano lavorato insieme,<br />
lui e Cantillo, durante la guerra, alle pagine di cronaca<br />
del Messaggero. – Facevamo una bella squadra, – aveva<br />
detto Cantillo. Veramente lui, gli aveva ricordato Piccioni,<br />
la squadra la faceva con gli ufficiali tedeschi che<br />
portava a spasso per Roma. Ma Cantillo a dire: – Lo sai,<br />
Efisio, perché lo facevo. È stato il mio contributo alla Resistenza.<br />
– Cosa che in un certo senso era vera, perché,<br />
aveva ricordato Piccioni, Cantillo gli dava certe fregature<br />
ai tedeschi e di soldati tedeschi ne aveva ammazzato di<br />
più il suo micidiale Veuve Clicot fabbricato a Frascati degli<br />
attentatori di via Rasella. Il solito Cantillo che gli piaceva<br />
tirare i bidoni.<br />
– Allora, Cantillo, spiegaci tu ora, con parole tue, che<br />
bidone ci stai preparando.<br />
– Mi chiedevo anch’io, – intervenne Serra, – perché abbia<br />
voluto incontrarmi. Dopo quel nostro colloquio…<br />
– C’è stato un malinteso, allora. Ho pensato che foste<br />
venuto a trattare a nome di Zanda. Non avevo compreso<br />
la sua posizione.<br />
– Spero che l’abbiate ben chiara ora. Io difendo Adelina<br />
Demontis. Non ho altro titolo, né rappresento altri interessi<br />
in tutta questa storia.<br />
145
– È appunto di Adelina Demontis che vi volevo parlare.<br />
So alcune cose al suo riguardo che… questo volevo dire…<br />
potrebbero risultare utili alla sua difesa.<br />
Piccioni ebbe un moto di fastidio: – Se questo è il tuo<br />
modo di vendere informazioni, Cantillo…<br />
– No, no, l’informazione è del tutto gratuita.<br />
– E quale sarebbe l’informazione.<br />
– Adelina Demontis è l’amante del professor Zanda.<br />
Era ancora una ragazzina, appena entrata a servizio e lui…<br />
una storia che dura da almeno vent’anni.<br />
– Ammesso che quello che dice sia vero, non capisco<br />
quale relazione possa esserci con ciò di cui Adelina Demontis<br />
è accusata.<br />
– Trovare la relazione è mestiere suo avvocato. Io mi limito<br />
a fornire l’informazione e a suggerire, magari, che la<br />
domestica stia coprendo qualcuno e che questo qualcuno…<br />
– Abbiamo capito, Cantillo. Tu ci hai dato gratis l’informazione.<br />
Dicci ora cosa vuoi in cambio.<br />
– Io non voglio nulla, Efisio. Volevo solo che l’avvocato<br />
sapesse… sa, ritornando a quel nostro colloquio, allora<br />
non ero in grado di essere più esplicito… in effetti è vero<br />
che ai pezzi apparsi sul Pungolo ha fatto seguito un mio<br />
abboccamento con Zanda e che questo abboccamento è<br />
stato tramite Amicucci.<br />
– Sin qui c’eravamo arrivati anche noi, e poi? Facci sentire<br />
il seguito della storia.<br />
– Il seguito è che le cose sono cambiate, che ci sono elementi<br />
nuovi, e che io… insomma… diciamo che su tutta<br />
la faccenda di Nuraxi Nieddu non sono venute fuori le<br />
cose che mi aspettavo venissero fuori, forse Zanda non si<br />
146<br />
è sporcato le mani più di tanto e comunque prove non ce<br />
ne sono. Fatto sta che io la campagna sul Pungolo la chiudo<br />
qui, Zanda lo lascio in pace. Se solo potessi avere una<br />
somma, una piccola somma, per rifarmi delle spese sostenute…<br />
– Mi chiedo se lei abbia ben afferrato che io non sono<br />
l’avvocato di Zanda. Non capisco perché questo suo virtuoso<br />
proponimento di lasciarlo in pace non va a dirlo direttamente<br />
a Zanda.<br />
– La mia posizione è difficile avvocato, più difficile di<br />
quanto lei possa immaginare. Lei capisce come io a questo<br />
punto soffra presso l’onorevole Zanda… come dire… di<br />
un difetto di credibilità. Io non so se l’onorevole Zanda sia<br />
ora disposto a darmi credito. Il punto è che proprio l’onorevole<br />
Zanda dovrebbe intervenire presso altri e garantirli<br />
che io d’ora in poi me ne starò tranquillo. E lei avvocato,<br />
a sua volta, dovrebbe farsi garante di me presso l’onorevole.<br />
Lasci perdere la piccola somma. Non chiedo nulla. Voglio<br />
solo che si sappia, che chi di dovere sappia, che io Antonio<br />
Cantillo mi tiro fuori da tutta questa faccenda.<br />
– Cantillo, se dicessi di aver capito tutto il suo discorso<br />
sarei un bugiardo. Allude a cose di cui non so nulla e da cui<br />
mi voglio tenere fuori. A parte questo, però, non vedo come<br />
potrei fare ciò che lei mi chiede. Non vedo perché Zanda<br />
dovrebbe ascoltarmi. E poi, le ripeto, l’unico ruolo che<br />
ho in questa storia è di difensore di Adelina Demontis.<br />
– Lei mi sta dicendo che ci debbo rinunciare a far sapere<br />
a Zanda…<br />
– Io non le dico che ci deve rinunciare. Le dico che deve<br />
trovare altre strade.<br />
– A questo punto non vedo altre strade.<br />
147
21<br />
– Continui a ripetermi di avere detto tutto e io invece<br />
continuo a pensare che nascondi qualcosa.<br />
Seduta dall’altra parte del tavolo, Adelina accennò a un<br />
sorriso.<br />
– Mi fa piacere che sia venuto, avvocato.<br />
Un mese di carcere l’aveva cambiata. Si era come rimpicciolita<br />
e le due trecce in cui aveva raccolto i lunghi capelli<br />
le davano, insieme al grembiule grigio, l’aria di una<br />
collegiale, di una triste collegiale fuori età.<br />
– Come stai Adelina?<br />
– Bene non lo posso dire. Una però si adatta. Notizie ci<br />
sono?<br />
– Hanno fissato la data del processo di tuo fratello.<br />
– È una cosa buona o cattiva?<br />
– Buona direi. Ho parlato con l’avvocato e lui non dispera.<br />
È un processo indiziario e… insomma, molto dipende<br />
dal giudice.<br />
– Il destino di gente come noi dipende sempre dagli altri.<br />
– Non sempre, non tutto. Nel tuo caso, ad esempio, dipende<br />
anche da te…<br />
– Il professore l’ha visto?<br />
– Il professor Zanda?<br />
149
Adelina accennò di sì.<br />
– Ci sono andato a parlare.<br />
– Come sta?<br />
– Come vuoi che stia? Bene. Quelli come lui stanno<br />
sempre bene.<br />
– Questo non è vero. Il professore… – La donna non<br />
continuò la frase.<br />
– Il professore? – disse Serra.<br />
– Niente… il professore ha sofferto molto e se uno non<br />
sa le cose…<br />
– Tu le cose le sai invece?<br />
– Certo che le so. Sono vent’anni che lavoro in quella<br />
casa.<br />
Serra fece un rapido calcolo mentale. Era stata mandata<br />
a servizio che aveva poco più di quindici anni, praticamente<br />
una bambina.<br />
– Perché dici che il professore ha sofferto molto?<br />
– Perché è la verità. Perché passare la vita con una donna<br />
malata, e poi vederla morire giorno dopo giorno… se<br />
non è una disgrazia quella.<br />
– M’hanno detto che negli ultimi mesi sei stata molto<br />
vicina alla moglie del professore: in pratica l’assistevi giorno<br />
e notte.<br />
– Qualcuno doveva assisterla.<br />
– Ora ti devo fare una domanda, Adelina… – Serra vide<br />
la donna irrigidirsi. – Ecco… tra te e il professore, c’è<br />
mai stato qualcosa?<br />
– Questa domanda non la voglio sentire avvocato, anche<br />
perché… – Ancora una volta la donna si interruppe<br />
nel mezzo della frase. Gli occhi le si riempirono di lacrime,<br />
lacrime senza singhiozzi, i muscoli del viso immobili.<br />
150<br />
– Cerca di capire, se vuoi che ti difenda devi avere piena<br />
fiducia in me.<br />
– Lo vuole sapere avvocato, la vuole la verità? – disse lei<br />
con voce tremante.<br />
– Certo che la voglio, è l’unico modo di farti uscire da<br />
galera.<br />
– Con la verità o senza, io da qui non esco.<br />
Sembrava incerta Adelina e torceva un fazzoletto. Serra<br />
le posò una mano sull’avambraccio.<br />
– Coraggio. Ora l’unica cosa che devi fare è raccontarmi<br />
come sono andate le cose.<br />
– Le cose sono andate come ho sempre detto alla polizia.<br />
Io a casa sua Amicucci l’ho trovato morto… solo<br />
che… insomma, è il motivo perché ci sono andata che<br />
non ho detto. A quello là gli dovevo dare una cosa, un documento<br />
e questo documento lo dovevo prendere dallo<br />
studio del professore.<br />
– Che tipo di documento?<br />
– Non l’ho capito bene ed è per questo che alla fine ad<br />
Amicucci non gli ho dato un bel nulla. Quella sera ero andata<br />
a dirglielo e a dirgli pure che io dei soldi ne avevo bisogno<br />
lo stesso, per mio fratello, per pagargli l’avvocato.<br />
– Fammi capire: Amicucci ti aveva promesso dei soldi<br />
per un certo documento e tu invece questo documento<br />
non l’hai trovato. È così?<br />
– Sì è così. Ho frugato nelle carte del professore per<br />
cercare quello che mi aveva chiesto Amicucci, però…<br />
– Secondo Amicucci, come avresti potuto individuare<br />
il documento?<br />
– Servizio delle miniere, ci doveva essere scritto all’inizio<br />
e poi relazione sugli impianti di sicurezza della miniera<br />
151
di Nuraxi Nieddu. Me l’ha fatto ripetere non so quante<br />
volte per essere sicuro che me lo ricordavo. Ma io non ho<br />
trovato nulla.<br />
– Ora spiegami perché hai tenuto nascosta questa storia?<br />
– Secondo lei avvocato, se io ora dico tutto alla polizia<br />
loro mi lasciano andare? – Pronunciò queste parole come<br />
se credesse veramente che quest’ultima rivelazione bastasse<br />
a scagionarla.<br />
– Ho paura di no, Adelina. Ho proprio paura di no.<br />
Quando fu fuori dal carcere, trovò il cavaliere ad attenderlo.<br />
S’erano dati appuntamento di fronte alle Mantellate,<br />
per poi proseguire verso via Garibaldi, dove avrebbero<br />
visionato un appartamento che, secondo Carruezzo,<br />
sarebbe stato perfetto come studio. Era una idea fissa del<br />
cavaliere che il motivo della scarsa clientela di Serra fosse<br />
lo studio di Porta Maggiore, troppo modesto, troppo<br />
buio, quasi un seminterrato. Il suo progetto andava però<br />
oltre l’affitto di nuovi locali. Si trattava di promuovere un<br />
vero e proprio passaggio di categoria di Serra, da marginale<br />
difensore delle cause perse, e comunque non remunerative,<br />
a avvocato dei quartieri alti. Questo, attraverso<br />
un marchingegno di cui allo stesso Serra, sino a quel momento,<br />
erano state date solo vaghissime anticipazioni.<br />
L’appartamento di via Garibaldi non era affatto nuovo<br />
ad usi avvocateschi, avendo ospitato per almeno trent’anni<br />
lo studio dell’avvocato Alfredo Gattinoni, morto qualche<br />
tempo prima, lasciando vedova una inconsolabile<br />
Gianna Federici in Gattinoni. Alla inconsolabile vedova<br />
152<br />
si era appunto rivolto Carruezzo, sentendosi prospettare<br />
qualcosa di più dell’affitto dei locali e dei loro arredi. A sei<br />
mesi dalla morte del marito, gli aveva detto la vedova, suoi<br />
vecchi clienti continuavano ogni giorno a presentarsi allo<br />
studio, per cui le sarebbe stato facile dirottarli verso un<br />
giovane “promettente” (sentendo parlare di “giovani<br />
promettenti”, Carruezzo aveva istintivamente sollevato<br />
una mano come a dire che lui ce l’aveva tra le mani un giovane<br />
promettente). La cosa era stata discussa tra il cavaliere<br />
e la Gattinoni durante alcuni incontri, ma sul possibile<br />
accordo gravavano alcune zone d’ombra, tra cui la cifra<br />
pretesa dalla vedova, irraggiungibile coi risparmi del cavaliere.<br />
Vedendoselo di fronte all’uscita dal carcere, Serra non<br />
aveva potuto non notare l’abbigliamento di Carruezzo.<br />
Sotto un doppiopetto marrone a righine crema, indossava<br />
un vistoso gilé damascato. Ai piedi scarpe color tortora,<br />
con la mascherina e un tacco pronunciato. Calcava un<br />
capello a tese larghe, ma ancora più strepitoso lo svolazzante<br />
spolverino di cotone, lungo quasi sino a terra, di un<br />
colore che con qualche approssimazione si poteva definire<br />
giallo senape.<br />
Ora camminavano a passi svelti per via della Lungara.<br />
– La sua mise è abbagliante, cavaliere, – disse Serra.<br />
– Trova?<br />
– Se lo lasci dire: è perfetto. Qualche motivo particolare<br />
per questo sfoggio di eleganza?<br />
– La vedova…<br />
– Quale vedova?<br />
– La proprietaria dell’appartamento di via Garibaldi,<br />
dobbiamo farle una buona impressione.<br />
153
– Credo che più che d’impressione sia questione di soldi.<br />
A me l’affitto pare troppo alto, ma lei, cavaliere, dice<br />
di no. Poi credo che stia facendo un sacrificio eccessivo<br />
ad accollarsi le spese…<br />
– Per sua norma, giovanotto, io non faccio sacrifici. Io<br />
investo. Investo su di lei.<br />
– Lei è pazzo, cavaliere. Ho sempre pensato che fosse<br />
pazzo… comunque, continuo a non capire la necessità di<br />
piacere alla vedova.<br />
Carruezzo pensò che Serra, a quel punto, dovesse sapere<br />
qualcosa di più sul progetto. Spiegò quindi che, sin<br />
dalla morte del marito, la vedova Gattinoni aveva in vista<br />
la “promozione” di un giovane avvocato.<br />
– Ma io non sono giovane, – disse Serra.<br />
– Lei è giovane d’avvocatura, è questo che importa.<br />
Carruezzo parlò della Gattinoni come di un concentrato<br />
di magnetismo femminile e fece notare quant’era coraggiosa<br />
la sua scelta di appoggiare la carriera di un giovane<br />
avvocato. Non disse però del congruo compenso<br />
che quest’appoggio comportava.<br />
Suonarono il campanello e la vedova aprì. Di carnagione<br />
bianchissima e con vaporosi capelli rossi, indossava un<br />
tailleur grigio scuro molto aderente. Serra pensò che potesse<br />
avere una cinquantina d’anni.<br />
La vedova li accompagnò in quello che doveva essere<br />
stato lo studio del marito. Una stanza scura, dominata da<br />
una grande scrivania dietro la quale, in uno scaffale, faceva<br />
bella mostra di sé l’Enciclopedia Treccani.<br />
Li fece accomodare in un divano tappezzato di raso a<br />
strisce gialle e nere, nel quale sedette anche lei.<br />
– Entro subito in medias res, avvocato Serra. Ecco l’e-<br />
154<br />
lenco dei clienti. Ho indicato a fianco di ognuno il genere<br />
di interessi per i quali li rappresentava mio marito. – Così<br />
dicendo, porse a Serra alcuni fogli.<br />
Lui li prese in mano e iniziò a scorrerli. Carruezzo lo seguiva<br />
con lo sguardo.<br />
– Una vasta clientela, – disse Serra, – non capisco però…<br />
– Avrà notato per quanti clienti mio marito si occupava<br />
di recupero crediti, – l’interruppe la vedova. – Alfredo lavorava<br />
veramente di gusto al recupero crediti, era il ramo<br />
che più gli interessava, anche perché… – La donna non<br />
terminò la frase, ma il gesto che fece di sfregare pollice e<br />
indice fu più esplicito delle parole.<br />
– Specializzarsi in recupero crediti, in effetti, può essere<br />
un’ottima scelta, – intervenne condiscendente il cavaliere.<br />
Era a suo modo attraente la vedova, con quel seno prosperoso<br />
che premeva sotto la camicetta nera trasparente.<br />
Emanava un odore che Serra associò a una merceria-corsetteria<br />
del Largo, a Cagliari, dove accompagnava la madre<br />
da bambino.<br />
– Scorrendo l’elenco, avvocato, si renderà conto di come<br />
la somma che chiedo sia tutt’altro che esosa, – disse la<br />
Gattinoni.<br />
– Lei intende l’affitto? – chiese Serra.<br />
– No, l’affitto è a parte. Dottor Carruezzo, mi era parso<br />
di essere stata chiara al riguardo.<br />
– Continuo a non capire, non capisco il perché di questa<br />
somma oltre l’affitto, – disse Serra.<br />
Carruezzo intervenne, chiaramente imbarazzato: –<br />
L’avvocato Serra vuol dire che ci penseremo.<br />
– Badi bene, avvocato, si tratta di un’occasione che po-<br />
155
trebbe non ripresentarsi, – disse la Gattinoni. – Gli specialisti<br />
del recupero crediti sono un po’ la crema del mondo<br />
forense. Lei entrerebbe in una élite.<br />
– Confesso di non avere nessuna esperienza in questo<br />
settore, – disse Serra, poggiando i fogli dell’elenco clienti<br />
su un tavolinetto di cristallo di fronte al divano.<br />
– Se è per questo, l’aiuterei io. Non mi fraintenda avvocato,<br />
lei naturalmente non ha bisogno del mio aiuto. È<br />
solo che io, a mio marito, gli facevo da segretaria e i suoi<br />
clienti li conosco uno per uno.<br />
La Gattinoni prese i fogli dal tavolinetto. – Vede, avvocato,<br />
scegliamo un nome a caso: Cecconi, Cecconi Annibale.<br />
Venga più vicino, legga qui… questo è l’ammontare<br />
dei crediti recuperati, questo, sull’altra colonna, dei crediti<br />
ancora inevasi: tenga presente che la nostra parcella<br />
era del dieci per cento sui crediti recuperati.<br />
La vedova si diffuse su Cecconi Annibale, grossista di<br />
salumi ai mercati generali, e sulle decine di piccoli dettaglianti<br />
con lui indebitati.<br />
Con l’accumularsi di dettagli su Cecconi Annibale,<br />
grossista di salumi, crescevano in Serra disagio e incredulità<br />
rispetto a una proposta, quella della vedova, che faceva<br />
carne di porco di ogni deontologia avvocatesca, fosse<br />
anche la più permissiva.<br />
– Il grande problema nel recupero crediti, – continuò la<br />
vedova, – è quello dei tempi. Le cambiali devono essere<br />
mandate in protesto al momento giusto. Lo diceva sempre<br />
il mio povero marito: né troppo presto, né troppo tardi,<br />
i tempi, la cosa importante sono i tempi. Se lei vorrà,<br />
avvocato, sarò io a suggerirle i tempi.<br />
I tempi, la vedova che gli suggeriva i tempi, i tempi di<br />
156<br />
che cosa? La vedova sempre più vicina, quasi addossata a<br />
lui, mentre proseguiva infervorata l’illustrazione del portafoglio<br />
clienti.<br />
Fu in quel momento che l’occhio di Serra cadde su un<br />
nome. Ebbe un impercettibile sussulto.<br />
– Di questo Amicucci, cosa mi dice, signora?<br />
A sentire il nome di Amicucci, il volto di Carruezzo si<br />
atteggiò a un moto di sorpresa che cercò immediatamente<br />
di mascherare. Alla sorpresa fece seguito un ammiccamento<br />
a Serra ancora più plateale, però, e rivelatore, di<br />
quanto non fosse stata la sorpresa.<br />
– Amicucci Pompeo… come mai le interessa? – chiese<br />
la vedova in tono sospettoso<br />
– Amicucci… Amicucci… qualcosa ci ricorda, – intervenne<br />
Carruezzo rivolgendosi più a Serra che alla vedova.<br />
– No, a me non ricorda nulla. Ho solo fatto un nome a<br />
caso, – disse Serra e accompagnò queste parole con uno<br />
sguardo di fuoco a Carruezzo.<br />
– Comunque, se la cosa vi interessa, – disse la Gattinoni,<br />
– Amicucci dovrà essere cancellato dalla lista degli assistiti.<br />
È venuto meno… è deceduto, insomma.<br />
– Capisco, – disse Serra.<br />
– Comunque, signora Gattinoni, anche all’avvocato la<br />
sua proposta pare interessante, – intervenne Carruezzo.<br />
– Dovremo però esaminare meglio il portafoglio clienti.<br />
E Serra: – Sì, appunto, il portafoglio clienti.<br />
– A sua disposizione, avvocato Serra, – disse la Gattinoni.<br />
– Le confesso che mi farebbe piacere vederla alla<br />
scrivania di mio marito… starebbe proprio bene al posto<br />
del povero Alfredo.<br />
157
Poi la vedova indicò una capiente borsa nera poggiata<br />
al piccolo tavolino di lato alla scrivania.<br />
– La borsa di mio marito, – disse in un sospiro. – Ci andava<br />
tutti giorni in Tribunale.<br />
La carnagione della vedova era particolarmente bianca<br />
mentre pronunciava queste parole, e rossa la sua chioma<br />
e ansimante il petto sotto la camicetta trasparente. Serra<br />
si domandava, osservandola, come sarebbe stato al posto<br />
del povero Alfredo.<br />
Ora, tornati allo studio, discutevano della conversazione<br />
con la vedova.<br />
– Mi spieghi dunque, cavaliere, che accrocco si è immaginato<br />
con quella là. E mi spieghi anche perché non me<br />
ne ha parlato prima.<br />
– Gliene avevo parlato: forse non sono stato abbastanza<br />
chiaro.<br />
– Non è che non è stato chiaro. Ha semplicemente<br />
omesso di dirmi che per promuovermi, la vedova, voleva<br />
fior di quattrini.<br />
– Un po’ troppi, in effetti.<br />
– Non è questione di troppi o pochi. A parte che neppure<br />
lei quei soldi li ha, comunque mai e poi mai le permetterei…<br />
– Stia certo che, al dunque, ridurrebbe le sue pretese, la<br />
vedova. Ha notato come la guardava?<br />
– Lei è immorale, cavaliere, profondamente immorale.<br />
– Conosco i fatti della vita, tutto qua.<br />
Al pensiero del cavaliere esperto dei fatti della vita, Serra<br />
non poté fare a meno di sorridere.<br />
– Rimane comunque, – riprese Carruezzo, – che uno<br />
158<br />
sguardo su quell’archivio a proposito di Amicucci dobbiamo<br />
assolutamente darlo.<br />
– Questo, se la vedova ci fa mettere il naso in quell’archivio.<br />
– Possiamo cercare di farle credere che siamo ancora<br />
interessati all’accordo. Se questo non basterà, bisogna<br />
che lei, Serra, sfoggi uno dei suoi irresistibili sorrisi.<br />
– Io non sfoggerò un bel nulla. Ci pensa lei, cavaliere?<br />
– Facciamo che ci penso io. Anche se non è certo me<br />
che la vedova concupisce.<br />
159
22<br />
Mastellone sollevò il telo bianco all’altezza del viso.<br />
– Lo conosci?<br />
– Ma questo è Cantillo, – rispose Serra.<br />
– Michele Cantillo, appunto, nato a Nola il 18 dicembre<br />
1908. Gli abbiamo trovato addosso la patente. Morto<br />
affogato, così almeno sembrerebbe.<br />
Erano le undici della mattina e in quel punto del Tevere,<br />
poco prima di Ponte Vittorio, si era radunata una folla<br />
di curiosi che, affacciati al parapetto, seguivano dall’alto<br />
l’affaccendarsi degli uomini in divisa intorno a un cadavere.<br />
Sarebbero stati ancora più vicini alla scena, se un<br />
poliziotto non avesse sbarrato l’accesso alle scalette che<br />
dal livello stradale portavano giù alla banchina. Serra,<br />
qualche minuto prima, arrivando, aveva dovuto farsi largo<br />
tra la gente. Era bastato, per passare, che dicesse il suo<br />
nome al piantone.<br />
Dopo che per qualche istante si erano fermati a osservare<br />
il cadavere, Mastellone l’aveva preso sottobraccio,<br />
portandoselo, come per una passeggiatina, su e giù per la<br />
banchina.<br />
– C’hanno telefonato che all’altezza dell’Acquacetosa<br />
c’era il corpo d’un uomo. Corsa in auto sino all’Acquace-<br />
161
tosa: niente, il corpo è sparito. Se l’è portato via la corrente,<br />
pensiamo. Nel frattempo, un’altra segnalazione: sotto<br />
Ponte Milvio, c’è qualcosa, forse un cadavere. Arriviamo<br />
a Ponte Milvio e ancora nulla. Vuoi vedere che ci stanno a<br />
prendere per il culo, ci siamo detti. Poi è venuto fuori che<br />
il corpo si era fermato qualche centinaio di metri più giù<br />
e che a ripescarlo erano stati quelli del commissariato di<br />
Tor di Nona. Anguilla da vivo e ancora più sfuggente da<br />
morto, il Cantillo.<br />
– Allora lo conoscevate, in questura? – chiese Serra.<br />
Più che una domanda, suonava come una constatazione.<br />
– Te lo sei dimenticato, che noi in questura conosciamo<br />
tutti?<br />
– Sapevate della sua attività giornalistica, voglio dire.<br />
– Chiamala giornalistica! Sapevamo della sua attività di<br />
ricattatore e di molte altre storielline. Prima della guerra<br />
era più che altro un truffatore, poi ha fatto carriera ed è<br />
diventato borsaro nero. Ultimamente si era riciclato. Aveva<br />
capito che la democrazia può essere un affare e… come<br />
si dice? Piatto ricco mi ci ficco. L’avete voluta la democrazia?<br />
Ora pedalate.<br />
– Non mi dire che anche tu fai il nostalgico?<br />
– La vuoi sapere tutta, Luciano? Io me ne fotto. Anzi,<br />
me ne strafotto. Me ne fottevo dei fascisti, e me ne fotto<br />
ora degli antifascisti. Non mi piace però che gente come<br />
Cantillo possa farsi un giornaletto qualsiasi e con quello<br />
ricattare la gente.<br />
– Perché, quando c’era lui di ricatti neppure l’ombra,<br />
vero? Dài, lo sai meglio di me che i gerarchi ci passavano<br />
il tempo a ricattarsi.<br />
– Intendiamoci, non è che io difenda i politici. Cantillo,<br />
162<br />
nove volte su dieci, ci prendeva con gli articoli su quel<br />
suo giornale. Solo che dopo gli articoli veniva il resto.<br />
– L’avete mai beccato?<br />
– Mai per estorsioni o cose del genere. Condanne per<br />
truffa quante ne vuoi, ma da quando s’era messo a fare il<br />
ricattatore, pulito come un angioletto.<br />
In quell’andare e venire lungo la banchina, ora tornavano<br />
verso il punto di partenza, mentre un uomo in giacca e<br />
cravatta si faceva loro incontro sorridendo.<br />
Mastellone anticipò il saluto: – Ciao dottore. Che mi dici<br />
del tipo che abbiamo ripescato?<br />
– Nulla ti dico. Tu me lo lasci per ventiquattr’ore, io me<br />
lo lavoro per bene e poi vedrai se non ti so dire tutto: cos’ha<br />
mangiato, se ha scopato, quand’è l’ultima volta che<br />
ha cagato, tutto ti so dire. I morti sanno mantenere i segreti<br />
ancora meno dei vivi, questa è la verità.<br />
– Dài dottore, con l’occhio clinico che ti ritrovi…<br />
un’anticipazione…<br />
– Credi che basti una tastatina, che gli strizzo un po’ le<br />
palle o che magari gli guardo l’occhio, come alle triglie?<br />
Vuoi un’anticipazione? L’occhio è ancora brillante, e quindi<br />
sembrerebbe roba abbastanza fresca, probabilmente<br />
di stanotte.<br />
– E sul come, dottore, che mi dici?<br />
– Che mi dici, che mi dici. Magari dico una cazzata e<br />
magari voi, su quella cazzata, ci costruite le vostre ipotesi…<br />
già da soli non ci capite mai nulla, immagina messi<br />
sulla strada sbagliata.<br />
– Dottore, una dritta, qualcosa…<br />
– Tu vuoi sapere se l’hanno ammazzato?<br />
– Appunto.<br />
163
– Non presenta tracce di infiltrazioni ematiche.<br />
– Il che vuol dire…<br />
– Vuol dire che non ha ecchimosi, ecchimosi che appaiano<br />
a un primo esame, voglio dire. In compenso ha il<br />
collo rotto, per meglio dire qualcuno gli ha rotto il collo.<br />
– Oppure si è gettato da un ponte e cadendo ha colpito<br />
con la nuca il parapetto…<br />
– Lo vedi che sai già tutto. Cosa mi stai a chiedere allora?<br />
Magari il tipo si è gettato dal ponte con un doppio<br />
salto mortale carpiato, il che spiega come sia andato a cascare<br />
di nuca. Ora mi lasciate lavorare in pace e poi domani<br />
ti saprò dire. Commissario Mastellone, i miei rispetti.<br />
Il dottore mimò con la mano una sorta di saluto militare<br />
e si allontanò.<br />
– Senti Mastellone, – riprese Serra, – mi spieghi perché<br />
mi hai fatto chiamare. Perché, insomma, hai voluto che<br />
venissi qui… ora?<br />
– Nulla di particolare, scambiare con te qualche impressione<br />
sul caso, qualche informazione su Cantillo, magari…<br />
e poi, un vecchio collega… mi sono detto: perché<br />
non sentire un vecchio collega?<br />
– Lascia perdere il vecchio collega, Mastellone. Dimmi<br />
cosa vuoi.<br />
– Voglio che mi dica tutto quello che sai di Cantillo, di<br />
Cantillo e Zanda, soprattutto.<br />
– Non so nulla che non sappiate già, – disse Serra. –<br />
Che Zanda era nel mirino di Cantillo non vi è certo sfuggito.<br />
Sapete anche, ne sono sicuro, che Cantillo si serviva<br />
di Amicucci per i suoi lavoretti. Tira tu le conclusioni…<br />
– No, dimmi le tue di conclusioni.<br />
164<br />
– Molto semplice: l’assassinio di Amicucci e quello di<br />
Cantillo sono collegati. Ed è Zanda a collegarli.<br />
– Ergo: è Zanda ad avere fatto fuori Amicucci e Cantillo.<br />
Magari non direttamente. Lo ricattavano e lui…<br />
– Non ho detto questo, – precisò Serra. – Dico solo che<br />
è il ricatto a Zanda il nodo della questione.<br />
– Se è questa la linea difensiva che stai organizzando<br />
per la tua cliente, stai attento: rischi di danneggiarla. Zanda<br />
è un uomo influente.<br />
– A essere sinceri, – disse Serra con un sospiro, – non so<br />
ancora che linea adotterò. Fra poco si concluderà l’istruttoria<br />
e io…<br />
Serra si sentì pronunciare quelle parole, come se a confessare<br />
la propria impotenza di fronte a Mastellone ci fosse<br />
un altro e non lui. Gli venne in mente una serata di molti<br />
anni prima in una trattoria di San Lorenzo, una di quelle<br />
domeniche tristi tra giovani poliziotti senza fidanzata.<br />
Cosa aveva detto Mastellone? Qualcosa a proposito della<br />
sua imperiosa vocazione, sin da bambino, a fare il poliziotto.<br />
– Per quello che mi riguarda, – era intervenuto Serra,<br />
– sono entrato in Polizia perché non sapevo far niente.<br />
– Dai retta a me, – disse Mastellone, – Zanda lascialo<br />
perdere.<br />
165
23<br />
Ti voglio raccontare di me le ha detto la zingara e ha raccontato<br />
di quando era ancora bambina e avevano il campo<br />
in riva alla Drava e nelle notti di luna la luce, riflessa dal<br />
fiume, faceva del campo una città incantata. Racconta che<br />
quell’estate ci fu il matrimonio della maggiore delle sue<br />
sorelle, Annica si chiamava, è morta l’anno scorso, e ci fu<br />
festa per tre giorni di fila e lei, che era la bambina più bella<br />
del campo, ebbe tre proposte di matrimonio, una per<br />
ogni giorno di festa, e solo ad una disse di sì, al ragazzo<br />
dagli occhi di fuoco che sarebbe diventato suo marito. Come<br />
sia andata a finire col ragazzo dagli occhi di fuoco non<br />
te lo sto a raccontare, dice sorridendo la zingara, lo sai come<br />
sono fatti gli uomini, non te lo devo spiegare io, che se<br />
sei qui alle Mantellate c’è un uomo di mezzo, c’è sempre<br />
un uomo di mezzo. È vero che l’hai ammazzato, il cravattaro?<br />
chiede, e siccome Adelina non le risponde si risponde<br />
da sé: hai fatto bene, chissà che porco era. Adelina non<br />
risponde alla zingara, eppure non le dispiace che la zingara<br />
continui a parlare. Adelina è distesa sulla sua branda<br />
con gli occhi chiusi e nella branda accanto c’è lei, la zingara.<br />
Io il mio non l’ho ammazzato, continua, l’ho solo punto,<br />
non lo volevo ammazzare, non questa volta. E sai perché<br />
l’ho punto? Proprio per quello che stai pensando. Ora<br />
167
siamo ben sistemati tutti e due, io qui alle Mantellate e<br />
lui all’ospedale con la pancia bucata. Allora, proprio non<br />
me lo vuoi dire com’è andata col tuo cravattaro? Non fa<br />
nulla, continuo io. Però qualcuna bisogna che parli, la cosa<br />
tremenda in prigione è il silenzio, col silenzio una inizia<br />
a pensare, pensare è la cosa peggiore. Gli ho bucato la<br />
pancia al secondo marito, il primo è morto, almeno così<br />
m’hanno detto. Di sicuro un giorno è sparito, eravamo<br />
sposati da due anni e un giorno mi fa, Sanella, io mi chiamo<br />
Sanella - rimanendo sdraiata la zingara sporge il braccio<br />
verso la compagna di cella, un gesto indolente con cui<br />
forse vuol dire: mi presento - Sanella, mi dice il mio primo<br />
marito, io esco a comprare le sigarette… continua a parlare<br />
la zingara, del primo marito si dice sia stato ucciso dalla<br />
polizia austriaca durante una rapina, e il secondo non era<br />
meglio del primo, continua a parlare la zingara e intanto<br />
Adelina, che non l’ascolta più, pensa che tante cose da raccontare<br />
lei non le ha, ciò che potrebbe raccontare sono tremori<br />
del cuore, e silenzi e piattezze che si ripetono giorno<br />
dopo giorno, questo potrebbe raccontare.<br />
168<br />
24<br />
Di che cosa sono fatte le inchieste criminali? Questo si<br />
stava chiedendo Luciano Serra, mentre allungato sulla<br />
sedia, le mani in tasca, lo stomaco appoggiato al bordo<br />
della scrivania, guardava senza vederlo il muro di fronte<br />
a sé. Vai a parlare con qualcuno, qualcuno viene a parlare<br />
con te. Parli e ascolti, insomma, fai domande e ti danno<br />
riposte, le domande devono essere quelle giuste ma<br />
tu non sai se chi ti sta rispondendo nasconde qualcosa.<br />
Non sai se sta mentendo. Non sai se omette qualcosa,<br />
che è ancora peggio, perché almeno la bugia porta in sé<br />
un segno della verità, è verità rovesciata. Bisogna procedere<br />
spediti e capire in fretta, perché o i casi si risolvono<br />
in quarantotto ore o non si risolvono più. Lo sanno bene<br />
i poliziotti, anche se non lo dicono. Se dopo quarantotto<br />
ore non hai tra le mani un colpevole, allora inizi a lavorare<br />
di fantasia. Ti inventi un colpevole e capita che qualche<br />
volta ci azzecchi.<br />
Entrò Carruezzo. Era trafelato e agitava un foglietto.<br />
– Lo sapevo di avere ragione. È chiaro. Avevo ragione.<br />
– Prima di tutto si sieda, – disse Serra e gli indicò la sua<br />
poltrona d’angolo. Ora Carruezzo e Serra occupavano le<br />
rispettive postazioni, e dunque si poteva cominciare.<br />
– Ricorda quel mio rapporto sul condominio di via Vetulonia?<br />
– disse Carruezzo.<br />
169
– Come potrei dimenticarlo?<br />
– Lo tiri fuori dal cassetto, allora.<br />
– Ce l’ho tutto qua, – dice Serra e si batté due volte la<br />
fronte col palmo della mano. Ogni volta che faceva quel<br />
gesto si aspettava un rumore di vuoto. Ma il rumore di<br />
vuoto non c’era.<br />
– Ricorda le tre donne che avevo individuato come<br />
possibili proprietarie delle scarpe <strong>rosse</strong>?<br />
– Benissimo. La bovarista, la moglie di Ribolliti, la procace<br />
domestica del Manighetti.<br />
– Ebbene: due su tre avevano firmato cambiali ad Amicucci.<br />
– Mi lasci indovinare. La bovarista e la procace domestica?<br />
– No, la bovarista e la Ribolliti.<br />
– Queste informazioni le ha avute dalla vedova Gattinoni,<br />
suppongo.<br />
– Sono riuscito a mettere le mani sull’archivio. Le ho<br />
fatto credere che siamo ancora interessati a rilevare la<br />
clientela del marito, e lei non ha avuto difficoltà. Mi ha<br />
persino lasciato solo a spulciare le carte. Sa cos’è venuto<br />
fuori? Che nel palazzo di via Vetulonia erano almeno in<br />
quattro a prendere soldi a strozzo da Amicucci.<br />
– Chi sono gli altri due?<br />
– Anche loro vecchie conoscenze. Ricorda il giovane<br />
musicista?<br />
– Vagamente.<br />
– Beh, insomma, il musicista che sta al secondo piano<br />
Romanò, si chiama. E poi il commesso della farmacia vaticana…<br />
– Questo lo ricordo… ora, come intende procedere, cavaliere?<br />
170<br />
– Pensavo di lavorarmeli adeguatamente, tutti e quattro.<br />
Carruezzo si compiaceva della scelta di quella parola,<br />
lavorarmeli. Lo si capiva da come la voce vi si era soffermata.<br />
– A proposito, Serra. La Gattinoni mi ha chiesto di lei.<br />
Aspetta una sua visita.<br />
– Le ha detto che sono occupatissimo, naturalmente.<br />
– Le ho detto che stava considerando la sua offerta.<br />
Ho fatto bene?<br />
– Ha fatto malissimo, cavaliere. E comunque né la<br />
Gattinoni né il recupero crediti mi avranno…<br />
Nell’imboccare la strada che da via del Corso portava a<br />
Piazza Capranica, Serra pensava alla conversazione avuta<br />
con Carruezzo e all’impuntarsi del cavaliere sulla “pista<br />
condominiale”. Passando per via della Rotonda, ritrovò<br />
accoccolati tra le rovine attorno al Pantheon i soliti dieci<br />
gatti che ne avevano fatto la loro casa. Conosceva bene<br />
questa parte della città, anche se ci si sentiva ancora un<br />
turista, come quando nei primi anni a Roma, dalla sua<br />
pensione all’inizio della Nomentana scendeva giù la domenica<br />
mattina, con in mano la guida rossa del Touring,<br />
per lunghe passeggiate al centro.<br />
Con fare misterioso, Piccioni lo aveva convocato in una<br />
trattoria di via delle Zoccolette che frequentavano insieme<br />
prima della guerra. – Vediamoci a pranzo, – gli aveva<br />
detto per telefono. – Ti voglio far conoscere una persona.<br />
Ricordava una stretta porticina senza insegne e invece<br />
si trovò di fronte due grandi vetrine, dietro una delle quali<br />
si affacciavano, mostruose, alcune aragoste.<br />
171
Piccioni era seduto a un tavolo appartato, in fondo alla<br />
sala. Era solo ma la tavola era stata preparata per tre persone.<br />
– Ciao, giovane Serra, – lo salutò.<br />
Anche a cinquant’anni, per Piccioni, sarebbe sempre<br />
stato il “giovane Serra».<br />
Piccioni già mangiava. Gli indicò colla punta del coltello<br />
il piatto di prosciutto: – Serviti.<br />
S’avvicinò un cameriere.<br />
– Pajata per due, – disse Piccioni al cameriere. Poi, rispondendo<br />
all’espressione interrogativa di Serra: – Autentica<br />
specialità della casa. Fidati di me.<br />
– La persona che volevi farmi conoscere? – chiese Serra.<br />
– Verrà più tardi. Non c’è bisogno che l’aspettiamo. E<br />
comunque io ho fame.<br />
Stava pronunciando queste ultime parole, Piccioni,<br />
quando Serra, che dava le spalle alla porta, lesse nel suo<br />
sguardo che qualcuno era entrato nel ristorante.<br />
C’era un uomo alla porta, un tipo alto, occhiali spessi,<br />
portava il basco, non di traverso come si usava ma ben<br />
calcato in testa.<br />
L’uomo fece un cenno di saluto verso Piccioni e si avvicinò.<br />
Piccioni, senza alzarsi, scostò una sedia dal tavolo,<br />
come per invitarlo ad unirsi a loro.<br />
Piccioni fece le presentazioni, spiegando che l’uomo<br />
col basco era un tecnico minerario. Si chiamava Attilio<br />
Balzarani. Dipendente della Monterroyo, la società che<br />
sfruttava Nuraxi Nieddu, era un esperto della sicurezza<br />
nei pozzi di carbone e aveva lavorato in tutti i paesi dove<br />
la Monterroyo possedeva miniere, cioè a dire in tutto il<br />
mondo dal Cile alla Thailandia. Era a Nuraxi Nieddu al<br />
172<br />
tempo dell’incidente. Ora stava a Roma. – Quelli della<br />
Monterroyo mi tengono qui alla sede di Roma, – intervenne<br />
Balzarani. – È solo una sede di rappresentanza: in<br />
realtà non faccio niente tutto il giorno.<br />
Si avvicinò il solito cameriere, a cui il nuovo arrivato fece<br />
cenno di non volere ordinare.<br />
– Ho già mangiato, – disse rivolto a Piccioni e Serra.<br />
– Così era a Nuraxi Nieddu, quando è successa la cosa?<br />
– disse Serra.<br />
– Non proprio, non nei pozzi, non sarei qui ora… io sono<br />
sceso dopo, con i primi soccorsi, anche se non c’era più<br />
nulla da soccorrere, di gran parte degli ottantadue morti<br />
non ne abbiamo neppure trovati i corpi, solo alcuni di<br />
quelli rimasti sotto i crolli, abbiamo dovuto scavare con le<br />
unghie per tirarli fuori. Agli altri ci aveva pensato l’ossido<br />
di carbonio. Lei vada giù e cerchi di capire cos’è successo<br />
m’hanno detto. Ma io lo sapevo cos’era successo. Era successo<br />
che da due mesi presentavo i miei rapporti al direttore.<br />
Dalle argille delle pareti sprigiona grisou, c’era scritto,<br />
la lampada grisumetrica parla chiaro, dicevo. Ma non<br />
solo questo: gli impianti di discesa e risalita sono in uno<br />
stato da far paura. Sapete cosa crediamo sia successo a<br />
Nuraxi Nieddu? Dico crediamo perché di sicuro cos’è<br />
successo non lo sapremo mai. Quello che sappiamo è che<br />
ha ceduto il dispositivo di bloccaggio di un carrello di carbone.<br />
Quando i carrelli pieni di carbone vengono portati<br />
su, nelle gabbie, devono essere bloccati. Un bloccaggio ha<br />
ceduto mentre la gabbia saliva in superficie, il carrello è<br />
scivolato fuori dalla gabbia comprimendo un cavo elettrico,<br />
dal cavo sono venute fuori scintille, poi l’incendio e<br />
con l’incendio l’inferno. L’avevo detto mille volte al diret-<br />
173
tore, e glielo avevo scritto in decine di rapporti al direttore,<br />
che quei bloccaggi andavano cambiati, erano pericolosi.<br />
Per non parlare dei binari in legno su cui scorrevano le<br />
gabbie. Tutto da cambiare. L’ho detto e ridetto al direttore.<br />
Fermiamo per un po’ la miniera e facciamo i lavori di<br />
cui c’è bisogno. E lui: ma tu sei matto, le miniere che dirigo<br />
io non chiudono.<br />
Balzarani parlava con gli occhi fissi sul basco che teneva<br />
tra le mani e continuava a tormentare. Quando sollevò<br />
lo sguardo, si trovò di fronte lo specchio che stava sulla<br />
parete alle spalle di Piccioni. Si guardò sorpreso, come<br />
non si riconoscesse.<br />
– Anche lei è un giornalista? – chiese rivolto a Serra ma<br />
non aspettò la risposta. – Poi c’è stata l’inchiesta, io m’aspettavo<br />
che quelle mie relazioni venissero fuori…<br />
– Ma lei, – intervenne Serra, – è stato poi sentito dalla<br />
commissione d’inchiesta?<br />
Balzarani parve ignorare la domanda. – Dopo pochi<br />
mesi, la miniera ha chiuso, – disse. – Era l’ultima miniera<br />
che la società aveva in <strong>Sardegna</strong> e a me mi hanno mandato<br />
a Roma.<br />
Ci fu un lungo silenzio.<br />
– Vuole sapere cosa ho detto all’inchiesta? – riprese<br />
Balzarani. – Sono stato zitto. Loro non sembravano particolarmente<br />
interessati e io sono stato zitto. E poi c’erano i<br />
dirigenti della Società. Mi parlavano come se quelle relazioni<br />
che io avevo mandato anche a loro non esistessero,<br />
non fossero mai esistite. Io, mi dovete capire…<br />
Gli ci era voluto un grande sforzo per dire quello che<br />
stava dicendo, per fare quello che stava facendo. Non<br />
aveva finito, però.<br />
174<br />
– Io… mi hanno convocato a Roma per l’inchiesta, ma<br />
il giorno prima avevo parlato con il direttore della Società<br />
per l’Italia: “Balzarani, lei sa bene cosa dire e cosa<br />
non dire alla commissione. Non ha bisogno di consigli.”<br />
Io non avevo bisogno di consigli. E infatti sono stato zitto.<br />
Poi però non ne ho potuto fare a meno…<br />
Lasciò in sospeso la frase, come se avesse esaurito la carica<br />
che lo spingeva a parlare.<br />
– Non ha potuto far a meno… – l’incoraggiò Piccioni.<br />
– Qualcosa dovevo fare e l’ho fatta. Ho preso uno dei<br />
tanti rapporti che avevo mandato al direttore (ne ho tenuto<br />
con me diverse copie) l’ho messa dentro una busta e<br />
l’ho mandata anonima a un giornale, Il Pungolo si chiama,<br />
forse lo conoscete… insomma, non sono riuscito a<br />
far altro… poi, dopo qualche mese, quando ho visto che<br />
il giornale pubblicava quegli articoli su Nuraxi Nieddu,<br />
allora ho capito che il rapporto era arrivato e che l’avevano<br />
preso sul serio. Più di quello che sto facendo non potevo<br />
fare, lo capite? Ma ora voi non mi dovete tirare in<br />
mezzo.<br />
– Stia tranquillo, non la coinvolgeremo, – disse Piccioni.<br />
– Ci basta quel che ci ha raccontato.<br />
– Come diavolo hai fatto a scovarlo? – chiese Serra a<br />
Piccioni mentre, dopo aver lasciato Balzarani, si dirigevano<br />
insieme verso il Lungotevere dove Serra aveva parcheggiato<br />
la sua Giardinetta.<br />
– Fonti coperte, – rispose con aria misteriosa Piccioni.<br />
Poi cambiò tono: – Mi sono visto i verbali dell’inchiesta<br />
e… insomma, nelle dichiarazioni di quel Balzarani c’era<br />
qualcosa, come se dalle sue parole trasudasse un silenzio<br />
175
imbarazzato. Così l’ho rintracciato alla sede romana della<br />
Società. Lui ha detto che non aveva nulla da aggiungere a<br />
quel che aveva sostenuto durante l’inchiesta, ma io gli ho<br />
lasciato il mio numero al giornale…<br />
– …e lui ti ha telefonato.<br />
– Sì, mi ha telefonato… però… in tutta questa faccenda<br />
ci sono cose che non mi tornano, che non capisco.<br />
– Magari ti fai le stesse domande che mi sto facendo io.<br />
Zanda sapeva delle analisi sul grisou? Perché una cosa è<br />
certa: né il direttore della miniera, né la Società gliele<br />
hanno messe in mano le analisi. E allora come le ha avute,<br />
se le ha avute? E Cantillo? Perché ricattava Zanda? Perché<br />
sapeva di sue precise responsabilità oppure stava solo<br />
gettando un’esca?<br />
– Sì, certo… ma c’è anche un’altra cosa che non quadra.<br />
Lo sanno tutti che la Monterroyo in <strong>Sardegna</strong> vuol<br />
smobilitare. E allora, se è così, che interesse aveva la Società<br />
a tenere aperta la miniera? Sarebbe anzi stato naturale<br />
utilizzare le analisi sulle presenze di grisou per giustificare<br />
la chiusura. Non trovi?<br />
– Misteri del capitale, – disse Serra.<br />
– Queste battute lasciale a noi comunisti, – ribatté Piccioni.<br />
176<br />
25<br />
L’alibi, il punto era l’alibi, si diceva Carruezzo.<br />
Il caffè di via Vetulonia era abbastanza affollato e i due<br />
avevano trovato posto a un piccolo tavolo d’angolo. Nessuno<br />
si era presentato a servirli, per cui dopo un po’ Carruezzo<br />
si era avvicinato al bancone tornando poi indietro<br />
con una tazza fumante di cioccolata per sé e una grappa<br />
per Venturini; l’occhiuto Venturini, che dal suo triplice<br />
occhio - la grata sulle scale, lo spioncino, il balcone - tutto<br />
osservava, per poi riferire a Carruezzo col quale si può dire<br />
fosse nata un’amicizia.<br />
– Vita animata nei caffè, – osservò Venturini. Disse queste<br />
parole come fossero il distillato di considerazioni più<br />
ampie che aspettavano per essere esposte un segno di interessamento<br />
da parte del suo interlocutore. Che invece<br />
pareva solo attento a rigirare la cioccolata.<br />
– La gente si diverte nei caffè. S’incontrano, parlano, –<br />
riprese Venturini, nonostante l’evidente disinteresse di<br />
Carruezzo. – È stupefacente quanto la gente parli. Parlano,<br />
si riempiono la bocca di parole, spiegano, precisano,<br />
ripetono infinite volte la stessa cosa, raccontano…<br />
– Raccontano… – gli fece eco Carruezzo e accompagnò<br />
queste parole con un gesto largo e vago.<br />
– È vero, soprattutto raccontano… io, non ho nulla da<br />
177
accontare. Per questo non vedo nessuno: la gente si aspetta<br />
che uno racconti, e a me invece non succede mai nulla.<br />
– Forse dovremmo raccontare anche quello che non ci<br />
succede, la pura possibilità.<br />
Venturini sembrava perplesso. – Inventare, vuole dire?<br />
Magari raccontare i sogni…<br />
– Appunto i sogni…<br />
– Ho paura che i miei sogni non interessino nessuno, a<br />
me anche nei sogni non succede nulla. Anche nei sogni,<br />
sto là in cucina e guardo la grata…<br />
– La grata, Venturini, la grata. Come fa a dire che non<br />
ha nulla da raccontare? E la grata dove la mette, e le storie<br />
del suo condominio? Quell’andare e venire di passi,<br />
quell’entrare ed uscire, quel movimento che non si ferma<br />
mai…<br />
– Così lei non pensa che la mia sia una fissazione: quella<br />
di controllare, di stare ad osservare?<br />
– Sa cosa le dico Venturini? Lei quelli del condominio li<br />
fa esistere. Altrimenti cosa sarebbero? Senza contare poi<br />
che la sua vigilanza è un momento di controllo, e Dio sa<br />
se ne abbiamo bisogno coi tempi che corrono…<br />
– Non l’avrei detto dottor Carruezzo, non l’avrei detto<br />
che lei fosse… – Venturini esitava.<br />
– Fossi che cosa?<br />
– Un nostalgico del passato…<br />
– Ma cosa sta dicendo Venturini?<br />
– Quello che ha detto… io credevo… anche se, a pensarci<br />
bene, un uomo della sua statura…<br />
– Non le nascondo che alcuni aspetti del fascismo, le<br />
adunate ad esempio, mi coinvolgevano. L’idea di un destino<br />
comune, di un popolo che marcia compatto… lo sa<br />
178<br />
lei Venturini qual è il punto di forza della democrazia rispetto<br />
alla dittatura? È il realismo. Solo la democrazia sa<br />
realmente di che pasta è fatto l’uomo. L’uomo persegue il<br />
suo interesse, e dato che l’interesse non è lo stesso per<br />
tutti… ecco, la democrazia parte da questo, dalla frammentazione<br />
degli interessi, per questo è realistica.<br />
– Io, invece, erano proprio le adunate oceaniche la cosa<br />
che odiavo di più. A me tanta gente assieme fa paura, mi<br />
pare che non ne possa venire niente di buono quando sono<br />
assieme più di dieci persone. Per questo non vado mai<br />
al cinema.<br />
– È che lei il cinema c’è l’ha dentro casa, – disse Carruezzo<br />
sorridendo. – Quella finestrella sulle scale, io gliela<br />
invidio.<br />
– Pochi ne capiscono l’utilità, pensano che a guardare i<br />
piedi della gente non ci sia senso. Si sbagliano. A volte si<br />
capisce più dai piedi di una persona che dalle facce. Le<br />
facce mentono, i piedi no.<br />
– A proposito, Venturini, volevo le sue impressioni su<br />
alcuni condomini.<br />
– Ha una lista dei sospetti?<br />
– Non proprio, ma ho una lista di persone del palazzo<br />
che in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare con<br />
Amicucci.<br />
Carruezzo mise al corrente il suo amico sulle ultime notizie<br />
raccolte. Di ognuna delle persone dell’elenco di Carruezzo,<br />
Venturini fu in grado di disegnare un dettagliato<br />
identikit. Sulla domestica di Manighetti, si soffermò con<br />
dovizia di particolari, entrate e uscite dal palazzo, anche<br />
lui si era accorto degli “astuti maneggi” della domestica e<br />
non poteva neppure escludere che fosse lei la misteriosa<br />
179
dama dalle scarpe <strong>rosse</strong>, l’altezza era quella, anche se la<br />
dama dalle scarpe <strong>rosse</strong> aveva un suo passo elegante, ed<br />
elegante la domestica non si poteva proprio dire. Il Ribolliti<br />
stava al secondo piano, non prendeva mai l’ascensore,<br />
un passo lento, strascicato. Invece la moglie, quando<br />
usciva di casa, in quei passi veloci, quanta eccitazione,<br />
l’eccitazione di uscir di casa appunto.<br />
– Questa però è di tutti, – osservò Venturini. – Il passo<br />
che esce di casa è un passo leggero, spavaldo, quello che<br />
rientra è pesante, annoiato, si appoggia a pensieri opachi.<br />
Rientrare è noia e ripetizione, uscire leggerezza e avventura.<br />
– Ce la vedete la moglie del Ribolliti con le scarpe <strong>rosse</strong>?<br />
– chiese Carruezzo.<br />
– No che non ce la vedo, con quel passetto da uccellino.<br />
Quando giunse a Di Palma, e alla moglie di Di Palma,<br />
Carruezzo dovette spiegare al suo amico il significato di<br />
quella parola, bovarista, con la quale il suo schedario<br />
mentale aveva da tempo classificato la signora Di Palma,<br />
una spiegazione lunga e tortuosa ma che Venturini parve<br />
agevolmente far sua al punto da sorprendere favorevolmente<br />
Carruezzo sostenendo che, se quello era il significato<br />
della parola bovarista, anche lui, Venturini, doveva<br />
essere considerato un bovarista. Procedettero poi alla<br />
prova di Cenerentola, come avevano iniziato a chiamarla,<br />
facendo mentalmente indossare alla Di Palma la scarpetta<br />
rossa, ma l’esito fu anche ora negativo. Di Mangiarotti,<br />
non ci fu modo invece di parlare. Quando Venturini lo<br />
nominò, Carruezzo bloccò ogni sua ulteriore osservazione<br />
tirando in ballo “l’orrenda collezione di bamboline<br />
andaluse”, come se, una volta accertato questo crimine,<br />
180<br />
nulla d’altro si potesse aggiungere all’orrore. Quanto al<br />
giovane orchestrale nottambulo, proprio a causa del suo<br />
nottambulismo anche Venturini ne sapeva poco. Giunti<br />
all’ultimo della lista, il farmacista vaticano, Carruezzo<br />
provò a immaginarselo con le scarpe <strong>rosse</strong> col tacco. Proseguì<br />
poi Venturini, facendo indossare quelle stesse scarpe<br />
<strong>rosse</strong> al figlio brufoloso del farmacista. Erano ormai<br />
arrivati al lazzo osceno, al quale nessuno dei due era minimamente<br />
abituato. In un clima sempre più equivoco, si<br />
fecero portare, a chiusura della serata, una bottiglia intera<br />
di grappa che in pochi minuti si scolarono. Il cavaliere<br />
rideva e il ventre gli ballonzolava su e giù e più rideva più<br />
gli ballonzolava.<br />
Tornando a casa in tram Carruezzo ripercorse - con<br />
quella che, borbottando tra sé, chiamò “riconquistata lucidità”<br />
- il filo dei ragionamenti condominiali intrecciati<br />
con Venturini. Non giunse però a nessuna conclusione,<br />
anche perché quando arrivava al farmacista e al suo<br />
brufoloso figliolo, non poteva fare a meno di figurarseli<br />
con le scarpe <strong>rosse</strong> col tacco, per cui ricominciava a ridere<br />
come un cretino, trovandosi in preda allo stesso incontrollabile<br />
fou rire (e agli stessi ballonzolamenti) che lo avevano<br />
preso al caffè.<br />
Scese dal tram a Piazza Regina Margherita, tre fermate<br />
prima, almeno, di quanto avrebbe dovuto. Decise allora<br />
che una passeggiata notturna gli avrebbe fatto bene e<br />
optò per un lungo itinerario che, attraversando Villa Borghese,<br />
lo avrebbe alla fine ricondotto a casa. Il tepore di<br />
quella notte di maggio e la luna piena lo spingevano ad<br />
ardite (e non sempre mute) riflessioni su temi nodali della<br />
sua esistenza non esclusi alcuni - il suo rapporto con le<br />
181
donne, in particolare - sui quali era sempre stato reticente<br />
anche con se stesso. Gli sembrò all’improvviso possibile<br />
dare una svolta alla sua vita, e avrebbe iniziato a parlare<br />
alla luna se, bordeggiando il Giardino Zoologico, non<br />
avessero attratto la sua attenzione versi d’animali provenienti<br />
da oltre l’alto muro. Animali anche loro insonni,<br />
pensò Carruezzo, e che forse, anche loro, volevano parlare<br />
alla luna. Babbuini, canguri, zebre, scimmioni, gnu,<br />
gazzelle, leoni, pantere: di ognuno credeva di riconoscere<br />
il verso, di ognuno si sentiva fratello.<br />
182<br />
26<br />
Un biglietto di Carruezzo, lasciatogli sulla scrivania, lo<br />
informava di una telefonata del commissario Mastellone<br />
dalla Questura e di una successiva di un avvocato di nome<br />
Sarritzu. C’era poi stata una chiamata della vedova Gattinoni.<br />
Accanto al nome di quest’ultima, Carruezzo aveva<br />
scritto un «rispondere assolutamente», corredato di vari<br />
punti esclamativi e dal disegno di un cuore trafitto. Quanto<br />
all’ultima telefonata, chi aveva chiamato era tal Materazzi<br />
(«lei certo non lo ricorda» aveva scritto Carruezzo a<br />
fianco del nome, «ma è il proprietario dell’appartamento<br />
di viale Eritrea, quello che vuole sfrattare la vecchietta»).<br />
Quattro telefonate una dietro l’altra, si disse Serra, dopo<br />
un silenzio tombale di giorni e giorni, rischiavano di dargli<br />
l’ebbrezza.<br />
Decise di non dar retta al cavaliere e di non chiamare la<br />
vedova Gattinoni. Fece poi il numero della Questura ed<br />
ebbe modo di misurare l’importanza di Mastellone dal<br />
numero di voci attraverso cui dovette passare.<br />
– Luciano carissimo. – La voce di Mastellone gli giunse<br />
squillante. – Il vecchio Carruezzo te l’avrà detto che ti ho<br />
chiamato. Sempre in gamba il nostro Eupremio. Abbiamo<br />
fatto due chiacchiere al telefono: l’ho trovato sfavil-<br />
183
lante. Lasciatelo dire, Luciano: né tu né Carruezzo avreste<br />
dovuto lasciare la polizia.<br />
– Non è che ci abbiano trattenuti.<br />
– Era un momento difficile: siete stati vittima del momento.<br />
Bisognava tener duro. Alcuni, abbiamo tenuto<br />
duro.<br />
È da una vita che tu tieni duro, pensò Serra. Ma non lo<br />
disse. – Perché m’hai cercato? – chiese invece.<br />
– Niente. Volevo fare due chiacchiere, giusto sapere<br />
qualcosa sulla vostra inchiesta parallela. – Non sfuggì a<br />
Serra la sfumatura ironica di quel parallela.<br />
– Parallela in che senso?<br />
– Parallela alla nostra inchiesta. In fondo è a noi che<br />
tocca indagare, siamo noi la Polizia, siamo noi lo Stato. O<br />
te lo sei dimenticato Luciano?<br />
– A me pare che voi è da un bel po’ che avete smesso<br />
d’indagare sulla faccenda di via Vetulonia. Arrestata quella<br />
poveraccia d’Adelina Demontis, là vi siete fermati.<br />
– Per noi l’indagine è bella che conclusa: questo è il<br />
punto. Ora tocca al giudice istruttore.<br />
– Lo sai benissimo che l’indagine non è affatto chiusa e<br />
che voi le altre piste, che pure ci sono, le avete deliberatamente<br />
lasciate perdere. Avevate fretta voi, e ancora più<br />
fretta avete ora dopo la morte di Cantillo, che con ogni<br />
probabilità è legata a quella di Amicucci.<br />
– Ora stai esagerando, Serra, – ribatté Mastellone in un<br />
tono che rivelava irritazione. Ma immediatamente parve<br />
ricuperare la calma: – Non è che non ti capisca, Luciano.<br />
Finalmente ti è capitata tra le mani una causa importante,<br />
una di quelle che va sui giornali. Tu d’altra parte fai il tuo<br />
mestiere, devi provare l’innocenza della tua cliente… stai<br />
184<br />
attento però… è un po’ questo il motivo per cui ti ho<br />
chiamato: le vostre indagini non devono debordare, non<br />
ci deve essere invasione di campo… e poi, lasciatelo dire,<br />
Carruezzo…<br />
– Che c’entra ora Carruezzo?<br />
– C’entra, c’entra. E poi, noi che gli vogliamo bene lo<br />
possiamo dire. Carruezzo è sempre stato un tipo curioso,<br />
uno che piscia fuori dal vaso. Lo sai anche tu, se non ci<br />
fosse stato Bocchini a proteggerlo avrebbe passato la vita<br />
a battere verbali in qualche commissariato di periferia. Ti<br />
ricordi quando girava per la divisione Polizia Politica con<br />
quel papiello in mano, e lo leggeva a tutti… qual era il titolo…?<br />
– Identikit psicologico dell’antifascista, forse. Ne aveva<br />
scritto altri, ma quello era rimasto famoso in ufficio.<br />
– Sì, certo, quello dove teorizzava… c’entrava anche<br />
Freud e lui sosteneva che l’antifascista era uno che aveva<br />
un disturbo nell’interiorizzazione dell’autorità paterna,<br />
qualcosa del genere insomma, e che di conseguenza andava<br />
non sbattuto in galera ma curato… un discorso del<br />
cazzo, però lui faceva scompisciare dalle risate come te lo<br />
spiegava il papiello, e come pretendeva che tu lo leggessi…<br />
– Ricordo benissimo. Però continuo a non capire cosa<br />
c’entri ora Carruezzo.<br />
– Tu magari non lo sai, o forse lo sai, ma Carruezzo si<br />
presenta agli inquilini di via Vetulonia come un poliziotto,<br />
ha tutto un repertorio di vecchi tesserini scaduti e li<br />
squaderna alla bisogna. Qualcuno in Questura voleva<br />
prendere provvedimenti, io per ora ho bloccato tutto, la<br />
cosa è grave però, tu lo capisci…<br />
185
– Non ti preoccupare. Parlo io con Carruezzo: non capiterà<br />
più.<br />
– Anche gli inquilini di via Vetulonia si sono lamentati.<br />
Sono stufi del suo andirivieni.<br />
– Capisco.<br />
– Proprio così Luciano, tu devi capire, devi capire la<br />
delicatezza di tutta la situazione. Anche in relazione al caso<br />
Cantillo… non te ne dovrei parlare… insomma, per<br />
farla breve, siamo orientati a considerarlo un suicidio.<br />
– Come no: è andato giù dal ponte con un doppio salto<br />
mortale carpiato.<br />
– Un suicidio, tutto torna: la dinamica, e poi il fatto che<br />
Cantillo fosse pieno di debiti sino al collo. Comunque,<br />
così sono le cose. Io ti ho avvertito.<br />
– Sì, tu mi hai avvertito.<br />
La telefonata lasciò in Serra un senso d’impotenza e<br />
d’amarezza. Ripensò all’espressione che Mastellone aveva<br />
usato, inchiesta parallela, e gli venne in mente una azione<br />
parallela di cui aveva letto da poco in un romanzo: un<br />
gruppo di notabili preparano una celebrazione dei cinquant’anni<br />
sul trono di Francesco Giuseppe alternativa a<br />
quella ufficiale, un’azione parallela appunto. Il progetto<br />
cresce, le riunioni si moltiplicano, ma nessuno sa bene in<br />
che cosa quest’azione parallela consista. Così l’inchiesta<br />
“condominiale” di Carruezzo: velleitaria, inconcludente,<br />
ridicola.<br />
Serra riprese in mano la cornetta e fece il numero accanto<br />
al nome di Materazzi. Quasi non aspettò che dall’altra<br />
parte rispondessero: – A proposito di quel suo ap-<br />
186<br />
partamento in viale Eritrea: purtroppo non c’è nessuna<br />
possibilità che l’attuale inquilina possa essere sfrattata.<br />
– Ma lei stesso mi aveva parlato di poche settimane, sono<br />
due anni che…<br />
– Cosa vuole che le dica. Le cose stanno così: l’attuale<br />
legislazione non lo consente.<br />
– Ma i miei diritti di proprietario? Mi chiedo se lei è in<br />
grado…<br />
– Ha ragione signor Materazzi: io non sono in grado.<br />
– Ma…<br />
– Segua il mio consiglio, mi dia retta: si cerchi un altro<br />
avvocato.<br />
Le prime due telefonate non erano state un successo.<br />
Fece il numero dell’avvocato Sarritzu, l’ultimo dell’elenco<br />
lasciatogli da Carruezzo.<br />
Anche qui un filtro, ma un filtro flautato, quasi cinguettante:<br />
– Stia in linea, le passo subito l’avvocato.<br />
Serra diede mentalmente un corpo a quella voce: immaginò<br />
una segretaria dai vaporosi capelli biondi, la camicetta<br />
bianca, la gonna stretta, scarpe di vernice nera<br />
coi <strong>tacchi</strong> altissimi. Come nelle vignette del Travaso, la segretaria<br />
era seduta sulle sue ginocchia e continuava a battere<br />
a macchina. Lui con una mano guidava sui tasti la<br />
mano inesperta di lei, con l’altra le carezzava il seno.<br />
– Carissimo avvocato Serra. Non sa da quanto desideravo<br />
conoscerla.<br />
– Piacere, – disse Serra. Il tono di Serra era incerto: –<br />
Non credo…<br />
– No, non ci siamo mai incontrati, se è questo che si sta<br />
chiedendo. Certo, sarebbe potuto accadere a Palazzo di<br />
Giustizia. Il fatto è che io a Palazzo di Giustizia ci vado<br />
187
pochissimo. Il mio ruolo si esplica fuori dai tribunali. La<br />
mia funzione peculiare, la mia specialità, se così posso<br />
esprimermi, è quella di appianare i conflitti e quindi, sin<br />
quando è possibile, evitare i processi. Niente preamboli,<br />
però: lei certo vorrà sapere perché l’ho cercata?<br />
– In effetti.<br />
– Presiedo il circolo dei sardi a Roma. Pensavo di incontrarla<br />
e di avere - glielo anticipo sin da ora - la sua adesione<br />
alla nostra associazione.<br />
– Mi sta reclutando, insomma. Se mi dice quant’è la<br />
quota associativa…<br />
– No, avvocato, non mi sono spiegato bene. Esiste un<br />
livello formale del circolo, e noi saremo felicissimi della<br />
sua adesione, ovviamente. Ma non l’avrei certo disturbata<br />
per questo.<br />
– Di che cosa si tratta, invece?<br />
– C’è un altro livello, meno formale… una rete di rapporti<br />
per consentire a noi sardi di Roma, a quelli tra noi<br />
che hanno un certo peso sociale naturalmente, d’incontrarci,<br />
scambiare idee, verificare comunanze d’interessi,<br />
concertare strategie comuni.<br />
– Ho paura di essere la persona meno adatta a questo<br />
genere di cose, anche perché il mio peso sociale, al momento,<br />
oscilla tra l’irrilevante e il nullo.<br />
– No, credo proprio di non essere stato chiaro. Noi la<br />
seguiamo Serra, abbiamo notato la perizia, il vigore con<br />
cui sta difendendo quella povera domestica sarda, quell’Adelina<br />
Demontis… ecco, io anche di questo intendevo<br />
parlarle.<br />
– Francamente non capisco.<br />
– Capirà, caro Serra, capirà. Cosa dice di essere mio<br />
188<br />
ospite domani sera alle otto per una cena alla sarda? Ristorante<br />
Il Nuraghe, a metà circa di via Boncompagni, si<br />
faccia portare da un tassì. A domani, allora. L’aspetto.<br />
Mezz’ora dopo Serra, su un tavolino all’aperto del Caffè<br />
Paranà, sorseggiava un bicchiere di birra. Da lì poteva osservare<br />
la vasta area - più un’aprirsi e un incrociarsi di<br />
strade che una vera piazza - di fronte a Porta Maggiore e<br />
poi oltre la Porta, inquadrato dal doppio arco, il via vai<br />
della gente che lasciava il lavoro. C’era qualcosa di pacificante<br />
e conclusivo in tutto questo, nel rumore delle serrande<br />
abbassate, nell’affrettarsi di uomini e donne verso<br />
le fermate dei tram, nella luce dorata di una sera di fine<br />
maggio sui mattoni rossi dell’antico acquedotto. C’erano<br />
ancora in giro alcuni ritardatari dal passo strascicato, gente<br />
che di sicuro non aveva voglia di tornare a casa, mentre<br />
due commesse si salutavano fuori dal negozio, e un gruppo<br />
di turisti americani, vestiti da turisti americani, ordinavano<br />
un cappuccino al cameriere del Caffè Paranà.<br />
Anche se Carruezzo gli dava le spalle, Serra lo riconobbe<br />
dalla sagoma: sostava rapito di fronte alla vetrina della<br />
pizzicheria a fianco al caffè. Dalla vetrina, in studiato disordine,<br />
facevano mostra di sé rosei prosciutti, montagne<br />
di scatolette, formaggi di varia forma e colore, bottiglie di<br />
vino dalle etichette variopinte, sacchi pieni di tortellini,<br />
funghi interi dentro vasi di vetro, fantasiosi intrecci di salsicce<br />
e al centro, isolata e regale, una mortadella di proporzioni<br />
gigantesche. La pizzicheria era ancora piena di<br />
gente, quasi un’isola di luce e di vita in una piazza che si<br />
andava svuotando.<br />
189
– Cavalier Carruezzo, – lo chiamò Serra dal tavolino.<br />
Carruezzo si voltò e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo<br />
alla vetrina, si avviò verso Serra.<br />
– C’incamminiamo verso l’estate, – disse al cameriere<br />
che si era subito avvicinato a chiedergli l’ordinazione. –<br />
Propenderei per una bibita estiva: portami una granatina.<br />
– Mi tolga una curiosità cavaliere, – chiese Serra, – lei il<br />
titolo di cavaliere quando l’ha avuto?<br />
– Fu Mussolini a concedermi l’onorificenza, ma su richiesta<br />
di Bocchini. Bocchini era da poco capo della Polizia<br />
e spinse perché un certo numero di suoi funzionari<br />
fossero fatti cavalieri.<br />
– Ma l’onorificenza gliela consegnò Mussolini?<br />
– Ogni anno si svolgeva una cerimonia. Quella volta<br />
eravamo circa un centinaio: molti industriali, insegnanti,<br />
impiegati ma anche cuochi, macellai, diversi fabbri, si ricordi<br />
che il padre del Duce era un fabbro, c’era anche un<br />
impresario di Pompe Funebri. C’era Farinacci tra le autorità,<br />
e quando arrivò il suo turno, il turno dell’impresario<br />
di Pompe Funebri voglio dire, fece quel gesto…<br />
– Quale gesto?<br />
– Si toccò le palle. Non fu il solo, comunque. Uno che<br />
stava a fianco a me, anche lui in attesa che lo facessero cavaliere,<br />
un vetturino romano, “Toccate i cojoni” mi avvertì,<br />
“quello di certo porta male”.<br />
– E com’era il Duce?<br />
– Il mento proteso in avanti e le mani sui fianchi, poi digrignava<br />
i denti, come gli capitava spesso nelle cerimonie<br />
pubbliche.<br />
– Le consegnò la croce di cavaliere e poi un saluto fascista…?<br />
190<br />
– No, no, niente saluto, mi strinse la mano. E mentre mi<br />
stringeva la mano fece l’occhiolino.<br />
– L’occhiolino?<br />
– Sì, strizzò l’occhio, un gesto d’intesa, credo, come a<br />
dire: tu e io, Carruezzo, lavoriamo per la stessa ditta, io<br />
come Duce degli italiani, tu come poliziotto.<br />
– A lei il Duce non dispiaceva, vero Cavaliere?<br />
– Trovavo rassicurante la dittatura, allora.<br />
191
27<br />
Non chiamò un tassì, né prese la Giardinetta, non avrebbe<br />
avuto senso, visto che via Boncompagni praticamente<br />
iniziava a piazza Fiume e che piazza Fiume era a due minuti<br />
da casa sua. La via Boncompagni attraversava quello<br />
che sino ai primi del Novecento era stato l’enorme parco<br />
della villa fatta edificare dal cardinal Ludovisi, nipote di<br />
Gregorio XV. Di quella magnifica villa seicentesca e del<br />
suo parco non rimaneva ormai traccia, se non nel nome<br />
del quartiere, il quartiere Ludovisi appunto, e qualche albero<br />
del giardino di Palazzo Margherita. Quest’ultimo<br />
l’avevano costruito all’inizio del secolo i principi Boncompagni-Ludovisi<br />
di Piombino, ma da allora, nel giro di<br />
pochi decenni, aveva due volte cambiato di destinazione,<br />
essendo stato prima della guerra la “ridente e regale” residenza<br />
della Regina Madre e poi, con la Repubblica, la<br />
sede ancora più regale dell’ ambasciata degli Stati Uniti<br />
d’America.<br />
Il ristorante Il Nuraghe non poteva che essere sulla parte<br />
destra della via Boncompagni, visto che la parte sinistra<br />
era tutto un succedersi di palazzi signorili e di ville.<br />
Lo trovò esattamente dove gli aveva detto l’avvocato Sarritzu,<br />
a metà di via Boncompagni, segnalato da una fanta-<br />
193
siosa scritta che usava a mo’ di enne l’immagine di un nuraghe<br />
diroccato.<br />
Ad accoglierlo, appena dopo l’ingresso, accanto al tavolo<br />
degli antipasti, un manichino a grandezza naturale vestito<br />
come il suo ideatore riteneva dovesse essere vestito<br />
un pastore sardo, e cioè camicia di tela bianca ricamata,<br />
calzoni di tela anch’essi bianchi lunghi fin sotto il ginocchio,<br />
gilè di orbace a doppio petto, giacca d’orbace, gonnellino<br />
d’orbace sopra i calzoni, ghette e, naturalmente,<br />
berrita. Che fosse un pastore (e non un contadino) lo si<br />
deduceva dal bastone nodoso che teneva in mano e dalla<br />
pecora che aveva vicino, anch’essa a grandezza naturale e<br />
straordinariamente realistica con quel suo occhio che<br />
Serra sentiva addosso minaccioso e inquietante. A fianco<br />
del manichino, un uomo vestito esattamente allo stesso<br />
modo.<br />
– Bei beniu, – l’accolse l’uomo.<br />
– Buona sera, – rispose Serra.<br />
– Fustei è sardu?<br />
– Sì, no… in realtà devo incontrare una persona, l’avvocato<br />
Sarritzu.<br />
– Fustei è sardu, – disse in tono conclusivo il manichino<br />
animato.<br />
In quel momento un uomo che seduto a un tavolo poco<br />
distante aveva seguito la conversazione si alzò e si avvicinò.<br />
– L’avvocato Serra? Sono Sarritzu, – disse senza<br />
aspettare la risposta di Serra, mentre gli stringeva la mano.<br />
Poi, rivolto al manichino parlante: – Tranquillo Efis,<br />
l’avvocato è sardo.<br />
– Straordinario Efis, non trova? – esordì Sarritzu una<br />
volta che furono seduti.<br />
194<br />
– Non avevo mai visto nulla di simile, in effetti. Poi l’idea<br />
del manichino e del cameriere vestiti alla stessa maniera<br />
è… non trovo parole, la pecora poi…<br />
– Efis non è un cameriere, non solo un cameriere voglio<br />
dire, è un socio del nostro circolo dei sardi. Il suo ruolo è<br />
soprattutto quello di accogliere chi entra nel ristorante,<br />
accoglierlo in sardo naturalmente. Indovini di dov’è?<br />
– Non saprei. Da che cosa lo dovrei capire?<br />
– È di Bitti, – disse Sarritzu come se si trattasse di una<br />
rivelazione.<br />
– Di Bitti, – ripeté Serra.<br />
– Beh, la cosa non la colpisce?<br />
– Mi dovrebbe colpire?<br />
– Efis le si è rivolto in campidanese, non ha notato?<br />
– È vero. Come mai uno di Bitti parla in campidanese?<br />
– Anche questa è stata una mia idea. Efis alterna: un<br />
giorno parla campidanese, un altro logudorese.<br />
– Una bella idea: non afferro lo scopo, però.<br />
– Beh, vogliamo essere ambasciatori di tutta la <strong>Sardegna</strong>,<br />
e in mancanza di una lingua sarda comune… Sa cosa<br />
le dico, avvocato Serra, ci vorrebbe una lingua comune,<br />
una lingua sarda unificata, ecco cosa ci vorrebbe.<br />
Nel frattempo Efis aveva portato in tavola un grande<br />
piatto di salsiccia affettata.<br />
– Quella più asciutta, più secca è salsiccia d’Irgoli, –<br />
disse Sarritzu indicandola, – la più grassa è invece di<br />
Gonnosfanadiga.<br />
Si servirono dei due tipi di salsiccia, senza che Serra<br />
riuscisse a notare una qualche apprezzabile differenza.<br />
Se proprio avesse dovuto scegliere, avrebbe però scelta<br />
quella di Gonnosfanadiga che associava a ricordi e mito-<br />
195
logie familiari, la convinzione di suo padre, tante volte ripetuta<br />
a tavola, che la salsiccia migliore fosse quella di<br />
Gonnosfanadiga.<br />
– Serra dei Serra di Uta? – riprese Sarritzu, riemergendo<br />
dalla salsiccia.<br />
– La famiglia di mio padre era di Monserrato.<br />
– In effetti un ramo dei Serra di Uta si è stabilito a Monserrato…<br />
– Non credo che mio padre fosse di quei Serra: era un<br />
Serra isolato lui.<br />
– Vedo che non dà grande importanza alle ascendenze<br />
familiari. Fa male. Le ascendenze sono le radici e senza<br />
radici non si ha un vero legame con la propria terra. Un<br />
sardo è un sardo dopo che il sangue degli antenati ha attraversato<br />
molte generazioni.<br />
– Si vede che nel mio caso le generazioni non sono state<br />
abbastanza. E poi, manco da molti anni dalla <strong>Sardegna</strong>,<br />
forse le radici si sono inaridite.<br />
– No, non dica questo avvocato Serra, nessun sardo<br />
perde le proprie radici. Anche a mille chilometri di distanza<br />
dalla <strong>Sardegna</strong>.<br />
L’arrivo dei malloreddus portò a una svolta della conversazione<br />
che si indirizzò appunto verso i malloreddus.<br />
Più che una conversazione fu un monologo durante il<br />
quale Sarritzu illustrò i diversi modi in cui venivano abitualmente<br />
preparati per arrivare poi a declamare l’ortodossia,<br />
sugo di pomodoro, salsiccia fresca con salvia, zafferano,<br />
pecorino stagionato, tutti gli altri erano barbarismi.<br />
A Serra vennero in mente i malloreddus domenicali<br />
di sua madre.<br />
– Mamma, dammi la mia razione di malloreddus.<br />
196<br />
– Non c’è una tua razione di malloreddus, prendine<br />
quanto ne hai bisogno.<br />
– Allora li posso mangiare tutti?<br />
– No tutti no, ci sono anche gli altri. Serviti, ma pensa che<br />
tutti quanti ne dobbiamo mangiare.<br />
– Voglio la mia razione.<br />
– Va bene, questa è la tua razione.<br />
– Sa perché non mi sono schierato coi sardisti avvocato<br />
Serra?<br />
A Serra poco importava perché Sarritzu non si fosse<br />
schierato coi sardisti, erano in tanti a non essersi schierati<br />
coi sardisti, ma sapeva anche di non avere più scampo.<br />
Provò a metter su un’espressione interessata e partecipe.<br />
– Suppongo…<br />
Sarritzu non lo lasciò continuare: – I sardisti non vanno<br />
abbastanza lontano, io vado oltre, molto oltre.<br />
– Indipendentista?<br />
– Dio ci scampi. Ho invece una mia teoria. – Si sporse<br />
verso Serra e con un tono di voce più basso, come si suppone<br />
si debba fare quando si svela un segreto: – Il primato.<br />
– Il primato di chi?<br />
– E di chi se no? Della <strong>Sardegna</strong>. Ho una mia teoria in<br />
proposito. Se vuole gliela espongo.<br />
– Sono interessatissimo.<br />
La teoria di Sarritzu riempì la mezz’ora successiva. Serra<br />
lo ascoltava muto, incapace di articolare un commento,<br />
quasi ipnotizzato dal ritmo martellante delle sue parole.<br />
Efis si avvicinò più volte al tavolo per riempire di vino<br />
197
i bicchieri e afferrando qualche brano del discorso di Sarritzu<br />
assentiva e sorrideva. Giunti alla fine, Serra non poteva<br />
dire di aver compreso il discorso dell’avvocato, ma<br />
alcuni passaggi lo avevano colpito, come quello, fulminante,<br />
per cui l’attuale Stato italiano altro non era che il<br />
prodotto dell’antico regno di <strong>Sardegna</strong>. – Qui sta la radice<br />
del primato sardo, – disse più volte, puntando l’indice<br />
in basso.<br />
L’avvocato sembrava a questo punto soddisfatto. Mentre<br />
esponeva la sua teoria si era completamente disinteressato<br />
al maialino arrosto servito da Efis, ma ora ci si applicava<br />
con gusto e determinazione.<br />
– Vede Serra, è dentro questa rete che va compresa la<br />
solidarietà tra sardi.<br />
Serra non aveva ben chiaro quale fosse la rete in questione.<br />
Intuì però che Sarritzu si stava avvicinando al<br />
punto.<br />
– Come le ho detto per telefono, abbiamo molto apprezzato<br />
la sua difesa di Adelina Demontis.<br />
– Abbiamo chi, mi scusi?<br />
– Noi della comunità sarda a Roma. Lo stesso onorevole<br />
Zanda…<br />
– Non mi pare che l’onorevole Zanda mostri un grande<br />
apprezzamento del mio lavoro.<br />
– È qui che si sbaglia, si sbaglia di grosso. L’onorevole<br />
Zanda la stima invece. Il ruolo dell’onorevole Zanda è un<br />
ruolo delicato, in un momento politico delicato. Ci sono<br />
nuovi equilibri, nuove aperture, nuove convergenze in<br />
vista, e questi nuovi equilibri, queste nuove convergenze<br />
hanno nemici potenti. Sa di che cosa abbiamo paura?<br />
Che lei, avvocato Serra, possa essere lo strumento incon-<br />
198<br />
sapevole di qualche oscura manovra per liquidare politicamente<br />
Zanda.<br />
– Io faccio quello che devo fare, difendo la mia assistita…<br />
– Ci sono altri modi per difendere la povera Adelina.<br />
Voglio essere diretto con lei. Ho modo di credere che stia<br />
emergendo in procura l’idea che Adelina Demontis possa<br />
essere prosciolta.<br />
– Che motivo ha di pensarlo?<br />
– Faccio qualcosa di più che pensarlo, faccio in modo<br />
che avvenga. Sono convinto che inchieste e processi non<br />
possano essere lasciate all’arida impersonalità della macchina<br />
giudiziaria.<br />
– Non capisco che interesse o ruolo lei abbia nell’istruttoria<br />
di Adelina Demontis. Non capisco, soprattutto, come<br />
lei pensi d’influire…<br />
– Io rappresento interessi… interessi super partes li definirei.<br />
Quanto ai poteri, non ho nessun potere se non<br />
quello di suggerire la via migliore, anche a magistrati che<br />
conducono un’istruttoria, nel caso. Con qualche possibilità<br />
di essere ascoltato, questo sì.<br />
– Continuo a non capire.<br />
– Eppure è molto semplice, avvocato Serra. Noi… gli<br />
interessi che rappresento voglio dire… noi vogliamo evitare<br />
che si sollevi un polverone su Zanda e sulla commissione<br />
governativa che si è occupata di Nuraxi Nieddu.<br />
Lei, con la sua inchiesta parallela a quella della polizia, rischia<br />
di fornire nuovi argomenti a speculazioni, a scandalismi.<br />
Ora, si potrebbe influire positivamente sull’istruttoria,<br />
per essere più chiari si potrebbe spingere verso il<br />
proscioglimento di Adelina Demontis, se…<br />
199
– Se io la smetto di rompere i coglioni.<br />
– Che espressione cruda avvocato Serra!<br />
200<br />
28<br />
Sicché Adelina fu prosciolta in istruttoria e immediatamente<br />
liberata.<br />
Quello stesso giorno Serra e Marianna, intorno alle otto<br />
di sera, facevano la fila al cinema Quirino, in via Nazionale,<br />
dove si erano incontrati la prima volta. Davano Le<br />
notti di Cabiria di Fellini, con Giulietta Masina nella parte<br />
di Cabiria. Marianna indossava un vestito di cotone a<br />
fiori senza maniche, piuttosto scollato. La domenica precedente<br />
era stata al mare, a Ostia, e la prima abbronzatura<br />
estiva le faceva risaltare le lentiggini che le punteggiavano<br />
il viso e le braccia nude.<br />
– Chissà com’era contenta quella poveretta quando è<br />
uscita dal carcere, – disse Marianna.<br />
– Se era contenta lo nascondeva bene.<br />
– Una poveretta la mettono in carcere e poi la fanno<br />
uscire: magari ci mette un po’ a crederci al fatto di essere<br />
libera. Comunque voi sardi siete così, siete musoni.<br />
– E tu che cosa ne sai dei sardi musoni?<br />
– Perché tu non sei sardo?<br />
– Non sono musone però. Ti faccio sempre ridere…<br />
– Fammi ridere, allora.<br />
– Faccio il verso del pesce palla?<br />
– Vada per il pesce palla.<br />
201
Serra gonfiò le guance, producendo con le labbra, più<br />
volte, un rumore come di tappo.<br />
– Questo non è il verso del pesce palla. Non lo sai più<br />
fare, e non sai più farmi ridere.<br />
– Ora vedrai se ridi, – disse lui e cominciò a farle il solletico<br />
alle ascelle.<br />
Marianna scoppiò a ridere: – Dài, smettila, ci stanno<br />
guardando tutti.<br />
La fila procedeva abbastanza lentamente.<br />
– C’eri solo tu fuori delle Mantellate ad aspettarla?<br />
– Io sono potuto entrare dentro. Gli altri l’hanno aspettata<br />
fuori.<br />
– Gli altri chi?<br />
– C’era Carruezzo e poi… hai presente quella Peppinetta,<br />
te ne ho parlato, stava anche lei a servizio da Zanda…<br />
– Ho capito, Peppinetta, quella che ti piace.<br />
– Peppinetta, ci mancherebbe altro, una bambina… e<br />
poi come fai a dire che mi piace? Non l’hai mai vista, tra<br />
l’altro.<br />
– Quando una ti piace sei elusivo, e se ne parli fai tutti<br />
quei beh, quei mah e… insomma, io me accorgo benissimo…<br />
Cosa avete fatto quando Adelina è uscita dalle<br />
Mantellate, l’avete riaccompagnata a casa?<br />
No, non l’avevano riaccompagnata a casa. Erano andati<br />
tutti e quattro a bere qualcosa ad un’osteria fuori porta<br />
San Pancrazio, un piccolo festeggiamento per la ritrovata<br />
libertà di Adelina. Il cavaliere aveva fatto onore al vino di<br />
Albano e pure Adelina si era un po’ sciolta, certo che era<br />
contenta, anche se le rimaneva il pensiero del fratello in<br />
carcere per sequestro di persona. Avevano ballato sotto<br />
202<br />
la pergola, al suono di una fisarmonica: Peppinetta con<br />
Serra e Carruezzo con Adelina, e poi Serra e Carruezzo,<br />
tra le risate e i battimani di Peppinetta, avevano ballato<br />
tra loro, col cavaliere che aveva poi ricordato come nella<br />
sua Lecce capitasse spesso di ballare tra uomini quando<br />
mancavano le ragazze.<br />
– E Peppinetta? Hai detto che era a servizio da Zanda…?<br />
– Si è licenziata. Ha messo su casa per conto suo. Se è<br />
per questo, neppure Adelina tornerà da Zanda. Per ora<br />
la ospita Peppinetta. Peppinetta ha grandi progetti, vuol<br />
aprire un negozio d’abbigliamento in Viale Libia, una<br />
zona in forte sviluppo dice, vuole anche Adelina con lei,<br />
ha già individuato un locale…<br />
– E i soldi? Dove li trova i soldi per un negozio d’abbigliamento?<br />
– Li trova, li trova. Ha un finanziatore: c’è un avvocato<br />
che… insomma… sembra disposto a sostenerla.<br />
Peppinetta era stata più chiara in proposito, non solo<br />
non aveva nascosto la natura dei suoi rapporti con l’avvocato<br />
ma aveva anche raccontato in dettaglio, stimolata<br />
dalla pressante curiosità del cavaliere, la loro complessa<br />
vicenda. L’avvocato Possenti, di circa trent’anni più anziano<br />
di Peppinetta e regolarmente sposato con figli, era<br />
solito nei momenti di maggiore trasporto proporre alla<br />
sua giovane amica fughe romantiche e matrimoni in Messico,<br />
salvo poi a cose fatte ritornare sui suoi passi. Peppinetta,<br />
che mai e poi mai avrebbe accettato le proposte di<br />
fuga e matrimoni messicani di Possenti, pensava però che<br />
energia sessuale e pulsioni romantiche dell’avvocato andassero<br />
canalizzate verso una direzione più costruttiva,<br />
203
per cui gli aveva proposto che se non potevano essere<br />
marito e moglie fossero almeno soci in affari: lui avrebbe<br />
messo i capitali, lei tutto il resto.<br />
– Sai che ti dico: dovrei esserne gelosa, ne sono gelosa<br />
anzi, però a me questa Peppinetta è simpatica.<br />
Quanto a Serra, la trovava più che simpatica, la trovava<br />
desiderabile. L’aveva trovata desiderabile mentre ballavano<br />
insieme e ancora più desiderabile quando, più tardi,<br />
euforica anche per il vino, aveva sciolto la lunga treccia di<br />
Adelina e abbracciandola dalle spalle l’aveva portata di<br />
fronte a uno specchio perché vedesse, Adelina, quanto<br />
era bella con i capelli sciolti e vedesse quanto erano belle<br />
tutte due così nere di occhi e di capelli, e capisse che, così<br />
belle e nere, avrebbero, insieme, conquistato il mondo.<br />
– Dài sbrigati, – disse Marianna, – vedi che tocca a noi<br />
fare i biglietti.<br />
La maschera li accompagnò ai loro posti mentre il film<br />
in programma non era ancora iniziato e però già proiettavano<br />
il documentario. Poi, quando finirono i titoli di testa<br />
e Giulietta Masina apparve nella prima scena del film,<br />
Marianna prese Serra per mano, e così rimase sino a<br />
quando vide sullo schermo la parola fine.<br />
204<br />
29<br />
Insomma, Adelina Demontis, era stata scarcerata e le<br />
cose sembravano mettersi a posto per lei. L’avvocato Serra<br />
aveva ottenuto una bella vittoria, di cui anche i giornali<br />
avevano parlato. Serra avrebbe voluto sentirsi soddisfatto<br />
della scarcerazione di Adelina, ma sapeva perfettamente<br />
quanto poco avesse contato il suo intervento nella liberazione<br />
della donna. Qualcuno, certo molto influente, aveva<br />
suggerito al giudice istruttore l’opportunità di chiudere<br />
l’inchiesta, e l’inchiesta era stata chiusa. Tutto molto<br />
semplice, lineare quasi, per quanto misteriosa la cosa potesse<br />
apparire e per quanto il deus ex machina di quella vicenda<br />
non avesse un volto. Chiunque egli fosse aveva deciso<br />
che intorno al caso Amicucci - intorno ai suoi variegati<br />
intrecci, soprattutto - dovesse calare il silenzio. E il silenzio<br />
era calato.<br />
Serra camminava lungo Corso Vittorio, verso il Tevere.<br />
Allo slargo della Chiesa Nuova vide una piccola trattoria<br />
dove tempo prima aveva mangiato una carbonara che ora,<br />
al ricordo, gli pareva straordinaria. Il lampo di memoria si<br />
trasformò in voglia di carbonara: ci sarebbe voluta almeno<br />
un’ora, gli disse un cameriere piccolo e baffuto, prima<br />
che si liberasse un tavolo. Era così Roma, sempre pronta<br />
ad accendere desideri che poi non sapeva soddisfare.<br />
205
Quasi alla fine del Corso, entrò in un bar zeppo di gente,<br />
una piccola folla si affannava di fronte alla cassa. Avrebbe<br />
dovuto aspettare chissà quanto, per poi vedersi di fronte<br />
un panino ammuffito e un bicchiere di birra tiepida. Uscì<br />
dal bar e attraversò ponte Vittorio (o ponte di Nerone, come<br />
ancora lo chiamava qualcuno), diretto ai Prati, al ristorante<br />
di Marianna.<br />
Ora camminava in via Crescenzio e come gli capitava a<br />
volte da ragazzo imponeva ai suoi passi una geometria<br />
precisa, attento a non calpestare le linee tra una piastrella<br />
e l’altra. Di colpo l’aveva preso un’allegria di cui lui stesso<br />
faticava a capire la ragione. Non era solo l’essersi lasciato<br />
alle spalle la folla sudaticcia dei bar del Corso. Né bastava<br />
a spiegare l’improvviso benessere quel senso di liberazione<br />
- per quanto ambiguo e contraddittorio - che pure gli<br />
aveva lasciato la conclusione del caso di Adelina. Mentre<br />
camminava e sbirciava le vetrine cercandovi la sua immagine<br />
riflessa, Serra era propenso a credere che quell’inattesa<br />
euforia fosse dovuta allo spirito del cosmo, lo stesso<br />
che muove gli esseri e le cose e che, metafisicamente, era<br />
ora penetrato in lui. Ma lo spirito del cosmo come all’improvviso<br />
l’aveva invaso altrettanto improvvisamente -<br />
Serra ne era sicuro - l’avrebbe abbandonato.<br />
Quando entrò nel ristorante, Marianna gli venne incontro<br />
e lo baciò leggermente sulla bocca, accompagnando il<br />
bacio con una carezza. Sorrise quando lui si lasciò cadere<br />
su una sedia con l’aria di chi finalmente ha trovato un approdo.<br />
Oggi c’è il bollito, gli disse, che a lui piaceva tanto.<br />
– No, niente bollito. Solo una carbonara. Il mio regno<br />
per una carbonara.<br />
La carbonara gliela servì Ottavio, e solo quando era or-<br />
206<br />
mai alle ultime forchettate Marianna si sedette con lui al<br />
tavolo.<br />
– Puoi portarmi della frutta, per favore? – chiese a Ottavio<br />
che passava nei pressi. Poi, rivolta a Serra: – Giusto<br />
per farti compagnia.<br />
– Io veramente dovrei…<br />
– Ho capito: vai già via.<br />
– C’è Carruezzo che mi aspetta in studio. Ha detto che<br />
mi vuole parlare. Aveva un’aria minacciosa quando me<br />
l’ha detto.<br />
– Minaccioso Eupremio, ma dài…<br />
– Hai presente un vecchio tricheco che soffi e sbuffi in<br />
una pozza d’acqua. Non è che riesca proprio a farti paura.<br />
Ma lui, il tricheco, si vede minaccioso.<br />
Trovò Carruezzo nello studio, seduto alla solita poltrona.<br />
Aveva tra le mani dei fogli dattiloscritti, nei quali Serra<br />
riconobbe la famosa “inchiesta condominiale” del cavaliere.<br />
Pagine spiegazzate e sottolineature rivelavano come<br />
l’incartamento fosse stato oggetto di ulteriori insistiti<br />
esami e riletture.<br />
– Sta ancora covando quelle carte, cavaliere? Non serve<br />
a nulla, dia retta a me, – disse Serra sedendo alla sua scrivania.<br />
– Non mi risulta che il caso Amicucci sia stato risolto.<br />
O mi sbaglio?<br />
– La nostra cliente è stata prosciolta. Che il caso sia ancora<br />
insoluto riguarda solo la polizia.<br />
– Non riguarda solo la polizia, riguarda anche la giustizia.<br />
207
A Carruezzo tremava la voce. Mai il cavaliere era sembrato<br />
a Serra così vecchio.<br />
– Si ricorda, cavaliere, di come si conclusero le indagini<br />
sull’uccisione di quel gerarca, Musìo si chiamava…? Parlo<br />
di quasi vent’anni fa.<br />
– Certo che mi ricordo.<br />
– Si ricorda? Ero convinto di aver individuato l’assassino<br />
di Musìo e lei invece decise che le indagini dovevano<br />
fermarsi.<br />
– Ricordo, ricordo. Cosa vuol dire con questo?<br />
– Voglio dire che quella volta toccò a lei richiamarmi alla<br />
realtà. Chi ci aveva assegnato l’inchiesta imponeva che<br />
l’inchiesta non andasse avanti. E l’inchiesta non andò<br />
avanti.<br />
– Mi sbagliai, fui pavido.<br />
– Fece quello che doveva fare: fu realista e responsabile.<br />
– Lei non può capire, Serra. Non può capire cosa significa<br />
essere vecchi.<br />
– Se è per questo neppure io sono un giovanotto.<br />
– Tra noi vecchi e la morte c’è uno spazio così breve, capisce.<br />
E il realismo di cui lei parla, Serra, serve solo a chi<br />
di realtà ne ha davanti a sé in abbondanza, non a chi ne ha<br />
così poca. Forse è per questo che da vecchi si è più impazienti<br />
e si ha più voglia di sfidarla, la realtà, che non di accettarla.<br />
Un po’ come capita da giovani, con la differenza…<br />
beh, la differenza è che quell’inebriante senso di onnipotenza<br />
di allora… quello non c’è più, purtroppo.<br />
– Ma a che le serve ora intestardirsi a scovare l’assassino<br />
di quella carogna di Amicucci?<br />
– Lo sa anche lei, Serra, che sarebbe nostro dovere…<br />
208<br />
– Nostro dovere perché? Adelina Demontis è stata prosciolta.<br />
– Ma noi siamo stati poliziotti. In un certo modo continuiamo<br />
ad esserlo.<br />
– Quelli sono i preti, cavaliere. Noi eravamo poliziotti e<br />
ora non lo siamo più: questo è tutto.<br />
– Il fatto è che io ho bisogno di qualcosa a cui applicarmi,<br />
qualcosa… non rida Serra… per poter dire alla morte,<br />
dài aspetta un attimo, non vedi che sono impegnato in<br />
una faccenda seria, lasciami finire. E poi, lo prenda per il<br />
puntiglio di un vecchio, ma chi ha ucciso quell’Amicucci<br />
io lo voglio proprio sapere.<br />
Dopo quella conversazione, il cavaliere tornò a casa,<br />
aprì una finestra del salotto e sedette accanto ad essa.<br />
Scendevano le prime ombre della sera, ma in Piazza Verdi<br />
c’erano ancora bambini che si rincorrevano, forse di ritorno<br />
dallo zoo. Poi, mentre il crepuscolo si faceva man<br />
mano più scuro, si accesero i lampioni. Carruezzo, seduto<br />
accanto alla finestra, continuava a guardare di fuori<br />
come se qualcuno da lui conosciuto e atteso potesse essere<br />
tra i passanti, sempre più radi, che attraversavano veloci<br />
la piazza.<br />
– Vuole mangiare qualcosa, cavaliere? Credo di avere<br />
della frutta.<br />
– Lasci stare, Venturini. Io continuerei il nostro esame,<br />
se lei è d’accordo.<br />
Non era la prima volta che Carruezzo faceva visita a<br />
209
Venturini, ma era la prima volta che veniva familiarmente<br />
accolto in cucina. Avevano convenuto che il tavolo della<br />
cucina era senz’altro il più adatto a quella che il cavaliere<br />
aveva chiamato una “riunione di lavoro”.<br />
– Bene, eravamo arrivati a Manighetti, terzo piano…<br />
– Manighetti… Manighetti… la mia “inchiesta condominiale”<br />
dice che il suo alibi è “plausibile ma da verificare”.<br />
Le leggo cosa ho scritto: «Manighetti sostiene che la<br />
sera della morte di Amicucci era, tra la sei e le otto, nel<br />
bar Mokador di Piazza Tuscolo dove si reca ogni giovedì<br />
per partecipare alla riunione di quello che lo stesso Manighetti<br />
chiama il gruppo Sisal, un gruppo di amici che settimanalmente<br />
giocano una schedina collettiva, alla Sisal<br />
appunto.» Se non sbaglio, Venturini, era lei che doveva<br />
controllare l’alibi di Manighetti.<br />
– Sono stato al café Mokador e ho parlato con qualcuno<br />
del gruppo di Manighetti. È un gruppo formato da<br />
circa venti persone e Manighetti, se c’era quella sera alla<br />
riunione del gruppo, non ha fatto o detto nulla che qualcuno<br />
ricordasse. Tutti quelli con cui ho parlato dicono di<br />
primo acchito che Manighetti c’era, ma poi quando gli si<br />
chiede di ricordare qualcosa che ha detto, oppure com’era<br />
vestito... nulla di nulla. Senta invece cosa ho saputo su<br />
Romanò.<br />
– Romanò… Romanò?<br />
– Il musicista nottambulo, ha presente… l’interno 7,<br />
anche lui prendeva soldi a strozzo da Amicucci.<br />
– Sì, certo… non mi pare però che l’avessimo inserito<br />
nella lista dei sospetti.<br />
– Ho preso io l’iniziativa, mi sembrava valesse la pena<br />
di controllare il suo alibi… forse, non dovevo.<br />
210<br />
– Ma no Venturini, ha fatto benissimo. Diceva, di Romanò?<br />
– Sono stato nel locale dove suona. Secondo quanto ha<br />
dichiarato, quella sera è arrivato nel locale alle diciotto e<br />
trenta, molto prima del solito.<br />
– Come mai quest’anticipo?<br />
– Doveva provare un pezzo col contrabbassista.<br />
– Che strumento suona Romanò?<br />
– La tromba.<br />
– E che tipo di musica suona?<br />
– Jazz. Il locale si chiama proprio Jazz Club. Locale…<br />
più che altro una cantina, dalle parti di via Merulana. Sono<br />
stato in questo locale e ho trovato il contrabbassista<br />
col quale Romanò dice di aver provato quella sera…<br />
– Ebbene?<br />
– Il contrabbassista conferma. Ha tirato fuori un libriccino,<br />
una specie di diario dove segna tutto…<br />
Di colpo Venturini s’interruppe, si alzò e prese a indicare<br />
a grandi gesti la parete di fronte a lui, in alto, in direzione<br />
della grata. Respirava forte, quasi ansimava.<br />
– Il ticchettio… le scarpe, – disse. – Le scarpe <strong>rosse</strong>… –<br />
ripeté.<br />
Poi uscì dalla stanza e immediatamente dopo si sentì<br />
sbattere la porta di casa.<br />
Carruezzo impiegò qualche secondo a decidere se dovesse<br />
o meno andar dietro a Venturini. Poi attraversò il<br />
pianerottolo, scese quasi di corsa le due rampe di scale<br />
che portavano al piano terra, passò di fronte alla portineria.<br />
Fuori dal palazzo vide Venturini che a grandi passi<br />
cercava di raggiungere una donna con indosso delle vistose<br />
scarpe <strong>rosse</strong>.<br />
211
Sentì lo stesso Venturini che, ormai a pochi metri da lei,<br />
la chiamava: – Signora Ribolliti, signora Ribolliti!<br />
La donna si voltò: – Venturini, che fa, mi segue?<br />
– Le scarpe, le scarpe <strong>rosse</strong>, – disse l’uomo.<br />
– Questa corsa per dirmi che le piacciono le mie scarpe<br />
<strong>rosse</strong>? Non la facevo così galante, Venturini.<br />
Poi la donna si voltò di nuovo e riprese a camminare<br />
lungo la via Vetulonia deserta, lasciando Venturini a<br />
guardarla mentre scompariva dietro l’angolo.<br />
212<br />
30<br />
Il porco, il maiale aveva fatto la fine che meritava. Era<br />
stato semplice ucciderlo, non pensava che fosse così facile<br />
uccidere. Bastava lasciar fare al caso, alle circostanze. Bastava<br />
improvvisare. Era stato il caso a fargli lasciare socchiusa<br />
la porta dell’appartamento di Amicucci e il caso aveva<br />
voluto che quasi subito arrivasse quella donna. Le indagini,<br />
dopo, si erano concentrate su di lei.<br />
Perché quella sera era sceso da Amicucci? Per chiedergli<br />
altri soldi? Per dirgli che sapeva tutto di lui e sua moglie?<br />
Per rivendicare con orgoglio che lui Amicucci, lui il porco,<br />
era solo uno strumento del piacere suo e di sua moglie. O<br />
magari perché in cuor suo voleva che Amicucci lo umiliasse?<br />
Aveva goduto a vedergli fare quella fine: la testa spaccata,<br />
il cervello in poltiglia. Come aveva goduto ai preparativi di<br />
lei prima di ogni incontro con lui. La biancheria trasparente,<br />
lei di fronte alla specchiera, in camera da letto, la porta<br />
socchiusa, sicura che lui sarebbe stato lì di fuori a spiarla. E<br />
poi le scarpe <strong>rosse</strong> coi <strong>tacchi</strong> alti, qualcosa che il porco di<br />
certo godeva a farle indossare - quante volte l’aveva immaginata<br />
farsi scopare con quelle scarpe <strong>rosse</strong> ai piedi. Erano<br />
un segnale le scarpe, un segnale per lui, come a dirgli, ora<br />
sai dove sto per andare, che cosa sto per fare, se vuoi pensa-<br />
213
mi, io penserò che tu mi stai pensando. E il bacio, prima di<br />
uscire dalla porta, più che un bacio un morso appena accennato<br />
sul labbro. A letto, la sera, lei si lasciava addosso la<br />
stessa biancheria con cui il porco l’aveva goduta: ancora un<br />
segnale, le sole notti in cui lei si facesse toccare.<br />
Anche a sua moglie avrebbe dovuto far fare la stessa fine<br />
del porco. Però, come vivere senza di lei?<br />
Tutto era iniziato un anno prima quando avevano avuto<br />
bisogno di soldi e si erano rivolti a lui, al porco. A ripensarci<br />
bene, c’era sempre stato qualcosa in sua moglie… il suo<br />
modo sfacciato di ballare con gli altri. Le sue scene di gelosia<br />
e le reazioni di lei, quel sorriso complice, il bacio a suggellare<br />
la fine del litigio: proprio allora aveva iniziato a baciarlo<br />
in quella maniera, il piccolo morso sul labbro.<br />
Era venuto a casa loro, il porco.<br />
State tranquilli, una faccenda fra amici, non per nulla viviamo<br />
da anni nello stesso palazzo, restituirete a rate come<br />
e quando potete, ora non parliamo più di soldi però: proprio<br />
in quel momento le aveva posato una mano sul ginocchio<br />
(gli era seduta accanto, nel divano), un gesto ad accompagnare<br />
le parole, ma poi la mano si era fermata sul ginocchio<br />
quel tanto che bastava perché dentro di sé lei sentisse<br />
una fiamma, un calore, un desiderio quasi feroce che<br />
quella mano continuasse a carezzarla.<br />
Non era successo nulla quella sera, nulla che non fosse il<br />
soffermarsi della mano del porco sul ginocchio di lei. Poi<br />
l’indomani lei era uscita dicendo: – Ho bisogno di un paio<br />
di scarpe. – Era tornata dopo qualche ora e gli aveva mostrato<br />
quelle scarpe <strong>rosse</strong>, le aveva provate di fronte a lui: –<br />
Ti piacciono?<br />
Poi, mentre facevano l’amore - era la prima volta dopo<br />
214<br />
mesi - lei gli aveva raccontato tutto, continuava a muoversi<br />
su di lui, il busto eretto, le mani dietro la nuca, gli aveva<br />
raccontato a voce bassa, quasi sussurrando, gli aveva raccontato<br />
come lui, il porco, l’avesse presa e come lei si fosse<br />
fatta prendere, e tanto più lei andava avanti nel racconto<br />
tanto più lui si eccitava, e lei continuava a muoversi, il busto<br />
eretto, le mani dietro la nuca: non era mai stato così tra<br />
loro. Poi non c’era stato più bisogno di parole, bastava che<br />
lei indossasse quelle scarpe <strong>rosse</strong>, uscisse di casa, sentiva il<br />
ticchettio delle scarpe <strong>rosse</strong> lungo le scale, contava i piani,<br />
ecco ora si ferma, entra da lui, il rumore della porta di casa<br />
che si chiude, un tuffo al cuore. Sapeva che sarebbe tornata,<br />
e lei ogni volta tornava. Sapeva anche che l’avrebbe ucciso e<br />
pensava che anche lei avrebbe dovuto uccidere, anzi proprio<br />
lei avrebbe dovuto uccidere, era lei che gli marchiava<br />
la carne mischiando vergogna e piacere, era lei che gli aveva<br />
mostrato come vergogna e piacere usino le stesse parole.<br />
Ma poi era il porco che aveva ucciso.<br />
215
31<br />
In portineria gli indicarono dove avrebbe potuto trovare<br />
Piccioni ma gli dissero anche di non sapere se fosse<br />
al momento al giornale. Fecero anche considerazioni<br />
ironiche sulla imprevedibilità dei suoi spostamenti e<br />
non esclusero la possibilità che avesse trovato rifugio da<br />
un certo vinaio di via dei Sanniti. Serra decise di entrare<br />
a cercarlo in redazione, dato che proprio al giornale gli<br />
aveva dato appuntamento per quelle sei del pomeriggio.<br />
Percorse un lungo corridoio, si affacciò in una stanza,<br />
dove lo spedirono in un’altra e di qui in una terza. Piccioni<br />
era al telefono. A grandi gesti, senza interrompere<br />
la telefonata, indicò a Serra la sedia di fronte alla sua<br />
scrivania.<br />
– Cara compagna, il giornale ha dedicato al vostro festival<br />
dell’Unità lo spazio che poteva dedicargli… Sì compagna,<br />
lo so bene che il festival di Marino… No, compagna,<br />
no, questo non lo puoi dire… Sì compagna, fai così,<br />
parla col compagno direttore… Scusa compagna ma ora<br />
ti devo lasciare.<br />
Piccioni posò la cornetta. – Scusami, – disse a Serra.<br />
Poi, rivolto all’uomo seduto alla scrivania a fianco alla<br />
sua: – Mecacci, tu mi devi difendere da questa emerita<br />
rompicoglioni. Perché me l’hai passata?<br />
217
– Quella rompicoglioni è, per tua norma, la segretaria di<br />
una sezione del partito che è la più forte dei Castelli.<br />
– Sì certo. Ma noi dobbiamo fare un giornale e un giornale<br />
si fa con le notizie. Se gli imperialisti americani bombardano<br />
Il Cairo, questa è una notizia. Se il gobbo del<br />
Quarticciolo s’incula la cognata e poi la uccide perché<br />
parla troppo, questa è un’altra notizia. È una notizia se la<br />
Roma vende Ghiggia o se la Lazio compra Pivatelli. Ma<br />
che al Festival dell’Unità di Marino si esibisca il complesso<br />
vocale-strumentale I ragazzi della via Pál, questa a te<br />
pare una notizia?<br />
– Lo è per le decine di compagni che sacrificano ogni anno<br />
le loro ferie all’organizzazione dei festival dell’Unità.<br />
– Ho capito, Mecacci, – disse Piccioni, in tono spazientito.<br />
– Se è così, allora, il giornale te lo fai da solo, magari ti<br />
fai aiutare dalla compagna rompicoglioni e da I ragazzi<br />
della via Pál, che quelli… – Interruppe bruscamente la<br />
frase e, rivolgendosi di nuovo a Serra: – Dài Luciano andiamo,<br />
che Paolini ci aspetta.<br />
Quando nel corridoio furono fuori dalla vista di Mecacci,<br />
Piccioni fece cenno a Serra di fermarsi. – Le cose stanno<br />
così, Luciano, – disse. – Ho chiesto a Paolini, il capocronista,<br />
di poter scrivere su Nuraxi Nieddu e sulla morte<br />
di Cantillo, su tutto il caso, insomma…<br />
– E io che ci faccio dal tuo capocronista?<br />
– Ti vuol conoscere. Gli ho detto che eri la mia fonte riservata,<br />
che hai svolto un’inchiesta sul caso. L’Unità è un<br />
giornale prudente, sai, il comunismo è prudente. E il nostro<br />
capocronista è particolarmente prudente. Così l’ho<br />
rassicurato e che hai solide carte in mano e che me le metterai<br />
a disposizione queste carte…<br />
218<br />
– Ma quali carte, Efisio…<br />
– Non ti ci mettere anche tu ora. Digli quello che vuoi.<br />
Digli la verità. Quello che sai su Cantillo. Su Cantillo e<br />
Zanda. E che anche tu sei dell’idea che Cantillo non è<br />
morto suicida.<br />
Il capocronista era un emiliano ben piantato, dal naso<br />
carnoso e i capelli a spazzola, in maniche di camicia e sulla<br />
camicia delle larghe bretelle <strong>rosse</strong>. Accolse Serra con<br />
aria gioviale.<br />
– Abbiamo seguito la sua difesa di quella domestica<br />
sarda, – disse Paolini. – I miei complimenti: ho visto che<br />
qualche giorno fa è stata prosciolta.<br />
– Una circostanza fortunata, – si schermì Serra.<br />
– Qualcosa di più di una circostanza fortunata, sono sicuro.<br />
Dice Piccioni che ha raccolto preziose notizie su<br />
tutta la faccenda… la faccenda Nuraxi Nieddu-Zanda,<br />
voglio dire.<br />
– È stato necessario. Dovevamo mostrare alla polizia e<br />
al magistrato inquirente che esistevano altre piste oltre a<br />
quella che portava ad Adelina Demontis.<br />
– Anche L’Unità ha seguito il caso, l’avrà visto. Non da<br />
vicino come sarebbe stato necessario, forse. D’altra parte<br />
il nostro è un quotidiano particolare, che obbedisce a logiche<br />
particolari.<br />
– L’Unità, quotidiano comunista fondato da Antonio<br />
Gramsci, c’è scritto in prima pagina, – intervenne Piccioni.<br />
– Non è che lo teniamo nascosto chi siamo.<br />
– Il nostro è un quotidiano politico ed è abbastanza ovvio<br />
che risponda a logiche politiche. Il caso Montesi ci<br />
avrà pure insegnato qualcosa. A non cadere nei trabocchetti,<br />
se non altro, e a sottrarci alle strumentalizzazioni.<br />
219
La cronaca che il nostro giornale presenta ai lettori deve<br />
essere tersa, limpida, lontana da ogni possibile strumentalizzazione.<br />
Rughe e grinze del volto di Piccioni erano ora atteggiate<br />
ad una specie di sorriso, sghembo e ammiccante. – Sì,<br />
chiara come l’acqua di fonte, – disse. – Peccato che la<br />
realtà sia spesso torbida, caro compagno capocronista, e<br />
anche la cronaca del nostro giornale dovrebbe adattarsi<br />
ad essere torbida, qualche volta.<br />
– Sa, avvocato, perché un giornalista del talento del<br />
compagno Piccioni decide ogni giorno di continuare a lavorare<br />
a L’Unità, dove guadagna un terzo di quello che<br />
guadagnerebbe in un qualsiasi giornale cosiddetto indipendente?<br />
– Conoscendo Efisio credo di intuirlo. Suppongo che<br />
le sue scelte professionali siano strettamente legate alle<br />
sue convinzioni.<br />
– Sì certo. C’è qualcosa di più, però. Il compagno Piccioni<br />
quelle stesse cose di cui ogni giorno si lamenta in<br />
fondo le apprezza, nell’Unità: il fatto che obbedisca a una<br />
logica politica, la retorica classista, il moralismo, la paga<br />
sotto i minimi sindacali, perfino. Le apprezza perché se<br />
ne sente protetto. Protetto da che? Semplice: dal finire<br />
come finirebbe se passasse al Corriere o alla Stampa, a<br />
prendere quattro volte lo stipendio che prende all’Unità.<br />
Il compagno Piccioni sa bene come anche al Corriere e alla<br />
Stampa non sempre gli farebbero raccontare le storie<br />
che vuol raccontare come le vuole raccontare: esattamente<br />
la stessa cosa che gli succede da noi. Tanto vale, allora,<br />
stare dalla parte della classe operaia, dalla parte giusta<br />
cioè. Così pensa il compagno Piccioni. O sbaglio?<br />
220<br />
– A vederlo così con le sue bretelle emiliane, tu non gli<br />
daresti un centesimo al nostro capocronista. Eppure è<br />
una testa fina. Bisogna che ti porti via, Luciano. Questo<br />
è capace di farti diventare comunista in quattro e quattr’otto,<br />
tu che sei un saragattiano ortodosso…<br />
– Io, veramente… – cercò di protestare Serra.<br />
– Beh, comunque noi andiamo. Lasciamo Paolini a raccontare<br />
la cronaca di Frascati e Tor Pignattara dal punto<br />
di vista della classe operaia, che non è cosa facile.<br />
Paolini si era alzato e li accompagnava alla porta.<br />
– Apprezziamo la sua collaborazione, avvocato, – disse<br />
a Serra, mentre gli stringeva la mano. – E comunque, è<br />
stato un piacere conoscerla.<br />
– Beh, che impressione ti ha fatto il mio capocronista?<br />
– chiese Piccioni a Serra quando furono fuori dal giornale.<br />
– Non mi è sembrato del tutto convinto su questi tuoi<br />
articoli a proposito di Nuraxi Nieddu.<br />
– Vedrai che alla fine il Paolini si convince. Sotto quelle<br />
bretelle <strong>rosse</strong>, batte un cuore da giornalista. Sono io<br />
piuttosto che non so bene mettere insieme i pezzi di tutta<br />
la faccenda. Ho avuto tra le mani le carte della commissione<br />
d’inchiesta su Nuraxi Nieddu…<br />
– Come ci sei riuscito?<br />
– Ho le mie entrature a Palazzo… fatto sta che mi sono<br />
fatto l’idea che da quell’inchiesta non è uscito nulla di clamoroso,<br />
non c’è il documento inoppugnabile che Cantillo<br />
cercava, quello che poteva inchiodare Zanda. Forse<br />
Zanda non sapeva nulla di particolare sull’incidente e si è<br />
221
limitato a far sì che il nome della Monterroyo venisse fuori<br />
il meno possibile.<br />
– Come la spieghi la fine di Cantillo?<br />
– Chi ha ammazzato Cantillo, vuoi dire?<br />
– Appunto.<br />
– Lo ha ammazzato chi aveva interesse a farlo e insieme<br />
ne aveva la possibilità. Ammazzato o fatto ammazzare.<br />
Serra sorrise ironico: – Geniale! Deduzione geniale.<br />
Ho paura però che non ci faccia fare molti passi avanti.<br />
– Eppure… ragiona un po’: se ipotizziamo che Zanda<br />
non avesse nulla di particolare da nascondere a Cantillo,<br />
allora chi altro poteva sentirsi danneggiato da sue eventuali<br />
rivelazioni sull’incidente di Nuraxi Nieddu?<br />
– La Monterroyo, direi.<br />
– Così ho pensato anch’io. Ti ricordi che il tecnico di<br />
Nuraxi Nieddu, quel Balzarani, ci ha parlato di un direttore<br />
per l’Italia della Monterroyo? Ebbene, ho raccolto<br />
qualche notizia su questo direttore. È un americano, un<br />
avvocato, e si chiama Antony Picciotto.<br />
– Picciotto, non ci credo, dimmi che questo nome te lo<br />
sei inventato.<br />
– Il direttore della Monterroyo si chiama proprio Antony<br />
Picciotto, e… non metterti a ridere… risulta sia stato<br />
legato alla mafia italo-americana. Si è anche interessata<br />
di lui una commissione d’inchiesta del Senato americano.<br />
Poi è sembrato prendere un’altra strada, anche se si dice<br />
che la mafia stia investendo in attività legali, e tra queste<br />
attività legali ci sarebbe anche la Monterroyo.<br />
– Antony Picciotto, hai detto?<br />
– Proprio così: Picciotto, Antony Picciotto.<br />
222<br />
32<br />
La fotografia di Cantillo la teneva in valigia, fissata alla<br />
parete interna in modo che fosse facile averla sotto gli occhi.<br />
Sentiva il bisogno di entrare in familiarità con la persona da<br />
liquidare e una delle maniere era studiarne l’aspetto. La fotografia<br />
ritraeva Cantillo in piedi accanto a un’automobile,<br />
un’Aurelia. Un piccoletto che arrivava a malapena al tetto<br />
dell’auto, e un piccoletto poco contento di esserlo, a giudicare<br />
dalle scarpe col tacco, visibilissime anche in fotografia. A<br />
restituire un’immagine diversa c’era il suo sorriso vagamente<br />
ironico, da piglianculo pensò il killer. Che fai Cantillo,<br />
mi guardi? Guarda pure: per te non ho segreti. La maniera<br />
di eliminarlo, non l’aveva ancora decisa. Non era raro<br />
che il principale dall’altro capo del telefono indicasse un<br />
certo modus operandi, che chiedesse ad esempio di far apparire<br />
la cosa come un incidente. Non in questo caso, però,<br />
anche se il killer preferiva che i suoi interventi non fossero<br />
comunque rubricati come omicidi. Incidenti, suicidi, colpi<br />
al cuore, ma non omicidi. Non che temesse eventuali indagini<br />
della Polizia - si sentiva del tutto inafferrabile - ma il<br />
fatto di evitare che un omicidio occupasse le pagine dei giornali<br />
costituiva il suo personale contributo all’idea, che nonostante<br />
tutto coltivava, di un mondo ordinato.<br />
223
Era un Killer professionista e conduceva una vita ritirata,<br />
un po’ perché lo imponeva il suo mestiere ma anche per il<br />
gusto di rimanere nell’ombra. L’ attività l’aveva cominciata<br />
circa dieci anni prima. A proporgli il primo incarico era stato<br />
il comandante del suo reparto in Russia che, a guerra finita,<br />
aveva incontrato per caso alla Stazione Centrale, a<br />
Milano. Non se la passava bene a quei tempi e l’invito a<br />
pranzo da parte del suo ex ufficiale dovette avere a che fare<br />
con quell’aria smunta. Ricordarono i mesi terribili della ritirata,<br />
fatti prigionieri dai russi, la fuga dal campo dopo che<br />
lui, il soldato, a mani nude, aveva strangolato una dietro<br />
l’altra tre sentinelle. Lo colpì la naturalezza con cui, a fine<br />
pranzo, il suo ex ufficiale gli presentò la faccenda. Sapeva<br />
quanto erano duri i tempi ma sapeva anche che chi aveva<br />
coglioni trovava sempre modo di cavarsela. E disse che era<br />
una vera fortuna, per i suoi progetti, che si fossero incontrati:<br />
per la missione gli era capitato spesso di pensare a lui, al<br />
suo soldato. Parlò di una missione delicata, ma senza particolari<br />
difficoltà, “niente a che vedere con quello che sei stato<br />
capace di fare quella volta”. Il killer ascoltò con attenzione,<br />
senza fare commenti, e trovò naturale alla fine accettare<br />
la proposta.<br />
Gli incarichi successivi giunsero per telefono, da una voce,<br />
sempre la stessa. Non sapeva (né, d’altra parte, si chiedeva)<br />
che relazione vi fosse tra il primo committente e la<br />
voce che il killer, tra sé e sé, chiamava il principale. Era un<br />
meccanismo perfetto quello attraverso cui gli giungeva<br />
l’incarico (prima la telefonata, e poi il plico con l’anticipo<br />
e i materiali utili alla missione). A missione compiuta, il<br />
saldo.<br />
In circa dieci anni di attività, non erano molte le volte<br />
224<br />
che il killer aveva lavorato a Roma, ma ultimamente c’era<br />
tornato spesso e la città gli era diventata più familiare. Conosceva<br />
bene la zona attorno alla stazione Termini, dove<br />
sempre finiva per scegliersi l’albergo. Questa volta stava all’Alloggio<br />
Palermo, all’angolo tra via Gaeta e via Volturno.<br />
Era una parte di Roma dove circolava molta gente di passaggio<br />
e dove le strade, la sera, si riempivano di soldatini in<br />
libera uscita, provenienti non solo dalle caserme del Macao,<br />
che stavano nei pressi, ma anche dalla Batteria Nomentana<br />
e perfino dalla Cecchignola. A caccia dei soldatini<br />
in libera uscita, poi, sciamavano per quelle strade puttane<br />
di diversa età, taglia, provenienza, tariffa.<br />
Proprio in via Gaeta, la sera prima, aveva individuato tra<br />
le tante una puttana di suo gusto - non era facile di gusti il<br />
killer - finendo poi per rimorchiarla. Avevano fatto l’amore<br />
in camera di lui, e poi la puttana gli aveva chiesto da fumare,<br />
sembrava non aver fretta.<br />
– Come ti chiami? – aveva chiesto il killer.<br />
L’uomo si era completamente rivestito, mentre la puttana<br />
indossava l’esigua sottoveste color carne che si era tenuta<br />
mentre facevano l’amore. Tutti e due erano sdraiati sul<br />
letto, separati e distanti, ognuno dalla sua parte, sembrava<br />
lontanissimo il momento in cui i loro corpi si era congiunti,<br />
e tutti e due fumavano.<br />
– Filomena. E tu?<br />
– Mario, – aveva mentito il Killer. Poi dopo una breve<br />
pausa: – Dimmi di te, Filomena.<br />
– Non c’è molto da dire… prima stavo sull’Appia antica,<br />
è solo da un mese che sono in questa zona.<br />
– Perché hai lasciato l’Appia?<br />
– Intorno a Termini c’è più movimento. Se una vuole, si<br />
225
lavora anche la mattina… e poi i miei vecchi clienti mi vengono<br />
a cercare anche qui.<br />
La donna disse queste ultime parole dandogli le spalle,<br />
mentre spegneva la sigaretta sul portacenere nel comodino<br />
a fianco al letto. Il movimento le sollevò la sottoveste, lasciando<br />
apparire per intero le cosce e il killer si chiese se<br />
non si trattasse di un gesto studiato per riaccendere il desiderio<br />
di lui. Gli giunse perciò inaspettato il fatto che la puttana<br />
si alzasse dal letto e cominciasse a rivestirsi. Solo ora,<br />
osservandola, il Killer si accorse quanto somigliava alla sua<br />
fidanzata d’un tempo, una somiglianza a cui non aveva<br />
pensato mentre lei si spogliava e tanto meno ci aveva pensato<br />
prima, vedendola passeggiare in via Gaeta, quando si<br />
era solo chiesto quanto risultasse di suo gusto.<br />
La puttana, ora completamente rivestita, fece scivolare<br />
nella borsetta le banconote che lui, prima che lei si spogliasse,<br />
aveva posato sul comodino. Dentro la borsetta, il<br />
killer scorse un giornale, un fotoromanzo, dalla copertina<br />
gli sembrò Bolero Film, anche lui qualche volta lo leggeva.<br />
– Leggi i fotoromanzi?<br />
– Guardo le figure… sai, mentre aspetto i clienti.<br />
– Dove andrai ora? – chiese poi il killer.<br />
– Dove vuoi che vada, per strada, a battere, – rispose lei.<br />
Poi, quand’era già sulla porta: – Ciao tesoro, sai dove trovarmi.<br />
Quella notte il killer fece sogni inquieti in cui gli apparve<br />
Cantillo nelle vesti di un gigante. Il gigante lo teneva<br />
schiacciato a terra, poggiandogli il ginocchio sul petto. Pronunciando<br />
una certa parola sarebbe stato liberato, ma que-<br />
226<br />
sta parola il killer l’aveva scordata. Non lo consolò, svegliandosi,<br />
il dissolversi di quell’incubo. Pensò invece che<br />
come sempre era solo nel suo letto, e che avrebbe fatto meglio<br />
a pagare quella puttana malinconica perché passasse la<br />
notte con lui.<br />
Cinque giorni di seguito l’aveva pedinato, per scoprire<br />
che le sue giornate erano un continuo agitarsi senza senso.<br />
Una vera e propria fissa per i tassì, e quell’aria trafelata da<br />
nanetto furbo, da una parte all’altra, sempre la cartelletta<br />
sottobraccio, su e giù per le scale dei ministeri, negli anditi<br />
dei palazzi pubblici, in attesa nelle anticamere. Che fai<br />
Cantillo, lecchi il culo, sei sempre là che aspetti Cantillo,<br />
dài mance agli uscieri, solo questo sai fare Cantillo?<br />
Ancora una sigaretta, l’ultima del pacchetto, e poi, ne era<br />
certo, Cantillo sarebbe uscito. Era entrato in quel palazzo,<br />
intorno alle otto di sera, a fianco di una donna. Dài Cantillo,<br />
fallo per me, un’ultima scopata ed esci, l’ora è quella<br />
giusta, non c’è un’anima sul Lungotevere, non ci stai più<br />
a fare nulla da lei.<br />
Erano le tre e mezzo di notte quando Cantillo uscì dal palazzo,<br />
nel Lungotevere buio e deserto. Cantillo camminava,<br />
e il killer gli stava dietro. Cantillo accennò a correre, il<br />
killer allungò il passo. Per un istante sembrò che Cantillo<br />
volesse fermarsi, si voltò e guardò l’uomo ormai a pochi<br />
metri da lui, poi riprese a correre più forte. Ora anche il killer<br />
correva, senza altri pensieri che non fossero pensieri di<br />
caccia. Poi Cantillo si fermò, si girò verso il killer, e allargò<br />
227
le braccia, un gesto che al killer parve di rassegnazione. La<br />
cartella, che aveva tenuta stretta al petto mentre correva,<br />
era ora a terra. Passò del tempo, con i due l’uno di fronte all’altro.<br />
Poi il killer abbracciò Cantillo. Strinse, forte, sempre<br />
più forte, sino a quando non sentì il corpo di Cantillo<br />
farsi vuoto.<br />
Lo portò giù per le scalette, trascinandolo per i piedi. Poi<br />
lo poggiò lungo disteso sulla banchina, parallelo al fiume<br />
che scorreva lustro e gonfio nel buio della notte. Il corpo<br />
ruppe la superficie dell’acqua con un tonfo. Il killer ebbe<br />
modo di vederne per un attimo il viso, e Cantillo fu inghiottito<br />
da un vortice.<br />
228<br />
33<br />
«Avvocato Luciano Serra» era scritto sulla busta. E poi<br />
l’indirizzo.<br />
«Avvocato Serra,<br />
quando leggerà questa lettera io sarò già morto. Ho organizzato<br />
le cose in modo tale che solo se sarò morto la<br />
lettera verrà effettivamente spedita. Insomma, riceverà<br />
questa lettera post factum, per così dire, dopo che il gigante<br />
che da giorni mi segue mi avrà sparato, stritolato,<br />
affogato, o chissà cos’altro. Non sarà l’unico, avvocato, a<br />
ricevere questa mia missiva dall’Oltretomba, ma se l’impressione<br />
che ho avuto di lei è giusta sarà il solo che, forse,<br />
la prenderà sul serio. C’è un uomo, una specie di gigante,<br />
che mi segue da giorni e che mi vuole uccidere. Lei<br />
conosce bene la natura della mia attività, e capisce come<br />
essa comporti dei rischi: quello più grosso è che chi è soggetto<br />
alle mie attenzioni pensi di risolvere la cosa sopprimendomi.<br />
Lei capisce che in circostanze del genere non è<br />
il caso che mi presenti alla Polizia. Mi immagina presentarmi<br />
in questura? “Sono un ricattatore e il ricattato mi<br />
ha messo alle calcagna un killer.”<br />
Mi sono allargato, questo è stato il mio errore. Quando<br />
ho capito che non era Zanda il maggiore interessato al silenzio<br />
su Nuraxi Nieddu ma la società Monterroyo, pro-<br />
229
prietaria della miniera, allora ho cambiato obiettivo. Ho<br />
lasciato Zanda a quel miserabile di Amicucci e mi sono<br />
messo alle calcagna della Monterroyo. La Monterroyo, in<br />
Italia, è mister Antony Picciotto, che ho avuto la pessima<br />
idea di andare a trovare nel suo bell’ufficio di Via Veneto.<br />
A mister Picciotto ho detto di sapere molte cose su quel<br />
malaugurato incidente minerario e che non divulgare<br />
queste informazioni aveva ovviamente un prezzo. La<br />
chiami premonizione, lo chiami intuito, ma solo dal modo<br />
in cui Mister Picciotto mi ha guardato ho capito che avevo<br />
fatto la mossa sbagliata. E che meglio avrei fatto a limitarmi<br />
alle cosette di sempre, ai miei onorevolucci e alle loro<br />
modeste porcheriole.<br />
In certi momenti, riesco ancora a illudermi che quel gigante<br />
me l’abbiano messo appresso solo per spaventarmi.<br />
In qualche momento spero ancora che sia così. Forse<br />
prenderò due cazzotti in qualche angolo buio e tutto finirà<br />
lì. Io ho paura, però. Se solo sapessero quanta paura<br />
ho, forse mi lascerebbero stare.<br />
Lei si chiederà il perché di questa lettera da dopo morto,<br />
che senso ha, visto come sono andate le cose. È difficile<br />
da spiegare quello che prova uno che sta per morire.<br />
Ecco: io a modo mio sono stato un giornalista. Non voglio<br />
dire che ho servito la verità. Ma le mie inchieste le ho<br />
fatte. Insomma, mi piacerebbe che la mia ultima inchiesta<br />
uscisse in un modo diverso dalle altre, come una vera<br />
inchiesta giornalistica. Lo consideri il mio testamento, il<br />
mio modo di dire che sono esistito e, non rida, un modo<br />
per rendermi immortale. Le accludo il pezzo.<br />
Suo, Michele Cantillo»<br />
230<br />
– Si accomodi avvocato Serra, sieda qui, staremo più<br />
comodi.<br />
Picciotto aveva lasciato la scrivania e gli era venuto incontro,<br />
l’abito di lino bianco a mettere in risalto l’abbronzatura<br />
perfetta e la camicia celeste intonata ai capelli<br />
grigio argento. Gli occhiali da vista, dalla montatura pesante,<br />
aggiungevano all’insieme un tocco di severità che<br />
allontanava la prima impressione di un Cary Grant invecchiato<br />
ma si adattava meglio all’arredo dello studio, ottanta<br />
metri quadri interrotti solamente dalla scrivania in<br />
cristallo e da una coppia di poltrone in pelle chiara. Nella<br />
parete dietro la scrivania, Serra riconobbe un quadro di<br />
Fontana.<br />
– Dunque anche lei ha ricevuto la missiva dal pazzo?<br />
Pazzo e ricattatore.<br />
Nelle intenzioni di Serra, l’inizio doveva essere un altro.<br />
Era lui che avrebbe dovuto prenderlo di sorpresa e<br />
invece Picciotto aveva sorpreso lui.<br />
– Proprio così, avvocato, lei non è il solo ad aver ricevuto<br />
la lettera. Né è stato il solo a volercene informare.<br />
– Io a dire il vero…<br />
– La polizia è avvertita, naturalmente. Anche se la lettera,<br />
a sentire il commissario Mastellone, non cambia il<br />
quadro.<br />
– In quello che Cantillo scrive c’è un’accusa precisa<br />
contro la Monterroyo…<br />
– Vedo che anche lei si è incuriosito a questa intricata<br />
faccenda. Magari si tratta di curiosità gratuite, ora che lei<br />
ha avuto quello che voleva, il proscioglimento della sua<br />
cliente… comunque sia, sono in grado di soddisfare le<br />
sue curiosità, se mi sta a sentire.<br />
231
Il silenzio di Serra fu interpretato come un invito a continuare.<br />
– Tenga presente che la Monterroyo è un gruppo internazionale.<br />
Abbiamo impianti in ogni angolo della terra e<br />
interessi che vanno dall’oro al petrolio. Non vorrei sminuire<br />
la Monterroyo italiana, e con la Monterroyo italiana<br />
me stesso che la dirigo… siamo insomma solo una parte,<br />
una parte abbastanza periferica, del tutto. Una cosa Cantillo<br />
aveva intuito: che l’incidente di Nuraxi Nieddu, se ci<br />
provocava qualche imbarazzo, lo provocava su un piano<br />
internazionale. È un momento delicato, Suez ha cambiato<br />
molte cose: stiamo chiudendo accordi con paesi di nuova<br />
indipendenza che non affiderebbero le loro risorse minerarie<br />
a società che avessero fama di essere troppo disinvolte<br />
sui problemi della sicurezza, se poi una società li<br />
provoca gli incidenti minerari… Quello che Cantillo non<br />
aveva capito, invece, è che nessuna delle sue presunte<br />
informazioni riservate era per noi di qualche interesse.<br />
L’inchiesta interna sull’incidente non ci ha lasciato dubbi.<br />
Si è trattato solo di una fatalità, un’imprevedibile fatalità.<br />
Il resto, la commissione governativa, le interrogazioni<br />
parlamentari, le polemiche sui giornali, fanno parte di<br />
quel vero e proprio spettacolo di varietà che è ormai la politica<br />
italiana. Uno spettacolo di varietà che ha però un risvolto<br />
drammatico. Non le nascondo che siamo in ansia<br />
per il futuro politico dell’Italia. In ansia per il modo in cui<br />
il partito di governo sta affrontando i comunisti. Quasi<br />
sottovalutasse l’entità del pericolo. La Monterroyo ha dato<br />
il suo contributo alla guerra contro il comunismo, naturalmente.<br />
Ora però siamo preoccupati dalla forza crescente<br />
dei comunisti italiani, preoccupati al punto che<br />
232<br />
prevediamo, nei prossimi cinque anni, di mollare le miniere<br />
italiane. Le miniere, d’altra parte, sono roba da paesi<br />
poveri e l’Italia ormai povera non lo è più…<br />
– È questa la cosa che non ho capito. Se pensavate di<br />
chiuderla, Nuraxi Nieddu, perché il direttore della miniera,<br />
pur sapendo di tracce di grisou…<br />
– Questo è quello che dice lei, avvocato… ma se anche<br />
fosse, ammettiamo per un momento che il direttore di<br />
Nuraxi Nieddu sia un cretino, e pensi che l’obiettivo di<br />
una miniera sia sempre e solo quello di fare più tonnellate<br />
possibile di carbone… una grande compagnia non può<br />
fermarsi perché un suo dipendente è un cretino. Una<br />
grande compagnia è tale perché ha un ruolo planetario, e<br />
ha gli strumenti per svolgere questo ruolo. Non sempre, è<br />
vero, questi strumenti si dimostrano adeguati. Prenda<br />
Zanda. Le confesso che ci ha delusi. Gli avevamo assegnato<br />
un compito, e lui non è stato all’altezza. Il nome<br />
della Monterroyo doveva essere tenuto lontano da tutta<br />
questa faccenda, e invece Zanda non è riuscito a fare di<br />
meglio che tirarsi dietro Cantillo. Cantillo: ma le pare che<br />
una grande compagnia può sottostare ai ricatti di un<br />
Cantillo. Quell’ometto è arrivato sino a me, sedeva nella<br />
stessa poltrona dov’è seduto lei, farfugliava di chissà quali<br />
notizie riservate su Nuraxi Nieddu. Una mosca fastidiosa,<br />
che è finita come doveva finire.<br />
Null’altro, a quel punto, Serra poteva chiedere al presidente<br />
della Monterroyo e nulla quest’ultimo avrebbe potuto<br />
rispondergli.<br />
Serra si alzò. Dirigendosi verso la porta, attraversò la<br />
stanza per un tempo che gli parve lunghissimo. Fece finta<br />
di non sentire quando, mentre passava la soglia, Picciotto<br />
233
gli disse: – Se ha bisogno… qualunque cosa, avvocato, io<br />
sono qui.<br />
Imboccò via Veneto nella direzione del Tritone. Aveva<br />
lo stomaco rattrappito in un crampo che assomigliava al<br />
disgusto, un disgusto che lo toccava direttamente, con<br />
quella lettera di Cantillo in tasca senza sapere che farne e i<br />
suoi balbettii impotenti di fronte a Picciotto. Si ricordò<br />
delle ultime parole di Picciotto mentre usciva dalla stanza:<br />
“Caso mai avesse bisogno di qualcosa…” Ma vaffanculo<br />
Picciotto. Pezzi sbocconcellati di tutta quella storia<br />
si rincorrevano nella sua mente. “Se almeno Adelina si<br />
fosse messa nelle mie mani…” Affanculo anche tu Zanda,<br />
tu e tutti quelli della tua razza. Si è messa nelle mie mani<br />
Adelina e io l’ho fatta uscire di galera. Ma no, la verità che<br />
a farla uscire di galera è stato quella specie di avvocato, e<br />
che tu hai pagato col tuo silenzio perché uscisse di galera.<br />
Giorno dopo giorno, in quegli ultimi mesi, aveva cercato<br />
l’assassino del cravattaro, era stato avvocato e poliziotto,<br />
difensore di Adelina e investigatore. Ma alla fine l’investigatore<br />
si era fatto da parte, aveva abbandonato. Immaginò<br />
la faccia mogia del cavaliere quando fra poco in studio<br />
gli avrebbe raccontato del suo incontro con Picciotto,<br />
e immaginò se stesso alla scrivania e il cavaliere seduto di<br />
fronte a lui nella solita poltrona; e questo fra un’ora, fra<br />
un mese, fra un anno. Due vecchi poliziotti, l’uno di fronte<br />
all’altro, che si guardano in faccia e non sanno cosa dirsi.<br />
Pensò a quando, molto tempo prima, quasi gli sembrava<br />
un’altra vita, era arrivato a Roma a fare il poliziotto e alla<br />
pensione di Piazza Regina Margherita dove aveva abitato<br />
per anni. Pensò a Marianna, e a come lei sperava che<br />
qualcosa cambiasse tra loro, pensò che lei avrebbe voluto<br />
234<br />
un figlio da lui e che forse anche lui avrebbe voluto un figlio<br />
e pensò che se questo figlio fosse nato il cavaliere gli<br />
avrebbe fatto da padrino di battesimo e immaginò il bambino<br />
tenuto goffamente in braccio dal cavaliere che piange<br />
mentre il prete gli getta addosso con l’aspersorio l’acqua<br />
benedetta. E ci sarebbe stato un piccolo rinfresco per<br />
il battesimo del bambino, ripetuti brindisi con la malvasia<br />
di Bosa e il cavaliere non avrebbe rinunciato a un ispirato<br />
discorso per dire quanto diverso e migliore sarebbe stato<br />
il mondo che questo bambino avrebbe vissuto. Peppinetta<br />
si sarebbe commossa a quel discorso e poi avrebbero<br />
ballato, lui e Marianna avrebbero ballato un tango, mentre<br />
il bambino sarebbe stato in braccio ad Adelina divertito<br />
e sorridente.<br />
Di fronte a Serra c’era ora la fontanella delle Api, una<br />
conchiglia di marmo aperta al sole, e più avanti, al centro<br />
della piazza, un’altra conchiglia, più grande, da cui un un<br />
giovane tritone si erge in giocosa sfida a spruzzare il cielo.<br />
Una nuova bella estate romana iniziava. Altre volte alla fine<br />
di una storia gli era capitato di chiedersi quale fosse la<br />
morale della favola, arrivando alla conclusione che le favole<br />
erano, come le fáulas sarde, solo bugie. Serra sentiva<br />
in tasca la lettera di Cantillo. Ripensò a quella lettera, ripensò<br />
al fatto che aveva dovuto farsi postumo, Cantillo,<br />
per meritarsi la dignità che gli era mancata in vita. Come<br />
se i morti fossero migliori dei vivi e solo a chi sa di dover<br />
morire fosse concessa la verità.<br />
235
INDICE<br />
<strong>Scarpe</strong> <strong>rosse</strong>, <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong><br />
Cap. 1 5<br />
Cap. 2 9<br />
Cap. 3 17<br />
Cap. 4 23<br />
Cap. 5 29<br />
Cap. 6 35<br />
Cap. 7 41<br />
Cap. 8 47<br />
Cap. 9 55<br />
Cap. 10 61<br />
Cap. 11 69<br />
Cap. 12 79<br />
Cap. 13 85<br />
Cap. 14 93<br />
Cap. 15 99<br />
Cap. 16 105<br />
Cap. 17 119<br />
Cap. 18 131<br />
Cap. 19 139<br />
Cap. 20 143<br />
Cap. 21 149<br />
Cap. 22 161<br />
Cap. 23 167<br />
Cap. 24 169<br />
Cap. 25 177<br />
Cap. 26 183<br />
Cap. 27 193<br />
Cap. 28 201<br />
Cap. 29 205<br />
Cap. 30 213<br />
Cap. 31 217<br />
Cap. 32 223<br />
Cap. 33 229
Volumi pubblicati:<br />
Tascabili<br />
Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />
Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />
Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />
Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />
Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo (2 a edizione)<br />
Maria Giacobbe, Il mare (3 a edizione)<br />
Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio<br />
Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />
Giulio Angioni, L’oro di Fraus<br />
Antonio Cossu, Il riscatto<br />
Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />
Ernst Jünger, Terra sarda<br />
Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2 a edizione)<br />
Luciano <strong>Marrocu</strong>, Fáulas (2 a edizione)<br />
Gianluca Floris, I maestri cantori<br />
D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />
Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa<br />
Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò (2 a edizione)<br />
Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />
Francesco Masala, Il parroco di Arasolè<br />
Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (2 a edizione)<br />
Salvatore Niffoi, Cristolu<br />
Giulio Angioni, Millant’anni<br />
Luciano <strong>Marrocu</strong>, Debrà Libanòs<br />
Giorgio Todde, La matta bestialità (2 a edizione)<br />
Sergio Atzeni, Racconti con colonna sonora e altri «in giallo»<br />
Marcello Fois, Materiali<br />
Maria Giacobbe, Diario di una maestrina<br />
Giuseppe Dessì, Paese d’ombre<br />
Francesco Abate, Il cattivo cronista<br />
Gavino Ledda, Padre padrone<br />
Salvatore Niffoi, La sesta ora<br />
Jack Kerouac, L’ultima parola. In viaggio. Nel jazz<br />
Gianni Marilotti, La quattordicesima commensale<br />
Giorgio Todde, Ei<br />
Luigi Pintor, Servabo<br />
Marcello Fois, Tamburini<br />
Francesco Abate, Ultima di campionato<br />
Patrick Chamoiseau, Texaco<br />
Luciano <strong>Marrocu</strong>, <strong>Scarpe</strong> <strong>rosse</strong>, <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong><br />
Alberto Capitta, Creaturine<br />
Romano Ruju, Quel giorno a Buggerru<br />
Narrativa<br />
Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />
Marcello Fois, Nulla (2 a edizione)<br />
Francesco Cucca, Muni rosa del Suf<br />
Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />
Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />
Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia<br />
Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />
Aldo Tanchis, Pesi leggeri<br />
Maria Giacobbe, Scenari d’esilio. Quindici parabole<br />
Giulia Clarkson, La città d’acqua<br />
Paola Alcioni, La stirpe dei re perduti<br />
Mariangela Sedda, Oltremare<br />
Rossana Copez, Si chiama Violante
Finito di stampare<br />
nel mese di settembre 2004<br />
dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco GE