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lezione 8 - Uni3 Ivrea

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l’occupazione universale [...]. Quindi l’italiano è<br />

facilmente sensibile alle impressioni molli, ma<br />

sorride alle forti e grandi. Perciò Metastasio [...],<br />

porgendo frutti delicati, ha toccato il tasto del<br />

carattere nazionale, e tutte le fibre si sono<br />

risentite. Scrivendo in genere detto da Cicerone<br />

e dagli antichi ‘attico’, cioè semplice, sobrio,<br />

delicato, elegante, corretto, credo che si avrebbe<br />

applauso in Italia: difficile ad ottenerlo sarà per<br />

ora a chi aspiri al grande, ed al forte, ed al<br />

sublime, per le suddette disposizioni degli animi”<br />

(19 maggio 1792).<br />

La poesia del melodramma metastasiano, così<br />

elegante e priva di slanci entusiasti,<br />

rappresentava perfettamente quello che per<br />

Alessandro Verri erano lo spirito ed il senso<br />

estetico degli Italiani, i quali – popolo sradicato –<br />

erano privi di autentiche passioni, di sentimenti<br />

patriottici o desideri di “gloria nazionale”, mentre<br />

erano inclini ad un delicato trasporto per le arti e,<br />

in particolare, per la musica. Ecco perché il<br />

Metastasio costituiva per gli Italiani, ancora alla<br />

fine del secolo, il modello insuperato di poesia<br />

teatrale.<br />

Nella sua risposta al fratello, Pietro Verri, che si<br />

era a lungo battuto a favore di una riforma del<br />

teatro italiano, alludeva, citando alcuni titoli di<br />

commedie, alla profonda differenza fra l’animo<br />

degli Italiani e quello dei Francesi, i quali proprio<br />

in quei giorni avevano proclamato la Repubblica:<br />

“Noi giudichiamo male, perché ragioniamo sul<br />

popolo di Francia come sul nostro; eppure la<br />

differenza che v’è fra la Gara de’ Zanni e il<br />

Misanthrope, le Trentatré disgrazie di Arlecchino<br />

e Le Joueur dovrebbe farci accorti dello stato<br />

diverso delle due nazioni, giacché gli spettacoli<br />

ne sono la misura. Per conoscere la verità<br />

conviene essere cosmopolita, ed io penso che<br />

l’adularci non sia mai tratto di pubblica<br />

benevolenza, dove la presunzione e il letargo<br />

della ignoranza formino i nostri mali” (17 ottobre<br />

1792).<br />

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