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Marrocu, Scarpe rosse, tacchi a spillo - Sardegna Cultura

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Luciano <strong>Marrocu</strong><br />

<strong>Scarpe</strong> <strong>rosse</strong>,<br />

<strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong><br />

Il Maestrale


Tascabili . Narrativa


Dello stesso autore con Il Maestrale:<br />

Fáulas, 2000<br />

Debrà Libanòs, 2002<br />

Editing<br />

Giancarlo Porcu<br />

Grafica e impaginazione<br />

Nino Mele<br />

Imago multimedia<br />

Foto di copertina:<br />

© Daniela Zedda<br />

© 2004, Edizioni Il Maestrale<br />

Redazione: via Massimo D’Azeglio 8 - 08100 Nuoro<br />

Telefono e Fax 0784.31830<br />

E-mail: edizionimaestrale@tiscali.it<br />

Internet: www.edizionimaestrale.it<br />

ISBN 88-86109-81-4<br />

Luciano <strong>Marrocu</strong><br />

<strong>Scarpe</strong> <strong>rosse</strong>, <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong><br />

Il Maestrale


1<br />

La giornata pubblica di Pompeo Amicucci era iniziata<br />

intorno alle dieci del mattino con la solita veloce ammiccante<br />

apparizione al caffè Colombia di via Marmorata.<br />

Non era sfuggito al barista, mentre gli versava un Campari,<br />

il significato di quella strizzatina d’occhio, certo un<br />

modo di ricordargli la rata che doveva pagare a fine mese.<br />

Amicucci era l’esattore di alcuni dei più quotati strozzini<br />

di Roma e puntualità e precisione nei pagamenti erano,<br />

con lui, leggi inderogabili. Dopo il Colombia, si era occupato<br />

di alcuni conti in sospeso che aveva in zona. A mezzogiorno,<br />

come ogni giovedì, aveva pranzato con la vecchia<br />

zia. A tavola, dopo qualche bicchiere di vino, si era<br />

lasciato andare alla promessa di una radio nuova, con annesso<br />

giradischi e mobile bar. Poi il consueto sonnellino<br />

pomeridiano, in un stanza da letto che la zia, religiosamente,<br />

riservava allo scopo.<br />

Il resto del pomeriggio l’aveva passato alle Capannelle.<br />

Perdita massima mille lire, si era detto, mentre al volante<br />

della sua Appia filava verso l’ippodromo. Nella prima<br />

corsa Menenio Agrippa gli aveva fatto guadagnare qualcosa.<br />

Nella seconda per poco con Soldatino e Smargiasso<br />

non beccava l’accoppiata. Ma già alla terza era sotto di<br />

milleduecento lire. E così aveva smesso. Quelli che per<br />

star dietro ai cavalli finivano dagli strozzini, lui li conosce-<br />

5


va bene, lui sapeva quando fermarsi, e non solo con i cavalli.<br />

Un uomo prudente, così era considerato nel suo ambiente,<br />

deciso sì - sapeva come passare alle vie brevi - ma<br />

prudente. Aveva lasciato l’ippodromo che il grande orologio<br />

sopra i botteghini delle scommesse faceva le quattro<br />

e mezza.<br />

Parcheggiò l’Appia in via Vetulonia. L’appuntamento<br />

era per le sette, aveva ancora due ore.<br />

– Buonasera, signor Amicucci, – lo salutò la cassiera del<br />

caffè.<br />

Quel caffè sotto casa era un po’ la sua base d’operazioni:<br />

chi voleva incontrarlo sapeva che durante la giornata<br />

prima o poi ci avrebbe fatto un salto. Naturale che avesse<br />

fissato là l’appuntamento di quella sera.<br />

Tracannò d’un fiato il primo Campari e subito ne ordinò<br />

un altro.<br />

– Ebbé, Aurelio, come ti sembra questo Selmosson, c’ho<br />

idea che alla Roma le hanno dato una bufala con ’sto Raggio<br />

di Luna, – disse al cameriere che gli serviva a tavolino<br />

il secondo Campari.<br />

– Veramente Selmosson è della Lazio, signor Amicucci.<br />

Ad Amicucci il calcio non interessava. Gli sembrava,<br />

però, un argomento per camerieri, anche se Aurelio più<br />

che col calcio amava intrattenere i clienti con un suo personalissimo<br />

repertorio di buffonerie, giochi di parole, arditi<br />

percorsi metafisici, che però riservava a persone di<br />

suo gradimento.<br />

6<br />

Non era certo per pagare che quella donna aveva chiesto<br />

di incontrarlo, pensò Amicucci portando alle labbra il<br />

terzo Campari. Aveva versato la sua rata mensile solo la<br />

settimana prima, e non si era mai visto che quei pidocchiosi<br />

anticipassero i pagamenti. Voleva altri soldi, probabilmente,<br />

ecco cosa voleva. Negli ultimi tempi Amicucci<br />

aveva iniziato anche lui a dare qualche lira a strozzo: piccole<br />

somme per ora, tanto per cominciare a mettersi in<br />

proprio. – Fai bene, Pompeo, – aveva commentato la vecchia<br />

zia, – così ti levi dalla strada, che tra l’altro non c’hai<br />

più l’età.<br />

Il telefono squillò.<br />

– Il signor Amicucci? – chiese conferma la cassiera. – È<br />

qui, glielo passo subito.<br />

Quando prese la cornetta dalle mani della donna, Amicucci<br />

fece una smorfia come a dire che non aveva la minima<br />

idea di chi lo stesse cercando.<br />

– Pronto… ah, è lei… capisco… non più al caffè… va<br />

bene, allora, tra mezz’ora a casa mia.<br />

– Segnami tre Campari, – disse alla cassiera uscendo.<br />

Il quaderno era sul piano di marmo del tavolo di cucina.<br />

Pompeo lo aprì e inforcò gli occhiali. Quegli occhiali<br />

da presbite erano una novità: il regalo dei suoi cinquanta<br />

anni appena compiuti. Sì, ecco… ricordava bene… ottobre<br />

e novembre non aveva pagato, però a dicembre aveva<br />

pagato, compresi gli arretrati.<br />

Chiuse il quaderno e si tolse gli occhiali, poggiandoli<br />

sul tavolo. Era stata la donna a chiedere che si incontrassero<br />

a casa sua. “Vediamoci a casa sua, signor Amicucci.”<br />

7


Glielo aveva detto con una vocina… una vocina così promettente…<br />

Amicucci sorrise.<br />

Il canarino, dalla gabbia, cominciò a cinguettare.<br />

– Cosa ti ridi tu, stronzetto? Che se non te la trovavo io<br />

una canarina erano pippe e basta.<br />

Suonò il campanello. Percorrendo l’andito, Amicucci<br />

si fermò per un attimo di fronte allo specchio, si ravviò i<br />

capelli e si aggiustò il nodo della cravatta. Poi aprì la<br />

porta.<br />

8<br />

2<br />

L’avvocato Luciano Serra era un melanconico, con tendenza<br />

alla depressione e un retrogusto di masochismo.<br />

La diagnosi se l’era fatta da sé e ne trovava conferma ogni<br />

giorno quando entrando la mattina nel suo studio pensava<br />

di voler essere altrove. Oggi poi…<br />

Posò sigarette e accendino sulla sinistra della scrivania.<br />

Alla destra mise la stilografica e al centro il fascicolo della<br />

causa di cui si stava occupando. Erano i gesti cui affidava<br />

ogni mattina l’inizio, sempre difficile, della sua giornata<br />

di lavoro.<br />

Si alzò, andò alla finestra e guardò il cielo. Fuori pioveva.<br />

Nell’altra stanza, un bugigattolo senza finestre che serviva<br />

da archivio, sentì il cavaliere pestare sulla macchina<br />

da scrivere. Era come se le vedesse le sue manone, le dita<br />

corte simili a salsicce, mentre massacravano la tastiera<br />

della Remington. Quando la mattina Serra arrivava in studio,<br />

il cavaliere era già al lavoro: a battere a macchina, oppure<br />

a riordinare l’archivio, sempre con l’aria indaffarata<br />

di chi vuole dimostrare d’essere utile.<br />

Serra si rimise alla scrivania, cominciò a sfogliare il fascicolo.<br />

9


…non essendo stato rinnovato il contratto di locazione,<br />

Lei è tenuto ad abbandonare l’appartamento della mia<br />

cliente entro e non oltre…<br />

Accese una sigaretta. No, proprio non gli riusciva di<br />

concentrarsi.<br />

Forse aveva sbagliato a lasciare la Polizia. Forse era proprio<br />

quello il suo posto: compiti precisi, una struttura definita,<br />

nulla da inventare. Tutto questo, però, se mai era<br />

stato vero, aveva presto smesso di esserlo. Un’ipotesi, una<br />

fantasia, che non aveva resistito alla prova dei fatti. Per intenderci,<br />

era stato il tipo del poliziotto frustrato, Serra, un<br />

poliziotto a metà, meno della metà di un poliziotto. Aveva<br />

provato di tutto per riempire la metà vuota. A un certo<br />

punto aveva ripreso gli studi in Leggi. Si era persino preso<br />

la laurea, una di quelle lauree in divisa, una laurea di guerra.<br />

Avrebbe potuto utilizzarla in Polizia quella laurea e invece<br />

era appena terminata la guerra e Serra si era dimesso.<br />

Poi aveva dato l’esame da procuratore, a cui si era presentato<br />

senza convinzione, e che invece aveva superato.<br />

Qualche mese più tardi era arrivato il cavaliere, il cavaliere<br />

Eupremio Carruezzo, l’ex commissario di prima classe<br />

Eupremio Carruezzo.<br />

Serra l’aveva incontrato a Palazzo Giustizia. Per anni ci<br />

aveva lavorato insieme, prima nella Questura di Roma<br />

poi come suo assistente nella tenebrosa Divisione Affari<br />

Generali e Riservati del Ministero dell’Interno. L’8 settembre<br />

li aveva divisi, sorprendendo l’uno a Nord, Carruezzo,<br />

e l’altro, Serra, a Sud. Da allora si erano completamente<br />

persi di vista.<br />

10<br />

L’abito stazzonato, un aspetto che tradiva i suoi settant’anni,<br />

Carruezzo aveva forse perso qualche chilo, pur<br />

continuando a dare l’impressione di un uomo decisamente<br />

grasso. Non lavorava più al Ministero dell’Interno. Costretto<br />

alle dimissioni. – Non che la cosa faccia molta differenza,<br />

– aveva aggiunto. – Presto sarei lo stesso andato<br />

in pensione. – Anche lo sguardo era diverso, quasi sfuggente.<br />

Si era però commosso quando Serra aveva rievocato<br />

la mamma, la signora Jolanda. – Mamma le voleva bene,<br />

sa. Diceva sempre che lei assomigliava al povero babbo<br />

da giovane.<br />

Neppure a Serra era chiaro perché, alla fine di quell’incontro,<br />

avesse detto a Carruezzo di avere bisogno di un<br />

collaboratore. – Se cercava un giovane di studio, – era<br />

stata la risposta di Carruezzo, – l’ha trovato.<br />

Quella domestica sarda, quell’Adelina Demontis.<br />

Dopo anni di sfratti e litigi condominiali, la prima causa<br />

degna di questo nome.<br />

Gli era arrivata attraverso una zia cagliaritana, una delle<br />

sorelle della madre. Cosa succede a una domestica sarda<br />

a Roma se l’accusano di omicidio? Che dalla <strong>Sardegna</strong><br />

i suoi parenti le trovano un avvocato sardo: magari coglione<br />

e inesperto, ma sardo.<br />

Serra si sentiva inadeguato. Difendere qualcuno dall’accusa<br />

di omicidio non era uno scherzo. Specie se questo<br />

qualcuno si proclamava innocente. Poniamo che Adelina<br />

Demontis fosse veramente innocente, e che invece il tribunale<br />

la dichiarasse colpevole, condannandola a trent’anni.<br />

E questo per incapacità del suo avvocato. Forse<br />

11


che un avvocato deve essere convinto dell’innocenza del<br />

suo cliente? Non necessariamente. Anche i colpevoli hanno<br />

diritto ad essere difesi. Sì, certo, ma come si fa a dimostrare<br />

l’innocenza di qualcuno se si pensa che è colpevole…?<br />

“Vostro onore, mi rimetto alla clemenza della corte.”<br />

Perché Adelina Demontis non si era trovato un vero<br />

avvocato?<br />

Si alzò di nuovo e si avvicinò alla finestra. La pioggia era<br />

aumentata e la gente si affollava sulla soglia dei negozi in<br />

attesa che calmasse. Alla fermata del tram di Porta Maggiore,<br />

sulla pedana, solo un vecchio, con un grande ombrello<br />

nero, sfidava la pioggia martellante.<br />

Era stata la portinaia a vederla. Ed era stata la portinaia<br />

a telefonare in questura. Di solito le pulizie in casa di Amicucci,<br />

un appartamento al primo piano, le finiva alle undici,<br />

ma quella mattina se n’era andata prima, lasciando dei<br />

piatti da lavare. Era tornata da Amicucci verso le sette di<br />

sera. – Sì, verso le sette di sera, – aveva ripetuto alla polizia.<br />

– No, non posso essere più precisa, mica sto a guardar<br />

l’orologio a ogni passo. – Aveva suonato il campanello,<br />

come faceva sempre prima di entrare, ma niente: nessuno<br />

aveva risposto. Solo allora aveva usato le chiavi. Aveva visto<br />

la scena dall’andito: quella donna con in mano una<br />

specie di soprammobile, un pezzo di quarzo, in piedi di<br />

fronte al letto dove, riverso su un fianco, c’era Amicucci<br />

con la testa sfondata. La portinaia aveva avuto la prontezza<br />

di lasciare subito l’appartamento. La telefonata in questura,<br />

l’aveva fatta da casa del geometra Frigerio del terzo<br />

piano. Quando i poliziotti erano arrivati, avevano trovata<br />

12<br />

Adelina Demontis seduta nell’ingresso, come se li aspettasse.<br />

Negli interrogatori successivi all’arresto, Adelina Demontis<br />

non aveva detto nulla che servisse a scagionarla.<br />

Lì, solo a ripetere che non era stata lei ad uccidere Amicucci.<br />

L’esigenza di sapere qualcosa di più sugli inquilini del<br />

trentasei di via Vetulonia - “il palazzo del cravattaro morto<br />

ucciso” come l’avevano foscamente ribattezzato nel<br />

quartiere - era stata affacciata da Serra in modo abbastanza<br />

generico, eppure Carruezzo si era subito investito del<br />

compito di quella ricerca.<br />

– Però bisogna iniziare dal contesto, – aveva sentenziato<br />

il cavaliere, e se ne era andato in giro nel quartiere a<br />

parlare con chiunque - bottegai, pensionati, perditempo<br />

di ogni genere - accettasse di parlare con lui.<br />

Fatto di sangue sconvolgente, quello di via Vetulonia:<br />

questo aveva ripetuto in coro la gente a Carruezzo. Sconvolgente,<br />

di certo il più sconvolgente in zona negli ultimi<br />

anni. È vero: sei mesi prima una donna era stata trovata<br />

morta ammazzata a casa sua, in via Casale di Merode. Ma<br />

via Casale di Merode è già oltre la marrana della Caffarella,<br />

per cui siamo già all’Ardeatino e dall’Ardeatino alle<br />

baracche di Porta Furba sono due passi, e poi quel caso<br />

era tutto diverso: una puttana, ad ucciderla a botte il suo<br />

protettore, una cosa tutta tra loro insomma. Non che Amicucci<br />

fosse stimato persona onesta o fosse particolarmente<br />

ben voluto nella zona, diceva la voce pubblica, ma il fatto<br />

stesso di abitare in via Vetulonia, a due passi da piazza<br />

13


Tuscolo cioè, che poi vuol dire San Giovanni, lo rendeva<br />

parte di un quartiere rispettabile, e dunque in qualche<br />

modo rispettabile lui stesso. Ad accrescere il disagio del<br />

quartiere, c’era poi il fatto che il fermo della domestica<br />

sarda non aveva del tutto sollevato dal sospetto i coinquilini<br />

di Amicucci.<br />

Sul trentasei di via Vetulonia, un condominio sino ad allora<br />

anonimo e tranquillo, si era precipitato nei giorni appena<br />

successivi al fatto un nugolo di poliziotti. Era anche<br />

apparso il capo della squadra mobile Matrone, e questo<br />

aveva fatto pensare che sarebbe stato lui in persona a condurre<br />

le indagini. Poi la faccenda era finita nelle mani del<br />

commissario Amitrano, scelta abbastanza indicativa per<br />

chi fosse addentro alle segrete cose della Questura, segnalando<br />

la convinzione di Matrone che su quel caso non vi<br />

fosse, nella sostanza, più nulla da indagare. Tramutato in<br />

arresto il fermo della domestica sarda, il più era fatto. Ad<br />

Amitrano sarebbero toccate “le indagini di rifinitura”,<br />

aveva detto Matrone, sottintendendo che solo di “indagini<br />

di rifinitura” Amitrano fosse capace. Così, nel giro di<br />

una settimana la presenza dei poliziotti al trentasei di Via<br />

Vetulonia si era prima diradata per poi cessare del tutto.<br />

L’interrogatorio dei condomini su dov’erano e cosa facevano<br />

al momento del delitto, se avevano un alibi insomma,<br />

all’inizio capillare e sistematico, si era col passare dei<br />

giorni sfilacciato in una serie di casuali accertamenti che<br />

Amitrano aveva chiamato “a macchia di leopardo”.<br />

Pareva a Carruezzo che il quartiere avesse registrato con<br />

un certo sollievo la fine, o quasi, delle indagini su Amicucci.<br />

Bisogna poi dire che non tutti nel quartiere erano al<br />

corrente dei suoi collegamenti malavitosi, anche perché<br />

14<br />

questi collegamenti non è che fossero particolarmente<br />

evidenti. All’interno del mondo criminale romano, i cravattari<br />

costituivano il ramo meno organizzato, con una<br />

certa propensione all’individualismo, e il ramo, soprattutto,<br />

socialmente più differenziato, non mancando tra le<br />

sue fila prìncipi della nobiltà nera, ufficiali di cavalleria,<br />

alti prelati, produttori cinematografici. Ma Pompeo Amicucci,<br />

nonostante i suoi recenti progetti e aspirazioni, non<br />

era propriamente un cravattaro, ma un uomo di mano dei<br />

cravattari, e dunque - divagava Carruezzo - un manovale<br />

del crimine, una figura alla fine imbarazzante per l’idea di<br />

sé di un quartiere come quello intorno a Piazza Tuscolo<br />

che, proiettato verso modelli di rispettabilità borghese,<br />

era però reso inquieto dalla contiguità con la Roma proletaria<br />

e popolare che avanzava ai suoi confini. Bastava che<br />

una strada prima sterrata venisse coperta d’asfalto, o che<br />

un antico villino di periferia sparisse lasciando spazio a un<br />

palazzone, perché quella nuova Roma facesse un altro minaccioso<br />

balzo in avanti, non solo occupando i terreni rimasti<br />

tra i quartieri nuovi e i precedenti confini cittadini<br />

ma insinuandosi, in alcuni punti, nel corpo stesso della<br />

città d’anteguerra.<br />

Tutto questo veniva oscuramente percepito dal quartiere,<br />

portandolo a sviluppare nei confronti di Amicucci<br />

una autentica damnatio memoriae, secondo la definizione<br />

di Carruezzo. – Il morto ammazzato di via Vetulonia?<br />

– gli aveva risposto Amedeo Feroci, titolare dell’avviatissima<br />

macelleria di Piazza Tuscolo da lui interrogato sul<br />

recente omicidio: – Non si può dire che fosse proprio del<br />

quartiere.<br />

15


Carruezzo entrò nella stanza, agitando un foglio di<br />

carta.<br />

– Serra, mi sono permesso di fare un po’ di conti.<br />

– Conti su che cosa, cavaliere?<br />

– Lo studio: entrate e uscite.<br />

– Ebbene?<br />

– Un disastro. Sa quanto è entrato allo studio in parcelle<br />

durante tutto l’anno scorso?<br />

– Il 1956 non è stata una grande annata, lo ammetto.<br />

– È necessario prendere provvedimenti.<br />

– Del tipo?<br />

– Mi sospenderò dallo stipendio.<br />

– Ma lei non prende una lira.<br />

– Appunto, evidentemente non basta. Ho deciso che<br />

d’ora in poi sarò io a pagare l’affitto dello studio.<br />

– Tutto questo non ha senso, cavaliere. Lei dovrebbe ricevere<br />

uno stipendio dallo studio, non mantenerlo.<br />

– Difendo il mio posto di lavoro, ecco quello che faccio.<br />

16<br />

3<br />

– Ebbé, avvocato, cosa mi dice di questo caffè?<br />

Serra stava ancora portando la tazzina alla bocca ma sapeva<br />

già cosa avrebbe risposto. Mandò giù il primo sorso:<br />

– Da resuscitare i morti, appuntato Capurso.<br />

– A fare il caffè me l’ha insegnato un ergastolano. Uno<br />

che aveva ammazzato la moglie a colpi di ferro da stiro.<br />

– E qual è il segreto?<br />

Sconcerto sul volto dell’appuntato.<br />

– Non per ammazzare la moglie, Capurso, il segreto del<br />

caffè…<br />

– Prendere il caffè in grani e macinarlo molto lentamente.<br />

Poi, quando si mette la caffettiera sul fuoco, tenere<br />

la fiamma bassissima. Non avere fretta, insomma. E a<br />

noi, qui, il tempo non manca di certo.<br />

Il caffè di Capurso era un omaggio al passato in Polizia<br />

di Serra. All’avvocato era offerto dentro la guardiola, una<br />

piccola stanza mal illuminata con appena lo spazio per un<br />

tavolino e qualche sedia, che stava appena al di là del portone<br />

d’ingresso al carcere.<br />

La guardiola, questa delle Mantellate come quella di<br />

tutte le carceri, è una camera stagna: hai lasciato il mondo<br />

di fuori, ma non sei ancora dentro. Non si mette piede in<br />

un carcere - non da uomo libero, almeno - se non si ha il<br />

17


proprio nome nell’elenco dei visitatori della giornata. La<br />

guardiola serve appunto a questo: a verificare che il tuo<br />

nome sia nell’elenco, a controllare i tuoi documenti - a<br />

Capurso però era bastato il semplice accenno di Serra a<br />

tirar fuori la carta d’identità - ed è anche il posto dove il<br />

visitatore attende che, da dentro il carcere, giunga il passi<br />

definitivo.<br />

– Serra può entrare, – gracchiò il telefono. Capurso<br />

non aveva grande familiarità con lo strumento e teneva la<br />

cornetta premuta con forza all’orecchio.<br />

Posò la cornetta e all’altra guardia carceraria disse: –<br />

L’avvocato Serra l’accompagno io.<br />

Attraversarono cortili e corridoi, un vero labirinto. Capurso<br />

portava con sé un grande anello di ferro con decine<br />

di chiavi. Trovava una porta, pescava con gesto secco<br />

la chiave giusta tra tante ad occhi profani indistinguibili,<br />

apriva la porta. Poi c’era un’altra porta, e un’altra ancora.<br />

Mentre camminava, stava sempre un passo avanti a<br />

Serra.<br />

– Adelina Demontis è una sua paesana, vero avvocato?<br />

– Sì, è sarda.<br />

– Strano tipo, non sembra neppure una serva.<br />

– Perché, come sono le serve?<br />

– Bisogna distinguere. Ci sono le serve con le tette grandi<br />

e quelle con i baffi.<br />

– Se è per questo, io ne conosco che c’hanno tutt’e due:<br />

le tette e i baffi, voglio dire.<br />

– Insomma questa qui non la diresti mai una serva.<br />

– Come ti sembra che stia reagendo al carcere?<br />

– Devo ancora trovarlo uno che al carcere reagisce bene.<br />

La sua cliente, in ogni modo, è una di quelle che non<br />

18<br />

si lamentano. Solo con la suora si è lasciata andare e ha ripetuto,<br />

piangendo, che lei è innocente.<br />

L’ennesima porta. Questa volta Capurso aveva tirato<br />

fuori la chiave sbagliata. Incredulo, continuava a forzarla<br />

nella serratura. Poi si arrese e ne scelse dal mazzo un’altra.<br />

– Sto proprio rincoglionendo, – brontolò mentre la porta<br />

si apriva.<br />

Adelina Demontis non aveva le tette grandi, e neppure i<br />

baffi. Aveva capelli neri, leggermente crespi, che portava<br />

raccolti con una crocchia sulla nuca. Indossava il grembiule<br />

grigio delle carcerate. A vederla così Serra le dava<br />

trentacinque anni, ma poteva anche averne qualcuno di<br />

più. Era entrata nella saletta dei colloqui accompagnata<br />

da un secondino, che poi si era allontanato.<br />

Solo dopo essersi seduta porse la mano a Serra, di fronte<br />

a lei, all’altro lato del tavolo.<br />

Serra si guardò intorno, guardò alle quattro pareti.<br />

Avrebbe voluto levarsi l’impermeabile, ma nella stanza<br />

non c’erano attaccapanni. Si sfilò però i guanti di pelle e li<br />

poggiò sul tavolo. Sul tavolo adagiò anche la cartella.<br />

– È importantissimo che mi racconti con precisione<br />

quello che è successo, – esordì l’avvocato.<br />

Ora che l’aveva di fronte, Serra capiva cosa volesse dire<br />

Capurso. Adelina Demontis gli ricordava la sua professoressa<br />

di latino al ginnasio. Gli stessi occhi neri allungati, le<br />

sopracciglia folte, le labbra sottili. Ma soprattutto lo stesso<br />

sguardo diritto e severo che aveva la professoressa di<br />

latino quando s’infilava, torbida e dissoluta, nelle sue complicate<br />

fantasie di adolescente.<br />

19


– Avvocato, posso affidarle un messaggio per la famiglia<br />

dove lavoro?<br />

– Naturalmente.<br />

– Dica al professor Zanda che io sto bene.<br />

– Non ti preoccupare, il professore avrà il tuo messaggio.<br />

Ora, però, dimmi di quel giovedì.<br />

– Ho già detto tutto alla Polizia e non mi hanno creduto.<br />

– Dì a me, ora.<br />

– E anche se parlo? Tanto non serve a nulla.<br />

– Serve, Adelina, ti assicuro che serve.<br />

– Io quell’Amicucci l’ho trovato già morto. Disteso sul<br />

letto e morto.<br />

Ma non era l’inizio di un racconto. Ora Adelina Demontis<br />

taceva.<br />

– Perché eri andata a casa di Amicucci? – riprese l’avvocato.<br />

– Per il motivo che ho detto alla Polizia.<br />

– Adelina, sei in un brutto guaio. Puoi uscirne solo dimostrando<br />

che sei innocente.<br />

– Io non ho fatto nulla… non l’ho ucciso io….<br />

– Avevi in mano quella pietra però.<br />

– Io… non lo so bene quello che è successo. Ero andata<br />

da lui solo per avere soldi.<br />

– Tu ogni mese versavi tremila lire ad Amicucci: questo<br />

risulta alla Polizia. Era la restituzione di un prestito?<br />

– Hanno trovato il mio nome in quel suo schifoso quadernetto,<br />

vero?<br />

– Proprio così. Dunque tu non avevi ancora pagato il<br />

primo debito e pensavi di avere altri soldi. A che cosa ti<br />

servivano?<br />

20<br />

– A restituire la somma che dovevo a un certo Cocchiara,<br />

l’usuraio per cui Amicucci lavorava. È stato lo stesso<br />

Amicucci a propormelo.<br />

– A proporti che cosa?<br />

– Di darmi lui i soldi per Cocchiara. Diceva che per restituire<br />

a lui ci saremmo messi d’accordo.<br />

Adelina Demontis teneva le braccia conserte, sopra il<br />

tavolo. Non le si vedevano le mani ed erano proprio le<br />

mani, invece, che Serra avrebbe voluto vedere. Per un<br />

momento gli era balenata l’immagine di Adelina che cala<br />

il blocco di quarzo sulla testa di Amicucci.<br />

– È inutile, – riprese Adelina Demontis. – Anche lei non<br />

mi crede.<br />

– Che io ti creda non basta. Bisogna convincere i magistrati.<br />

E per convincerli bisogna far luce su ogni singolo<br />

punto. Chiarire, tra l’altro, il motivo per cui sei ricorsa a<br />

uno strozzino come Cocchiara.<br />

– Avevo bisogno di soldi.<br />

– C’entra qualcosa il processo a tuo fratello in questo bisogno<br />

di soldi?<br />

– Già lo sa anche lei che gli avvocati non lavorano gratis.<br />

– Tuo fratello è sotto processo per un sequestro di persona,<br />

se non sbaglio.<br />

– Mio fratello non c’entra nulla con questa faccenda.<br />

– Quanto ti aveva prestato Cocchiara?<br />

– Ventimila lire.<br />

– … che ti servivano per pagare la difesa di tuo fratello.<br />

– Per questo e per altro. Forse…<br />

Adelina Demontis s’interruppe, come se quel “forse”<br />

avesse potuto condurla a cose che non voleva dire.<br />

21


– Forse…? – incalzò Serra.<br />

– Forse è stata una leggerezza farmi prestare quei soldi.<br />

Già a questo punto Serra si era fatto l’idea che Adelina<br />

Demontis nascondesse qualcosa. Anche quello che la donna<br />

gli avrebbe detto più avanti su ciò che era successo<br />

quel giovedì sera – la porta di casa trovata aperta, il corpo<br />

di Amicucci riverso sul letto, il gesto irriflesso di sollevare<br />

quel blocco di quarzo – non lo avrebbe convinto. Però<br />

quel racconto, proprio perché sgangherato, tutto poteva<br />

essere tranne l’autodifesa di una colpevole.<br />

22<br />

4<br />

– Ho avuto modo di incontrare suo padre, sa?<br />

– A Cagliari, suppongo.<br />

– A Cagliari: nel 1930 o nel 1931. Ero ancora un suo collega<br />

a quei tempi, poi dopo qualche anno ho iniziato a insegnare…<br />

suo padre era già in pensione, e lo studio per<br />

cui lavoravo, lo studio dell’avvocato Defraia… magari lo<br />

ricorda, l’avvocato Defraia, aveva lo studio in Piazza Martiri,<br />

quasi di fianco a Tramer…<br />

– Ricordo di averlo sentito nominare da mio padre. Era<br />

un avvocato di grido…<br />

– Nel senso più letterale del termine… mi perdoni la<br />

battuta, ma le arringhe di Defraia… le sentivo così tonanti,<br />

così trombonesche, così lontane dalla mia idea di ciò<br />

che dovesse fare ed essere un avvocato. I giovani sono severi<br />

ed io ero giovane allora. Sa che ora, a lezione, mi ritrovo<br />

a citare passaggi interi delle sue arringhe? E quelle<br />

che mi sembravano allora volgari furbate di Defraia….<br />

Luciano Serra e Attilio Zanda conversavano amabilmente<br />

immersi in due vecchie comode poltrone. Le poltrone<br />

- così come le alte librerie a vetri, lo scrittoio a chiusure<br />

del mobilificio Marino Cao, i quadri di pittori sardi<br />

appesi alle pareti, e ogni altro arredo del suo studio - il<br />

23


professor Zanda le aveva portate con sé da Cagliari quando,<br />

circa dieci anni prima, era giunto a Roma a ricoprire la<br />

cattedra di Procedura Penale e, quasi in contemporanea,<br />

un seggio alla Camera nelle file della Democrazia Cristiana.<br />

Da quel momento nulla era cambiato nel suo studio,<br />

salvo i libri, naturalmente, che avevano continuato ad accumularsi,<br />

non solo ricoprendo sino al soffitto le pareti<br />

dello studio ma tracimando negli anditi e in altre stanze<br />

della confortevole casa di piazza Ungheria. Anche Peppinetta,<br />

la domestichina poco più che adolescente che qualche<br />

momento prima aveva servito ai due il caffè fumante<br />

su un vassoio d’argento, veniva dalla <strong>Sardegna</strong>, da Fraus<br />

esattamente, lo stesso paese in cui il professore era nato e<br />

dove la sua famiglia aveva sempre goduto di posizione e<br />

proprietà. Il fatto che da qualche giorno mancasse Adelina<br />

assegnava a Peppinetta un ruolo nuovo, che lei non<br />

aveva esitato a far proprio, e con alacrità. Preparare il<br />

caffè era stata una sua iniziativa, che aveva anticipato la richiesta<br />

del professore.<br />

La conversazione tra Luciano Serra e Attilio Zanda, che<br />

stava a quel punto virando sulla comune origine dei due,<br />

era iniziata dal messaggio di Adelina, di cui Serra si era<br />

fatto portatore. Poi era stato il professore ad esprimere<br />

sconcerto per la disgrazia capitata a Adelina: mai e poi<br />

mai avrebbe potuto credere che si fosse macchiata d’un<br />

delitto del genere. Anche il fatto che fosse potuta “cadere<br />

nelle reti d’un usuraio” lo lasciava esterrefatto. Conosceva<br />

Adelina da quand’era bambina. Anche lei come Peppinetta<br />

(e come ogni altra domestica di casa Zanda, passata<br />

e futura) era di Fraus. Stava con loro da un’infinità d’anni:<br />

ora ne aveva trentotto. Lasciava anche capire, il professo-<br />

24<br />

re, che se Adelina si fosse da subito rivolta a lui, invece che<br />

ai suoi parenti in <strong>Sardegna</strong>… insomma… avrebbe avuto<br />

un altro difensore, magari un principe del foro: questo almeno<br />

aveva capito Serra.<br />

Ora il professore si lasciava andare ai ricordi di quand’era<br />

un giovane penalista a Cagliari, rievocava persone e fatti<br />

della Cagliari di quegli anni, di cui Serra non sapeva<br />

quasi nulla.<br />

– Ma io, con questi miei discorsi, la sto annoiando…<br />

– Affatto. Mi diceva di mio padre, piuttosto.<br />

Quando il professor Zanda aveva nominato suo padre,<br />

Serra aveva sentito come un senso di colpa addensarsi alla<br />

base dello stomaco. Suo padre era morto l’anno prima,<br />

dopo due mesi d’ospedale, e Serra era arrivato a Cagliari<br />

solo per il funerale.<br />

– Sì, certo, il maresciallo Serra… era già in pensione, allora.<br />

Defraia si serviva di lui come una sorta di consulente,<br />

di “esperto di comportamenti criminali”, così diceva il<br />

vecchio Defraia.<br />

– Non avevo mai considerato mio padre sotto questa<br />

luce. E non mi pare che la Cagliari di allora fornisse poi<br />

molti spunti.<br />

– Lei sottovaluta la nostra bella città, avvocato. Certo,<br />

non si può parlare di criminalità organizzata, nulla a che<br />

fare con fenomeni come in Sicilia la mafia, e neppure come<br />

la vendetta barbaricina: pochi fatti di sangue, ma quei<br />

pochi, le assicuro, di bello spessore. Io stesso ricordo di<br />

aver difeso - con totale insuccesso, devo confessare - due<br />

giovani, due fratelli, che fecero letteralmente a pezzi una<br />

loro vecchia zia, mettendola poi dentro una valigia. Non<br />

avevano gradito l’intenzione della zia di nominare suo<br />

25


erede un terzo nipote. La valigia, ricordo, fu ritrovata tra<br />

i cespugli, in riva allo stagno di Molentargius. Insomma,<br />

credo che Defraia avesse il gusto di questo genere di cose,<br />

teneva la statistica dei morti ammazzati in città e suo padre<br />

era un po’ la memoria storica della questura di Cagliari.<br />

Il professor Zanda lo aveva accompagnato sino al pianerottolo.<br />

Mentre scendeva le scale, sentì dai piani più alti passi<br />

leggeri e veloci. La stessa giovane domestica che gli aveva<br />

servito il caffè, raggiunse Serra quand’era ormai nell’atrio<br />

del palazzo.<br />

– Avvocato, scusate un attimo, – lo trattenne. E allo<br />

sguardo interrogativo di Serra: – …magari Adelina le ha<br />

parlato di me. Come sta Adelina?<br />

– Sta come si può stare in carcere. La sua è una posizione<br />

difficile, molto difficile.<br />

– Credete che la faranno uscire? – C’era un’intensità<br />

nel modo in cui la ragazza gli chiedeva di Adelina che<br />

colpì Serra.<br />

– No, se non emergono fatti nuovi, – rispose.<br />

– Lei la deve aiutare avvocato, se non l’aiuta lei…<br />

– Io faccio quello che posso. Ma, ti ripeto, è un caso<br />

molto complicato…<br />

Peppinetta sembrava tesa. Guardava verso le scale, come<br />

se aspettasse o temesse l’arrivo di qualcuno.<br />

– Senza di lei, senza Adelina, io non ci posso stare in<br />

questa casa, – aggiunse.<br />

Serra ebbe l’impressione che Peppinetta avesse qualco-<br />

26<br />

s’altro da dire. La stessa precisa impressione l’aveva ricevuta,<br />

oltre che da Adelina, anche dal professore.<br />

Da Piazza Ungheria a Porta Maggiore c’erano una decina<br />

di fermate, e forse qualcuna di più. La Circolare<br />

scoppiava di gente. Arcigne facciate di palazzi ornate da<br />

titani di pietra con sulle spalle pesanti balconi di marmo<br />

scorrevano lungo viale Regina Margherita. Al Policlinico<br />

furono in molti a scendere: con buste di frutta, arance soprattutto,<br />

che portavano ai parenti in ospedale. Appena<br />

giù dalla Circolare molti aprivano l’ombrello, cadevano<br />

le prime gocce, g<strong>rosse</strong> e pesanti, anche se ancora rade.<br />

Fermata dopo fermata, il tram inghiottiva torme di passeggeri<br />

e altrettanti ne vomitava. E ogni volta si rinnovava<br />

il miracolo dei nuovi passeggeri che, compiuta l’impresa<br />

di salire sul tram strapieno e spinti dal lento movimento<br />

della folla compatta, riuscivano a scivolare verso il centro<br />

della vettura. A regolare tutto questo, un’intelligenza collettiva<br />

da termitaio, al servizio della quale il singolo passeggero<br />

metteva solo la sua disperata volontà di raggiungere<br />

l’uscita.<br />

Serra scese dal tram a Porta Maggiore, accolto da una<br />

pioggia battente. Sollevò il bavero dell’impermeabile, calcò<br />

il cappello in testa e si diresse a grandi passi verso lo studio.<br />

27


5<br />

E poi c’era Marianna, la fedele Marianna. Come altro<br />

chiamarla, se no?<br />

Si erano conosciuti nel mezzo di una fila alla biglietteria<br />

del Quirino. Davano Via col Vento. Era una domenica di<br />

Novembre e Serra aveva passato il primo pomeriggio a seguire<br />

per radio i risultati del calcio, Catania-Cagliari: 0-2.<br />

Poi era uscito con l’idea di fare due passi, ma una pioggia<br />

battente l’aveva sorpreso in via Nazionale. Nonostante la<br />

fila, aveva deciso di entrare al Quirino, per poi pochi minuti<br />

dopo pentirsene.<br />

– Basta, mi sono stufato: me ne vado, – aveva bofonchiato<br />

tra sé e sé, ma a voce abbastanza alta.<br />

– Abbia pazienza, – era intervenuta lei, – non si pentirà,<br />

è un film bellissimo.<br />

– L’ha già visto?<br />

Marianna era arrossita: – Questa è la quarta volta.<br />

Avevano chiacchierato tutto il tempo della fila ed era<br />

venuto fuori che lei lavorava nel ristorante della madre,<br />

in via Tacito, ai Prati.<br />

Marianna aveva occhi grandi e scuri e labbra carnose.<br />

Al momento dell’incontro con Serra, aveva appena rotto<br />

un fidanzamento di anni e passava tutti i suoi pomeriggi al<br />

29


cinema. Alle scene d’amore le scendevano i lucciconi, non<br />

tanto perché si immedesimasse nella storia sullo schermo<br />

ma per certi dettagli minuti e apparentemente insignificanti<br />

che, attraverso vie misteriose, finivano per parlarle<br />

di lei. La prendeva in quei momenti un intenerimento per<br />

se stessa e per la sua esistenza, così lontana dalla vita appassionata<br />

e piena di trasporto dei personaggi dei film.<br />

Era passato solo un giorno da quell’incontro e Serra si<br />

era presentato al ristorante di via Tacito. Aveva scelto un<br />

tavolo d’angolo in fondo alla sala e dopo essersi consultato<br />

con un cameriere dai capelli bianchi aveva ordinato spaghetti<br />

alla carbonara e un’insalata. Marianna era apparsa<br />

solo alla fine del pranzo, portandogli la frutta. Aveva atteso<br />

che fosse lui a mostrare di riconoscerla. Dopo una settimana<br />

in cui ogni giorno Serra era andato a cenare in via<br />

Tacito, avevano cominciato a uscire insieme. Si vedevano<br />

già da qualche mese, quando lei aveva accettato di passare<br />

una sera da lui. Serra viveva in un piccolo appartamento<br />

non lontano da Piazza Fiume. In cucina Serra aveva stappato<br />

una bottiglia di spumante. Quando era tornato in<br />

soggiorno, l’aveva trovata senza scarpe che curiosava tra i<br />

suoi libri. Marianna aveva tirato fuori da uno scaffale Per<br />

chi suona la campana. – È bello come il film? – gli aveva<br />

chiesto. Poi, senza aspettare la risposta, aveva aperto il libro<br />

a caso e aveva letto a voce alta dove Maria entra nel<br />

sacco a pelo di Robert Jordan. Vieni dentro, coniglietto,<br />

non aver paura, sì, sì, lo desideravo anch’io, ora non mi<br />

amerai più, ti amo, ti amavo da sempre e non ti avevo mai<br />

visto. Avevano fatto l’amore in quella stessa stanza, sul divano.<br />

Dopo lei aveva detto: – Se avessi saputo che far l’amore<br />

con te era così, non avrei aspettato tanto.<br />

30<br />

Con i soliti quadri alle pareti e il sobrio decoro dei locali<br />

romani che vogliono un poco distinguersi dalle trattorie<br />

a buon prezzo, il ristorante di via Tacito era diventato<br />

per Serra uno spazio domestico. Non che ci fosse<br />

nel suo modo di fare qualcosa a distinguerlo da un normale<br />

habitué. Sedeva ogni sera nel tavolo d’angolo della<br />

prima volta e a servirlo era lo stesso cameriere dai capelli<br />

bianchi che, come accadeva a tutti gli assidui, ora Serra<br />

chiamava Ottavio. Seduto in fondo alla sala, Serra osservava<br />

compiaciuto Marianna girare tra gli avventori.<br />

Solo verso le undici, con la cucina ormai chiusa, lei si sedeva<br />

al suo tavolo, ed era così che di solito concludevano<br />

la serata. Sempre più spesso, negli ultimi tempi, a cena<br />

gli faceva compagnia Carruezzo. Eternamente a<br />

dieta, il cavaliere si rifaceva suggerendo a Serra i piatti<br />

più gustosi:<br />

– Perché non prende questi fegatelli?<br />

– E queste fave al guanciale non la solleticano?<br />

Poi gli chiedeva un resoconto puntuale, se i fegatelli<br />

erano stati rosolati al punto giusto, ad esempio, o se in<br />

cucina non erano andati troppo pesanti col pepe. Mostrava<br />

una virtuosistica capacità Carruezzo, nelle sue apparizioni<br />

in via Tacito, di allontanarsi dal tavolo di Serra<br />

un attimo prima dell’arrivo di Marianna.<br />

Al ristorante di via Tacito, Serra e Carruezzo avevano<br />

passato la sera dell’ultimo dell’anno, soli all’inizio e poi,<br />

quando tutti i clienti avevano lasciato il locale, in compagnia<br />

di Marianna, della madre di lei, e di Ottavio, il cameriere<br />

dai capelli bianchi. Ottavio, molto richiesto in<br />

cresime e matrimoni per una sua commovente interpretazione<br />

di Anema e core e grande appassionato d’opera,<br />

31


aveva cantato Di Provenza, facendosi poi trascinare da<br />

Carruezzo in un duetto dalla Bohème, quello famoso del<br />

primo atto, con Carruezzo nella parte di Mimì, che aveva<br />

eseguito con voce appassionata e a occhi socchiusi.<br />

Serra e Carruezzo, seduti al solito tavolo, stavano ora<br />

rievocando quella serata, ma il ricordo si era impantanato<br />

su un particolare controverso. Proprio in quel momento,<br />

con miracoloso tempismo, e con sull’avambraccio in acrobatico<br />

equilibrio due piatti di spaghetti al ragù, Ottavio si<br />

era presentato al loro tavolo.<br />

Fu Carruezzo che gli espose il problema: – Primo atto<br />

della Bohème, Ottavio, proprio l’inizio dell’opera…<br />

– Nei cieli bigi guardo fumar dai mille comignoli Parigi…<br />

– intonò il cameriere.<br />

– Un poco più avanti, – disse Carruezzo. Poi anche lui<br />

cantando: – L’amore è un caminetto che sciupa troppo…<br />

– …e in fretta!<br />

– …dove l’uomo è fascina…<br />

– …e la donna è l’alare…<br />

– Ora continui lei. È questo il punto, – disse Carruezzo.<br />

E Ottavio, in sicurezza: – … l’uno brucia in un soffio…<br />

Carruezzo assunse un’aria di trionfo: – Ha visto Serra?<br />

Ha visto? Soffio, soffio, non lampo come si ostina a dire<br />

lei, che poi è anche stonato.<br />

– Mi arrendo, cavaliere. Ha vinto.<br />

Mangiarono gli spaghetti al ragù parlando di ragù. Per<br />

meglio dire, il cavaliere parlò di ragù ricordando quello<br />

che preparava sua madre, la signora Jolanda, la domenica.<br />

Carne magra, mista di maiale e manzo, e carote tritate,<br />

tritate finissime, e poi fuoco lento, un ribollire lento e<br />

32<br />

gorgogliante, di ore. Sì, veramente un gran ragù quello<br />

della signora Jolanda.<br />

33


6<br />

Bizzarro e imprevisto l’incontro con il cavaliere, ma ancora<br />

più bizzarra la quasi contemporanea riapparizione<br />

di Nanni Er Frocione.<br />

Ciorciolini Giovanni, alias Er Frocione, apparteneva a<br />

una stagione che Carruezzo chiamava “la stagione delle<br />

grandi inchieste”. Carruezzo pensava a quegli anni come<br />

al periodo, forse l’unico della sua vita, in cui si era sentito<br />

vigorosamente vivo. Nei suoi racconti, d’altra parte, il<br />

passato, qualunque passato, manteneva sempre un respiro<br />

epico, come se un tono commosso e una manierata magniloquenza<br />

fossero attributi indispensabili di qualsiasi<br />

rievocazione. Le “grandi inchieste” condotte da Carruezzo<br />

e Serra ai tempi dell’oscura e lutulenta Divisione Affari<br />

Generali e Riservati erano state in realtà soltanto due.<br />

Nella prima, che si era svolta a Addis Abeba nel 1937, il<br />

colpevole si era alla fine rivelato da sé, riuscendo poi a dileguarsi.<br />

La seconda, di due anni successiva, era stata<br />

bloccata dalla stessa autorità che l’aveva commissionata -<br />

forse Mussolini in persona - proprio nel momento in cui<br />

Serra stava per mettere le mani sull’assassino. Ciorciolini<br />

Giovanni aveva avuto un ruolo non marginale in questa<br />

seconda vicenda. Sospettato di essere lui l’assassino, si era<br />

poi rivelato innocente: di quel reato, perlomeno, perché<br />

35


altri ne aveva commessi legati alla sua attività di ladro e<br />

scassinatore. Ma di questi altri non aveva dovuto dar conto<br />

nella circostanza, grazie al magnanimo intervento del<br />

cavaliere. Quanto al soprannome, lo stesso Ciorciolini l’aveva<br />

fatto proprio, usandolo come una sorta di nome di<br />

battaglia. – Ciorciolini Giovanni, noto Er Frocione, – si<br />

presentava a volte, ottenendo anche, per come se ne servivano<br />

i colleghi malavitosi, il miracoloso risultato di depurarlo<br />

dalle usuali risonanze.<br />

Insomma, Ciorciolini era capitato nello studio di Serra<br />

solo pochi giorni dopo l’incontro di quest’ultimo col cavaliere.<br />

Forse il nome sulla targa gli aveva ricordato qualcosa,<br />

o forse non era un caso che, avendo continuamente<br />

a che fare con galere tribunali e avvocati, Ciorciolini si<br />

fosse imbattuto in Serra. Il quale Serra, appena se l’era visto<br />

davanti, il gran naso rubizzo e l’aria del piccoletto che<br />

sa farsi rispettare, l’aveva immediatamente riconosciuto.<br />

Subito era stato chiamato il cavaliere, e l’agnizione aveva<br />

assunto toni festosi. C’era voluto poco a Carruezzo per<br />

decretare che Ciorciolini dovesse lavorare per loro: un secondo<br />

«giovine di studio», aveva detto ridacchiando. Più<br />

concreto, Ciorciolini aveva fatto notare di dover mandare<br />

avanti la sua attività, ma che in ogni circostanza in cui ci<br />

fosse stato bisogno della sua esperienza specifica e dei<br />

suoi servizi sarebbe stato ben felice…<br />

Ciorciolini si era comprato un quaderno a quadretti<br />

grandi con la copertina nera, di quelli che si usavano in<br />

prima elementare, e su esso aveva scritto a matita le sue<br />

scoperte su Pompeo Amicucci, il cravattaro. C’era volu-<br />

36<br />

ta una giornata intera a stendere quella relazione e ora<br />

avrebbe voluta leggerla a Carruezzo e Serra.<br />

– Raccontacela tu con parole tue, – lo bloccò Serra.<br />

– Ma capo, se non leggo rischio di confondermi.<br />

– Tu che ti confondi, Nanni, ma da quando in qua?<br />

– Insomma, da quello che ho sentito in giro, Pompeo<br />

Amicucci era uno che a parte la zia e il canarino non guardava<br />

in faccia nessuno. Pagare e zitti, la sua regola. Uno<br />

preciso. Non di quelli che stanno ogni momento a minacciare<br />

e a sbraitare. Tu paghi: bene. Non paghi: il giorno<br />

dopo ti trovi la porta del negozio bruciata, oppure un<br />

braccio rotto, cose così. Niente di più e niente di meno.<br />

– Un vero professionista, insomma.<br />

– Non proprio, non più come un tempo, almeno. Ultimamente<br />

aveva preso una certa strada … da qualche mese<br />

i lavori delicati, rompere le ossa a qualcuno tanto per<br />

intenderci, o altre cose del tipo, non li faceva più lui da se<br />

medesimo, come dev’essere…<br />

– Le inderogabili regole del mestiere, suppongo.<br />

– Lei ci ride, capo. Ma è proprio così. Se no, mi dice lei<br />

che differenza c’è tra l’esattore della Romana Elettrica,<br />

per di’ un esempio, e l’esattore dei cravattari?<br />

– Ciorciolini ha ragione, – intervenne Carruezzo. –<br />

Ogni subcultura criminale ha i suoi codici.<br />

– Il fatto è che, se tu il lavoro su quelli che hanno da pagare<br />

e non pagano, lavoro di pressione, chiamiamolo così,<br />

lo affidi a qualche bulletto e al bulletto gli scappa la<br />

mano… allora è un casino, e agli strozzini a loro gli piace<br />

lavorare sul tranquillo.<br />

– Sta dicendo Ciorciolini, – tradusse Carruezzo, – che<br />

anche il mondo dell’usura ha una sua deontologia e che il<br />

37


lavoro di quelli come Amicucci deve trovare un suo punto<br />

di equilibrio tra lassismo ed eccessi…<br />

– Come ha detto il cavaliere! – confermò con entusiasmo<br />

Ciorciolini.<br />

Serra iniziava a disperare che la relazione di Ciorciolini,<br />

intrecciandosi alle considerazioni di Carruezzo, potesse<br />

giungere al punto.<br />

– Fammi capire, Nanni. Vuoi dire che ad Amicucci gli<br />

hanno sfondato la testa perché qualche suo scherano è<br />

andato troppo avanti col lavoro di pressione, come lo<br />

chiami tu? È questo che vuoi dire?<br />

– No, voglio dire che Amicucci negli ultimi tempi aveva<br />

perso la fiducia dei suoi datori di lavoro, degli strozzini in<br />

altre parole. Di questo ne ho parlato anche col Papa… lo<br />

chiamano così perché è il più vecchio cravattaro sulla<br />

piazza …<br />

– Nanni, al dunque, – lo sollecitò Serra.<br />

– Se non v’interessa…<br />

– C’interessa, c’interessa e come, – intervenne rassicurante<br />

Carruezzo.<br />

– Per farla breve, il Papa ha detto che lo sapevano tutti<br />

nell’ambiente dell’idea di Amicucci di mettersi anche lui<br />

a dar soldi a strozzo, e a qualcuno questa idea non gli piaceva.<br />

Seguì una lunga pausa, come se Ciorciolini avesse terminato,<br />

e invece:<br />

– Ce ne sta un’altra, però, su Amicucci.<br />

Fatto loquace dall’interesse che vide riaccendersi nei<br />

volti dei suoi interlocutori - in quello di Carruezzo, in particolare<br />

- Ciorciolini si addentrò in una dettagliata disamina<br />

delle fonti, fonti primarie e fonti secondarie, e in parti-<br />

38<br />

colare la lunga conversazione con Pet<strong>tacchi</strong>oni Tito, borseggiatore<br />

professionista operante in zona Termini. Qui<br />

c’era stata una digressione del Frocione, che si era dilungato<br />

a spiegare come Pet<strong>tacchi</strong>oni fosse diventato borsaiolo<br />

rifinito dopo essere stato a bottega da Cacciapuoti:<br />

– Un vero maestro, – aveva sospirato con rimpianto il Frocione.<br />

Insomma, tornando a noi, Pet<strong>tacchi</strong>oni era uno<br />

che Amicucci lo conosceva bene. E da Pet<strong>tacchi</strong>oni il<br />

Frocione aveva saputo che cosa lo poteva veramente fregare<br />

Amicucci e fargli perdere giudizio e prudenza: – Ad<br />

Amicucci, gli piaceva la figa.<br />

– Oh Nanni, – era intervenuto Carruezzo, – non è che<br />

ora tutti quelli che gli piacciono le donne finiscono col<br />

cranio sfondato.<br />

– Lui però, quando andava a riscuotere, se c’era qualcuna<br />

che faceva al caso, sui soldi ci metteva anche una<br />

pietra sopra, soldi che non erano suoi…<br />

Che delusione Amicucci, pensò Carruezzo. Entrato nei<br />

loro discorsi con l’allure del professionista esemplare, ne<br />

usciva alla fine come un elemento inaffidabile, che i suoi<br />

datori di lavoro, se non fosse morto, avrebbero certamente<br />

scaricato. Vittima di una passione per la figa, Pompeo<br />

Amicucci, che gli era risultata fatale, facendogli perdere<br />

misura e punti di riferimento. Da quella passione Eupremio<br />

Carruezzo, nella sua nivea verginità, si era sempre tenuto<br />

lontano, pur intuendone oscuramente la potenza<br />

devastante.<br />

39


7<br />

L’aveva sempre colpito il sonnolento clima impiegatizio<br />

degli uffici della questura: gli schedari polverosi, i fascicoli<br />

accatastati sui tavoli, le file di persone in attesa nei corridoi.<br />

Sapeva però che, oltre la facciata, addentrandosi negli<br />

oscuri meandri del palazzo, sarebbe stato facile cogliere,<br />

già solo nel risuonare di voci minacciose dietro le porte<br />

chiuse, quel tratto di crudezza che immancabilmente porta<br />

con sé la repressione del crimine. Era da molti anni che<br />

Serra non metteva piede in questura, a pensarci bene dal<br />

giorno in cui aveva lasciato la Mobile. Ricordava in tutti i<br />

particolari il suo ultimo incarico prima di essere comandato<br />

al Ministero dell’Interno. Doveva indagare sull’improvvisa<br />

sparizione di un piccolo impresario edile del<br />

Prenestino: la moglie temeva che l’avessero ammazzato.<br />

Poi il piccolo impresario si era fatto vivo con Serra per dire<br />

che stava con un’altra donna, in un’altra città, che lo denunciassero<br />

pure per abbandono del tetto coniugale, lui a<br />

casa non sarebbe tornato. E quando Serra era andato dalla<br />

moglie a spiegarle la situazione, la donna aveva iniziato<br />

a urlargli contro, che lui era un poliziotto, la legge cioè, e<br />

che la legge doveva restituirle il marito.<br />

Seguendo le indicazioni del piantone, Serra percorse<br />

un lungo corridoio finché trovò su una targhetta smaltata<br />

41


il nome che cercava: Commissario Egidio Mastellone, Vice<br />

Capo della Squadra Mobile. Bussò e attese. Poi, mentre<br />

provava di nuovo a bussare, gli giunse da dietro una voce<br />

conosciuta: – Chi non muore si rivede.<br />

Serra si voltò e vide Mastellone: – Eccolo qui il vice capo<br />

della Mobile! – esclamò.<br />

– Era da molto che m’aspettavi? – disse il commissario.<br />

– Appena arrivato.<br />

Mastellone aprì la porta del suo ufficio e fece a Serra<br />

cenno di sedere.<br />

– Allora Luciano? Quanto tempo… ma ti rendi conto<br />

di quanto tempo è passato? – Non aspettò la risposta: –<br />

Ti ho seguito in questi anni, sai. So tutto di te.<br />

– Tutto che cosa?<br />

– Beh, che hai lasciato la Polizia, ad esempio. Non che<br />

ne sia rimasto sorpreso… Luciano Serra, un poeta… ti<br />

pare che un poeta può passare la vita a giocare a guardie e<br />

ladri.<br />

– Giocare a guardie e ladri mi piaceva.<br />

– E allora?<br />

– Non mi piaceva quando il gioco finiva, le guardie se<br />

ne tornavano a casa e ai ladri invece gli toccava andare in<br />

prigione. A quel punto m’immalinconivo.<br />

– Ho ragione che sei un poeta. – Gli puntò contro l’indice:<br />

– Tu scrivi romanzi.<br />

– No, faccio l’avvocato.<br />

– Lo so che fai l’avvocato. Se è per questo so anche perché<br />

sei qui: Adelina Demontis.<br />

Dunque era vero quel che gli avevano detto: Mastellone<br />

lo seguiva da vicino il caso Amicucci, anche se l’incarico<br />

delle indagini l’aveva un certo Amitrano.<br />

42<br />

– Adelina Demontis… – riprese Mastellone. – Una tua<br />

paesana, a giudicare dal cognome.<br />

– Una mia paesana e una mia cliente.<br />

– Lo so, lo so… una tua cliente.<br />

Ci fu a questo punto una pausa, come se Mastellone<br />

dovesse raccogliere le idee:<br />

– O la tua Adelina è una totale mentecatta, la qual cosa<br />

detto tra parentesi non mi pare… solo una mentecatta<br />

può riuscire a farsi sorprendere accanto al cadavere<br />

ancora caldo di qualcuno che non ha ucciso, per di più<br />

con l’arma del delitto in mano, e poi dare una giustificazione<br />

della sua presenza in quella casa, in quel momento<br />

che… ammetterai anche tu, non sta né in cielo né in<br />

terra.<br />

– Oppure?<br />

– Oppure è lei che ha ammazzato Amicucci. L’ha ammazzato<br />

e un momento dopo è entrata la portinaia: tutto<br />

qua.<br />

– E il movente?<br />

– Quello classico in situazioni come queste.<br />

– Cioè a dire?<br />

– Qualche volta Amicucci sapeva essere meno esoso,<br />

soprattutto in cambio di gentilezze femminili, lo faceva,<br />

l’ha fatto anche con la nostra Adelina. Lei forse in un primo<br />

tempo era disponibile, sono andati in camera da letto:<br />

poi invece non lo era più, disponibile. Ma Amicucci a<br />

questo punto era già partito, la butta sul letto, le salta addosso,<br />

il blocco di quarzo sul comodino… un classico. E<br />

magari una legittima difesa. Se è così, faresti bene a convincerla<br />

a parlare.<br />

– Perché non credere a quello che dice lei?<br />

43


– Per due motivi. Perché non ci spiega bene che ci faceva<br />

da Amicucci, su questo punto non è convincente. E<br />

poi… sostenere di avere trovato la porta accostata… ammettendo<br />

che sia stato un altro ad ammazzare Amicucci,<br />

mi dici perché uscendo dall’appartamento avrebbe dovuto<br />

lasciare la porta aperta…<br />

– Magari ha provato a chiudere, o ha creduto di farlo…<br />

una serratura difettosa.<br />

– Sì, però la portinaia l’ha trovata chiusa, la porta.<br />

– Adelina dice di essersela chiusa alle spalle quando è<br />

entrata…<br />

– E questa volta, invece, la serratura funziona perfettamente…<br />

– Capita con le serrature difettose… a volte s’incantano,<br />

altre volte no.<br />

– Il fatto è però che quella serratura è a posto, Luciano,<br />

questa è la verità…<br />

A Serra venne da chiedersi se, rimanendo in Polizia, sarebbe<br />

finito come Mastellone.<br />

E com’era finito Mastellone? Sicuramente meglio di lui,<br />

avvocaticchio senza clienti.<br />

A Mastellone piaceva essere vicecapo della Mobile: lo si<br />

capiva da come, sedendosi sulla poltrona, aveva abbracciato<br />

con sguardo avvolgente l’ufficio. Lo si capiva dal<br />

modo in cui aveva sollevato il telefono, “due caffè” aveva<br />

detto, non una parola di più, e dopo tre minuti i caffè erano<br />

arrivati.<br />

– Luciano, mi stai ascoltando?<br />

– Sì, certo… la serratura difettosa… comunque non<br />

penso che abbiate elementi sufficienti per tenerla dentro.<br />

Presenterò al magistrato un’istanza di scarcerazione.<br />

44<br />

– Tu presenta… d’altronde ti pagano per questo, no?<br />

Quella sera Marianna preparò lei la cena nell’appartamento<br />

di lui. A Serra un cliente aveva regalato una grossa<br />

lepre che aveva personalmente fatto fuori a colpi di doppietta<br />

nei monti della Tolfa. Marianna la servì in salsa di<br />

pomodoro e capperi.<br />

Cenavano in cucina.<br />

– Una donna di servizio intorno ai trentacinque trovata<br />

con un pesante soprammobile in mano, a casa di uno<br />

strozzino, nella camera da letto dello strozzino, accanto<br />

al suo cadavere. Colpevole o innocente?<br />

– Mi mancano troppi elementi, – disse lei.<br />

– Quali ad esempio?<br />

– Cosa ci faceva la donna nell’appartamento dello strozzino?<br />

– Lo strozzino le doveva dare dei soldi. Soldi a strozzo,<br />

appunto.<br />

– Perché aveva bisogno di quei soldi?<br />

– Doveva pagare l’avvocato del fratello, accusato di un<br />

sequestro di persona.<br />

– Sempre esosi voi avvocati. Altra domanda: da chi era<br />

a servizio la donna in questione?<br />

– E questo cosa c’entra?<br />

– Tu, rispondi alla domanda.<br />

– Era a servizio da un noto professore di diritto e onorevole<br />

democristiano.<br />

– Il professore c’entra qualcosa col delitto.<br />

– Come fai a dirlo?<br />

– Intuito femminile.<br />

45


8<br />

La portinaia era stata la prima fonte di notizie, una fonte<br />

generosa, anche se, a pensarci bene, d’importante non<br />

aveva detto nulla. Poi Carruezzo aveva allargato l’inchiesta<br />

e ora ne riferiva a Serra con lo stesso rigore classificatorio<br />

con cui aveva suonato, piano per piano, porta per<br />

porta, il campanello di ogni inquilino dello stabile di via<br />

Vetulonia, partendo dal primo piano, dal dirimpettaio<br />

del morto, un tale Venturini, pensionato, che secondo le<br />

indicazioni della portinaia, avrebbe dovuto essere in casa<br />

e invece non gli aveva aperto: cosa tutt’altro che strana,<br />

come gli aveva spiegato la portinaia quando alla fine del<br />

giro Carruezzo era ripassato da lei, visto che Venturini<br />

apriva o non apriva a seconda di come gli girava. Migliore<br />

fortuna aveva avuto ai piani superiori. Ma prima di relazionare<br />

ordinatamente su questi, dal basso all’alto, Carruezzo<br />

premetteva a Serra qualche dettaglio sparso, avventurandosi<br />

per alcuni inquilini ad esprimere il sospetto<br />

- dettato prevalentemente da considerazioni fisiognomiche<br />

- di una qualche loro propensione al delitto. Del geometra<br />

Frigerio, ad esempio, del terzo piano - da casa sua,<br />

forse Serra lo ricordava, era stata avvertita per telefono la<br />

polizia - aveva notato lo spiccato prognatismo. Non che<br />

questo volesse dire che Frigerio c’entrasse nella faccen-<br />

47


da… epperò il prognatismo porta con sé un sospetto di<br />

crudeltà sadica, come la storia dimostra, d’altra parte: basti<br />

pensare a Lui, e a come brandiva Lui il mascellone dal<br />

balcone di Palazzo Venezia. S’inoltrava, Carruezzo, preliminarmente,<br />

anche sull’ordine che regnava in casa Mangiarotti,<br />

trivano più cucina al secondo piano; parlava del<br />

tinello tutto specchi, della collezione di bamboline andaluse<br />

dentro una vetrinetta, dell’odore di cavolfiori e pesce<br />

lesso, di come i rispettabili coniugi Mangiarotti a malapena<br />

conoscessero il loro coinquilino - “buon giorno e<br />

buonasera, questo è tutto, e certe volte neppure rispondeva.”<br />

E alla domanda se sapevano dell’attività di Amicucci,<br />

un’espressione scandalizzata, ché in tutta la loro<br />

vita non avevano mai fatto un debito.<br />

A sentire di questo disinvolto entrare e uscire dagli appartamenti,<br />

Serra ebbe un dubbio.<br />

– Mi tolga una curiosità, cavaliere. Ma cosa ha raccontato<br />

ai Mangiarotti per entrare a casa loro, come si è presentato?<br />

– Lei non ci crederà, Serra, ma le vecchie tessere di<br />

quand’ero in servizio fanno ancora la loro impressione.<br />

– Ma si rende conto?<br />

– Mi rendo conto, mi rendo conto.<br />

Comunque, dopo il primo piano, Carruezzo era passato<br />

al secondo, dove oltre che con i Mangiarotti aveva parlato<br />

con la signorina Zanetti. La signorina Zanetti, però,<br />

tendeva a lasciarla fuori dai sospetti: poco più che nana,<br />

oltre gli ottanta, il blocco di quarzo, l’arma del delitto,<br />

non sarebbe neppure riuscita a sollevarlo.<br />

Diversamente che agli altri piani, c’erano al secondo<br />

non due ma tre appartamenti, anche se da quest’ultimo<br />

48<br />

nessuno aveva risposto alla sua scampanellata. Sul relativo<br />

inquilino, comunque, qualche informazione gli aveva<br />

dato la portinaia. Non più di trent’anni, suonava la tromba<br />

in un locale notturno dalle parti di Via Merulana, musica<br />

che aveva imparato da certi soldati americani, tornava<br />

a casa all’alba e di giorno dormiva.<br />

– Un bel tipo, ha detto la portinaia, magari un po’ imbambolato,<br />

ma un bel tipo… un po’ come lei, Serra.<br />

– Che c’entro io?<br />

– Anche lei appartiene al genere del bel tipo un po’ imbambolato.<br />

– Dice? Non ho più trent’anni, però.<br />

– Appunto per questo sarebbe ora che si sistemasse.<br />

– Questo vale anche per lei, cavaliere.<br />

Carruezzo sospirò: – Io sono ormai fuori tempo massimo.<br />

Poi al terzo piano. Il geometra Frigerio, scapolo, e di<br />

fronte a Frigerio tal Manighetti, vedovo con domestica e<br />

impiegato di concetto alla direzione provinciale delle poste<br />

di Piazza San Silvestro. Manighetti - a cui Carruezzo<br />

(a Serra l’aveva ammesso) si era presentato con la più rutilante<br />

e colorita delle sue tessere scadute, quella di primo<br />

dirigente della seconda sessione della Divisione Affari<br />

Generali e Riservati del Ministero dell’Interno - lo aveva<br />

fatto accomodare in tinello e intrattenuto in una funerea<br />

conversazione su temi postali. – Vede, signor commissario,<br />

– Carruezzo aveva avuto un tuffo al cuore a<br />

sentirsi chiamare commissario, – lei non ci crederà, ma la<br />

quadratura dei conti a fine mese è un’arte. I dati che ci arrivano<br />

dagli uffici postali, dagli sportelli, sono spesso<br />

caotici, dati bruti che vanno interpretati, centralizzati, ri-<br />

49


condotti a superiori esigenze contabili. Deve credermi, se<br />

le dico che in una chiusura dei conti ben fatta c’è poesia,<br />

è l’ordine che vince sul caos, un po’ mi scusi come quando<br />

voi poliziotti, – altro tuffo al cuore di Carruezzo, –<br />

prendete un assassino.<br />

– Ricordo male, cavaliere, – l’aveva a un certo punto interrotto<br />

Serra, – o quella tessera degli Affari Generali che<br />

avete usato per entrare a casa di Manighetti, aveva stampato,<br />

al centro, in bella vista, un fascio littorio?<br />

– No, ricorda bene.<br />

– E quel Manighetti… non ha avuto niente da ridire<br />

quando gliela avete mostrata?<br />

– Assolutamente nulla. Mi pare anzi che l’abbia osservato<br />

compiaciuto, il fascio.<br />

Il Ribolliti Cesare, del quarto, gestore e proprietario di<br />

un negozio di ferramenta in Via Sannio, gli era parso un tipo<br />

ordinato e preciso, quello che d’altra parte ci si aspetta<br />

da chi deve districarsi in un negozio che è un labirinto di<br />

oggetti diversi tra loro per forma e dimensioni ognuno dei<br />

quali va immediatamente individuato a richiesta del cliente.<br />

Un tipo nel complesso grigio e anonimo, – Anche se,<br />

anche se… – l’anche se del cavaliere a proposito di Ribolliti<br />

aveva fatto riferimento alla presenza-assenza della moglie<br />

del Ribolliti, tale Ribolliti Lavinia, assente fisicamente<br />

in quella circostanza ma evocata dai discorsi del marito<br />

con una intensità che lo aveva colpito.<br />

Carruezzo concluse la sua relazione diversamente da<br />

come l’aveva iniziata, in modo piuttosto sommario cioè,<br />

quasi che salendo di piano scemassero in proporzione le<br />

possibilità di coinvolgimento nel fattaccio.<br />

Superato il quarto, solo i due appartamenti del quinto<br />

50<br />

parvero a Carruezzo degni di qualche attenzione: quello<br />

del signor Antonelli, commesso alla farmacia Vaticana (il<br />

figlio, un adolescente occhialuto e pustoloso che si mangiava<br />

furiosamente le unghie, gli era parso anche lui fisiognomicamente<br />

sospetto) e quello della signora Barberis,<br />

che avendo in passato calcato le scene come mezzo soprano<br />

ora si barcamenava dando lezionuccie di canto. Al sesto<br />

nulla d’interessante, due appartamenti vuoti, o meglio<br />

uno solo era vuoto, per colpa del proprietario che, secondo<br />

la portinaia, chiedeva troppo di pigione e così l’appartamento<br />

nessuno se lo pigliava; l’altro, gli inquilini, marito<br />

e moglie, anziani, erano fuori da mesi: la figlia, residente<br />

a Viterbo, aveva scodellato un pupo e per tutto il primo<br />

periodo aveva voluto la sua mamma vicina a lei, che tirare<br />

su un bambino non è uno scherzo, diceva la portinaia. E<br />

infine al settimo, altro appartamento vuoto (stesso proprietario<br />

di quello, sfitto, del sesto) e poi, dirimpetto, un<br />

Di Palma, impiegato alla Centrale del Latte, nel quale<br />

Carruezzo aveva ravvisato, ancora una volta sommariamente,<br />

qualcosa di “fosco”.<br />

Si era poi spinto sino alla terrazza comune, dove gli inquilini<br />

avevano diritto a stendere i panni, anche se non<br />

tutte ne approfittavano, c’erano quelle - diceva la portinaia<br />

- che facevano le signore e non gli piaceva farsi vedere<br />

con i panni in mano.<br />

– Avendo parlato con la portinaia, immagino le abbia<br />

chiesto della sera del delitto, chi è entrato e chi è uscito<br />

dallo stabile…<br />

– Questo volevo sapere da lei, prima di tutto. È solo dopo<br />

averla sentita, che ho pensato ad allargare l’indagine<br />

agli inquilini.<br />

51


– Vuole dire che c’è qualcosa di nuovo nel racconto<br />

della portinaia?<br />

– Suppongo che le stesse cose le abbia dette prima alla<br />

polizia.<br />

– Certo che se la questura ci facesse vedere i verbali del<br />

suo interrogatorio….<br />

– Sì, le pare che quelli… – Carruezzo fece un gesto come<br />

a scacciare una mosca particolarmente fastidiosa. Poi<br />

riprese: – Ricorda quella porticina, una specie di uscita di<br />

servizio in fondo al cortile dello stabile, il cortile dove<br />

tengono i bidoni della spazzatura… dà su via Populonia…<br />

– Eccome se la ricordo: senza quella porticina la nostra<br />

ipotesi difensiva andrebbe a farsi friggere…<br />

Chi aveva ucciso Amicucci - così recitava l’ipotesi difensiva<br />

- doveva essere entrato e uscito proprio dalla porticina<br />

in fondo al cortile, visto che a presidiare la portineria<br />

c’era sempre stata la portinaia e la portinaia escludeva<br />

che tra il rientro a casa di Amicucci e la scoperta della sua<br />

morte qualcuno, oltre Adelina, fosse entrato nel palazzo.<br />

– La consideri bella e fritta, allora, la sua ipotesi difensiva.<br />

– E perché mai?<br />

– Non solo ho parlato con la portinaia, ma poi ho fatto i<br />

miei riscontri… di fronte alla porticina di servizio, quella<br />

su via Populonia, la sera della morte di Amicucci, c’era un<br />

fioraio col suo carretto, è stato là dalle quattro sino almeno<br />

alle nove di sera. E il fioraio ha escluso che in quel frattempo<br />

qualcuno abbia usato la porticina: non poteva non<br />

accorgersene, avrebbe dovuto spostare il carrettino…<br />

– Niente uscita di servizio, dunque. E allora…?<br />

52<br />

– Allora restano due ipotesi: o è stata Adelina, la qual<br />

cosa dobbiamo escluderla, se non altro per ragioni professionali.<br />

Oppure chi ha ucciso Amicucci ha un complice,<br />

o un appoggio tra gli inquilini. Oppure è lui stesso un<br />

inquilino.<br />

– C’è anche una terza ipotesi, – intervenne Serra.<br />

– Cioè?<br />

– Che qualcuno, avendo le chiavi o forzando la serratura,<br />

sia entrato da Amicucci prima delle quattro, a portineria<br />

ancora chiusa.<br />

– Pensa a un’amicizia femminile…<br />

– Non solo: magari qualcuno poteva voler dare una lezione<br />

ad Amicucci… poi questa lezione è finita com’è finita.<br />

– Rimarrebbe da capire come ha fatto questo qualcuno<br />

a lasciare lo stabile. A meno che non ce lo immaginiamo<br />

vagare per ore tra scale e cortile, senza che nessuno lo noti,<br />

dobbiamo anche qui pensare ad un punto d’appoggio<br />

all’interno.<br />

Serra abbassò il capo perplesso. – In effetti… – disse e<br />

sollevò lo sguardo: il bagliore negli occhi, il teatrale sollevarsi<br />

ad arco del sopracciglio, gli parve per un attimo di<br />

avere di fronte il Carruezzo di vent’anni prima.<br />

53


9<br />

Conciato così, pensò Serra, quasi sembrava meno<br />

brutto.<br />

L’occhio destro, di un colore violetto che virava sull’indaco,<br />

era completamente chiuso. Quello sinistro, sopravvissuto<br />

alla battaglia e rimasto miracolosamente integro,<br />

dunque conscio delle sue nuove responsabilità, si produceva<br />

in uno sguardo sereno. Il naso, ingrossandosi, aveva<br />

assunto proporzioni più equilibrate, non più uno di quei<br />

ridicoli nasoni a vela da vignetta del Travaso, ma un naso<br />

serio, importante, capace da solo di dare dignità ad un<br />

volto.<br />

Era seduto su una poltrona, Nanni, la gamba destra ingessata<br />

sino al ginocchio allungato su un piccolo puf.<br />

– Ci sono andati giù duri, a quanto vedo, – disse Serra.<br />

Con sforzo, le labbra tumefatte di Nanni si stirarono in<br />

una specie di sorriso.<br />

– Le assicuro, avvocà, che quelli là possono anche fare<br />

di meglio. Una volta, tanti anni fa, m’ero messo con uno<br />

della banda del Mortadella, uno di Primavalle… non sto<br />

a dirle, che mi fa anche fatica a parlare… questi, al confronto,<br />

sono gli scappellotti che mi dava mamma mia<br />

buonanima…<br />

55


– Eppure mi sento in colpa, – disse Serra.<br />

– Ci sentiamo in colpa, – confermò Carruezzo. Poi aggiunse:<br />

– Non ho capito bene la dinamica della cosa,<br />

però. Insomma, tu Nanni stavi facendo la tua inchiesta su<br />

Amicucci…<br />

– Non chiamiamola inchiesta, cavaliere, facevo qualche<br />

domanda qui e là, dove capita.<br />

– E magari qualcuno si è innervosito per queste tue domande,<br />

e se qualcuno si è innervosito allora vuol dire che<br />

hai toccato un nervo sensibile…<br />

– Io questo nervo sensibile, come dice lei, mica c’ho<br />

l’impressione di averlo toccato. Quello che mi son sentito<br />

dire di questo Amicucci già lo sapevamo, che si voleva<br />

metter per conto suo a prestar soldi a strozzo…<br />

– Fermati qui, Nanni. È questo il punto. Le aspirazioni<br />

di Amicucci, il suo progetto di mettersi in proprio.<br />

– Già l’ha detto un’altra volta cavaliè, ma io a questa cosa<br />

qui mica ci credo. Non è perché uno nuovo pensa di<br />

mettersi a fare il ladrone non è che quelli che già lo sono<br />

ladroni… da altre parti magari, non a Roma: qui a Roma<br />

siamo libertari e se uno vuol andare a ruba’ nelle case che<br />

vada a ruba’ nelle case, vuol dare soldi a strozzo che dia<br />

soldi a strozzo, vuole andare a borseggiare nei tram vada<br />

a borseggiare nei tram…<br />

– Facciamo il caso, Nanni, che tu sei un borseggiatore<br />

professionista…<br />

– Io l’ultimo borseggio che ho fatto non c’avevo neppure<br />

diciottanni, non è cosa per me il borseggio.<br />

– È solo un esempio. Metti che tu, borseggiatore professionista,<br />

lavori sul 64 e arriva uno nuovo e anche lui si<br />

mette a lavorare sul 64…<br />

56<br />

– Lei sta facendo un esempio che non è un esempio. Il<br />

64 va a San Pietro.<br />

– E questo cosa vuol dire?<br />

– Che non è un autobus come gli altri. Nel 64 c’è il pellegrino,<br />

e dove c’è il pellegrino, lo sappiamo tutti, il soldo<br />

scorre facile e abbondante. Lo dice anche il proverbio:<br />

rubare al pellegrino è più facile che rubare a un bambino.<br />

È chiaro che tutti i borseggiatori vorrebbero lavorare sul<br />

64, ma è altrettanto chiaro che se tutti i borseggiatori vanno<br />

a lavorare nel 64... Ma per i soldi a strozzo è tutta<br />

un’altra cosa, se lo lasci dire…<br />

I due cominciavano a infervorarsi nella discussione<br />

quando si sentì dall’anticamera il girare di una serratura.<br />

Dopo qualche secondo, un uomo entrò nella stanza. Sui<br />

quarant’anni, piuttosto alto, portava occhiali da vista con<br />

lenti scurite.<br />

– Beh Nanni, come va oggi? – disse il nuovo arrivato.<br />

– Va che sono tutto un dolore, buccio der culo compreso…<br />

cavaliere, avvocà questo è un mio amico… Quagliariello<br />

Tazio…<br />

Carruezzo e Serra gli strinsero la mano.<br />

– Mi tolga una curiosità, – disse Serra mentre gli stringeva<br />

la mano, – ma ricordo bene? Quagliariello… Quagliariello<br />

Tazio… lei è lo stesso…<br />

Ciorciolini anticipò la risposta dell’amico: – Certo che<br />

si ricorda bene, avvocà… eravamo in questura, mi stava<br />

interrogando Ingravallo, che mi faceva domande su domande<br />

su dove stavo una certa sera, lei si ricorda, che c’era<br />

stato un morto ammazzato in una villa sulla Nomentana,<br />

e a me m’avevano visto saltare il muro della villa, e io<br />

allora ho detto che stavo a cena con Quagliariello Ta-<br />

57


zio… il commissario fa: “ma ’sto quagliariello, ’sto passerotto,<br />

’sto uccellino, è amico amico o amico de culo”, e mi<br />

mette il dito di fronte al naso, “perché se è amico de culo…”<br />

sempre col dito di fronte al naso, che dico dito, un<br />

badile… non mi fate ridere che mi fa male tutto, non mi<br />

fate ridere…<br />

– Quello che il cavaliere e l’avvocato non sanno, – intervenne<br />

Quagliariello, – è che quella sera non ero a cena<br />

con te ma a letto ammalato.<br />

– Perché, se Ingravallo t’interrogava, tu che avresti detto?<br />

– Avrei detto che ero a cena con te.<br />

– E bravo Tazietto, che mi volevi bene allora e mi portavi<br />

ancora ai macchiozzi di Villa Borghese come ai primi<br />

tempi, ti ricordi?<br />

– Se è per questo… – Quagliariello s’interruppe. Poi rivolto<br />

a Carruezzo e Serra: – Non vi ho chiesto se gradite<br />

un caffè… o un tè.<br />

– No, grazie, – risposero all’unisono.<br />

– Stiamo per andare, – riprese Carruezzo. – Volevamo<br />

giusto sapere come stava Nanni… Nanni sia chiaro che la<br />

smetti di andare in giro a far domande su Amicucci, il segnale<br />

è fin troppo chiaro.<br />

– Io invece continuo avvocà: non saranno due cravattari<br />

a far paura a Nanni er Frocione.<br />

Quando uscirono da casa di Nanni cominciò a piovere.<br />

Nelle bancarelle di Piazza Vittorio alcuni rivenditori si<br />

affannavano ad aprire gli ombrelloni, altri ricoprivano<br />

con incerati le cibarie in vendita.<br />

58<br />

Il bavero dell’impermeabile rialzato, attraversarono il<br />

mercato all’aperto. Poi la pioggia si fece più fitta, costringendoli<br />

a sostare sotto i portici.<br />

– Credo sia meglio prendere un tassì, – disse Serra, indicandone<br />

uno fermo sul ciglio della strada.<br />

Il tassì rifece il giro della piazza e poi voltò per via Manzoni.<br />

Agli Archi di Santa Bibiana, imboccò il passaggio<br />

sotto la ferrovia per sbucare poi a Porta San Lorenzo.<br />

Ora la pioggia aveva preso a cadere sottile, dando a ogni<br />

cosa la stessa tonalità grigia: alle strade bagnate e alla gente,<br />

ai negozi e ai palazzi, e alle Mura Aureliane, quinte<br />

teatrali, queste, come in un quadro di De Chirico, allo<br />

scenario tutto novecentesco che, sul lato della stazione,<br />

chiudeva la via Tiburtina.<br />

59


10<br />

Gonna attillata, <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong>, calze velate con la riga.<br />

Se non fosse stato che l’aspettava, non l’avrebbe riconosciuta,<br />

tanto era diversa dall’adolescente - quasi una bambina,<br />

si era detto - che aveva servito il caffè nello studio del<br />

professor Zanda. Voleva essere provocante Peppinetta.<br />

Era difficile immaginare che potesse uscire da casa vestita<br />

in quel modo. Forse - pensò Serra - aveva qualcuno da cui<br />

cambiarsi ed era là che, una volta lasciata la casa del professore,<br />

indossava la sua tenuta da battaglia.<br />

Al Paradise, una sala da ballo dell’Ostiense che prima<br />

della guerra si era italianamente chiamata Notti d’Oriente,<br />

e capace il sabato sera di ospitare sino a trecento persone,<br />

quel pomeriggio non ce n’erano più di cinquanta.<br />

In gran parte sedute ai tavolini, che erano stati allineati<br />

lungo le pareti per lasciare spazio al centro alla pista da<br />

ballo. In una pedana in fondo alla sala, i due suonatori<br />

riempivano una sosta bevendo un bicchiere di vino. Sulle<br />

pareti, specchi piuttosto malandati si alternavano a grandi<br />

manifesti pubblicitari con paesaggi marini e palme. La<br />

schiena appoggiata al bancone di un bar, quattro o cinque<br />

ragazzi meno che ventenni, sigaretta tra le labbra e<br />

bicchiere in mano, erano soprattutto impegnati a darsi<br />

un contegno. Dall’altra parte della sala Serra notò un ta-<br />

61


volo, erano tre uomini e una donna, lei grossolanamente<br />

ricercata, i tre in abito scuro, che stavano avvicinando il<br />

tavolino alla pista, forse erano di quelli che gli piaceva veder<br />

ballare gli altri da vicino.<br />

Entrata nella sala da ballo, Peppinetta si era guardata<br />

intorno e aveva immediatamente individuato Serra, mandandogli<br />

da lontano un disinvolto cenno di saluto. Si era<br />

poi fermata con un tipo dall’aria impiegatizia, uno che<br />

non sembrava appiccicarci nulla con quel posto. Scambiata<br />

qualche parola, Peppinetta gli aveva voltato le spalle,<br />

ma il tipo l’aveva raggiunta e avevano ripreso a parlare.<br />

Così una volta, poi la seconda, poi un’altra volta ancora.<br />

Ora l’orchestra aveva riattaccato con la musica, un mambo<br />

particolarmente chiassoso. A Serra piaceva il mambo e<br />

cominciò col piede a batterne il ritmo. Al tavolo accanto<br />

al suo c’era un uomo solo, un bocchino tra i denti, che<br />

guardava di fronte a sé con aria annoiata. Indossava un<br />

completo di lino color panna e delle scarpe traforate bianche<br />

e nere, quelle che i commessi nei negozi mentre te le<br />

infilano ai piedi chiamano “modello piccioncino”.<br />

L’arrivo di Serra dovette sembrargli un diversivo e gli<br />

rivolse un cenno di saluto.<br />

– La prima volta al Paradise? – domandò.<br />

– La prima volta.<br />

– Ha scelto il giorno giusto. Tutti ci vengono il sabato,<br />

ma è giovedì il giorno giusto.<br />

– In realtà è un caso se sono qui… perché, succede<br />

qualcosa di speciale il giovedì?<br />

– Ci sono le serve il giovedì, – ammiccò l’uomo, come<br />

chi presuppone un’intesa virile.<br />

– Capisco, – fece Serra.<br />

62<br />

Ma all’uomo non dovette sembrare che il suo vicino di<br />

tavolo avesse capito a sufficienza.<br />

– La serva serve, – sottolineò la frase come in un a parte<br />

teatrale. – Lo dice anche Totò, – ribadì.<br />

– Certo, Totò… – fece Serra distrattamente, guardando<br />

verso l’altra parte della sala.<br />

– Quella non l’ho mai vista, – disse l’uomo, che aveva<br />

seguito lo sguardo di Serra. – Conosco il tipo, però.<br />

– Prego…? – fece Serra, che non aveva sentito bene.<br />

– La ragazza che lei sta guardando da quando è entrata,<br />

– rispose lo sconosciuto, puntando l’indice in direzione<br />

di Peppinetta. – La brunetta.<br />

– La brunetta, dice.<br />

L’uomo dovette pensare che se la conversazione faticava<br />

ad avviarsi era perché non si era ancora presentato.<br />

– Anche lei è sardo, vero? Io sono di Samassi. – Poi aggiunse<br />

qualcosa, il suo nome probabilmente, qualcosa<br />

con molte esse, poteva essere un Seonis, ma un’impennata<br />

del mambo rese le sue ultime parole incomprensibili.<br />

– Ha indovinato, sono di Cagliari.<br />

– Cagliari, Cagliari?<br />

– Sì, Cagliari. Da molti anni a Roma però.<br />

– L’avevo capito.<br />

L’uomo trascinò la sua sedia accanto a quella di Serra.<br />

Poi, con l’aria di chi la sa lunga: – Io, i sardi, li riconosco<br />

all’odore. La brunetta che vi interessa, ad esempio…<br />

Quasi a sottolineare la sospensione del discorso, l’uomo<br />

accese una sigaretta. Attendeva, evidentemente, una<br />

domanda da parte di Serra, che tuttavia non venne per il<br />

semplice fatto che proprio in quel momento Peppinetta<br />

si stava avvicinando al tavolo.<br />

63


– Chissà cosa vuole questa tzeracchetta, si sarà detto<br />

quando le ho telefonato.<br />

– Ti sono sembrato sorpreso?<br />

– No… ma è che dalle domestiche ci si aspetta che non<br />

si mettano in mezzo, che stiano al loro posto.<br />

– Nessuno dovrebbe stare al suo posto, tanto meno le<br />

domestiche.<br />

– Lo ridica come l’ha detto ora! Lo sa chi mi sembrava<br />

mentre lo diceva? Uguale, uguale a quell’attore americano,<br />

Bogàrt… lo conosce? Certo che lo conosce.<br />

Serra si accorse di essere arrossito e non trovò di meglio<br />

che accendere una sigaretta.<br />

– E a me non la offre?<br />

– Scusami… – Porse a Peppinetta il pacchetto di Nazionali.<br />

Con un gesto molto rapido, muovendo il pacchetto<br />

dal basso in alto, ne aveva fatto spuntare una sigaretta.<br />

– No grazie. Mangerei qualcosa invece. Ho fame. Mi capita<br />

sempre il giovedì: per la fretta di uscire, non pranzo.<br />

Servo a tavola, faccio i piatti ed esco.<br />

Al cenno di Peppinetta, un cameriere si avvicinò. In<br />

realtà non era vestito da cameriere, e neppure ne aveva<br />

l’aspetto. L’aria da bullo di quartiere, piuttosto, basette<br />

lunghe e maglietta a righe a maniche corte.<br />

– A Reginè, che te serve? – si rivolse alla ragazza.<br />

– Focaccia prosciutto e formaggio. Lei avvocato?<br />

– Un cognàc, grazie.<br />

– Nix cognàc. Avemo chinotti, avemo grappa e vermut,<br />

avemo l’amaro del Carabiniere.<br />

– Una grappa allora.<br />

L’estate prima, spiegò Peppinetta dopo che il cameriere<br />

si fu allontanato, aveva vinto una gara di ballo, era stata<br />

64<br />

eletta reginetta del mambo. Da allora nel locale la chiamavano<br />

in quel modo, Reginè. Serra notò che la ragazza si<br />

sforzava di imitare la parlata romana, ma non per questo<br />

risultava affettata. Sembrava una straniera, piuttosto.<br />

– Mi hai detto al telefono che volevi parlarmi di Adelina…<br />

– Ho molta paura, ho paura per lei.<br />

– Certo che Adelina è in un bel guaio.<br />

– In quel guaio ce l’hanno ficcata, avvocà.<br />

– Anch’io sono convinto che sia innocente.<br />

– Non è solo questo. È lui che ce l’ha ficcata…<br />

– Lui chi?<br />

– Lui… perché crede che Adelina c’è andata a casa di<br />

quello strozzino? Mica erano per lei i soldi che doveva<br />

chiedere in prestito.<br />

– Per chi allora?<br />

– Di preciso non lo so, ma magari per Zanda.<br />

– Ti ha detto questo Adelina?<br />

– M’ha detto che aveva un appuntamento con un cravattaro<br />

e che aveva paura. Le ho chiesto perché aveva così<br />

bisogno di soldi e lei allora… non è che me lo ha detto<br />

chiaro… insomma, io ho capito che c’entrava Zanda.<br />

– Da che cosa l’hai capito?<br />

– Bella scema che sei, le ho detto, quando m’ha raccontato<br />

che andava da questo cravattaro a chiedere soldi e<br />

che questi soldi non erano per lei. Bella scema, e chi te lo<br />

fa fare? E lei allora prima è stata zitta poi ha iniziato a fare<br />

un discorso su Zanda, che lei era entrata in quella casa che<br />

aveva quindici anni, e che insomma quella era la sua casa,<br />

e che il professore… beh sul professore meglio che me ne<br />

sto zitta.<br />

65


L’aiutò a stare zitta - per il momento, almeno - l’arrivo<br />

della focaccia prosciutto e formaggio, che addentò subito<br />

con appetito. Serra, da parte sua, riempì la pausa portando<br />

alle labbra la grappa per poi accendere un’altra sigaretta.<br />

Proprio in quel momento gli passò davanti, intrecciato<br />

in una languida beguine ad una rossa dal gran seno,<br />

lo sconosciuto di Samassi. Indirizzò a Serra una strizzatina<br />

d’occhio, che l’avvocato interpretò come un gesto<br />

d’intesa e forse d’incoraggiamento. Pensò allora che tutta<br />

la scena - la balera, il cameriere bullo con la maglietta a righe,<br />

lo sconosciuto avvinghiato alla tettona, la disinvolta<br />

brunetta di fronte a lui - tutta quella scena doveva averla<br />

già vista in un film.<br />

– Perché dovresti star zitta sul professore? – riprese<br />

Serra.<br />

– Il professore, la moglie morta del professore… non<br />

ce n’è uno in quella famiglia… e Adelina…<br />

– Adelina?<br />

– Senza Adelina quella famiglia non stava in piedi nemmeno<br />

un giorno. Lei forse questo non lo sa, ma la signora<br />

c’ha messo almeno un anno a morire ed è Adelina che<br />

l’ha assistita ogni santo giorno. E chi ha mandato avanti<br />

la casa da quando è iniziata la malattia della signora, chi<br />

secondo lei? A inizio mese il professore le dava una somma<br />

e Adelina pensava a tutto. “Adelina,” le diceva il professore,<br />

“tu sei della famiglia, tu sei la famiglia.” È così<br />

che Adelina si è fatta fregare. Così Zanda con uno stipendio<br />

solo, e pure basso, ha avuto non solo una serva, ma<br />

anche una che gli faceva i conti, un’infermiera e chissà<br />

cos’altro ancora.<br />

– Sarebbe, quest’altro ancora?<br />

66<br />

– Dicevo così per dire, – rispose Peppinetta, imbarazzata<br />

dalle sue stesse parole.<br />

La fisarmonica attaccò un tango e nel giro di qualche<br />

secondo la pista riprese ad animarsi. Un ragazzo in camicia<br />

bianca si avvicinò a Peppinetta, invitandola a ballare.<br />

Mentre i due si allontanavano, Serra pensò gli sarebbe<br />

piaciuto essere al posto di quel giovanotto. Stringendole<br />

con delicatezza la punta delle dita, mezzo passo davanti a<br />

lei, avrebbe guidato Peppinetta al centro della pista.<br />

Fu quando Peppinetta disegnò i primi passi del tango<br />

che Serra comprese come la gonna stretta, i <strong>tacchi</strong> alti, le<br />

calze nere con la riga fossero parti di un abito di scena e<br />

che la scena era appunto quella a cui stava assistendo. La<br />

scena di una seduzione esercitata su quanti, dentro e fuori<br />

la pista, la guardavano ballare. Il ragazzo in camicia bianca<br />

che ballava con lei sembrava servirle solo come un<br />

meccanico (e quasi astratto) punto d’appoggio: la più<br />

prossima ma l’unica persona nella sala ad essere tenuta<br />

fuori dalla sua sfera di seduzione. Che si nutriva, anzi, della<br />

evidente e compiaciuta crudeltà di quella esclusione.<br />

67


11<br />

La portinaia infilò la chiave nella toppa: – Io, aprire le<br />

apro. Lei però…<br />

– Non si preoccupi, – disse Serra, – è solo questione di<br />

un momento.<br />

L’andito era buio ma dalle stanze che vi si affacciavano<br />

filtrava un poco di luce.<br />

– Guardi pure in giro, ma non tocchi nulla. Io cambio<br />

l’acqua al canarino.<br />

Serra seguì la donna in cucina.<br />

– Amicucci era molto affezionato al canarino, ho sentito.<br />

– Per quello che uno si può affezionare a un canarino…<br />

– Ma che tipo era questo Amicucci? – fece Serra quasi<br />

di botto, come se da tempo tenesse la domanda in serbo.<br />

– Un inquilino come gli altri. Ricchi o poveri, belli o<br />

brutti, per me sono tutti uguali.<br />

– Beh, il mestiere che faceva…<br />

– Nessuno se n’è mai lamentato. Amicucci, poi, c’era<br />

da una vita nel palazzo. Anch’io ce l’ho trovato. Quando<br />

sono arrivata, viveva con la madre. Poi la madre è morta.<br />

Io di parenti suoi so solo di una sua zia anziana, sorella<br />

della madre sua buonanima, che c’aveva le chiavi di casa<br />

e ogni settimana veniva a cucinargli qualcosa, che so, una<br />

69


peperonata che quella può durare anche qualche giorno<br />

e anzi il giorno dopo è meglio del giorno prima, prende i<br />

sapori…<br />

– Dunque, morta la madre, era la zia che si occupava di<br />

Amicucci?<br />

– A dire la verità, ero io ogni giorno che gli sbrigavo le<br />

faccende, pulire la casa, il bucato, e poi stirargli le camicie,<br />

il signor Amicucci alle camicie ci teneva tanto, era<br />

tanto pignolo con le camicie. Io gli sbrigavo le faccende,<br />

però cucinare no: a me chiedetemi tutto però cucinare<br />

no, cucino solo per il marito mio che lui è un brav’uomo e<br />

si accontenta…<br />

– Lo sapevano gli altri inquilini che Pompeo Amicucci<br />

lavorava coi cravattari?<br />

Si notò un certo irrigidimento nella portinaia, come se<br />

la domanda non fosse gradita, o forse a non essere gradito<br />

era stato il tono di Serra che a un certo punto, come<br />

per antico riflesso, si era fatto poliziesco.<br />

– Qui tutti sanno tutto di tutti, – rispose la portinaia. –<br />

Lo sapevano e non avevano niente da ridire. Ma lei non<br />

voleva vedere la casa?<br />

– Sì certo… dov’è che ha trovato Adelina quando è entrata<br />

nell’appartamento?<br />

– Guardi che tutte queste cose le ho dette alla polizia.<br />

Se comunque…<br />

Uscì dalla cucina e si diresse lungo l’andito verso la camera<br />

da letto.<br />

– Ho aperto e ho visto quella là… la porta della camera<br />

da letto era aperta, esattamente come ora. Si vedeva lei, in<br />

piedi, e qualcuno disteso nel letto.<br />

– Posso dare uno sguardo?<br />

70<br />

– Se vuole, purché si sbrighi.<br />

L’umore che la stanza comunicava (e che comunicò a<br />

Serra, appena vi mise piede) era di blanda tristezza, a cui<br />

senz’altro contribuiva una carta da parati dagli stanchi<br />

fiori gialli. Al centro un letto alto, con un copriletto di<br />

percalle e una testiera in ferro battuto sopra la quale spiccava<br />

l’immagine incorniciata di un Gesù Cristo che moltiplicava<br />

pani e pesci. Da sotto il comodino spuntavano<br />

un paio di scarpe. C’era poi, alla destra del letto, un grande<br />

armadio scuro e accanto all’armadio una consolle di<br />

noce, sulla quale erano appoggiate delle fotografie. Una<br />

ritraeva una giovane coppia: baffuto e lo sguardo liquido<br />

lui, lei con un vestito da sposa di foggia orientaleggiante.<br />

Il padre e la madre di Amicucci, pensò Serra. Immaginò<br />

che Amicucci, morta la madre, avesse preso possesso della<br />

sua camera da letto, senza cambiare nulla dell’arredamento.<br />

Forse Amicucci c’era nato su quel letto.<br />

– Ho sentito dire che ultimamente Amicucci si portava<br />

donne in casa, – riprese Serra.<br />

– Donne? – fece eco la portinaia. – Donne di strada no,<br />

questo lo posso assicurare, non in orario di portineria, almeno.<br />

Poi, di quello che succede quando la portineria è<br />

chiusa…<br />

– M’ha detto che gli faceva anche le pulizie ad Amicucci,<br />

magari di qualcosa si è accorta.<br />

– Non sono una che ficca il naso tra le lenzuola della<br />

gente, io.<br />

Aveva sempre sentito di portiere ciarliere. E anche questa<br />

all’inizio era sembrato avesse voglia di parlare. Poi era<br />

successo qualcosa.<br />

71


Ritornò all’attacco: – Non mi ha risposto se portava a<br />

casa donne, – disse con evidente irritazione.<br />

– Non lo so… magari erano donne che abitavano qui<br />

nello stabile…<br />

Erano in piedi nella camera da letto di Amicucci e la<br />

portinaia nel dire queste ultime parole aveva mostrato un<br />

certo imbarazzo. Proprio il momento di darci dentro.<br />

Serra provò a metter su una faccia feroce.<br />

– Mi senta! Vuole parlare una buona volta? Amicucci<br />

incontrava una donna che abitava qui, nel palazzo? Ho<br />

capito bene?<br />

C’era un’espressione sul volto della portinaia che a Serra<br />

parve irridente: la faccia feroce non aveva funzionato.<br />

– Mi senta invece lei. Io non le devo nessuna risposta.<br />

Lei non è un poliziotto, e non ha nessun diritto di farmi<br />

domande.<br />

Serra capì di aver fatto la cosa sbagliata e per un momento<br />

non seppe come uscirne. Ne uscì però, miracolosamente,<br />

con una specie di sorriso imbarazzato col quale<br />

diceva alla portinaia: “guardi che non facevo sul serio<br />

quando facevo la faccia feroce”.<br />

– La cosa me l’ha detta Venturini, il dirimpettaio di<br />

Amicucci. A sentire lui una che andava da Amicucci c’era,<br />

ed era una del palazzo.<br />

– Venturini? Una del palazzo? Le ha fatto il nome?<br />

– M’ha detto che c’era una nel palazzo che se l’intendeva<br />

con Amicucci: ma il nome non l’ha fatto. Se vuole può<br />

andare a parlarci anche ora. Vive solo e non esce mai di<br />

casa.<br />

72<br />

Aveva la camminata sbilenca Venturini: a ogni passo<br />

abbassava una spalla, la spalla destra un po’ più della sinistra,<br />

con un effetto che a Serra, mentre lo seguiva lungo<br />

un corridoio con strane volte oblunghe, ricordò il Quasimodo<br />

di Notre Dame de Paris.<br />

– Le faccio strada, avvocato.<br />

Entrarono in una stanza che un gran tavolo da pranzo<br />

riempiva quasi completamente. In un angolo, ad occupare<br />

il poco spazio rimasto, una radio gigantesca incorporata<br />

in un mobile bar e di fronte ad essa due pesanti poltrone<br />

in pelle, in una delle quali con gesto cerimonioso Venturini<br />

lo invitò a sedersi.<br />

– Vorrei tornare su alcune cose che di sicuro ha già discusso<br />

con la polizia, – esordì Serra.<br />

– M’hanno liquidato in due minuti. Quando gli ho detto<br />

che la sera della morte di Amicucci ero fuori casa… io<br />

non esco mai, e se fossi stato in casa le assicuro… insomma,<br />

non hanno voluto sapere altro.<br />

– E invece c’era dell’altro…<br />

– E come se c’era dell’altro. Perché io osservo, sa, osservo<br />

sempre, osservo ogni minimo particolare.<br />

Con un gesto improvviso, si alzò. – Venga con me, – disse.<br />

Venturini gli camminava davanti, il passo oscillante alla<br />

Quasimodo. Cadenzato sul passo, un rantolo asmatico. –<br />

Venga, venga, le farò vedere qualcosa, – ripeté.<br />

Serra seguì Venturini lungo il corridoio e poi in una cucina<br />

che si affacciava su un cortile interno. In alto, sulla<br />

parete opposta, quella prospiciente al cortile, una finestrella<br />

quadrata, chiusa da una grata di ferro, lasciava intravedere<br />

la gabbia dell’ascensore e la rampa di scale tra il<br />

primo e il secondo piano.<br />

73


– Io li osservo, li controllo, – riprese Venturini. Poi, a<br />

dimostrazione di ciò che aveva detto, prese una sedia e<br />

dopo averla spostata in una posizione adatta a inquadrare<br />

la finestrella, ci si sedette. – Da qui vedo senza essere<br />

visto. Non mi sfugge nulla.<br />

– Mi faccia capire: osserva e controlla chi? – chiese Serra.<br />

– Quelli, – rispose e accompagnò le sue parole con un<br />

gesto largo.<br />

– I suoi coinquilini?<br />

– Soprattutto loro, ma non solo.<br />

L’avvocato - anche lui col naso per aria, a contemplare<br />

la grata - apprese che quello era il punto d’osservazione<br />

fondamentale degli usi e dei costumi della gente del palazzo.<br />

Di chi passava si vedevano solo le scarpe, ma lui,<br />

Venturini, dalle scarpe, diceva di aver imparato il più delle<br />

volte a risalire alla persona. E per quei molti inquilini<br />

dei piani alti, che non usavano quasi mai le scale e prendevano<br />

l’ascensore, aveva un altro punto d’osservazione.<br />

Si alzò, ancora una volta di scatto, e invitò l’avvocato a<br />

seguirlo.<br />

– Guardi qua dentro, – ordinò indicando lo spioncino<br />

della porta d’ingresso, – e mi dica cosa vede.<br />

– Vedo la porta dirimpetto, – disse Serra.<br />

– Certo, casa di Amicucci. Certo, certo… – gli era ripreso<br />

il rantolo ansioso. – Ma se sposta un po’ la visuale,<br />

verso sinistra… cosa c’é?<br />

– C’è l’ascensore.<br />

– Ecco, si vede chi entra e chi esce dall’ascensore. Non<br />

basta, non basta… mi segua, mi segua.<br />

Ora il passo di Venturini, lungo il corridoio, si era fatto<br />

quasi saltellante.<br />

74<br />

Arrivati alla stanza da pranzo, spostò una pesante tenda<br />

di lana, dietro la quale c’era una porta-finestra, aperta<br />

su uno stretto balcone e sulla strada.<br />

Indicò un angolo del balcone: – Si metta qui, ma non si<br />

sporga troppo.<br />

Serra obbedì.<br />

– Stia più all’interno però, non la devono vedere… lei<br />

cosa vede?<br />

– La strada, naturalmente, via Vetulonia…<br />

– E poi, e poi… appena sotto di lei, sulla destra?<br />

– L’ingresso dello stabile.<br />

– Appunto, l’ingresso dello stabile…<br />

Ora stavano di nuovo l’uno di fronte all’altro, sulle poltrone.<br />

– Ha capito, avvocato, un triangolo perfetto: tre punti<br />

d’osservazione.<br />

– Ed è da questi punti d’osservazione che lei controllava<br />

Amicucci…<br />

– Non solo Amicucci.<br />

– Insomma, voglio dire… Amicucci era pur sempre il<br />

suo dirimpettaio, più vicino di altri, un vertice del suo<br />

triangolo perfetto era tutto per lui, suppongo…<br />

– Beh, questo è vero…<br />

L’ammissione fu l’inizio di un lungo e dettagliato excursus<br />

su Amicucci e la sua peccaminosa esistenza. Prima<br />

della morte della madre, da cui erano passati non più di<br />

due anni, Amicucci si era comportato sempre bene, o almeno<br />

senza dar scandalo. Trovarsi con la casa vuota gli<br />

aveva evidentemente dato alla testa. Dicesse pure quel<br />

che voleva la portinaia: le aveva viste con i suoi occhi dallo<br />

spioncino le donnacce che entravano ed uscivano, an-<br />

75


che a notte alta, e a volte non era una sola, ma due o tre,<br />

vere e proprie orge, lui sentiva certi rumori, indescrivibili,<br />

rumori d’orgia insomma. A quel punto del racconto,<br />

giunto alle orge, a Venturini era ripreso il rantolo.<br />

– Amicucci, però, – disse Serra, – aveva qualcuna nel<br />

palazzo, qualcuna che lo andava a trovare?<br />

– E questo a lei chi glielo ha detto? Magari quel grassone<br />

che ha mandato in giro a far domande…<br />

– E a cui lei non ha aperto la porta.<br />

– L’ho visto dallo spioncino e aveva un’aria… un’aria<br />

malvissuta.<br />

Serra non aveva mai pensato al Cavaliere come a uno<br />

dall’aria malvissuta. Si sentì quasi offeso per lui.<br />

– Allora, signor Venturini, è vero o no che ha visto qualcuna,<br />

qualcuna di questo palazzo, entrare in casa di Amicucci?<br />

Venturini attese a rispondere, come se volesse assaporare<br />

l’interesse che leggeva in faccia al suo interlocutore.<br />

– Mah… – disse prudente, – una donna l’ho vista, scendeva<br />

le scale ed entrava da Amicucci. – Poi con più forza:<br />

– E questo in tre occasioni.<br />

– Lei ha riconosciuto questa donna, naturalmente.<br />

– No, purtroppo.<br />

– Come fa allora a dire che era la stessa?<br />

– Le scarpe, inconfondibili. Rosse, un colore da sfacciata:<br />

<strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong> e molto aperte sul davanti.<br />

– Mi faccia capire meglio. Lei queste scarpe…<br />

– Io ho visto la donna, le gambe della donna per essere<br />

precisi dalla finestrella… la finestrella in cucina. Mi sono<br />

incuriosito, volevo sapere chi c’era dentro quelle scarpe e<br />

sono corso allo spioncino: da là doveva passare, per usci-<br />

76<br />

re dal palazzo. Ma invece di uscire stava di fronte alla<br />

porta di Amicucci.<br />

– Lei quindi la vedeva di spalle?<br />

– Di spalle, certo.<br />

– E non l’ha individuata?<br />

– Aveva un fazzoletto in testa e un cappotto. E poi è<br />

stato solo un attimo. Amicucci le ha aperto la porta e lei<br />

è entrata.<br />

– Questo la prima volta…<br />

– Le altre due volte, più o meno la stessa cosa. Quelle<br />

scarpe sulla rampa di scale e poi lei di spalle di fronte alla<br />

porta di Amicucci.<br />

– E lei è convinto che si tratti di qualcuna che abita nel<br />

palazzo?<br />

– Beh… non vedo chi altro, venendo dalle scale, dai<br />

piani in alto.<br />

– In effetti.<br />

Ora Venturini sembrava essersi acquietato. Aveva<br />

smesso di rantolare. Disse: – Eppure quell’Amicucci, le<br />

sue puttane, le orge… – Non completò la frase. Aveva<br />

assunto un’aria pensosa. Poi, con un sorriso maligno: –<br />

Ma io lo sapevo che sarebbe finito male.<br />

– Sa che stamane sono finalmente riuscito a parlarci col<br />

dirimpettaio di Amicucci? – attaccò Serra.<br />

– Risultato? – chiese Carruezzo.<br />

Serra raccontò dell’inquietante Venturini, di quella<br />

sua finestra sulle scale, della donna dalle scarpe sfacciate.<br />

– Pista interessante, – fu il primo commento del cavaliere.<br />

77


– Quale pista: le scarpe sfacciate?<br />

– Perché no? Amicucci ha un’amante nello stabile,<br />

un’amante clandestina… poniamo che lui, a un certo<br />

punto, non ne voglia più sapere…<br />

– La sua nota propensione al melodramma le prende<br />

la mano, cavaliere.<br />

– Forse, Serra, forse: quelle scarpe senza volto, però…<br />

non glielo nascondo… eccitano la mia fantasia.<br />

78<br />

12<br />

La notizia è arrivata percorrendo le strade del borgo, veloce<br />

e precisa, come se conoscesse una per una le case dei<br />

minatori del turno di notte, del turno che è sceso nel pozzo<br />

alle 8 di sera e che ora, sono le sei della mattina, non è ancora<br />

risalito. Sono le sei e se le cose non fossero come sono,<br />

che loro, quelli del turno di notte, sono là in fondo alla miniera,<br />

sono là, c’è stata una esplosione, ci sono stati dei<br />

crolli, e loro sono là, vivi o morti, vivi e morti, morti ma<br />

forse qualcuno è vivo, se le cose fossero come sempre, come<br />

ogni giorno, Piero il marito di Maria, starebbe ora sotto la<br />

doccia e penserebbe che fra un po’, diciamo una mezz’ora, il<br />

tempo di finire la doccia e fare il pezzo di strada dal pozzo a<br />

casa, fra una mezzora sarebbe con lei. Maria ancora a letto,<br />

e lui si infilerà nel letto e faranno l’amore, lei che finge di<br />

essere addormentata, ma è un gioco, un gioco che piace a<br />

lui e ancora di più a lei, lei dorme e lui la prende, lei è la<br />

bella addormenta e lui il principe-padrone che la prende<br />

nel sonno e lei non si sveglia ma sogna, sogna lui il principe-padrone<br />

che la prende, ma questa volta non è così, qualcuno<br />

alle sei del mattino ha bussato alle porta di casa, Maria<br />

si è alzata, ha aperto in camicia da notte, sai Maria, in<br />

miniera, non sono risaliti, un’esplosione.<br />

79


Sono là, nel piazzale di fronte al pozzo, le Marie del borgo,<br />

le giovani Marie del turno di notte, poco più che bambine,<br />

vestite con i vestitini d’estate a fiori e insieme a loro, chiazze<br />

di nero con i fazzoletti neri annodati sotto il mento, le mamme,<br />

e poi fratelli e padri e poi i compagni a cominciare da<br />

quelli che sono arrivati, sembrava un giorno come un altro<br />

all’inizio, sono arrivati per scendere nel pozzo e invece lo<br />

sbuffo di vapore che sale su dalle viscere della terra ha annunciato<br />

ciò che sarebbe potuto succedere a loro e che invece,<br />

un intreccio imperscrutabile di caso e circostanze, non è<br />

successo, non a loro comunque. Ascoltano attenti, tutti<br />

quanti, le giovani Marie, le madri, i fratelli, i padri, i compagni,<br />

ascoltano le parole, rassicuranti, quasi, del direttore,<br />

che loda l’intelligenza degli uomini che stanno giù, dei suoi<br />

uomini, che sì è vero, a 774 c’è stata un’esplosione, ma loro<br />

sanno cosa fare, sanno dove andare, non verso su, ché troverebbero<br />

l’inferno di fiamme e fumo, ma verso giù dove il<br />

fuoco non è certo arrivato ed eccoli quasi li vede Maria, il<br />

suo Piero in mezzo a loro, piccoli lombrichi rintanati nella<br />

terra fresca, in attesa prudente delle squadre di soccorso che<br />

arriveranno, già stanno per arrivare, l’ha detto il direttore:<br />

ora sono a 300 ha detto il direttore, sarebbero già a 500 se<br />

non avessero trovato un tappo di fumo, ma ora lo stanno aggirando.<br />

Maria non ha capito bene, il direttore ha fatto anche<br />

un disegno per spiegare di pozzi e di cunicoli, e di come<br />

quel monte sia tutto un intrico, che chi conosce la miniera sa<br />

bene come passare da un pozzo all’altro, e sa superare le frane<br />

ribollenti di fumo, e i cunicoli allagati, e le pozze di grisou<br />

stagnante. Ma Maria ha voluto capire solo questo: il suo<br />

lombrichino si salverà.<br />

80<br />

Ci sono i molti che sono stati sommersi, dalla terra, dall’acqua,<br />

dal fuoco, e i pochi che si sono salvati: su ottantotto<br />

del turno di notte sei hanno visto del fumo e immediatamente<br />

si sono lanciati nella gabbia-ascensore, che li ha riportati<br />

in superficie. A proposito della sorte dei loro compagni,<br />

non sono ottimisti come il direttore. Il direttore ha<br />

le sue carte ben disegnate, loro il pozzo lo considerano per<br />

quel che è, una bestia infida dal respiro rotto e affannoso.<br />

Non sono ottimisti sui loro compagni, e già si insinua dentro<br />

di loro la colpa di essere vivi. Ora a dodici ore dal fatto,<br />

nella spianata di fronte al pozzo si agita una folla di infermieri<br />

e poliziotti, suore, pompieri, giornalisti, e ci sono<br />

consiglieri provinciali, assessori e perfino ministri, questi<br />

ultimi coi loro portaborse, e poi ci sono i curiosi. La spianata<br />

è percorsa da cavi e tubature e illuminata da forti lampade<br />

elettriche. Le tubature spingono giù nella miniera tonnellate<br />

di acqua, che dovrebbero spegnere l’incendio e raffreddare<br />

la terra. Ma alcuni vecchi minatori hanno paura<br />

che tutta quell’acqua possa far fare a chi sta laggiù la fine<br />

del topo di fogna. Così anche, dicono, che i ventilatori che<br />

aspirano fuori il fumo rischiano di alimentare gli incendi.<br />

Politici, giornalisti, curiosi, discutono di quote e livelli, di<br />

aprire nuove gallerie, di allargarne vecchie, col piglio degli<br />

esperti. Maria è là che aspetta con le altre. Con loro, a tarda<br />

sera, è rimasta solo una vecchia suora.<br />

Sono passate dodici ore e un vecchio minatore, che tutto<br />

sa della miniera, ma ne sa anche l’assoluta imprevedibilità,<br />

dice a voce alta cosa si immagina sia successo: Improvvisamente<br />

i minatori che lavoravano nelle gallerie inferiori a<br />

81


quota 774 si sono trovati sommersi nel buio più completo<br />

mentre tutte le macchine si arrestavano a causa del corto<br />

circuito. Pochi istanti dopo, l’odore di bruciato trasportato<br />

verso il basso dalle canalizzazioni dell’aria respirabile<br />

(quella dell’aria compressa ha da subito iniziato a non funzionare)<br />

deve essere giunto sino loro. A questo punto ha taciuto.<br />

E a chi gli chiedeva, e poi secondo te cosa è successo?<br />

ha risposto con voce meno ferma: Il panico deve essere stato<br />

grande. Hanno continuato a domandargli. E poi? E poi?<br />

Ma lui è stato zitto.<br />

Sono passate ventiquattro ore, è l’alba, e salgono su i primi<br />

corpi, venti, trenta, devastati dal calore e dai gas, irriconoscibili.<br />

Eppure bisogna identificarli. Solo in alcuni casi<br />

un fazzoletto, una canottiera, una cintura di pantaloni permettono<br />

di dare un nome a un cadavere. Altro modo non<br />

c’è: sigarette e accendini sono vietati giù nei pozzi, e così i<br />

temperini, quanto ai portafogli a ottocento metri sottoterra<br />

non servono. Uno dei soccorritori, è appena risalito in superficie<br />

e indossa ancora guanti di gomma e maschere di<br />

garza, racconta di aver trovato laggiù le carogne abbrustolite<br />

di una decina di muli. Ma se sono carogne abbrustolite i<br />

muli, si è detta Maria, lo sono anche i cristiani. Non vuole<br />

pensare a Piero come a una carogna abbrustolita.<br />

Sono passati quattro giorni, qualche altro cadavere è stato<br />

riportato in superficie e un certo numero di bare sono<br />

state allineate in una sala della palazzina della direzione.<br />

Ce n’è abbastanza da fare un funerale, anche se sono di più<br />

82<br />

quelli rimasti sottoterra di quelli che ora, dentro bare di legno,<br />

sottoterra torneranno. C’è molta gente al funerale,<br />

proprio tanta. C’è anche Maria al funerale, in prima fila<br />

con le altre vedove. Tutte vestite di nero, tutti, uomini e<br />

donne, sono vestiti di nero, e nero è il colore di questo funerale,<br />

con una pioggia sottile che scende trascinando con sé<br />

le particelle di polvere di carbone sospese nere nell’aria.<br />

83


13<br />

C’erano, di fronte alla scrivania di Serra, Nanni il Frocione<br />

e il suo amico Tazio Quagliariello. Nanni tentava<br />

con qualche successo di tenere in equilibrio una tazzina<br />

di caffè, con una mano sotto il piattino. Tazio, seduto in<br />

punta alla sedia, la tazzina l’aveva invece prudentemente<br />

appoggiata sulla scrivania.<br />

– Veramente buono questo caffè, cavaliere, – disse<br />

Nanni dopo un ultimo sorso, mentre con evidente sollievo<br />

poggiava la tazzina.<br />

Da Carruezzo, sprofondato in una poltrona posta di lato<br />

rispetto alla scrivania e alle sedie, giunse una sorta di<br />

grugnito, forse di soddisfazione. Fare il caffè era tra le<br />

mansioni che il nuovo giovane di studio si era motu proprio<br />

attribuito. Lo preparava nella stessa stanza dove batteva<br />

a macchina, facendolo bollire su un fornellino a spirito,<br />

per poi servirlo con fare cerimonioso nello studio di<br />

Serra.<br />

– Allora Nanni, – fece Serra, – sembra proprio che ti sei<br />

rimesso.<br />

– Ma sì, avvocato. Magari a occhio nudo non si vede,<br />

ma io sono di quelli tosti.<br />

– E siccome sei tosto e le botte che hai preso non ti han-<br />

85


no fatto un baffo, hai continuato a indagare nell’ambiente<br />

dei cravattari…<br />

– Non è proprio così avvocato. Poi, a essere sinceri,<br />

quando m’hanno pestato non sono sicuro che erano botte<br />

dei cravattari.<br />

– E di chi se no?<br />

– Lei lo sa, avvocato, quelli come noi, – disse guardando<br />

verso Tazio. – Quelli come noi c’abbiamo che diamo<br />

fastidio alla gente.<br />

– Se la dici, la devi dire tutta, – intervenne Tazio ar<strong>rosse</strong>ndo.<br />

– Diglielo all’avvocato quello che ti è successo al<br />

cinema di Centocelle, all’Astoria…<br />

– Ma Tazié, te lo già detto, quello è stato un malinteso,<br />

un… come dici sempre tu? un qui quo qua.<br />

– Un quid pro quo – corresse Tazio.<br />

– Proprio così, un abbaglio del ragazzino, che io gli ho<br />

offerto solo una sigaretta: e poi vallo a sapere che era figlio<br />

der Pistola.<br />

– Spiegami allora perché sei andato sino a Centocelle<br />

per vedere quella pellicola, che la davano anche al cinema<br />

sotto casa… lasciamo stare però, che all’avvocato e al<br />

cavaliere gli stiamo facendo perdere tempo…<br />

Tazio si interruppe per un attimo. Poi però riprese con<br />

enfasi: – Tu dici quelli come noi, Nanni. Ma sono quelli<br />

come te che ci fanno perdere la faccia, la dignità…<br />

– E chi è che perderebbe la faccia? La categoria? A Tazié,<br />

se fosse per te tu magari ci fai il sindacato di quelli come<br />

noi. – Poi rivolgendosi a Serra: – Vede avvocato, sarà<br />

perché è di un’altra generazione, sarà perché Tazietto mio<br />

lui è un animale a sangue freddo, ma uno se lo deve senti’<br />

il fuoco dentro per capi’ cosa vuol dire, che te ne andresti<br />

86<br />

non dico a Centocelle ma nella giungla delle Amazzoni. A<br />

tenerci costretti in una natura che non è la nostra e a dirci<br />

che non si può fa’, uno la voglia l’attizza ancora di più. E<br />

poi Tazié, te lo posso dire: noi, io, tu, tutti gli altri, froci<br />

siamo e froci restiamo che nella vita c’è anche peggio che<br />

di esse’ froci… mi scusi avvocato, ma era da tanto che dovevo<br />

farglielo a Tazio questo discorso. Le stavo dicendo…<br />

– Mi stavi dicendo delle indagini su Amicucci e i cravattari…<br />

– Io quelle indagini non le ho riprese, sinchè… ma forse<br />

è meglio che a dirglielo sia Tazio: è lui che…<br />

– No, parla tu, – disse Tazio. – D’altra parte sei tu quello<br />

che sa come vanno le cose del mondo.<br />

– A Tazié non mi dire che ti sei offeso. No che non ti sei<br />

offeso… insomma Tazio legge molti giornali e settimanali<br />

e in uno di questi, Il Pungolo, che ti va a trovare?<br />

– Che ti va a trovare? Dimmelo tu Nanni, – intervenne<br />

Serra.<br />

– Una serie di articoli sul professor Zanda, o per essere<br />

più precisi sul sottosegretario Zanda.<br />

– Che giornale è questo Il Pungolo?<br />

– Uno di quelli di politica.<br />

– Nulla di strano allora che un giornale politico parli di<br />

un uomo politico, tanto più se questo uomo politico ha<br />

un incarico di governo, è un sottosegretario.<br />

– Il fatto è che questo non è un giornale come gli altri…<br />

dài Tazié spiegaglielo tu per bene al cavaliere e all’avvocato,<br />

che io non mi ci sbrigo troppo con ’sti discorsi di<br />

politica.<br />

Tazio Quagliariello si appoggiò meglio alla sedia, e con-<br />

87


temporaneamente raddrizzò la schiena. Poi si schiarì la<br />

voce, come chi sta per iniziare un lungo discorso.<br />

– Ad esser precisi Il Pungolo è un giornale di destra, di<br />

estrema destra…<br />

– Perché Tazietto mio, – lo interruppe Nanni, – è rimasto<br />

fermo nell’idea, è un idealista lui: spiegaglielo Tazié<br />

all’avvocato.<br />

Per la seconda volta Tazio Quagliariello arrossì violentemente.<br />

– Che c’entra questo, – disse. – Non c’entra assolutamente<br />

nulla.<br />

– Era solo per spiegare perché leggi i giornali di destra:<br />

tu fascista eri e fascista sei rimasto, mica come quelli che<br />

cambiano casacca, che oggi è pieno…<br />

– Nanni, te l’ho già detto che non è come dici tu, che<br />

non è così semplice…<br />

– Ma io sono orgoglioso di te, Tazietto, e anche se di<br />

politica non ci capisco un’acca se tu sei dell’idea lo sono<br />

anch’io.<br />

– E di quale idea sarei?<br />

– Dell’idea che non muore mai: il Duce.<br />

– Spiegare a te è come spiegare ai banchi, il Duce non<br />

c’entra nulla…<br />

Eupremio Carruezzo aveva seguito le ultime battute di<br />

quella conversazione in piedi. Forse, alzandosi, aveva avuto<br />

l’intenzione di raggiungere il portacenere sulla scrivania<br />

di Serra, ma poi era rimasto là, accanto alla poltrona, il<br />

sigaro tra le dita e, sotto il sigaro, la mano sinistra a coppa<br />

pronta a raccoglierne la cenere.<br />

– Se non è il Duce l’idea, – intervenne Carruezzo, – qual<br />

è allora?<br />

– Nessuno meglio di lei può capirmi, cavaliere, – disse<br />

88<br />

Tazio. – Non è che se le cose sono andate in un’altra maniera,<br />

uno abbandona le sue convinzioni.<br />

– Ma neppure le mantiene, queste convinzioni, quando<br />

si dimostrano palesemente sbagliate.<br />

– Lei crede che la costruzione dell’uomo nuovo, la rinascita<br />

di un’Italia proletaria fossero idee sbagliate?<br />

– Quel che credo io, caro Tazio, non conta. Ero fuori<br />

del gioco allora, e fuori del gioco sono adesso. Di questo<br />

non aveva colpa allora Mussolini e non ha colpa adesso<br />

Adone Zoli…<br />

Proprio in quel momento la cenere cadde dal sigaro,<br />

senza che la mano a coppa del cavaliere la trattenesse. –<br />

Accidenti, – fece Carruezzo e cercò col piede di allontanare<br />

la cenere dal tappeto. Ne venne fuori una patacca<br />

grigiastra, a campeggiare nel simil persiano che ricopriva<br />

il pavimento. Gli occhi di tutti si erano concentrati<br />

sulla manovra del cavaliere, sino alla sua conclusione,<br />

con la scarpa di lui sopra la patacca, di sicuro per nasconderla.<br />

Serra fu il primo a riprendere il filo del discorso: – Insomma<br />

Tazio, ci stava parlando del Pungolo…<br />

– Un foglio antigovernativo, su questo non ci sono dubbi…<br />

– E diglielo chiaro Tazié. Un giornale contro il magnamagna<br />

degli onorevoli, contro i forchettoni, quelli democristiani<br />

e quelli degli altri partiti.<br />

– Un giornale senza peli sulla lingua, insomma, – riprese<br />

Tazio. – Fatto sta che negli ultimi due mesi si è occupato<br />

spesso del professor Zanda. Lei sa, avvocato, dell’inchiesta<br />

governativa sull’incidente minerario di Nuraxi<br />

Nieddu, in <strong>Sardegna</strong>?<br />

89


– Certo, ne ho letto sui giornali. A Nuraxi Nieddu erano<br />

morti ottanta minatori, mi pare di ricordare.<br />

– Esattamente. L’incidente è dell’inizio dell’anno scorso<br />

e a quel tempo Zanda era sottosegretario al ministero dell’Industria.<br />

A partire da gennaio Il Pungolo, ha pubblicato<br />

una lunga inchiesta sull’incidente: il lavoro dei minatori<br />

nei pozzi, le norme di sicurezza, e così via. Nel terzo<br />

pezzo sull’inchiesta, eravamo già all’inizio di marzo, è cominciato<br />

a venir fuori il nome di Zanda. Che il Ministero<br />

non aveva proceduto alla riorganizzazione del Servizio<br />

minerario, che la legislazione sulle miniere era carente e<br />

arretrata. Cose generiche, persino fumose, ma lasciando<br />

capire, dicendo e non dicendo, che c’era qualcosa di più,<br />

qualcosa su cui il giornale stava indagando, e che a suo<br />

tempo sarebbe venuto fuori…<br />

A quel punto intervenne Nanni: – E un giorno Tazietto<br />

mi fa: hai visto il tuo professor Zanda. Il mio professor<br />

Zanda, faccio io. Il tuo professor Zanda, fa lui, quello<br />

della serva sarda che l’hanno trovata col corpo del reato<br />

in mano. E poi mi fa vedere gli articoli. Io m’incuriosisco,<br />

io sono fatto così, sono curioso, mi conosco che certe volte<br />

è proprio la curiosità che m’ha fregato…<br />

– Nanni, veniamo al dunque, – fece Serra.<br />

– Gliela faccio breve avvocato. Stavo meglio, e decido<br />

di farmi un giro da certi amici miei per sapere qualcosa su<br />

questo giornale, tanto per capire, come si suol dire… insomma,<br />

faccio qualche domanda in giro e ti vado a scoprire<br />

due cose. La prima è che il proprietario, direttore,<br />

fattotum de questo giornale, di questo foglio come ha<br />

detto Tazio, il proprietario, tal Cantillo Michele, è uno,<br />

come si dice… non proprio un giornalista tale e quale, di<br />

90<br />

quelli che scrivono quello che c’hanno da scrivere e poi,<br />

ciccia: se ne tornano a casa. Il lavoro suo, quello vero, viene<br />

dopo che ha scritto. Lui scrive su uno che c’ha i cazzi<br />

suoi che non vuole che si sanno in giro. Poi va da questo e<br />

gli dice: tu mi sganci e io i cazzi tuoi non li scrivo sul giornale.<br />

È chiaro che questo lavoretto non lo fanno con la<br />

gente come noi, come me e Tazio ad esempio, che anche<br />

io e Tazio c’abbiamo i cazzi nostri - e ridi Tazié, ch’è una<br />

battuta! - ma di questi cazzi non gliene frega niente a nessuno.<br />

Il giochetto, Michele Cantillo, lo fa con quelli che<br />

c’hanno da masticare, lo fa coi forchettoni. Già a questo<br />

fatto mi sono messo in campana. Solo che poi che ti scopro?…<br />

ti scopro che certe volte Cantillo per i lavoretti<br />

suoi si serve come uomo di mano, come uomo di pressione…<br />

di Amicucci si serve, del nostro Amicucci che poi gli<br />

è capitato quello che gli è capitato. Io se posso di’ la mia<br />

idea…<br />

Ma il cavaliere lo interruppe: – Una cosa mi pare certa.<br />

Non può essere un caso che, partendo da Amicucci e seguendo<br />

strade diverse, si arrivi sempre al professor Zanda.<br />

– Proprio così, – intervenne Nanni, – è quello che volevo<br />

dire anch’io.<br />

E Serra: – Se le cose sono come dice Nanni non è impossibile<br />

che Zanda, essendo nel mirino di Cantillo, avesse<br />

già Amicucci alle calcagna.<br />

Tutto, continuò Serra, riportava ad Adelina e al motivo<br />

per cui si era rivolta ad Amicucci. Su questo, di sicuro,<br />

Adelina era reticente, forse mentiva.<br />

91


14<br />

Il Café de Paris non era il Paradise, non aveva vetri<br />

sbrecciati, né serviva chinotti, né lo frequentavano domestiche<br />

in libera uscita. Nelle ore in cui il Paradise celebrava<br />

i suoi fasti il Café de Paris era ancora vuoto. Solo verso<br />

le undici di sera cominciava a riempirsi di esponenti più o<br />

meno noti delle varie tribù che in quegli ultimi anni ne<br />

avevano fatto la fortuna: cinematografari, giornalisti, generici<br />

tiratardi, i quali dopo aver cenato nei ristoranti tra<br />

fontana di Trevi e il Tritone sciamavano verso i locali notturni<br />

intorno a via Veneto. Dal fondo oscuro della sala<br />

una voce femminile, quasi a mettersi a tono con l’atmosfera,<br />

cantava di lucciole amanti delle tenebre e perversi<br />

fiori del male, seguiva una canzone su una donna voluttuosamente<br />

avvinta al suo uomo, respiri che respirano altri<br />

respiri, corpi che s’intrecciano, bocche frementi. Appoggiato<br />

con un gomito al bancone, un bicchiere in mano,<br />

un mezzo sorriso sulle labbra, Michele Cantillo aveva<br />

l’aria di godersela un mondo.<br />

Serra non ebbe dubbi che fosse proprio lui l’uomo che<br />

cercava. – Mi riconoscerete dalla statura, – gli aveva detto<br />

al telefono, – se volete, però, infilo una gardenia all’occhiello.<br />

93


Per essere basso Cantillo era basso, sembrava però robusto,<br />

con quel doppiopetto a righe da gangster italoamericano.<br />

All’anulare sinistro un grande anello d’oro<br />

con lo stemma. Anche lui parve individuarlo, anche se<br />

Serra non gli aveva dato alcuna indicazione. Scese dall’alto<br />

sgabello su cui era appollaiato - per farlo dovette poggiare<br />

il piede sinistro sulla barra d’ottone poggiapiedi che<br />

correva alla base del bancone - e gli venne incontro.<br />

– L’avvocato che mi ha telefonato questo pomeriggio?<br />

– Luciano Serra, piacere.<br />

– Vuole che ci sediamo a un tavolo, o beve una cosa con<br />

me al bar?<br />

– Il bar va bene, – disse Serra e scelse lo sgabello accanto<br />

a quello di Cantillo.<br />

– Whisky?<br />

– Vada per il whisky.<br />

– Gianni, due Johnny Walker, – fece Cantillo al barman<br />

con un accenno di sorriso. Poi, rivolgendosi a Serra: – Mi<br />

faccia indovinare il motivo per cui mi ha cercato… lei cura<br />

gli interessi dell’onorevole Malavasi e l’onorevole Malavasi<br />

vorrebbe che io smettessi di parlare di lui sul mio<br />

giornale, soprattutto smettessi di parlare di quei suoi affarucci<br />

con il Banco Lariano…<br />

– La devo interrompere: non si tratta dell’onorevole<br />

Malavasi…<br />

– Allora è l’onorevole Gibelli che la manda…<br />

– Neppure. Si tratta di una mia assistita, al momento alle<br />

Mantellate perché accusata di aver ucciso tal Pompeo<br />

Amicucci. Ecco questo volevo chiederle, se lei ha conosciuto<br />

Pompeo Amicucci.<br />

Proprio in quel momento un gruppo colorito e chiasso-<br />

94<br />

so fece ingresso nel locale, tanto colorito e chiassoso da<br />

attrarre l’attenzione di Serra: al centro una donna, sinuosa<br />

e ondeggiante in un abito da sera molto attillato, al suo<br />

fianco due uomini, uno con una cravatta di cuoio e un sigaro<br />

in bocca, l’altro indossava degli occhiali scuri. La<br />

donna disse qualcosa in inglese che Serra non capì e l’uomo<br />

dalla cravatta di cuoio esplose in una fragorosa risata.<br />

Non avrebbe saputo dirne il nome, ma Serra era sicuro<br />

che la donna fosse una stella del cinema, e anche i due uomini<br />

avevano una faccia conosciuta. Più volte, per anni,<br />

quella scena gli sarebbe tornata in mente, ma velata nel<br />

ricordo, la figura della donna fiabescamente fluttuante<br />

nell’aria come in un quadro di Chagall.<br />

– Perché dovrei aver conosciuto questo Amicucci? – riprese<br />

Cantillo.<br />

– Non dico che lo ha conosciuto. Le sto solo chiedendo<br />

se lo ha conosciuto. Sa, Amicucci era una specie di cravattaro,<br />

come dicono qui a Roma…<br />

– Appunto, io sono un giornalista, un giornalista professionista,<br />

e non permetto… comunque, se le può servire,<br />

so chi è questo Amicucci. Non credo però di poterle<br />

essere di grande aiuto… se c’ho avuto a che fare, c’ho<br />

avuto a che fare superficialmente.<br />

– Si è per caso servito delle sue prestazioni?<br />

– Se gli ho chiesto soldi a strozzo?<br />

– No, non in quel senso…<br />

– Ho capito, lei vuol sapere se… prima risponda lei a<br />

una domanda, però: di quale informazione ha bisogno<br />

esattamente?<br />

– Le faccio un altro nome: il professor Zanda, l’onorevole<br />

Zanda…<br />

95


– Ora la seguo: dunque è per Zanda che è venuto a<br />

trattare.<br />

– Non sono venuto a trattare per nessuno, le ripeto. Il<br />

fatto è che la mia cliente, Adelina Demontis, è a servizio<br />

a casa di Zanda…<br />

– Capisco sempre meno come posso esserle utile.<br />

– Lei ha scritto a più riprese su Zanda nel suo giornale.<br />

– Senta avvocato, avvocato…<br />

– …Serra.<br />

– Bene, avvocato Serra, io sono un giornalista, e faccio<br />

giornalismo investigativo. Lei ha presente cos’è il giornalismo<br />

investigativo?<br />

– Suppongo di sì.<br />

– Invece sono sicuro che lei non ha un’idea del giornalismo<br />

investigativo. Non solo lei, intendiamoci. In questo<br />

paese il giornalismo investigativo praticamente non esiste.<br />

Sa perché non esiste? – Cantillo non aspettò la risposta:<br />

– Non esiste perché gran parte della stampa è governativa,<br />

e le magagne dei politici più che portarle alla luce<br />

è interessata a nasconderle.<br />

– Ci sono pur sempre i giornali d’opposizione.<br />

– Glieli raccomando quelli. Ha presente L’Unità? Contro<br />

chi ce l’ha L’Unità? Contro il capitalismo, contro l’imperialismo.<br />

Contro queste grandi entità metafisiche ce<br />

l’ha. Non certo contro i singoli politici, quelli che truffano,<br />

rubano, comprano voti. Questi li lascia in pace. Me lo<br />

dica lei avvocato: è o non è così?<br />

Cantillo portò alle labbra il bicchiere. Sembrava gli facesse<br />

piacere che qualcuno lo ascoltasse. Forse c’era stato<br />

un tempo in cui lo stesso Cantillo aveva creduto a quelle<br />

96<br />

sparate, ma ora solo la presenza di un pubblico nuovo lo<br />

poteva spingere a esibirsi in quel numero.<br />

– È o non è così, avvocato?<br />

– Non saprei. M’intendo poco di queste faccende.<br />

– Lei vuol sapere di Zanda, dunque?<br />

– Di Zanda, e di suoi eventuali rapporti con Amicucci.<br />

– E cosa dovrei sapere io di questi eventuali rapporti?<br />

Domanda ragionevole, pensò Serra. Perché mai Cantillo,<br />

ammesso sapesse qualche cosa, avrebbe dovuto parlarne<br />

con lui?<br />

– Lei conosceva Amicucci. Di Zanda, poi, sembra sapere<br />

molte cose…<br />

– Di Zanda so le cose che ho scritto sul mio giornale e<br />

quelle che scriverò prossimamente. Compri Il Pungolo e<br />

saprà tutto su Zanda. Cinquanta lire ben spese, glielo assicuro.<br />

– Magari mi può dire qualche cosa di Amicucci.<br />

– Quando ho letto sul giornale che un tal Amicucci era<br />

morto ammazzato, mi sono ricordato di un Amicucci che<br />

avevo conosciuto… Ho qualche appartamento in affitto<br />

e mi avrebbe fatto comodo incaricare qualcuno di riscuotere<br />

le pigioni. Mi avevano parlato di Amicucci come di<br />

uno che faceva lavori del genere. L’ho visto una volta,<br />

però, e mi è bastato: il tipo del truffatore, glielo si leggeva<br />

in faccia.<br />

Come in faccia si leggeva a Cantillo che mentiva. Perché<br />

dovrebbe dirmi la verità? si chiese ancora una volta<br />

Serra. La verità, quelli come lui, la vendono tanto al chilo,<br />

non la distribuiscono certo così al primo Serra che<br />

passa. Che figura tapina stava facendo di fronte a quel lestofante,<br />

con le sue domande balbettanti! Cosa si aspet-<br />

97


tava dal quell’incontro col giornalista? Che magari gli dicesse<br />

che, sì, lui aveva incaricato Amicucci di ricattare<br />

Zanda e che Zanda… ecco cosa ci sarebbe voluto, una<br />

storia convincente, capace di scagionare Adelina… avvocato<br />

Serra, un trionfo, gli avrebbero detto in Tribunale, e<br />

perché no, qualche titolo sui giornali. Il monologo si<br />

chiuse nel modo fulmineo in cui era solito chiudere queste<br />

conversazioni con se stesso: Serra, sei un patetico coglione.<br />

98<br />

15<br />

Quella notte Serra fece un sogno. Ma più che un sogno<br />

fu un incubo. Senza scarpe, a piedi nudi, e lo inseguivano.<br />

Lo inseguiva Adelina, ma non era lei sola. Adelina,<br />

anzi, la sentiva come il meno pericoloso dei suoi inseguitori.<br />

Gli altri, facce nell’ombra che non riusciva a riconoscere,<br />

lo volevano morto. Si rifugiava nella sacrestia della<br />

chiesa di San Michele, a Cagliari, e qui appariva suo padre<br />

in divisa da poliziotto. Figlio mio ti cercano - il tono<br />

lamentoso di suo padre - ti riconosceranno subito così<br />

senza scarpe. Procurami un paio di scarpe, babbo, ma lui<br />

si allontanava e lo lasciava solo. Poi indossava una tonaca<br />

nera e sopra la tonaca una cotta di lino orlata di pizzo -<br />

così aveva servito messa da bambino - e usciva dalla chiesa.<br />

Ai piedi aveva ora della scarpe femminili, scarpe <strong>rosse</strong><br />

coi <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong>. E la gente mormorava al suo passaggio:<br />

eccolo è lui l’assassino.<br />

Al risveglio ripercorse il sogno, passo a passo, provando<br />

il sollievo di chi riassapora la realtà, che per quanto<br />

triste possa essere, non è così orripilante come quella appena<br />

sognata. Lo colpiva che al centro di quello scenario<br />

d’incubo vi fosse lui stesso accusato d’omicidio, lui che<br />

invece era a caccia di un assassino. E la figura di suo padre…<br />

così elusiva nel sogno, cosa aveva a che fare con i<br />

99


suoi reali rapporti con lui? E le scarpe femminili che a un<br />

certo punto aveva indosso? I vertiginosi <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong>, ricordò<br />

la sensazione che gli dava nel sogno indossarle, un<br />

misto di imbarazzo e piacere. Particolari inquietanti, su<br />

cui non intendeva soffermarsi.<br />

Quando uscì di casa alla luce tenue di quella mattina di<br />

aprile, aveva appena smesso di piovere. Le nuvole, sino a<br />

poco prima basse e compatte, si andavano sfilacciando in<br />

un disordine di forme e di toni che prometteva l’irrompere<br />

del sole da un momento all’altro. Comprò il giornale a<br />

un’edicola e lo sfogliò sorseggiando un caffè in un bar di<br />

Corso d’Italia. Per circa una settimana l’assassinio di<br />

Amicucci aveva trovato spazio nelle pagine di cronaca del<br />

Messaggero, poco meno era durato l’interesse per la faccenda<br />

da parte del Tempo e del Giornale d’Italia. Il caso<br />

aveva incuriosito. Incuriosiva Amicucci - «esponente del<br />

demi monde criminale romano» scriveva il cronista - ma<br />

stuzzicava ancora di più una curiosità quasi morbosa<br />

Adelina Demontis, «la domestica sarda trovata sul luogo<br />

dell’efferato crimine.» Sulla terza pagina del quotidiano,<br />

era anche apparso l’articolo di un noto filosofo che collegava<br />

«l’enigmatica figura» della domestica al «fondo<br />

oscuro di un mondo, quello pastorale sardo, in cui le ragioni<br />

dell’onore e della stirpe sembrano ancora volere<br />

trovare espressione nel linguaggio della violenza e della<br />

vendetta.» Naturalmente il Messaggero aveva fatto ampi<br />

riferimenti al processo che vedeva il fratello della «domestica<br />

sarda» accusato di sequestro di persona, mentre solo<br />

di passata veniva menzionato il sottosegretario Zanda.<br />

Da qualche giorno del caso Amicucci non si parlava sul<br />

giornale, per cui fu con qualche sorpresa che Serra, quella<br />

100<br />

mattina al caffè notò sulle pagine di cronaca un titolo, «Il<br />

caso della domestica sarda. Un’intervista al suo datore di<br />

lavoro, il sottosegretario Zanda.» Si trattava di una breve<br />

intervista in cui Zanda, oltre a dirsi convinto dell’innocenza<br />

della donna, giustificava il fatto di tenersi in casa la<br />

sorella di un presunto sequestratore con l’impegno «cristiano»<br />

nei confronti di un mondo che necessitava, per<br />

«procedere alla propria redenzione», di comprensione e<br />

carità… cristiana, ovviamente, commentò fra sé Serra.<br />

Guidò la sua Giardinetta sino alla parte più alta di Via<br />

Veneto, poi percorse a piedi il vialetto di villa Borghese<br />

che sbocca sul Piazzale Flaminio. Oltre Porta del Popolo,<br />

lo aspettava Marianna.<br />

– Che ne dici di una cioccolata da Rosati? – chiese lui<br />

mettendole un braccio sulle spalle.<br />

– Preferisco passeggiare. Sai quanto mi piace andare a<br />

passeggio con te la domenica mattina, – disse lei.<br />

– Come una tranquilla famigliola borghese? – C’era<br />

una leggera intenzione ironica nella voce di Serra.<br />

– Un po’ lo siamo una famigliola borghese, o no?<br />

Serra non rispose.<br />

– Lo siamo o no, Luciano?<br />

– Tu che ne dici? … è la misura di questo po’… quali<br />

sono secondo te gli ingredienti che fanno la famigliola<br />

borghese?<br />

– Se vuoi dire che noi… insomma, non abbiamo una<br />

casa in comune, non abbiamo figli, non siamo neppure<br />

sposati. Però esistono molti modi di essere famiglia…<br />

– Te lo dico io, Marianna, quali sono gli ingredienti del-<br />

101


la famigliola italiana. Suocere e cognati! Le coppie che<br />

fanno famiglia hanno una quantità di suocere e cognati.<br />

– E i figli allora?<br />

– Suocere e cognati, ti dico. Noi, tutto quello che abbiamo<br />

nel ramo è una suocera. Una suocera che cucina<br />

molto bene: una suocera italiana che non cucinasse bene<br />

sarebbe una contraddizione in termini. Ne abbiamo una<br />

sola, però. E poi non abbiamo cognati. Ecco chi ci manca:<br />

i cognati. Quanti più cognati hai, più famiglia sei.<br />

– Abbiamo il cavaliere, però. Come vecchio zio, non è<br />

male, il cavaliere.<br />

– Non è come avere cognati, non è la stessa cosa.<br />

– Quella poverina è ancora in galera? – domandò lei<br />

mentre erano distesi a letto. Dopo la passeggiata al Corso,<br />

avevano pranzato in un ristorante di Piazza Augusto<br />

Imperatore. Poi erano andati a casa di lui.<br />

– Quale poverina?<br />

– La domestica sarda, la tua cliente.<br />

– È ancora alle Mantellate e ho paura che ci rimarrà.<br />

– Non ci sono elementi nuovi?<br />

– Qualcosa di nuovo potrebbe anche esserci. Il problema<br />

è che lei non parla. Se almeno dicesse tutto quello che<br />

sa…<br />

– Potrebbe essere scagionata?<br />

– Scagionata non lo so… certo è che peggio di così….<br />

– Tu cosa pensi? Pensi che sia innocente?<br />

– Devo pensare che sia innocente.<br />

– Non la difenderesti se no.<br />

– Non ho detto questo. Anche i colpevoli hanno diritto<br />

102<br />

a un avvocato. Sono io che per cercare di aiutarla ho bisogno<br />

di pensarla innocente, ma io sono un avvocato sui generis…<br />

– E me, se fossi colpevole, mi difenderesti?<br />

– Certo che ti difenderei.<br />

– Anche se avessi le prove che sono colpevole, se io te lo<br />

confessassi?<br />

– Dipenderebbe dalla colpa di cui ti sei macchiata.<br />

– Metti che sono la moglie di uno ricchissimo e che lo<br />

ammazzo col veleno per poter ereditare tutto e spassarmela<br />

col mio amante.<br />

– Beh, allora dipende.<br />

– Dipende da che cosa?<br />

– Se fossi io il tuo amante, allora farei carte false per farti<br />

assolvere: ho sempre avuto un debole per le vedove milionarie.<br />

103


16<br />

– Mi sento come ai vecchi tempi, – gli aveva detto il<br />

giorno prima il cavaliere, dopo una ennesima spedizione<br />

in via Vetulonia. Su quell’aspetto delle indagini, Carruezzo<br />

si era ritagliato una sorta di esclusiva. Andava su e giù<br />

per le scale, parlava con gli inquilini, prendeva informazioni<br />

da bottegai e baristi della zona, e soprattutto “annusava”.<br />

– Mi sento come ai vecchi tempi, – aveva ripetuto.<br />

I vecchi tempi. Del suo passato di poliziotto Serra ricordava<br />

soprattutto la sensazione di ripetitività: le domande<br />

ai sospetti, in fondo un’unica domanda, sempre la stessa<br />

(sei stato tu? dov’eri quella sera quando…? l’alibi, insomma),<br />

le minacce ai testimoni reticenti, e il disgusto, la<br />

ripugnanza, quando scoperto ciò che c’era da scoprire si<br />

giungeva al fondo oscuro di egoismo da cui pareva originarsi<br />

ogni delitto. E la sensazione di casualità, poi, l’impressione<br />

che solo il sommarsi di circostanze casuali e<br />

fortunate gli avesse consentito di mettere alle strette il<br />

colpevole, oppure che proprio l’ottusità dei criminali fosse<br />

alla fine la migliore alleata della giustizia, come la spinta<br />

a confessare, che a volte, imprevedibilmente, consentiva<br />

di risolvere casi sino a quel punto irrisolvibili. L’unica<br />

qualità che poteva riconoscere a un poliziotto - l’unica<br />

105


che riconosceva a se stesso, per lo meno - era la disposizione<br />

a disegnare trame, a immaginare motivazioni, a non<br />

escludere nessuna congettura, a figurarsi alternative possibili<br />

a ciò che appare, la capacità di seguire passo passo<br />

la mente contorta di un criminale, di comprenderne le<br />

pulsioni, quando in fondo comprenderle altro non vuole<br />

dire che ritrovarle in se stessi. Rispondimi: cosa c’è dentro<br />

di te? C’è voglia, c’è desiderio. Bene, gratta ancora:<br />

cosa c’è sotto il desiderio? La volontà di soddisfarlo. E<br />

sotto ancora? Nulla, non vedo, nulla che io voglia vedere.<br />

Accelerò il passo, quasi che in quel modo potesse lasciarsi<br />

alle spalle i pensieri cupi. Meglio riordinare le idee,<br />

invece, su quell’indagine così saltellante e sgangherata.<br />

Due le direzioni su cui si era sino ad allora mosso. Quella<br />

emersa per ultima, la catena o, volendo, il triangolo Cantillo-Amicucci-Zanda<br />

e quella da cui era invece partito, la<br />

pista che il cavaliere una volta per tutte aveva definito<br />

“condominiale”.<br />

La pista condominiale era stata costruita intorno all’innocenza<br />

di Adelina, capitata per caso sullo scenario del<br />

delitto, a delitto già consumato. La catena, il triangolo, invece<br />

- Cantillo che mette Amicucci alle calcagna di Zanda,<br />

per ricattarlo - presupponeva un ruolo di Adelina, un<br />

quarto anello-vertice che faceva saltare la catena-triangolo,<br />

ché in quest’ultima ipotesi non sarebbe bastato il caso<br />

a spiegare come la domestica del ricattato fosse in contatto<br />

col ricattatore e in casa sua proprio al momento della di<br />

lui dipartita.<br />

Ma in questa seconda ipotesi quale motivo poteva avere<br />

Adelina per tacere? Difendere se stessa da eventuali altre<br />

accuse? Evitare di fornire prove ulteriori all’accusa di<br />

106<br />

omicidio? Difendere altri? Era pensabile che, accusata di<br />

omicidio, rinunciasse a difendersi per coprire qualcuno?<br />

Così, sovrappensiero, Serra era arrivato quasi senza accorgersene<br />

a Campo dei Fiori. Ora, di fronte a lui, facce,<br />

gesti, voci dei venditori del mercato si producevano in<br />

una consumata teatralità, la stessa che gli capitava di ammirare,<br />

da ragazzo, quando, marinata la scuola, passava<br />

mattinate intere al mercato del Largo a Cagliari: e chi se<br />

lo vuole pappare questo cefalo grande e bello come un<br />

bambino? strillavano.<br />

– Eccolo il giovane poliziotto, magari un po’ meno giovane…<br />

– L’uomo gettò uno sguardo agli altri tavolini del<br />

bar, come ad accertarsi se ci fosse qualcuno di sua conoscenza.<br />

– Sai com’è, esser visto in giro con uno sbirro…<br />

anche se ora ti sei riciclato e non sei più un tutore dell’ordine.<br />

– Appunto, ma la faccia da poliziotto non la si perde<br />

così facilmente: è questo che vuoi dire? – fece sorridendo<br />

Serra.<br />

Da circa trent’anni, da quando stava ancora a Cagliari,<br />

conosceva Efisio Piccioni, amico di suo padre e giornalista,<br />

allora, dell’Unione Sarda. Si doveva a questa amicizia<br />

che il nome del vecchio Serra finisse tanto spesso sul giornale,<br />

come anche il fatto che i pezzi di nera di Piccioni, risultassero<br />

sempre i più informati e ricchi di particolari.<br />

Poi Piccioni aveva lavorato a Roma, al Messaggero, dove<br />

negli ultimi anni del regime si era conquistato una solida<br />

nomea di antifascista e rompicoglioni. I meriti antifascisti,<br />

arricchiti dalla militanza nei Gap, durante la guerra,<br />

107


gli erano valsi nel 1946 l’assunzione a L’Unità, nella cui redazione<br />

aveva avuto modo di rinverdire, e per molti<br />

aspetti rafforzare, questa sua fama di intemerato rompicoglioni.<br />

Nella redazione de L’Unità si ricordava ancora,<br />

con raccapriccio o ilarità, a seconda di chi ricordava, della<br />

sua proposta di un’inchiesta dal titolo «Nelle zone d’ombra<br />

dell’Unione Sovietica». Il passaggio dei sessant’anni<br />

aveva lasciato Piccioni con una faccia rugosa, che lasciava<br />

però intuire i tratti del giovane di una volta. Risaliva ai<br />

suoi primi anni a Roma l’abitudine, che il tempo aveva<br />

trasformato in rito, dell’aperitivo da Giolitti. – Dove c’incontriamo?<br />

– gli aveva chiesto Serra per telefono. – Da<br />

Giolitti, naturalmente.<br />

– E il tuo vecchio compare? – chiese Piccioni a Serra.<br />

– Chi sarebbe il mio vecchio compare?<br />

– Quell’Eupremio…<br />

– Carruezzo? Anche lui ha lasciato la Polizia. È andato<br />

in pensione. Al momento dà una mano nel mio studio.<br />

– La ditta non si è sciolta, insomma.<br />

– No, in un modo o nell’altro è ancora in piedi. Dimmi<br />

di te, piuttosto. Ho saputo che sei stato per qualche anno<br />

a Milano.<br />

– Così ha voluto il Partito. Poi ha voluto farmi ritornare<br />

a Roma e io sono ritornato, anche perché mi ero rotto le<br />

palle di Milano e Milano si era rotta le palle di me. Di Milano<br />

non sopportavo il clima. Quell’aria grigio-sporco<br />

che ti avvolge per dieci mesi all’anno e ti si appiccica addosso.<br />

– Insomma, tornare a Roma ti ha fatto piacere.<br />

108<br />

– Non avevo alternative, a meno di non considerare Cagliari<br />

un’alternativa.<br />

– Ti volevano mandare a Cagliari?<br />

– L’idea era di sbattermi in <strong>Sardegna</strong> a fare il segretario<br />

federale.<br />

– Non ti ci vedo come funzionario.<br />

– Cos’altro credi che sia un giornalista comunista se<br />

non un funzionario?<br />

– Comunque, a Cagliari non ti ci hanno mandato…<br />

– Si sono convinti (un po’ li ho aiutati io a convincersi)<br />

che a Cagliari, la mia città, magari avrei combinato guai<br />

ancora peggiori.<br />

– Perché, che guai hai combinato?<br />

– Mi sono concesso il lusso di pensare che la classe operaia<br />

ungherese che si ribellava al comunismo non lo faceva<br />

pagata dalla CIA, e l’ho anche detto pubblicamente.<br />

Ho anche detto che i carri armati russi a Budapest non ci<br />

dovevano entrare. Credo che considerino questa la mia<br />

colpa peggiore. E anche quando poi ho ritrattato…<br />

– Il grande Piccioni che fa marcia indietro! Questa da<br />

te non me la sarei aspettata, anzi non riesco proprio a<br />

spiegarmela…<br />

– Te la spiego io. C’è di mezzo una cosa che si chiama<br />

senso di colpa. Col senso di colpa non tratti, arriva là dove<br />

vuole arrivare, si insedia alla bocca dello stomaco e da<br />

là comanda: fai questo, accetta quest’altro, obbedisci,<br />

non sei tu che comandi, tu hai commesso la colpa, zitto<br />

dunque. La colpa è sempre la stessa: l’essersi separato dal<br />

tutto, dal cuore caldo, dalla massa gelatinosa, dall’unità<br />

indistinta, dalla famiglia, dalla patria, dalla classe, dall’umanità<br />

stessa. Perché Karl Radek nel corso del processo<br />

109


farsa del 1937 confessa di fronte al fosco inquisitore Vyshinsky<br />

brutture e tradimenti d’ogni tipo (che non ha<br />

commesso), perché quando Vyshinsky ubriaco balbetta<br />

confuse parole d’accusa contro di lui è lui stesso a precisarle,<br />

queste accuse, rincarando la dose? Senso di colpa,<br />

lo stesso senso di colpa che spinge Radek, negli anni del<br />

liceo, lui giovane rampollo di una borghesissima famiglia<br />

ebraica, ad avvicinarsi al socialismo e poi, studente all’università<br />

di Cracovia, a tuffarsi anima e corpo nella milizia<br />

rivoluzionaria. A volte il senso di colpa moderno sfocia<br />

nella rivoluzione, e chi è capace di muoverlo negli altri<br />

- suscitarlo, richiamarlo, attenuarlo, levarlo - ha in mano<br />

un fondamentale instrumentum regni. I preti di ogni religione<br />

sono maestri in questo, e così i tiranni di ogni epoca.<br />

Stalin era personalmente alieno da ogni senso di colpa<br />

ma ne sapeva riconoscere i sintomi negli altri e ne conosceva<br />

gli effetti. Non sappiamo cosa abbia detto Stalin a<br />

Radek quella volta che, tre mesi prima del processo che<br />

doveva condannarlo a morte, si fece portare nella cella in<br />

cui era rinchiuso e si intrattenne con lui per due ore. Possiamo<br />

però immaginare che Stalin gli prospettasse la confessione<br />

come una possibilità di raggiungere il riscatto e<br />

ottenere il perdono. Stalin le voleva dalla sua parte le vittime,<br />

non voleva che avessero dubbi di sorta, le voleva<br />

complici. Senso di colpa e bisogno di appartenenza. Io<br />

sono comunista, voglio essere comunista. Se però i comunisti<br />

non mi considerano uno dei loro…<br />

– Insomma, hai preferito avere torto dentro il partito…<br />

– …piuttosto che avere ragione da solo. Capisci ora,<br />

giovane Serra? Certo che tu questi problemi non li hai. E<br />

lo sai perché? Non hai bisogno tu, come altri, come me<br />

110<br />

ad esempio, di aggrapparti a una qualche mitologia. E<br />

poi sei un isolazionista, ecco cosa sei. Tu te ne freghi di<br />

appartenere, non hai bisogno di schierarti tu.<br />

– Se vuoi dire schierarmi in politica, hai ragione. Cose<br />

giuste e sbagliate ce ne sono dall’una e dall’altra parte.<br />

– Eccolo il menscevico! Toglimi una curiosità, Luciano.<br />

Cos’hai votato alle ultime elezioni? No, aspetta… te lo dico<br />

io. Hai votato socialdemocratico: dimmi se sbaglio.<br />

Piccioni non sbagliava, anche se prima delle ultime elezioni<br />

era capitato a Serra di votare un po’ per tutti, dai liberali<br />

ai comunisti.<br />

– E invece ti sbagli.<br />

– Non dirmi che hai votato democristiano!<br />

– Neppure. A proposito di democristiani, però: cosa sai<br />

del sottosegretario Zanda?<br />

Piccioni sorrise e portò alle labbra il Campari.<br />

– Allora è per questo che mi hai cercato? A qualcosa<br />

serve il vecchio giornalista rincoglionito quando si tratta<br />

di rovistare nella merda… ebbè, perché ti interessa Zanda?<br />

– Di certo ne hai letto sui giornali… la storia di quella<br />

domestica sarda accusata d’omicidio.<br />

– So tutto, era domestica da Zanda. Sì, ma tu che c’entri?<br />

– Io difendo la domestica.<br />

– Stigazzi… prima feroce poliziotto, ora difensore dei<br />

deboli e dei derelitti! La serva è colpevole, comunque.<br />

– E tu cosa ne sai?<br />

– Applico al caso le due grandi scienze del diciannovesimo<br />

secolo, il materialismo dialettico e la fisiognomica.<br />

Basta vederla in fotografia: la serva ha ucciso.<br />

111


– Che abbia ucciso o no, qualcuno la deve pure difendere.<br />

È per questo…<br />

– È per questo che vuoi sapere di Zanda. Sappi dunque,<br />

giovane Serra, che Zanda non solo è democristiano, ma è<br />

anche particolarmente stronzo. Stronzo più della media<br />

dei democristiani, aggiungo. E lo sai perché? Un democristiano<br />

normale, standard diciamo, lo si riconosce a prima<br />

vista: è democristiano, vuole essere democristiano,<br />

non fa nulla per nascondere il suo essere democristiano.<br />

Zanda no. Zanda tende ad occultarsi. Niente amicizie in<br />

Vaticano, nessun passato nella Fuci o nell’Azione Cattolica,<br />

l’aria del gran signore della cultura, la citazione dotta<br />

che spazia da Croce a Max Weber. Uno che se lo senti intervenire<br />

a Montecitorio ti dà l’impressione di essere appena<br />

sbarcato da Oxford. Dagli però un incarico dove<br />

possa gestire risorse o affari, allora ti diventa una macchina<br />

da guerra. Come uomo di governo sembra uscito dalla<br />

fantasia di un marxista d’altri tempi: hai presente il governo<br />

del Capitale e idee così. Zanda, detto in soldoni, è il<br />

punto di riferimento italiano di almeno due o tre gruppi<br />

internazionali. Una specie di loro agente. Lo so, messa in<br />

questo modo suona una cazzata, sembrerebbe che democristiani<br />

così non ne esistono, e invece ne esiste almeno<br />

uno, Zanda appunto.<br />

– Naturalmente hai seguito gli at<strong>tacchi</strong> che gli hanno<br />

fatto sul Pungolo, il foglio di quel Cantillo, certo lo conosci.<br />

È da lì che ho iniziato a interessarmi a Zanda, anche<br />

perché è venuto fuori che il cravattaro morto ucciso, Amicucci,<br />

lavorava per Cantillo. Sarà come dici tu, che ad ammazzare<br />

il cravattaro è stata Adelina, io però penso che sia<br />

innocente… voglio pensare che lo sia, in ogni caso.<br />

112<br />

– Un inguaribile romantico, ecco cosa sei: la povera tremula<br />

domestichina dev’essere innocente, e magari è il<br />

suo padrone il colpevole. Guarda che quelli come Zanda<br />

non ci si sporcano le mani in faccende del genere.<br />

– Non ho mai pensato a Zanda come a un possibile assassino.<br />

Mi è solo venuto in mente che Zanda c’entri<br />

qualcosa: metti che Amicucci gli stesse dietro per incarico<br />

di Cantillo e che la presenza di Adelina a casa sua,<br />

quando è stato ucciso, avesse a che fare con il ricatto.<br />

– E metti invece che Adelina abbia accettato di andare<br />

a casa di Amicucci, a saldo del suo credito… vorrei e non<br />

vorrei, certo mi batte il cuore, è incerta… Amicucci invece<br />

non ha dubbi su ciò che gli spetta… in fondo non è la<br />

prima volta che qualcuno con l’uccello all’aria finisce con<br />

la testa spaccata. Anzi, se la vogliamo mettere in termini<br />

di giustizia, il gesto di Adelina merita il nostro plauso: ha<br />

un po’ del Davide contro Golia, ma con un retrogusto di<br />

lotta di classe, alla Spartaco diciamo.<br />

– Avrà anche un bel retrogusto questa storia, ma non<br />

per Adelina che, nel caso i giudici si convincano sia andata<br />

così, come dici tu, si beccherebbe vent’anni…<br />

– Meno, molto meno, con una tua arringa accorata e<br />

partecipe.<br />

– Comunque sia, il tentativo di dimostrare che le cose<br />

sono andate diversamente lo devo fare. E Zanda non lo<br />

mollo. Voglio capire, tra l’altro, cosa c’è di vero negli articoli<br />

di Cantillo. Sono sicuro che tu ne sai qualcosa.<br />

– Se è per questo, di Cantillo so tutto. L’ho conosciuto<br />

nel 1944 al Messaggero, dove però si faceva vedere poco.<br />

La sua principale occupazione era procurare agli ufficiali<br />

tedeschi tutto ciò che la Wermacht non era in grado di for-<br />

113


nire: donne di un certo livello (nei normali casini, per<br />

quanto poco svegli, i crucchi ci sapevano arrivare da soli),<br />

ma anche oggetti d’arte, champagne, calze di seta. Aveva<br />

messo su un commercio di licenze - licenze a soldati tedeschi,<br />

bada bene - assolutamente geniale. C’erano ufficiali<br />

del Comando tedesco che vendevano le licenze, lo sapevano<br />

tutti a Roma. Non ci crederesti: questo commercio<br />

passava in buona parte attraverso Cantillo. Il soldatino<br />

della Wermacht voleva tornare a casa a dare un bacio alla<br />

mamma e alla fidanzata? Ne parlava a Cantillo e Cantillo<br />

organizzava la cosa. Geniale. Anche perché, contemporaneamente,<br />

Cantillo le cose che veniva a sapere sui tedeschi,<br />

movimenti di truppe, trasferimenti, nuove assegnazioni,<br />

le raccontava ai Gap, un modo efficace di pararsi il<br />

culo per il dopo. Nel 1947 ha lasciato il Messaggero e ha<br />

messo su quel suo giornale, Il Pungolo, e col giornale, da<br />

subito, il sistemino di ricatti ed estorsioni che hai visto all’opera<br />

con Zanda. Quello di Cantillo, bada bene, è un<br />

metodo collaudato e a suo modo scientifico. Ricostruita la<br />

storia, la divide in due parti. La prima la pubblica sul suo<br />

giornale, un modo di far sapere a chi di dovere che lui sa.<br />

Il silenzio sulla seconda lo offre direttamente all’interessato,<br />

il quale messo sull’avviso dagli articoli e adeguatamente<br />

innervosito è di solito disposto a pagare. Magari la<br />

seconda parte della storia non c’è o è molto meno esplosiva<br />

di quanto non pensi il politico malandrino caduto nelle<br />

grinfie di Cantillo. Cantillo è naturalmente pessimista sulla<br />

natura umana, lui pensa sempre al peggio, anche quando<br />

di questo peggio non sa tutti i particolari. Un po’ come<br />

il cuoco cinese che picchia la moglie…<br />

– Per cui gli articoli del Pungolo sul ruolo di Zanda a<br />

114<br />

proposito dell’inchiesta… insomma, non è detto che<br />

Cantillo abbia tra le mani molto di più di quello che ha<br />

scritto sul giornale.<br />

– A saperlo! L’arma di Cantillo è appunto questa: che<br />

noi non sappiamo quanto lui sa. La mia personale opinione<br />

è che le responsabilità di Zanda in tutta la vicenda dell’inchiesta<br />

sul disastro di Nuraxi Nieddu non siano poi<br />

clamorose. Insomma, tutto normale: normale lo sfruttamento<br />

dei minatori, normale l’indurirsi dello sfruttamento<br />

quando il prezzo del minerale sale, normale che ogni<br />

tanto i minatori rimangano intrappolati là sotto. Questa è<br />

la mia impressione, ripeto. Non escludo però che Cantillo<br />

oltre alla normale quantità di merda abbia raschiato<br />

dal barile qualcosa di più. Nel qual caso, giovane Serra,<br />

forse potrebbe essere che le cose siano andate come la tua<br />

mente fantasiosa e romantica ama figurarsi.<br />

Quale mente fantasiosa e romantica, pensò Serra. La<br />

mia mente confusa e incasinata, piuttosto, che da questa<br />

faccenda non ne cavava piedi.<br />

Dopo il primo Martini ne presero un secondo, poi Piccioni<br />

ordinò un Fernet Branca e per finire un Cognac.<br />

Serra propose di andare a mangiare qualcosa in una trattoria<br />

di Via delle Zoccolette, ma Piccioni obiettò che olive<br />

e salatini (al massimo un supplì) erano il suo pranzo abituale<br />

e che comunque aveva da fare al giornale. Mentre un<br />

po’ barcollante si alzava dalla sedia, biascicò qualcosa sul<br />

pezzo a cui stava lavorando. Su Stalin seminarista, credette<br />

di capire Serra, e si chiese anche se si trattasse di uno<br />

scherzo o se Piccioni parlava sul serio. Al volante della sua<br />

Giardinetta, ripensò alle parole del giornalista e al Piccioni<br />

di un tempo, al giovane cronista dell’Unione che aveva<br />

115


lasciato Cagliari con l’idea che oltre il mare iniziasse il<br />

mondo vero.<br />

In via Cavour, cominciò a piovere fitto. Col parabrise<br />

appannato e i tergicristalli che non riuscivano a star dietro<br />

alla pioggia battente pareva a Serra di essere dentro una<br />

nuvola d’acqua e vapore. Per qualche minuto procedette<br />

a passo d’uomo, tenendo l’automobile vicinissimo al marciapiede.<br />

Poi la pioggia cessò. Quando sbucò sul piazzale<br />

di fronte a Termini, c’era, alto sopra la stazione, uno grande<br />

arcobaleno.<br />

Erano a letto e avevano fatto l’amore.<br />

– A cosa stai pensando? – gli chiese Marianna.<br />

– A nulla di particolare. – Serra si accese una sigaretta.<br />

– A volte mi sembra che tu non mi veda. Ci potrebbe<br />

essere un’altra al mio posto e sarebbe lo stesso.<br />

– Stavo pensando a quel professore dove sta a servizio<br />

Adelina, quel…<br />

– Ti ricordi, Luciano, cosa ti ho detto la prima volta che<br />

abbiamo fatto l’amore?<br />

– Che se avessi saputo che far l’amore con me era così…<br />

– Sì, certo, poi però t’ho detto qualcos’altro.<br />

– Mi hai chiesto di riempirti il bicchiere di spumante,<br />

eri mezzo sbronza.<br />

– “Io ti salverò” ti ho detto. Ebbene non sono più convinta<br />

di poterlo fare...<br />

– Mi abbandoni al mio destino, insomma.<br />

– È quello che tu vuoi, essere abbandonato al tuo destino.<br />

E poi… questo non è il tuo destino è il tuo progetto.<br />

116<br />

– Quale sarebbe il mio progetto?<br />

– Di vivere così come vivi, di essere così come sei, un<br />

essere sospeso.<br />

– Un discorso così me l’ha fatto il mio amico Piccioni,<br />

proprio oggi. Ma lui parlava d’altro, parlava di politica…<br />

– Ti assicuro che non parlava d’altro.<br />

– Tu non mi lascerai, però, – disse Serra.<br />

– No, non ti lascerò, anche se certe volte vorrei riuscirci.<br />

117


17<br />

Era una giornata tetra, il cielo cupo, l’aria percorsa da<br />

folate di vento improvvise, una giornata di pioggia e di<br />

vento, di quelle che nulla e nessuno, agli occhi di Serra,<br />

avrebbe potuto redimere.<br />

L’avvocato entrò nello studio e fu come se con lui entrasse<br />

il tempo cattivo. Si tolse l’impermeabile gocciolante.<br />

Dopo averlo appeso all’attaccapanni, cercò di ridare<br />

forma al Borsalino con il quale aveva affrontato la tempesta.<br />

Poi, com’era suo solito, aprì la porta della stanza del<br />

cavaliere. Forse Carruezzo aveva deciso di starsene a casa,<br />

pensò Serra, trovandola vuota. Avrebbe fatto meglio a<br />

starsene a casa anche lui. Il lavoro non ne avrebbe sofferto.<br />

Il lavoro… Tre sfratti, due cause contro assicurazioni<br />

inadempienti, un po’ di recupero crediti, un borseggiatore<br />

colto in flagrante e Adelina che, comunque andasse la<br />

cosa, non vedeva bene come avrebbe potuto pagargli la<br />

parcella. Eccolo il lavoro. Cosa poteva desiderare di più?<br />

Serra, la sera prima, aveva avuto una conversazione con<br />

Marianna. Anche a Marianna, a volte, capitava di farsi<br />

prendere dalla sindrome della futura mogliettina, nella<br />

sua forma classica, quella della lungimiranza muliebre.<br />

– Io non ti capisco, non capisco perché non accetti la<br />

119


proposta della mamma di occuparti della contabilità del<br />

ristorante, – gli aveva detto.<br />

– Non sono un contabile, ecco perché.<br />

– Via, Luciano! È un modo come un altro per tirarti<br />

dentro il ristorante. La mamma, lo sai, vuole farsi da parte…<br />

– Mammina vuol farsi da parte e io dovrei mettermi a<br />

fare l’oste. Una splendida proposta, non c’è che dire.<br />

La conversazione era continuata, aspra quanto poteva<br />

esserlo con Marianna, che dopo qualche minuto aveva finito<br />

per gettargli le braccia al collo. Tracce di quella conversazione<br />

erano tuttavia penetrate nelle plaghe più riposte<br />

della coscienza di Serra, producendo nel corso della<br />

notte la visione da incubo di un se stesso in toga ma con<br />

sulla testa un capello da cuoco, e mammina di fronte a<br />

lui, ad applaudire freneticamente.<br />

Entrato nel suo studio, vide Carruezzo che brandiva un<br />

piumino.<br />

– Che fa cavaliere? – chiese Serra.<br />

– Spolvero, perbacco. Dio sa quanto il suo studio ne ha<br />

bisogno. L’aspettavo, e così nel frattempo… c’è posta per<br />

lei.<br />

Serra si avvicinò alla scrivania: – È arrivata aperta questa<br />

lettera?<br />

– Dice che l’udienza relativa a quel caso… il caso Matarrese,<br />

ricorda… insomma, si legga la lettera.<br />

– Perché mi aspettava?<br />

Carruezzo indicò un voluminoso incartamento proprio<br />

al centro della scrivania.<br />

Serra lo prese tra le mani e lesse l’intestazione: «Via Vetulonia,<br />

36». – Di cosa si tratta?<br />

120<br />

– Una relazione completa sugli inquilini dello stabile,<br />

quelli con cui sono riuscito a parlare e anche gli altri: ci<br />

sono tutti, insomma. E poi, alcune mie considerazioni.<br />

Avevano preso la rispettiva abituale posizione: Serra alla<br />

scrivania e Carruezzo sprofondato nella vecchia poltrona<br />

d’angolo. Dalla prima pagina si poteva pensare che il documento<br />

- un centinaio di cartelle, ad occhio e croce - fosse<br />

scritto a macchina, anche se ai margini del testo c’erano<br />

notazioni a penna.<br />

– Prima di parlarne, suppongo di doverlo leggere, –<br />

disse Serra.<br />

– Supposizione esatta.<br />

Il fatto che Carruezzo accendesse un sigaro stava a significare<br />

la sua ferma intenzione di attendere su quella<br />

poltrona la lettura dell’incartamento, e, peggio, di seguire<br />

la lettura intervenendo a commentare oralmente i passaggi<br />

per lui fondamentali.<br />

Serra si sentì preso in trappola. Non aveva nessuna voglia,<br />

ora, di sorbirsi quel malloppo, ma l’atteggiamento del<br />

cavaliere non lasciava alternative. Così cominciò a leggere.<br />

Lo scritto iniziava con alcune notizie sullo stabile - la<br />

disposizione rispetto agli edifici vicini, il numero degli<br />

appartamenti, le vie d’accesso. Seguiva poi, nella seconda<br />

pagina, la pianta, schizzata a matita, dell’ingresso e del<br />

piano terra.<br />

– La pianta serve a mostrare come nessuno possa entrare<br />

od uscire dal palazzo senza passare di fronte alla portineria,<br />

– disse Carruezzo.<br />

– Si potrebbe utilizzare anche la porticina secondaria<br />

dal cortile interno… se ricordo bene, però, questa possibilità<br />

l’avevamo esclusa…<br />

121


– Infatti, l’uscita diretta sulla strada era sotto gli occhi…<br />

– …di un fioraio…<br />

– Appunto. E il fioraio è certo che non è stata utilizzata,<br />

almeno nel lasso di tempo…<br />

– Oltre Adelina, dunque, solo uno che era già nello stabile<br />

quando Amicucci è tornato a casa avrebbe potuto<br />

ucciderlo. Dico bene?<br />

– Dice bene. Anche se “uno che era già nello stabile”<br />

non vuol dire, necessariamente, uno degli inquilini.<br />

Se non si era in grado di circoscrivere i sospetti agli abitanti<br />

dello stabile - intervenne Serra - voleva dire che erano<br />

al punto di partenza e che, l’assassino, non avevano<br />

nessuna speranza di trovarlo. Non capiva, allora, che senso<br />

avesse quel suo andare e venire su e giù per via Vetulonia:<br />

– Mi spieghi un po’, cavaliere qual è il senso della sua<br />

“indagine condominiale”, qual è il senso di questo suo<br />

papiello?<br />

– Glielo spiego in due parole. Ho ragionato come se chi<br />

ha ucciso Amicucci non potesse che essere uno dei condomini,<br />

come se, ripeto… ho formulato un’ipotesi, insomma.<br />

– E se l’ipotesi si dimostrasse infondata?<br />

– Vorrà dire che ho perso tempo.<br />

Serra riprese la lettura. In realtà scorreva velocemente<br />

le pagine, saltando interi brani.<br />

– Così non capirà nulla di quello che legge, – lo interruppe<br />

Carruezzo.<br />

– Ha ragione cavaliere, mi scusi… il fatto è che oggi<br />

non ci sto con la testa. Facciamo che me lo riassume lei.<br />

Gli acquosi occhi a palla del cavaliere non nascosero la<br />

122<br />

delusione per l’accoglienza riservata all’incartamento.<br />

Quando iniziò a riassumerlo, lo fece in tono dimesso, per<br />

ravvivarsi poi dopo alcuni brani che, lo si capiva dall’espressione<br />

compiaciuta, considerava particolarmente efficaci.<br />

I nuclei familiari o singoli inquilini dello stabile di via<br />

Vetulonia, li aveva distinti in tre categorie: insospettabili,<br />

sospettabili di aver avuto a che fare con Amicucci per ragioni<br />

d’usura o simili, possibili proprietarie delle scarpe<br />

<strong>rosse</strong> coi <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong>.<br />

Tralasciando ovviamente gli insospettabili, cominciò<br />

dalle supposte proprietarie delle scarpe in questione, una<br />

ricerca a cui si era applicato immediatamente dopo la rivelazione<br />

del dirimpettaio di Amicucci, il claudicante<br />

Venturini. Nessuno nel palazzo aveva mai visto quelle<br />

scarpe <strong>rosse</strong>, ma ciò non significava che il dirimpettaio di<br />

Amicucci avesse avuto le traveggole. Diversamente dalla<br />

prima volta, quando Venturini non gli aveva neppure<br />

aperto, il cavaliere era stato ricevuto con tutti gli onori, e<br />

con l’aggiunta di un buon vinello di Albano, ch’era poi il<br />

paese della povera madre di Venturini, ormai defunta.<br />

Anche in conseguenza di quell’allegra bicchierata, ora la<br />

stella di Venturini brillava di luce purissima nel Parnaso<br />

dei testimoni attendibili. Quindi, caro Serra, il faut chercher<br />

la femme, e Carruezzo si era messo a cercarla la femme,<br />

facendosi uno per uno tutti gli appartamenti di Via<br />

Vetulonia 36, dal primo piano al settimo piano riuscendo<br />

a parlare con gran parte dei condomini, e trovando “lumi<br />

additivi” in certe voci raccolte nei bar e nelle botteghe del<br />

quartiere. Serra non riusciva ad immaginare come il cavaliere<br />

avesse fatto a raccogliere quella massa d’informazio-<br />

123


ni, eppure le aveva raccolte, facendole ora confluire nei ritratti<br />

di tre possibili proprietarie delle scarpe <strong>rosse</strong> coi<br />

<strong>tacchi</strong>.<br />

Tre donne. La prima, Paternò Assunta, ufficialmente<br />

domestica a casa del Manighetti (terzo piano). Di fatto gli<br />

riscaldava il letto, pur senza trascurare le faccende di casa.<br />

“Due bei meloni che c’aveva” (così, in modo per lui<br />

inusuale, si esprimeva Carruezzo) spiegavano ad abundantiam<br />

l’affetto che le portava Manighetti, mentre spalle<br />

e bicipiti possenti la soccorrevano a dovere nei lavori domestici.<br />

C’era tutta una discussione, nel condominio, se<br />

lo scaldamento del letto precedesse o meno la dipartita<br />

della povera signora Rosa, moglie del Manighetti, o se,<br />

come dicevano alcuni, a scaldarlo Assunta provvedesse<br />

da prima. C’era anche una voce, ma questa del tutto incontrollata,<br />

che Manighetti se la portasse nel letto coniugale,<br />

la Paternò, costringendo la legittima moglie ad assistere<br />

ai suoi congiungimenti con la serva, che proprio del<br />

dispiacere di cuore di vedersi quella donna nel talamo era<br />

schiattata la signora Rosa. Comunque, dopo la sua morte,<br />

la Paternò Assunta aveva perso ogni freno, e la si vedeva<br />

ogni giorno andare avanti e indietro nel palazzo con un<br />

vestito nuovo, mica straccetti. Ma roba comprata da Cenci,<br />

che al Manighetti, impiegato alle poste, non si capiva<br />

come facesse a bastargli lo stipendio. In questo andar su e<br />

giù per le scale vestita di strass e lustrini, concluse Carruezzo,<br />

le scarpe <strong>rosse</strong> col tacco c’entravano a pennello,<br />

come c’entrava l’ipotesi che l’Assunta avesse allargato il<br />

raggio della sua azione erotica dal terzo piano di casa Manighetti<br />

sino al primo di Pompeo Amicucci.<br />

Ribolliti Lavinia, la seconda, era la moglie di Ribolliti<br />

124<br />

Cesare, fu Lanfranco, titolare di un avviato negozio di ferramenta<br />

in via Sannio. Anche alla Ribolliti, piaceva vestirsi<br />

di fino sebbene in uno stile molto diverso da Assunta,<br />

più nel genere donna di classe: tutta cappellini e velette e<br />

tailleur grigi molto stretti in vita che si faceva fare da una<br />

certa sartina di Ostia. Sarebbero forse bastati cappellini e<br />

velette perché la gente del palazzo vedesse in Lavinia Ribolliti<br />

una donna capace di tradire il marito. Ma, a prescindere<br />

da questi vezzosi capetti, l’assemblea condominiale,<br />

una volta tanto compatta, esibiva prove inconfutabili<br />

dei numerosi e sfacciati tradimenti della Ribolliti. Ed<br />

era appunto questa notoria tendenza all’adulterio a far sì<br />

che Carruezzo l’avesse inserita nella sua breve lista.<br />

Quello che aveva portato Carruezzo alla terza della lista<br />

era un ragionamento perlomeno bizzarro. Mentre le<br />

prime due rispondevano in modo perfino ovvio all’identikit<br />

della donna misteriosa dalle scarpe <strong>rosse</strong>, l’ultima se<br />

ne allontanava talmente - così argomentava il cavaliere -<br />

da essere solo per questo sospetta. Di Palma Pina, inquilina<br />

di un appartamento del terzo piano e sposata con il<br />

ragioniere Di Palma Amerigo impiegato alla Centrale del<br />

Latte, era vittima di un “sotterraneo bovarismo” che<br />

avrebbe potuto facilmente spingerla tra le braccia di<br />

Amicucci.<br />

– Qui non la seguo, cavaliere, – lo interruppe Serra,<br />

sempre più sconcertato da quel succedersi di illazioni<br />

gratuite e ipotesi scalcinate. – Non ho capito in che cosa<br />

l’ultima, Di Palma mi pare si chiami, dia segni di bovarismo.<br />

– Sotterraneo bovarismo, ho detto, proprio per questo<br />

difficile da individuare.<br />

125


– Lei l’ha individuato, però.<br />

– Dai gesti, dal modo di parlare, dal modo in cui guardava<br />

il marito… comunicava un senso d’insoddisfazione,<br />

come di chi vuole altro dalla vita ma ha una idea vaghissima<br />

di questo altro, tanto vaga che anche il modesto Amicucci...<br />

fidatevi del mio giudizio, ho occhio in queste cose<br />

di donne.<br />

L’unica donna con cui Carruezzo aveva avuto a che fare<br />

in più di sessant’anni era la mamma, la signora Jolanda.<br />

Di fronte ai vaneggiamenti del cavaliere, Serra ebbe all’improvviso<br />

una sensazione, quasi fisica, della propria<br />

esistenza come qualcosa di vago e improbabile, come improbabile<br />

e grottesco gli appariva in quel momento il suo<br />

“giovane di studio”.<br />

– Serra, mi sta ascoltando?<br />

– La seguo perfettamente. La donna, la bovarista… mi<br />

chiedo, però, tornando alla classificazione che avete fatto<br />

prima, quali siano gli inquilini che si sono rivolti ad Amicucci<br />

per aver soldi a strozzo.<br />

La domanda di Serra diede la stura a un nuovo interminabile<br />

racconto di Carruezzo sui “nuovi sentieri investigativi”<br />

che aveva aperto questa sua nuova visita ai condomini<br />

di via Vetulonia. Fu un succedersi turbinoso di notizie,<br />

ritratti psicologici, ipotesi, illazioni, notazioni estetiche,<br />

considerazioni morali, descrizioni di interni domestici,<br />

informazioni carpite nei bar, fantasie cavalieresche,<br />

pettegolezzi sussurrati sulle scale.<br />

– Conclusioni, cavaliere? – intervenne Serra, riuscendo<br />

finalmente ad interromperlo.<br />

Le conclusioni furono brevi, riducendosi al fatto che<br />

almeno sei degli inquilini, per varie ragioni in cattive ac-<br />

126<br />

que, erano potenziali clienti di Amicucci, ma di uno solo<br />

aveva la sicurezza che lo fosse.<br />

– Uno di quelli con cui ho parlato all’inizio, Mangiarotti…<br />

– Quello della vetrinetta con le bamboline andaluse? –<br />

chiese Serra.<br />

– Sì, proprio lui… d’altra parte, uno che colleziona<br />

bamboline andaluse…<br />

Logica avrebbe voluto che Serra chiedesse a Carruezzo<br />

il senso dell’ultima sua osservazione, ma Serra sentiva, in<br />

quel momento, di dover rinunciare alla logica. Così lasciò<br />

cadere il discorso.<br />

Più tardi, Carruezzo e Serra cenavano insieme nel ristorante<br />

di via Tacito. Parlavano del bel tempo andato, che<br />

in realtà bello non era stato secondo Serra.<br />

Carruezzo vedeva le cose diversamente.<br />

– Ammetterà con me, Serra, che gli anni che abbiamo<br />

passati all’Ovra sono stati elettrizzanti.<br />

– Cosa ci sia di elettrizzante nello stare a spiare dal buco<br />

della serratura la vita degli altri, questo non lo capisco.<br />

– Beh, il solo fatto di spiare… ora lei non mi faccia il<br />

moralista, lasciamo perdere il contesto politico, la dittatura,<br />

il duce…<br />

– Non sto facendo una valutazione politica. Dico solo<br />

questo, spiare è noioso, osservare la vita degli altri senza<br />

avervi parte è noioso.<br />

– Noi una qualche parte in quelle vite l’avevamo.<br />

– Sì, quando li facevamo arrestare…<br />

127


– Non sempre andava così… le ho mai raccontato del<br />

mio incarico al Vittoriale…<br />

– Raccontato no. Ricordo che lei a un certo punto…<br />

credo fosse nel 1934… già lavoravamo al Ministero degli<br />

Interni comunque… sparì per sei mesi. L’unica cosa che<br />

si seppe fu che le era stata affidata una missione delicatissima<br />

che riguardava D’Annunzio, così si disse. Ora può<br />

sciogliere il mistero: di cosa si trattava esattamente?<br />

– L’idea era stata del capo della polizia, di Bocchini.<br />

Dovevo coordinare l’attività… dire spionaggio è eccessivo…<br />

diciamo di controllo, al Vittoriale. Era una fissa di<br />

Mussolini, questa. Che D’Annunzio dovesse essere soggetto<br />

a un controllo quotidiano.<br />

– Sì, certo, del fatto che il Duce temesse D’Annunzio<br />

un po’ si sapeva. Ma lei, cavaliere, che ruolo ha avuto,<br />

precisamente?<br />

– Non ci si crederebbe, ma l’attività di spionaggio su<br />

D’Annunzio erano in molti a volerla. L’Aviazione aveva<br />

già allora i suoi servizi segreti, e si candidò… il Comandante<br />

aveva solcato i cieli, dicevano quelli dell’Aviazione…<br />

ma Bocchini si impose, questa è roba dell’Ovra, disse,<br />

e il Duce come sempre lasciò fare a Bocchini.<br />

– E Bocchini incaricò lei…<br />

– Io in realtà stetti al Vittoriale solo sei mesi, poi la cosa<br />

continuò, sino alla morte del Comandante più o meno.<br />

Venni assunto al Vittoriale come amministratore, ma anche<br />

il cuoco, un cameriere, due giardinieri erano gente<br />

nostra. Intendiamoci, il Comandante sapeva tutto, sapeva<br />

perfettamente chi eravamo e che cosa ci facevamo al<br />

Vittoriale…<br />

– Dunque lei ha avuto a che fare con D’Annunzio?<br />

128<br />

– Quotidianamente. Non voglio dire… in un certo senso,<br />

si creò un rapporto tra noi: il Comandante era un uomo<br />

molto solo, in realtà. Parlavamo spesso: mi faceva domande<br />

su Mussolini, sulla sua vita sessuale soprattutto.<br />

– E lei?<br />

– Io raccontavo le solite cose che si dicevano in giro sul<br />

Duce e le donne, e che D’Annunzio aveva sentito mille<br />

volte. Eppure sembravano impressionarlo.<br />

– Tutto questo, naturalmente, veniva riferito a Mussolini…<br />

– Naturalmente. Una volta il Duce mi convocò…<br />

– Voleva sapere di D’Annunzio, suppongo.<br />

– Era curioso di un aspetto particolare.<br />

Carruezzo si interruppe, come se avesse difficoltà a<br />

continuare.<br />

– Beh, cavaliere. L’aspetto particolare?<br />

– Beh, voleva sapere… il coso…<br />

– Il coso, che cosa?<br />

– Se il Comandante ce l’aveva grosso, insomma.<br />

– E come ce l’aveva il Comandante?<br />

– Su questo, almeno, lasci che mantenga il segreto.<br />

129


18<br />

– Mi sembra di capire, Serra, che il fatto investigativo<br />

abbia per lei una grande importanza… un avvocato all’americana<br />

dunque, bene, bene...<br />

Zanda accompagnò queste parole con un sorriso che a<br />

Serra più che ironico sembrò sfottente.<br />

– Da ciò che mi dice, – continuò il professore, – deduco<br />

che sta conducendo indagini alternative a quelle della<br />

polizia. È così che spera di salvare la nostra Adelina?<br />

Se era sua intenzione farlo sentire un pezzo di merda,<br />

allora aveva raggiunto lo scopo: un pezzo di merda si sentiva<br />

Serra, mentre a casa di Zanda, in una poltrona del<br />

suo studio, accendeva una Nazionale.<br />

– In realtà io non ho nessuna possibilità di condurre<br />

una vera inchiesta, – si schermì Serra. – La speranza è<br />

quella di individuare una nuova pista… sarà poi la polizia…<br />

è per questo, professore, che ho chiesto di vederla.<br />

– Spera che sia io a indicarle la pista alternativa? – Di<br />

nuovo il tono sfottente.<br />

– Spero solo in un suo aiuto. Infatti avevo una domanda<br />

da farle: lei ha conosciuto Amicucci?<br />

– Le pare che se avessi conosciuto Amicucci, non l’avrei<br />

detto dal primo giorno alla polizia?<br />

Sulla parete di fronte a Serra c’era un ritratto di Zanda:<br />

131


seduto in poltrona, le lunghe mani sulle ginocchia, una<br />

certa malinconia nello sguardo.<br />

– Lei dunque non ha mai visto Amicucci? – riprese Serra.<br />

– Glielo ho appena detto. Le pare che possa esserci relazione<br />

tra me e un personaggio del genere di Amicucci?<br />

– Una relazione ci sarebbe, veramente: Cantillo…<br />

– Mi faccia capire. Si riferisce a quel Cantillo là…<br />

– Il direttore del Pungolo.<br />

– Il direttore del Pungolo, certo. Continuo a non capire,<br />

però. Soprattutto non capisco perché Cantillo dovrebbe<br />

rappresentare un collegamento fra me e Amicucci.<br />

– Ho letto gli at<strong>tacchi</strong> che il giornale di Cantillo ha pubblicato<br />

contro di lei qualche settimana fa, a proposito<br />

della faccenda di Nuraxi Nieddu e relativa inchiesta.<br />

– Ebbene, come li ha trovati? Magari li ha trovati ben<br />

documentati.<br />

– Non direi. Se conta qualcosa la mia opinione…<br />

– Senta Serra, – lo interruppe Zanda, – sparate di quel<br />

genere, sul Pungolo, ne escono tutte le settimane, nelle<br />

più svariate direzioni. Per quel che mi riguarda, si tratta<br />

una montatura talmente grossolana che non penso neppure<br />

di denunciare Cantillo. A meno che non si faccia<br />

avanti con qualche strana richiesta. Nel qual caso, stia<br />

certo…<br />

– È appunto pensando a un ricatto, che mi è venuto in<br />

mente di un qualche rapporto tra lei e Amicucci.<br />

– Non la seguo, non capisco.<br />

– Dalle mie indagini… chiamiamole così, anche se, come<br />

le ho detto, sto solo raccogliendo qualche notizia, qua<br />

e là, in modo piuttosto casuale…<br />

132<br />

– Dalle sue indagini, avvocato…<br />

– Insomma, Cantillo si è servito più volte di Amicucci<br />

nei suoi ricatti.<br />

– La cosa mi giunge del tutto nuova e comunque io, le<br />

ripeto, Amicucci non l’ho mai conosciuto né nessuno mi<br />

ha mai ricattato.<br />

– Se è così…<br />

– Le voglio dare un consiglio Serra. Un consiglio non<br />

richiesto, mi dirà. Io però glielo voglio dare lo stesso. Lei<br />

sta cercando di aprire nuove strade che portino all’assassino<br />

di Amicucci, non è vero? Avremmo, nella sua ipotesi,<br />

un Amicucci ricattatore. Un’ipotesi abbastanza macchinosa,<br />

me lo lasci dire, quando invece la migliore linea<br />

di difesa l’ha lì proprio di fronte agli occhi. Come fa a non<br />

vederla?<br />

– Non lo so: me lo dica lei. Io, Vedo solo la possibilità<br />

di scagionare Adelina, scoprendo chi ha ucciso Amicucci.<br />

– Sta proprio qui l’errore: nell’escludere a priori la lectio<br />

facilior, l’ipotesi più semplice.<br />

– E quale sarebbe questa ipotesi più semplice?<br />

Zanda disegnò nell’aria un gesto vago, come a significare<br />

la sottigliezza estrema di ciò che stava per dire.<br />

– Ci sono circostanze in cui la strategia di difesa di un<br />

imputato non parte, non deve partire, dalla ricerca della<br />

realtà dei fatti. Questo è fin troppo evidente quando abbiamo<br />

a che fare con imputati di cui noi stessi sappiamo la<br />

colpevolezza. Suppongo che anche lei concordi con questa<br />

ovvietà, avvocato Serra. Ma non si tratta solo di questo.<br />

Le ho già parlato di Defraia, vero?<br />

Serra fece un cenno d’assenso.<br />

133


– Quando Defraia indottrinava noi, suoi giovani di studio,<br />

sui segreti della professione, arrivava sempre alla<br />

considerazione che i processi non si fanno per accertare<br />

la verità ma solo per condannare o assolvere. E che, per<br />

un avvocato, l’unica verità è quella che serve al suo cliente.<br />

Se la verità non serve, al diavolo la verità. Il processo è<br />

una prova di forza fra voi e il pubblico ministero, diceva.<br />

Occhio sul rappresentate dell’accusa, dunque. È lui che<br />

dovete stendere: potete sbranarlo, fargli fare la figura del<br />

fesso, far correre la voce che corre dietro ai ragazzini ai<br />

giardinetti, ma in un modo o nell’altro lo dovete far fuori.<br />

La verità in tutto questo non c’entra assolutamente nulla.<br />

Allora questi discorsi mi scandalizzavano, poi ho capito<br />

quanto il vecchio Defraia, magari un po’ grossolano negli<br />

argomenti, avesse però ragione.<br />

– Forse a Defraia la mia strategia difensiva non piacerebbe.<br />

A me, comunque, sembra l’unica possibile: quando<br />

Adelina è entrata in casa di Amicucci, l’uomo era già<br />

stato ucciso. Per scagionare Adelina, bisogna scoprire chi<br />

l’ha ucciso.<br />

– Lei, Serra, è stato in polizia, vero?<br />

– Sino a dieci anni fa, poi mi sono dimesso.<br />

– Ecco qual è il punto: lei continua a ragionare da poliziotto.<br />

Nulla di male, anzi benissimo: se non fosse che ora<br />

è un avvocato e deve pensare da avvocato.<br />

– Credo di farlo, almeno per quanto ne sono capace.<br />

– Mi segua, Serra. Ipotizziamo che Adelina sia innocente<br />

e non abbia ucciso Amicucci. Anch’io ne sono convinto.<br />

Ciò non toglie che è stata trovata accanto al cadavere<br />

ancora caldo di Amicucci. È questo il punto, l’elemento<br />

che condizionerà l’esito del processo. Lei dice: troverò il<br />

134<br />

vero assassino di Amicucci. Benissimo. E se però non lo<br />

trovasse? Cosa avrebbe in mano, di concreto, per scagionare<br />

Adelina? Nulla, o quasi. Ipotizziamo invece che Adelina<br />

abbia ucciso Amicucci. Lei come la difenderebbe in<br />

questo caso?<br />

– Come la difenderei? Le confesso che è un’ipotesi che<br />

non ho preso in considerazione.<br />

– Le dico io come la difenderebbe. Direbbe che Adelina<br />

è stata oggetto delle pesanti attenzioni di Amicucci,<br />

l’uomo ne era capace, ci sono mille testimonianze in questo<br />

senso. Adelina, dunque, si è difesa da una possibile<br />

violenza carnale. Cosa possiamo prevedere, in questo caso?<br />

Una condanna per eccesso di difesa, nella peggiore<br />

delle ipotesi. Se poi le cose vanno per il verso giusto, le<br />

potrebbe essere riconosciuta la legittima difesa.<br />

– Io non sarei così ottimista. Rimane il fatto, però, che<br />

Adelina dice di non averlo ucciso.<br />

– Sta a lei convincerla. Convincerla che per il suo bene…<br />

– … dovrebbe accusarsi di un delitto che non ha commesso.<br />

Per il suo bene, lei dice.<br />

– Sì, Serra, per il suo bene e per il bene di tutti.<br />

– La sono venuta a trovare, avvocato, per dirle che sono<br />

sicura che lei di galera riesce a tirarla fuori Adelina.<br />

Di fronte alla scrivania di Serra, stavano, l’una a fianco<br />

all’altra, due donne. Quella che aveva appena parlato dimostrava<br />

circa cinquant’anni e indossava, su una gonna<br />

plissettata nera lunga sino alle caviglie, una camicetta di<br />

raso, anch’essa nera. L’altra era Peppinetta.<br />

135


– Armida è venuta appositamente dalla <strong>Sardegna</strong> per<br />

dirle che ha molta fiducia in lei, – disse Peppinetta.<br />

Vero che Armida, la sorella maggiore di Adelina, aveva<br />

pensato di volerlo vedere in faccia l’uomo nelle cui mani<br />

aveva messo il destino della sorella, ma un altro motivo<br />

del viaggio era l’anticipo da versare a Serra. Nessuno l’aveva<br />

sollecitata a questo, ma si era convinta, anche per<br />

personale esperienza, che gli avvocati andassero pagati<br />

per tempo. Non facendolo, si rischiava di avere tra le mani<br />

avvocati a mezzo servizio. E lei non voleva un avvocato<br />

a mezzo servizio per la sorella.<br />

– È da molto a Roma? – chiese Serra.<br />

– Ieri, sono arrivata ieri. Con la nave della Tirrenia, da<br />

Cagliari.<br />

– Per noi di Fraus è la cosa più comoda. – intervenne di<br />

nuovo Peppinetta. – C’è una corriera per Cagliari tutti i<br />

giorni… arrivare a Olbia invece… anche se la nave da Olbia<br />

fa meno ore di mare. E poi a me il viaggio in nave mi<br />

piace, conosci gente, e quando la mattina presto vedi Civitavecchia<br />

dopo quattordici ore di viaggio ti sembra proprio<br />

che stai per sbarcare in un altro mondo.<br />

– Per noi è proprio un altro mondo, il Continente, – ribadì<br />

Armida. – Un altro mondo che non ci vuole.<br />

Peppinetta fece un movimento come se stesse per alzarsi<br />

dalla sedia: – Ma ne dici di cose Armida. Come non<br />

ci vuole? Siamo noi sardi, che siamo sempre così… siddiusu:<br />

lei lo capisce siddiusu, avvocato?<br />

– Credo di sì. Suppongo che tu voglia dire che noi sardi<br />

siamo chiusi in noi stessi.<br />

– Peggio avvocato, peggio. Siamo chiusi perché abbiamo<br />

vergogna. Abbiamo vergogna di quello che siamo e<br />

136<br />

questa è una cosa brutta: se uno non piace a se stesso stia<br />

sicuro che non piace neppure agli altri.<br />

– Io dico solo questo: che a mia sorella, ad Adelina, dal<br />

Continente non le è venuto niente di buono.<br />

– Cos’è, doveva restarsene tutta la vita a marcire a<br />

Fraus?<br />

– A Fraus chi ci sa vivere ci vive bene. Ti rispettano, a<br />

Fraus.<br />

– Ti mettono a fare la serva, a Fraus.<br />

– Meglio fare la serva in casa propria che in casa altrui.<br />

– È qui che ti sbagli, Armida. A Fraus sei serva sempre,<br />

serva la mattina, serva la sera e, secondo il padrone che<br />

capiti, anche di notte sei serva. A Roma, quando ti lasci<br />

dietro la porta di casa, sei quello che sei e, se la gente ti<br />

prende per signora, signora sei. Lei cosa ne pensa, avvocato?<br />

– Io, sono talmente tanti anni che vivo in Continente.<br />

Era tutto quello che Serra riusciva a dire al riguardo.<br />

Ripensò a suo padre che, mentre lasciava Cagliari per<br />

prendere servizio in Polizia, gli diceva sulle scalette della<br />

nave: – Vedrai, qualche anno e ti rimandano in <strong>Sardegna</strong>.<br />

– E Serra, invece, che si augurava di non rimetterci più<br />

piede in <strong>Sardegna</strong>. O forse non era così. In realtà non ricordava<br />

bene cosa pensasse allora al riguardo. Forse nutrire<br />

un sentimento di lontananza - questo sì che l’aveva<br />

accompagnato per anni, lasciata la <strong>Sardegna</strong> - non vuol<br />

dire che tu voglia tornare da dove sei partito.<br />

Armida sospirò. – Ad Adelina, comunque, glielo dicevo<br />

quando è venuta a Roma col professore, che una cosa<br />

è andare a servizio a Cagliari, dove ogni tanto torni a casa<br />

tua e vedi la tua famiglia e altra cosa è Roma, che sei lon-<br />

137


tana da ogni sguardo di quelli che ti vogliono bene. Io<br />

non la dovevo lasciare andare a Roma, ad Adelina… e ora<br />

dopo quello che è successo… io mi sento in colpa, avvocato,<br />

anche perché è colpa mia se Adelina si è messa nei<br />

guai.<br />

– Non vedo perché, – disse Serra.<br />

– Lei avvocato la sa la disgrazia che ci è capitata. Nostro<br />

fratello… Ero io che dovevo provvedere a trovargli i soldi<br />

per l’avvocato. E invece è Adelina che ci ha dovuto<br />

pensare. Per questo è successo quello che è successo.<br />

– Non dire così, – intervenne consolatoria Peppinetta.<br />

– È successo perché doveva succedere.<br />

– Il nostro cattivo destino, – assentì Armida.<br />

138<br />

19<br />

Non erano ancora le otto di mattina e Carruezzo tornava<br />

in tram dal mercato. Anche quando era viva la madre,<br />

andava lui tutti i giorni a far la spesa. Alla lista che gli dava<br />

la signora Jolanda, Carruezzo aggiungeva di suo qualche<br />

ghiottoneria che scovava nel mercato di via Alessandria:<br />

un pezzo di lardo di Norcia, un cartoccio di olive pugliesi,<br />

due mozzarelle di bufala. Curiosava tra i banchi, annusava,<br />

tastava, discuteva coi rivenditori. Solo nei mesi di<br />

sbandamento e sconforto seguiti alla morte della madre<br />

aveva smesso di fare la spesa in via Alessandria. Era allora<br />

che aveva pensato di abbandonare la casa di Piazza Verdi,<br />

salvo cambiare immediatamente idea rendendosi conto<br />

delle difficoltà pratiche e della foresta di alternative a cui<br />

un cambiamento lo poneva di fronte - comprare casa o<br />

andare in affitto? lasciare i Parioli? e se sì, in quale quartiere<br />

andare? nella nuova casa ci sarebbe stato posto per i<br />

suoi mobili?<br />

Scese dalla Circolare alla prima fermata di Viale Liegi.<br />

Arrivato in via Cimarosa, si fermò per un attimo a riposare.<br />

Poggiata a terra la borsa della spesa, accese un sigaro.<br />

Un uomo attempato con indosso un doppiopetto scuro,<br />

massiccio di corporatura, in piedi sul marciapiede che fuma<br />

un sigaro, e accanto per terra la sporta della spesa. Un<br />

139


occhio curioso si sarebbe chiesto cosa ci facesse lì quell’uomo.<br />

Ma in via Cimarosa non c’erano occhi curiosi a<br />

quell’ora del mattino: ce n’erano di assonnati e frettolosi,<br />

non di curiosi.<br />

A Carruezzo era sempre piaciuto come, lasciato il traffico<br />

e l’animazione di viale Liegi, ci si immergeva nella<br />

quiete e nel silenzio di quelle piccole strade laterali che<br />

portavano verso Villa Borghese. E anche piazza Verdi,<br />

con i suoi solidi palazzi grigi dagli ampi portali, conservava<br />

un tratto di appartato e rassicurante decoro borghese<br />

dove non stonava, nonostante le pretese monumentali, la<br />

stessa facciata della Zecca. Quando, quasi quarant’anni<br />

prima, lui e la madre erano sbarcati a Roma da Lecce, si<br />

erano dapprima sistemati in una stradina tra il Lungotevere<br />

e piazza Farnese. Ma il tono allora ancora popolare<br />

di quella zona del centro di Roma non era evidentemente<br />

congeniale alla signora Jolanda, che aveva insistito per un<br />

rapido trasloco. La casa di piazza Verdi, invece, si era rivelata<br />

da subito perfetta. – Sarebbe piaciuta anche a tuo<br />

padre, – aveva commentato la signora Jolanda mettendo<br />

piede la prima volta nella casa. Il padre di Carruezzo,<br />

scritturale al comune a Lecce, era morto quando lui era<br />

ancora bambino.<br />

Prima di affrontare le scale di casa, si concesse una nuova<br />

sosta in una delle panchine della piazza. Oltre alla<br />

grande borsa, pesante della spesa per una settimana, si<br />

sentiva sulle gambe quell’andare su e giù nel palazzo di<br />

via Vetulonia a cui si era costretto negli ultimi giorni.<br />

Tanta fatica per un pugno di mosche e, peggio ancora,<br />

per trovarsi di fronte Serra convinto che quella sua indagine<br />

fosse solo aria fritta. Ma era stata veramente così inu-<br />

140<br />

tile l’indagine in via Vetulonia? Ed era del tutto infondata<br />

l’ipotesi che quelle scarpe <strong>rosse</strong> portassero alla soluzione<br />

del caso? Il caso? Non c’era nessun caso, c’era una donna<br />

in galera e un avvocato che cercava di tirarla fuori. E lui,<br />

Carruezzo, che in tutto questo si era ficcato dentro a forza,<br />

inventandosi un ruolo che nessuno, neppure Serra, si<br />

sognava di riconoscergli. Il caso.<br />

Continuava a parlare, a pensare, come un poliziotto, a<br />

fare la faccia da poliziotto, perfino. Eppure erano dieci<br />

anni che aveva lasciato la polizia. – Vedi Carruezzo, – si<br />

era sentito dire a guerra finita, – l’unica cosa da fare è che<br />

ci dimettiamo. O ci dimettiamo o ci epurano. – A fargli<br />

questo discorso Faletti, che proprio negli ultimi mesi della<br />

Repubblica Sociale Italiana era stato promosso questore.<br />

Nell’estate del 1946 Carruezzo aveva firmato le sue dimissioni.<br />

Quanto a Faletti, aveva letto sul giornale qualche<br />

giorno prima del suo recente pensionamento col grado<br />

di prefetto. Non che Carruezzo si fosse mai pentito<br />

della scelta di dimettersi. In ultima analisi la considerava<br />

un obbligo. Aveva nutrito deferenza verso le proporzioni<br />

della tirannide mussoliniana, ma non si era mai considerato<br />

un fascista e già ai tempi della smargiassata africana<br />

aveva sviluppato un certo distacco dal regime. Ammetteva<br />

però, prima di tutto di fronte a se stesso, di essere stato<br />

parte integrante di quel regime e comprendeva - approvava<br />

perfino - che non ci fosse posto per gente come lui<br />

nel nuovo ordine di cose. Solo nutriva dubbi che questo<br />

supposto nuovo ordine fosse così diverso dal passato.<br />

Entrato in casa, l’accolse la semioscurità del lungo corridoio.<br />

Posò in cucina la borsa della spesa e si avviò, attraverso<br />

una porta a vetri, verso il salotto. Lì, dopo aver sco-<br />

141


stato i pesanti tendaggi, aprì ad una ad una le tre finestre<br />

sulla piazza, ripetendo un gesto che era stato della madre,<br />

ogni mattina, per anni. Era una giornata di sole, una di<br />

quelle giornate romane di primavera che rendono lucente<br />

l’aria e scaldano il cuore.<br />

142<br />

20<br />

Appena arrivato in studio, Serra si affacciò al bugigattolo<br />

del cavaliere:<br />

– Ha chiamato qualcuno?<br />

– Ha telefonato il suo amico Piccioni.<br />

– Lasciato detto qualcosa?<br />

– Preannuncia una sua visita in mattinata.<br />

– Bene.<br />

– Non da solo, però.<br />

– Non da solo?<br />

Carruezzo parlava con Serra senza guardarlo, continuando<br />

a pestare sulla macchina da scrivere. Poi con un<br />

gesto preciso sfilò i fogli dal rullo, li separò l’uno dall’altro<br />

e li dispose ordinatamente in tre pile diverse. Solo a<br />

questo punto si volse verso Serra.<br />

– Piccioni… sì, certo… Piccioni, non verrà da solo, –<br />

disse Carruezzo con l’espressione soddisfatta di chi ricorda<br />

all’improvviso qualcosa.<br />

– Questo l’ha già detto cavaliere.<br />

– Lei vuol sapere con chi verrà Piccioni, naturalmente.<br />

– Se possibile.<br />

– Verrà con Cantillo, ha presente Cantillo? Quello del<br />

Pungolo… – E avrebbe sicuramente continuato su Cantil-<br />

143


lo, se Serra nel frattempo, chiusa la porta del bugigattolo,<br />

non si fosse allontanato.<br />

Nel suo studio, prima ancora di sedersi alla scrivania,<br />

Serra sollevò la cornetta del telefono e fece il numero di<br />

Piccioni.<br />

– Cos’è questa storia di Cantillo?<br />

– Ieri sera è venuto qui in redazione, per chiedermi se<br />

lo potevo mettere in contatto con te.<br />

– A che scopo? E poi, perché non si è rivolto a me direttamente?<br />

– In quale ordine vuoi che risponda alle tue domande?<br />

– Nell’ordine che vuoi. La cosa che mi chiedo, però, è<br />

cosa può volere Cantillo…<br />

– Dice che vi siete già incontrati una volta e che sei stato<br />

tu a cercarlo…<br />

– Appunto, col risultato di sentirmi dire che lui era un<br />

giornalista onorato e che Amicucci appena sapeva chi fosse.<br />

– Ora dice di avere una proposta da fare a Zanda e che<br />

tu potresti essere l’intermediario adatto.<br />

– Ma tu gli hai spiegato che non sono l’avvocato di Zanda,<br />

che sono l’avvocato di Adelina Demontis io…?<br />

– Proprio questo dice Cantillo, che dalla sua proposta<br />

potrebbe trarre vantaggio anche Adelina Demontis… insomma<br />

Luciano, credo che dovresti sentirlo.<br />

– Continuo a non capire però perché si è rivolto a te.<br />

– Ha tirato fuori la storia della nostra antica colleganza…<br />

allora Luciano, cosa faccio? Lui a minuti sarà qui in<br />

redazione e in meno di mezzora potremmo essere da te.<br />

– Cosa vuoi che ti dica? Vi aspetto.<br />

144<br />

Cantillo sembrava un uomo diverso da quello che Serra<br />

aveva incontrato poche settimane prima. Tanto era stato<br />

allora arrogante e sicuro di sé, quanto conciliante e ossequioso<br />

ora, sin nell’espressione del viso, seduto in punta<br />

alla sedia che Serra gli aveva offerto. Ossequioso e quasi<br />

ammirato lo era stato anche la sera prima, nel guardare<br />

Piccioni che ricordava di quando avevano lavorato insieme,<br />

lui e Cantillo, durante la guerra, alle pagine di cronaca<br />

del Messaggero. – Facevamo una bella squadra, – aveva<br />

detto Cantillo. Veramente lui, gli aveva ricordato Piccioni,<br />

la squadra la faceva con gli ufficiali tedeschi che<br />

portava a spasso per Roma. Ma Cantillo a dire: – Lo sai,<br />

Efisio, perché lo facevo. È stato il mio contributo alla Resistenza.<br />

– Cosa che in un certo senso era vera, perché,<br />

aveva ricordato Piccioni, Cantillo gli dava certe fregature<br />

ai tedeschi e di soldati tedeschi ne aveva ammazzato di<br />

più il suo micidiale Veuve Clicot fabbricato a Frascati degli<br />

attentatori di via Rasella. Il solito Cantillo che gli piaceva<br />

tirare i bidoni.<br />

– Allora, Cantillo, spiegaci tu ora, con parole tue, che<br />

bidone ci stai preparando.<br />

– Mi chiedevo anch’io, – intervenne Serra, – perché abbia<br />

voluto incontrarmi. Dopo quel nostro colloquio…<br />

– C’è stato un malinteso, allora. Ho pensato che foste<br />

venuto a trattare a nome di Zanda. Non avevo compreso<br />

la sua posizione.<br />

– Spero che l’abbiate ben chiara ora. Io difendo Adelina<br />

Demontis. Non ho altro titolo, né rappresento altri interessi<br />

in tutta questa storia.<br />

145


– È appunto di Adelina Demontis che vi volevo parlare.<br />

So alcune cose al suo riguardo che… questo volevo dire…<br />

potrebbero risultare utili alla sua difesa.<br />

Piccioni ebbe un moto di fastidio: – Se questo è il tuo<br />

modo di vendere informazioni, Cantillo…<br />

– No, no, l’informazione è del tutto gratuita.<br />

– E quale sarebbe l’informazione.<br />

– Adelina Demontis è l’amante del professor Zanda.<br />

Era ancora una ragazzina, appena entrata a servizio e lui…<br />

una storia che dura da almeno vent’anni.<br />

– Ammesso che quello che dice sia vero, non capisco<br />

quale relazione possa esserci con ciò di cui Adelina Demontis<br />

è accusata.<br />

– Trovare la relazione è mestiere suo avvocato. Io mi limito<br />

a fornire l’informazione e a suggerire, magari, che la<br />

domestica stia coprendo qualcuno e che questo qualcuno…<br />

– Abbiamo capito, Cantillo. Tu ci hai dato gratis l’informazione.<br />

Dicci ora cosa vuoi in cambio.<br />

– Io non voglio nulla, Efisio. Volevo solo che l’avvocato<br />

sapesse… sa, ritornando a quel nostro colloquio, allora<br />

non ero in grado di essere più esplicito… in effetti è vero<br />

che ai pezzi apparsi sul Pungolo ha fatto seguito un mio<br />

abboccamento con Zanda e che questo abboccamento è<br />

stato tramite Amicucci.<br />

– Sin qui c’eravamo arrivati anche noi, e poi? Facci sentire<br />

il seguito della storia.<br />

– Il seguito è che le cose sono cambiate, che ci sono elementi<br />

nuovi, e che io… insomma… diciamo che su tutta<br />

la faccenda di Nuraxi Nieddu non sono venute fuori le<br />

cose che mi aspettavo venissero fuori, forse Zanda non si<br />

146<br />

è sporcato le mani più di tanto e comunque prove non ce<br />

ne sono. Fatto sta che io la campagna sul Pungolo la chiudo<br />

qui, Zanda lo lascio in pace. Se solo potessi avere una<br />

somma, una piccola somma, per rifarmi delle spese sostenute…<br />

– Mi chiedo se lei abbia ben afferrato che io non sono<br />

l’avvocato di Zanda. Non capisco perché questo suo virtuoso<br />

proponimento di lasciarlo in pace non va a dirlo direttamente<br />

a Zanda.<br />

– La mia posizione è difficile avvocato, più difficile di<br />

quanto lei possa immaginare. Lei capisce come io a questo<br />

punto soffra presso l’onorevole Zanda… come dire… di<br />

un difetto di credibilità. Io non so se l’onorevole Zanda sia<br />

ora disposto a darmi credito. Il punto è che proprio l’onorevole<br />

Zanda dovrebbe intervenire presso altri e garantirli<br />

che io d’ora in poi me ne starò tranquillo. E lei avvocato,<br />

a sua volta, dovrebbe farsi garante di me presso l’onorevole.<br />

Lasci perdere la piccola somma. Non chiedo nulla. Voglio<br />

solo che si sappia, che chi di dovere sappia, che io Antonio<br />

Cantillo mi tiro fuori da tutta questa faccenda.<br />

– Cantillo, se dicessi di aver capito tutto il suo discorso<br />

sarei un bugiardo. Allude a cose di cui non so nulla e da cui<br />

mi voglio tenere fuori. A parte questo, però, non vedo come<br />

potrei fare ciò che lei mi chiede. Non vedo perché Zanda<br />

dovrebbe ascoltarmi. E poi, le ripeto, l’unico ruolo che<br />

ho in questa storia è di difensore di Adelina Demontis.<br />

– Lei mi sta dicendo che ci debbo rinunciare a far sapere<br />

a Zanda…<br />

– Io non le dico che ci deve rinunciare. Le dico che deve<br />

trovare altre strade.<br />

– A questo punto non vedo altre strade.<br />

147


21<br />

– Continui a ripetermi di avere detto tutto e io invece<br />

continuo a pensare che nascondi qualcosa.<br />

Seduta dall’altra parte del tavolo, Adelina accennò a un<br />

sorriso.<br />

– Mi fa piacere che sia venuto, avvocato.<br />

Un mese di carcere l’aveva cambiata. Si era come rimpicciolita<br />

e le due trecce in cui aveva raccolto i lunghi capelli<br />

le davano, insieme al grembiule grigio, l’aria di una<br />

collegiale, di una triste collegiale fuori età.<br />

– Come stai Adelina?<br />

– Bene non lo posso dire. Una però si adatta. Notizie ci<br />

sono?<br />

– Hanno fissato la data del processo di tuo fratello.<br />

– È una cosa buona o cattiva?<br />

– Buona direi. Ho parlato con l’avvocato e lui non dispera.<br />

È un processo indiziario e… insomma, molto dipende<br />

dal giudice.<br />

– Il destino di gente come noi dipende sempre dagli altri.<br />

– Non sempre, non tutto. Nel tuo caso, ad esempio, dipende<br />

anche da te…<br />

– Il professore l’ha visto?<br />

– Il professor Zanda?<br />

149


Adelina accennò di sì.<br />

– Ci sono andato a parlare.<br />

– Come sta?<br />

– Come vuoi che stia? Bene. Quelli come lui stanno<br />

sempre bene.<br />

– Questo non è vero. Il professore… – La donna non<br />

continuò la frase.<br />

– Il professore? – disse Serra.<br />

– Niente… il professore ha sofferto molto e se uno non<br />

sa le cose…<br />

– Tu le cose le sai invece?<br />

– Certo che le so. Sono vent’anni che lavoro in quella<br />

casa.<br />

Serra fece un rapido calcolo mentale. Era stata mandata<br />

a servizio che aveva poco più di quindici anni, praticamente<br />

una bambina.<br />

– Perché dici che il professore ha sofferto molto?<br />

– Perché è la verità. Perché passare la vita con una donna<br />

malata, e poi vederla morire giorno dopo giorno… se<br />

non è una disgrazia quella.<br />

– M’hanno detto che negli ultimi mesi sei stata molto<br />

vicina alla moglie del professore: in pratica l’assistevi giorno<br />

e notte.<br />

– Qualcuno doveva assisterla.<br />

– Ora ti devo fare una domanda, Adelina… – Serra vide<br />

la donna irrigidirsi. – Ecco… tra te e il professore, c’è<br />

mai stato qualcosa?<br />

– Questa domanda non la voglio sentire avvocato, anche<br />

perché… – Ancora una volta la donna si interruppe<br />

nel mezzo della frase. Gli occhi le si riempirono di lacrime,<br />

lacrime senza singhiozzi, i muscoli del viso immobili.<br />

150<br />

– Cerca di capire, se vuoi che ti difenda devi avere piena<br />

fiducia in me.<br />

– Lo vuole sapere avvocato, la vuole la verità? – disse lei<br />

con voce tremante.<br />

– Certo che la voglio, è l’unico modo di farti uscire da<br />

galera.<br />

– Con la verità o senza, io da qui non esco.<br />

Sembrava incerta Adelina e torceva un fazzoletto. Serra<br />

le posò una mano sull’avambraccio.<br />

– Coraggio. Ora l’unica cosa che devi fare è raccontarmi<br />

come sono andate le cose.<br />

– Le cose sono andate come ho sempre detto alla polizia.<br />

Io a casa sua Amicucci l’ho trovato morto… solo<br />

che… insomma, è il motivo perché ci sono andata che<br />

non ho detto. A quello là gli dovevo dare una cosa, un documento<br />

e questo documento lo dovevo prendere dallo<br />

studio del professore.<br />

– Che tipo di documento?<br />

– Non l’ho capito bene ed è per questo che alla fine ad<br />

Amicucci non gli ho dato un bel nulla. Quella sera ero andata<br />

a dirglielo e a dirgli pure che io dei soldi ne avevo bisogno<br />

lo stesso, per mio fratello, per pagargli l’avvocato.<br />

– Fammi capire: Amicucci ti aveva promesso dei soldi<br />

per un certo documento e tu invece questo documento<br />

non l’hai trovato. È così?<br />

– Sì è così. Ho frugato nelle carte del professore per<br />

cercare quello che mi aveva chiesto Amicucci, però…<br />

– Secondo Amicucci, come avresti potuto individuare<br />

il documento?<br />

– Servizio delle miniere, ci doveva essere scritto all’inizio<br />

e poi relazione sugli impianti di sicurezza della miniera<br />

151


di Nuraxi Nieddu. Me l’ha fatto ripetere non so quante<br />

volte per essere sicuro che me lo ricordavo. Ma io non ho<br />

trovato nulla.<br />

– Ora spiegami perché hai tenuto nascosta questa storia?<br />

– Secondo lei avvocato, se io ora dico tutto alla polizia<br />

loro mi lasciano andare? – Pronunciò queste parole come<br />

se credesse veramente che quest’ultima rivelazione bastasse<br />

a scagionarla.<br />

– Ho paura di no, Adelina. Ho proprio paura di no.<br />

Quando fu fuori dal carcere, trovò il cavaliere ad attenderlo.<br />

S’erano dati appuntamento di fronte alle Mantellate,<br />

per poi proseguire verso via Garibaldi, dove avrebbero<br />

visionato un appartamento che, secondo Carruezzo,<br />

sarebbe stato perfetto come studio. Era una idea fissa del<br />

cavaliere che il motivo della scarsa clientela di Serra fosse<br />

lo studio di Porta Maggiore, troppo modesto, troppo<br />

buio, quasi un seminterrato. Il suo progetto andava però<br />

oltre l’affitto di nuovi locali. Si trattava di promuovere un<br />

vero e proprio passaggio di categoria di Serra, da marginale<br />

difensore delle cause perse, e comunque non remunerative,<br />

a avvocato dei quartieri alti. Questo, attraverso<br />

un marchingegno di cui allo stesso Serra, sino a quel momento,<br />

erano state date solo vaghissime anticipazioni.<br />

L’appartamento di via Garibaldi non era affatto nuovo<br />

ad usi avvocateschi, avendo ospitato per almeno trent’anni<br />

lo studio dell’avvocato Alfredo Gattinoni, morto qualche<br />

tempo prima, lasciando vedova una inconsolabile<br />

Gianna Federici in Gattinoni. Alla inconsolabile vedova<br />

152<br />

si era appunto rivolto Carruezzo, sentendosi prospettare<br />

qualcosa di più dell’affitto dei locali e dei loro arredi. A sei<br />

mesi dalla morte del marito, gli aveva detto la vedova, suoi<br />

vecchi clienti continuavano ogni giorno a presentarsi allo<br />

studio, per cui le sarebbe stato facile dirottarli verso un<br />

giovane “promettente” (sentendo parlare di “giovani<br />

promettenti”, Carruezzo aveva istintivamente sollevato<br />

una mano come a dire che lui ce l’aveva tra le mani un giovane<br />

promettente). La cosa era stata discussa tra il cavaliere<br />

e la Gattinoni durante alcuni incontri, ma sul possibile<br />

accordo gravavano alcune zone d’ombra, tra cui la cifra<br />

pretesa dalla vedova, irraggiungibile coi risparmi del cavaliere.<br />

Vedendoselo di fronte all’uscita dal carcere, Serra non<br />

aveva potuto non notare l’abbigliamento di Carruezzo.<br />

Sotto un doppiopetto marrone a righine crema, indossava<br />

un vistoso gilé damascato. Ai piedi scarpe color tortora,<br />

con la mascherina e un tacco pronunciato. Calcava un<br />

capello a tese larghe, ma ancora più strepitoso lo svolazzante<br />

spolverino di cotone, lungo quasi sino a terra, di un<br />

colore che con qualche approssimazione si poteva definire<br />

giallo senape.<br />

Ora camminavano a passi svelti per via della Lungara.<br />

– La sua mise è abbagliante, cavaliere, – disse Serra.<br />

– Trova?<br />

– Se lo lasci dire: è perfetto. Qualche motivo particolare<br />

per questo sfoggio di eleganza?<br />

– La vedova…<br />

– Quale vedova?<br />

– La proprietaria dell’appartamento di via Garibaldi,<br />

dobbiamo farle una buona impressione.<br />

153


– Credo che più che d’impressione sia questione di soldi.<br />

A me l’affitto pare troppo alto, ma lei, cavaliere, dice<br />

di no. Poi credo che stia facendo un sacrificio eccessivo<br />

ad accollarsi le spese…<br />

– Per sua norma, giovanotto, io non faccio sacrifici. Io<br />

investo. Investo su di lei.<br />

– Lei è pazzo, cavaliere. Ho sempre pensato che fosse<br />

pazzo… comunque, continuo a non capire la necessità di<br />

piacere alla vedova.<br />

Carruezzo pensò che Serra, a quel punto, dovesse sapere<br />

qualcosa di più sul progetto. Spiegò quindi che, sin<br />

dalla morte del marito, la vedova Gattinoni aveva in vista<br />

la “promozione” di un giovane avvocato.<br />

– Ma io non sono giovane, – disse Serra.<br />

– Lei è giovane d’avvocatura, è questo che importa.<br />

Carruezzo parlò della Gattinoni come di un concentrato<br />

di magnetismo femminile e fece notare quant’era coraggiosa<br />

la sua scelta di appoggiare la carriera di un giovane<br />

avvocato. Non disse però del congruo compenso<br />

che quest’appoggio comportava.<br />

Suonarono il campanello e la vedova aprì. Di carnagione<br />

bianchissima e con vaporosi capelli rossi, indossava un<br />

tailleur grigio scuro molto aderente. Serra pensò che potesse<br />

avere una cinquantina d’anni.<br />

La vedova li accompagnò in quello che doveva essere<br />

stato lo studio del marito. Una stanza scura, dominata da<br />

una grande scrivania dietro la quale, in uno scaffale, faceva<br />

bella mostra di sé l’Enciclopedia Treccani.<br />

Li fece accomodare in un divano tappezzato di raso a<br />

strisce gialle e nere, nel quale sedette anche lei.<br />

– Entro subito in medias res, avvocato Serra. Ecco l’e-<br />

154<br />

lenco dei clienti. Ho indicato a fianco di ognuno il genere<br />

di interessi per i quali li rappresentava mio marito. – Così<br />

dicendo, porse a Serra alcuni fogli.<br />

Lui li prese in mano e iniziò a scorrerli. Carruezzo lo seguiva<br />

con lo sguardo.<br />

– Una vasta clientela, – disse Serra, – non capisco però…<br />

– Avrà notato per quanti clienti mio marito si occupava<br />

di recupero crediti, – l’interruppe la vedova. – Alfredo lavorava<br />

veramente di gusto al recupero crediti, era il ramo<br />

che più gli interessava, anche perché… – La donna non<br />

terminò la frase, ma il gesto che fece di sfregare pollice e<br />

indice fu più esplicito delle parole.<br />

– Specializzarsi in recupero crediti, in effetti, può essere<br />

un’ottima scelta, – intervenne condiscendente il cavaliere.<br />

Era a suo modo attraente la vedova, con quel seno prosperoso<br />

che premeva sotto la camicetta nera trasparente.<br />

Emanava un odore che Serra associò a una merceria-corsetteria<br />

del Largo, a Cagliari, dove accompagnava la madre<br />

da bambino.<br />

– Scorrendo l’elenco, avvocato, si renderà conto di come<br />

la somma che chiedo sia tutt’altro che esosa, – disse la<br />

Gattinoni.<br />

– Lei intende l’affitto? – chiese Serra.<br />

– No, l’affitto è a parte. Dottor Carruezzo, mi era parso<br />

di essere stata chiara al riguardo.<br />

– Continuo a non capire, non capisco il perché di questa<br />

somma oltre l’affitto, – disse Serra.<br />

Carruezzo intervenne, chiaramente imbarazzato: –<br />

L’avvocato Serra vuol dire che ci penseremo.<br />

– Badi bene, avvocato, si tratta di un’occasione che po-<br />

155


trebbe non ripresentarsi, – disse la Gattinoni. – Gli specialisti<br />

del recupero crediti sono un po’ la crema del mondo<br />

forense. Lei entrerebbe in una élite.<br />

– Confesso di non avere nessuna esperienza in questo<br />

settore, – disse Serra, poggiando i fogli dell’elenco clienti<br />

su un tavolinetto di cristallo di fronte al divano.<br />

– Se è per questo, l’aiuterei io. Non mi fraintenda avvocato,<br />

lei naturalmente non ha bisogno del mio aiuto. È<br />

solo che io, a mio marito, gli facevo da segretaria e i suoi<br />

clienti li conosco uno per uno.<br />

La Gattinoni prese i fogli dal tavolinetto. – Vede, avvocato,<br />

scegliamo un nome a caso: Cecconi, Cecconi Annibale.<br />

Venga più vicino, legga qui… questo è l’ammontare<br />

dei crediti recuperati, questo, sull’altra colonna, dei crediti<br />

ancora inevasi: tenga presente che la nostra parcella<br />

era del dieci per cento sui crediti recuperati.<br />

La vedova si diffuse su Cecconi Annibale, grossista di<br />

salumi ai mercati generali, e sulle decine di piccoli dettaglianti<br />

con lui indebitati.<br />

Con l’accumularsi di dettagli su Cecconi Annibale,<br />

grossista di salumi, crescevano in Serra disagio e incredulità<br />

rispetto a una proposta, quella della vedova, che faceva<br />

carne di porco di ogni deontologia avvocatesca, fosse<br />

anche la più permissiva.<br />

– Il grande problema nel recupero crediti, – continuò la<br />

vedova, – è quello dei tempi. Le cambiali devono essere<br />

mandate in protesto al momento giusto. Lo diceva sempre<br />

il mio povero marito: né troppo presto, né troppo tardi,<br />

i tempi, la cosa importante sono i tempi. Se lei vorrà,<br />

avvocato, sarò io a suggerirle i tempi.<br />

I tempi, la vedova che gli suggeriva i tempi, i tempi di<br />

156<br />

che cosa? La vedova sempre più vicina, quasi addossata a<br />

lui, mentre proseguiva infervorata l’illustrazione del portafoglio<br />

clienti.<br />

Fu in quel momento che l’occhio di Serra cadde su un<br />

nome. Ebbe un impercettibile sussulto.<br />

– Di questo Amicucci, cosa mi dice, signora?<br />

A sentire il nome di Amicucci, il volto di Carruezzo si<br />

atteggiò a un moto di sorpresa che cercò immediatamente<br />

di mascherare. Alla sorpresa fece seguito un ammiccamento<br />

a Serra ancora più plateale, però, e rivelatore, di<br />

quanto non fosse stata la sorpresa.<br />

– Amicucci Pompeo… come mai le interessa? – chiese<br />

la vedova in tono sospettoso<br />

– Amicucci… Amicucci… qualcosa ci ricorda, – intervenne<br />

Carruezzo rivolgendosi più a Serra che alla vedova.<br />

– No, a me non ricorda nulla. Ho solo fatto un nome a<br />

caso, – disse Serra e accompagnò queste parole con uno<br />

sguardo di fuoco a Carruezzo.<br />

– Comunque, se la cosa vi interessa, – disse la Gattinoni,<br />

– Amicucci dovrà essere cancellato dalla lista degli assistiti.<br />

È venuto meno… è deceduto, insomma.<br />

– Capisco, – disse Serra.<br />

– Comunque, signora Gattinoni, anche all’avvocato la<br />

sua proposta pare interessante, – intervenne Carruezzo.<br />

– Dovremo però esaminare meglio il portafoglio clienti.<br />

E Serra: – Sì, appunto, il portafoglio clienti.<br />

– A sua disposizione, avvocato Serra, – disse la Gattinoni.<br />

– Le confesso che mi farebbe piacere vederla alla<br />

scrivania di mio marito… starebbe proprio bene al posto<br />

del povero Alfredo.<br />

157


Poi la vedova indicò una capiente borsa nera poggiata<br />

al piccolo tavolino di lato alla scrivania.<br />

– La borsa di mio marito, – disse in un sospiro. – Ci andava<br />

tutti giorni in Tribunale.<br />

La carnagione della vedova era particolarmente bianca<br />

mentre pronunciava queste parole, e rossa la sua chioma<br />

e ansimante il petto sotto la camicetta trasparente. Serra<br />

si domandava, osservandola, come sarebbe stato al posto<br />

del povero Alfredo.<br />

Ora, tornati allo studio, discutevano della conversazione<br />

con la vedova.<br />

– Mi spieghi dunque, cavaliere, che accrocco si è immaginato<br />

con quella là. E mi spieghi anche perché non me<br />

ne ha parlato prima.<br />

– Gliene avevo parlato: forse non sono stato abbastanza<br />

chiaro.<br />

– Non è che non è stato chiaro. Ha semplicemente<br />

omesso di dirmi che per promuovermi, la vedova, voleva<br />

fior di quattrini.<br />

– Un po’ troppi, in effetti.<br />

– Non è questione di troppi o pochi. A parte che neppure<br />

lei quei soldi li ha, comunque mai e poi mai le permetterei…<br />

– Stia certo che, al dunque, ridurrebbe le sue pretese, la<br />

vedova. Ha notato come la guardava?<br />

– Lei è immorale, cavaliere, profondamente immorale.<br />

– Conosco i fatti della vita, tutto qua.<br />

Al pensiero del cavaliere esperto dei fatti della vita, Serra<br />

non poté fare a meno di sorridere.<br />

– Rimane comunque, – riprese Carruezzo, – che uno<br />

158<br />

sguardo su quell’archivio a proposito di Amicucci dobbiamo<br />

assolutamente darlo.<br />

– Questo, se la vedova ci fa mettere il naso in quell’archivio.<br />

– Possiamo cercare di farle credere che siamo ancora<br />

interessati all’accordo. Se questo non basterà, bisogna<br />

che lei, Serra, sfoggi uno dei suoi irresistibili sorrisi.<br />

– Io non sfoggerò un bel nulla. Ci pensa lei, cavaliere?<br />

– Facciamo che ci penso io. Anche se non è certo me<br />

che la vedova concupisce.<br />

159


22<br />

Mastellone sollevò il telo bianco all’altezza del viso.<br />

– Lo conosci?<br />

– Ma questo è Cantillo, – rispose Serra.<br />

– Michele Cantillo, appunto, nato a Nola il 18 dicembre<br />

1908. Gli abbiamo trovato addosso la patente. Morto<br />

affogato, così almeno sembrerebbe.<br />

Erano le undici della mattina e in quel punto del Tevere,<br />

poco prima di Ponte Vittorio, si era radunata una folla<br />

di curiosi che, affacciati al parapetto, seguivano dall’alto<br />

l’affaccendarsi degli uomini in divisa intorno a un cadavere.<br />

Sarebbero stati ancora più vicini alla scena, se un<br />

poliziotto non avesse sbarrato l’accesso alle scalette che<br />

dal livello stradale portavano giù alla banchina. Serra,<br />

qualche minuto prima, arrivando, aveva dovuto farsi largo<br />

tra la gente. Era bastato, per passare, che dicesse il suo<br />

nome al piantone.<br />

Dopo che per qualche istante si erano fermati a osservare<br />

il cadavere, Mastellone l’aveva preso sottobraccio,<br />

portandoselo, come per una passeggiatina, su e giù per la<br />

banchina.<br />

– C’hanno telefonato che all’altezza dell’Acquacetosa<br />

c’era il corpo d’un uomo. Corsa in auto sino all’Acquace-<br />

161


tosa: niente, il corpo è sparito. Se l’è portato via la corrente,<br />

pensiamo. Nel frattempo, un’altra segnalazione: sotto<br />

Ponte Milvio, c’è qualcosa, forse un cadavere. Arriviamo<br />

a Ponte Milvio e ancora nulla. Vuoi vedere che ci stanno a<br />

prendere per il culo, ci siamo detti. Poi è venuto fuori che<br />

il corpo si era fermato qualche centinaio di metri più giù<br />

e che a ripescarlo erano stati quelli del commissariato di<br />

Tor di Nona. Anguilla da vivo e ancora più sfuggente da<br />

morto, il Cantillo.<br />

– Allora lo conoscevate, in questura? – chiese Serra.<br />

Più che una domanda, suonava come una constatazione.<br />

– Te lo sei dimenticato, che noi in questura conosciamo<br />

tutti?<br />

– Sapevate della sua attività giornalistica, voglio dire.<br />

– Chiamala giornalistica! Sapevamo della sua attività di<br />

ricattatore e di molte altre storielline. Prima della guerra<br />

era più che altro un truffatore, poi ha fatto carriera ed è<br />

diventato borsaro nero. Ultimamente si era riciclato. Aveva<br />

capito che la democrazia può essere un affare e… come<br />

si dice? Piatto ricco mi ci ficco. L’avete voluta la democrazia?<br />

Ora pedalate.<br />

– Non mi dire che anche tu fai il nostalgico?<br />

– La vuoi sapere tutta, Luciano? Io me ne fotto. Anzi,<br />

me ne strafotto. Me ne fottevo dei fascisti, e me ne fotto<br />

ora degli antifascisti. Non mi piace però che gente come<br />

Cantillo possa farsi un giornaletto qualsiasi e con quello<br />

ricattare la gente.<br />

– Perché, quando c’era lui di ricatti neppure l’ombra,<br />

vero? Dài, lo sai meglio di me che i gerarchi ci passavano<br />

il tempo a ricattarsi.<br />

– Intendiamoci, non è che io difenda i politici. Cantillo,<br />

162<br />

nove volte su dieci, ci prendeva con gli articoli su quel<br />

suo giornale. Solo che dopo gli articoli veniva il resto.<br />

– L’avete mai beccato?<br />

– Mai per estorsioni o cose del genere. Condanne per<br />

truffa quante ne vuoi, ma da quando s’era messo a fare il<br />

ricattatore, pulito come un angioletto.<br />

In quell’andare e venire lungo la banchina, ora tornavano<br />

verso il punto di partenza, mentre un uomo in giacca e<br />

cravatta si faceva loro incontro sorridendo.<br />

Mastellone anticipò il saluto: – Ciao dottore. Che mi dici<br />

del tipo che abbiamo ripescato?<br />

– Nulla ti dico. Tu me lo lasci per ventiquattr’ore, io me<br />

lo lavoro per bene e poi vedrai se non ti so dire tutto: cos’ha<br />

mangiato, se ha scopato, quand’è l’ultima volta che<br />

ha cagato, tutto ti so dire. I morti sanno mantenere i segreti<br />

ancora meno dei vivi, questa è la verità.<br />

– Dài dottore, con l’occhio clinico che ti ritrovi…<br />

un’anticipazione…<br />

– Credi che basti una tastatina, che gli strizzo un po’ le<br />

palle o che magari gli guardo l’occhio, come alle triglie?<br />

Vuoi un’anticipazione? L’occhio è ancora brillante, e quindi<br />

sembrerebbe roba abbastanza fresca, probabilmente<br />

di stanotte.<br />

– E sul come, dottore, che mi dici?<br />

– Che mi dici, che mi dici. Magari dico una cazzata e<br />

magari voi, su quella cazzata, ci costruite le vostre ipotesi…<br />

già da soli non ci capite mai nulla, immagina messi<br />

sulla strada sbagliata.<br />

– Dottore, una dritta, qualcosa…<br />

– Tu vuoi sapere se l’hanno ammazzato?<br />

– Appunto.<br />

163


– Non presenta tracce di infiltrazioni ematiche.<br />

– Il che vuol dire…<br />

– Vuol dire che non ha ecchimosi, ecchimosi che appaiano<br />

a un primo esame, voglio dire. In compenso ha il<br />

collo rotto, per meglio dire qualcuno gli ha rotto il collo.<br />

– Oppure si è gettato da un ponte e cadendo ha colpito<br />

con la nuca il parapetto…<br />

– Lo vedi che sai già tutto. Cosa mi stai a chiedere allora?<br />

Magari il tipo si è gettato dal ponte con un doppio<br />

salto mortale carpiato, il che spiega come sia andato a cascare<br />

di nuca. Ora mi lasciate lavorare in pace e poi domani<br />

ti saprò dire. Commissario Mastellone, i miei rispetti.<br />

Il dottore mimò con la mano una sorta di saluto militare<br />

e si allontanò.<br />

– Senti Mastellone, – riprese Serra, – mi spieghi perché<br />

mi hai fatto chiamare. Perché, insomma, hai voluto che<br />

venissi qui… ora?<br />

– Nulla di particolare, scambiare con te qualche impressione<br />

sul caso, qualche informazione su Cantillo, magari…<br />

e poi, un vecchio collega… mi sono detto: perché<br />

non sentire un vecchio collega?<br />

– Lascia perdere il vecchio collega, Mastellone. Dimmi<br />

cosa vuoi.<br />

– Voglio che mi dica tutto quello che sai di Cantillo, di<br />

Cantillo e Zanda, soprattutto.<br />

– Non so nulla che non sappiate già, – disse Serra. –<br />

Che Zanda era nel mirino di Cantillo non vi è certo sfuggito.<br />

Sapete anche, ne sono sicuro, che Cantillo si serviva<br />

di Amicucci per i suoi lavoretti. Tira tu le conclusioni…<br />

– No, dimmi le tue di conclusioni.<br />

164<br />

– Molto semplice: l’assassinio di Amicucci e quello di<br />

Cantillo sono collegati. Ed è Zanda a collegarli.<br />

– Ergo: è Zanda ad avere fatto fuori Amicucci e Cantillo.<br />

Magari non direttamente. Lo ricattavano e lui…<br />

– Non ho detto questo, – precisò Serra. – Dico solo che<br />

è il ricatto a Zanda il nodo della questione.<br />

– Se è questa la linea difensiva che stai organizzando<br />

per la tua cliente, stai attento: rischi di danneggiarla. Zanda<br />

è un uomo influente.<br />

– A essere sinceri, – disse Serra con un sospiro, – non so<br />

ancora che linea adotterò. Fra poco si concluderà l’istruttoria<br />

e io…<br />

Serra si sentì pronunciare quelle parole, come se a confessare<br />

la propria impotenza di fronte a Mastellone ci fosse<br />

un altro e non lui. Gli venne in mente una serata di molti<br />

anni prima in una trattoria di San Lorenzo, una di quelle<br />

domeniche tristi tra giovani poliziotti senza fidanzata.<br />

Cosa aveva detto Mastellone? Qualcosa a proposito della<br />

sua imperiosa vocazione, sin da bambino, a fare il poliziotto.<br />

– Per quello che mi riguarda, – era intervenuto Serra,<br />

– sono entrato in Polizia perché non sapevo far niente.<br />

– Dai retta a me, – disse Mastellone, – Zanda lascialo<br />

perdere.<br />

165


23<br />

Ti voglio raccontare di me le ha detto la zingara e ha raccontato<br />

di quando era ancora bambina e avevano il campo<br />

in riva alla Drava e nelle notti di luna la luce, riflessa dal<br />

fiume, faceva del campo una città incantata. Racconta che<br />

quell’estate ci fu il matrimonio della maggiore delle sue<br />

sorelle, Annica si chiamava, è morta l’anno scorso, e ci fu<br />

festa per tre giorni di fila e lei, che era la bambina più bella<br />

del campo, ebbe tre proposte di matrimonio, una per<br />

ogni giorno di festa, e solo ad una disse di sì, al ragazzo<br />

dagli occhi di fuoco che sarebbe diventato suo marito. Come<br />

sia andata a finire col ragazzo dagli occhi di fuoco non<br />

te lo sto a raccontare, dice sorridendo la zingara, lo sai come<br />

sono fatti gli uomini, non te lo devo spiegare io, che se<br />

sei qui alle Mantellate c’è un uomo di mezzo, c’è sempre<br />

un uomo di mezzo. È vero che l’hai ammazzato, il cravattaro?<br />

chiede, e siccome Adelina non le risponde si risponde<br />

da sé: hai fatto bene, chissà che porco era. Adelina non<br />

risponde alla zingara, eppure non le dispiace che la zingara<br />

continui a parlare. Adelina è distesa sulla sua branda<br />

con gli occhi chiusi e nella branda accanto c’è lei, la zingara.<br />

Io il mio non l’ho ammazzato, continua, l’ho solo punto,<br />

non lo volevo ammazzare, non questa volta. E sai perché<br />

l’ho punto? Proprio per quello che stai pensando. Ora<br />

167


siamo ben sistemati tutti e due, io qui alle Mantellate e<br />

lui all’ospedale con la pancia bucata. Allora, proprio non<br />

me lo vuoi dire com’è andata col tuo cravattaro? Non fa<br />

nulla, continuo io. Però qualcuna bisogna che parli, la cosa<br />

tremenda in prigione è il silenzio, col silenzio una inizia<br />

a pensare, pensare è la cosa peggiore. Gli ho bucato la<br />

pancia al secondo marito, il primo è morto, almeno così<br />

m’hanno detto. Di sicuro un giorno è sparito, eravamo<br />

sposati da due anni e un giorno mi fa, Sanella, io mi chiamo<br />

Sanella - rimanendo sdraiata la zingara sporge il braccio<br />

verso la compagna di cella, un gesto indolente con cui<br />

forse vuol dire: mi presento - Sanella, mi dice il mio primo<br />

marito, io esco a comprare le sigarette… continua a parlare<br />

la zingara, del primo marito si dice sia stato ucciso dalla<br />

polizia austriaca durante una rapina, e il secondo non era<br />

meglio del primo, continua a parlare la zingara e intanto<br />

Adelina, che non l’ascolta più, pensa che tante cose da raccontare<br />

lei non le ha, ciò che potrebbe raccontare sono tremori<br />

del cuore, e silenzi e piattezze che si ripetono giorno<br />

dopo giorno, questo potrebbe raccontare.<br />

168<br />

24<br />

Di che cosa sono fatte le inchieste criminali? Questo si<br />

stava chiedendo Luciano Serra, mentre allungato sulla<br />

sedia, le mani in tasca, lo stomaco appoggiato al bordo<br />

della scrivania, guardava senza vederlo il muro di fronte<br />

a sé. Vai a parlare con qualcuno, qualcuno viene a parlare<br />

con te. Parli e ascolti, insomma, fai domande e ti danno<br />

riposte, le domande devono essere quelle giuste ma<br />

tu non sai se chi ti sta rispondendo nasconde qualcosa.<br />

Non sai se sta mentendo. Non sai se omette qualcosa,<br />

che è ancora peggio, perché almeno la bugia porta in sé<br />

un segno della verità, è verità rovesciata. Bisogna procedere<br />

spediti e capire in fretta, perché o i casi si risolvono<br />

in quarantotto ore o non si risolvono più. Lo sanno bene<br />

i poliziotti, anche se non lo dicono. Se dopo quarantotto<br />

ore non hai tra le mani un colpevole, allora inizi a lavorare<br />

di fantasia. Ti inventi un colpevole e capita che qualche<br />

volta ci azzecchi.<br />

Entrò Carruezzo. Era trafelato e agitava un foglietto.<br />

– Lo sapevo di avere ragione. È chiaro. Avevo ragione.<br />

– Prima di tutto si sieda, – disse Serra e gli indicò la sua<br />

poltrona d’angolo. Ora Carruezzo e Serra occupavano le<br />

rispettive postazioni, e dunque si poteva cominciare.<br />

– Ricorda quel mio rapporto sul condominio di via Vetulonia?<br />

– disse Carruezzo.<br />

169


– Come potrei dimenticarlo?<br />

– Lo tiri fuori dal cassetto, allora.<br />

– Ce l’ho tutto qua, – dice Serra e si batté due volte la<br />

fronte col palmo della mano. Ogni volta che faceva quel<br />

gesto si aspettava un rumore di vuoto. Ma il rumore di<br />

vuoto non c’era.<br />

– Ricorda le tre donne che avevo individuato come<br />

possibili proprietarie delle scarpe <strong>rosse</strong>?<br />

– Benissimo. La bovarista, la moglie di Ribolliti, la procace<br />

domestica del Manighetti.<br />

– Ebbene: due su tre avevano firmato cambiali ad Amicucci.<br />

– Mi lasci indovinare. La bovarista e la procace domestica?<br />

– No, la bovarista e la Ribolliti.<br />

– Queste informazioni le ha avute dalla vedova Gattinoni,<br />

suppongo.<br />

– Sono riuscito a mettere le mani sull’archivio. Le ho<br />

fatto credere che siamo ancora interessati a rilevare la<br />

clientela del marito, e lei non ha avuto difficoltà. Mi ha<br />

persino lasciato solo a spulciare le carte. Sa cos’è venuto<br />

fuori? Che nel palazzo di via Vetulonia erano almeno in<br />

quattro a prendere soldi a strozzo da Amicucci.<br />

– Chi sono gli altri due?<br />

– Anche loro vecchie conoscenze. Ricorda il giovane<br />

musicista?<br />

– Vagamente.<br />

– Beh, insomma, il musicista che sta al secondo piano<br />

Romanò, si chiama. E poi il commesso della farmacia vaticana…<br />

– Questo lo ricordo… ora, come intende procedere, cavaliere?<br />

170<br />

– Pensavo di lavorarmeli adeguatamente, tutti e quattro.<br />

Carruezzo si compiaceva della scelta di quella parola,<br />

lavorarmeli. Lo si capiva da come la voce vi si era soffermata.<br />

– A proposito, Serra. La Gattinoni mi ha chiesto di lei.<br />

Aspetta una sua visita.<br />

– Le ha detto che sono occupatissimo, naturalmente.<br />

– Le ho detto che stava considerando la sua offerta.<br />

Ho fatto bene?<br />

– Ha fatto malissimo, cavaliere. E comunque né la<br />

Gattinoni né il recupero crediti mi avranno…<br />

Nell’imboccare la strada che da via del Corso portava a<br />

Piazza Capranica, Serra pensava alla conversazione avuta<br />

con Carruezzo e all’impuntarsi del cavaliere sulla “pista<br />

condominiale”. Passando per via della Rotonda, ritrovò<br />

accoccolati tra le rovine attorno al Pantheon i soliti dieci<br />

gatti che ne avevano fatto la loro casa. Conosceva bene<br />

questa parte della città, anche se ci si sentiva ancora un<br />

turista, come quando nei primi anni a Roma, dalla sua<br />

pensione all’inizio della Nomentana scendeva giù la domenica<br />

mattina, con in mano la guida rossa del Touring,<br />

per lunghe passeggiate al centro.<br />

Con fare misterioso, Piccioni lo aveva convocato in una<br />

trattoria di via delle Zoccolette che frequentavano insieme<br />

prima della guerra. – Vediamoci a pranzo, – gli aveva<br />

detto per telefono. – Ti voglio far conoscere una persona.<br />

Ricordava una stretta porticina senza insegne e invece<br />

si trovò di fronte due grandi vetrine, dietro una delle quali<br />

si affacciavano, mostruose, alcune aragoste.<br />

171


Piccioni era seduto a un tavolo appartato, in fondo alla<br />

sala. Era solo ma la tavola era stata preparata per tre persone.<br />

– Ciao, giovane Serra, – lo salutò.<br />

Anche a cinquant’anni, per Piccioni, sarebbe sempre<br />

stato il “giovane Serra».<br />

Piccioni già mangiava. Gli indicò colla punta del coltello<br />

il piatto di prosciutto: – Serviti.<br />

S’avvicinò un cameriere.<br />

– Pajata per due, – disse Piccioni al cameriere. Poi, rispondendo<br />

all’espressione interrogativa di Serra: – Autentica<br />

specialità della casa. Fidati di me.<br />

– La persona che volevi farmi conoscere? – chiese Serra.<br />

– Verrà più tardi. Non c’è bisogno che l’aspettiamo. E<br />

comunque io ho fame.<br />

Stava pronunciando queste ultime parole, Piccioni,<br />

quando Serra, che dava le spalle alla porta, lesse nel suo<br />

sguardo che qualcuno era entrato nel ristorante.<br />

C’era un uomo alla porta, un tipo alto, occhiali spessi,<br />

portava il basco, non di traverso come si usava ma ben<br />

calcato in testa.<br />

L’uomo fece un cenno di saluto verso Piccioni e si avvicinò.<br />

Piccioni, senza alzarsi, scostò una sedia dal tavolo,<br />

come per invitarlo ad unirsi a loro.<br />

Piccioni fece le presentazioni, spiegando che l’uomo<br />

col basco era un tecnico minerario. Si chiamava Attilio<br />

Balzarani. Dipendente della Monterroyo, la società che<br />

sfruttava Nuraxi Nieddu, era un esperto della sicurezza<br />

nei pozzi di carbone e aveva lavorato in tutti i paesi dove<br />

la Monterroyo possedeva miniere, cioè a dire in tutto il<br />

mondo dal Cile alla Thailandia. Era a Nuraxi Nieddu al<br />

172<br />

tempo dell’incidente. Ora stava a Roma. – Quelli della<br />

Monterroyo mi tengono qui alla sede di Roma, – intervenne<br />

Balzarani. – È solo una sede di rappresentanza: in<br />

realtà non faccio niente tutto il giorno.<br />

Si avvicinò il solito cameriere, a cui il nuovo arrivato fece<br />

cenno di non volere ordinare.<br />

– Ho già mangiato, – disse rivolto a Piccioni e Serra.<br />

– Così era a Nuraxi Nieddu, quando è successa la cosa?<br />

– disse Serra.<br />

– Non proprio, non nei pozzi, non sarei qui ora… io sono<br />

sceso dopo, con i primi soccorsi, anche se non c’era più<br />

nulla da soccorrere, di gran parte degli ottantadue morti<br />

non ne abbiamo neppure trovati i corpi, solo alcuni di<br />

quelli rimasti sotto i crolli, abbiamo dovuto scavare con le<br />

unghie per tirarli fuori. Agli altri ci aveva pensato l’ossido<br />

di carbonio. Lei vada giù e cerchi di capire cos’è successo<br />

m’hanno detto. Ma io lo sapevo cos’era successo. Era successo<br />

che da due mesi presentavo i miei rapporti al direttore.<br />

Dalle argille delle pareti sprigiona grisou, c’era scritto,<br />

la lampada grisumetrica parla chiaro, dicevo. Ma non<br />

solo questo: gli impianti di discesa e risalita sono in uno<br />

stato da far paura. Sapete cosa crediamo sia successo a<br />

Nuraxi Nieddu? Dico crediamo perché di sicuro cos’è<br />

successo non lo sapremo mai. Quello che sappiamo è che<br />

ha ceduto il dispositivo di bloccaggio di un carrello di carbone.<br />

Quando i carrelli pieni di carbone vengono portati<br />

su, nelle gabbie, devono essere bloccati. Un bloccaggio ha<br />

ceduto mentre la gabbia saliva in superficie, il carrello è<br />

scivolato fuori dalla gabbia comprimendo un cavo elettrico,<br />

dal cavo sono venute fuori scintille, poi l’incendio e<br />

con l’incendio l’inferno. L’avevo detto mille volte al diret-<br />

173


tore, e glielo avevo scritto in decine di rapporti al direttore,<br />

che quei bloccaggi andavano cambiati, erano pericolosi.<br />

Per non parlare dei binari in legno su cui scorrevano le<br />

gabbie. Tutto da cambiare. L’ho detto e ridetto al direttore.<br />

Fermiamo per un po’ la miniera e facciamo i lavori di<br />

cui c’è bisogno. E lui: ma tu sei matto, le miniere che dirigo<br />

io non chiudono.<br />

Balzarani parlava con gli occhi fissi sul basco che teneva<br />

tra le mani e continuava a tormentare. Quando sollevò<br />

lo sguardo, si trovò di fronte lo specchio che stava sulla<br />

parete alle spalle di Piccioni. Si guardò sorpreso, come<br />

non si riconoscesse.<br />

– Anche lei è un giornalista? – chiese rivolto a Serra ma<br />

non aspettò la risposta. – Poi c’è stata l’inchiesta, io m’aspettavo<br />

che quelle mie relazioni venissero fuori…<br />

– Ma lei, – intervenne Serra, – è stato poi sentito dalla<br />

commissione d’inchiesta?<br />

Balzarani parve ignorare la domanda. – Dopo pochi<br />

mesi, la miniera ha chiuso, – disse. – Era l’ultima miniera<br />

che la società aveva in <strong>Sardegna</strong> e a me mi hanno mandato<br />

a Roma.<br />

Ci fu un lungo silenzio.<br />

– Vuole sapere cosa ho detto all’inchiesta? – riprese<br />

Balzarani. – Sono stato zitto. Loro non sembravano particolarmente<br />

interessati e io sono stato zitto. E poi c’erano i<br />

dirigenti della Società. Mi parlavano come se quelle relazioni<br />

che io avevo mandato anche a loro non esistessero,<br />

non fossero mai esistite. Io, mi dovete capire…<br />

Gli ci era voluto un grande sforzo per dire quello che<br />

stava dicendo, per fare quello che stava facendo. Non<br />

aveva finito, però.<br />

174<br />

– Io… mi hanno convocato a Roma per l’inchiesta, ma<br />

il giorno prima avevo parlato con il direttore della Società<br />

per l’Italia: “Balzarani, lei sa bene cosa dire e cosa<br />

non dire alla commissione. Non ha bisogno di consigli.”<br />

Io non avevo bisogno di consigli. E infatti sono stato zitto.<br />

Poi però non ne ho potuto fare a meno…<br />

Lasciò in sospeso la frase, come se avesse esaurito la carica<br />

che lo spingeva a parlare.<br />

– Non ha potuto far a meno… – l’incoraggiò Piccioni.<br />

– Qualcosa dovevo fare e l’ho fatta. Ho preso uno dei<br />

tanti rapporti che avevo mandato al direttore (ne ho tenuto<br />

con me diverse copie) l’ho messa dentro una busta e<br />

l’ho mandata anonima a un giornale, Il Pungolo si chiama,<br />

forse lo conoscete… insomma, non sono riuscito a<br />

far altro… poi, dopo qualche mese, quando ho visto che<br />

il giornale pubblicava quegli articoli su Nuraxi Nieddu,<br />

allora ho capito che il rapporto era arrivato e che l’avevano<br />

preso sul serio. Più di quello che sto facendo non potevo<br />

fare, lo capite? Ma ora voi non mi dovete tirare in<br />

mezzo.<br />

– Stia tranquillo, non la coinvolgeremo, – disse Piccioni.<br />

– Ci basta quel che ci ha raccontato.<br />

– Come diavolo hai fatto a scovarlo? – chiese Serra a<br />

Piccioni mentre, dopo aver lasciato Balzarani, si dirigevano<br />

insieme verso il Lungotevere dove Serra aveva parcheggiato<br />

la sua Giardinetta.<br />

– Fonti coperte, – rispose con aria misteriosa Piccioni.<br />

Poi cambiò tono: – Mi sono visto i verbali dell’inchiesta<br />

e… insomma, nelle dichiarazioni di quel Balzarani c’era<br />

qualcosa, come se dalle sue parole trasudasse un silenzio<br />

175


imbarazzato. Così l’ho rintracciato alla sede romana della<br />

Società. Lui ha detto che non aveva nulla da aggiungere a<br />

quel che aveva sostenuto durante l’inchiesta, ma io gli ho<br />

lasciato il mio numero al giornale…<br />

– …e lui ti ha telefonato.<br />

– Sì, mi ha telefonato… però… in tutta questa faccenda<br />

ci sono cose che non mi tornano, che non capisco.<br />

– Magari ti fai le stesse domande che mi sto facendo io.<br />

Zanda sapeva delle analisi sul grisou? Perché una cosa è<br />

certa: né il direttore della miniera, né la Società gliele<br />

hanno messe in mano le analisi. E allora come le ha avute,<br />

se le ha avute? E Cantillo? Perché ricattava Zanda? Perché<br />

sapeva di sue precise responsabilità oppure stava solo<br />

gettando un’esca?<br />

– Sì, certo… ma c’è anche un’altra cosa che non quadra.<br />

Lo sanno tutti che la Monterroyo in <strong>Sardegna</strong> vuol<br />

smobilitare. E allora, se è così, che interesse aveva la Società<br />

a tenere aperta la miniera? Sarebbe anzi stato naturale<br />

utilizzare le analisi sulle presenze di grisou per giustificare<br />

la chiusura. Non trovi?<br />

– Misteri del capitale, – disse Serra.<br />

– Queste battute lasciale a noi comunisti, – ribatté Piccioni.<br />

176<br />

25<br />

L’alibi, il punto era l’alibi, si diceva Carruezzo.<br />

Il caffè di via Vetulonia era abbastanza affollato e i due<br />

avevano trovato posto a un piccolo tavolo d’angolo. Nessuno<br />

si era presentato a servirli, per cui dopo un po’ Carruezzo<br />

si era avvicinato al bancone tornando poi indietro<br />

con una tazza fumante di cioccolata per sé e una grappa<br />

per Venturini; l’occhiuto Venturini, che dal suo triplice<br />

occhio - la grata sulle scale, lo spioncino, il balcone - tutto<br />

osservava, per poi riferire a Carruezzo col quale si può dire<br />

fosse nata un’amicizia.<br />

– Vita animata nei caffè, – osservò Venturini. Disse queste<br />

parole come fossero il distillato di considerazioni più<br />

ampie che aspettavano per essere esposte un segno di interessamento<br />

da parte del suo interlocutore. Che invece<br />

pareva solo attento a rigirare la cioccolata.<br />

– La gente si diverte nei caffè. S’incontrano, parlano, –<br />

riprese Venturini, nonostante l’evidente disinteresse di<br />

Carruezzo. – È stupefacente quanto la gente parli. Parlano,<br />

si riempiono la bocca di parole, spiegano, precisano,<br />

ripetono infinite volte la stessa cosa, raccontano…<br />

– Raccontano… – gli fece eco Carruezzo e accompagnò<br />

queste parole con un gesto largo e vago.<br />

– È vero, soprattutto raccontano… io, non ho nulla da<br />

177


accontare. Per questo non vedo nessuno: la gente si aspetta<br />

che uno racconti, e a me invece non succede mai nulla.<br />

– Forse dovremmo raccontare anche quello che non ci<br />

succede, la pura possibilità.<br />

Venturini sembrava perplesso. – Inventare, vuole dire?<br />

Magari raccontare i sogni…<br />

– Appunto i sogni…<br />

– Ho paura che i miei sogni non interessino nessuno, a<br />

me anche nei sogni non succede nulla. Anche nei sogni,<br />

sto là in cucina e guardo la grata…<br />

– La grata, Venturini, la grata. Come fa a dire che non<br />

ha nulla da raccontare? E la grata dove la mette, e le storie<br />

del suo condominio? Quell’andare e venire di passi,<br />

quell’entrare ed uscire, quel movimento che non si ferma<br />

mai…<br />

– Così lei non pensa che la mia sia una fissazione: quella<br />

di controllare, di stare ad osservare?<br />

– Sa cosa le dico Venturini? Lei quelli del condominio li<br />

fa esistere. Altrimenti cosa sarebbero? Senza contare poi<br />

che la sua vigilanza è un momento di controllo, e Dio sa<br />

se ne abbiamo bisogno coi tempi che corrono…<br />

– Non l’avrei detto dottor Carruezzo, non l’avrei detto<br />

che lei fosse… – Venturini esitava.<br />

– Fossi che cosa?<br />

– Un nostalgico del passato…<br />

– Ma cosa sta dicendo Venturini?<br />

– Quello che ha detto… io credevo… anche se, a pensarci<br />

bene, un uomo della sua statura…<br />

– Non le nascondo che alcuni aspetti del fascismo, le<br />

adunate ad esempio, mi coinvolgevano. L’idea di un destino<br />

comune, di un popolo che marcia compatto… lo sa<br />

178<br />

lei Venturini qual è il punto di forza della democrazia rispetto<br />

alla dittatura? È il realismo. Solo la democrazia sa<br />

realmente di che pasta è fatto l’uomo. L’uomo persegue il<br />

suo interesse, e dato che l’interesse non è lo stesso per<br />

tutti… ecco, la democrazia parte da questo, dalla frammentazione<br />

degli interessi, per questo è realistica.<br />

– Io, invece, erano proprio le adunate oceaniche la cosa<br />

che odiavo di più. A me tanta gente assieme fa paura, mi<br />

pare che non ne possa venire niente di buono quando sono<br />

assieme più di dieci persone. Per questo non vado mai<br />

al cinema.<br />

– È che lei il cinema c’è l’ha dentro casa, – disse Carruezzo<br />

sorridendo. – Quella finestrella sulle scale, io gliela<br />

invidio.<br />

– Pochi ne capiscono l’utilità, pensano che a guardare i<br />

piedi della gente non ci sia senso. Si sbagliano. A volte si<br />

capisce più dai piedi di una persona che dalle facce. Le<br />

facce mentono, i piedi no.<br />

– A proposito, Venturini, volevo le sue impressioni su<br />

alcuni condomini.<br />

– Ha una lista dei sospetti?<br />

– Non proprio, ma ho una lista di persone del palazzo<br />

che in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare con<br />

Amicucci.<br />

Carruezzo mise al corrente il suo amico sulle ultime notizie<br />

raccolte. Di ognuna delle persone dell’elenco di Carruezzo,<br />

Venturini fu in grado di disegnare un dettagliato<br />

identikit. Sulla domestica di Manighetti, si soffermò con<br />

dovizia di particolari, entrate e uscite dal palazzo, anche<br />

lui si era accorto degli “astuti maneggi” della domestica e<br />

non poteva neppure escludere che fosse lei la misteriosa<br />

179


dama dalle scarpe <strong>rosse</strong>, l’altezza era quella, anche se la<br />

dama dalle scarpe <strong>rosse</strong> aveva un suo passo elegante, ed<br />

elegante la domestica non si poteva proprio dire. Il Ribolliti<br />

stava al secondo piano, non prendeva mai l’ascensore,<br />

un passo lento, strascicato. Invece la moglie, quando<br />

usciva di casa, in quei passi veloci, quanta eccitazione,<br />

l’eccitazione di uscir di casa appunto.<br />

– Questa però è di tutti, – osservò Venturini. – Il passo<br />

che esce di casa è un passo leggero, spavaldo, quello che<br />

rientra è pesante, annoiato, si appoggia a pensieri opachi.<br />

Rientrare è noia e ripetizione, uscire leggerezza e avventura.<br />

– Ce la vedete la moglie del Ribolliti con le scarpe <strong>rosse</strong>?<br />

– chiese Carruezzo.<br />

– No che non ce la vedo, con quel passetto da uccellino.<br />

Quando giunse a Di Palma, e alla moglie di Di Palma,<br />

Carruezzo dovette spiegare al suo amico il significato di<br />

quella parola, bovarista, con la quale il suo schedario<br />

mentale aveva da tempo classificato la signora Di Palma,<br />

una spiegazione lunga e tortuosa ma che Venturini parve<br />

agevolmente far sua al punto da sorprendere favorevolmente<br />

Carruezzo sostenendo che, se quello era il significato<br />

della parola bovarista, anche lui, Venturini, doveva<br />

essere considerato un bovarista. Procedettero poi alla<br />

prova di Cenerentola, come avevano iniziato a chiamarla,<br />

facendo mentalmente indossare alla Di Palma la scarpetta<br />

rossa, ma l’esito fu anche ora negativo. Di Mangiarotti,<br />

non ci fu modo invece di parlare. Quando Venturini lo<br />

nominò, Carruezzo bloccò ogni sua ulteriore osservazione<br />

tirando in ballo “l’orrenda collezione di bamboline<br />

andaluse”, come se, una volta accertato questo crimine,<br />

180<br />

nulla d’altro si potesse aggiungere all’orrore. Quanto al<br />

giovane orchestrale nottambulo, proprio a causa del suo<br />

nottambulismo anche Venturini ne sapeva poco. Giunti<br />

all’ultimo della lista, il farmacista vaticano, Carruezzo<br />

provò a immaginarselo con le scarpe <strong>rosse</strong> col tacco. Proseguì<br />

poi Venturini, facendo indossare quelle stesse scarpe<br />

<strong>rosse</strong> al figlio brufoloso del farmacista. Erano ormai<br />

arrivati al lazzo osceno, al quale nessuno dei due era minimamente<br />

abituato. In un clima sempre più equivoco, si<br />

fecero portare, a chiusura della serata, una bottiglia intera<br />

di grappa che in pochi minuti si scolarono. Il cavaliere<br />

rideva e il ventre gli ballonzolava su e giù e più rideva più<br />

gli ballonzolava.<br />

Tornando a casa in tram Carruezzo ripercorse - con<br />

quella che, borbottando tra sé, chiamò “riconquistata lucidità”<br />

- il filo dei ragionamenti condominiali intrecciati<br />

con Venturini. Non giunse però a nessuna conclusione,<br />

anche perché quando arrivava al farmacista e al suo<br />

brufoloso figliolo, non poteva fare a meno di figurarseli<br />

con le scarpe <strong>rosse</strong> col tacco, per cui ricominciava a ridere<br />

come un cretino, trovandosi in preda allo stesso incontrollabile<br />

fou rire (e agli stessi ballonzolamenti) che lo avevano<br />

preso al caffè.<br />

Scese dal tram a Piazza Regina Margherita, tre fermate<br />

prima, almeno, di quanto avrebbe dovuto. Decise allora<br />

che una passeggiata notturna gli avrebbe fatto bene e<br />

optò per un lungo itinerario che, attraversando Villa Borghese,<br />

lo avrebbe alla fine ricondotto a casa. Il tepore di<br />

quella notte di maggio e la luna piena lo spingevano ad<br />

ardite (e non sempre mute) riflessioni su temi nodali della<br />

sua esistenza non esclusi alcuni - il suo rapporto con le<br />

181


donne, in particolare - sui quali era sempre stato reticente<br />

anche con se stesso. Gli sembrò all’improvviso possibile<br />

dare una svolta alla sua vita, e avrebbe iniziato a parlare<br />

alla luna se, bordeggiando il Giardino Zoologico, non<br />

avessero attratto la sua attenzione versi d’animali provenienti<br />

da oltre l’alto muro. Animali anche loro insonni,<br />

pensò Carruezzo, e che forse, anche loro, volevano parlare<br />

alla luna. Babbuini, canguri, zebre, scimmioni, gnu,<br />

gazzelle, leoni, pantere: di ognuno credeva di riconoscere<br />

il verso, di ognuno si sentiva fratello.<br />

182<br />

26<br />

Un biglietto di Carruezzo, lasciatogli sulla scrivania, lo<br />

informava di una telefonata del commissario Mastellone<br />

dalla Questura e di una successiva di un avvocato di nome<br />

Sarritzu. C’era poi stata una chiamata della vedova Gattinoni.<br />

Accanto al nome di quest’ultima, Carruezzo aveva<br />

scritto un «rispondere assolutamente», corredato di vari<br />

punti esclamativi e dal disegno di un cuore trafitto. Quanto<br />

all’ultima telefonata, chi aveva chiamato era tal Materazzi<br />

(«lei certo non lo ricorda» aveva scritto Carruezzo a<br />

fianco del nome, «ma è il proprietario dell’appartamento<br />

di viale Eritrea, quello che vuole sfrattare la vecchietta»).<br />

Quattro telefonate una dietro l’altra, si disse Serra, dopo<br />

un silenzio tombale di giorni e giorni, rischiavano di dargli<br />

l’ebbrezza.<br />

Decise di non dar retta al cavaliere e di non chiamare la<br />

vedova Gattinoni. Fece poi il numero della Questura ed<br />

ebbe modo di misurare l’importanza di Mastellone dal<br />

numero di voci attraverso cui dovette passare.<br />

– Luciano carissimo. – La voce di Mastellone gli giunse<br />

squillante. – Il vecchio Carruezzo te l’avrà detto che ti ho<br />

chiamato. Sempre in gamba il nostro Eupremio. Abbiamo<br />

fatto due chiacchiere al telefono: l’ho trovato sfavil-<br />

183


lante. Lasciatelo dire, Luciano: né tu né Carruezzo avreste<br />

dovuto lasciare la polizia.<br />

– Non è che ci abbiano trattenuti.<br />

– Era un momento difficile: siete stati vittima del momento.<br />

Bisognava tener duro. Alcuni, abbiamo tenuto<br />

duro.<br />

È da una vita che tu tieni duro, pensò Serra. Ma non lo<br />

disse. – Perché m’hai cercato? – chiese invece.<br />

– Niente. Volevo fare due chiacchiere, giusto sapere<br />

qualcosa sulla vostra inchiesta parallela. – Non sfuggì a<br />

Serra la sfumatura ironica di quel parallela.<br />

– Parallela in che senso?<br />

– Parallela alla nostra inchiesta. In fondo è a noi che<br />

tocca indagare, siamo noi la Polizia, siamo noi lo Stato. O<br />

te lo sei dimenticato Luciano?<br />

– A me pare che voi è da un bel po’ che avete smesso<br />

d’indagare sulla faccenda di via Vetulonia. Arrestata quella<br />

poveraccia d’Adelina Demontis, là vi siete fermati.<br />

– Per noi l’indagine è bella che conclusa: questo è il<br />

punto. Ora tocca al giudice istruttore.<br />

– Lo sai benissimo che l’indagine non è affatto chiusa e<br />

che voi le altre piste, che pure ci sono, le avete deliberatamente<br />

lasciate perdere. Avevate fretta voi, e ancora più<br />

fretta avete ora dopo la morte di Cantillo, che con ogni<br />

probabilità è legata a quella di Amicucci.<br />

– Ora stai esagerando, Serra, – ribatté Mastellone in un<br />

tono che rivelava irritazione. Ma immediatamente parve<br />

ricuperare la calma: – Non è che non ti capisca, Luciano.<br />

Finalmente ti è capitata tra le mani una causa importante,<br />

una di quelle che va sui giornali. Tu d’altra parte fai il tuo<br />

mestiere, devi provare l’innocenza della tua cliente… stai<br />

184<br />

attento però… è un po’ questo il motivo per cui ti ho<br />

chiamato: le vostre indagini non devono debordare, non<br />

ci deve essere invasione di campo… e poi, lasciatelo dire,<br />

Carruezzo…<br />

– Che c’entra ora Carruezzo?<br />

– C’entra, c’entra. E poi, noi che gli vogliamo bene lo<br />

possiamo dire. Carruezzo è sempre stato un tipo curioso,<br />

uno che piscia fuori dal vaso. Lo sai anche tu, se non ci<br />

fosse stato Bocchini a proteggerlo avrebbe passato la vita<br />

a battere verbali in qualche commissariato di periferia. Ti<br />

ricordi quando girava per la divisione Polizia Politica con<br />

quel papiello in mano, e lo leggeva a tutti… qual era il titolo…?<br />

– Identikit psicologico dell’antifascista, forse. Ne aveva<br />

scritto altri, ma quello era rimasto famoso in ufficio.<br />

– Sì, certo, quello dove teorizzava… c’entrava anche<br />

Freud e lui sosteneva che l’antifascista era uno che aveva<br />

un disturbo nell’interiorizzazione dell’autorità paterna,<br />

qualcosa del genere insomma, e che di conseguenza andava<br />

non sbattuto in galera ma curato… un discorso del<br />

cazzo, però lui faceva scompisciare dalle risate come te lo<br />

spiegava il papiello, e come pretendeva che tu lo leggessi…<br />

– Ricordo benissimo. Però continuo a non capire cosa<br />

c’entri ora Carruezzo.<br />

– Tu magari non lo sai, o forse lo sai, ma Carruezzo si<br />

presenta agli inquilini di via Vetulonia come un poliziotto,<br />

ha tutto un repertorio di vecchi tesserini scaduti e li<br />

squaderna alla bisogna. Qualcuno in Questura voleva<br />

prendere provvedimenti, io per ora ho bloccato tutto, la<br />

cosa è grave però, tu lo capisci…<br />

185


– Non ti preoccupare. Parlo io con Carruezzo: non capiterà<br />

più.<br />

– Anche gli inquilini di via Vetulonia si sono lamentati.<br />

Sono stufi del suo andirivieni.<br />

– Capisco.<br />

– Proprio così Luciano, tu devi capire, devi capire la<br />

delicatezza di tutta la situazione. Anche in relazione al caso<br />

Cantillo… non te ne dovrei parlare… insomma, per<br />

farla breve, siamo orientati a considerarlo un suicidio.<br />

– Come no: è andato giù dal ponte con un doppio salto<br />

mortale carpiato.<br />

– Un suicidio, tutto torna: la dinamica, e poi il fatto che<br />

Cantillo fosse pieno di debiti sino al collo. Comunque,<br />

così sono le cose. Io ti ho avvertito.<br />

– Sì, tu mi hai avvertito.<br />

La telefonata lasciò in Serra un senso d’impotenza e<br />

d’amarezza. Ripensò all’espressione che Mastellone aveva<br />

usato, inchiesta parallela, e gli venne in mente una azione<br />

parallela di cui aveva letto da poco in un romanzo: un<br />

gruppo di notabili preparano una celebrazione dei cinquant’anni<br />

sul trono di Francesco Giuseppe alternativa a<br />

quella ufficiale, un’azione parallela appunto. Il progetto<br />

cresce, le riunioni si moltiplicano, ma nessuno sa bene in<br />

che cosa quest’azione parallela consista. Così l’inchiesta<br />

“condominiale” di Carruezzo: velleitaria, inconcludente,<br />

ridicola.<br />

Serra riprese in mano la cornetta e fece il numero accanto<br />

al nome di Materazzi. Quasi non aspettò che dall’altra<br />

parte rispondessero: – A proposito di quel suo ap-<br />

186<br />

partamento in viale Eritrea: purtroppo non c’è nessuna<br />

possibilità che l’attuale inquilina possa essere sfrattata.<br />

– Ma lei stesso mi aveva parlato di poche settimane, sono<br />

due anni che…<br />

– Cosa vuole che le dica. Le cose stanno così: l’attuale<br />

legislazione non lo consente.<br />

– Ma i miei diritti di proprietario? Mi chiedo se lei è in<br />

grado…<br />

– Ha ragione signor Materazzi: io non sono in grado.<br />

– Ma…<br />

– Segua il mio consiglio, mi dia retta: si cerchi un altro<br />

avvocato.<br />

Le prime due telefonate non erano state un successo.<br />

Fece il numero dell’avvocato Sarritzu, l’ultimo dell’elenco<br />

lasciatogli da Carruezzo.<br />

Anche qui un filtro, ma un filtro flautato, quasi cinguettante:<br />

– Stia in linea, le passo subito l’avvocato.<br />

Serra diede mentalmente un corpo a quella voce: immaginò<br />

una segretaria dai vaporosi capelli biondi, la camicetta<br />

bianca, la gonna stretta, scarpe di vernice nera<br />

coi <strong>tacchi</strong> altissimi. Come nelle vignette del Travaso, la segretaria<br />

era seduta sulle sue ginocchia e continuava a battere<br />

a macchina. Lui con una mano guidava sui tasti la<br />

mano inesperta di lei, con l’altra le carezzava il seno.<br />

– Carissimo avvocato Serra. Non sa da quanto desideravo<br />

conoscerla.<br />

– Piacere, – disse Serra. Il tono di Serra era incerto: –<br />

Non credo…<br />

– No, non ci siamo mai incontrati, se è questo che si sta<br />

chiedendo. Certo, sarebbe potuto accadere a Palazzo di<br />

Giustizia. Il fatto è che io a Palazzo di Giustizia ci vado<br />

187


pochissimo. Il mio ruolo si esplica fuori dai tribunali. La<br />

mia funzione peculiare, la mia specialità, se così posso<br />

esprimermi, è quella di appianare i conflitti e quindi, sin<br />

quando è possibile, evitare i processi. Niente preamboli,<br />

però: lei certo vorrà sapere perché l’ho cercata?<br />

– In effetti.<br />

– Presiedo il circolo dei sardi a Roma. Pensavo di incontrarla<br />

e di avere - glielo anticipo sin da ora - la sua adesione<br />

alla nostra associazione.<br />

– Mi sta reclutando, insomma. Se mi dice quant’è la<br />

quota associativa…<br />

– No, avvocato, non mi sono spiegato bene. Esiste un<br />

livello formale del circolo, e noi saremo felicissimi della<br />

sua adesione, ovviamente. Ma non l’avrei certo disturbata<br />

per questo.<br />

– Di che cosa si tratta, invece?<br />

– C’è un altro livello, meno formale… una rete di rapporti<br />

per consentire a noi sardi di Roma, a quelli tra noi<br />

che hanno un certo peso sociale naturalmente, d’incontrarci,<br />

scambiare idee, verificare comunanze d’interessi,<br />

concertare strategie comuni.<br />

– Ho paura di essere la persona meno adatta a questo<br />

genere di cose, anche perché il mio peso sociale, al momento,<br />

oscilla tra l’irrilevante e il nullo.<br />

– No, credo proprio di non essere stato chiaro. Noi la<br />

seguiamo Serra, abbiamo notato la perizia, il vigore con<br />

cui sta difendendo quella povera domestica sarda, quell’Adelina<br />

Demontis… ecco, io anche di questo intendevo<br />

parlarle.<br />

– Francamente non capisco.<br />

– Capirà, caro Serra, capirà. Cosa dice di essere mio<br />

188<br />

ospite domani sera alle otto per una cena alla sarda? Ristorante<br />

Il Nuraghe, a metà circa di via Boncompagni, si<br />

faccia portare da un tassì. A domani, allora. L’aspetto.<br />

Mezz’ora dopo Serra, su un tavolino all’aperto del Caffè<br />

Paranà, sorseggiava un bicchiere di birra. Da lì poteva osservare<br />

la vasta area - più un’aprirsi e un incrociarsi di<br />

strade che una vera piazza - di fronte a Porta Maggiore e<br />

poi oltre la Porta, inquadrato dal doppio arco, il via vai<br />

della gente che lasciava il lavoro. C’era qualcosa di pacificante<br />

e conclusivo in tutto questo, nel rumore delle serrande<br />

abbassate, nell’affrettarsi di uomini e donne verso<br />

le fermate dei tram, nella luce dorata di una sera di fine<br />

maggio sui mattoni rossi dell’antico acquedotto. C’erano<br />

ancora in giro alcuni ritardatari dal passo strascicato, gente<br />

che di sicuro non aveva voglia di tornare a casa, mentre<br />

due commesse si salutavano fuori dal negozio, e un gruppo<br />

di turisti americani, vestiti da turisti americani, ordinavano<br />

un cappuccino al cameriere del Caffè Paranà.<br />

Anche se Carruezzo gli dava le spalle, Serra lo riconobbe<br />

dalla sagoma: sostava rapito di fronte alla vetrina della<br />

pizzicheria a fianco al caffè. Dalla vetrina, in studiato disordine,<br />

facevano mostra di sé rosei prosciutti, montagne<br />

di scatolette, formaggi di varia forma e colore, bottiglie di<br />

vino dalle etichette variopinte, sacchi pieni di tortellini,<br />

funghi interi dentro vasi di vetro, fantasiosi intrecci di salsicce<br />

e al centro, isolata e regale, una mortadella di proporzioni<br />

gigantesche. La pizzicheria era ancora piena di<br />

gente, quasi un’isola di luce e di vita in una piazza che si<br />

andava svuotando.<br />

189


– Cavalier Carruezzo, – lo chiamò Serra dal tavolino.<br />

Carruezzo si voltò e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo<br />

alla vetrina, si avviò verso Serra.<br />

– C’incamminiamo verso l’estate, – disse al cameriere<br />

che si era subito avvicinato a chiedergli l’ordinazione. –<br />

Propenderei per una bibita estiva: portami una granatina.<br />

– Mi tolga una curiosità cavaliere, – chiese Serra, – lei il<br />

titolo di cavaliere quando l’ha avuto?<br />

– Fu Mussolini a concedermi l’onorificenza, ma su richiesta<br />

di Bocchini. Bocchini era da poco capo della Polizia<br />

e spinse perché un certo numero di suoi funzionari<br />

fossero fatti cavalieri.<br />

– Ma l’onorificenza gliela consegnò Mussolini?<br />

– Ogni anno si svolgeva una cerimonia. Quella volta<br />

eravamo circa un centinaio: molti industriali, insegnanti,<br />

impiegati ma anche cuochi, macellai, diversi fabbri, si ricordi<br />

che il padre del Duce era un fabbro, c’era anche un<br />

impresario di Pompe Funebri. C’era Farinacci tra le autorità,<br />

e quando arrivò il suo turno, il turno dell’impresario<br />

di Pompe Funebri voglio dire, fece quel gesto…<br />

– Quale gesto?<br />

– Si toccò le palle. Non fu il solo, comunque. Uno che<br />

stava a fianco a me, anche lui in attesa che lo facessero cavaliere,<br />

un vetturino romano, “Toccate i cojoni” mi avvertì,<br />

“quello di certo porta male”.<br />

– E com’era il Duce?<br />

– Il mento proteso in avanti e le mani sui fianchi, poi digrignava<br />

i denti, come gli capitava spesso nelle cerimonie<br />

pubbliche.<br />

– Le consegnò la croce di cavaliere e poi un saluto fascista…?<br />

190<br />

– No, no, niente saluto, mi strinse la mano. E mentre mi<br />

stringeva la mano fece l’occhiolino.<br />

– L’occhiolino?<br />

– Sì, strizzò l’occhio, un gesto d’intesa, credo, come a<br />

dire: tu e io, Carruezzo, lavoriamo per la stessa ditta, io<br />

come Duce degli italiani, tu come poliziotto.<br />

– A lei il Duce non dispiaceva, vero Cavaliere?<br />

– Trovavo rassicurante la dittatura, allora.<br />

191


27<br />

Non chiamò un tassì, né prese la Giardinetta, non avrebbe<br />

avuto senso, visto che via Boncompagni praticamente<br />

iniziava a piazza Fiume e che piazza Fiume era a due minuti<br />

da casa sua. La via Boncompagni attraversava quello<br />

che sino ai primi del Novecento era stato l’enorme parco<br />

della villa fatta edificare dal cardinal Ludovisi, nipote di<br />

Gregorio XV. Di quella magnifica villa seicentesca e del<br />

suo parco non rimaneva ormai traccia, se non nel nome<br />

del quartiere, il quartiere Ludovisi appunto, e qualche albero<br />

del giardino di Palazzo Margherita. Quest’ultimo<br />

l’avevano costruito all’inizio del secolo i principi Boncompagni-Ludovisi<br />

di Piombino, ma da allora, nel giro di<br />

pochi decenni, aveva due volte cambiato di destinazione,<br />

essendo stato prima della guerra la “ridente e regale” residenza<br />

della Regina Madre e poi, con la Repubblica, la<br />

sede ancora più regale dell’ ambasciata degli Stati Uniti<br />

d’America.<br />

Il ristorante Il Nuraghe non poteva che essere sulla parte<br />

destra della via Boncompagni, visto che la parte sinistra<br />

era tutto un succedersi di palazzi signorili e di ville.<br />

Lo trovò esattamente dove gli aveva detto l’avvocato Sarritzu,<br />

a metà di via Boncompagni, segnalato da una fanta-<br />

193


siosa scritta che usava a mo’ di enne l’immagine di un nuraghe<br />

diroccato.<br />

Ad accoglierlo, appena dopo l’ingresso, accanto al tavolo<br />

degli antipasti, un manichino a grandezza naturale vestito<br />

come il suo ideatore riteneva dovesse essere vestito<br />

un pastore sardo, e cioè camicia di tela bianca ricamata,<br />

calzoni di tela anch’essi bianchi lunghi fin sotto il ginocchio,<br />

gilè di orbace a doppio petto, giacca d’orbace, gonnellino<br />

d’orbace sopra i calzoni, ghette e, naturalmente,<br />

berrita. Che fosse un pastore (e non un contadino) lo si<br />

deduceva dal bastone nodoso che teneva in mano e dalla<br />

pecora che aveva vicino, anch’essa a grandezza naturale e<br />

straordinariamente realistica con quel suo occhio che<br />

Serra sentiva addosso minaccioso e inquietante. A fianco<br />

del manichino, un uomo vestito esattamente allo stesso<br />

modo.<br />

– Bei beniu, – l’accolse l’uomo.<br />

– Buona sera, – rispose Serra.<br />

– Fustei è sardu?<br />

– Sì, no… in realtà devo incontrare una persona, l’avvocato<br />

Sarritzu.<br />

– Fustei è sardu, – disse in tono conclusivo il manichino<br />

animato.<br />

In quel momento un uomo che seduto a un tavolo poco<br />

distante aveva seguito la conversazione si alzò e si avvicinò.<br />

– L’avvocato Serra? Sono Sarritzu, – disse senza<br />

aspettare la risposta di Serra, mentre gli stringeva la mano.<br />

Poi, rivolto al manichino parlante: – Tranquillo Efis,<br />

l’avvocato è sardo.<br />

– Straordinario Efis, non trova? – esordì Sarritzu una<br />

volta che furono seduti.<br />

194<br />

– Non avevo mai visto nulla di simile, in effetti. Poi l’idea<br />

del manichino e del cameriere vestiti alla stessa maniera<br />

è… non trovo parole, la pecora poi…<br />

– Efis non è un cameriere, non solo un cameriere voglio<br />

dire, è un socio del nostro circolo dei sardi. Il suo ruolo è<br />

soprattutto quello di accogliere chi entra nel ristorante,<br />

accoglierlo in sardo naturalmente. Indovini di dov’è?<br />

– Non saprei. Da che cosa lo dovrei capire?<br />

– È di Bitti, – disse Sarritzu come se si trattasse di una<br />

rivelazione.<br />

– Di Bitti, – ripeté Serra.<br />

– Beh, la cosa non la colpisce?<br />

– Mi dovrebbe colpire?<br />

– Efis le si è rivolto in campidanese, non ha notato?<br />

– È vero. Come mai uno di Bitti parla in campidanese?<br />

– Anche questa è stata una mia idea. Efis alterna: un<br />

giorno parla campidanese, un altro logudorese.<br />

– Una bella idea: non afferro lo scopo, però.<br />

– Beh, vogliamo essere ambasciatori di tutta la <strong>Sardegna</strong>,<br />

e in mancanza di una lingua sarda comune… Sa cosa<br />

le dico, avvocato Serra, ci vorrebbe una lingua comune,<br />

una lingua sarda unificata, ecco cosa ci vorrebbe.<br />

Nel frattempo Efis aveva portato in tavola un grande<br />

piatto di salsiccia affettata.<br />

– Quella più asciutta, più secca è salsiccia d’Irgoli, –<br />

disse Sarritzu indicandola, – la più grassa è invece di<br />

Gonnosfanadiga.<br />

Si servirono dei due tipi di salsiccia, senza che Serra<br />

riuscisse a notare una qualche apprezzabile differenza.<br />

Se proprio avesse dovuto scegliere, avrebbe però scelta<br />

quella di Gonnosfanadiga che associava a ricordi e mito-<br />

195


logie familiari, la convinzione di suo padre, tante volte ripetuta<br />

a tavola, che la salsiccia migliore fosse quella di<br />

Gonnosfanadiga.<br />

– Serra dei Serra di Uta? – riprese Sarritzu, riemergendo<br />

dalla salsiccia.<br />

– La famiglia di mio padre era di Monserrato.<br />

– In effetti un ramo dei Serra di Uta si è stabilito a Monserrato…<br />

– Non credo che mio padre fosse di quei Serra: era un<br />

Serra isolato lui.<br />

– Vedo che non dà grande importanza alle ascendenze<br />

familiari. Fa male. Le ascendenze sono le radici e senza<br />

radici non si ha un vero legame con la propria terra. Un<br />

sardo è un sardo dopo che il sangue degli antenati ha attraversato<br />

molte generazioni.<br />

– Si vede che nel mio caso le generazioni non sono state<br />

abbastanza. E poi, manco da molti anni dalla <strong>Sardegna</strong>,<br />

forse le radici si sono inaridite.<br />

– No, non dica questo avvocato Serra, nessun sardo<br />

perde le proprie radici. Anche a mille chilometri di distanza<br />

dalla <strong>Sardegna</strong>.<br />

L’arrivo dei malloreddus portò a una svolta della conversazione<br />

che si indirizzò appunto verso i malloreddus.<br />

Più che una conversazione fu un monologo durante il<br />

quale Sarritzu illustrò i diversi modi in cui venivano abitualmente<br />

preparati per arrivare poi a declamare l’ortodossia,<br />

sugo di pomodoro, salsiccia fresca con salvia, zafferano,<br />

pecorino stagionato, tutti gli altri erano barbarismi.<br />

A Serra vennero in mente i malloreddus domenicali<br />

di sua madre.<br />

– Mamma, dammi la mia razione di malloreddus.<br />

196<br />

– Non c’è una tua razione di malloreddus, prendine<br />

quanto ne hai bisogno.<br />

– Allora li posso mangiare tutti?<br />

– No tutti no, ci sono anche gli altri. Serviti, ma pensa che<br />

tutti quanti ne dobbiamo mangiare.<br />

– Voglio la mia razione.<br />

– Va bene, questa è la tua razione.<br />

– Sa perché non mi sono schierato coi sardisti avvocato<br />

Serra?<br />

A Serra poco importava perché Sarritzu non si fosse<br />

schierato coi sardisti, erano in tanti a non essersi schierati<br />

coi sardisti, ma sapeva anche di non avere più scampo.<br />

Provò a metter su un’espressione interessata e partecipe.<br />

– Suppongo…<br />

Sarritzu non lo lasciò continuare: – I sardisti non vanno<br />

abbastanza lontano, io vado oltre, molto oltre.<br />

– Indipendentista?<br />

– Dio ci scampi. Ho invece una mia teoria. – Si sporse<br />

verso Serra e con un tono di voce più basso, come si suppone<br />

si debba fare quando si svela un segreto: – Il primato.<br />

– Il primato di chi?<br />

– E di chi se no? Della <strong>Sardegna</strong>. Ho una mia teoria in<br />

proposito. Se vuole gliela espongo.<br />

– Sono interessatissimo.<br />

La teoria di Sarritzu riempì la mezz’ora successiva. Serra<br />

lo ascoltava muto, incapace di articolare un commento,<br />

quasi ipnotizzato dal ritmo martellante delle sue parole.<br />

Efis si avvicinò più volte al tavolo per riempire di vino<br />

197


i bicchieri e afferrando qualche brano del discorso di Sarritzu<br />

assentiva e sorrideva. Giunti alla fine, Serra non poteva<br />

dire di aver compreso il discorso dell’avvocato, ma<br />

alcuni passaggi lo avevano colpito, come quello, fulminante,<br />

per cui l’attuale Stato italiano altro non era che il<br />

prodotto dell’antico regno di <strong>Sardegna</strong>. – Qui sta la radice<br />

del primato sardo, – disse più volte, puntando l’indice<br />

in basso.<br />

L’avvocato sembrava a questo punto soddisfatto. Mentre<br />

esponeva la sua teoria si era completamente disinteressato<br />

al maialino arrosto servito da Efis, ma ora ci si applicava<br />

con gusto e determinazione.<br />

– Vede Serra, è dentro questa rete che va compresa la<br />

solidarietà tra sardi.<br />

Serra non aveva ben chiaro quale fosse la rete in questione.<br />

Intuì però che Sarritzu si stava avvicinando al<br />

punto.<br />

– Come le ho detto per telefono, abbiamo molto apprezzato<br />

la sua difesa di Adelina Demontis.<br />

– Abbiamo chi, mi scusi?<br />

– Noi della comunità sarda a Roma. Lo stesso onorevole<br />

Zanda…<br />

– Non mi pare che l’onorevole Zanda mostri un grande<br />

apprezzamento del mio lavoro.<br />

– È qui che si sbaglia, si sbaglia di grosso. L’onorevole<br />

Zanda la stima invece. Il ruolo dell’onorevole Zanda è un<br />

ruolo delicato, in un momento politico delicato. Ci sono<br />

nuovi equilibri, nuove aperture, nuove convergenze in<br />

vista, e questi nuovi equilibri, queste nuove convergenze<br />

hanno nemici potenti. Sa di che cosa abbiamo paura?<br />

Che lei, avvocato Serra, possa essere lo strumento incon-<br />

198<br />

sapevole di qualche oscura manovra per liquidare politicamente<br />

Zanda.<br />

– Io faccio quello che devo fare, difendo la mia assistita…<br />

– Ci sono altri modi per difendere la povera Adelina.<br />

Voglio essere diretto con lei. Ho modo di credere che stia<br />

emergendo in procura l’idea che Adelina Demontis possa<br />

essere prosciolta.<br />

– Che motivo ha di pensarlo?<br />

– Faccio qualcosa di più che pensarlo, faccio in modo<br />

che avvenga. Sono convinto che inchieste e processi non<br />

possano essere lasciate all’arida impersonalità della macchina<br />

giudiziaria.<br />

– Non capisco che interesse o ruolo lei abbia nell’istruttoria<br />

di Adelina Demontis. Non capisco, soprattutto, come<br />

lei pensi d’influire…<br />

– Io rappresento interessi… interessi super partes li definirei.<br />

Quanto ai poteri, non ho nessun potere se non<br />

quello di suggerire la via migliore, anche a magistrati che<br />

conducono un’istruttoria, nel caso. Con qualche possibilità<br />

di essere ascoltato, questo sì.<br />

– Continuo a non capire.<br />

– Eppure è molto semplice, avvocato Serra. Noi… gli<br />

interessi che rappresento voglio dire… noi vogliamo evitare<br />

che si sollevi un polverone su Zanda e sulla commissione<br />

governativa che si è occupata di Nuraxi Nieddu.<br />

Lei, con la sua inchiesta parallela a quella della polizia, rischia<br />

di fornire nuovi argomenti a speculazioni, a scandalismi.<br />

Ora, si potrebbe influire positivamente sull’istruttoria,<br />

per essere più chiari si potrebbe spingere verso il<br />

proscioglimento di Adelina Demontis, se…<br />

199


– Se io la smetto di rompere i coglioni.<br />

– Che espressione cruda avvocato Serra!<br />

200<br />

28<br />

Sicché Adelina fu prosciolta in istruttoria e immediatamente<br />

liberata.<br />

Quello stesso giorno Serra e Marianna, intorno alle otto<br />

di sera, facevano la fila al cinema Quirino, in via Nazionale,<br />

dove si erano incontrati la prima volta. Davano Le<br />

notti di Cabiria di Fellini, con Giulietta Masina nella parte<br />

di Cabiria. Marianna indossava un vestito di cotone a<br />

fiori senza maniche, piuttosto scollato. La domenica precedente<br />

era stata al mare, a Ostia, e la prima abbronzatura<br />

estiva le faceva risaltare le lentiggini che le punteggiavano<br />

il viso e le braccia nude.<br />

– Chissà com’era contenta quella poveretta quando è<br />

uscita dal carcere, – disse Marianna.<br />

– Se era contenta lo nascondeva bene.<br />

– Una poveretta la mettono in carcere e poi la fanno<br />

uscire: magari ci mette un po’ a crederci al fatto di essere<br />

libera. Comunque voi sardi siete così, siete musoni.<br />

– E tu che cosa ne sai dei sardi musoni?<br />

– Perché tu non sei sardo?<br />

– Non sono musone però. Ti faccio sempre ridere…<br />

– Fammi ridere, allora.<br />

– Faccio il verso del pesce palla?<br />

– Vada per il pesce palla.<br />

201


Serra gonfiò le guance, producendo con le labbra, più<br />

volte, un rumore come di tappo.<br />

– Questo non è il verso del pesce palla. Non lo sai più<br />

fare, e non sai più farmi ridere.<br />

– Ora vedrai se ridi, – disse lui e cominciò a farle il solletico<br />

alle ascelle.<br />

Marianna scoppiò a ridere: – Dài, smettila, ci stanno<br />

guardando tutti.<br />

La fila procedeva abbastanza lentamente.<br />

– C’eri solo tu fuori delle Mantellate ad aspettarla?<br />

– Io sono potuto entrare dentro. Gli altri l’hanno aspettata<br />

fuori.<br />

– Gli altri chi?<br />

– C’era Carruezzo e poi… hai presente quella Peppinetta,<br />

te ne ho parlato, stava anche lei a servizio da Zanda…<br />

– Ho capito, Peppinetta, quella che ti piace.<br />

– Peppinetta, ci mancherebbe altro, una bambina… e<br />

poi come fai a dire che mi piace? Non l’hai mai vista, tra<br />

l’altro.<br />

– Quando una ti piace sei elusivo, e se ne parli fai tutti<br />

quei beh, quei mah e… insomma, io me accorgo benissimo…<br />

Cosa avete fatto quando Adelina è uscita dalle<br />

Mantellate, l’avete riaccompagnata a casa?<br />

No, non l’avevano riaccompagnata a casa. Erano andati<br />

tutti e quattro a bere qualcosa ad un’osteria fuori porta<br />

San Pancrazio, un piccolo festeggiamento per la ritrovata<br />

libertà di Adelina. Il cavaliere aveva fatto onore al vino di<br />

Albano e pure Adelina si era un po’ sciolta, certo che era<br />

contenta, anche se le rimaneva il pensiero del fratello in<br />

carcere per sequestro di persona. Avevano ballato sotto<br />

202<br />

la pergola, al suono di una fisarmonica: Peppinetta con<br />

Serra e Carruezzo con Adelina, e poi Serra e Carruezzo,<br />

tra le risate e i battimani di Peppinetta, avevano ballato<br />

tra loro, col cavaliere che aveva poi ricordato come nella<br />

sua Lecce capitasse spesso di ballare tra uomini quando<br />

mancavano le ragazze.<br />

– E Peppinetta? Hai detto che era a servizio da Zanda…?<br />

– Si è licenziata. Ha messo su casa per conto suo. Se è<br />

per questo, neppure Adelina tornerà da Zanda. Per ora<br />

la ospita Peppinetta. Peppinetta ha grandi progetti, vuol<br />

aprire un negozio d’abbigliamento in Viale Libia, una<br />

zona in forte sviluppo dice, vuole anche Adelina con lei,<br />

ha già individuato un locale…<br />

– E i soldi? Dove li trova i soldi per un negozio d’abbigliamento?<br />

– Li trova, li trova. Ha un finanziatore: c’è un avvocato<br />

che… insomma… sembra disposto a sostenerla.<br />

Peppinetta era stata più chiara in proposito, non solo<br />

non aveva nascosto la natura dei suoi rapporti con l’avvocato<br />

ma aveva anche raccontato in dettaglio, stimolata<br />

dalla pressante curiosità del cavaliere, la loro complessa<br />

vicenda. L’avvocato Possenti, di circa trent’anni più anziano<br />

di Peppinetta e regolarmente sposato con figli, era<br />

solito nei momenti di maggiore trasporto proporre alla<br />

sua giovane amica fughe romantiche e matrimoni in Messico,<br />

salvo poi a cose fatte ritornare sui suoi passi. Peppinetta,<br />

che mai e poi mai avrebbe accettato le proposte di<br />

fuga e matrimoni messicani di Possenti, pensava però che<br />

energia sessuale e pulsioni romantiche dell’avvocato andassero<br />

canalizzate verso una direzione più costruttiva,<br />

203


per cui gli aveva proposto che se non potevano essere<br />

marito e moglie fossero almeno soci in affari: lui avrebbe<br />

messo i capitali, lei tutto il resto.<br />

– Sai che ti dico: dovrei esserne gelosa, ne sono gelosa<br />

anzi, però a me questa Peppinetta è simpatica.<br />

Quanto a Serra, la trovava più che simpatica, la trovava<br />

desiderabile. L’aveva trovata desiderabile mentre ballavano<br />

insieme e ancora più desiderabile quando, più tardi,<br />

euforica anche per il vino, aveva sciolto la lunga treccia di<br />

Adelina e abbracciandola dalle spalle l’aveva portata di<br />

fronte a uno specchio perché vedesse, Adelina, quanto<br />

era bella con i capelli sciolti e vedesse quanto erano belle<br />

tutte due così nere di occhi e di capelli, e capisse che, così<br />

belle e nere, avrebbero, insieme, conquistato il mondo.<br />

– Dài sbrigati, – disse Marianna, – vedi che tocca a noi<br />

fare i biglietti.<br />

La maschera li accompagnò ai loro posti mentre il film<br />

in programma non era ancora iniziato e però già proiettavano<br />

il documentario. Poi, quando finirono i titoli di testa<br />

e Giulietta Masina apparve nella prima scena del film,<br />

Marianna prese Serra per mano, e così rimase sino a<br />

quando vide sullo schermo la parola fine.<br />

204<br />

29<br />

Insomma, Adelina Demontis, era stata scarcerata e le<br />

cose sembravano mettersi a posto per lei. L’avvocato Serra<br />

aveva ottenuto una bella vittoria, di cui anche i giornali<br />

avevano parlato. Serra avrebbe voluto sentirsi soddisfatto<br />

della scarcerazione di Adelina, ma sapeva perfettamente<br />

quanto poco avesse contato il suo intervento nella liberazione<br />

della donna. Qualcuno, certo molto influente, aveva<br />

suggerito al giudice istruttore l’opportunità di chiudere<br />

l’inchiesta, e l’inchiesta era stata chiusa. Tutto molto<br />

semplice, lineare quasi, per quanto misteriosa la cosa potesse<br />

apparire e per quanto il deus ex machina di quella vicenda<br />

non avesse un volto. Chiunque egli fosse aveva deciso<br />

che intorno al caso Amicucci - intorno ai suoi variegati<br />

intrecci, soprattutto - dovesse calare il silenzio. E il silenzio<br />

era calato.<br />

Serra camminava lungo Corso Vittorio, verso il Tevere.<br />

Allo slargo della Chiesa Nuova vide una piccola trattoria<br />

dove tempo prima aveva mangiato una carbonara che ora,<br />

al ricordo, gli pareva straordinaria. Il lampo di memoria si<br />

trasformò in voglia di carbonara: ci sarebbe voluta almeno<br />

un’ora, gli disse un cameriere piccolo e baffuto, prima<br />

che si liberasse un tavolo. Era così Roma, sempre pronta<br />

ad accendere desideri che poi non sapeva soddisfare.<br />

205


Quasi alla fine del Corso, entrò in un bar zeppo di gente,<br />

una piccola folla si affannava di fronte alla cassa. Avrebbe<br />

dovuto aspettare chissà quanto, per poi vedersi di fronte<br />

un panino ammuffito e un bicchiere di birra tiepida. Uscì<br />

dal bar e attraversò ponte Vittorio (o ponte di Nerone, come<br />

ancora lo chiamava qualcuno), diretto ai Prati, al ristorante<br />

di Marianna.<br />

Ora camminava in via Crescenzio e come gli capitava a<br />

volte da ragazzo imponeva ai suoi passi una geometria<br />

precisa, attento a non calpestare le linee tra una piastrella<br />

e l’altra. Di colpo l’aveva preso un’allegria di cui lui stesso<br />

faticava a capire la ragione. Non era solo l’essersi lasciato<br />

alle spalle la folla sudaticcia dei bar del Corso. Né bastava<br />

a spiegare l’improvviso benessere quel senso di liberazione<br />

- per quanto ambiguo e contraddittorio - che pure gli<br />

aveva lasciato la conclusione del caso di Adelina. Mentre<br />

camminava e sbirciava le vetrine cercandovi la sua immagine<br />

riflessa, Serra era propenso a credere che quell’inattesa<br />

euforia fosse dovuta allo spirito del cosmo, lo stesso<br />

che muove gli esseri e le cose e che, metafisicamente, era<br />

ora penetrato in lui. Ma lo spirito del cosmo come all’improvviso<br />

l’aveva invaso altrettanto improvvisamente -<br />

Serra ne era sicuro - l’avrebbe abbandonato.<br />

Quando entrò nel ristorante, Marianna gli venne incontro<br />

e lo baciò leggermente sulla bocca, accompagnando il<br />

bacio con una carezza. Sorrise quando lui si lasciò cadere<br />

su una sedia con l’aria di chi finalmente ha trovato un approdo.<br />

Oggi c’è il bollito, gli disse, che a lui piaceva tanto.<br />

– No, niente bollito. Solo una carbonara. Il mio regno<br />

per una carbonara.<br />

La carbonara gliela servì Ottavio, e solo quando era or-<br />

206<br />

mai alle ultime forchettate Marianna si sedette con lui al<br />

tavolo.<br />

– Puoi portarmi della frutta, per favore? – chiese a Ottavio<br />

che passava nei pressi. Poi, rivolta a Serra: – Giusto<br />

per farti compagnia.<br />

– Io veramente dovrei…<br />

– Ho capito: vai già via.<br />

– C’è Carruezzo che mi aspetta in studio. Ha detto che<br />

mi vuole parlare. Aveva un’aria minacciosa quando me<br />

l’ha detto.<br />

– Minaccioso Eupremio, ma dài…<br />

– Hai presente un vecchio tricheco che soffi e sbuffi in<br />

una pozza d’acqua. Non è che riesca proprio a farti paura.<br />

Ma lui, il tricheco, si vede minaccioso.<br />

Trovò Carruezzo nello studio, seduto alla solita poltrona.<br />

Aveva tra le mani dei fogli dattiloscritti, nei quali Serra<br />

riconobbe la famosa “inchiesta condominiale” del cavaliere.<br />

Pagine spiegazzate e sottolineature rivelavano come<br />

l’incartamento fosse stato oggetto di ulteriori insistiti<br />

esami e riletture.<br />

– Sta ancora covando quelle carte, cavaliere? Non serve<br />

a nulla, dia retta a me, – disse Serra sedendo alla sua scrivania.<br />

– Non mi risulta che il caso Amicucci sia stato risolto.<br />

O mi sbaglio?<br />

– La nostra cliente è stata prosciolta. Che il caso sia ancora<br />

insoluto riguarda solo la polizia.<br />

– Non riguarda solo la polizia, riguarda anche la giustizia.<br />

207


A Carruezzo tremava la voce. Mai il cavaliere era sembrato<br />

a Serra così vecchio.<br />

– Si ricorda, cavaliere, di come si conclusero le indagini<br />

sull’uccisione di quel gerarca, Musìo si chiamava…? Parlo<br />

di quasi vent’anni fa.<br />

– Certo che mi ricordo.<br />

– Si ricorda? Ero convinto di aver individuato l’assassino<br />

di Musìo e lei invece decise che le indagini dovevano<br />

fermarsi.<br />

– Ricordo, ricordo. Cosa vuol dire con questo?<br />

– Voglio dire che quella volta toccò a lei richiamarmi alla<br />

realtà. Chi ci aveva assegnato l’inchiesta imponeva che<br />

l’inchiesta non andasse avanti. E l’inchiesta non andò<br />

avanti.<br />

– Mi sbagliai, fui pavido.<br />

– Fece quello che doveva fare: fu realista e responsabile.<br />

– Lei non può capire, Serra. Non può capire cosa significa<br />

essere vecchi.<br />

– Se è per questo neppure io sono un giovanotto.<br />

– Tra noi vecchi e la morte c’è uno spazio così breve, capisce.<br />

E il realismo di cui lei parla, Serra, serve solo a chi<br />

di realtà ne ha davanti a sé in abbondanza, non a chi ne ha<br />

così poca. Forse è per questo che da vecchi si è più impazienti<br />

e si ha più voglia di sfidarla, la realtà, che non di accettarla.<br />

Un po’ come capita da giovani, con la differenza…<br />

beh, la differenza è che quell’inebriante senso di onnipotenza<br />

di allora… quello non c’è più, purtroppo.<br />

– Ma a che le serve ora intestardirsi a scovare l’assassino<br />

di quella carogna di Amicucci?<br />

– Lo sa anche lei, Serra, che sarebbe nostro dovere…<br />

208<br />

– Nostro dovere perché? Adelina Demontis è stata prosciolta.<br />

– Ma noi siamo stati poliziotti. In un certo modo continuiamo<br />

ad esserlo.<br />

– Quelli sono i preti, cavaliere. Noi eravamo poliziotti e<br />

ora non lo siamo più: questo è tutto.<br />

– Il fatto è che io ho bisogno di qualcosa a cui applicarmi,<br />

qualcosa… non rida Serra… per poter dire alla morte,<br />

dài aspetta un attimo, non vedi che sono impegnato in<br />

una faccenda seria, lasciami finire. E poi, lo prenda per il<br />

puntiglio di un vecchio, ma chi ha ucciso quell’Amicucci<br />

io lo voglio proprio sapere.<br />

Dopo quella conversazione, il cavaliere tornò a casa,<br />

aprì una finestra del salotto e sedette accanto ad essa.<br />

Scendevano le prime ombre della sera, ma in Piazza Verdi<br />

c’erano ancora bambini che si rincorrevano, forse di ritorno<br />

dallo zoo. Poi, mentre il crepuscolo si faceva man<br />

mano più scuro, si accesero i lampioni. Carruezzo, seduto<br />

accanto alla finestra, continuava a guardare di fuori<br />

come se qualcuno da lui conosciuto e atteso potesse essere<br />

tra i passanti, sempre più radi, che attraversavano veloci<br />

la piazza.<br />

– Vuole mangiare qualcosa, cavaliere? Credo di avere<br />

della frutta.<br />

– Lasci stare, Venturini. Io continuerei il nostro esame,<br />

se lei è d’accordo.<br />

Non era la prima volta che Carruezzo faceva visita a<br />

209


Venturini, ma era la prima volta che veniva familiarmente<br />

accolto in cucina. Avevano convenuto che il tavolo della<br />

cucina era senz’altro il più adatto a quella che il cavaliere<br />

aveva chiamato una “riunione di lavoro”.<br />

– Bene, eravamo arrivati a Manighetti, terzo piano…<br />

– Manighetti… Manighetti… la mia “inchiesta condominiale”<br />

dice che il suo alibi è “plausibile ma da verificare”.<br />

Le leggo cosa ho scritto: «Manighetti sostiene che la<br />

sera della morte di Amicucci era, tra la sei e le otto, nel<br />

bar Mokador di Piazza Tuscolo dove si reca ogni giovedì<br />

per partecipare alla riunione di quello che lo stesso Manighetti<br />

chiama il gruppo Sisal, un gruppo di amici che settimanalmente<br />

giocano una schedina collettiva, alla Sisal<br />

appunto.» Se non sbaglio, Venturini, era lei che doveva<br />

controllare l’alibi di Manighetti.<br />

– Sono stato al café Mokador e ho parlato con qualcuno<br />

del gruppo di Manighetti. È un gruppo formato da<br />

circa venti persone e Manighetti, se c’era quella sera alla<br />

riunione del gruppo, non ha fatto o detto nulla che qualcuno<br />

ricordasse. Tutti quelli con cui ho parlato dicono di<br />

primo acchito che Manighetti c’era, ma poi quando gli si<br />

chiede di ricordare qualcosa che ha detto, oppure com’era<br />

vestito... nulla di nulla. Senta invece cosa ho saputo su<br />

Romanò.<br />

– Romanò… Romanò?<br />

– Il musicista nottambulo, ha presente… l’interno 7,<br />

anche lui prendeva soldi a strozzo da Amicucci.<br />

– Sì, certo… non mi pare però che l’avessimo inserito<br />

nella lista dei sospetti.<br />

– Ho preso io l’iniziativa, mi sembrava valesse la pena<br />

di controllare il suo alibi… forse, non dovevo.<br />

210<br />

– Ma no Venturini, ha fatto benissimo. Diceva, di Romanò?<br />

– Sono stato nel locale dove suona. Secondo quanto ha<br />

dichiarato, quella sera è arrivato nel locale alle diciotto e<br />

trenta, molto prima del solito.<br />

– Come mai quest’anticipo?<br />

– Doveva provare un pezzo col contrabbassista.<br />

– Che strumento suona Romanò?<br />

– La tromba.<br />

– E che tipo di musica suona?<br />

– Jazz. Il locale si chiama proprio Jazz Club. Locale…<br />

più che altro una cantina, dalle parti di via Merulana. Sono<br />

stato in questo locale e ho trovato il contrabbassista<br />

col quale Romanò dice di aver provato quella sera…<br />

– Ebbene?<br />

– Il contrabbassista conferma. Ha tirato fuori un libriccino,<br />

una specie di diario dove segna tutto…<br />

Di colpo Venturini s’interruppe, si alzò e prese a indicare<br />

a grandi gesti la parete di fronte a lui, in alto, in direzione<br />

della grata. Respirava forte, quasi ansimava.<br />

– Il ticchettio… le scarpe, – disse. – Le scarpe <strong>rosse</strong>… –<br />

ripeté.<br />

Poi uscì dalla stanza e immediatamente dopo si sentì<br />

sbattere la porta di casa.<br />

Carruezzo impiegò qualche secondo a decidere se dovesse<br />

o meno andar dietro a Venturini. Poi attraversò il<br />

pianerottolo, scese quasi di corsa le due rampe di scale<br />

che portavano al piano terra, passò di fronte alla portineria.<br />

Fuori dal palazzo vide Venturini che a grandi passi<br />

cercava di raggiungere una donna con indosso delle vistose<br />

scarpe <strong>rosse</strong>.<br />

211


Sentì lo stesso Venturini che, ormai a pochi metri da lei,<br />

la chiamava: – Signora Ribolliti, signora Ribolliti!<br />

La donna si voltò: – Venturini, che fa, mi segue?<br />

– Le scarpe, le scarpe <strong>rosse</strong>, – disse l’uomo.<br />

– Questa corsa per dirmi che le piacciono le mie scarpe<br />

<strong>rosse</strong>? Non la facevo così galante, Venturini.<br />

Poi la donna si voltò di nuovo e riprese a camminare<br />

lungo la via Vetulonia deserta, lasciando Venturini a<br />

guardarla mentre scompariva dietro l’angolo.<br />

212<br />

30<br />

Il porco, il maiale aveva fatto la fine che meritava. Era<br />

stato semplice ucciderlo, non pensava che fosse così facile<br />

uccidere. Bastava lasciar fare al caso, alle circostanze. Bastava<br />

improvvisare. Era stato il caso a fargli lasciare socchiusa<br />

la porta dell’appartamento di Amicucci e il caso aveva<br />

voluto che quasi subito arrivasse quella donna. Le indagini,<br />

dopo, si erano concentrate su di lei.<br />

Perché quella sera era sceso da Amicucci? Per chiedergli<br />

altri soldi? Per dirgli che sapeva tutto di lui e sua moglie?<br />

Per rivendicare con orgoglio che lui Amicucci, lui il porco,<br />

era solo uno strumento del piacere suo e di sua moglie. O<br />

magari perché in cuor suo voleva che Amicucci lo umiliasse?<br />

Aveva goduto a vedergli fare quella fine: la testa spaccata,<br />

il cervello in poltiglia. Come aveva goduto ai preparativi di<br />

lei prima di ogni incontro con lui. La biancheria trasparente,<br />

lei di fronte alla specchiera, in camera da letto, la porta<br />

socchiusa, sicura che lui sarebbe stato lì di fuori a spiarla. E<br />

poi le scarpe <strong>rosse</strong> coi <strong>tacchi</strong> alti, qualcosa che il porco di<br />

certo godeva a farle indossare - quante volte l’aveva immaginata<br />

farsi scopare con quelle scarpe <strong>rosse</strong> ai piedi. Erano<br />

un segnale le scarpe, un segnale per lui, come a dirgli, ora<br />

sai dove sto per andare, che cosa sto per fare, se vuoi pensa-<br />

213


mi, io penserò che tu mi stai pensando. E il bacio, prima di<br />

uscire dalla porta, più che un bacio un morso appena accennato<br />

sul labbro. A letto, la sera, lei si lasciava addosso la<br />

stessa biancheria con cui il porco l’aveva goduta: ancora un<br />

segnale, le sole notti in cui lei si facesse toccare.<br />

Anche a sua moglie avrebbe dovuto far fare la stessa fine<br />

del porco. Però, come vivere senza di lei?<br />

Tutto era iniziato un anno prima quando avevano avuto<br />

bisogno di soldi e si erano rivolti a lui, al porco. A ripensarci<br />

bene, c’era sempre stato qualcosa in sua moglie… il suo<br />

modo sfacciato di ballare con gli altri. Le sue scene di gelosia<br />

e le reazioni di lei, quel sorriso complice, il bacio a suggellare<br />

la fine del litigio: proprio allora aveva iniziato a baciarlo<br />

in quella maniera, il piccolo morso sul labbro.<br />

Era venuto a casa loro, il porco.<br />

State tranquilli, una faccenda fra amici, non per nulla viviamo<br />

da anni nello stesso palazzo, restituirete a rate come<br />

e quando potete, ora non parliamo più di soldi però: proprio<br />

in quel momento le aveva posato una mano sul ginocchio<br />

(gli era seduta accanto, nel divano), un gesto ad accompagnare<br />

le parole, ma poi la mano si era fermata sul ginocchio<br />

quel tanto che bastava perché dentro di sé lei sentisse<br />

una fiamma, un calore, un desiderio quasi feroce che<br />

quella mano continuasse a carezzarla.<br />

Non era successo nulla quella sera, nulla che non fosse il<br />

soffermarsi della mano del porco sul ginocchio di lei. Poi<br />

l’indomani lei era uscita dicendo: – Ho bisogno di un paio<br />

di scarpe. – Era tornata dopo qualche ora e gli aveva mostrato<br />

quelle scarpe <strong>rosse</strong>, le aveva provate di fronte a lui: –<br />

Ti piacciono?<br />

Poi, mentre facevano l’amore - era la prima volta dopo<br />

214<br />

mesi - lei gli aveva raccontato tutto, continuava a muoversi<br />

su di lui, il busto eretto, le mani dietro la nuca, gli aveva<br />

raccontato a voce bassa, quasi sussurrando, gli aveva raccontato<br />

come lui, il porco, l’avesse presa e come lei si fosse<br />

fatta prendere, e tanto più lei andava avanti nel racconto<br />

tanto più lui si eccitava, e lei continuava a muoversi, il busto<br />

eretto, le mani dietro la nuca: non era mai stato così tra<br />

loro. Poi non c’era stato più bisogno di parole, bastava che<br />

lei indossasse quelle scarpe <strong>rosse</strong>, uscisse di casa, sentiva il<br />

ticchettio delle scarpe <strong>rosse</strong> lungo le scale, contava i piani,<br />

ecco ora si ferma, entra da lui, il rumore della porta di casa<br />

che si chiude, un tuffo al cuore. Sapeva che sarebbe tornata,<br />

e lei ogni volta tornava. Sapeva anche che l’avrebbe ucciso e<br />

pensava che anche lei avrebbe dovuto uccidere, anzi proprio<br />

lei avrebbe dovuto uccidere, era lei che gli marchiava<br />

la carne mischiando vergogna e piacere, era lei che gli aveva<br />

mostrato come vergogna e piacere usino le stesse parole.<br />

Ma poi era il porco che aveva ucciso.<br />

215


31<br />

In portineria gli indicarono dove avrebbe potuto trovare<br />

Piccioni ma gli dissero anche di non sapere se fosse<br />

al momento al giornale. Fecero anche considerazioni<br />

ironiche sulla imprevedibilità dei suoi spostamenti e<br />

non esclusero la possibilità che avesse trovato rifugio da<br />

un certo vinaio di via dei Sanniti. Serra decise di entrare<br />

a cercarlo in redazione, dato che proprio al giornale gli<br />

aveva dato appuntamento per quelle sei del pomeriggio.<br />

Percorse un lungo corridoio, si affacciò in una stanza,<br />

dove lo spedirono in un’altra e di qui in una terza. Piccioni<br />

era al telefono. A grandi gesti, senza interrompere<br />

la telefonata, indicò a Serra la sedia di fronte alla sua<br />

scrivania.<br />

– Cara compagna, il giornale ha dedicato al vostro festival<br />

dell’Unità lo spazio che poteva dedicargli… Sì compagna,<br />

lo so bene che il festival di Marino… No, compagna,<br />

no, questo non lo puoi dire… Sì compagna, fai così,<br />

parla col compagno direttore… Scusa compagna ma ora<br />

ti devo lasciare.<br />

Piccioni posò la cornetta. – Scusami, – disse a Serra.<br />

Poi, rivolto all’uomo seduto alla scrivania a fianco alla<br />

sua: – Mecacci, tu mi devi difendere da questa emerita<br />

rompicoglioni. Perché me l’hai passata?<br />

217


– Quella rompicoglioni è, per tua norma, la segretaria di<br />

una sezione del partito che è la più forte dei Castelli.<br />

– Sì certo. Ma noi dobbiamo fare un giornale e un giornale<br />

si fa con le notizie. Se gli imperialisti americani bombardano<br />

Il Cairo, questa è una notizia. Se il gobbo del<br />

Quarticciolo s’incula la cognata e poi la uccide perché<br />

parla troppo, questa è un’altra notizia. È una notizia se la<br />

Roma vende Ghiggia o se la Lazio compra Pivatelli. Ma<br />

che al Festival dell’Unità di Marino si esibisca il complesso<br />

vocale-strumentale I ragazzi della via Pál, questa a te<br />

pare una notizia?<br />

– Lo è per le decine di compagni che sacrificano ogni anno<br />

le loro ferie all’organizzazione dei festival dell’Unità.<br />

– Ho capito, Mecacci, – disse Piccioni, in tono spazientito.<br />

– Se è così, allora, il giornale te lo fai da solo, magari ti<br />

fai aiutare dalla compagna rompicoglioni e da I ragazzi<br />

della via Pál, che quelli… – Interruppe bruscamente la<br />

frase e, rivolgendosi di nuovo a Serra: – Dài Luciano andiamo,<br />

che Paolini ci aspetta.<br />

Quando nel corridoio furono fuori dalla vista di Mecacci,<br />

Piccioni fece cenno a Serra di fermarsi. – Le cose stanno<br />

così, Luciano, – disse. – Ho chiesto a Paolini, il capocronista,<br />

di poter scrivere su Nuraxi Nieddu e sulla morte<br />

di Cantillo, su tutto il caso, insomma…<br />

– E io che ci faccio dal tuo capocronista?<br />

– Ti vuol conoscere. Gli ho detto che eri la mia fonte riservata,<br />

che hai svolto un’inchiesta sul caso. L’Unità è un<br />

giornale prudente, sai, il comunismo è prudente. E il nostro<br />

capocronista è particolarmente prudente. Così l’ho<br />

rassicurato e che hai solide carte in mano e che me le metterai<br />

a disposizione queste carte…<br />

218<br />

– Ma quali carte, Efisio…<br />

– Non ti ci mettere anche tu ora. Digli quello che vuoi.<br />

Digli la verità. Quello che sai su Cantillo. Su Cantillo e<br />

Zanda. E che anche tu sei dell’idea che Cantillo non è<br />

morto suicida.<br />

Il capocronista era un emiliano ben piantato, dal naso<br />

carnoso e i capelli a spazzola, in maniche di camicia e sulla<br />

camicia delle larghe bretelle <strong>rosse</strong>. Accolse Serra con<br />

aria gioviale.<br />

– Abbiamo seguito la sua difesa di quella domestica<br />

sarda, – disse Paolini. – I miei complimenti: ho visto che<br />

qualche giorno fa è stata prosciolta.<br />

– Una circostanza fortunata, – si schermì Serra.<br />

– Qualcosa di più di una circostanza fortunata, sono sicuro.<br />

Dice Piccioni che ha raccolto preziose notizie su<br />

tutta la faccenda… la faccenda Nuraxi Nieddu-Zanda,<br />

voglio dire.<br />

– È stato necessario. Dovevamo mostrare alla polizia e<br />

al magistrato inquirente che esistevano altre piste oltre a<br />

quella che portava ad Adelina Demontis.<br />

– Anche L’Unità ha seguito il caso, l’avrà visto. Non da<br />

vicino come sarebbe stato necessario, forse. D’altra parte<br />

il nostro è un quotidiano particolare, che obbedisce a logiche<br />

particolari.<br />

– L’Unità, quotidiano comunista fondato da Antonio<br />

Gramsci, c’è scritto in prima pagina, – intervenne Piccioni.<br />

– Non è che lo teniamo nascosto chi siamo.<br />

– Il nostro è un quotidiano politico ed è abbastanza ovvio<br />

che risponda a logiche politiche. Il caso Montesi ci<br />

avrà pure insegnato qualcosa. A non cadere nei trabocchetti,<br />

se non altro, e a sottrarci alle strumentalizzazioni.<br />

219


La cronaca che il nostro giornale presenta ai lettori deve<br />

essere tersa, limpida, lontana da ogni possibile strumentalizzazione.<br />

Rughe e grinze del volto di Piccioni erano ora atteggiate<br />

ad una specie di sorriso, sghembo e ammiccante. – Sì,<br />

chiara come l’acqua di fonte, – disse. – Peccato che la<br />

realtà sia spesso torbida, caro compagno capocronista, e<br />

anche la cronaca del nostro giornale dovrebbe adattarsi<br />

ad essere torbida, qualche volta.<br />

– Sa, avvocato, perché un giornalista del talento del<br />

compagno Piccioni decide ogni giorno di continuare a lavorare<br />

a L’Unità, dove guadagna un terzo di quello che<br />

guadagnerebbe in un qualsiasi giornale cosiddetto indipendente?<br />

– Conoscendo Efisio credo di intuirlo. Suppongo che<br />

le sue scelte professionali siano strettamente legate alle<br />

sue convinzioni.<br />

– Sì certo. C’è qualcosa di più, però. Il compagno Piccioni<br />

quelle stesse cose di cui ogni giorno si lamenta in<br />

fondo le apprezza, nell’Unità: il fatto che obbedisca a una<br />

logica politica, la retorica classista, il moralismo, la paga<br />

sotto i minimi sindacali, perfino. Le apprezza perché se<br />

ne sente protetto. Protetto da che? Semplice: dal finire<br />

come finirebbe se passasse al Corriere o alla Stampa, a<br />

prendere quattro volte lo stipendio che prende all’Unità.<br />

Il compagno Piccioni sa bene come anche al Corriere e alla<br />

Stampa non sempre gli farebbero raccontare le storie<br />

che vuol raccontare come le vuole raccontare: esattamente<br />

la stessa cosa che gli succede da noi. Tanto vale, allora,<br />

stare dalla parte della classe operaia, dalla parte giusta<br />

cioè. Così pensa il compagno Piccioni. O sbaglio?<br />

220<br />

– A vederlo così con le sue bretelle emiliane, tu non gli<br />

daresti un centesimo al nostro capocronista. Eppure è<br />

una testa fina. Bisogna che ti porti via, Luciano. Questo<br />

è capace di farti diventare comunista in quattro e quattr’otto,<br />

tu che sei un saragattiano ortodosso…<br />

– Io, veramente… – cercò di protestare Serra.<br />

– Beh, comunque noi andiamo. Lasciamo Paolini a raccontare<br />

la cronaca di Frascati e Tor Pignattara dal punto<br />

di vista della classe operaia, che non è cosa facile.<br />

Paolini si era alzato e li accompagnava alla porta.<br />

– Apprezziamo la sua collaborazione, avvocato, – disse<br />

a Serra, mentre gli stringeva la mano. – E comunque, è<br />

stato un piacere conoscerla.<br />

– Beh, che impressione ti ha fatto il mio capocronista?<br />

– chiese Piccioni a Serra quando furono fuori dal giornale.<br />

– Non mi è sembrato del tutto convinto su questi tuoi<br />

articoli a proposito di Nuraxi Nieddu.<br />

– Vedrai che alla fine il Paolini si convince. Sotto quelle<br />

bretelle <strong>rosse</strong>, batte un cuore da giornalista. Sono io<br />

piuttosto che non so bene mettere insieme i pezzi di tutta<br />

la faccenda. Ho avuto tra le mani le carte della commissione<br />

d’inchiesta su Nuraxi Nieddu…<br />

– Come ci sei riuscito?<br />

– Ho le mie entrature a Palazzo… fatto sta che mi sono<br />

fatto l’idea che da quell’inchiesta non è uscito nulla di clamoroso,<br />

non c’è il documento inoppugnabile che Cantillo<br />

cercava, quello che poteva inchiodare Zanda. Forse<br />

Zanda non sapeva nulla di particolare sull’incidente e si è<br />

221


limitato a far sì che il nome della Monterroyo venisse fuori<br />

il meno possibile.<br />

– Come la spieghi la fine di Cantillo?<br />

– Chi ha ammazzato Cantillo, vuoi dire?<br />

– Appunto.<br />

– Lo ha ammazzato chi aveva interesse a farlo e insieme<br />

ne aveva la possibilità. Ammazzato o fatto ammazzare.<br />

Serra sorrise ironico: – Geniale! Deduzione geniale.<br />

Ho paura però che non ci faccia fare molti passi avanti.<br />

– Eppure… ragiona un po’: se ipotizziamo che Zanda<br />

non avesse nulla di particolare da nascondere a Cantillo,<br />

allora chi altro poteva sentirsi danneggiato da sue eventuali<br />

rivelazioni sull’incidente di Nuraxi Nieddu?<br />

– La Monterroyo, direi.<br />

– Così ho pensato anch’io. Ti ricordi che il tecnico di<br />

Nuraxi Nieddu, quel Balzarani, ci ha parlato di un direttore<br />

per l’Italia della Monterroyo? Ebbene, ho raccolto<br />

qualche notizia su questo direttore. È un americano, un<br />

avvocato, e si chiama Antony Picciotto.<br />

– Picciotto, non ci credo, dimmi che questo nome te lo<br />

sei inventato.<br />

– Il direttore della Monterroyo si chiama proprio Antony<br />

Picciotto, e… non metterti a ridere… risulta sia stato<br />

legato alla mafia italo-americana. Si è anche interessata<br />

di lui una commissione d’inchiesta del Senato americano.<br />

Poi è sembrato prendere un’altra strada, anche se si dice<br />

che la mafia stia investendo in attività legali, e tra queste<br />

attività legali ci sarebbe anche la Monterroyo.<br />

– Antony Picciotto, hai detto?<br />

– Proprio così: Picciotto, Antony Picciotto.<br />

222<br />

32<br />

La fotografia di Cantillo la teneva in valigia, fissata alla<br />

parete interna in modo che fosse facile averla sotto gli occhi.<br />

Sentiva il bisogno di entrare in familiarità con la persona da<br />

liquidare e una delle maniere era studiarne l’aspetto. La fotografia<br />

ritraeva Cantillo in piedi accanto a un’automobile,<br />

un’Aurelia. Un piccoletto che arrivava a malapena al tetto<br />

dell’auto, e un piccoletto poco contento di esserlo, a giudicare<br />

dalle scarpe col tacco, visibilissime anche in fotografia. A<br />

restituire un’immagine diversa c’era il suo sorriso vagamente<br />

ironico, da piglianculo pensò il killer. Che fai Cantillo,<br />

mi guardi? Guarda pure: per te non ho segreti. La maniera<br />

di eliminarlo, non l’aveva ancora decisa. Non era raro<br />

che il principale dall’altro capo del telefono indicasse un<br />

certo modus operandi, che chiedesse ad esempio di far apparire<br />

la cosa come un incidente. Non in questo caso, però,<br />

anche se il killer preferiva che i suoi interventi non fossero<br />

comunque rubricati come omicidi. Incidenti, suicidi, colpi<br />

al cuore, ma non omicidi. Non che temesse eventuali indagini<br />

della Polizia - si sentiva del tutto inafferrabile - ma il<br />

fatto di evitare che un omicidio occupasse le pagine dei giornali<br />

costituiva il suo personale contributo all’idea, che nonostante<br />

tutto coltivava, di un mondo ordinato.<br />

223


Era un Killer professionista e conduceva una vita ritirata,<br />

un po’ perché lo imponeva il suo mestiere ma anche per il<br />

gusto di rimanere nell’ombra. L’ attività l’aveva cominciata<br />

circa dieci anni prima. A proporgli il primo incarico era stato<br />

il comandante del suo reparto in Russia che, a guerra finita,<br />

aveva incontrato per caso alla Stazione Centrale, a<br />

Milano. Non se la passava bene a quei tempi e l’invito a<br />

pranzo da parte del suo ex ufficiale dovette avere a che fare<br />

con quell’aria smunta. Ricordarono i mesi terribili della ritirata,<br />

fatti prigionieri dai russi, la fuga dal campo dopo che<br />

lui, il soldato, a mani nude, aveva strangolato una dietro<br />

l’altra tre sentinelle. Lo colpì la naturalezza con cui, a fine<br />

pranzo, il suo ex ufficiale gli presentò la faccenda. Sapeva<br />

quanto erano duri i tempi ma sapeva anche che chi aveva<br />

coglioni trovava sempre modo di cavarsela. E disse che era<br />

una vera fortuna, per i suoi progetti, che si fossero incontrati:<br />

per la missione gli era capitato spesso di pensare a lui, al<br />

suo soldato. Parlò di una missione delicata, ma senza particolari<br />

difficoltà, “niente a che vedere con quello che sei stato<br />

capace di fare quella volta”. Il killer ascoltò con attenzione,<br />

senza fare commenti, e trovò naturale alla fine accettare<br />

la proposta.<br />

Gli incarichi successivi giunsero per telefono, da una voce,<br />

sempre la stessa. Non sapeva (né, d’altra parte, si chiedeva)<br />

che relazione vi fosse tra il primo committente e la<br />

voce che il killer, tra sé e sé, chiamava il principale. Era un<br />

meccanismo perfetto quello attraverso cui gli giungeva<br />

l’incarico (prima la telefonata, e poi il plico con l’anticipo<br />

e i materiali utili alla missione). A missione compiuta, il<br />

saldo.<br />

In circa dieci anni di attività, non erano molte le volte<br />

224<br />

che il killer aveva lavorato a Roma, ma ultimamente c’era<br />

tornato spesso e la città gli era diventata più familiare. Conosceva<br />

bene la zona attorno alla stazione Termini, dove<br />

sempre finiva per scegliersi l’albergo. Questa volta stava all’Alloggio<br />

Palermo, all’angolo tra via Gaeta e via Volturno.<br />

Era una parte di Roma dove circolava molta gente di passaggio<br />

e dove le strade, la sera, si riempivano di soldatini in<br />

libera uscita, provenienti non solo dalle caserme del Macao,<br />

che stavano nei pressi, ma anche dalla Batteria Nomentana<br />

e perfino dalla Cecchignola. A caccia dei soldatini<br />

in libera uscita, poi, sciamavano per quelle strade puttane<br />

di diversa età, taglia, provenienza, tariffa.<br />

Proprio in via Gaeta, la sera prima, aveva individuato tra<br />

le tante una puttana di suo gusto - non era facile di gusti il<br />

killer - finendo poi per rimorchiarla. Avevano fatto l’amore<br />

in camera di lui, e poi la puttana gli aveva chiesto da fumare,<br />

sembrava non aver fretta.<br />

– Come ti chiami? – aveva chiesto il killer.<br />

L’uomo si era completamente rivestito, mentre la puttana<br />

indossava l’esigua sottoveste color carne che si era tenuta<br />

mentre facevano l’amore. Tutti e due erano sdraiati sul<br />

letto, separati e distanti, ognuno dalla sua parte, sembrava<br />

lontanissimo il momento in cui i loro corpi si era congiunti,<br />

e tutti e due fumavano.<br />

– Filomena. E tu?<br />

– Mario, – aveva mentito il Killer. Poi dopo una breve<br />

pausa: – Dimmi di te, Filomena.<br />

– Non c’è molto da dire… prima stavo sull’Appia antica,<br />

è solo da un mese che sono in questa zona.<br />

– Perché hai lasciato l’Appia?<br />

– Intorno a Termini c’è più movimento. Se una vuole, si<br />

225


lavora anche la mattina… e poi i miei vecchi clienti mi vengono<br />

a cercare anche qui.<br />

La donna disse queste ultime parole dandogli le spalle,<br />

mentre spegneva la sigaretta sul portacenere nel comodino<br />

a fianco al letto. Il movimento le sollevò la sottoveste, lasciando<br />

apparire per intero le cosce e il killer si chiese se<br />

non si trattasse di un gesto studiato per riaccendere il desiderio<br />

di lui. Gli giunse perciò inaspettato il fatto che la puttana<br />

si alzasse dal letto e cominciasse a rivestirsi. Solo ora,<br />

osservandola, il Killer si accorse quanto somigliava alla sua<br />

fidanzata d’un tempo, una somiglianza a cui non aveva<br />

pensato mentre lei si spogliava e tanto meno ci aveva pensato<br />

prima, vedendola passeggiare in via Gaeta, quando si<br />

era solo chiesto quanto risultasse di suo gusto.<br />

La puttana, ora completamente rivestita, fece scivolare<br />

nella borsetta le banconote che lui, prima che lei si spogliasse,<br />

aveva posato sul comodino. Dentro la borsetta, il<br />

killer scorse un giornale, un fotoromanzo, dalla copertina<br />

gli sembrò Bolero Film, anche lui qualche volta lo leggeva.<br />

– Leggi i fotoromanzi?<br />

– Guardo le figure… sai, mentre aspetto i clienti.<br />

– Dove andrai ora? – chiese poi il killer.<br />

– Dove vuoi che vada, per strada, a battere, – rispose lei.<br />

Poi, quand’era già sulla porta: – Ciao tesoro, sai dove trovarmi.<br />

Quella notte il killer fece sogni inquieti in cui gli apparve<br />

Cantillo nelle vesti di un gigante. Il gigante lo teneva<br />

schiacciato a terra, poggiandogli il ginocchio sul petto. Pronunciando<br />

una certa parola sarebbe stato liberato, ma que-<br />

226<br />

sta parola il killer l’aveva scordata. Non lo consolò, svegliandosi,<br />

il dissolversi di quell’incubo. Pensò invece che<br />

come sempre era solo nel suo letto, e che avrebbe fatto meglio<br />

a pagare quella puttana malinconica perché passasse la<br />

notte con lui.<br />

Cinque giorni di seguito l’aveva pedinato, per scoprire<br />

che le sue giornate erano un continuo agitarsi senza senso.<br />

Una vera e propria fissa per i tassì, e quell’aria trafelata da<br />

nanetto furbo, da una parte all’altra, sempre la cartelletta<br />

sottobraccio, su e giù per le scale dei ministeri, negli anditi<br />

dei palazzi pubblici, in attesa nelle anticamere. Che fai<br />

Cantillo, lecchi il culo, sei sempre là che aspetti Cantillo,<br />

dài mance agli uscieri, solo questo sai fare Cantillo?<br />

Ancora una sigaretta, l’ultima del pacchetto, e poi, ne era<br />

certo, Cantillo sarebbe uscito. Era entrato in quel palazzo,<br />

intorno alle otto di sera, a fianco di una donna. Dài Cantillo,<br />

fallo per me, un’ultima scopata ed esci, l’ora è quella<br />

giusta, non c’è un’anima sul Lungotevere, non ci stai più<br />

a fare nulla da lei.<br />

Erano le tre e mezzo di notte quando Cantillo uscì dal palazzo,<br />

nel Lungotevere buio e deserto. Cantillo camminava,<br />

e il killer gli stava dietro. Cantillo accennò a correre, il<br />

killer allungò il passo. Per un istante sembrò che Cantillo<br />

volesse fermarsi, si voltò e guardò l’uomo ormai a pochi<br />

metri da lui, poi riprese a correre più forte. Ora anche il killer<br />

correva, senza altri pensieri che non fossero pensieri di<br />

caccia. Poi Cantillo si fermò, si girò verso il killer, e allargò<br />

227


le braccia, un gesto che al killer parve di rassegnazione. La<br />

cartella, che aveva tenuta stretta al petto mentre correva,<br />

era ora a terra. Passò del tempo, con i due l’uno di fronte all’altro.<br />

Poi il killer abbracciò Cantillo. Strinse, forte, sempre<br />

più forte, sino a quando non sentì il corpo di Cantillo<br />

farsi vuoto.<br />

Lo portò giù per le scalette, trascinandolo per i piedi. Poi<br />

lo poggiò lungo disteso sulla banchina, parallelo al fiume<br />

che scorreva lustro e gonfio nel buio della notte. Il corpo<br />

ruppe la superficie dell’acqua con un tonfo. Il killer ebbe<br />

modo di vederne per un attimo il viso, e Cantillo fu inghiottito<br />

da un vortice.<br />

228<br />

33<br />

«Avvocato Luciano Serra» era scritto sulla busta. E poi<br />

l’indirizzo.<br />

«Avvocato Serra,<br />

quando leggerà questa lettera io sarò già morto. Ho organizzato<br />

le cose in modo tale che solo se sarò morto la<br />

lettera verrà effettivamente spedita. Insomma, riceverà<br />

questa lettera post factum, per così dire, dopo che il gigante<br />

che da giorni mi segue mi avrà sparato, stritolato,<br />

affogato, o chissà cos’altro. Non sarà l’unico, avvocato, a<br />

ricevere questa mia missiva dall’Oltretomba, ma se l’impressione<br />

che ho avuto di lei è giusta sarà il solo che, forse,<br />

la prenderà sul serio. C’è un uomo, una specie di gigante,<br />

che mi segue da giorni e che mi vuole uccidere. Lei<br />

conosce bene la natura della mia attività, e capisce come<br />

essa comporti dei rischi: quello più grosso è che chi è soggetto<br />

alle mie attenzioni pensi di risolvere la cosa sopprimendomi.<br />

Lei capisce che in circostanze del genere non è<br />

il caso che mi presenti alla Polizia. Mi immagina presentarmi<br />

in questura? “Sono un ricattatore e il ricattato mi<br />

ha messo alle calcagna un killer.”<br />

Mi sono allargato, questo è stato il mio errore. Quando<br />

ho capito che non era Zanda il maggiore interessato al silenzio<br />

su Nuraxi Nieddu ma la società Monterroyo, pro-<br />

229


prietaria della miniera, allora ho cambiato obiettivo. Ho<br />

lasciato Zanda a quel miserabile di Amicucci e mi sono<br />

messo alle calcagna della Monterroyo. La Monterroyo, in<br />

Italia, è mister Antony Picciotto, che ho avuto la pessima<br />

idea di andare a trovare nel suo bell’ufficio di Via Veneto.<br />

A mister Picciotto ho detto di sapere molte cose su quel<br />

malaugurato incidente minerario e che non divulgare<br />

queste informazioni aveva ovviamente un prezzo. La<br />

chiami premonizione, lo chiami intuito, ma solo dal modo<br />

in cui Mister Picciotto mi ha guardato ho capito che avevo<br />

fatto la mossa sbagliata. E che meglio avrei fatto a limitarmi<br />

alle cosette di sempre, ai miei onorevolucci e alle loro<br />

modeste porcheriole.<br />

In certi momenti, riesco ancora a illudermi che quel gigante<br />

me l’abbiano messo appresso solo per spaventarmi.<br />

In qualche momento spero ancora che sia così. Forse<br />

prenderò due cazzotti in qualche angolo buio e tutto finirà<br />

lì. Io ho paura, però. Se solo sapessero quanta paura<br />

ho, forse mi lascerebbero stare.<br />

Lei si chiederà il perché di questa lettera da dopo morto,<br />

che senso ha, visto come sono andate le cose. È difficile<br />

da spiegare quello che prova uno che sta per morire.<br />

Ecco: io a modo mio sono stato un giornalista. Non voglio<br />

dire che ho servito la verità. Ma le mie inchieste le ho<br />

fatte. Insomma, mi piacerebbe che la mia ultima inchiesta<br />

uscisse in un modo diverso dalle altre, come una vera<br />

inchiesta giornalistica. Lo consideri il mio testamento, il<br />

mio modo di dire che sono esistito e, non rida, un modo<br />

per rendermi immortale. Le accludo il pezzo.<br />

Suo, Michele Cantillo»<br />

230<br />

– Si accomodi avvocato Serra, sieda qui, staremo più<br />

comodi.<br />

Picciotto aveva lasciato la scrivania e gli era venuto incontro,<br />

l’abito di lino bianco a mettere in risalto l’abbronzatura<br />

perfetta e la camicia celeste intonata ai capelli<br />

grigio argento. Gli occhiali da vista, dalla montatura pesante,<br />

aggiungevano all’insieme un tocco di severità che<br />

allontanava la prima impressione di un Cary Grant invecchiato<br />

ma si adattava meglio all’arredo dello studio, ottanta<br />

metri quadri interrotti solamente dalla scrivania in<br />

cristallo e da una coppia di poltrone in pelle chiara. Nella<br />

parete dietro la scrivania, Serra riconobbe un quadro di<br />

Fontana.<br />

– Dunque anche lei ha ricevuto la missiva dal pazzo?<br />

Pazzo e ricattatore.<br />

Nelle intenzioni di Serra, l’inizio doveva essere un altro.<br />

Era lui che avrebbe dovuto prenderlo di sorpresa e<br />

invece Picciotto aveva sorpreso lui.<br />

– Proprio così, avvocato, lei non è il solo ad aver ricevuto<br />

la lettera. Né è stato il solo a volercene informare.<br />

– Io a dire il vero…<br />

– La polizia è avvertita, naturalmente. Anche se la lettera,<br />

a sentire il commissario Mastellone, non cambia il<br />

quadro.<br />

– In quello che Cantillo scrive c’è un’accusa precisa<br />

contro la Monterroyo…<br />

– Vedo che anche lei si è incuriosito a questa intricata<br />

faccenda. Magari si tratta di curiosità gratuite, ora che lei<br />

ha avuto quello che voleva, il proscioglimento della sua<br />

cliente… comunque sia, sono in grado di soddisfare le<br />

sue curiosità, se mi sta a sentire.<br />

231


Il silenzio di Serra fu interpretato come un invito a continuare.<br />

– Tenga presente che la Monterroyo è un gruppo internazionale.<br />

Abbiamo impianti in ogni angolo della terra e<br />

interessi che vanno dall’oro al petrolio. Non vorrei sminuire<br />

la Monterroyo italiana, e con la Monterroyo italiana<br />

me stesso che la dirigo… siamo insomma solo una parte,<br />

una parte abbastanza periferica, del tutto. Una cosa Cantillo<br />

aveva intuito: che l’incidente di Nuraxi Nieddu, se ci<br />

provocava qualche imbarazzo, lo provocava su un piano<br />

internazionale. È un momento delicato, Suez ha cambiato<br />

molte cose: stiamo chiudendo accordi con paesi di nuova<br />

indipendenza che non affiderebbero le loro risorse minerarie<br />

a società che avessero fama di essere troppo disinvolte<br />

sui problemi della sicurezza, se poi una società li<br />

provoca gli incidenti minerari… Quello che Cantillo non<br />

aveva capito, invece, è che nessuna delle sue presunte<br />

informazioni riservate era per noi di qualche interesse.<br />

L’inchiesta interna sull’incidente non ci ha lasciato dubbi.<br />

Si è trattato solo di una fatalità, un’imprevedibile fatalità.<br />

Il resto, la commissione governativa, le interrogazioni<br />

parlamentari, le polemiche sui giornali, fanno parte di<br />

quel vero e proprio spettacolo di varietà che è ormai la politica<br />

italiana. Uno spettacolo di varietà che ha però un risvolto<br />

drammatico. Non le nascondo che siamo in ansia<br />

per il futuro politico dell’Italia. In ansia per il modo in cui<br />

il partito di governo sta affrontando i comunisti. Quasi<br />

sottovalutasse l’entità del pericolo. La Monterroyo ha dato<br />

il suo contributo alla guerra contro il comunismo, naturalmente.<br />

Ora però siamo preoccupati dalla forza crescente<br />

dei comunisti italiani, preoccupati al punto che<br />

232<br />

prevediamo, nei prossimi cinque anni, di mollare le miniere<br />

italiane. Le miniere, d’altra parte, sono roba da paesi<br />

poveri e l’Italia ormai povera non lo è più…<br />

– È questa la cosa che non ho capito. Se pensavate di<br />

chiuderla, Nuraxi Nieddu, perché il direttore della miniera,<br />

pur sapendo di tracce di grisou…<br />

– Questo è quello che dice lei, avvocato… ma se anche<br />

fosse, ammettiamo per un momento che il direttore di<br />

Nuraxi Nieddu sia un cretino, e pensi che l’obiettivo di<br />

una miniera sia sempre e solo quello di fare più tonnellate<br />

possibile di carbone… una grande compagnia non può<br />

fermarsi perché un suo dipendente è un cretino. Una<br />

grande compagnia è tale perché ha un ruolo planetario, e<br />

ha gli strumenti per svolgere questo ruolo. Non sempre, è<br />

vero, questi strumenti si dimostrano adeguati. Prenda<br />

Zanda. Le confesso che ci ha delusi. Gli avevamo assegnato<br />

un compito, e lui non è stato all’altezza. Il nome<br />

della Monterroyo doveva essere tenuto lontano da tutta<br />

questa faccenda, e invece Zanda non è riuscito a fare di<br />

meglio che tirarsi dietro Cantillo. Cantillo: ma le pare che<br />

una grande compagnia può sottostare ai ricatti di un<br />

Cantillo. Quell’ometto è arrivato sino a me, sedeva nella<br />

stessa poltrona dov’è seduto lei, farfugliava di chissà quali<br />

notizie riservate su Nuraxi Nieddu. Una mosca fastidiosa,<br />

che è finita come doveva finire.<br />

Null’altro, a quel punto, Serra poteva chiedere al presidente<br />

della Monterroyo e nulla quest’ultimo avrebbe potuto<br />

rispondergli.<br />

Serra si alzò. Dirigendosi verso la porta, attraversò la<br />

stanza per un tempo che gli parve lunghissimo. Fece finta<br />

di non sentire quando, mentre passava la soglia, Picciotto<br />

233


gli disse: – Se ha bisogno… qualunque cosa, avvocato, io<br />

sono qui.<br />

Imboccò via Veneto nella direzione del Tritone. Aveva<br />

lo stomaco rattrappito in un crampo che assomigliava al<br />

disgusto, un disgusto che lo toccava direttamente, con<br />

quella lettera di Cantillo in tasca senza sapere che farne e i<br />

suoi balbettii impotenti di fronte a Picciotto. Si ricordò<br />

delle ultime parole di Picciotto mentre usciva dalla stanza:<br />

“Caso mai avesse bisogno di qualcosa…” Ma vaffanculo<br />

Picciotto. Pezzi sbocconcellati di tutta quella storia<br />

si rincorrevano nella sua mente. “Se almeno Adelina si<br />

fosse messa nelle mie mani…” Affanculo anche tu Zanda,<br />

tu e tutti quelli della tua razza. Si è messa nelle mie mani<br />

Adelina e io l’ho fatta uscire di galera. Ma no, la verità che<br />

a farla uscire di galera è stato quella specie di avvocato, e<br />

che tu hai pagato col tuo silenzio perché uscisse di galera.<br />

Giorno dopo giorno, in quegli ultimi mesi, aveva cercato<br />

l’assassino del cravattaro, era stato avvocato e poliziotto,<br />

difensore di Adelina e investigatore. Ma alla fine l’investigatore<br />

si era fatto da parte, aveva abbandonato. Immaginò<br />

la faccia mogia del cavaliere quando fra poco in studio<br />

gli avrebbe raccontato del suo incontro con Picciotto,<br />

e immaginò se stesso alla scrivania e il cavaliere seduto di<br />

fronte a lui nella solita poltrona; e questo fra un’ora, fra<br />

un mese, fra un anno. Due vecchi poliziotti, l’uno di fronte<br />

all’altro, che si guardano in faccia e non sanno cosa dirsi.<br />

Pensò a quando, molto tempo prima, quasi gli sembrava<br />

un’altra vita, era arrivato a Roma a fare il poliziotto e alla<br />

pensione di Piazza Regina Margherita dove aveva abitato<br />

per anni. Pensò a Marianna, e a come lei sperava che<br />

qualcosa cambiasse tra loro, pensò che lei avrebbe voluto<br />

234<br />

un figlio da lui e che forse anche lui avrebbe voluto un figlio<br />

e pensò che se questo figlio fosse nato il cavaliere gli<br />

avrebbe fatto da padrino di battesimo e immaginò il bambino<br />

tenuto goffamente in braccio dal cavaliere che piange<br />

mentre il prete gli getta addosso con l’aspersorio l’acqua<br />

benedetta. E ci sarebbe stato un piccolo rinfresco per<br />

il battesimo del bambino, ripetuti brindisi con la malvasia<br />

di Bosa e il cavaliere non avrebbe rinunciato a un ispirato<br />

discorso per dire quanto diverso e migliore sarebbe stato<br />

il mondo che questo bambino avrebbe vissuto. Peppinetta<br />

si sarebbe commossa a quel discorso e poi avrebbero<br />

ballato, lui e Marianna avrebbero ballato un tango, mentre<br />

il bambino sarebbe stato in braccio ad Adelina divertito<br />

e sorridente.<br />

Di fronte a Serra c’era ora la fontanella delle Api, una<br />

conchiglia di marmo aperta al sole, e più avanti, al centro<br />

della piazza, un’altra conchiglia, più grande, da cui un un<br />

giovane tritone si erge in giocosa sfida a spruzzare il cielo.<br />

Una nuova bella estate romana iniziava. Altre volte alla fine<br />

di una storia gli era capitato di chiedersi quale fosse la<br />

morale della favola, arrivando alla conclusione che le favole<br />

erano, come le fáulas sarde, solo bugie. Serra sentiva<br />

in tasca la lettera di Cantillo. Ripensò a quella lettera, ripensò<br />

al fatto che aveva dovuto farsi postumo, Cantillo,<br />

per meritarsi la dignità che gli era mancata in vita. Come<br />

se i morti fossero migliori dei vivi e solo a chi sa di dover<br />

morire fosse concessa la verità.<br />

235


INDICE<br />

<strong>Scarpe</strong> <strong>rosse</strong>, <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong><br />

Cap. 1 5<br />

Cap. 2 9<br />

Cap. 3 17<br />

Cap. 4 23<br />

Cap. 5 29<br />

Cap. 6 35<br />

Cap. 7 41<br />

Cap. 8 47<br />

Cap. 9 55<br />

Cap. 10 61<br />

Cap. 11 69<br />

Cap. 12 79<br />

Cap. 13 85<br />

Cap. 14 93<br />

Cap. 15 99<br />

Cap. 16 105<br />

Cap. 17 119<br />

Cap. 18 131<br />

Cap. 19 139<br />

Cap. 20 143<br />

Cap. 21 149<br />

Cap. 22 161<br />

Cap. 23 167<br />

Cap. 24 169<br />

Cap. 25 177<br />

Cap. 26 183<br />

Cap. 27 193<br />

Cap. 28 201<br />

Cap. 29 205<br />

Cap. 30 213<br />

Cap. 31 217<br />

Cap. 32 223<br />

Cap. 33 229


Volumi pubblicati:<br />

Tascabili<br />

Grazia Deledda, Chiaroscuro<br />

Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto<br />

Grazia Deledda, Ferro e fuoco<br />

Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche<br />

Emilio Lussu, Il cinghiale del Diavolo (2 a edizione)<br />

Maria Giacobbe, Il mare (3 a edizione)<br />

Sergio Atzeni, Il quinto passo è l’addio<br />

Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri<br />

Giulio Angioni, L’oro di Fraus<br />

Antonio Cossu, Il riscatto<br />

Bachisio Zizi, Greggi d’ira<br />

Ernst Jünger, Terra sarda<br />

Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2 a edizione)<br />

Luciano <strong>Marrocu</strong>, Fáulas (2 a edizione)<br />

Gianluca Floris, I maestri cantori<br />

D.H. Lawrence, Mare e <strong>Sardegna</strong><br />

Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa<br />

Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò (2 a edizione)<br />

Giorgio Todde, Lo stato delle anime<br />

Francesco Masala, Il parroco di Arasolè<br />

Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (2 a edizione)<br />

Salvatore Niffoi, Cristolu<br />

Giulio Angioni, Millant’anni<br />

Luciano <strong>Marrocu</strong>, Debrà Libanòs<br />

Giorgio Todde, La matta bestialità (2 a edizione)<br />

Sergio Atzeni, Racconti con colonna sonora e altri «in giallo»<br />

Marcello Fois, Materiali<br />

Maria Giacobbe, Diario di una maestrina<br />

Giuseppe Dessì, Paese d’ombre<br />

Francesco Abate, Il cattivo cronista<br />

Gavino Ledda, Padre padrone<br />

Salvatore Niffoi, La sesta ora<br />

Jack Kerouac, L’ultima parola. In viaggio. Nel jazz<br />

Gianni Marilotti, La quattordicesima commensale<br />

Giorgio Todde, Ei<br />

Luigi Pintor, Servabo<br />

Marcello Fois, Tamburini<br />

Francesco Abate, Ultima di campionato<br />

Patrick Chamoiseau, Texaco<br />

Luciano <strong>Marrocu</strong>, <strong>Scarpe</strong> <strong>rosse</strong>, <strong>tacchi</strong> a <strong>spillo</strong><br />

Alberto Capitta, Creaturine<br />

Romano Ruju, Quel giorno a Buggerru<br />

Narrativa<br />

Salvatore Cambosu, Lo sposo pentito<br />

Marcello Fois, Nulla (2 a edizione)<br />

Francesco Cucca, Muni rosa del Suf<br />

Paolo Maccioni, Insonnie newyorkesi<br />

Bachisio Zizi, Lettere da Orune<br />

Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi: ritratto d’un’infanzia<br />

Giulio Angioni, Il gioco del mondo<br />

Aldo Tanchis, Pesi leggeri<br />

Maria Giacobbe, Scenari d’esilio. Quindici parabole<br />

Giulia Clarkson, La città d’acqua<br />

Paola Alcioni, La stirpe dei re perduti<br />

Mariangela Sedda, Oltremare<br />

Rossana Copez, Si chiama Violante


Finito di stampare<br />

nel mese di settembre 2004<br />

dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco GE

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