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ELEMENTI DI DINAMICA DELLE STRUTTURE - Brixia-Engineering.It

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<strong>ELEMENTI</strong> <strong>DI</strong> <strong>DI</strong>NAMICA <strong>DELLE</strong> <strong>STRUTTURE</strong><br />

Renato Giannini


Indice<br />

1 Elementi di meccanica 1<br />

1.1 Introduzione.................................... 1<br />

1.2 Dinamicadeisistemi............................... 2<br />

1.2.1 IlprincipiodiD’Alembert........................ 2<br />

1.2.2 Massaepeso ............................... 2<br />

1.2.3 Ilprincipiodellepotenzevirtuali .................... 3<br />

1.2.4 EquazionediLagrange.......................... 4<br />

1.2.5 Esempio:equazionedelbipendolo ................... 6<br />

2 L’oscillatore semplice 8<br />

2.1 Oscillazioniliberenonsmorzate......................... 8<br />

2.2 Oscillazioniliberesmorzate ........................... 10<br />

2.3 Oscillazioniforzatearmonicamente....................... 15<br />

2.3.1 Energiadissipata............................. 19<br />

2.3.2 Rappresentazionecomplessa....................... 20<br />

2.3.3 Isolamentoallabase ........................... 22<br />

2.4 Rispostaadun’azioneperiodica......................... 24<br />

2.5 Rispostaadunaforzaimpulsiva......................... 27<br />

2.6 Rispostaadun’azionenonperiodica ...................... 30<br />

2.6.1 IntegralediDuhamel........................... 30<br />

2.6.2 Integrazionedirettadelleequazionidelmoto ............. 31<br />

2.6.3 Stabilità, decadimento di ampiezza ed elongazione del periodo . . . 33<br />

3 Sistemi discreti con più di un grado di libertà 40<br />

3.1 Introduzione.................................... 40<br />

3.2 Lamatricedellemasse.............................. 41<br />

3.3 Oscillazioniliberenonsmorzate......................... 44<br />

3.3.1 Esempi .................................. 46<br />

3.4 Oscillazionismorzateeforzate ......................... 51<br />

3.4.1 Matricedismorzamento......................... 53<br />

3.5 Analisiinfrequenza ............................... 55<br />

3.5.1 TrasformatadiFourier.......................... 55<br />

3.5.2 Soluzione dell’equazione dinamica mediante trasformata di Fourier . 57<br />

3.6 Motoditrascinamento.............................. 59<br />

3.6.1 Motosincrono .............................. 59<br />

3.6.2 Motononsincrono............................ 61<br />

3.7 Smorzamentononclassico............................ 62<br />

3.7.1 Analisimodalecomplessa ........................ 63<br />

2


IN<strong>DI</strong>CE i<br />

4 Sistemi continui: onde nei mezzi elastici 68<br />

4.1 Introduzione.................................... 68<br />

4.2 Vibrazionilongitudinalidiunabarra...................... 69<br />

4.2.1 Ondestazionarie ............................. 69<br />

4.2.2 Barra di lunghezza finita......................... 70<br />

4.3 Onde nel continuo indefinito........................... 76<br />

4.3.1 Ondepiane ................................ 77<br />

4.4 Onde superficiali(ondediRayleigh) ...................... 78<br />

4.5 Traveataglio................................... 80<br />

4.5.1 Ondesmorzate .............................. 83<br />

4.6 Vibrazione delle travi inflesse .......................... 86<br />

4.6.1 Oscillazionilibere............................. 87<br />

A Elementi di algebra lineare 90<br />

A.1 Spazi vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90<br />

A.2 Dipendenzalineare................................ 91<br />

A.3 Dimensionidiunospazio.Basi ......................... 91<br />

A.4 Prodottointerno ................................. 91<br />

A.5 Vettori ortogonali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92<br />

A.6 Basi ortogonali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92<br />

A.7 Componentidiunvettore ............................ 93<br />

A.7.1 Basiortonormali ............................. 94<br />

A.8 Cambiamentodibase .............................. 94<br />

A.9 Operatorilineari ................................. 96<br />

A.9.1 Cambiamento di base di un operatore lineare . . . . . . . . . . . . . 97<br />

A.9.2 Nucleodiunoperatorelineare ..................... 97<br />

A.9.3 Inversodiunoperatore ......................... 97<br />

A.9.4 Operatoreidentico ............................ 98<br />

A.9.5 Operatorihermitiani........................... 98<br />

A.9.6 Operatoriunitari............................. 98<br />

A.9.7 Autovaloriedautovettoridiunoperatore ............... 99<br />

A.10 Vettori in C n ...................................100<br />

A.11Autovaloreedautovettoridiunamatrice....................100<br />

A.11.1Autovalorimultipli,triangolarizzazione ................101<br />

A.11.2 Matrici simmetriche; ortogonalità degli autovettori . . . . . . . . . . 103<br />

A.11.3 Autovalori ed autovettori generalizzati di due matrici . . . . . . . . 104


Capitolo 1<br />

Elementi di meccanica<br />

1.1 Introduzione<br />

Le forze agenti sulle strutture civili, nella maggior parte dei casi, si possono trattare come<br />

se agissero staticamente; con questo si intende che, variando molto lentamente nel tempo,<br />

esse inducono nella struttura velocità ed accelerazioni trascurabili, in modo tale che la<br />

struttura passa da uno stato di equilibrio ad un altro attraverso stati che in pratica possono<br />

essere considerati anch’essi di equilibrio. In quanto precede si intende che il termine stato<br />

di equilibrio èsinonimodistato di equilibrio statico.<br />

Sebbene sia vero che la maggior parte delle azioni che interessano le strutture civili si<br />

possono considerare ai fini pratici come statiche, è pur vero che esistono alcune importanti<br />

eccezioni; p.es. le azioni indotte da macchinari rotanti all’interno di officine ed impianti<br />

industriali, la pressione del vento, le azioni indotte da veicoli (in particolare quelli pesanti)<br />

in movimento sui ponti ed i viadotti, le onde del mare, ecc. Non vi è dubbio però che<br />

l’azione dinamica più importante per le strutture civili è quella sismica, almeno in quei<br />

paesi, come l’<strong>It</strong>alia, dove è presente una rilevante attività sismica.<br />

L’azione sismica si manifesta con un moto del terreno, in direzione orizzontale e verticale,<br />

che trascina con sé le strutture degli edifici. Questo moto di trascinamento, indotto<br />

dal sisma, induce delle forze di inerzia che agiscono sulla struttura nella direzione del<br />

moto di trascinamento; particolarmente pericolosa è la componente orizzontale del moto,<br />

che induce sulle strutture azioni che esse normalmente non sono chiamate a sopportare e<br />

nei confronti delle quali sono spesso vulnerabili.<br />

L’importanza che si attribuisce alle azioni sismiche è ben nota; essa discende dagli<br />

effetti distruttivi che un terremoto violento può avere sulle costruzioni e dalla grande<br />

estensione di territorio interessata dal fenomeno, che può assumere aspetti catastrofici, sia<br />

dal punto di vista economico, sia da quello relativo alla perdita di vite umane.<br />

La formulazione generale dell’analisi dinamica delle strutture, specialmente quando<br />

queste vengono studiate con modelli lineari, prescinde ovviamente dal tipo di azione;<br />

quindi nel seguito normalmente non si farà riferimento all’azione sismica. Tuttavia poiché<br />

per l’analisi sismica sono stati sviluppati alcuni procedimenti specifici (p.es. l’analisi con<br />

lo spettro di risposta), quando necessario, sarà abbandonato il generale per il particolare<br />

specifico.<br />

1


1.2 Dinamica dei sistemi 2<br />

1.2 Dinamica dei sistemi<br />

1.2.1 Il principio di D’Alembert<br />

La dinamica dei sistemi può essere ricondotta alla statica mediante il Principio di D’Alembert,<br />

che semplicemente afferma che ogni sistema è sempre in equilibrio sotto l’azione<br />

delle forze attive Fi, diquellereattiveΦi e delle forze di inerzia miai:<br />

Fi + Φi − miai =0 (i = 1, 2,... ,N) (1.1)<br />

In questa equazione mi indica la massa ed ai l’accelerazione del punto materiale i del<br />

sistema. La forza d’inerzia quindi non è altro che il prodotto della massa per l’accelerazione<br />

(cambiata di segno) del corpo puntiforme.<br />

L’accelerazione di un corpo, però, dipende dal sistema di riferimento; ad esempio un<br />

corpo in quiete rispetto ad un riferimento solidale ad un punto della superficie della Terra<br />

risulta muoversi di moto accelerato rispetto ad un altro riferimento, la cui origine è solidale<br />

al centro della Terra ed è orientato verso le stelle fisse; infatti rispetto a quest’ultimo<br />

riferimento il corpo ruota con la velocità angolare della rotazione terrestre, ωT , e quindi<br />

ha un’accelerazione (centripeta) di valore ω2 T r, r essendo la distanza del corpo dall’asse<br />

terrestre. Quindi la relazione (1.1) non può essere valida in ogni riferimento, ma solo in<br />

un certo tipo di riferimento privilegiato.<br />

I riferimenti di questo tipo sono detti inerziali. Un modo per definire un riferimento<br />

inerziale è il seguente: un riferimento inerziale ha l’origine solidale ad una massa isolata<br />

ed è orientato verso le stelle fisse. Per massa isolata si intende un corpo che si trovi<br />

così distante da tutti gli altri, da poterne trascurare le interazioni reciproche; le stelle<br />

fisse sono quei corpi celesti così lontani che il loro moto relativo al nostro corpo risulta<br />

comunque inavvertibile. In pratica nessun corpo rispetta esattamente queste condizioni,<br />

ma si possono costruire riferimenti che approssimano quello inerziale in modo più o meno<br />

accurato: un riferimento con origine nel baricentro del Sole ed orientato verso le stelle<br />

fisse è una buona approssimazione di riferimento inerziale; un riferimento con origine nel<br />

baricentro della Terra ed orientato come il precedente costituisce un’approssimazione un<br />

po’ meno buona. Ai fini pratici della meccanica strutturale tuttavia, anche un riferimento<br />

solidale alla superficie terrestre può essere adottato come riferimento inerziale; infatti<br />

l’accelerazione centripeta è molto piccola, al massimo (all’equatore) si ha:<br />

a = ω 2 µ 2<br />

2π rad<br />

T rT '<br />

24 · 3600 sec2 × 6 · 106 −2 m<br />

m ' 3.17 · 10<br />

sec2 cioè appena lo 0.3% dell’accelerazione di gravità.<br />

Nell’eq. (1.1) compaiono solo le accelerazioni, pertanto essa è evidentemente valida in<br />

tutti quei riferimenti in cui l’accelerazione è la stessa che nel riferimento inerziale; di fatto,<br />

se un riferimento è inerziale lo sono anche tutti quelli che si muovono di moto relativo<br />

uniforme (cioè traslano con velocità costante) rispetto al primo. Con le stesse approssimazioni<br />

accettate prima, quindi, anche ogni riferimento che si muova sulla Terra con<br />

moto uniforme rispetto ad uno fisso (se la velocità non è troppo alta) si potrà considerare<br />

inerziale.<br />

1.2.2 Massa e peso<br />

La massa (inerziale) è una proprietà della materia: le particelle elementari hanno una<br />

massa (in alcuni casi nulla), che (a riposo) è un invariante, cioè non dipende né dal tempo


1.2 Dinamica dei sistemi 3<br />

né dalla posizione della particella. Ma vi è un altro significato per la massa (gravitazionale):<br />

essa è una costante che misura l’intensità della forza di gravitazione che una particella è<br />

in grado di scambiare con un’altra (in modo analogo alla carica elettrica in relazione alle<br />

forze elettromagnetiche). La massa inerziale e quella gravitazionale quantitativamente<br />

coincidono: questa in apparenza sorprendente coincidenza della natura trova una profonda<br />

spiegazione nella teoria geometrica (relativistica) della gravitazione.<br />

Poiché il peso dei corpi non è altro che l’effetto delle forze gravitazionali che essi<br />

scambiano con la Terra, vi è una semplice relazione tra massa e peso: pi = mig, incuig<br />

è l’accelerazione di gravità, cioè il campo gravitazionale generato dalla massa della Terra<br />

nei punti prossimi alla sua superficie. 1 Il modulo del vettore g cambia poco da un punto<br />

all’altro della superficie terrestre, e si può assumere approssimativamente pari a:<br />

g =9.81 m/sec 2<br />

Nel sistema MKS l’unità di massa è il chilogrammo (kg) e ne costituisce un’unità<br />

fondamentale, insieme al metro ed al secondo. Le forze invece si misurano in Newton<br />

(N): un Newton è un chilogrammo per un metro al secondo quadrato (N =kg· m/sec 2 ).<br />

Quindi un corpo che ha massa m = 1 kg ha un peso<br />

p = m · g = 1 · 9.81 N<br />

Nella pratica tecnica, in passato, è stata molto usata l’unità di forza chilogrammo-forza,<br />

comunemente indicata con kgf (o più semplicemente con kg). Un chilogrammo-forza è la<br />

forzapesoesercitatadaunamassadiunchilo,cioè:<br />

1 kgf = 1 kg · g =9.81 N<br />

Se si utilizza come unità fondamentale il chilogrammo-forza, la massa deve essere espressa<br />

in kgf/g, quindi un corpo che pesa 1 kgf ha una massa, in unità conformi : m = 1/g =<br />

1/9.81 kgf/g.<br />

1.2.3 Il principio delle potenze virtuali<br />

Poiché, grazie al principio di D’Alembert, le equazioni della dinamica sono ricondotte a<br />

quelle della statica con l’aggiunta delle forze di inerzia, le equazioni di equilibrio (1.1)<br />

possono esprimersi in modo equivalente mediante il principio delle potenze virtuali. Limitandoci<br />

al caso di sistemi soggetti a vincoli bilaterali e lisci 2 , le equazioni di equilibrio<br />

1 Due particelle di massa m1 ed m2 si scambiano una forza proporzionale al prodotto delle loro masse<br />

ed inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza:<br />

F12 = G m1m2<br />

r 2 12<br />

La costante di gravitazione universale G è piccolissima (G =6.66×10 −8 cm 3 sec −2 g −1 ); per questo motivo<br />

la forza di gravità scambiata tra corpi di massa piccola non è avvertita: solo se almeno uno dei due<br />

corpi ha grande massa, come quella di un pianeta o di una stella, la gravità ha effetti significativi. Su<br />

piccola scala quindi dominano le forze elettromagnetiche, molto più intense: tuttavia queste hanno segno<br />

opposto (attrattiva tra particelle di diversa carica, repulsiva tra quelle di carica uguale); poiché la materia è<br />

generalmente neutra (cioè vi è uguale numero di particelle con carica positiva e negativa), a grande scala le<br />

forze elettromagnetiche si annullano, mentre le forze gravitazionali, che sono sempre attrattive, divengono<br />

prevalenti e dominano nella meccanica celeste.<br />

2 Il caso dei vincoli scabri può essere incluso aggiungendo alle forze attive quelle dovute all’attrito.


1.2 Dinamica dei sistemi 4<br />

dinamico si possono esprimere:<br />

Π =<br />

NX<br />

(Fi − miai) × v 0 i =0 (1.2)<br />

i=1<br />

in cui v 0 i indica un arbitrario atto di moto virtuale, cioè compatibile con i vincoli fissi 3 ,<br />

mentre × indica il prodotto interno (scalare) tra vettori. Nell’eq. (1.2) non compaiono le<br />

forze reattive, il che normalmente costituisce una notevole semplificazione.<br />

1.2.4 Equazione di Lagrange<br />

Si considerino ora sistemi soggetti a vincoli che, oltre che bilaterali e lisci, siano anche<br />

olonomi, cioè esclusivamente di posizione; in questo caso, se il sistema ha n gradi di<br />

libertà, le coordinate di ogni suo punto Pi si possono esprimere in funzione di n parametri<br />

liberi, qk(t) (k = 1, 2,... ,n), detti coordinate lagrangiane del sistema:<br />

Pi(t) =Pi[q1(t),q2(t), ··· ,qn(t); t] (1.3)<br />

L’espressione della velocità di un punto mediante le coordinate lagrangiane si determina<br />

derivando l’eq. (1.3):<br />

vi = X ∂Pi<br />

˙qk +<br />

∂qk<br />

∂Pi<br />

(1.4)<br />

∂t<br />

k<br />

Nel caso di vincoli fissi Pi non dipende esplicitamente da t e quindi l’ultimo termine nella<br />

(1.4) viene a mancare. Se v0 i indica un atto di moto virtuale, essendo questo per definizione<br />

relativo a vincoli fissi, si avrà:<br />

˙q<br />

k=1<br />

0 k<br />

v 0 i = X<br />

i=1<br />

k<br />

∂Pi<br />

∂qk<br />

˙q 0 k<br />

(1.5)<br />

Sostituendo l’eq. (1.5) nella equazione delle potenze virtuali (1.2), dopo aver scambiato<br />

gliordinidisommasiha:<br />

" nf X NX<br />

(Fi − miai) ∂Pi<br />

#<br />

=0<br />

∂qk<br />

Questa, per l’arbitrarietà dell’atto di moto virtuale ˙q 0 k , implica il sistema di equazioni:<br />

che può scriversi:<br />

NX<br />

i=1<br />

∂Pi<br />

Fi −<br />

∂qk<br />

NX<br />

i=1<br />

NX<br />

i=1<br />

∂Pi<br />

miai<br />

∂qk<br />

∂Pi<br />

miai<br />

∂qk<br />

= Qk<br />

=0<br />

(1.6)<br />

3 Cioè, v 0 i deve essere compatibile con le condizioni di vincolo rese indipendenti da t, anche se queste<br />

equazioni sono funzioni del tempo. Ad esempio, per un punto materiale che si muove vincolato ad una<br />

linea, che a sua volta si sposta, v 0 deve essere tangente alla linea considerata fissa nella sua posizione al<br />

tempo t, senza tener conto del moto del vincolo.


1.2 Dinamica dei sistemi 5<br />

Avendo introdotto le forze generalizzate<br />

Qk =<br />

NX<br />

i=1<br />

∂Pi<br />

Fi<br />

∂qk<br />

Indicando con vi la velocità del punto Pi, l’energia cinetica del sistema è definita dalla<br />

relazione:<br />

T = 1<br />

2<br />

NX<br />

i=1<br />

mivi × vi<br />

Derivando la (1.7) relativamente a ˙qk e tenendo conto della (1.4), risulta:<br />

∂T<br />

∂ ˙qk<br />

=<br />

NX<br />

i=1<br />

∂vi<br />

mivi<br />

∂ ˙qk<br />

=<br />

NX<br />

i=1<br />

∂Pi<br />

mivi<br />

∂qk<br />

(1.7)<br />

Derivando ulteriormente rispetto al tempo entrambi i membri dell’equazione precedente,<br />

si ottiene:<br />

d ∂T<br />

=<br />

dt ∂ ˙qk<br />

NX<br />

i=1<br />

∂Pi<br />

miai +<br />

∂qk<br />

Tenendo conto che, derivando la (1.7), si ottiene:<br />

∂T<br />

∂qk<br />

=<br />

NX<br />

i=1<br />

combinando questa equazione con la (1.8), si ha:<br />

NX<br />

i=1<br />

∂Pi<br />

miai<br />

∂qk<br />

NX<br />

i=1<br />

∂vi<br />

mivi<br />

∂qk<br />

= d ∂T<br />

dt ∂ ˙qk<br />

∂vi<br />

mivi<br />

∂qk<br />

− ∂T<br />

∂qk<br />

E quindi, sostituendo questo risultato nell’eq. (1.6), si ottiene l’equazione di Lagrange:<br />

(1.8)<br />

d ∂T<br />

−<br />

dt ∂ ˙qk<br />

∂T<br />

= Qk<br />

(1.9)<br />

∂qk<br />

Questa equazione risulta di notevole aiuto nello studio dei sistemi complessi, in quanto<br />

permette di scrivere in modo automatico le equazioni di equilibrio, una volta che sia stata<br />

scritta l’espressione esplicita dell’energia cinetica.<br />

L’eq. (1.9) si semplifica ulteriormente se tutte le forze agenti sul sistema sono conservative,<br />

cioè se esiste una funzione potenziale U(P1,P2, ··· ,PN), delle coordinate del sistema,<br />

tale che:<br />

Fi = ∂U<br />

(1.10)<br />

∂Pi<br />

In questo caso l’espressione della forza generalizzata diviene:<br />

Qk =<br />

NX<br />

i=1<br />

∂Pi<br />

Fi<br />

∂qk<br />

=<br />

NX ∂U ∂Pi<br />

i=1<br />

∂Pi ∂qk<br />

= ∂U<br />

∂qk


1.2 Dinamica dei sistemi 6<br />

in quanto, tramite le (1.3), U è funzione delle sole coordinate lagrangiane qk.<br />

Introdotta la funzione di Lagrange, definita come<br />

L(q, ˙q, t) =T + U (1.11)<br />

somma dell’energia cinetica e della funzione potenziale, l’eq. (1.9) si può scrivere in modo<br />

più sintetico:<br />

d ∂L<br />

−<br />

dt ∂ ˙qk<br />

∂L<br />

=0 (1.12)<br />

∂qk<br />

che è un’altra forma delle equazioni di Lagrange.<br />

L’equazione (1.12) è l’equazione di Eulero del funzionale:<br />

S =<br />

Z t2<br />

t1<br />

L(q, ˙q, t) dt (1.13)<br />

chiamato l’azione del sistema. L’equazione (1.12) implica che il sistema evolve tra due<br />

qualsiasi istanti di tempo t1 e t2 rendendo stazionaria l’azione S (principio di Hamilton).<br />

Se i vincoli sono fissi, per cui L non dipende esplicitamente dal tempo, si può dimostrare<br />

che la quantità:<br />

H = T − U = T + V (1.14)<br />

si conserva, cioè resta costante nel tempo. La quantità H non è altro che l’energia totale<br />

del sistema, in quanto somma dell’energia cinetica T e dell’energia potenziale V = −U.<br />

Quindi si può concludere che: in un sistema con vincoli bilaterali, lisci ed indipendenti dal<br />

tempo e soggetto all’azione di sole forze conservative, l’energia totale H si conserva.<br />

1.2.5 Esempio: equazione del bipendolo<br />

Si consideri un doppio pendolo, composto con due masse m1 ed m2, sospese a due regoli<br />

rigidi e privi di massa di lunghezza l1 ed l2. Indicando con θ1 e θ2 gli angoli formati dai<br />

regoli rispetto ad un asse verticale, le coordinate delle due masse, riferite ad un sistema<br />

cartesiano ortogonale, con l’asse x verticale e rivolta verso l’alto ed origine nella cerniera<br />

del pendolo, sono:<br />

e di conseguenza le componenti delle velocità risultano:<br />

x1 = l1 sin (θ1) (1.15a)<br />

y1 = −l1 cos (θ1) (1.15b)<br />

x2 = l1 sin (θ1)+l2 sin (θ2) (1.15c)<br />

y2 = −l1 cos (θ1) − l2 cos (θ2) (1.15d)<br />

˙x1 = l1 cos (θ1) ˙ θ1<br />

˙y1 = l1 sin (θ1) ˙ θ1<br />

˙x2 = l1 cos (θ1) ˙ θ1 + l2 cos (θ2) ˙ θ2<br />

˙y2 = l1 sin (θ1) ˙ θ1 + l2 sin (θ2) ˙ θ2<br />

(1.16a)<br />

(1.16b)<br />

(1.16c)<br />

(1.16d)


1.2 Dinamica dei sistemi 7<br />

Gli angoli θ1 e θ2 sono le coordinate lagrangiane del sistema; l’espressione dell’energia<br />

cinetica in funzione delle coordinate lagrangiane si ottiene quindi facilmente sostituendo<br />

le (1.16) nell’espressione di T :<br />

T = 1 £ ¡ 2<br />

m1 ˙x 1 + ˙y<br />

2<br />

2¢ ¡ 2<br />

1 + m2 ˙x 2 + ˙y 2¢¤ 2<br />

= 1<br />

h<br />

(m1 + m2) l<br />

2<br />

2 1 ˙ θ 2<br />

1 +2m2l1 ˙ θ1l2 ˙ θ2 cos (θ1 − θ2)+m2l 2 2 ˙ θ 2<br />

i<br />

2 (1.17)<br />

Analogamente dalle (1.15) si ottiene la forma esplicita del potenziale U in funzione delle<br />

coordinate lagrangiane:<br />

U = −m1y1g − m2y2g = g {m1l1 cos (θ1)+m2 [l1 cos (θ1)+l2 cos (θ2)]}<br />

(1.18)<br />

e quindi, sommando le eq. (1.17) e (1.18), si ha la funzione di Lagrange:<br />

L = T + U = 1<br />

h<br />

(m1 + m2) l<br />

2<br />

2 1 ˙ θ 2<br />

1 +2m2l1 ˙ θ1l2 ˙ θ2 cos (θ1 − θ2)+m2l 2 2 ˙ θ 2<br />

i<br />

2 +<br />

g {m1l1 cos (θ1)+m2 [l1 cos (θ1)+l2 cos (θ2)]} (1.19)<br />

Applicando l’equazione di Lagrange (1.12) alla funzione (1.19), si ottengono le due<br />

equazioni seguenti, che descrivono la dinamica del sistema:<br />

d ∂L<br />

dt ∂ ˙ θ1<br />

− ∂L<br />

∂θ1<br />

=(m1 + m2) l 2 1 ¨ θ1 + m2l1l2 cos (θ1 − θ2) ¨ θ2 +<br />

m2l1l2 sin (θ1 − θ2) ˙ θ 2<br />

2 + g (m1 + m2) l1 sin θ1 =0 (1.20)<br />

d ∂L<br />

dt ∂ ˙ −<br />

θ2<br />

∂L<br />

= m2l1l2 cos (θ1 − θ2)<br />

∂θ2<br />

¨θ1 + m2l 2 2 ¨θ2 −<br />

m2l1l2 sin (θ1 − θ2) ˙ θ 2<br />

1 + gm2l2 sin θ2 =0 (1.21)<br />

Le equazioni (1.20) e (1.21) sono nonlineari; per valori piccoli degli angoli θ1e θ2 le funzioni<br />

trigonometriche seno e coseno possono essere approssimate dai termini lineari del loro<br />

sviluppo in serie, ottenendo:<br />

(m1 + m2) l 2 1 ¨ θ1 + m2l1l2 ¨ θ2 + m2l1l2 (θ1 − θ2) ˙ θ 2<br />

2 + g (m1 + m2) l1θ1 =0<br />

m2l1l2 ¨ θ1 + m2l 2 2 ¨ θ2 − m2l1l2 (θ1 − θ2) ˙ θ 2<br />

1 + gm2l2θ2 =0<br />

(1.22a)<br />

(1.22b)<br />

Queste equazioni tuttavia sono ancora nonlineari a causa dei termini che contengono i<br />

quadrati delle velocità angolari ˙ θ che tengono conto degli effetti delle forze centrifughe; se<br />

le velocità sono sufficientemente piccole i loro quadrati si potranno trascurare con un’approssimazione<br />

confrontabile con quella precedente e si ottiene allora il semplice sistema di<br />

due equazioni lineari accoppiate:<br />

(m1 + m2) l 2 1 ¨θ1 + m2l1l2 ¨θ2 + g (m1 + m2) l1θ1 =0 (1.23a)<br />

m2l1l2 ¨θ1 + m2l 2 2 ¨θ2 + gm2l2θ2 =0 (1.23b)


Capitolo 2<br />

L’oscillatore semplice<br />

Si consideri una struttura molto semplice, composta da una trave sostenuta da due pilastri<br />

uguali (portale), come quella rappresentata nella fig. 2.1. Se si suppone che siano soddisfatte<br />

le seguenti condizioni: i) la trave sia molto più rigida dei pilastri, in modo che le<br />

rotazioni dei nodi siano trascurabili, ii) la rigidezza assiale dei pilastri sia molto maggiore<br />

di quella flessionale, in modo che i pilastri si possano ritenere assialmente indeformabili,<br />

iii)iltelaiosispostisolonelsuopiano;questosistemahaunsologradodilibertà,lo<br />

spostamento x dalla posizione di equilibrio statico.<br />

2.1 Oscillazioni libere non smorzate<br />

Indicando con m la massa complessiva della trave più quella da essa sopportata ed assumendo<br />

trascurabili le masse dei pilastri, l’equazione di equilibrio di questa struttura si<br />

scrive facilmente in modo diretto, utilizzando il principio di D’Alembert; in assenza di<br />

forze esterne applicate le sole forze sono la forza elastica esercitata dai pilastri e la forza<br />

d’inerzia della massa m:<br />

−m¨x(t) − kx(t) =0 (2.1)<br />

in cui k =2· 12EJ/h 3 indica la rigidezza dei pilastri. Dividendo l’eq. (2.1) per m ed<br />

introducendo la quantità:<br />

l’eq. (2.1) diviene:<br />

ω 2 = k<br />

m<br />

(2.2)<br />

¨x(t)+ω 2 x(t) =0 (2.3)<br />

Il parametro ω ha le dimensioni dell’inverso di un tempo. È conveniente introdurre il<br />

tempo adimensionale:<br />

Infatti, tenendo conto che:<br />

d d dτ<br />

=<br />

dt dτ dt<br />

τ = ωt (2.4)<br />

8<br />

d<br />

= ω (2.5)<br />


2.1 Oscillazioni libere non smorzate 9<br />

Figura~2.1: Portale ad un grado di libertà<br />

sostituendo τ a t come variabile in x, ed indicando con il punto la derivazione rispetto a τ<br />

e non più rispetto a t, come in precedenza, applicando la (2.5) alla (2.3) e poi dividendo<br />

per ω 2 ,siottiene:<br />

¨x(τ)+x(τ) =0 (2.6)<br />

equazione in cui non compaiono esplicitamente parametri.<br />

La soluzione generale dell’equazione differenziale lineare ed omogenea (2.6) ha la forma:<br />

x(τ) =A sin(τ)+B cos(τ) (2.7)<br />

in cui A e B sono parametri che dipendono dalle condizioni iniziali, cioè dallo stato della<br />

struttura al tempo τ =0.<br />

Derivando la (2.7) rispetto a τ si ha:<br />

y(τ) = ˙x(τ) =A cos(τ) − B sin(τ) (2.8)<br />

in cui y = dx/dτ èlegatoallavelocitàv = dx/dt dalla semplice proporzionalità: y = v/ω,<br />

come segue dalla (2.5). Indicando con x0, y0 i valori di x ed y al tempo τ =0,dalle<br />

equazioni (2.7) e (2.8) esplicitate al tempo τ =0, si ottengono i valori di A e B in funzione<br />

delle condizioni iniziali x0, y0, per cui la (2.7) diviene:<br />

x(τ) =x0 cos(τ)+y0 sin(τ) (2.9)<br />

Dalle eq. (2.7) o (2.9) si osserva facilmente che x(τ) (ed y(τ)) sono funzioni periodiche<br />

di periodo 2π:<br />

x(τ +2nπ) =x(τ) n intero<br />

Poiché x è periodica di periodo 2π in τ, rispetto al tempo reale t risulta periodica di<br />

periodo<br />

T = 2π<br />

ω =2π<br />

r<br />

m<br />

k<br />

(2.10)


2.2 Oscillazioni libere smorzate 10<br />

f<br />

Figura~2.2: Legge forza—spostamento di un sistema elasto-viscoso soggetto ad un’azione<br />

ciclica<br />

T èilperiodo proprio delle oscillazioni libere della struttura, ω è detta pulsazione propria,<br />

mentre l’inverso di T è detto frequenza propria f = 1/T = ω/2π. Dunque l’eq. (2.9)<br />

descrive un moto oscillatorio, di ampiezza p x2 0 + y2 0 ediperiodoT , dato dall’eq. (2.10). È<br />

importante osservare che il periodo delle oscillazioni libere dipende solo dalle caratteristiche<br />

della struttura, massa e rigidezza, e non dallo specifico moto; in particolare il periodo delle<br />

oscillazioni non è funzione dell’ampiezza del moto: vibrazioni di piccola o grande ampiezza<br />

compiono un ciclo nello stesso tempo, almeno fin quando il modello elastico lineare descrive<br />

con sufficiente esattezza il comportamento strutturale.<br />

2.2 Oscillazioni libere smorzate<br />

La soluzione (2.9) dell’eq. (2.6) è una funzione armonica la cui ampiezza p x 2 0 + y2 0 è<br />

costante nel tempo. Fisicamente ciò corrisponde ad un sistema che, una volta posto in<br />

movimento, continua ad oscillare con la stessa ampiezza, senza più fermarsi. Questo è in<br />

contraddizione con le più elementari esperienze, che ci mostrano come, in assenza di forze<br />

che le sostengano, le oscillazioni libere di qualsiasi sistema si riducano in ampiezza, fino a<br />

che questo torna in quiete dopo un numero più o meno grande di cicli.<br />

Il fatto che il moto del sistema governato dalle eq. (2.3) o (2.6) sia indefinitamente<br />

periodico dipende dal fatto che la sola forza attiva presa in conto, la forza elastica −kx,<br />

è conservativa e quindi l’energia totale del sistema è costante. In realtà tutti i sistemi<br />

sono dissipativi, in quanto una parte dell’energia viene trasformata in calore e quindi resa<br />

indisponibile ai processi meccanici, come previsto dal secondo principio della termodinamica.<br />

Quindi l’energia meccanica del sistema si riduce e con essa l’ampiezza massima delle<br />

oscillazioni.<br />

Applicando ad un oggetto che segue un comportamento elastico lineare una forza che<br />

varia lentamente, questo subisce un processo reversibile; infatti togliendo gradualmente la<br />

forzailcorpotornanellasuaconfigurazione originale, percorrendo, nello spazio degli stati,<br />

lo stesso cammino seguito nella fase di carico. Se la forza viene applicata più rapidamente<br />

questo non si verifica più; nella fase di carico la forza è maggiore di quella (kx) puramente<br />

x


2.2 Oscillazioni libere smorzate 11<br />

Figura~2.3: Modello di una struttura con elemento dissipativo elasto-viscoso<br />

elastica, nella fase di scarico invece la forza risulta minore, come illustrato schematicamente<br />

nella fig. 2.2; l’area racchiusa nel ciclo rappresenta il lavoro fatto sul sistema e non<br />

restituito, per cui la trasformazione risulta ora irreversibile. Questo fenomeno si può spiegare<br />

assumendo che sul sistema agisca, oltre la forza elastica −kx, anche una forza viscosa<br />

o attritivo, la cui ampiezza ed il segno dipendono dalla velocità; il modello più semplice<br />

è quello della viscosità lineare, in cui la forza è data dal prodotto della velocità per<br />

una costante, che dipende dalle proprietà del materiale e dalla configurazione strutturale.<br />

Con riferimento alla semplice struttura della fig. 2.1, questo effetto può essere modellato<br />

aggiungendo al sistema un elemento viscoso, schematicamente illustrato in fig. 2.3, che<br />

esplica sulla massa m una forza viscosa FD = −c ˙x(t), proporzionale alla velocità del sistema<br />

ed al coefficiente di viscosità c. Che la forza FD sia dissipativa si può verificare<br />

calcolando il lavoro fatto da questa forza in un ciclo:<br />

WD =<br />

I<br />

−c dx<br />

Z T<br />

dx = −c<br />

dt 0<br />

µ 2<br />

dx<br />

dt < 0 (2.11)<br />

dt<br />

esso risulta (se c>0) sempre negativo, come segue dal fatto che la funzione integranda<br />

nell’eq. (2.11) è sempre positiva.<br />

Se si tiene conto anche delle forze di tipo viscoso che si sviluppano nella struttura,<br />

l’eq. (2.1) deve essere sostituita dalla:<br />

−m¨x(t) − c ˙x(t) − kx(t) =0 (2.12)<br />

Dividendo tutti i termini dell’eq. (2.12) per m, tenendo conto della (2.2) ed inoltre ponendo:<br />

si ottiene:<br />

c =2mωξ =2 √ kmξ (2.13)<br />

¨x(t)+2ωξ ˙x(t)+ω 2 x(t) =0 (2.14)


2.2 Oscillazioni libere smorzate 12<br />

Quindi eseguendo il cambiamento di variabile (2.4), dal tempo reale t a quello adimensionale<br />

τ, risulta l’equazione:<br />

¨x(τ)+2ξ ˙x(τ)+x(τ) =0 (2.15)<br />

in cui compare il solo parametro ξ; questo viene indicato come il coefficiente di smorzamento<br />

percentuale, per i motivi che saranno chiariti nel seguito; poiché c ha le dimensioni<br />

di una forza divisa per la velocità e perciò di una massa divisa per il tempo, ξ risulta<br />

adimensionale.<br />

L’integrale generale dell’eq. (2.15) è:<br />

x(τ) =Ae α1τ + Be α2τ<br />

in cui α1 ed α2 sono le radici dell’equazione caratteristica:<br />

ossia:<br />

Sostituendo la (2.18), la (2.16) diviene:<br />

(2.16)<br />

α 2 +2ξα + 1 =0 (2.17)<br />

q<br />

α1 = −ξ + ξ 2 q<br />

− 1 α2 = −ξ − ξ 2 − 1 (2.18)<br />

h √ √ i<br />

2 2 −ξτ ξ −1τ − ξ −1τ<br />

x(τ) =e Ae + Be<br />

(2.19)<br />

L’equazione (2.19) ha un punto di biforcazione (cioè cambia comportamento) in corrispondenza<br />

del valore di ξ = 1. Perξ < 1 la quantità p ξ 2 − 1 è immaginaria e quindi le funzioni<br />

esponenziali nell’eq. (2.19) divengono delle funzioni armoniche, per cui l’eq. (2.19) si può<br />

riscrivere:<br />

avendo posto<br />

x(τ) =e −ξτ [C1 sin(δτ)+C2 cos(δτ)] (2.20)<br />

δ =<br />

Derivando l’eq.(2.20) rispetto a τ si ottiene:<br />

q<br />

1 − ξ 2<br />

(2.21)<br />

˙x(τ) =e −ξτ [−(C1ξ + C2δ)sin(δτ)+(C1δ − C2ξ)cos(δτ)] (2.22)<br />

I valori delle costanti C1 e C2 si determinano quindi imponendo le condizioni iniziali ad x<br />

ed ˙x; dalle eq. (2.20) e (2.22) si deduce infatti il sistema:<br />

risolvendo il quale risulta:<br />

x(0) = C2 = x0<br />

˙x(0) = C1δ − C2ξ = y0<br />

C1 = y0 + x0ξ<br />

δ<br />

C2 = x0


2.2 Oscillazioni libere smorzate 13<br />

per cui le eq. (2.20) e (2.22) si possono scrivere esplicitamente in funzione delle condizioni<br />

iniziali:<br />

x(τ) =e −ξτ<br />

·<br />

x0 cos(δτ)+ y0<br />

¸<br />

+ x0ξ<br />

sin(δτ)<br />

(2.23)<br />

δ<br />

˙x(τ) =e −ξτ<br />

·<br />

y0 cos(δτ) − x0<br />

¸<br />

+ y0ξ<br />

sin(δτ)<br />

(2.24)<br />

δ<br />

Ponendo y0 =0(questa condizione può sempre essere verificata, fissando opportunamente<br />

l’origine del tempo) le equazioni (2.23) e (2.24) si semplificano nelle:<br />

x(τ) =x0e −ξτ<br />

·<br />

cos(δτ)+ ξ<br />

δ sin(δτ)<br />

¸<br />

(2.25)<br />

−ξτ 1<br />

˙x(τ) =−x0e sin(δτ) (2.26)<br />

δ<br />

Dalla (2.26) appare evidente che ˙x(τ) =0se δτ = nπ, doven =0, 1, 2,... èunnumero<br />

intero. In corrispondenza degli istanti in cui ˙x si annulla, x(τ) prende valori estremali<br />

(massimi o minimi); in particolare se x0 > 0, x èmassimopernpari, minimo per n<br />

dispari. Due massimi consecutivi si verificano quindi per ∆τ =2π/δ; passando al tempo<br />

naturale, si può definire un “periodo” delle oscillazioni smorzate TD come il tempo che<br />

intercorre tra due massimi della risposta:<br />

TD = ∆τ<br />

ω =<br />

T<br />

p (2.27)<br />

2<br />

1 − ξ<br />

(T è il periodo delle oscillazioni non smorzate); al periodo TD corrisponde una “pulsazione”:<br />

q<br />

ωD = ωδ = ω 1 − ξ 2<br />

(2.28)<br />

Queste relazioni mostrano che il periodo delle oscillazioni libere, smorzate o no, non dipende<br />

dalle condizioni iniziali, ma solo dalle caratteristiche dell’oscillatore, la massa, la<br />

rigidezza e lo smorzamento percentuale ξ. Le eq. (2.20) e (2.23) descrivono un moto oscillatorio<br />

di ampiezza decrescente, come illustrato nella figura 2.4a. Il rapporto tra<br />

due massimi consecutivi della risposta, agli istanti τ n =2nπ/δ e τ n+1 =2(n + 1)π/δ, per<br />

l’eq.(2.25) risulta:<br />

x(τ n+1)<br />

x(τ n) =exp<br />

"<br />

− 2ξπ<br />

#<br />

p<br />

2<br />

1 − ξ<br />

(2.29)<br />

e dipende soltanto dal coefficiente ξ. Il logaritmo dell’inverso di questo rapporto è detto<br />

decremento logaritmico:<br />

µ <br />

x(τ n)<br />

∆l =log<br />

(2.30)<br />

x(τ n+1)<br />

L’eq. (2.29) si può risolvere in ξ, esprimendo lo smorzamento percentuale in funzione del<br />

decremento logaritmico:<br />

ξ =<br />

∆l<br />

q<br />

∆2 l +4π2<br />

(2.31)


2.2 Oscillazioni libere smorzate 14<br />

x Ε ≥ Φ<br />

Smorzamento subcritico ( ↑ΖΜΚΜΡΦ<br />

0.0 20.0 40.0 60.0 80.0<br />

≥<br />

(a)<br />

smorzamento critico ( ↑ΖΝΦ<br />

smorzamento supercritico ( ↑ΖΝΚΡΦ<br />

0.0 2.0 4.0 6.0 8.0 10.0<br />

≥<br />

(b)<br />

Figura~2.4: Moto smorzato: smorzamento subcritico (a), critico e supercritico (b)<br />

Questa relazione può essere utilizzata per misurare il coefficiente di smorzamento sulla<br />

base di registrazioni del moto di risposta.<br />

Quando ξ = 1 l’equazione (2.17) ha due radici reali coincidenti α = −1. Inquestocaso<br />

la soluzione dell’eq. (2.15) prende la forma<br />

e quindi, imponendo il rispetto delle condizioni iniziali:<br />

x(τ) =e −τ (A + Bτ) (2.32)<br />

x(τ) =e −τ [x0 +(x0 + y0)τ] (2.33)<br />

Le equazioni (2.32) e (2.33) esprimono un moto di direzione uniforme, senza oscillazioni;<br />

il sistema tende a tornare nella posizione di equilibrio statico muovendo dalla posizione<br />

attuale e tendendo ad x =0in un tempo idealmente infinito. 1 Il moto di un sistema che<br />

inizia con velocità nulla, nel caso di smorzamento critico è illustrato nella fig. 2.4b. Lo<br />

smorzamento c corrispondente a ξ = 1 è detto critico; per la (2.13) si ha:<br />

cr =2 √ mk (2.34)<br />

quindi ξ rappresenta la percentuale di smorzamento rispetto al valore critico. Nelle strutture<br />

si manifestano solitamente smorzamenti piccoli, relativamente a quello critico; quindi<br />

si hanno valori di ξ molto minori di uno. Valori tipici sono compresi nell’intervallo tra<br />

0.02 e 0.10.<br />

1 L’esperienza dimostra che l’equilibrio viene invece raggiunto dopo un tempo più o meno breve, ma<br />

finito; questo implica che la legge dello smorzamento viscoso lineare spiega solo approssimativamente la<br />

realtà. Da un punto di vista pratico questo però ha scarsa importanza; dopo un tempo t =10· T =20π/ω,<br />

cioè dopo un tempo pari a 10 volte il periodo delle oscillazioni non smorzate, si ha τ =20π e quindi<br />

e −τ ' 0.51 · 10 −27 , cioè lo spostamento è divenuto circa 10 27 volte più piccolo di quello iniziale: ai fini<br />

pratici questo è equivalente a zero.


2.3 Oscillazioni forzate armonicamente 15<br />

Per valori di ξ superiori ad uno le radici dell’equazione caratteristica (2.17) sono reali e<br />

distinte; il moto che ne risulta è ancora di tipo non oscillatorio, simile a quello relativo allo<br />

smorzamento critico; tuttavia, come è illustrato nell’esempio in fig. 2.4b, il moto avviene<br />

più lentamente ed il sistema impiega più tempo per raggiungere la posizione di equilibrio<br />

(o meglio uno spostamento sufficientemente piccolo, preso convenzionalmente come zero).<br />

2.3 Oscillazioni forzate armonicamente<br />

Si supponga ora di applicare, alla struttura di fig. 2.3, una forza F (t) variabile nel tempo.<br />

L’equazione di equilibrio dinamico si ottiene aggiungendo questo termine all’eq. (2.12):<br />

F (t) − m¨x(t) − c ˙x(t) − kx(t) =0 (2.35)<br />

Quindi, dividendo i termini per m, utilizzando le posizioni (2.2) e (2.13), ed eseguendo la<br />

sostituzione (2.4) della scala dei tempi, si ottiene l’equazione:<br />

F (τ/ω)<br />

¨x(τ)+2ξ˙x(τ)+x(τ) = (2.36)<br />

k<br />

Se la forza F (t) varia con legge armonica, indicando con ωf la sua pulsazione, si può<br />

porre F (t) =F0 sin(ωft); sostituendo questa espressione nell’eq. (2.36), si ottiene:<br />

Nell’eq. (2.37) si è posto<br />

¨x(τ)+2ξ ˙x(τ)+x(τ) =u0 sin(βτ) (2.37)<br />

u0 = F0<br />

k<br />

(2.38)<br />

ad indicare lo spostamento che la struttura subirebbe per effetto una forza di modulo F0<br />

applicata staticamente, mentre<br />

β = ωf<br />

(2.39)<br />

ω<br />

indica il rapporto tra la pulsazione (o la frequenza) della forzante e quella delle oscillazioni<br />

libere (non smorzate) della struttura.<br />

Seguendo la regola generale per la soluzione delle equazioni lineari non omogenee, la<br />

soluzione dell’eq. (2.37) si ottiene sovrapponendo all’integrale generale della stessa equazione<br />

resa omogenea (cioè eliminando il termine a secondo membro), un integrale particolare<br />

dell’equazione completa (2.37). Nel seguito si supporrà che la struttura abbia uno<br />

smorzamento subcritico (ξ < 1), pertanto l’integrale generale dell’equazione omogenea è<br />

quello espresso dall’eq. (2.20). La soluzione particolare dell’equazione completa si ottiene<br />

assumendo che possa porsi nella forma:<br />

¯x(τ) =A1 sin(βτ)+A2 cos(βτ) (2.40)<br />

Infatti, sostituendo l’espressione di x(τ) ad x(τ) nell’eq. (2.37), risulta:<br />

− β 2 [A1 sin(βτ)+A2 cos(βτ)] + 2βξ [A1 cos(βτ) − A2 sin(βτ)] +<br />

A1 sin(βτ)+A2 cos(βτ) =u0 sin(βτ)


2.3 Oscillazioni forzate armonicamente 16<br />

Ponendo in evidenza le funzioni sin(βτ) e cos(βτ), appare evidente che questa equazione<br />

risulta identicamente soddisfatta per ogni valore di τ se risultano entrambi nulli i coefficienti<br />

delle funzioni seno e coseno. Imponendo queste condizioni si ottiene il sistema di<br />

due equazioni nelle incognire A1, A2:<br />

la cui soluzione è<br />

(1 − β 2 )A1 − 2ξβA2 = u0<br />

2ξβA1 + (1 − β 2 )A2 = 0<br />

1 − β 2<br />

−2ξβ<br />

(2.41)<br />

A1 = u0<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

A2 = u0<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

Quindi, sostituendo le espressioni dei coefficienti A1 ed A2 nell’eq. (2.40), si determina<br />

l’espressione esplicita della soluzione particolare dell’equazione non omogenea (2.37):<br />

¯x(τ) =<br />

£ ¤<br />

2<br />

(1 − β )sin(βτ) − 2ξβ cos(βτ) (2.42)<br />

in cui:<br />

u0<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

L’eq. (2.40) si può anche scrivere in forma più espressiva ponendo:<br />

X =<br />

¯x(τ) = ¯ X sin(βτ − φ) (2.43)<br />

q<br />

A 2 1 + A2 2 =<br />

u0<br />

q<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

indica l’ampiezza del moto di risposta, mentre l’angolo φ, definito dalle relazioni:<br />

sin(φ) =− A2<br />

¯X =<br />

cos(φ) = A1<br />

¯X =<br />

2ξβ<br />

q<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

1 − β 2<br />

q<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

(2.44)<br />

(2.45)<br />

è detto la differenza di fase tralaforzanteedilmotodirisposta.<br />

La soluzione generale del moto forzato si ottiene sommando la soluzione particolare<br />

[eq. (2.42)] dell’equazione non omogenea alla soluzione generale [eq. (2.20)] dell’equazione<br />

omogenea, e risulta:<br />

x(τ) =e −ξτ [C1 sin(δτ)+C2 cos(δτ)] +<br />

u0<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

£ (1 − β 2 )sin(βτ) − 2ξβ cos(βτ) ¤<br />

(2.46)<br />

Ottenuta l’espressione esplicita di ˙x(τ) derivando il secondo membro dell’eq. (2.46), la<br />

forma esplicita del moto di risposta si determina imponendo le condizioni iniziali (x(0) =<br />

x0, ˙x(0) = y0), e quindi calcolando le costanti C1 e C2:<br />

x(τ) =e −ξτ<br />

· 1<br />

δ<br />

µ<br />

x0ξ + y0 + u0(2ξ 2 − 1 + β 2 )β<br />

µ<br />

x0 +<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

2ξβu0<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

u0<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

<br />

sin(δτ)+<br />

¸<br />

cos(δτ) +<br />

£ (1 − β 2 )sin(βτ) − 2ξβ(βτ) ¤<br />

(2.47)


2.3 Oscillazioni forzate armonicamente 17<br />

In presenza di smorzamento (ξ > 0), la parte dell’eq. (2.47) che dipende dalle condizioni<br />

iniziali, cioè la soluzione dell’equazione omogenea, diminuisce esponenzialmente al crescere<br />

di τ e tende a zero per per τ →∞; in pratica per τ abbastanza grande questo termine<br />

diverrà trascurabile a confronto di quello che dipende dalle caratteristiche della forzante.<br />

Quindi nei sistemi dotati di smorzamento si possono distinguere due fasi della risposta: una<br />

prima, per tempi vicini a quello iniziale, in cui il moto è influenzato dalle condizioni iniziali,<br />

detta fase transitoria; una seconda, espressa dalla sola eq. (2.42), detta fase stazionaria,<br />

in cui il moto di risposta non dipende dalle condizioni iniziali ma solo dalle caratteristiche<br />

della forzante. Ovviamente la separazione tra queste due fasi è convenzionale, in quanto il<br />

passaggio dall’una fase all’altra è continuo e, a rigore, la fase stazionaria si raggiunge solo<br />

quando τ = ∞. In pratica però si può, con qualche arbitrio, scegliere un valore di τ oltre<br />

il quale il contribito del termine (2.20) all’ampiezza totale del moto diviene trascurabile e<br />

considerare stazionario il moto nel tempo successivo.<br />

Poiché, come si riconosce guardando la figura 2.4a, anche per valori piccoli di ξ le<br />

oscillazioni libere si smorzano dopo un numero limitato di cicli, è interessante puntare<br />

l’attenzione sulla parte stazionaria della risposta. Dall’eq. (2.42) appare evidente che ¯x(τ)<br />

è periodica di periodo 2π/β in τ e quindi di periodo 2π/ωf in t;cioèlostessodellaforzante.<br />

L’ampiezza massima della risposta ¯ X è quella data dall’eq. (2.43), da cui si ricava che:<br />

¯X<br />

u0<br />

1<br />

= D = q<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

(2.48)<br />

Il fattore D è detto coefficiente di amplificazione dinamica, in quanto è il raporto tra lo<br />

spostamento massimo della risposta dinamica e lo spostamento u0 = F0/k che sarebbe<br />

prodotto dalla forza F0 qualora agisse staticamente. Per β =0D = 1; alcrescerediβ<br />

generalmente D cresce fino a raggiungere un massimo per β soluzione dell’equazione:<br />

dD<br />

dβ ∼ β(−1 + β2 +2ξ 2 )=0<br />

Se 2ξ 2 < 1 questa equazione ammette una soluzione reale per:<br />

q<br />

βr = 1 − 2ξ 2<br />

cui corrisponde il valore massimo del coefficiente di amplificazione:<br />

(2.49)<br />

1<br />

Dmax =<br />

2ξ p 1 − ξ 2<br />

(2.50)<br />

Facendo crescere β oltre il valore βr, D decresce e per β →∞D → 0. L’andamento del<br />

coefficiente di amplificazione in funzione di β e per alcuni valori dello smorzamento ξ è<br />

mostrato nella fig. 2.5. Se ξ ¿ 1 l’amplificazione massima si verifica per βr ' 1,<br />

cioè quando ωf ' ω; con la stessa approssimazione l’amplificazione massima e circa 1/2ξ.<br />

La frequenza per cui l’ampiezza della risposta è massima si chiama di risonanza:<br />

q<br />

ωr = ω 1 − 2ξ 2<br />

Nei sistemi debolmente smorzati la frequenza di risonanza praticamente coincide con la<br />

frequenza delle oscillazioni libere (non smorzate) della struttura, indicata anche come<br />

frequenza naturale dell’oscillatore. L’amplificazione massima che si verifica alla risonanza


2.3 Oscillazioni forzate armonicamente 18<br />

D<br />

10.0<br />

8.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

0.0 1.0 2.0 3.0<br />

ϒΖ∂<br />

f Λ∂<br />

Figura~2.5: Coefficiente di amplificazione dinamica in funzione di β e ν; in linea spessa è<br />

indicata la congiungente i punti di massima amplificazione<br />

cresce inversamente allo smorzamento; nei sistemi debolmente smorzati (ξ ¿ 1) Dmax À 1<br />

e tende all’infinito nel caso di smorzamento nullo. Così, nei sistemi con debole smorzamento,<br />

se la frequenza della forzante si avvicina alla frequenza naturale dell’oscillatore, il<br />

moto di risposta risulta grandemente amplificato; in questo modo anche una piccola forza,<br />

se pulsa alla frequenza di risonanza della struttura, può produrre spostamenti, e quindi<br />

sollecitazioni, molto grandi e pericolosi.<br />

Il ritardo di fase φ, espresso dalle equazioni (2.45), è diagrammato in fig. 2.6 in funzione<br />

di β e per alcuni valori dello smorzamento ξ. Per sistemi debolmente smorzati (al limite<br />

con smorzamento nullo) quando β < 1 φ ∼ 0, cioè la risposta è praticamente in fase con<br />

l’eccitazione. Quando β siavvicinaad1ladifferenza di fase aumenta rapidamente, in<br />

modo che per β = 1 si ha φ = π/2. Spostandosi ancora verso valori maggiori di β, φ<br />

aumenta rapidamente, approssimando π; inquestocasolarispostaèinopposizione di fase<br />

all’eccitazione, in quanto l’una raggiunge il massimo positivo quando l’altra è al massimo<br />

negativo e viceversa. Il passaggio dalla risposta in fase ed in opposizione di fase è tanto<br />

più brusco quanto più lo smorzamento è piccolo, come mostrato dalla fig. 2.6; al limite per<br />

sistemi non smorzati passa da φ =0per β < 1 a φ = π per β > 0 in modo discontinuo.<br />

Questa caratteristica del cambiamento di fase viene utilizzata per individuare la frequenza<br />

di risonanza di un oscillatore.<br />

In figura 2.7 sono rappresentate le storie degli spostamenti di due oscillatori, con lo<br />

stesso coefficiente di smorzamento ξ =0.05, soggetti all’azione di una forza di periodo<br />

β = ωf/ω =0.9 il primo (a), e β = 1.1 il secondo (b). È evidente che nel primo caso, dopo<br />

la fase transitoria, la risposta è praticamente in fase con la forzante, mentre nel secondo<br />

si ha opposizione di fase.<br />

↑=Ζ=ΜΚΜ<br />

↑=Ζ=ΜΚΜΡ<br />

↑=Ζ=ΜΚΝΜ<br />

↑=Ζ=ΜΚΡΜ


2.3 Oscillazioni forzate armonicamente 19<br />

∞<br />

3.14<br />

1.57<br />

0.00<br />

↑=Ζ=ΜΚΜΝ<br />

↑=Ζ=ΜΚΜΡ<br />

↑=Ζ=ΜΚΝΜ<br />

↑=Ζ=ΜΚΠΜ<br />

0.0 1.0 2.0 3.0<br />

ϒ<br />

Figura~2.6: Differenza di fase tra forzante e risposta in funzione di β e del coefficiente di<br />

smorzamento ν<br />

2.3.1 Energia dissipata<br />

Il lavoro svolto dalla forza esterna F (t) in un ciclo del moto stazionario, si calcola facilmente<br />

avendo determinato la legge del moto di risposta. Infatti si ha:<br />

W =<br />

Z Tf<br />

0<br />

F0 sin(ωft) ˙x(t) dt (2.51)<br />

in cui Tf =2π/ωf indica il periodo della forza F (t). Quindi sostituendo ad x(t) l’espressione<br />

esplicita del moto stazionario (2.43), tenendo conto della (2.44), della (2.48) e delle<br />

definizioni di β, τ e u0, dall’eq.(2.51) si deduce:<br />

W = DF 2 0 ωf<br />

k<br />

Z 2π/ωf<br />

0<br />

sin(ωft)cos(ωft − φ) dt = DF 2 0<br />

k<br />

π sin(φ) (2.52)<br />

Quindi rendendo espliciti i termini D e sin(φ) mediante sostituzione delle equazioni (2.48)<br />

e (2.45), si ha:<br />

W = F 2 0 4πξβ<br />

2k (1 − β2 ) 2 +4ξ2β2 (2.53)<br />

Il primo termine nel secondo membro dell’eq. (2.53), F 2 0 /2k è il lavoro fatto dalla forza<br />

F0 applicata staticamente, nel ciclo di carico; il secondo termine tiene conto della legge<br />

ciclica di applicazione della forza e degli effetti dinamici. È facile verificare che l’espressione<br />

(2.53) del lavoro fatto dalla forza esterna in un ciclo coincide con quello dissipato dall’unico<br />

elemento non conservativo dell’oscillatore ed espresso dall’integrale:<br />

Z Tf<br />

0<br />

c ˙x 2 (t) dt


2.3 Oscillazioni forzate armonicamente 20<br />

x<br />

x<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

-2.0<br />

-4.0<br />

-6.0<br />

6.0<br />

4.0<br />

2.0<br />

0.0<br />

-2.0<br />

-4.0<br />

-6.0<br />

0.0 20.0 40.0 60.0 80.0 100.0<br />

≥<br />

(a)<br />

0.0 20.0 40.0 60.0 80.0 100.0<br />

≥<br />

Figura~2.7: Storie degli spostamenti di due oscillatori con lo stesso coefficiente di smorzamento<br />

ν =0.05. Grafico (a): β =0.9; grafico (b): β = 1.1. Con linea tratteggiata è<br />

indicata la storia della forzante u0 sin(βτ)<br />

Il valore di W in funzione di β e per alcuni valori di ξ è rappresentato nel diagramma<br />

della figura 2.8. In tutti i casi il lavoro fatto si annulla per β → 0, come conseguenza<br />

del fatto che il sistema non è dissipativo nei confronti di forze applicate staticamente;<br />

inoltre si osservi come, per valori di β non troppo vicini ad uno, il lavoro fatto dal sistema<br />

cresca con lo smorzamento percentuale ξ: cioè i sistemi con coefficiente di smorzamento<br />

più grande dissipano una maggiore quantità di energia. Questa relazione però si inverte<br />

quando β ' 1, cioè in prossimità della risonanza: in tali condizioni l’energia dissipata dai<br />

sistemi debolmente smorzati aumenta molto rapidamente e raggiunge livelli anche molto<br />

più elevati di quelli relativi agli oscillatori dotati di maggior smorzamento.<br />

2.3.2 Rappresentazione complessa<br />

Se su di un piano cartesiano x, y si riporta un vettore ~u di modulo u0 e che forma un angolo<br />

βτ(mod 2π) con l’asse x, come mostrato nella figura 2.9, la componente di ~u sull’asse y<br />

ha ampiezza u0 sin(βτ), uguale all’ampiezza della forzante nell’equazione (2.37); facendo<br />

ruotare ~u con velocità angolare β la sua proiezione su y uguaglia l’ampiezza della forza<br />

applicata al sistema.<br />

(b)


2.3 Oscillazioni forzate armonicamente 21<br />

W<br />

1E+2<br />

1E+1<br />

1E+0<br />

1E-1<br />

1E-2<br />

1E-3<br />

0.0 1.0 2.0 3.0<br />

ϒ<br />

Figura~2.8: Lavoro fatto dalla forza sinusoidale applicata ad un oscillatore smorzato in<br />

un ciclo del moto stazionario<br />

Combinando i risultati (2.43) e (2.48), l’ampezza della risposta stazionaria si può<br />

scrivere:<br />

¯X(τ) =Du0 sin(βτ − φ) (2.54)<br />

Se sullo stesso piano dove viene riportato ~u si riporta anche il vettore ~x, dimoduloDu0 e<br />

che forma con ~u l’angolo −φ, i due vettori, ruotando solidalmente, descrivono, con le loro<br />

proiezioni su y, l’ampiezza della forzante e del moto di risposta.<br />

Se si interpreta il piano x, y come il piano dei numeri complessi, i vettori ~u e ~x si<br />

possono interpretare come le rappresentazioni dei numeri complessi:<br />

u0[cos(βτ)+i sin(βτ)] = u0e iβτ<br />

Du0[cos(βτ − φ)+i sin(βτ − φ)] = Du0e i(βτ−φ)<br />

↑=Ζ=ΜΚΜΝ<br />

↑=Ζ=ΜΚΜΡ<br />

↑=Ζ=ΜΚΝΜ<br />

↑=Ζ=ΜΚΟΜ<br />

↑=Ζ=ΜΚΡΜ<br />

(2.55)<br />

(2.56)<br />

Più in generale, ponendo Ue iβτ come termine noto nell’eq. (2.37), con U eventualmente<br />

complesso, e cercando la soluzione stazionaria dell’equazione così ottenuta nella forma<br />

Xe iβτ , dopo sostituzione nell’equazione (2.37), si ha:<br />

dacuisiottiene:<br />

La funzione<br />

X[−β 2 +2iβξ + 1]e −βτ = Ue −βτ<br />

X =<br />

H(β, ξ) =<br />

U<br />

1 − β 2 +2iβξ<br />

(2.57)<br />

= H(β, ξ)U (2.58)<br />

1<br />

1 − β2 +2iβξ = 1 − β2 − 2iβξ<br />

(1 − β2 ) 2 +4ξ2β2 (2.59)


2.3 Oscillazioni forzate armonicamente 22<br />

Figura~2.9: Rappresentazione vettoriale (o complessa) della forza e della risposta<br />

è detta funzione di trasferimento; la sua inversa 1 − β 2 +2iβξ è l’impedenza complessa del<br />

sistema. Posta in forma esponenziale la funzione di trasferimento si scrive:<br />

H(β, ξ) =||H||e −iψ<br />

(2.60)<br />

Èfacileverificare che il modulo di H coincide con il coefficiente di amplificazione; infatti:<br />

||H|| = q<br />

1<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

= D (2.61)<br />

mentre l’anomalia ψ coincide con il ritardo di fase φ, come si controlla confrontando le<br />

cos(ψ) =<br />

1 − β 2<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

sin(ψ) =<br />

2βξ<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

con l’eq. (2.45).<br />

Se U è reale ed uguale ad u0, per l’eq. (2.57) e per quanto visto sopra si ha:<br />

x(τ) =H(β, ξ)u0e iβτ = Du0e i(βτ−φ)<br />

(2.62)<br />

coincidente con la (2.56). Si è dunque determinata una soluzione complessa in conseguenza<br />

di una legge complessa della forzante. Poiché realmente sia la forzante che la risposta sono<br />

grandezze reali, la soluzione (2.62) si deve intendere come la combinazione delle risposte<br />

ad un’eccitazione cosinusoidale (parte reale) ed a quella sinusoidale (parte immaginaria).<br />

2.3.3 Isolamento alla base<br />

Si supponga che una macchina rotante eserciti una forza sinusoidale F0 sin(ωft) su di una<br />

struttura di fondazione di massa m, collegata al terreno mediante dei vincoli elastici di<br />

rigidezza k e viscosità c, come schematicamente illustrato nella figura 2.10; si è interessati<br />

alla determinazione della forza che il basamento trasmette al terreno.<br />

Poiché questa struttura è stata modellata come un sistema ad un grado di libertà, la<br />

risposta in spostamento ad una forzante armonica è data dall’eq. (2.47); in particolare la la


2.3 Oscillazioni forzate armonicamente 23<br />

Figura~2.10: Modellazione schematica del basamento di fondazione di una macchina<br />

legge della parte stazionaria è espressa nell’eq.(2.54). La forza che il basamento trasmette<br />

al terreno è evidentemente la somma delle forze assorbite dai vincoli, cioè la forza elastica<br />

kx(t) e la forza viscosa c ˙x(t). Quindi, tenendo conto della (2.54), si ottiene facilmente:<br />

FT (t) =kx(t)+c ˙x(t) =Du0[k sin(βτ − φ)+cβω cos(βτ − φ)]<br />

= DF0[sin(βτ − φ)+2ξβ cos(βτ − φ)] (2.63)<br />

in cui D è la funzione di amplificazione (2.48) e sono state utilizzate le uguaglianze (2.38)<br />

e (2.13).<br />

L’eq. (2.63) mostra che la forza FT , in condizioni stazionarie, segue una legge armonica<br />

con la pulsazione βω = ωf della forzante ed ampiezza:<br />

q<br />

|FT (t)| = F0D 1 +4ξ 2 β 2<br />

Quindi, sostituendo l’espressione di D fornita dall’eq. (2.48), si ottiene in forma esplicita il<br />

rapporto |FT |/F0 tra la forza trasmessa al terreno e quella esercitata dalla macchina sulla<br />

fondazione, chiamato la trasmissibilità del sistema:<br />

TR = |FT (t)|<br />

F0<br />

=<br />

s<br />

1 +4ξ 2 β 2<br />

(1 − β 2 ) 2 +4ξ 2 β 2<br />

(2.64)<br />

La trasmissibilità è rappresentata in fig. 2.11 in funzione di β eperdiversivaloridel<br />

coefficiente di smorzamento. Da questa figura appare evidente che TR = 1 per<br />

β → 0, cioè per azioni statiche, e cresce quando β approssima 1, con un’amplificazione che<br />

dipende dallo smorzamento. Superato 1 la trasmissibilità diminuisce e diviene inferiore<br />

ad 1 per β > √ 2. L’attenuazione è maggiore per i sistemi poco smorzati, così come era<br />

maggiore l’amplificazione per β ' 1.<br />

Dal grafico di fig. (2.11) appare evidente che se si vuole ridurre gli effetti trasmessi dal<br />

macchinario al terreno (e quindi attraverso questo alle strutture circostanti) occorre che<br />

TR ¿ 1, il che si ottiene mediante un sistema in cui β = ωf/ω À √ 2, ciò che significa<br />

che la fondazione deve avere una frequenza propria molto minore di quella della forzante.<br />

Dallo stesso grafico sembrerebbe essere conveniente ridurre al minimo lo smorzamento,<br />

perché in questo modo si riduce la trasmissibilità, ma non è prudente eccedere, perché i


2.4 Risposta ad un’azione periodica 24<br />

T R<br />

100.00<br />

10.00<br />

1.00<br />

0.10<br />

0.01<br />

0.0 1.0 _<br />

2.0 3.0 4.0<br />

ϒ=Ζ=∂ ∂<br />

Figura~2.11: Funzione di trasmissibilità di un sistema eccitato armonicamente<br />

sistemi poco smorzati hanno l’inconveniente di attenuare lentamente gli effetti transitori<br />

e,nelcasosidovesseverificare un’azione di frequenza vicina a quella naturale del sistema,<br />

darebbero luogo a pericolose amplificazioni. Valori dello smorzamento prossimi al 10%<br />

rappresentano di solito un buon compromesso tra queste due esigenze.<br />

2.4 Risposta ad un’azione periodica<br />

Spesso le azioni trasmesse da macchinari alle strutture sono periodiche di periodo Tf, cioè<br />

soddisfano la condizione:<br />

F (t + Tf) =F (t) ∀t<br />

ma non sono semplicemente armoniche, cioè non possono essere rappresentate in modo<br />

soddisfacente con una semplice funzione sinusoidale o cosinusoidale. Tuttavia è ben noto<br />

che le funzioni periodiche possono essere espresse mediante uno sviluppo in serie di funzioni<br />

armoniche; questa serie è nota come serie di Fourier.<br />

Da un punto di vista operativo è più comodo utilizzare la rappresentazione sotto forma<br />

di esponenziali complessi delle funzioni armoniche, perché così si ottengono risultati in<br />

forma più compatta; si potrà poi fare uso di quanto visto nel § 2.3.2 per interpretare i<br />

risultati espressi in forma complessa.<br />

Se F (t) è periodica di periodo Tf, si potrà allora porre:<br />

in cui<br />

F (t) =a0 +<br />

∞X<br />

n=−∞<br />

n6=0<br />

ωn = 2nπ<br />

Tf<br />

Ane iωnt<br />

↑ΖΜΚΜΝ<br />

↑ΖΜΚΜΡ<br />

↑ΖΜΚΝΜ<br />

↑ΖΜΚΟΜ<br />

↑ΖΜΚΘΜ<br />

↑ΖΜΚΣΜ<br />

(2.65)<br />

(2.66)


2.4 Risposta ad un’azione periodica 25<br />

èlapulsazionedell’n-esima armoninica in cui è decomposta la funzione F (t), mentreAn<br />

indica la corrispondente ampiezza complessa. Moltiplicando entrambi i membri dell’equazione<br />

(2.65) per exp(−iωjt) ed integrando il risultato su di un periodo, si ottiene:<br />

Z Tf<br />

0<br />

F (t)e −iωjt dt = a0<br />

da cui si deduce:<br />

Z Tf<br />

0<br />

e −iωjt dt +<br />

a0 = 1<br />

Tf<br />

Aj = 1<br />

Tf<br />

∞X<br />

n=−∞<br />

n6=0<br />

Z Tf<br />

0<br />

Z Tf<br />

0<br />

An<br />

Z Tf<br />

0<br />

F (t) dt<br />

F (t)e −iωjt dt<br />

e i(ωn−ωj)t dt =<br />

½ Tfa0 se j =0<br />

TfAj se j 6= 0<br />

(2.67)<br />

(2.68)<br />

Negli sviluppi dell’eq. (2.67) si è tenuto conto che le funzioni e iωnt ,perωn 6= 0,sono<br />

periodiche e pertanto il loro integrale su di un intervallo multiplo del loro periodo è nullo.<br />

Per l’eq. (2.65) la forza periodica F (t) è stata decomposta nella somma di una forza<br />

costante a0 ediinfinite forze variabili con legge armonica di ampiezza ||An|| eperiodo<br />

ωn =2nπ/Tf. Per la linearità del sistema, la parte stazionaria della risposta sarà la<br />

somma delle risposte dello stesso sistema a queste forzanti armoniche agenti singolarmente.<br />

Si potrà allora porre:<br />

¯x(t) =b0 +<br />

∞X<br />

n=−∞<br />

n6=0<br />

Bne iωnt<br />

(2.69)<br />

Sostituendo le equazioni (2.65), (2.69) e le sue derivate nell’equazione di equilibrio dinamico<br />

(2.35) si ha:<br />

−<br />

∞X<br />

ω 2 nBne iωnt +2iωξ<br />

∞X<br />

ωnBne iωnt + ω 2<br />

⎛<br />

⎜<br />

⎝b0 +<br />

∞X<br />

Bne iωnt<br />

⎞<br />

⎟<br />

⎠ =<br />

n=−∞<br />

n6=0<br />

n=−∞<br />

n6=0<br />

1<br />

m<br />

n=−∞<br />

n6=0<br />

⎛<br />

⎜<br />

⎝ a0 +<br />

∞X<br />

n=−∞<br />

n6=0<br />

Ane iωnt<br />

⎞<br />

⎟<br />

⎠ (2.70)<br />

da cui, uguagliando i termini costanti ed i coefficienti delle funzioni e iωnt , si ottengono le<br />

espressioni dei coefficienti dello sviluppo della risposta:<br />

b0 = a0<br />

k<br />

Bn =<br />

An<br />

m(ω 2 − ω 2 n +2iξωωn) =<br />

An<br />

k(1 − β 2 n +2iξβn) = H(βn, ξ) An<br />

k<br />

(2.71a)<br />

(2.71b)<br />

in cui β n = ωn/ω ed H indica la funzione di trasferimento complessa, definita dall’eq.<br />

(2.59).


2.4 Risposta ad un’azione periodica 26<br />

Infine, sostituendo le soluzioni (??) nell’eq. (2.69) si ricava l’espressione esplicita della<br />

risposta stazionaria del sistema alla forzante periodica F (t):<br />

¯x(t) = 1<br />

⎡<br />

⎢<br />

k ⎣a0 +<br />

∞X<br />

H(βn, ξ)Ane iωnt<br />

⎤<br />

⎥<br />

⎦<br />

(2.72)<br />

n=−∞<br />

n6=0<br />

Se F (t) èrealeAn e A−n formano coppie di numeri complessi coniugati; così i termini<br />

dello sviluppo (2.65) sono, per valori opposti di n, complessi coniugati e la somma delle<br />

coppie<br />

Ane iωnt + A−ne −iωnt =2


2.5Rispostaadunaforzaimpulsiva 27<br />

Figura~2.12: Approssimazione della funzione “onda quadra” mediante somma dei primi<br />

termini (n


2.5Rispostaadunaforzaimpulsiva 28<br />

A n , B n<br />

5.0<br />

4.0<br />

3.0<br />

2.0<br />

1.0<br />

0.0<br />

Ampiezza armoniche forzante A n<br />

Ampiezza armoniche di risposta B n<br />

1 3 5 7 9<br />

∂ n<br />

Figura~2.13: Ampiezza del modulo dei coefficienti dello sviluppo della forzante e della<br />

risposta<br />

Figura~2.14: Risposta stazionaria di un oscillatore di frequenza ω = 3.5 sec −1 e<br />

smorzamento 5% ad un’onda quadra di periodo 2π


2.5Rispostaadunaforzaimpulsiva 29<br />

Integrando entrambi i membri di questa equazione nell’intervallo [t, t + ∆t], siha:<br />

m ˙x(t + ∆t) − m ˙x(t) =<br />

Z t+∆t<br />

t<br />

f(θ) dθ (2.74)<br />

Il prodotto della massa per la velocità è la quantità di moto del sistema, l’integrale a<br />

secondo membro è detto l’impulso prodotto dalla forza f(t) nel tempo ∆t. L’eq. (2.74) dimostra<br />

che la variazione della quantità di moto in un intervallo di tempo uguaglia l’impulso<br />

prodotto dalla risultante di tutte le forze agenti nello stesso tempo.<br />

Se ad un sistema in quiete, al tempo t =0, viene applicata una forza di intensità F0<br />

costante per un tempo ∆t, la funzione di risposta del sistema x(t) può essere sviluppata in<br />

serie di Taylor nell’intorno di t =0; tenendo conto che per ipotesi si ha x(0) = ˙x(0) = 0,<br />

lo sviluppo diviene:<br />

x(t) =O(t 2 ) (2.75)<br />

in cui O(tn ) indica un infinitesimo dello stesso ordine di tn .<br />

Applicando l’equazione (2.74) all’oscillatore di massa m, rigidezza k e smorzamento c,<br />

si ha, ponendo t =0e tenendo conto che il sistema è inizialmente in quiete:<br />

Z ∆t<br />

m ˙x(∆t) = (F0 − c ˙x(θ) − kx(θ)) dθ<br />

0<br />

Nel secondo membro di questa equazione, l’integrale di ˙x fornisce lo spostamento x(∆t)<br />

che, per l’eq. (2.75) è infinitesimo di ordine ∆t 2 , mentre l’integrale della funzione x(t)<br />

risulterà di conseguenza infinitesimo di orine ∆t 3 . Qindi si potrà scrivere:<br />

m ˙x(∆t) =F0∆t + O(∆t 2 )<br />

Da questa equazione, per ∆t → 0, si ottiene, a meno di infinitesimi di ordine superiore al<br />

primo, la velocità dell’oscillatore al tempo ∆t prodotta dall’impulso F0∆t:<br />

˙x(∆t) = F0<br />

∆t (2.76)<br />

m<br />

mentre lo spostamento, che si ottiene integrando la velocità, risulterà infinitesimo di ordine<br />

superiore ad uno.<br />

Cessata la forza, per t>∆t, il sistema è soggetto alle oscillazioni libere determinate<br />

dalle condizioni iniziali ˙x0 = ˙x(∆t) x0 = x(∆t) =0; ricordando l’eq. (2.23) con x0 =0ed<br />

il significato di δ ediy0 = ˙x0/ω si ha:<br />

x(τ) =e −ξτ sin(p 1 − ξ 2 τ)<br />

p 1 − ξ 2<br />

che espressa nel tempo effettivo t = τ/ω, diviene:<br />

x(t) = e−ωξt<br />

m<br />

F0<br />

∆τ (2.77)<br />

k<br />

sin(ω p 1 − ξ 2 t)<br />

ω p 1 − ξ2 F0∆t (2.78)


2.6 Risposta ad un’azione non periodica 30<br />

2.6 Risposta ad un’azione non periodica<br />

2.6.1 Integrale di Duhamel<br />

Se ora si suppone che sul sistema agisca una forza variabile con legge di tipo arbitrario<br />

F (t), questa si può pensare decomposta in infiniti impulsi di intensità F (t) e di durata<br />

infinitesima dt. La risposta del sistema in quiete a ciascuno di questi impulsi si può<br />

determinare applicando l’eq. (2.78), tenendo però conto che ora l’azione è applicata non<br />

nell’origine ma al tempo generico θ, per cui la risposta al tempo t sarà:<br />

dx(t) = e−ξω(t−θ)<br />

m<br />

sin[ωD(t − θ)]<br />

F (θ) dθ (2.79)<br />

in cui si è fatto uso della posizione (2.28). Per la linearità del sistema, la funzione di risposta<br />

all’intera storia della forza F (θ) nel tempo (t0,t) si ottiene sommando i contributi di tutti<br />

gli impulsi infinitesimi in cui è stata idealmente decomposta, al limite la sommatoria tende<br />

ad un integrale e così per la (2.79) si ottiene:<br />

x(t) =<br />

Z t<br />

t0<br />

ωD<br />

e−ξω(t−θ) sin[ωD(t − θ)]<br />

F (θ) dθ (2.80)<br />

m<br />

Quest’ultima equazione può essere anche scritta in forma sintetica:<br />

in cui<br />

x(t) =<br />

Z t<br />

t0<br />

h(t) = e−ξωt<br />

m<br />

ωD<br />

h(t − θ)F (θ) dθ (2.81)<br />

sin(ωDt)<br />

ωD<br />

(2.82)<br />

è la funzione di risposta ad impulso dell’oscillatore di massa m, frequenza angolare ω e<br />

smorzamento ξ.<br />

Se nell’eq. (2.81) si esegue un cambiamento della variabile di integrazione, ponendo<br />

t 0 = t − θ, si ottiene l’espressione alternativa:<br />

Z t−t0<br />

x(t) = h(t<br />

0<br />

0 )F (t − t 0 ) dt 0<br />

(2.83)<br />

La variabile t0 rappresenta il tempo trascorso tra il momento di applicazione della forza e<br />

quello di osservazione; è evidente che per valori negativi di t0 si ha h(t0 ) ≡ 0, altrimenti<br />

l’effetto precederebbe l’azione. Quindi, con questa posizione, il limite inferiore dell’integrale<br />

(2.83) può essere esteso a −∞ senza modificare il risultato. Poi, portando l’origine<br />

dei tempi all’infinito, cioè ponendo t0 = −∞, l’eq. (2.83) diviene2 :<br />

Z ∞<br />

x(t) =<br />

h(t<br />

−∞<br />

0 )F (t − t 0 ) dt 0<br />

(2.84)<br />

per cui la risposta stazionaria si ottiene come prodotto di convoluzione tra la forza F (t) e<br />

la funzione di risposta ad impulso h(t).<br />

2 Questo non modifica il risultato, se per esempio si assume che F (t) ≡ 0 per t


2.6 Risposta ad un’azione non periodica 31<br />

2.6.2 Integrazione diretta delle equazioni del moto<br />

L’equazione (2.81) [o (2.84)] ha un’importanza più concettuale che pratica, poiché se,<br />

come spesso avviene, l’integrale non può essere svolto analiticamente, il procedimento di<br />

calcolo della risposta basato sulla quadratura numerica dell’integrale (2.80) risulta del<br />

tutto inefficiente. Infatti esso fornisce la risposta ad un fissato istante di tempo t, e<br />

dovrebbe pertanto essere ripetuto tante volte quanti sono i punti dell’asse dei tempi in cui<br />

si vuole conoscere la risposta.<br />

Molto più efficienti sono a questo scopo i procedimenti basati sull’integrazione diretta<br />

(numerica) delle equazioni del moto: questi procedimenti hanno inoltre il vantaggio<br />

di non richiedere che la struttura abbia un comportamento lineare. Infatti, se la legge<br />

forza- spostamento del nostro oscillatore fosse non-lineare, l’equazione del moto si potrebbe<br />

riscrivere:<br />

m¨x(t)+c ˙x(t)+r(x, ˙x) =F (t)<br />

in cui il termine non lineare r(x, ˙x) sostituisce il termine lineare kx. L’integrazione di<br />

questa equazione non richiede in sostanza un impegno di calcolo superiore a quello dell’analoga<br />

equazione lineare, se non per l’eventuale maggior onere necessario per il calcolo<br />

della funzione r(x) che sostituisce il semplice prodotto kx. Inoltre, mentre per la soluzione<br />

del problema lineare sono disponibili diversi metodi alternativi, per quanto riguarda l’analisi<br />

delle strutture non lineari l’integrazione diretta delle equazioni del moto è in pratica<br />

la sola via perseguibile.<br />

Vi sono diverse famiglie di algoritmi per la soluzione numerica delle equazioni differenziali;<br />

quelli utilizzati nell’analisi sismica delle strutture vengono normalmente classificati<br />

in due tipi: algoritmi espliciti ed algoritmi impliciti. I primi, di più semplice applicazione,<br />

consentono di determinare il valore della funzione integranda (x, ˙x) al passo k + 1 direttamente<br />

in funzione delle stesse grandezze al passo precedente e dell’equazione di equilibrio<br />

scritta nel passo k; i secondi invece richiedono che l’equazione di bilancio sia soddisfatta<br />

anche nel passo k + 1, ciò che, nei sistemi non lineari, richiede che si compiano delle iterazioni.<br />

I metodi impliciti sono generalmente più accurati di quelli espliciti ed inoltre, per<br />

opportune scelte dei parametri, sono incondizionatamente stabili.<br />

Un algoritmo si dice stabile se la soluzione che fornisce non diverge; la stabilità non implica<br />

accuratezza, poiché la soluzione numerica potrebbe differire di molto da quella esatta,<br />

pur restando limitata. La stabilità delle soluzioni numeriche dell’equazione dell’oscillatore<br />

può essere studiata in via generale solo nel caso lineare; da questo studio si deduce che la<br />

condizione di stabilità è in genere soddisfatta solo se il passo di integrazione, cioè l’intervallo<br />

di tempo esistente tra due successivi istanti in cui viene calcolata la risposta della<br />

struttura, è minore di una frazione del periodo proprio della struttura; in questo caso la<br />

stabilità è condizionata alla scelta di un passo di integrazione sufficientemente piccolo e<br />

pertanto l’algoritmo si classifica come condizionatamente stabile.<br />

In alcuni casi, per gli algoritmi impliciti, la condizione di stabilità è soddisfatta qualunque<br />

sia il valore del passo di integrazione: questi algoritmi si dicono incondizionatamente<br />

stabili. Naturalmente questo non autorizza ad adottare passi di grandezza arbitraria; se si<br />

desidera che la soluzione sia accurata il passo deve essere sufficientemente piccolo. Tuttavia<br />

vi sono dei casi, nell’analisi di sistemi con molti gradi di libertà, in cui nelle equazioni<br />

compaiono dei termini irrilevanti, per i quali non è richiesta accuratezza, ma solo che<br />

restino limitati, in modo da non alterare apprezzabilmente la soluzione; in questi casi la<br />

stabilità incondizionata dell’integratore diviene un requisito importante al fine di ottenere


2.6 Risposta ad un’azione non periodica 32<br />

soluzioni accurate. Questi aspetti saranno richiamati più avanti, dopo aver trattato delle<br />

strutture con molti gradi di libertà.<br />

Un esempio di algoritmo esplicito: il metodo delle differenze centrali<br />

Un algoritmo esplicito molto semplice e largamente usato nell’analisi dinamica delle strutture<br />

è il metodo delle differenze centrali. Esso è basato sull’idea che, nelle equazioni<br />

dinamiche, le derivate prime e seconde delle funzioni incognite siano sostituibili con le<br />

differenze finite centrali. Se l’asse dei tempi è diviso in intervalli di uguale ampiezza ∆t,<br />

indicando con il pedice k tutte le grandezze relative all’istante tk = k∆t, ledifferenze finite<br />

al passo k-esimo sono date dalle relazioni:<br />

˙xk = xk+1 − xk−1<br />

2∆t<br />

¨xk = xk+1 − 2xk + xk−1<br />

∆t2 (2.85)<br />

Sostutuendo queste espressioni nell’equazione dinamica dell’oscillatore relativa al tempo<br />

tk, che in modo relativamente generale si potrà scrivere:<br />

¨xk +2ωξ ˙xk + r(xk) =f(tk) (2.86)<br />

si ottiene un’equazione in cui compaiono le grandezze xk ed xx−1, che sono note, e l’unica<br />

incognita xk+1, che può quindi facilmente essere calcolata. In modo analogo, conoscendo<br />

ora il valore di x ai passi k + 1 e k, si può determinarne il valore al passo k +2; il procedimento<br />

viene ripetuto per tutti i passi e consente di ottenere la soluzione, approssimata,<br />

dell’equazione differenziale (2.86).<br />

Ad ogni passo la soluzione dipende dal valore della funzione nei due passi precedenti;<br />

nelle condizioni iniziali (al tempo t0) questo pone qualche problema perché in tal caso non<br />

esiste un passo precente. Tuttavia all’istante iniziale devono essere noti il valore di x0, e<br />

quello della sua derivata prima ˙x0 e quindi, grazie all’equazione dinamica (2.86) scritta<br />

per k =0, anche l’accelerazione ¨xk. Allora dalle equazioni (2.85) scritte per k =0,sipuò<br />

eliminare il termine x1 ed ottenere un’equazione in cui compaiono x0, ˙x0, ¨x0, che sono<br />

noti, e x−1. Risolvendo questa equazione rispetto alla sola incognita si ottiene:<br />

∆t<br />

x−1 = x0 − ˙x0∆t +¨x0<br />

2<br />

2<br />

che, insieme ad x0, viene usato come valore di innesco del processo di integrazione.<br />

Un procedimento implicito: il metodo di Newmark<br />

La famiglia di metodi di integrazione ideata da Newmark, si basa sulla stima del valore<br />

della funzione incognita e della sua derivata prima alla fine del passo, mediante l’integrazione<br />

della funzione accelerazione, che viene approssimata con una legge arbitraria tra i<br />

valori che assume agli estremi del passo; si pone quindi:<br />

˙xk+1 = ˙xk +[¨xk(1 − α)+¨xk+1α]∆t<br />

xk+1 = xk + ˙xk∆t +[¨xk(1 − β)+¨xk+1β] ∆t2<br />

(2.87)<br />

2<br />

Il tipo di legge interpolante usato per l’accelerazione dipende dai valori assegnati ai<br />

coefficienti α e β, che possono variare tra 0 ed 1. Porre α = β = 1/2 è equivalente ad


2.6 Risposta ad un’azione non periodica 33<br />

un’accelerazione costante, uguale alla media dei valori iniziale e finale (metodo dell’accelerazione<br />

media); per α = 1/2 e β = 1/3 la legge di interpolazione tra i valori estremi<br />

dell’intervallo è lineare.<br />

Come si vede dall’eq. (2.87), i valori finali di x ed ˙x al passo k + 1 dipendono dall’accelerazione<br />

di fine passo, la quale a sua volta dipende, tramite l’equazione (2.86), da xk+1<br />

ed ˙xk+1. Pertanto la soluzione richiede generalmente delle iterazioni: fissato un valore<br />

di prima approssimazione per ¨xk+1 (p.es. uguale al valore del passo precedente) si determinano,<br />

mediante le eq. (2.87), xk+1 e ˙xk+1. Sostituendo questi valori nell’eq. (2.87), si<br />

calcola ¨xk+1 e quindi xk+1 e ˙xk+1; il procedimento viene iterato fin quando il risultato non<br />

èstabile.<br />

I metodi impliciti sono, come si è visto, più onerosi perché richiedono ad ogni passo<br />

alcune iterazioni, e quindi più calcoli; per contro sono in genere più accurati, e questo consente<br />

di impiegare un passo di integrazione più grande, il che significa un minor numero<br />

di passi, riducendo così sensibilmente il loro svantaggio. Inoltre, per opportune scelte dei<br />

parametri α e β, il metodo di Newmark è incondizionatamente stabile, cioè la soluzione<br />

resta limitata anche se il passo di integrazione è grande rispetto al periodo proprio dell’oscillatore:<br />

come si vedrà più avanti, questa proprietà è molto utile per sistemi con molti<br />

gradi di libertà.<br />

2.6.3 Stabilità, decadimento di ampiezza ed elongazione del periodo<br />

Si esaminano più in dettaglio le proprietà di stabilità e di accuratezza del metodo delle<br />

differenze centrali e del metodo di Newmark, come esempi di procedure esplicite ed implicite,<br />

rispettivamente. L’analisi verrà condotta con riferimento alle oscillazioni libere di<br />

un sistema non smorzato, la cui equazione del moto, utilizzando il tempo adimensionale<br />

τ = ωt, è (2.6):<br />

Stabilità del metodo delle differenze centrali<br />

¨x(τ)+x(τ) =0 (2.88)<br />

Introducendo la velocità come variabile autonoma e tenendo conto della (2.88), le equazioni<br />

(2.85) possono essere riscritte, dopo aver eliminato xk−1, nelseguentemodo:<br />

µ <br />

∆τ 2<br />

xk+1 = 1 + xk + ∆τ ˙xk<br />

2<br />

µ <br />

∆τ 3<br />

µ<br />

˙xk+1 = − ∆τ xk + 1 −<br />

4 ∆τ<br />

<br />

(2.89)<br />

˙xk<br />

2<br />

Queste equazioni si sintetizzano nella forma matriciale:<br />

xk+1 = Axk<br />

in cui xk è il vettore di stato del sistema al tempo τ k:<br />

(2.90)<br />

·<br />

xk<br />

xk =<br />

˙xk<br />

¸<br />

(2.91)<br />

mentre la matrice di trasformazione A è formata con i coefficienti delle equazioni (2.89):<br />

"<br />

∆τ 2<br />

1 −<br />

A = 2<br />

∆τ<br />

∆τ<br />

3<br />

4 − ∆τ<br />

#<br />

∆τ 2<br />

1 − 2<br />

(2.92)


2.6 Risposta ad un’azione non periodica 34<br />

Indicando con x0 il vettore delle condizioni iniziali ed applicando ripetutamente la<br />

(2.90), si ha:<br />

xk = A | · A {z ···A x0 } = A<br />

k volte<br />

k x0<br />

(2.93)<br />

La matrice A può essere diagonalizzata utilizzando la base dei suoi autovettori; indicando<br />

con Ψ la matrice degli autovettori di A econΛ la matrice diagonale degli autovalori, si<br />

ha: Λ = Ψ −1 AΨ; di conseguenza la matrice A si può decomporre nella forma normale:<br />

A = ΨΛΨ −1<br />

Sostituendo l’eq. (2.94) nella (2.93) si verifica facilmente che si ottiene:<br />

xk = ΨΛ k Ψ −1<br />

(2.94)<br />

(2.95)<br />

Poiché la matrice Λ è digonale, la sua k-esima potenza è la matrice (diagonale) i cui<br />

elementi sono gli stessi della matrice Λ elevati alla potenza k.<br />

Dalla (2.95) appare evidente che il comportamento della soluzione è governato dagli<br />

autovalori della matrice A. Se gli autovalori fossero reali la soluzione crescerebbe o decrescerebbe<br />

esponenzialmente, senza oscillare: quindi se si vuole che la soluzione sia oscillante,<br />

come è effettivamente quella esatta, gli autovalori λ1 e λ2 di A devono essere complessi<br />

coniugati e, affinché l’ampiezza delle oscillazioni non aumenti, cioè che la soluzione sia<br />

stabile, il modulo dei due autovalori non deve risultare maggiore di 1.<br />

Gli autovalori di una matrice si ottengono come radici dell’equazione caratteristica<br />

det(A − λI) =0<br />

in cui I indica la matrice unità. Per una matrice 2 × 2, l’equazione caratteristica è<br />

semplicemente:<br />

λ 2 − tr(A)λ + det(A) =0 (2.96)<br />

in cui tr(A) indica la traccia della matrice A. Poiché l’eq. (2.96) è un’equazione di secondo<br />

grado, la condizione che le sue radici siano complesse implica che il discriminante sia minore<br />

di zero, ossia che:<br />

tr(A) 2 − 4det(A) < 0<br />

Per il metodo delle differenze centrali la matrice A è espressa dall’eq. (2.92); sostituita<br />

nella precedente si ottiene la condizione:<br />

(2 − ∆τ 2 ) 2 − 4 < 0<br />

che, con l’ovvia condizione ∆τ > 0, ha come soluzione:<br />

0 < ∆τ < 2 (2.97)<br />

Se le soluzioni dell’equazione (2.96) sono complesse coniugate allora si ha che |λ| 2 =<br />

det(A); poichèèfacileverificare che risulta<br />

det(A) =1 (2.98)


2.6 Risposta ad un’azione non periodica 35<br />

ne segue che se è soddisfatta l’eq. (2.97) gli autovalori di A sono complessi, dunque la<br />

soluzione è oscillante, ed inoltre, poiché in tal caso |λ| = 1, èanchestabile.<br />

Se le soluzioni sono reali allora risulta:<br />

|λ| 2 Ã<br />

max = 1 −<br />

∆τ 2<br />

2 +<br />

r<br />

∆τ 2 ∆τ 4<br />

−<br />

4<br />

La condizione |λ| ≤ 1 implica ∆τ ≤ 2: pertanto si può concludere che il metodo delle differenze<br />

centrali è stabile se ∆τ ≤ 2 e fornisce anche una soluzione oscillante se èsoddisfatta<br />

la più restrittiva eq. (2.97), che nel tempo naturale t = τ/ω = τT/2π significa:<br />

∆t<br />

T<br />

< 1<br />

π<br />

! 2<br />

(2.99)<br />

Come si è notato in precedenza la condizione di stabilità non implica l’accuratezza della<br />

soluzione; essa è condizione necessaria, ma non sufficiente, perché la soluzione numerica<br />

dell’equazione differenziale approssimi quella esatta. Per giudicare circa l’accuratezza del<br />

metodo si esaminano altri due aspetti della soluzione: il decadimento dell’ampiezza e lo<br />

scorrimento del periodo.<br />

Gli autovalori di A, supponendo che le condizioni di stabilità siano verificate, sono<br />

complessi coniugati e quindi si possono porre nella forma:<br />

λ1 = |λ|e iφ<br />

λ2 = |λ|e −iφ<br />

in cui |λ| = det(A) 1/2 è il modulo e φ l’argomento degli autovalori. Al k-esimo passo di<br />

integrazione gli autovalori risultano elevati alla k-esima potenza, per cui si ha:<br />

λ k j = |λ| k e ±ikφ<br />

(j = 1, 2) (2.100)<br />

Se |λ| fosse maggiore di uno il modulo degli autovalori di A k crescerebbe indefinitamente<br />

con k, per cui il procedimento sarebbe instabile; viceversa se |λ| < 1 il modulo degli<br />

autovalori decresce e tende a zero per k →∞: la soluzione in questo caso è stabile ma<br />

si manifesta un decadimento dell’ampiezza delle oscillazioni, analogo a quello prodotto da<br />

un termine viscoso, che però nell’equazione (2.88) che stiamo integrando non è presente.<br />

Poiché la soluzione delle equazioni (2.88) è una combinazione di funzioni armoniche di<br />

periodo 2π, prendendo come passo di integrazione una frazione di questo periodo: ∆τ =<br />

2π/n, il decadimento di ampiezza in un periodo risulta:<br />

Dopo k iterazioni, tali che:<br />

|λ| n = |λ| 2π/∆τ<br />

kφ =2π<br />

(2.101)<br />

si ha xk/|λ| k = x0. Se ∆τ è il passo di integrazione, il periodo della soluzione numerica<br />

risulta pertanto<br />

Π ∗ = k∆τ = ∆τ 2π<br />

φ<br />

Lo scarto dal valore esatto Π =2π èdunque:<br />

Π ∗ − Π =2π<br />

µ ∆τ<br />

φ<br />

<br />

− 1


2.6 Risposta ad un’azione non periodica 36<br />

e lo scarto percentuale è dato da:<br />

Sp = T ∗ − T<br />

T<br />

= Π∗ − Π<br />

Π<br />

= ∆τ<br />

φ<br />

− 1 (2.102)<br />

Nel metodo delle differenze centrali, se è soddisfatta la condizione (2.99), si ha<br />

|λ| = det(A) 1/2 = 1<br />

per cui non si verifica decadimento di ampiezza. Inoltre risulta<br />

cos(φ) =<br />

che sostituita nella (2.102) da luogo a:<br />

tr(A) ∆τ 2<br />

= 1 −<br />

2det(A) 1/2 2<br />

∆τ<br />

Sp =<br />

arccos(1 − ∆τ 2 − 1<br />

/2)<br />

Sviluppando in serie questa funzione si ottiene la relazione approssimata:<br />

che, espressa in termini del tempo effettivo t, diviene:<br />

Sp = − π2<br />

6<br />

∆τ 2 17<br />

Sp = − −<br />

24 5760 ∆τ 4 + O(∆τ 6 ) (2.103)<br />

µ 2<br />

∆t<br />

−<br />

T<br />

π4<br />

360<br />

µ 4<br />

∆t<br />

+ O<br />

T<br />

" µ∆t #<br />

6<br />

T<br />

(2.104)<br />

Si può quindi concludere che al crescere del rapporto ∆t/T il periodo della soluzione<br />

numerica ottenuta con il metodo delle differenze centrali si discosta, risultando più piccolo,<br />

da quello esatto.<br />

Metodo di Newmark<br />

Quando il sistema è elastico lineare, l’equazione (2.88) può essere usata per esprimere ¨xk+1<br />

in funzione di xk+1 e ˙xk+1; questo permette di eliminare l’accelerazione di fine passo dalle<br />

equazioni (2.87), che così divengono esplicite, e si possono porre ancora nella forma (2.90),<br />

in cui la matrice A è:<br />

⎡<br />

⎢<br />

A = ⎢<br />

⎣<br />

2+(β − 1)∆τ 2<br />

2+β∆τ 2<br />

(α − β)∆τ 3 − 2∆τ<br />

2+β∆τ 2<br />

2∆τ<br />

2+β∆τ 2<br />

2+(β − 2α)∆τ 2<br />

2+β∆τ 2<br />

⎤<br />

⎥<br />

⎦<br />

(2.105)<br />

Esplicitamente, la condizione che gli autovalori siano complessi, e quindi la soluzione<br />

oscillante, si esprime ora:<br />

da cui segue:<br />

tr(A) 2 − 4 det(A) =∆τ 2 ∆τ 2 (1 − 8β +4α +4α 2 ) − 16<br />

(2 + β∆τ 2 ) 2<br />

∆τ <<br />

4<br />

p 1 +4(α 2 + α − 2β)<br />

< 0<br />

(2.106)


2.6 Risposta ad un’azione non periodica 37<br />

ovvero, nel tempo naturale t,<br />

∆t<br />

T <<br />

2<br />

π p 1 +4(α 2 + α − 2β)<br />

Se gli autovalori sono complessi si ha |λ| 2 = λ1λ2 =det(A); quindi la soluzione è stabile<br />

se:<br />

2+(1 + β − 2α)∆τ 2<br />

det(A) =<br />

2+β∆τ 2 ≤ 1<br />

Questa relazione è soddisfatta per qualunque valore di ∆τ che soddisfi la condizione<br />

(2.106), se risulta:<br />

α ≥ 1<br />

(2.107)<br />

2<br />

Se l’eq. (2.106) non è soddisfatta gli autovalori sono reali; in questo caso il modulo<br />

dell’autovalore maggiore è dato dalla relazione:<br />

|λmax| 2 =<br />

⎛<br />

⎝ tr(A)<br />

2 +<br />

s<br />

tr(A) 2<br />

4<br />

⎞<br />

− det(A) ⎠<br />

la condizione di stabilità, cioè che λmax ≤ 1, è soddisfatta se:<br />

√<br />

2<br />

∆τ ≤ √<br />

α − β<br />

(2.108)<br />

Si deve peraltro osservare che la condizione (2.107) deve comunque essere verificata, se<br />

si vuole che la soluzione resti stabile anche quando il passo di integrazione è abbastanza<br />

piccolo da soddisfare l’eq. (2.106).<br />

Se α = β ed α ≥ 0 l’equazione (2.108) è soddisfatta per qualsiasi valore di ∆τ; inquesto<br />

caso l’integratore si indica come incondizionatamente stabile; tuttavia la soluzione risulta<br />

oscillante solo se il passo di integrazione è abbastanza piccolo da soddisfare l’eq. (2.106),<br />

che per α = β ora si scrive:<br />

4<br />

∆τ <<br />

|1 − 2α|<br />

Un altro modo per avere condizioni di stabilità incondizionata, sempre ammesso che si<br />

abbia α ≥ 1/2, consiste nel rendere infinito il secondo membro dell’eq. (2.106): in tal modo<br />

la soluzione risulta sempre oscillante (perché è verificata l’eq. (2.106)) e stabile, perché è<br />

imposta la condizione (2.107). Annullando il denominatore del termine a secondo membro<br />

dell’eq. (2.106) si ottiene:<br />

1 +4(α 2 + α − 2β) =0<br />

cheèverificata se si pone;<br />

(1 +2α)2<br />

β = (2.109)<br />

8<br />

Poiché la condizione di stabilità richiede che si abbia α > 1/2, è conveniente porre<br />

α = 1<br />

+ ² (² ≥ 0)<br />

2


2.6 Risposta ad un’azione non periodica 38<br />

Sostituendo questa posizione nell’eq. (2.109) si ottiene la condizione per β:<br />

β =<br />

(1 + ²)2<br />

2<br />

Per ogni scelta di ² tale che 0 ≤ ² ≤ √ 2 − 1 si ottiene un procedimento che risulta incondizionatamente<br />

stabile. Si osservi che per ² =0si ha α = β = 1/2: questo dimostra<br />

che il metodo dell’accelerazione media è incondizionatamente stabile. Al contrario il metodo<br />

dell’accelerazione lineare (α = 1/2 β = 1/3) non è incondizionatamente stabile; la<br />

condizione di stabilità dell’equazione (2.108) diviene per questo caso:<br />

∆τ ≤ 2 √ 3<br />

Gli algoritmi di Newmark incondizionatamente stabili sono generalmente dissipativi,<br />

in quanto risulta che |λ| < 1. Infatti, ponendo α = β = 1/2+² il modulo degli autovalori<br />

complessi risulta:<br />

|λ| 2 =det(A) =<br />

4+(1 − 2²)∆τ 2<br />

4+(1 +2²)∆τ 2<br />

Ponendo invece α = 1/2+², β =(1 + ²) 2 /2, altra combinazione che rende il procedimento<br />

incondizionatamente stabile, si ha:<br />

|λ| 2 =det(A) = 4+(1 − ²)2 ∆τ 2<br />

4+(1 + ²) 2 ∆τ 2<br />

Quindi risulta evidente che |λ| < 1, con l’eccezione del caso ² =0. Il metodo dell’accelerazione<br />

media è il solo, tra gli algoritmi di Newmark, che sia incondizionatamente stabile<br />

e non presenti decadimento di ampiezza.<br />

Per ²>0 si manifesta un decadimento di ampiezza; dalle due combinazioni per cui il<br />

metodo risulta incondizionatamente stabile si ottengono risultati molto simili; nel seguito<br />

si fa riferimento alla scelta che rende la soluzione stabile ed oscillante. Sostituendo allora<br />

la precedente espressione di |λ| nell’eq. (2.101) si ottiene che la riduzione di ampiezza in<br />

un periodo è:<br />

·<br />

4+(1− ²) 2∆τ 2 ¸π/∆τ DA =<br />

4+(1 + ²) 2 ∆τ 2<br />

I primi termini dello sviluppo in serie di questa espressione sono:<br />

DA = 1 − π ² ∆τ + 1<br />

2 π2 ² 2 ∆τ 2 + O(∆τ 3 )<br />

Il logaritmo dell’inverso di DA è il decremento logaritmico delle oscillazioni libere; a<br />

questo decremento corrisponde uno smorzamento percentuale che si calcola con l’eq. (2.31).<br />

Sviluppando in serie di Taylor l’espressione che ne risulta si ha:<br />

ξ ∗ = 1 2² +3²3<br />

²∆τ −<br />

2 16 ∆τ 3 + O(∆τ 4 )<br />

Questo smorzamento non compare esplicitamente nelle equazioni del moto ma è equivalente,<br />

nel senso che produce gli stessi effetti dell’algoritmo numerico; per questo motivo è<br />

chiamato smorzamento numerico dell’algoritmo. Se ∆τ è sensibilmente inferiore ad uno,<br />

in modo che siano trascurabili gli infinitesimi superiori, lo smorzamento numerico è circa


2.6 Risposta ad un’azione non periodica 39<br />

²∆τ/2. Quindi, se si vuole ridurre il decadimento di ampiezza, occorre assumere valori<br />

piccoli di ² ed usare un piccolo passo di integrazione.<br />

Per determinare l’entità dello scorrimento del periodo si determina il coseno dell’argo-<br />

mento degli autovalori di A:<br />

cos(φ) =<br />

tr(A)<br />

2det(A) 1/2<br />

Quindi lo scorrimento di periodo si calcola con l’eq. (2.104). Per gli algoritmi incondizionatamente<br />

stabili ed oscillanti, ponendo α = 1/2+², β =(1+²) 2 /2, e sviluppando in serie<br />

di ∆τ, siha:<br />

Sp =<br />

1 +3²2<br />

12 ∆τ 2 + O(∆τ 4 )<br />

Per il metodo dell’accelerazione media si ha in particolare:<br />

Sp =<br />

∆τ 2<br />

12<br />

− ∆τ 4<br />

180 + O(∆τ 6 )<br />

mentre il metodo dell’accelerazione lineare (che non è incondizionatamente stabile) ha<br />

un’elogazione del periodo:<br />

Sp =<br />

∆τ 2<br />

24<br />

− 17<br />

5760 ∆τ 4 + O(∆τ 6 )<br />

Per ∆τ → 0 il metodo dell’accelerazione lineare produce lo stesso scarto di periodo del<br />

metodo delle differenze centrali (ma con segno opposto); al crescere di ∆τ però la situazione<br />

diviene più favorevole per il metodo di Newmark, come dimostra, nello sviluppo in serie<br />

della funzione Sp, ladifferenza di segno tra il termine quadratico e quello di quarto grado.


Capitolo 3<br />

Sistemidiscreticonpiùdiun<br />

grado di libertà<br />

3.1 Introduzione<br />

Gli oggetti reali, da un punto di vista macroscopico, sono continui e quindi caratterizzati<br />

da infiniti gradi di libertà. Tuttavia, come insegna la teoria delle strutture, i mezzi continui<br />

possono essere discretizzati, per esempio mediante la tecnica degli elementi finiti (e.f.), e<br />

le equazioni differenziali che ne descrivono il comportamento ridotte a sistemi di equazioni<br />

algebriche, la cui soluzione approssima quella esatta tanto meglio quanto più fitta è stata<br />

la discretizzazione impiegata.<br />

Analoghe considerazioni si applicano al problema dinamico, spesso in modo ancora<br />

più marcato, come avviene ad esempio quando la maggior parte della massa è associata a<br />

pochi gradi di libertà: in tal caso i gradi di libertà a cui è associata una massa trscurabile<br />

possono essere “condensati” e non compaiono più come incognite esplicite nelle equazioni<br />

del moto.<br />

Per esempio, prendendo in esame un telaio multipiano a maglie rettangolari, come<br />

quello illustrato nella fig. , se si trascura la deformabilità assiale delle travi e si ritiene che<br />

le masse associate ai gradi di libertà di rotazione dei nodi siano piccole in confronto con<br />

quelle relative alle traslazioni, tutte le masse si possono considerare concentrate a livello<br />

dei piani. Non essendovi masse (e quindi forze) associate agli altri gradi di libertà, la<br />

matrice di rigidezza della struttura può essere condensata, ponendo in relazione solo le<br />

forze applicate ai piani e gli spostamenti corrispondenti. 1<br />

Con la notazione delle matrici, l’equazione di equilibrio della struttura si scrive:<br />

Ku = f (3.1)<br />

in cui K indica la matrice delle rigidezze, u è il vettore degli spostamenti dei piani ed f<br />

èilvettoredelleforzeapplicateaipiani. Selesoleforzeapplicatesonoquelled’inerzia,<br />

1 La matrice condensata si può ottenere direttamente, p.es. mediante un programma ad e.f. standard,<br />

imponendo uno spostamento unitario ai nodi di un piano e spostamenti nulli agli altri: le reazioni che si<br />

ottengono formano una colonna della matrice di rigidezza condensata; variando a turno il piano a cui è<br />

imposto lo spostamento si determinano tutte le colonne.<br />

40


3.2 La matrice delle masse 41<br />

poichélemassesonoperipotesiconcentrateneipiani,siavrà:<br />

⎡<br />

⎢<br />

f = − ⎢<br />

⎣<br />

m1ü1<br />

⎤<br />

⎥<br />

⎦ = Mü<br />

m2ü2<br />

···<br />

mnün<br />

dove m1,...,mn sono le masse dei piani e M è la matrice diagonale:<br />

⎡<br />

⎤<br />

m1 0 ··· 0<br />

⎢<br />

M = ⎢ 0 m2 ··· 0 ⎥<br />

⎣ .................. ⎦<br />

0 0 ··· mn<br />

(3.2)<br />

detta matrice delle masse. Sostituendo le forze di inerzia ad f nell’eq. (3.1) si ottiene il<br />

sistema di equazioni della dianamica di un sistema con masse concentrate e non forzato:<br />

Mü(t)+Ku(t) =0 (3.3)<br />

L’equazione (3.3) è formalmente simile alla (2.1) relativa ad un sistema con un solo<br />

gradodilibertà,malequantitàscalarim e k sono sostituite dalle corrispondenti matrici<br />

M e K. L’equazione (3.3) si riferisce al moto libero e non smorzato di un sistema con<br />

molti gradi di libertà: il caso più generale del moto forzato di un sistema dissipativo si<br />

ottiene con ovvie generalizzazioni: la presenza di azioni esterne comporta l’aggiunta di<br />

un termine f(t), rappresentativo delle azioni esterne note, mentre gli effetti della viscosità<br />

lineare vengono messi in conto introducendo un termine C ˙u(t), prodotto di una matrice<br />

viscosa C per il vettore delle velocità. Sulla effettiva struttura della matrice C si tornerà<br />

nel seguito, per ora si osservi che, con l’introduzione delle forze esterne e degli effetti viscosi,<br />

l’equazione dinamica di un sistema discreto con più di un grado di libertà si sintetizza nella<br />

formula:<br />

Mü(t)+C ˙u(t)+Ku(t) =f(t) (3.4)<br />

che corrisponde alla eq. (2.35), relativa ad un sistema ad un g.d.l.<br />

3.2 La matrice delle masse<br />

Per i sistemi discreti la matrice delle masse è una matrice diagonale i cui elementi non nulli<br />

sono le masse concentrate, associate ai rispettivi gradi di libertà. Spesso questo modello<br />

rappresenta un’approssimazione accettabile anche per i sistemi continui discretizzati, come<br />

si è detto a proposito dell’esempio descritto nel precedente paragrafo. In questo caso i<br />

termini diagonali della matrice delle masse sono formati con i valori risultanti delle masse<br />

distribuite, associate a ciascun nodo secondo qualche criterio di “zona di influenza”.<br />

Questo procedimento però non è sempre accettabile, né si può sempre trascurare il<br />

fatto che una massa distribuita è associata a più di un grado di libertà, per cui la matrice<br />

delle masse non è diagonale. Per affrontare in modo razionale la costruzione della matrice<br />

delle masse di un sistema continuo discretizzato, si riassumono sinteticamente i passi con<br />

cui si perviene a formulare le equazioni di equilibrio, utilizzando la tecnica degli elementi<br />

finiti.


3.2 La matrice delle masse 42<br />

Indicando con u(x,t) il campo degli spostamenti in un mezzo continuo, questo si<br />

discretizza ponendo:<br />

u(x,t)=N(x)u 0 (t) (3.5)<br />

In cui N(x) indica una matrice di funzioni interpolanti e u0(t) è un vettore di parametri,<br />

che nel metodo degli elementi finiti si interpretano come gli spostamenti dei nodi<br />

dell’elemento.<br />

Dal campo degli spostamenti si deriva quello delle deformazioni, mediante l’applicazione<br />

di un operatore differenziale D che, nella teoria linearizzata, valida per piccole deformazioni,<br />

è lineare. Quindi applicando l’operatore D ad u, posto nella forma discretizzata<br />

dell’eq. (3.5), si ottiene:<br />

in cui<br />

²(x,t)=D[u(x,t)] = D[N(x)]u0(t) =B(x)u0(t) (3.6)<br />

B(x) =D[N(x)]<br />

è la matrice che trasforma il campo degli spostamenti nodali u0 nel campo delle deformazioni<br />

².<br />

In un mezzo elastico lineare la relazione tra il campo delle deformazioni ² e quello delle<br />

tensioni σ è lineare, per cui si ha σ = E², doveE è la matrice elastica del materiale.<br />

Utilizzando l’espressione (3.6) per ², si ha quindi:<br />

σ(x,t)=EB(x)u 0 (t) (3.7)<br />

Utilizzando le equazioni dell’equilibrio nella forma del principio dei lavori virtuali, indicando<br />

con g il vettore delle forze di massa, con δu il campo, arbitrario, degli spostamenti<br />

virtuali e con δ² il corrispondente campo delle deformazioni, ed indicando con V il volume<br />

dell’elemento, si ha:<br />

Z<br />

δε(x,t)<br />

V<br />

T Z<br />

σ(x,t) dx = δu(x,t)<br />

V<br />

T g(x,t) dx (3.8)<br />

Nella formulazione di Galerkin il campo di spostamenti arbitrario viene espresso mediante<br />

le stesse funzioni interpolanti usate per descrivere il campo degli spostamenti reali;<br />

si pone dunque δu = Nδu0. Sostituendo nella (3.8) questa espressione degli spostamenti<br />

virtuali e quella analoga delle deformazioni, che si ottiene dalla (3.6) ponendo δu0 in luogo<br />

di u0, nonché l’espressione (3.7) del campo delle tensioni, si ottiene:<br />

δu T 0<br />

·µZ<br />

V<br />

B T <br />

(x)EB(x) dx<br />

Z<br />

u0(t) − N<br />

V<br />

T (x)g(x,t) dx<br />

¸<br />

= 0 (3.9)<br />

che, per l’arbitrarietà del campo degli spostamenti δu0, implica sia verificata l’equazione:<br />

Ku0(t) =f(t)<br />

dove la matrice di rigidezza, come si desume dall’eq. (3.9), è:<br />

Z<br />

K = B T (x)EB(x) dx<br />

V


3.2 La matrice delle masse 43<br />

mentre il vettore delle forze generalizzate risulta:<br />

Z<br />

f(t) = N T (x)g(x,t) dx (3.10)<br />

V<br />

Nei problemi dinamici, tra le forze di massa g deve essere considerata la forza d’inerzia<br />

−ρü (ρ indica la densità di massa del materiale); il contributo alla forza generalizzata<br />

dovuto alla forza di inerzia si calcola quindi facilmente, sostituendo, nell’eq. (3.10), a g il<br />

termine inerziale −ρü; utilizzando per u l’espressione (3.5) si ha pertanto:<br />

µZ<br />

fi(t) =− ρN T <br />

(x)N(x) dx ü0(t) =−Mü0(t) (3.11)<br />

in cui<br />

V<br />

Z<br />

M =<br />

V<br />

ρN T (x)N(x) dx (3.12)<br />

è la matrice “coerente” delle masse del sistema discretizzato. Nel caso di elementi finiti<br />

l’equazione (3.12) fornisce la matrice delle masse dell’elemento: la matrice dell’intera<br />

struttura si ottiene poi assemblando le matrici elementari con le solite regole, valide anche<br />

per l’assemblaggio della matrice di rigidezza.<br />

Aggiungendo il termine con le forze d’inerzia all’equazione di equilibrio si ottiene quindi<br />

ancora l’equazione (3.4) (a meno del termine viscoso C ˙u) ma ora la matrice delle masse<br />

non è più diagonale: essa non è stata ottenuta per semplice “aggregazione” nel nodo della<br />

massa circostante, ma con un procedimento coerente (da qui la denominazione) con gli<br />

altri procedimenti di discretizzazione.<br />

Esempio 3.1 Si vuole costruire la matrice delle masse di una trave vincolata nel piano x, y, con<br />

densità di massa per unità di lunghezza ρ l, uniforme.<br />

Nel riferimento proprio della trave, l’asse x coincidente con quello della trave, l’asse y ortogonale,se<br />

si indica con u(x) =[u(x) v(x)] T il vettore degli spostamenti e con u0 =[u1 v1 φ 1 u2 v2 φ 2] T<br />

il vettore dei parametri nodali, cioè le componenti dello spostamento e la rotazione di ciascuna<br />

estremità della trave, la matrice delle funzioni interpolanti è:<br />

N(x) =<br />

" 1 − x<br />

l 0 0 x<br />

l 0 0<br />

0 −3 x2<br />

l2 + 1 +2x3 l3 x 3<br />

l2 + x − 2 x2<br />

l 0 −2 x3<br />

l3 +3x2 l2 x 3<br />

l2 − x2<br />

l<br />

Per determinare la matrice delle masse si sostituisce l’esprerssione di N(x) data dall’equazione<br />

precedente nella (3.12); svolgendo i prodotti e quindi integrando tutti i termini della matrice<br />

quadrata N T (x)N(x) per x variabile tra 0 ed l, tenendo conto che, per ipotesi, ρ l non dipende da<br />

x, siha:<br />

Z l<br />

M =<br />

0<br />

ρN T (x)N(x) dx = ρ l<br />

⎡<br />

⎢<br />

⎣<br />

1<br />

3 l 0 0 1<br />

6 l 0 0<br />

0<br />

0<br />

13<br />

35 l<br />

11<br />

210 l2<br />

11<br />

210 l2 9<br />

13<br />

0 70 l − 420 l2<br />

1<br />

105 l3 13 0 420 l2 − 1<br />

140 l3<br />

1<br />

6 l 0 0 1<br />

3 l 0 0<br />

0<br />

9<br />

70 l<br />

0 − 13<br />

420 l2 − 1<br />

140 l3<br />

13<br />

420 l2 13 11<br />

0 35 l − 210 l2<br />

0 − 11<br />

210 l2<br />

1<br />

105 l3<br />

#<br />

⎤<br />

⎥<br />

⎦<br />

2


3.3 Oscillazioni libere non smorzate 44<br />

3.3 Oscillazioni libere non smorzate<br />

L’equazione (3.3) è, come si è detto, l’equivalente dell’eq. (2.1) generalizzata ai sistemi<br />

con più di un grado di libertà, rappresenta cioè l’equazione del moto di un sistema non<br />

soggetto ad azioni esterne ed in assenza di effetti viscosi; come per il caso ad un g.d.l. si<br />

affronterà prima la soluzione di questo problema, per poi generalizzarla ai sistemi forzati<br />

esmorzati.<br />

Per determinare la soluzione dell’eq. (3.3), che qui si riscrive:<br />

si pone:<br />

Mü(t)+Ku(t) =0<br />

u(t) =φz(t) (3.13)<br />

Si assume quindi che la soluzione dell’eq. (3.3) si possa esprimere come il prodotto di un<br />

vettore costante φ per una funzione scalare del tempo z(t); quindi si cerca, se esiste, una<br />

soluzione dell’eq. (3.3) che si possa porre in tale forma.<br />

Sostituendo l’eq. (3.13) nella (3.3) e moltiplicando tutti i termini a sinistra per φ T ,si<br />

ottiene:<br />

φ T Mφ ¨z(t)+φ T Kφ z(t) =0<br />

quindi, tenendo conto che i prodotti φ T Mφ e φ T Kφ sono scalari, dall’equazione precedente<br />

si trae:<br />

¨z(t)<br />

z(t) = − φT Kφ<br />

φ T = −ω2<br />

Mφ<br />

(3.14)<br />

cioè il rapporto tra la derivata seconda di z(t) e la funzione stessa deve uguagliare una<br />

costante negativa. Il segno di questa costante consegue dal fatto che le quantità φT Mφ e<br />

φ T Kφ sono sempre positive. Questo si giustifica osservando che, se si interpreta il vettore<br />

φ come un vettore di spostamenti impressi alla struttura, la quantità φ T Kφ è, a meno<br />

del fattore 1<br />

2 , l’energia elastica della struttura, che è, come noto, sempre positiva. Analogamente<br />

se φ si interpreta come il vettore delle velocità impresse ai nodi della struttura,<br />

φT Mφ è il doppio dell’energia cinetica del sistema, grandezza anch’essa positiva. 2<br />

Dall’eq. (3.14) segue che z(t) deve essere soluzione dell’equazione differenziale:<br />

¨z(t)+ω 2 z(t) =0 (3.15)<br />

che coincide con l’eq. (2.3), dell’oscillatore ad un g.d.l. libero e non smorzato, la cui<br />

soluzione si può porre nella forma:<br />

z(t) =A sin(ωt + φ) (3.16)<br />

in cui A e φ sono costanti che dipendono dalle condizioni iniziali del moto.<br />

Sostituendo l’espressione di z(t) (3.16) nell’eq. (3.13) e quindi questa di nuovo nella<br />

(3.3), si ricava facilmente:<br />

¡ −Mφω 2 + Kφ ¢ A sin(ωt + φ) =0 (3.17)<br />

2 Quindi le matrici M e K sono definite positive


3.3 Oscillazioni libere non smorzate 45<br />

Perché questa equazione sia soddisfatta per ogni valore di t deve risultare identicamente<br />

nullalaquantità(−Mφω 2 +Kφ). Sostituendo ω 2 con λ, questoimplicachesideveavere:<br />

Kφ = λMφ (3.18)<br />

Questa equazione è identica a quella (A.49) studiata nell’appendice A: λ e φ devono<br />

quindi essere l’autovalore ed il corrispondente autovettore, in forma generalizzata, delle<br />

matrici K e M. Come è stato mostrato nei §§??, ??, ?? ed ??, poichélematriciK e<br />

M sono simmetriche ed il loro determinante non è nullo (come segue dal fatto che sono<br />

definite positive), se n è l’ordine delle matrici, se ciè il sistema ha n g.d.l., l’equazione<br />

(3.18) ha n soluzioni distinte φ 1,...,φ n, a ciascuna delle quali è associato un autovalore<br />

λk (k = 1,...,n) i cui valori non sono necessariamente sempre distinti. Sempre per la<br />

simmetria di M e K si ha che gli autovalori λk e gli autovettori φ k sono reali ed inoltre<br />

i vettori φ k sono linearmente indipendenti, pertanto formano una base per lo spazio R n :<br />

questo significa che ogni vettore x può essere ottenuto come una combinazione lineare dei<br />

vettori φ k.<br />

Un’ulteriore proprietà che deriva dalla simmetria di M e K èche,perj 6= k si ha:<br />

φ T j Mφ k = φ T j Kφ k = 0 j 6= k (3.19)<br />

Quindi, se si indica con Φ la matrice n × n costruita con gli autovettori φk,risultachele matrici:<br />

Φ T KΦ Φ T MΦ<br />

sono diagonali ed inoltre:<br />

(Φ T MΦ) −1 (Φ T KΦ) =Φ −1 ¡ M −1 K ¢ Φ = Λ (3.20)<br />

in cui Λ indica la matrice diagonale costruita con gli autovalori λk di K e M.<br />

Da queste osservazioni segue che l’equazione (3.3) ha n soluzioni del tipo (3.13), una per<br />

ogni autovettore di M e K: φkzk(t), incuizk(t) è a sua volta la soluzione dell’equazione<br />

dell’oscillatore semplice di frequenza ωk = √ λk, doveλkèil corrispondente autovalore.<br />

Dunque la più generale delle soluzioni dell’eq. (3.3) si potrà esprimere come combinazione<br />

lineare delle precedenti, ossia:<br />

nX<br />

u(t) = φkzk(t) (3.21)<br />

k=1<br />

dove zk(t) è la soluzione della k-esima tra le n equazioni:<br />

¨zk(t)+ω 2 k zk(t) =0 k = 1,...,n (3.22)<br />

che, come è noto dallo studio dei sistemi ad un g.d.l., è:<br />

zk(t) =Ak sin(ωkt + φ k) ω 2 k = λk (3.23)<br />

In conclusione si può affermare che il moto libero di un sistema non smorzato ad n<br />

g.d.l., governato dal sistema di equazioni (3.3), si può ottenere sovrapponendo n oscillazioni<br />

armoniche di frequenza ω1,...,ωn; ad ogni frequenza è associata una “forma” del moto<br />

di oscillazione (detta modo) edefinita dall’autovettore φk, corrispondente all’autovalore<br />

ω 2 k<br />

. Il moto libero di un sistema si decompone quindi in n modi, ciascuno oscillante con<br />

diversa frequenza (la frequenza del modo). Poiché ciascuna delle componenti modali del<br />

moto zk(t) èdefinita a meno di due costanti (l’ampiezza Ak elafaseφ k), l’intero moto<br />

èdefinito a meno di 2n parametri, che si possono determinare imponendo le condizioni<br />

iniziali della posizione u(0) e della velocità ˙u(0) del sistema.


3.3 Oscillazioni libere non smorzate 46<br />

3.3.1 Esempi<br />

Come primo esempio si studiano le oscillazioni libere del doppio pendolo introdotto nel<br />

§1.2.5, utilizzando le equazioni linearizzate (1.23).<br />

Esempio 3.2 Oscillazioni libere del bipendolo Le equazioni del bipendolo sono state ottenute<br />

nel nel §1.2.5, applicando le equazioni di Lagrange; in forma linearizzata, valida per piccole<br />

oscillazioni, queste sono espresse dalle (1.23). Queste equazioni possono formularsi, con la notazione<br />

delle matrici, nella forma M¨θ + Kθ = 0, incuiθindica il vettore delle coordinate lagrangiane<br />

e le matrici delle masse e delle rigidezze sono:<br />

·<br />

(m1 + m2) l<br />

M =<br />

2 ¸ · ¸<br />

1 m2l1l2<br />

g (m1 + m2) l1 0<br />

K =<br />

m2l1l2<br />

0 gm2l2<br />

Gli autovalori della matrice:<br />

la cui equazione caratteristica è:<br />

m2l 2 2<br />

K −1 "<br />

1<br />

M =<br />

g l1<br />

1<br />

g l1<br />

1<br />

g(m1+m2) m2l2<br />

1<br />

g l2<br />

g2m1 + g2m2 g2 (m1 + m2) λ2 + −l1gm1 − l1gm2 − gl2m1 − gm2l2<br />

g2 (m1 + m2)<br />

#<br />

m1<br />

λ + l1l2<br />

g2 (m1 + m2) =0<br />

sono proporzionali (a meno di 2π) al quadrato dei periodi di oscillazione del sistema. Tali autovalori<br />

si ottengono come radici dell’equazione precedente, e sono:<br />

λ1 = 1<br />

r ³<br />

(l1 + l2)(m1 + m2)+ (m1 + m2) m2 (l1 + l2)<br />

2g<br />

2 + m1 (l1 − l2) 2´<br />

m1 + m2<br />

λ2 = 1<br />

r ³<br />

(l1 + l2)(m1 + m2) − (m1 + m2) m2 (l1 + l2)<br />

2g<br />

2 + m1 (l1 − l2) 2´<br />

m1 + m2<br />

Introducendo le quantità adimensionali µ = m2/(m1 + m2) e η = l2/(l1 + l2), le espressioni dei<br />

due autovalori si semplificano; a meno del fattore 2π p (l1 + l2)/g, che è il periodo di un pendolo<br />

semplice di lunghezza l1 + l2, i periodi di oscillazione del bipendolo dependono soltanto da questi<br />

rapporti:<br />

T1 = 2π<br />

T2 = 2π<br />

s<br />

s<br />

r<br />

(l1 + l2) 1<br />

g 2<br />

(l1 + l2)<br />

g<br />

h<br />

1 + p µ +(1− µ)(1 − 2η) 2<br />

i<br />

r<br />

1<br />

h<br />

1 −<br />

2<br />

p µ +(1− µ)(1 − 2η) 2<br />

i<br />

I corrispondenti autovettori, normalizzati assumendo θ2 = 1, sono indicati dalle espressioni seguenti:<br />

"<br />

1 1−2η+<br />

2<br />

√ µ+(1−µ)(1−2η) 2<br />

# "<br />

1 1−2η−<br />

1−η<br />

1<br />

2<br />

√ µ+(1−µ)(1−2η) 2<br />

#<br />

1−η<br />

1<br />

Nella figura 3.1 sono riportati gli andamenti dei periodi di vibrazione (adimensionalizzate mediante<br />

il fattore 2π p (l1 + l2)/g) dei due modi, in funzione del rapporto µ tralamassam2 e quella totale e<br />

per due casi del rapporto η tra la lunghezza l2 del secondo pendolo e quella totale. In linea continua<br />

è rappresentato il caso η =0.5, con linea punteggiata è rappresentato il caso η =0.25, che peraltro<br />

coincide con quello relativo a η =0.75. Nella successiva figura 3.2 è riportata, in funzione degli


3.3 Oscillazioni libere non smorzate 47<br />

1<br />

0.8<br />

0.6<br />

0.4<br />

0.2<br />

00<br />

0.2<br />

0.4<br />

Figura~3.1: Periodi di vibrazione del bipendolo (normalizzati con il fattore π p (l1 + l2)/g)<br />

in funzione del rapporto µ = m2/(m1 + m2); tratto continuo: η =0.5; linea tratteggiata:<br />

η =0.25 e η =0.75. Le linee superiori si riferiscono al primo modo, quelle inferiori al<br />

secondo.<br />

stessi parametri, l’ampiezza della componente θ1 del vettore delle coordinate, rapportata a θ2,<br />

posta uguale ad 1. Dalla fig. 3.1 si osservi come il periodo del primo modo aumenta al crescere<br />

della seconda massa in rapporto a quella totale, mentre il periodo del secondo diminuisce. Per<br />

µ = 1 (tutta la massa concentrata nel secondo pendololo) il periodo di oscillazione del primo modo<br />

coincide con quello del pendolo semplice di lunghezza l1 + l2; inoltre, dalla fig. 3.2 risulta che<br />

θ2 = θ1 = 1, ossia il pendolo oscilla rigidamente, ignorando la cerniera intermedia. Al diminuire<br />

della massa m2 il periodo del primo modo decresce; se la cerniera è al centro (l1 = l2) i periodi dei<br />

due modi tendono a coincidere mentre θ1 → 0: l’ampiezza delle oscillazioni del pendolo superiore,<br />

dotato di maggiore massa, si riduce e tende ad annullarsi (raffrontata a quella del pendolo di massa<br />

minore) quando tutta la massa è nel nodo superiore.<br />

Si determina ora la storia delle ampiezze delle coordinate angolari θ1 e θ2 per un doppio pendolo<br />

con masse uguali (µ =0.5) e per tre valori del rapporto η = l2/(l1 + l2), assumendo le condizioni<br />

θ1 = θ2 = 1 e ˙ θ1 = ˙ θ2 =0. Indicando con φi (i = 1, 2) gli autovettori si ottengono le equazioni:<br />

· ¸<br />

1<br />

φ1 [a1 cos (0) + b1 sin (0)] + φ2 [a2 cos (0) + b2 sin (0)] =<br />

1<br />

2π<br />

φ1 [−a1 sin(0) + b1 cos(0)] + 2π<br />

· ¸<br />

0<br />

φ2 [−a2 sin(0) + b2 cos(0)] =<br />

0<br />

T1<br />

T2<br />

Per cui dalla seconda equazione segue che b1 = b2 =0mentre la prima si semplifica nella:<br />

· ¸<br />

1<br />

φ1a1 + φ2a2 =<br />

1<br />

Per µ =0.5 ed η =0.5 si ottiene:<br />

φ 1 =<br />

· . 8604<br />

1.0<br />

¸<br />

φ 2 =<br />

0.6<br />

· −. 19372<br />

1.0<br />

T1 = . 9462 T2 =0. 3236<br />

0.8<br />

¸<br />

1


3.3 Oscillazioni libere non smorzate 48<br />

1<br />

0<br />

-1<br />

-2<br />

-3<br />

0.2 0.4 0.6 0.8 1<br />

Figura~3.2: Primo elemento del vettore modale in funzione del rapporto µ. I valori positivi<br />

si riferiscono al primo modo, quelli negativi al secondo. Linea punteggiata η =0.25; linea<br />

continua η =0.5; linea tratteggiata η =0.75<br />

e quindi<br />

a1 = 1. 1324 a2 = −. 13243<br />

Combinando questi risultati si ottengono le espressioni:<br />

θ1 = 1. 1324 cos(1. 0569τ) − . 13243 cos(3. 0902τ),<br />

θ2 = . 97432 cos(1. 0569τ)+2. 5654 × 10 −2 cos(3. 0902τ)<br />

in cui τ = t/T0 è un tempo adimensionalizzato con il periodo del pendolo di lunghezza l1 + l2.<br />

Queste due funzioni sono rappresentate nella figura 3.3.<br />

Ripetendo il procedimento per i valori del parametro η di 0.25 e 0.75 rispettivamente, si ottengono<br />

le seguenti esppressioni delle coordinate angolari θ in funzione del tempo:<br />

θ1 = . 97432 cos (1. 0568τ)+2. 5654 × 10 −2 cos (3. 0902τ)<br />

θ2 = 1. 1324 cos (1. 0568τ) − . 13243 cos (3. 0902τ)<br />

θ1 = . 65809 cos (1. 0568τ)+. 34188 cos (3. 0902τ)<br />

θ2 = 1. 1324 cos (1. 0568τ) − . 13245 cos (3. 0902τ)<br />

Gli andamenti nel tempo sono, nei due casi, rappresentati nelle figure 3.4 e 3.5.<br />

Si noti come il contributo del seondo modo sia poco rilevante per i casi in cui η =0.5 e η =0.25,<br />

mentre diventano importanti, almeno per il moto della massa superiore, nel caso η =0.75. Questo<br />

era d’altra parte prevedibile osservando il grafico della fig. 3.2, dove è evidente, per questo caso, la<br />

grande ampiezza (negativa) della componente θ1 del secondo autovettore. 2<br />

Come secondo esempio si riporta lo studio delle oscillazioni libere di un semplice telaio<br />

di 3 piani con travi indeformabili (shear type).


3.3 Oscillazioni libere non smorzate 49<br />

1<br />

0.5<br />

00<br />

-0.5<br />

-1<br />

10<br />

20<br />

30<br />

t<br />

Figura~3.3: Storia temporale delle oscillazioni delle coordinate angolari del bipendolo.<br />

µ =0.5 η =0.5. Con linea continua è rappresentato θ1, con linea punteggiata θ2<br />

1<br />

0.5<br />

00<br />

-0.5<br />

-1<br />

10<br />

20<br />

30<br />

t<br />

Figura~3.4: Storia temporale delle oscillazioni delle coordinate angolari del bipendolo.<br />

µ =0.5 η =0.25. Con linea continua è rappresentato θ1, con linea punteggiata θ2<br />

40<br />

40<br />

50<br />

50<br />

60<br />

60


3.3 Oscillazioni libere non smorzate 50<br />

1<br />

0.5<br />

00<br />

-0.5<br />

-1<br />

10<br />

20<br />

30<br />

t<br />

Figura~3.5: Storia temporale delle oscillazioni delle coordinate angolari del bipendolo.<br />

µ =0.5 η =0.75. Con linea continua è rappresentato θ1, con linea punteggiata θ2<br />

Esempio 3.3 Sivoglionodeterminarelefrequenzeeleformemodalideltelaioa3pianirappresentato<br />

in fig. 3.6, ipotizzando che le travi siano indeformabili e trascurando la deformazione<br />

assiale dei pilastri. Si assume inoltre che le masse sono interamente concentrate a livello dei piani.<br />

Le sezioni dei pilastri sono 30 × 30 cm2 , le masse, uguali a tutti i piani, sono di 30 t, il modulo<br />

elastico del materiale E =3× 107 KN/m 2 .<br />

Il sistema ha tre soli gradi di libertà, corrispondenti agli spostamenti dei piani. Numerando le<br />

coordinate lagrangiane ui (gli spostamenti dei piani) partendo dal basso, la matrice di rigidezza si<br />

costruisce facilmente partendo da quella dei pilastri. Indicando con<br />

J = 1<br />

12 0.3 × 0.33 =6. 75 × 10 −4 m 4<br />

il momento di inerzia della sezione di un pilastro e con Kp la rigidezza di un piano:<br />

Kp =2 12EJ<br />

33 La matrice di rigidezza della struttura risulta:<br />

⎡<br />

2Kp<br />

K = ⎣ −Kp<br />

−Kp<br />

2Kp<br />

0<br />

−Kp<br />

⎤<br />

⎦ =<br />

0 −Kp Kp<br />

40<br />

KN<br />

= 18000<br />

m<br />

Poiché le masse sono concentrate, la matrice M è diagonale:<br />

⎡<br />

30<br />

M = ⎣ 0<br />

0<br />

30<br />

0<br />

0<br />

⎤<br />

⎦<br />

0 0 30<br />

⎡<br />

⎣<br />

50<br />

60<br />

36000 −18000 0<br />

−18000 36000 −18000<br />

0 −18000 18000<br />

Le frequenze proprie (al quadrato) del telaio si possono calcolare come autovalori della matrice<br />

A = M −1 ⎡<br />

30<br />

K = ⎣ 0<br />

0<br />

30<br />

0<br />

0<br />

⎤−1<br />

⎡<br />

36000<br />

⎦ ⎣ −18000<br />

−18000<br />

36000<br />

⎤ ⎡<br />

0<br />

1200<br />

−18000 ⎦ = ⎣ −600<br />

−600<br />

1200<br />

0<br />

−600<br />

⎤<br />

⎦<br />

0 0 30 0 −18000 18000 0 −600 600<br />

⎤<br />


3.4 Oscillazioni smorzate e forzate 51<br />

risolvendo l’equazione caratteristica:<br />

Figura~3.6: Schema del telaio esaminato.<br />

det(A−λI) =λ 3 − 3000λ 2 +2160000λ − 216000000 = 0<br />

Si ottengono quindi i tre autovalori, raccolti nella matrice diagonale Λ:<br />

Λ =diag £ 118. 84 932. 97 1948. 2 ¤<br />

ed a cui corrispondono gli autovettori:<br />

⎡<br />

. 32799<br />

Φ = ⎣ . 59101<br />

−. 73698<br />

−. 32799<br />

⎤<br />

. 59101<br />

−. 73698 ⎦<br />

. 73698 . 59101 . 32799<br />

Le frequenze proprie della struttura si ottengono dagli autovalori, ricordando che ωi = √ λi; nella<br />

tabella seguente sono riportati i valori delle frequenze e dei periodi propri della struttura:<br />

modo freq. ω (sec −1 ) period. T (sec)<br />

1 10.90 0.576<br />

2 30.54 0.206<br />

3 44.14 0.142<br />

Nella figura 3.7 sono invece rappresentate le forme modali dei tre modi del telaio. 2<br />

3.4 Oscillazioni smorzate e forzate<br />

Si torni ora a considerare l’equazione generale della dinamica lineare di sistemi discreti, eq.<br />

(3.4). Se Φ è la matrice degli autovettori φ i di K ed M, soluzione dell’eq. (3.18), poiché<br />

questi autovettori formano una base in R n ,sipuòporre:<br />

u(t) =<br />

nX<br />

φizi(t) =Φz(t) (3.24)<br />

i=1


3.4 Oscillazioni smorzate e forzate 52<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

-1.0 0.0 1.0<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

-1.0 0.0 1.0<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

-1.0 0.0 1.0<br />

1° modo 2° modo 3° modo<br />

Figura~3.7: Deformate modali del telaio a 3 piani<br />

Sostituendo l’eq. (3.24) nella (3.4) e premoltiplicando quest’ultima equazione per Φ T ,si<br />

ottiene:<br />

Φ T MΦ¨z(t)+Φ T CΦ˙z(t)+Φ T KΦz(t) =Φ T f(t) (3.25)<br />

Perquantovistonel§3.3lematriciΦ T MΦ e Φ T KΦ sono diagonali, ma il termine<br />

Φ T CΦ in generale non risulta diagonale: così il sistema (3.25) non è completamente disaccoppiato<br />

e quindi non è più possibile risolverlo sovrapponendo le soluzioni di n sistemi<br />

ad un g.d.l.<br />

Ciò nonostante si assuma che C sia tale da essere diagonalizzato dagli autovettori Φ,<br />

in modo che si possa porre:<br />

Φ T CΦ = matrice diagonale (3.26)<br />

In questo caso, noto come smorzamento proporzionale o classico, il sistema (3.25) si<br />

decompone in n equazioni indipendenti:<br />

Mi¨zi + Ci ˙zi + Kizi = Fi(t) (3.27)<br />

in cui Mi, Ci e Ki sono i termini non nulli delle matrici diagonali: Φ T MΦ, Φ T CΦ e Φ T KΦ:<br />

Mi = φ T i Mφ i Ci = φ T i Cφ i Ki = φ T i Kφ i (3.28)<br />

e sono detti massa, smorzamento e rigidezza del modo i, mentre<br />

Fi = φ T i f (3.29)<br />

èlaforzamodale.<br />

L’equazione (3.27) è quella di un oscillatore ad 1 gdl aventi massa, rigidezza e smorzamento<br />

del modo i. Dividendo questa equazione per Mi questa si può porre nella forma<br />

standard:<br />

¨zi +2ωiξ i ˙zi + ω 2 i zi = Qi(t) (3.30)


3.4 Oscillazioni smorzate e forzate 53<br />

in cui<br />

ξi =<br />

2 √ (3.31)<br />

KiMi<br />

sono la frequenza naturale non smorzata e lo smorzamento percentuale del modo, mentre<br />

si è posto Qi = Fi/Mi.<br />

ω 2 i = Ki<br />

Mi<br />

3.4.1 Matrice di smorzamento<br />

La capacità dissipativa delle strutture dipende da molti fenomeni che non sono chiaramente<br />

compresi; per questo motivo non è usualmente possibile costruire la matrice C partendo<br />

dalla geometria della struttura e dalle caratteristiche dei materiali, in modo simile a quello<br />

con cui si calcolano le matrici di rigidezza e delle masse. Di solito i valori degli smorzamenti<br />

delle strutture si assegnano globalmente, sulla base di risultati sperimentali, misurati su<br />

strutture di analoghe caratteristiche.<br />

Dati i metodi con cui è possibile misurare lo smorzamento di una struttura (p.es. sulla<br />

base del decadimento di ampiezza delle oscillazioni libere, o sull’ampiezza della risposta<br />

di risonanza), ciò che è noto solitamente sono i valori degli smorzamenti percentuali dei<br />

(primi) modi di vibrazione della struttura; quindi quel che si conosce sono proprio i valori<br />

dei coefficienti ξ i dei primi modi di vibrazione, non i termini cij della matrice C.<br />

L’ipotesi che gli autovalori di M e K diagonalizzino la matrice di smorzamento è dunque<br />

una conseguenza della scarsa conoscenza del fenomeno dello smorzamento; in questi casi<br />

non è effettivamente necessario eseguire la decomposizione della matrice C (che in effetti<br />

non è nota): determinate le caratteristiche dei modi non smorzati, come descritto nel §3.3,<br />

nelle equazioni disaccoppiate (3.30) si introduce un termine dissipativo 2ωiξ i, assegnando<br />

alla percentuale di smorzamento ξ i il valore che compete a quel modo. Le risposte modali<br />

z(t) ottenute integrando le equazioni (3.30) si combinano secondo la (3.24) per ottenere il<br />

vettore degli spostamenti dei nodi u(t), da cui si potrà poi derivare ogni altra grandezza<br />

di interesse fisico, come deformazioni, tensioni, ecc...<br />

In alcuni casi, anziché operare la decomposizione modale, si preferisce integrare numericamente<br />

il sistema di equazioni accoppiate (3.4); questo si verifica ad esempio per<br />

le strutture con comportamento nonlineare, le cui forze interne non seguono la semplice<br />

legge lineare del prodotto di una matrice costante K per il vettore degli spostamenti u.<br />

In questi casi è indispensabile costruire la matrice C partendo dai dati disponibili, cioè gli<br />

smorzamenti modali. 3 √<br />

Dalla seconda delle (3.31) si determinano i coefficienti della matrice<br />

diagonale Ci =2ξi KiMi e quindi invertendo le eq. (3.282) siha:<br />

C = Φ [Ci] Φ T<br />

Ci<br />

(3.32)<br />

Per le strutture con molti gdl questo procedimento risulta molto oneroso: infatti il<br />

calcolo di tutti gli autovettori ed autovalori di una matrice di grandi dimensioni richiede<br />

un notevole impegno di calcolo. L’efficenza dell’analisi modale si basa sul fatto che generalmente<br />

i modi di frequenza più elevata danno un contributo trascurabile alla risposta,<br />

per cui la decomposizione (3.24) può essere sostituita da<br />

mX<br />

u(t) ' φizi(t) (3.33)<br />

i=1<br />

3 A rigore nell’analisi nonlineare non è più lecito parlare di modi e di analisi modale. Tuttavia poiché<br />

per vibrazioni di ampiezza sufficientemente piccola si può ritenere che il sistema si comporti linearmente,<br />

si può comunque fare riferimento ai modi relativi alla matrice di rigidezza “tangente” nell’origine.


3.4 Oscillazioni smorzate e forzate 54<br />

in cui il numero dei modi considerati m ≤ n è spesso molto minore del numero dei gdl<br />

della struttura. Viceversa il calcolo di C mediante la (3.32) richiede che si impieghino tutti<br />

gli autovettori di M e K; infatti se in luogo di Φ si impegasse una matrice rettangolare<br />

composta con i primi m ωm, ciò che, per ragioni di<br />

stabilità e accuratezza dell’algoritmo di integrazione, non è opportuno.<br />

Per costruire una matrice di smorzamento “classica” normalmente si preferisce assumere<br />

che essa sia proporzionale alle matrici M e K:<br />

C =αM+βK (3.34)<br />

con α e β coefficienti opportuni. Questa matrice soddisfa evidentemente la condizione<br />

(3.26) e quindi si ha:<br />

Φ T CΦ =[Ci] =α [Mi]+β [Ki]<br />

da cui si deduce:<br />

ξi = 1<br />

µ <br />

α<br />

+ βωi<br />

2 ωi<br />

(3.35)<br />

in cui ωi indica la frequenza delle oscillazioni libere e non smorzate del modo i. Poiché<br />

mediante la (3.34) C dipende solo dai due coefficienti α e β, è possibile fissare i<br />

valori degli smorzamenti di due soli modi (p.es. del 1 ◦ edel2 ◦ ); gli altri risultano tutti<br />

automaticamente determinati dall’eq. (3.35).<br />

1. Una formulazione più generale, di cui la (3.34) rappresenta un caso particolare, è la<br />

seguente:<br />

C = M<br />

pX<br />

l=0<br />

¡ ¢ −1 l<br />

αl M K<br />

2. Per p = 1 l’eq. (3.36) coincide con la (3.34); per l>1, per l’eq. (3.20) si ha:<br />

Φ −1 ¡ M −1 K ¢ Φ = Λ<br />

da cui segue che M−1K = ΦΛΦ−1 , e di conseguenza:<br />

¡ ¢ −1 l −1 −1 −1<br />

M K = | ΦΛΦ ΦΛΦ{z ···ΦΛΦ } = ΦΛ<br />

l volte<br />

l Φ −1<br />

Sostituendo questa equazione nella (3.36), si ottiene:<br />

e dunque:<br />

C = M<br />

Φ T CΦ = Φ T<br />

"<br />

MΦ X<br />

l<br />

pX<br />

αlΦΛ l Φ<br />

l=0<br />

αlΛ l Φ −1<br />

#<br />

Φ =diag[Mi] X<br />

l<br />

αlΛ l<br />

(3.36)


3.5 Analisi in frequenza 55<br />

ovvero, in forma scalare:<br />

φ T i Cφj = 0 se i 6= j<br />

X<br />

φ T i Cφ i = Mi<br />

l<br />

αlω 2l<br />

i<br />

Si dimostra così che quando C ha la forma (3.36), è diagonalizzata dagli autovalori<br />

di M e K. Inoltre uguagliando lo smorzamento modale a: 2Miωiξ i, si ottiene<br />

l’espressione dello smorzamento del modo i in funzione dei coefficienti αl:<br />

3.5 Analisi in frequenza<br />

3.5.1 Trasformata di Fourier<br />

ξ i = 1<br />

2<br />

X<br />

l<br />

αlω 2l−1<br />

i<br />

(3.37)<br />

Nel paragrafo 2.4 si è visto che, mediante uno sviluppo in serie di Fourier, ogni forzante periodica<br />

di periodo T può essere rappresentata come sovrapposizione di funzioni armoniche<br />

di periodo T,T/2,T/3,..., e quindi, grazie alla linearità delle equazioni del sitema, anche<br />

la risposta si ottiene sovrapponendo le soluzioni ottenute per il caso con forzante armonica,<br />

cioè, per la parte stazionaria, di funzioni armoniche anch’esse di periodo T,T/2,T/3,...<br />

ecc., e con ampiezze e fasi che dipendono, oltre che da quelle delle componenti dell’azione,<br />

dalla funzione di risposta H(ω, ξ) espressa dall’eq. (2.59). Si vogliono generalizzare questi<br />

risultati al caso delle funzioni non periodiche.<br />

L’espressione (2.68) dei coefficienti di Fourier si può scrivere in modo equivalente4 :<br />

TAn =<br />

Z T/2<br />

−T/2<br />

f(t)e −iωnt dt (3.38)<br />

mentre l’espressione della funzione f(t) come combinazione di armoniche diviene:<br />

f(t) = 1<br />

2π<br />

∞X<br />

n=−∞<br />

TAne iωnt ∆ω (3.39)<br />

dove si è posto ∆ω = ω1 = ωn − ωn−1 =2π/T .PerT→∞si ha ovviamente che ∆ω → 0<br />

e la variabile discreta ωn tende alla varibile continua ω. Pertanto, posto TAn = e f(ω) e<br />

tenendo conto che per ∆ω → 0 la sommatoria nell’eq. (3.39) tende al relativo integrale,<br />

dalle equazioni (3.38) e (3.39) si deducono le relazioni:<br />

Z ∞<br />

ef(ω) = f(t)e −iωt dt (3.40)<br />

−∞<br />

f(t) = 1<br />

2π<br />

Z ∞<br />

−∞<br />

ef(ω)e iωt dω (3.41)<br />

La funzione e f(ω) è chiamata trasformata (o integrale) di Fourier della funzione f(t); la<br />

funzione originale (detta anche antitrasformata) e la sua trasformata formano una coppia,<br />

collegate dalle relazioni simmetriche (3.40) e (3.41). Nel seguito verranno illustrate alcune<br />

tra le principali proprietà dell’operazione di trasformazione.<br />

4 Le relazioni (3.40) e (3.41) hanno senso solo se gli integrali impropri convergono: questo implica che:<br />

limt→±∞ |f(t)e iωt | =0ed anche limω→±∞ | e f(ω)e iωt | =0.


3.5 Analisi in frequenza 56<br />

L’operazione di trasformazione e la sua inversa sono lineari, pertanto sono intercambiabili<br />

con ogni altro operatore lineare.<br />

Trasformata di Fourier della derivata. Applicando l’eq. (3.40) alla derivata di f(t)<br />

ed integrando per parti, si ottiene:<br />

fdf dt =<br />

Z ∞ df<br />

−∞ dt e−iωtdt = f(t)e −iωt¯¯ ∞<br />

Z ∞<br />

+ iω f(t)e −∞<br />

−∞<br />

−iωt dt = iω e f(ω)<br />

Avendo tenuto conto di quanto detto nella nota precedente. Applicando più volte il<br />

procedimento risulta:<br />

gd nf dtn =(iω)nf(ω) e (3.42)<br />

Ovvero: la trasformata di Fourier della derivata n-esima di una funzione si ottiene<br />

moltiplicando per (iω) n la trasformata della funzione.<br />

Trasformata di Fourier dell’integrale. L’eq. (3.42), ponendo g(t) = dnf(t)/dtn ,<br />

diviene:<br />

eg(ω) =(iω) n<br />

^<br />

Z Z<br />

··· g(t)dt<br />

da cui segue:<br />

Z<br />

^<br />

Z<br />

··· g(t)dt =(iω) −n eg(ω) (3.43)<br />

e quindi la trasformata dell’integrale di una funzione è data dalla trasformata della<br />

funzione divisa per (iω) n .<br />

Prodotto di convoluzione. Date due funzioni f(t) e g(t), sidefinisce prodotto di<br />

convoluzione, ammesso che esista, l’integrale:<br />

Z ∞<br />

Z ∞<br />

f(t) ∗ g(t) = f(t − τ)g(τ)dτ = f(τ)g(t − τ)dτ (3.44)<br />

−∞<br />

Applicando la (3.40) alla (3.44), dopo uno scambio dell’ordine di integrazione, si<br />

ottiene:<br />

Z ∞ ·Z ∞<br />

]f ∗ g =<br />

−∞<br />

−∞<br />

−∞<br />

¸<br />

f(t − τ)g(τ)dτ e −iωt Z ∞ Z ∞<br />

dt = g(τ) f(t − τ)e<br />

−∞ −∞<br />

−iωt dt dτ<br />

Quindi, ponendo θ = t − τ e sostituendo nella precedente, risulta:<br />

Z ∞<br />

]f ∗ g = g(τ)e −iωτ Z ∞<br />

dτ f(θ)e −iωθ dθ = e f(ω)eg(ω) (3.45)<br />

−∞<br />

−∞<br />

In sintesi: la trasformata di Fourier del prodotto di convoluzione di due funzioni è il<br />

prodotto delle trasformate.<br />

Lo sviluppo in serie di Fourier può quindi essere visto come un caso particolare della<br />

trasformata, nel caso che la funzione sia periodica: infatti è possibile dimostrare che nel<br />

caso in cui la funzione f(t) è periodica, l’integrale (3.40) è nullo ovunque, eccetto un


3.5 Analisi in frequenza 57<br />

numero discreto di punti ωn = 2πn/T , in cui si ha e f(ωn) = Aiδ(ω − ωn); in questa<br />

espressione δ indica la funzione Delta di Dirac ed Ai èilcoefficiente dello sviluppo in serie<br />

di Fourier.<br />

Solo nel caso di funzioni semplici è possibile calcolare analiticamente la trasformata di<br />

Fourier, altrimenti il calcolo deve essere svolto numericamente. In questo caso di fatto la<br />

trasformata viene approssimata con i coefficienti di uno sviluppo in serie di una funzione<br />

periodica di periodo abbastanza grande da coprire tutta la durata di interesse del fenomeno.<br />

Un algoritmo particolarmente efficiente a questo scopo è la Fast Fourier Transform<br />

(FFT) che trasforma una funzione di t, campionata in n punti equidistanti ti nella sua<br />

trasformata, anch’essa campionata in n punti equidistanti ωi.<br />

Se f(t) è una funzione reale, l’eq. (3.40) si può scrivere esplicitamente:<br />

Z ∞<br />

Z ∞<br />

ef(ω) = f(t)cos(ωt)dt − i f(t)sin(ωt)dt<br />

−∞<br />

se f(t) è simmetrica attorno all’origine [f(t) =f(−t)] il secondo integrale è nullo e la<br />

trasformata di Fourier è anch’essa reale.<br />

3.5.2 Soluzione dell’equazione dinamica mediante trasformata di Fourier<br />

Se a tutti i termini dell’equazione dinamica di un oscillatore ad un g.d.l.:<br />

−∞<br />

¨x(t)+2ω0ξ ˙x(t)+ω 2 0x(t) =f(t)<br />

si applica l’operatore trasformata di Fourier, tenendo conto della linearità dell’operatore<br />

e della proprietà (3.42) si ottiene:<br />

−ω 2 ex(ω)+2ω0ξ(iω)ex(ω)+ω 2 0ex(ω) = e f(ω)<br />

In queste equazioni ω0 è la frequenza delle oscillazioni libere non smorzate del sistema,<br />

mentre ω è il parametro della trasformata di Fourier e ex e e f indicano le trasformate della<br />

risposta e della forzante, rispettivamente. Risolvendo la precedente equazione rispetto ad<br />

ex(ω) si ottiene:<br />

ex(ω) =<br />

1<br />

−ω 2 +2iω0ωξ + ω 2 0<br />

ef(ω) =H(ω, ω0, ξ) e f(ω) (3.46)<br />

dove H(ω, ω0, ξ) è la funzione di trasferimento complessa, già introdotta nel precedente<br />

capitolo [eq. (2.59)] 5<br />

Tenendo conto delle proprietà della trasformata del prodotto di convoluzione espresse<br />

dalle equazioni (3.44) e (3.45), la trasformata inversa della (3.46) si scrive:<br />

Z ∞<br />

x(t) = f(τ)h(t − τ) dτ (3.47)<br />

−∞<br />

in cui h(t) indica la trasformata inversa della funzione di trasferimento H(ω), cioè:<br />

h(t) = 1<br />

Z ∞<br />

H(ω)e<br />

2π<br />

iωt dω (3.48)<br />

−∞<br />

5 Nel capitolo precedente il tempo natorale t era sostituito con il tempo adimensionale τ = ω0t per<br />

questo motivo la funzione H risulta moltiplicata per ω 2 0.Siricordicheβ = ω/ω0.


3.5 Analisi in frequenza 58<br />

Confrontando l’eq. (3.47) con la (2.81) appare evidente che la funzione di trasferimento<br />

H(ω) è la trasformata di Fourier della funzione di risposta ad impulso (2.82) (a meno del<br />

fattore 1/m), pertanto si avrà:<br />

Z ∞ 1<br />

H(ω)e<br />

2π −∞<br />

iωt sin<br />

dω =<br />

³ p ´<br />

2<br />

ω0 1 − ξ t<br />

ω0<br />

p 1 − ξ 2<br />

e −ξω0t<br />

(3.49)<br />

Questa relazione può essere calcolata direttamente, facendo uso della proprietà delle<br />

funzioni olomorfe, per cui si ha:<br />

Z ∞<br />

f(x) dx =2πi X<br />

Residuo [f(zn)]<br />

−∞<br />

dove zn sono i punti di singolarità di f(z) che cadono nella parte superiore del piano<br />

complesso. I punti singolari di H(ω)e iωt sono le radici della funzione a denominatore:<br />

e quindi:<br />

h(t) = eω0t<br />

h √<br />

2 −ξ+i 1−ξ i<br />

−ω 2 +2iω0ωξ + ω 2 0 =0<br />

ω1 2<br />

= ω0<br />

n<br />

·<br />

iξ ±<br />

q<br />

1 − ξ 2<br />

+ e ω0t<br />

h √<br />

2 −ξ−i 1−ξ i<br />

p<br />

2<br />

2iω0 1 − ξ<br />

=<br />

¸<br />

³ p ´<br />

2<br />

sin ω0 1 − ξ t<br />

p e<br />

2 1 − ξ −ξω0t<br />

La funzione h(t) si deve intendere nulla per t < 0; pertanto l’integrale (3.47) si può<br />

estendere all’intervallo [−∞,t]; in questo modo l’eq. (3.47) coincide con la (2.81) quando<br />

il tempo inziale t0 →−∞; questo dimostra che l’eq. (3.46) fornisce la trasformata della<br />

parte stazionaria del moto.<br />

Per un sistema a molti gradi di libertà, supponendo che lo smorzamento sia di tipo<br />

classico, le equazioni del moto possono essere disaccoppiate, riportando il problema a<br />

quello di N oscillatori indipendenti, ciascuno caratterizzato dalla frequenza modale ωn<br />

e dal relativo smorzamento ξ n, per i quali si applica l’eq. (3.46). Quindi eseguendo la<br />

trasformata di Fourier dell’eq. (3.30) si orriene:<br />

in cui<br />

e<br />

Hn(ω) =<br />

ω0<br />

ezn(ω) =Hn(ω) e Qn(ω) (3.50)<br />

1<br />

−ω 2 +2iωωnξ n + ω 2 n<br />

(3.51)<br />

eQn(ω) = φTn ef(ω) (3.52)<br />

Mn<br />

Il vettore e f(ω) è costruito con le trasformate di Fourier delle componenti del vettore delle<br />

forze esterne f(t). L’intero vettore ez(ω) è dato quindi dalla relazione:<br />

ez(ω) =diag[Hn(ω)] ¡ Φ T MΦ ¢ −1 Φ Te f(ω) =diag[Hn(ω)] Φ −1 M −1e f(ω)<br />

(3.53)


3.6Motoditrascinamento 59<br />

e quindi, tenendo conto dell’eq. (3.24), risulta:<br />

La matrice:<br />

eu(ω) =Φez(ω) =Φ diag [Hn(ω)] Φ −1 M −1e f(ω) =H(ω)ea(ω) (3.54)<br />

H(ω) =Φ diag [Hn(ω)] Φ −1<br />

è la matrice di trasferimento della struttura, mentre<br />

(3.55)<br />

ea(ω) =M −1e f(ω) (3.56)<br />

è il vettore delle trasformate di Fourier delle forze normalizzate con la matrice delle masse.<br />

Il calcolo della trasformata diretta ed inversa in forma analitica è possibile solo per<br />

poche semplici funzioni. In generale l’uso delle trasformate di Fourier richiede l’impiego<br />

di procedimenti numerici: utilizzando l’algoritmo FFT si possono calcolare per punti le<br />

funzioni e f(ω) e quindi, mediante le (3.54) si determinano i valori di eu; la risposta si ottiene<br />

poi utilizzando la FFT inversa, applicata a eu.<br />

3.6 Moto di trascinamento<br />

3.6.1 Moto sincrono<br />

Tra le cause che sono in grado di indurre azioni dinamiche significative sulle strutture delle<br />

costruzioni civili la più importante probabilmente è il moto sismico. In questo caso sulla<br />

struttura non agiscono direttamente delle forze, ma solo gli effetti inerziali impressi dal<br />

moto di trascinamento. Infatti, in condizioni sismiche, un riferimento solidale al terreno<br />

non è più, neanche approssimativamente, inerziale e non è più lecito scrivere le equazioni<br />

del moto rispetto ad esso. Si dovrà perciò assumere come riferimento uno solidale al terreno<br />

in quiete; rispetto a questo, supponendo che la fondazione, rappresentata dai nodi vincolati<br />

al terreno, si comporti come un corpo rigido, l’accelerazione dei nodi della struttura si potà<br />

decomporre nella somma di un moto rigido direttamente proporzionale all’accelerazione<br />

alla base e di un termine di moto relativo, che esprime la deformazione della struttura:<br />

ü + Tag(t), incuiu indica ancora il vettore degli spostamenti relativi alla fondazione e<br />

ag è il vettore delle componenti del moto della fondazione; nel caso più generale ag èun<br />

vettore con 6 termini (3 traslazioni e 3 rotazioni). La matrice T, detta di trascinamento,<br />

è la matrice che esprime il moto dei nodi della struttura (considerata rigida) in funzione<br />

di quello della base; essa ha tante colonne quanti sono i termini di ag e tante righe per<br />

quanti sono i g.d.l. della struttura. Tenendo conto che la parte rigida del moto non induce<br />

direttamente tensioni, l’equazione dinamica del sistema si scrive:<br />

M (ü + Tag(t)) + C ˙u + Ku = 0<br />

Portando il termine noto a secondo membro si ottiene:<br />

Mü + C ˙u + Ku = −MTag(t) (3.57)<br />

Questa equazione coincide con la (3.4) se si sostituisce il termine noto f con −Tag. Se<br />

la matrice di smorzamento è di tipo classico l’eq. (3.57) può essere disaccoppiata nelle<br />

equazioni modali ed il termine della forzante del modo i—esimo risulta:<br />

Qi = − φTi MT<br />

ag(t) =−piag(t) (3.58)<br />

φiMφi


3.6Motoditrascinamento 60<br />

Il vettore<br />

pi = φT i MT<br />

φ iMφ i<br />

(3.59)<br />

è detto vettore dei coefficienti di partecipazione del modo i—esimo. Quando il moto della<br />

fondazione è traslatorio in una sola direzione, il vettore ag diviene uno scalare e la matrice<br />

T un vettore; in questo caso anche pi è uno scalare, indicato come coefficiente di<br />

partecipazione del modo.<br />

La matrice P dei coefficienti di partecipazione si può anche esprimere direttamente<br />

come prodotto di Φ −1 T,infatti:<br />

P = ¡ Φ T MΦ ¢ −1 ¡ Φ T MT ¢ = Φ −1 T (3.60)<br />

Questa formulazione non è conveniente per i sistemi con numerosi g.d.l. di cui normalmente<br />

non vengono determinati tutti gli autovettori e pertanto l’eq. (3.60) non è utilizzabile, in<br />

quanto l’intera matrice Φ non è nota.<br />

Esempio 3.4 Determinare i coefficienti di partecipazione dei modi del telaio studiato nell’esempio<br />

3.3 supponendo che il moto di trascinamento sia di sola traslazione in direzione orizzontale.<br />

In questo caso la matrice T diviene un vettore che, per la struttura esaminata, ha tre termini, tutti<br />

uguali ad 1:<br />

T =<br />

⎡<br />

⎣ 1<br />

1<br />

1<br />

ricordando le matrici delle masse e degli autovettori della struttura:<br />

⎡<br />

30<br />

M = ⎣ 0<br />

0<br />

30<br />

0<br />

0<br />

⎤<br />

⎦<br />

⎡<br />

. 32799<br />

Φ = ⎣ . 59101<br />

−. 73698<br />

−. 32799<br />

. 59101<br />

−. 73698<br />

0 0 30<br />

. 73698 . 59101 . 32799<br />

si ottiene facilmente, per ciascun modo:<br />

ovvero, direttamete:<br />

⎡<br />

p = Φ −1 T = ⎣<br />

⎤<br />

⎦<br />

p1 = φT1 MT<br />

φ T =<br />

1 Mφ1 49. 679<br />

= 1. 656<br />

30.0<br />

p2 = φT2 MT<br />

φ T =<br />

2 Mφ2 −14. 219<br />

= −. 47397<br />

30.0<br />

p3 = φT3 MT<br />

φ T =<br />

3 Mφ3 5. 4606<br />

= . 18202<br />

30.0<br />

. 32798 . 59101 . 73697<br />

−. 73697 −. 32798 . 59101<br />

. 59101 −. 73697 . 32798<br />

⎤ ⎡<br />

⎦ ⎣ 1<br />

⎤ ⎡<br />

1 ⎦ = ⎣<br />

1<br />

⎤<br />

⎦<br />

1. 656<br />

−. 47395<br />

. 18201<br />

Si osservi come i coefficienti di partecipazione diminuiscano in valore assoluto al crescere dell’ordine<br />

del modo: pertanto la forzante modale Qi decresce a sua volta e di conseguenza i modi di ordine<br />

elevato, in questi casi, contribuiscono poco al moto complessivo della struttura. 2<br />

⎤<br />


3.6Motoditrascinamento 61<br />

3.6.2 Moto non sincrono<br />

Anche se nella maggior parte dei casi l’ipotesi di moto sincrono dei punti vincolati al<br />

terreno sia lecita, ve ne sono alcuni in cui essa non è più accettabile: questo è per esempio<br />

il caso delle strutture spazialmente estese, con vincoli anche molto distanti tra loro, come i<br />

lunghi ponti o viadotti, o le tubazioni dei gasdotti, o nel caso delle sovrastrutture vincolate<br />

in punti diversi di una struttura principale.<br />

Quando il moto di trascinamento non è più sincrono si deve far riferimento al sistema<br />

di assi in quiete: indicando con x il vettore degli spostamenti di tutti inodi della struttura<br />

relativi a questo riferimento, le equazioni di equilibrio dei g.d.l. non vincolati si scrive:<br />

Mff¨xf+Mfg¨xg+Cff ˙xf+Cfg ˙xg+Kffxf+Kfgxg= 0 (3.61)<br />

Il vettore x è stato suddiviso nei sottovettori xf dei gradi di libertà non vincolati e xg del<br />

moto impresso ai g.d.l. vincolati e le matrici delle masse, degli smorzamenti e di rigidezza<br />

sono state coerentemente suddivise. La matrice Kfg tiene conto degli effetti prodotti sui<br />

nodi liberi dalle distorsioni impresse ai vincoli; la matrice Mfg nonènullasolonelcaso<br />

di matrice delle masse “coerente”. È conveniente esprimere xf come somma di una parte<br />

“dinamica” e di una “statica” o distorsiva:<br />

xf = x s f + u (3.62)<br />

in cui u indica la parte “dinamica” del moto e xs f quella “statica”. La parte “statica” si<br />

assume che verifichi l’equazione (3.61) in condizioni statiche, cioè:<br />

da cui si deduce che:<br />

Kffx s f +Kfgxg= 0 (3.63)<br />

x s f<br />

= −K−1<br />

ff Kfgxg<br />

(3.64)<br />

Sostituendo la decomposizione (3.62) nell’eq. (3.61) e tenendo conto della (3.64), si ottiene:<br />

³<br />

Mffü + Cff ˙u + Kffu = MffK −1<br />

ff Kfg−Mfg<br />

´ ³<br />

¨xg+ CffK −1<br />

ff Kfg−Cfg<br />

´<br />

˙xg<br />

(3.65)<br />

In questo modo si è ottinuto di dare all’equazione delle strutture soggette a moto non<br />

sincrono una struttura analoga alla (3.57) relativa al caso sincrono, a parte il termine<br />

a secondo membro dell’eq. (3.65) che dipende dalla velocità del moto di trascinamento.<br />

Inoltre, se si assume che la matrice di rigidezza sia semplicemente proporzionale a quella<br />

delle rigidezze, cioè che sia valida l’eq. (3.34) con α =0, allora sostituendo Cff = βKff<br />

e Cfg = βKfg, l’ultimo termine del secondo membro dell’eq. (3.65) è identicamente nullo<br />

erisulta:<br />

³<br />

Mffü + Cff ˙u + Kffu = MffK −1<br />

ff Kfg−Mfg<br />

´<br />

¨xg<br />

(3.66)<br />

Anche quando non si può sostenere che la matrice di smorzamento è proporzionale alle<br />

rigidezze, se il contributo dello smorzamento alle forze totali è piccolo, il termine di smorzamento<br />

viene comunque trascurato, in modo che il sistema di equazioni assuma la forma<br />

(3.66), formalmente simile a quella delle strutture soggette a moto sincrono.


3.7 Smorzamento non classico 62<br />

Le sollecitazioni dei nodi liberi dipendono solo dalla parte dinamica dello spostamento:<br />

infattisiha:<br />

sf = Kff(u + x s f )+Kfgxg = Kffu (3.67)<br />

L’ultimo risultato si ottiene immediatamente tenendo conto della posizione (3.63). Nei<br />

nodi vincolati invece si avrà:<br />

sg = Kgf(u + x s f )+Kggxg<br />

per cui, tenendo conto della (3.64) e del fatto che Kgf = KT fg ,siottiene:<br />

sg = K T fgu+ ³<br />

Kgg−K T fgK−1 ff Kfg<br />

´<br />

xg<br />

(3.68)<br />

Quindi, contrariamente al caso di moto sincrono, le sollecitazioni nei nodi vincolati dipendono<br />

anche dalle distorsioni indotte dal trascinamento.<br />

3.7 Smorzamento non classico<br />

Si è già detto in precedenza come di solito non sia possibile costruire la matrice di smorzamento<br />

di una struttura per assemblaggio di quelle dei suoi elementi costituenti (p.es.<br />

travi e pilastri) per cui lo smorzamento viene assegnato in termini percentuali direttamente<br />

ai modi della struttura non smorzata, basandosi sui valori misurati sperimentalmente<br />

su edifici analoghi a quello attualmente studiato. Questo modo di procedere presuppone<br />

che la matrice di smorzamento della struttura risulti disaccoppiata dagli autovettori delle<br />

matrici di rigidezza e delle masse, relativi alla struttura non smorzata, ossia che lo smorzamento<br />

sia di tipo “classico” o “proporzionale”, e ques to implica che C si possa ottenere<br />

combinando M e K come espresso dall’eq. (3.34) o, più in generale, (3.36).<br />

In alcuni casi tuttavia l’ipotesi di smorzamento “classico” non è accettabile: questo si<br />

verifica quando per qualche ragione è noto che una parte di una struttura ha uno smorzamento<br />

notevolmente diverso da quello delle altre, come nel caso dello studio dei problemi<br />

di interazione suolo struttura o delle strutture isolate alla base o munite di sistemi di dissipazione<br />

di energia. Ad esempio per lo studio dell’interazione della deformabilità del suolo<br />

con la soprastante struttura è necessario inserire nel modello, insieme alla struttura, anche<br />

una parte del suolo sottostante. È noto che, per varie ragioni, lo smorzamento da assegnare<br />

al suolo è sensibilmente maggiore di quello da attribuire alla struttura soprastante,<br />

ne consegue che la matrice globale risulta non proporzionale 6 .<br />

Quando la matrice di smorzamento non è diagonalizzata dagli autovettori del sistema<br />

non smorzato, la decomposizione modale studiata nei §3.3 ed 3.4 non è più applicabile<br />

perchè il sistema di equazioni che si ottiene utilizzando la trasformazione (3.25) non è più<br />

composto da equazioni indipendenti, poiché la matrice Φ T CΦ non è diagonale e pertanto<br />

nella k—esima equazioni compaiono termini in ˙zj, conj 6= k. Sono stati ideati alcuni metodi<br />

approssimati per superare questo ostacolo, il più semplice dei quali, utilizzabile per<br />

6 Nel caso dei problemi di interazione suolo—struttura, per la costruzione della matrice complessiva si<br />

può procedere nel seguente modo: si costruiscono le matrici di smorzamento Ct e Cs relative al solo terreno<br />

ed alla sola struttura, considerati separati, partendo dalle matrici di rigidezza e delle masse di ciascuna<br />

parte, nell’ipotesi di smorzamento proporzionale, utilizzando le eq. (3.34) o (3.36), e quindi assemblando<br />

queste in un’unica matrice.


3.7 Smorzamento non classico 63<br />

sistemi debolmente smorzati, consiste semplicemente nell’ignorare i termini fuori diagonale,<br />

assumendo quindi per ogni modo lo smorzamento che corrisponde altermine diagonale<br />

della matrice Φ T CΦ. Più in generale, se si vuole tenere correttamente conto della natura<br />

non proporzionale dello smorzamento per un sistema eccitato da una forzante qualsiasi,<br />

ma definita deterministicamente, la via più conveniente è quella di integrare direttamente<br />

le equazioni del moto nel dominio del tempo, impiegando una tecnica numerica del tipo<br />

di quelle illustrate nel §2.6.2. In alcuni casi però, ad esempio nelo studio della risposta ad<br />

un’azione aleatoria, è indispensabile possedere una formulazione analitica dell’equazione,<br />

ottenuta mediante la decomposizione modale: nel seguito sarà illustrato un procedimento<br />

che consente la decomposizione modale di sistemi con matrice di smorzamento di tipo<br />

qualsiasi.<br />

3.7.1 Analisi modale complessa<br />

Riduzione di un’equazione differenziale ad un sistema del primo ordine<br />

Una equazione differenziale lineare di orine m:<br />

con le condizioni iniziali:<br />

y (m) + a1y (m−1) + ···+ am−1y 0 + amy = f<br />

y(0) = y10, y 0 (0) = y20, ... y (m−1) (0) = ym0<br />

può essere sempre trasformata in un sistema di m equazioni del primo ordine; basta per<br />

questo introdurre un vettore di incognite:<br />

y1 = y, y2 = y 0 , ... ym = y (m−1)<br />

e quindi riscrivere l’equazione originale e le definizioni introdotte in modo da formare il<br />

sitema seguente:<br />

y 0 1 = y2<br />

y 0 2 = y3<br />

con le condizioni iniziali<br />

.<br />

y 0 m = −a1ym − a2ym−1 − ···− am−1y2 − amy1 + f<br />

y1(0) = y10, y2(0) = y20, ... ym(0) = ym0<br />

In modo analogo si può mostrare che un sistema di N equazioni di ordine m, si può<br />

trasformare in un sistema di mN equazioni del primo ordine.<br />

Seguendo il procedimento delineato sopra, l’equazione dinamica di una struttura con<br />

N gradi di libertà (3.4) diviene un sistema di 2N equazioni del primo ordine; per questo<br />

si definisce il vettore di stato:<br />

x(t) =<br />

· u(t)<br />

˙u(t)<br />

¸<br />

(3.69)


3.7 Smorzamento non classico 64<br />

la matrice dei coefficienti<br />

ed il vettore dei termini noti:<br />

·<br />

A =<br />

0 I<br />

−M −1 K −M −1 C<br />

·<br />

y(t)=<br />

0<br />

M −1 f(t)<br />

L’equazione (3.4) è quindi equivalente al sistema di primo ordine:<br />

¸<br />

¸<br />

(3.70)<br />

(3.71)<br />

˙x(t) =Ax(t)+y(t) (3.72)<br />

come è facile verificare direttamente, sviluppando la (3.72) e tenendo conto delle definizioni<br />

(3.69), (3.70) e (3.71).<br />

Soluzione di un sistema del primo ordine a coefficienti costanti<br />

L’equazione differenziale (3.72) è a coefficienti costanti, come l’eq. (3.4) da cui deriva.<br />

L’integrale generale dell’eq. (3.72) si può calcolare con la relazione:<br />

x(t) =X(t)x0 +<br />

Z t<br />

0<br />

X(t−τ)y(τ) dτ (3.73)<br />

in cui x0 indica il vettore delle condizioni iniziali di x(t) ed X(t) èlamatrice delle soluzioni<br />

principali. X(t) è una matrice 2N × 2N formata con 2N soluzioni indipendenti dell’equazione<br />

(3.72) resa omogenea e con condizioni iniziali tali che solo una delle componenti di<br />

x(0) è non nulla (ed uguale ad uno). Sinteticamente questo significa che X(t) soddisfa le<br />

condizioni:<br />

˙X(t) =AX(t) X(0) = I (3.74)<br />

dove, come di solito, I indica la matrice unità. La (3.73) si giustifica immediatamente,<br />

calcolando la derivata di x(t) e tenendo conto della (3.74)<br />

Z t<br />

˙x(t) = ˙X(t)x0 + X(0)y(t)+ ˙X(t − τ)y(τ) dτ =<br />

0<br />

Z t<br />

AX(t)x0 + y(t)+A X(t − τ)y(τ) dτ = Ax(t)+y(t)<br />

La soluzione dell’equazione matriciale (3.74) si può scrivere formalmente:<br />

X(t) =e At<br />

in cui con e At siintendelamatricechesiottienecomelimitedellaserie:<br />

e At = I + At + 1<br />

2 (At)2 + 1<br />

3! (At)3 + ···=<br />

0<br />

∞X<br />

n=0<br />

1<br />

n! An t n<br />

(3.75)<br />

(3.76)<br />

Supponendo che la matrice degli autovettori di A, Ψ, sia non singolare, essa definisce una<br />

trasformazione che rende A diagonale [eq. (A.46)] Ψ −1 AΨ = Λ,incuiΛ =diag[λ1, λ2,... ,λ2N]


3.7 Smorzamento non classico 65<br />

è la matrice diagonale degli autovalori di A. Inversamente si ha A = ΨΛΨ−1 ; sostituendo<br />

questa relazione nella (3.76) si ottiene:<br />

e At Ã<br />

∞X<br />

1<br />

= Ψ<br />

n! Λnt n<br />

!<br />

Ψ −1 "<br />

∞X<br />

λ<br />

= Ψ diag<br />

n k<br />

n! tn<br />

#<br />

n=0<br />

n=0<br />

Ψ −1 h i<br />

λkt<br />

= Ψ diag e Ψ −1 = Ψe Λt Ψ −1<br />

(3.77)<br />

Con e Λt si è indicata sinteticamente la matrice diagonale formata con gli esponenziali<br />

degli autovalori di A moltiplicati per t. La soluzione dell’equazione differenziale (3.72) è<br />

quindi ricondotta alla determinazione degli autovalori e degli autovettori della matrice A<br />

dei coefficienti.<br />

Determinazione delle soluzioni modali<br />

Sostituendo nella (3.73) alla matrice delle soluzioni principali X(t) la (3.75) nella forma<br />

(3.77), si ottiene<br />

x(t) =Ψe Λt Ψ −1 Z t<br />

x0 + Ψ e<br />

0<br />

Λ(t−τ) Ψ −1 y(τ) dτ (3.78)<br />

Quindi, introducendo il vettore delle variabili modali z(t):<br />

dalla (3.78) si ottiene:<br />

z(t)= Ψ −1 x(t) ⇐⇒ x(t)= Ψz(t) (3.79)<br />

z(t) =e Λt Z t<br />

z0 +<br />

0<br />

e Λ(t−τ) w(τ) dτ (3.80)<br />

avendo posto, in accordo alla (3.79), z0 = Ψ−1x0 e w(t) =Ψ−1y(t). Tenendo conto che<br />

eΛt è una matrice diagonale, l’eq. (3.80) si decompone in 2N equazioni indipendenti del<br />

tipo:<br />

zk(t) =e λkt<br />

Z t<br />

z0k + e<br />

0<br />

λk(t−τ)<br />

wk(τ) dτ (k = 1, 2,... ,2N) (3.81)<br />

La decomposizione delle matrici simmetriche M e K dava luogo ad autovettori ed<br />

autovalori reali; al contrario gli autovalori e gli autovettori della matrice non simmetrica<br />

A risultano generalmente complessi e, poiché A ha dimensioni pari, si avranno in generale<br />

N coppie di valori complessi coniugati. Se gli autovettori Ψ sono complessi, tali saranno<br />

anche le coordinate modali z(t), mapoichéΨezsono composte da coppie coniugate, il<br />

loro prodotto risulta reale; quindi x risulta reale, come ovvio.<br />

Si consideri il caso di oscillazioni libere (w(t) ≡ 0) per cui si ha zk(t) =z0keλkt ;seλk<br />

fosse reale avremmo un andamento esponenziale del moto e poiché questo non può essere<br />

crescente risulterà λk < 0. Questo è il caso che corrisponde ad uno smorzamento critico o<br />

supercritico per l’oscillatore ad un g.d.l. Per sistemi smorzati in modo subcritico, affinché<br />

il moto sia oscillante, l’autovalore dovrà essere complesso e la parte reale non positiva; i<br />

due autovalori complessi coniugati saranno pertanto<br />

λk = −µ k ± iη k


3.7 Smorzamento non classico 66<br />

in cui µ k e ηk sono numeri reali non negativi. Indicando con ωk = |λk| il modulo<br />

dell’autovalore e ponendo µ k = ξkωk, evidentemente si ha<br />

η k = ωk<br />

per cui la legge temporale del modo zk risulta<br />

zk(t) =z0ke −ξkωkt · µ<br />

cos<br />

ωk<br />

q<br />

1 − ξ 2 k<br />

q<br />

1 − ξ 2 k t<br />

<br />

µ q<br />

+ i sin ωk 1 − ξ 2 kt ¸<br />

(3.82)<br />

La parte reale di questa funzione coincide con la legge del moto di un oscillatore di frequnza<br />

naturale (non smorzata) ωk e smorzamento percentuale ξ k. Dunque il modulo dell’autovalore<br />

complesso λk è la frequenza naturale del modo ed il rapporto tra la parte reale ed<br />

il modulo stesso corrisponde al coefficiente di smorzamento.<br />

Autovettori complessi<br />

Nelle strutture non smorzate, o smorzate in modo classico, se viene eccitato un singolo<br />

modo di vibrazione, la struttura oscilla in modo che, pur variando l’ampiezza, la configurazione<br />

non muta, poiché questa è dall’autovettore reale delle matrici K e M. Per<br />

comprendere quello che accade per le strutture con smorzamento non classico si osservi<br />

che se ψk indica il k—esimo vettore della matrice Ψ, cioèilk—esimo autovettore di A, deve<br />

soddisfare l’equazione Aψk = λkψk. Ricordando la forma<br />

·<br />

della<br />

¸<br />

matrice A [eq. (3.70)] e<br />

φk<br />

suddividendo il vettore ψk in due sottovettori: ψk = si ha:<br />

·<br />

Aψk =<br />

da cui si deducono le due equazioni:<br />

0 I<br />

−M −1 K −M −1 C<br />

¸· φk<br />

$k<br />

$k<br />

−M −1 Kφ k−M −1 C$k = λk$k<br />

¸ ·<br />

φk<br />

= λk<br />

$k<br />

$k = λkφ k (3.83)<br />

Sostituendo la prima nella seconda, dopo aver moltiplicato tutti i termini a sinistra per<br />

M, si ottiene:<br />

¡ λ 2 k M+λkC + K ¢ φ k = 0 (3.84)<br />

Gli autovalori λk si possono quindi ottenere come radici del polinomio di ordine 2N:<br />

det ¡ λ 2 k M+λkC + K ¢ = 0 ed gli autovettori φ k come soluzioni del sistema omogeneo<br />

(3.84).<br />

Ortogonalità degli autovettori<br />

Introducendo le matrici simmetriche:<br />

· ¸<br />

C M<br />

D =<br />

M 0<br />

efacileverificare che<br />

D −1 ·<br />

=<br />

·<br />

−K 0<br />

B =<br />

0 M<br />

0 M −1<br />

M −1 −M −1 CM −1<br />

¸<br />

¸<br />

¸<br />

(3.85)


3.7 Smorzamento non classico 67<br />

e quindi che D −1 B = A. Sostituendo questa posizione nell’equazione agli autovalori di A,<br />

dopo aver moltiplicato i due membri per D risulta<br />

Bψ k = λkDψ k<br />

(3.86)<br />

Poiché le matrici B e D sono simmetriche si verifica facilmente che gli autovettori sono<br />

ortogonali; cioè se ψ k e ψ l sono autovettori che corrispondono a due modi diversi λk 6= λl,<br />

si ha:<br />

ψ T l Bψ k = λkψ T l Dψ k =0 (l 6= k) (3.87)<br />

·<br />

φk<br />

In forma esplicita, ricordando che si è posto ψk =<br />

equazioni<br />

λkφ k<br />

¸<br />

, alla (3.87) corrispondono le<br />

φ T l Kφk=λlλkφ T l Mφk (3.88a)<br />

φ T l Cφk+(λl + λk)φ T l Mφk =0 (3.88b)<br />

Forme di vibrazione delle strutture con smorzamento non classico<br />

Moltiplicando l’ampiezza del modo k, espressa dalla (3.82) per il corrispondente autovettore<br />

φk si ottiene il contributo di questo modo al moto globale della struttura; sommando<br />

poiicontributididuemodicomplessiconiugatisiottienecheilvettoredeglispostamenti<br />

strutturalidovutialmodok, sipossonoesprimerecome<br />

uk(t) =2Re<br />

½<br />

φ kz0ke −ξ k ωkt<br />

·<br />

cos<br />

µ<br />

ωk<br />

q<br />

1 − ξ 2 k t<br />

<br />

µ q<br />

+ i sin ωk 1 − ξ2 kt ¸¾<br />

quindi, ponendo z0k nella forma |z0k|eiϑk e distinguendo φk nelle sue parti reale e immaginaria,<br />

risulta:<br />

½<br />

uk(t) =2Re (κk+iγ k) |z0k|e −ξkωkt · µ q<br />

cos ωk 1 − ξ 2 <br />

kt + ϑk<br />

µ q<br />

+i sin ωk 1 − ξ2 ¸¾<br />

kt + ϑk =<br />

2|z0k|e ξkωkt · µ q<br />

κk cos ωk 1 − ξ2 µ q<br />

kt + ϑk − γk sin ωk 1 − ξ2 ¸<br />

kt + ϑk (3.89)<br />

Questa equazione dimostra come, a differenza del caso delle oscillazioni non smorzate,<br />

o smorzate in modo proporzionale, ora le oscillazioni di ciascun modo sono formate da una<br />

combinazione di due forme, che oscillano con la stessa frequenza ma con una differenza di<br />

fase di π/2, corrispondenti alla parte reale e complessa dell’autovettore.


Capitolo 4<br />

Sistemi continui: onde nei mezzi<br />

elastici<br />

4.1 Introduzione<br />

Nei capitoli precedenti sono stati esaminati sistemi con un numero finito di gradi di libertà.<br />

Da un punto di vista operativo l’aver ristretto lo studio a tali sistemi non è una<br />

limitazione, poiché è sempre possibile approssimare un sistema continuo con uno discreto,<br />

eventualmente fornito di un numero sufficientemente grande di gradi di libertà. In alcuni<br />

casi la discretizzazione è quasi naturale e dà luogo a sistemi con relativamente pochi gradi<br />

di libertà (p.es. gli edifici a telaio multipiano), in altri la discretizzazione è meno ovvia<br />

e richiede, per ottenere una modellazione significativa, l’introduzione di molti gradi di libertà<br />

(p.es. la discretizzazione con elementi finiti di un guscio o di una piastra). Tuttavia,<br />

se la discretizzazione con il metodo degli elementi finiti è uno strumento potente che permette<br />

di risolvere accuratamente problemi complessi, la cui soluzione è inabbordabile per<br />

via analitica, ha il limite di non porre in evidenza i caratteri generali delle soluzioni, che<br />

spesso è possibile ottenere da uno studio attento delle equazioni che reggono il problema e<br />

della struttura delle soluzioni (quando note); tale studio consente spesso di penetrare più<br />

profondamente nella natura del sistema e funge da guida per apprestare gli strumenti di<br />

indagine più appropriati per altri problemi.<br />

Le equazioni della dinamica dei continui si ottengono facilmente estendendo quelle ben<br />

note della statica. In pratica le equazioni di compatibilità cinematica (congruenza) e la<br />

legge costitutiva del materiale (p.es. elastica lineare) non mutano; solo nelle equazioni di<br />

equilibrio si deve tener conto anche degli effetti dell’inerzia. Nel caso di piccoli spostamenti,<br />

quando è possibile sostituire le equazioni di equilibrio relative alla configurazione<br />

di riferimento (configurazione indeformata) a quelle relative alla configurazione attuale, le<br />

equazionidiequilibriosiscrivono:<br />

τ ij/j + gi = ρüi<br />

(4.1)<br />

dove τ ij indica la componente ij del tensore delle tensioni T, gi sono le componenti del<br />

vettore delle forze di volume g, ui sono le componenti del vettore degli spostamenti u<br />

e ρ indica la densità di massa; il pedice /j denota la derivazione rispetto alla j-esima<br />

coordinata spaziale xj, mentre con il punto sopra il simbolo si è indicata la derivata<br />

rispetto alla coordinata temporale t. Pertanto üi èlai-esima componente del vettore<br />

accelerazione; inoltre si è applicata la convenzione di Einstein, per la quale è sottintesa la<br />

68


4.2 Vibrazioni longitudinali di una barra 69<br />

somma degli indici ripetuti due volte (p.es. τ ij/j = P<br />

j<br />

(4.1) si può scrivere:<br />

div T+g =ρü<br />

∂τij<br />

∂xj<br />

). Con altra notazione l’eq.<br />

L’equazione (4.1), unita a quella di compatibiltà cinematica ed alla legge costitutiva<br />

del materiale, descrive in modo completo la dinamica delle piccole vibrazioni dei solidi.<br />

4.2 Vibrazioni longitudinali di una barra<br />

4.2.1 Onde stazionarie<br />

Il caso più semplice da esaminire è quello di una barra con asse rettilineo soggetta soltanto<br />

ad azioni parallele all’asse longitudinale. Indicando con x la direzione di questo asse, la<br />

sola componente non nulla di T sarà τ xx = σ; assumendo inoltre nulle le forze di volume,<br />

la (4.1) si semplifica nella sola equazione scalare:<br />

∂σ<br />

∂x = ρ∂2 u<br />

∂t2 In un mezzo elastico lineare e per le ipotesi fatte si ha semplicemente σ = Eε, dove<br />

(4.2)<br />

ε = ∂u<br />

∂x<br />

è la deformazione longitudinale della barra ed E è il modulo elastico del materiale.<br />

Sostituendo queste due ultime relazioni nella (4.2) si ottiene facilmente:<br />

µ<br />

∂<br />

E<br />

∂x<br />

∂u<br />

<br />

∂x<br />

= ρ ∂2 u<br />

∂t 2<br />

e, se le caratteristiche meccaniche sono uniformi nella barra:<br />

che si può anche scrivere:<br />

E ∂2u ∂x2 = ρ∂2 u<br />

∂t2 ∂2u ∂t2 = c2 ∂2u ∂x2 dove, tenendo conto che E e ρ sono grandezze sempre positive, si è posto:<br />

s<br />

E<br />

c =<br />

ρ<br />

Èfacileverificare che l’equazione (4.3) ha soluzioni del tipo:<br />

(4.3)<br />

(4.4)<br />

u (x, t) =f1 (x + ct)+f2 (x − ct) (4.5)<br />

dove f1 ed f2 sono funzioni arbitrarie, purché due volte derivabili, il cui effettivo valore<br />

dipende dalle condizioni iniziali ed al contorno. L’equazione (4.5) rappresenta la sovrapposizione<br />

di due onde, di forma f1(x) ed f2(x), rispettivamente, entrambe viaggianti con<br />

velocità c, la prima nel verso negativo e la seconda in quello positivo dell’asse della barra.


4.2 Vibrazioni longitudinali di una barra 70<br />

0.8<br />

0.6<br />

0.4<br />

0.2<br />

0<br />

-0.2<br />

-0.4<br />

-0.6<br />

-0.8<br />

5 10 15 20 25 30<br />

x<br />

Figura~4.1: Moto di un onda di equazione f(x) =sin(x)e −0.03x2<br />

Infatti, se ad esempio f1 assume il valore ū nel punto x0 al tempo t0, lo stesso valore sarà<br />

raggiunto in tutti i punti in cui è soddisfatta la condizione:<br />

x + ct = x0 + ct0<br />

ossia per<br />

x = x0 − c (t − t0)<br />

Questa è l’equazione di un punto che si muove, in direzione negativa, con velocità c.<br />

Analogamente è facile verificare che l’onda f2 si propaga nella direzione positiva con la<br />

medesima velocità. Nella Fig.4.1 è rappresentata in tre differenti istanti l’onda di equazione<br />

sin (x) e−0.03x2 propagantesi in verso positivo.<br />

4.2.2 Barra di lunghezza finita<br />

La soluzione (4.5) dell’equazione (4.3) lascia completamente indeterminata la forma delle<br />

funzioni f1 ed f2. Per rendere la soluzione determinata occorre definire delle condizioni al<br />

contorno, cioè sulle sezioni terminali della barra, e delle condizioni iniziali, cioè lo stato<br />

della barra da un tempo iniziale, per esempio t =0.<br />

Si consideri allora una barra di lunghezza finita l, con condizioni di vincolo nelle basi<br />

che saranno definite in seguito. La soluzione dell’equazione (4.3) viene cercata con il<br />

metodo della separazione delle variabili, ponendo<br />

Sostituendo la (4.6) nella (4.3) si ottiene:<br />

u (x, t) =φ (x) w (t) (4.6)<br />

φ (x) d2w dt2 = c2w (t) d2φ dx2 quindi dividendo entrambi i membri per u e tenendo conto che ora il primo membro<br />

dipende solo da t ed il secondo solo da x, sidovràavere::<br />

1<br />

w(t)<br />

d2w 1<br />

= c2<br />

dt2 d<br />

φ(x)<br />

2φ = −ω2<br />

dx2 (4.7)


4.2 Vibrazioni longitudinali di una barra 71<br />

dove ω 2 indica una costante positiva. La ragione della scelta del segno della costante sarà<br />

chiarito tra breve.<br />

Dalla (4.7) si ottengono due equazioni differenziali ordinarie (lineari ed a coefficienti<br />

costanti):<br />

d 2 w<br />

d2φ +<br />

dx2 dt 2 + ω2 w = 0 (4.8)<br />

³ ω<br />

c<br />

´ 2<br />

φ = 0 (4.9)<br />

L’equazione (4.8) coincide con quella (2.3) di un oscillatore semplice non smorzato di<br />

frequenza ω. La soluzione si può scrivere nella forma:<br />

w(t) =e iωt<br />

(4.10)<br />

È ora possibile chiarire la ragione della scelta del segno dell’ultimo membro della<br />

(4.7); se questo fosse stato positivo la soluzione dell’equazione (4.8) sarebbe stata<br />

esponenzialmente crescente nel tempo, violando i principi di conservazione.<br />

Analogamente anche la soluzione dell’equazione (4.9) è una combinazione di funzioni<br />

armoniche:<br />

incuisièposto<br />

φ(x) =Ae iκx + Be −iκx<br />

(4.11)<br />

κ = ω<br />

(4.12)<br />

c<br />

mentre A e B sono costanti complesse che dipendono dai vincoli imposti alle sezioni di<br />

estremità. La soluzione dell’equazione (4.3) si può quindi scrivere:<br />

Estremi liberi<br />

u (x, t) =Ae i(ωt+κx) + Be i(ωt−κx)<br />

(4.13)<br />

Intalcasonellasezionidiascissax =0e x = l si ha σ =0, ovvero, per la proporzionalità<br />

tra tensioni e deformazioni,<br />

εx = ∂u dφ<br />

= w =0 per x =0e x = l<br />

∂x dx<br />

Sostituendo la (4.13) si ottengono le due equazioni:<br />

iκ (A − B) e iωt = 0<br />

³<br />

iκ Ae iκl − Be −iκl´<br />

e iωt = 0<br />

Dalla prima di queste equazioni segue che A = B. Quindi dalla seconda si ricava:<br />

A<br />

³<br />

e iκl − e −iκl´<br />

=2iA sin (κl) =0<br />

Escludendo la soluzione banale A =0, questa equazione è verificata se κl = nπ, doven<br />

indica un arbitrario intero positivo. Dalla condizione κl = nπ segue<br />

κn = nπ<br />

(4.14)<br />

l


4.2 Vibrazioni longitudinali di una barra 72<br />

e quindi<br />

ωn = nπ c<br />

(4.15)<br />

l<br />

A ciacun valore di n corrisponde quindi una soluzione dell’equazione (4.3) che rispetta le<br />

condizioni di bordo libero:<br />

in cui<br />

un(x, t) =φ n(x)wn(t) (4.16)<br />

φ n(x) = cos(κnx) (4.17)<br />

wn(t) = Ae iωnt<br />

(4.18)<br />

Le funzioni φ n(x) sono le autofunzioni dell’equazione differenziale (4.9), per le condizioni<br />

ai limiti prescelte; κn sono i corrispondenti autovalori. Ricordando la definizione di κn,<br />

èfacileintendereilsignificato della grandezza, detta lunghezza d’onda, λn =2π/κn = cTn,<br />

dove Tn =2π/ωn è il periodo di oscillazione: λn è lo spazio percorso dall’onda in un periodo<br />

di oscillazione, ma è anche il “periodo” spaziale dell’autofunzione. Il suo inverso (a<br />

meno di 2π) κn è detto numero d’onda.<br />

Estremi vincolati<br />

In questo caso le condizioni al contorno sono φ(0) = φ(l) =0. Di conseguenza dalla (4.13)<br />

si ottiengono le equazioni:<br />

la cui soluzione non banale è<br />

(A + B) e iωt = 0<br />

³<br />

Ae iκl + Be −iκl´<br />

e iωt = 0<br />

A = −B κl = nπ<br />

dove n indica un intero positivo. Quindi i numeri d’onda delle vibrazioni sono, come nel<br />

caso precedente<br />

κn = nπ<br />

l<br />

e di conseguenza anche le frequenze prendono i valori forniti dall’equazione (4.15). La<br />

soluzione dell’equazione delle onde risulta pertanto:<br />

un (x, t) =A sin (κnx) e iωnt<br />

(4.19)<br />

Il fattore 2i è stato incorporato nel coefficiente indeterminato A. Nei due casi esaminati le<br />

vibrazioni in due barre di uguali caratteristiche ma diversamente vincolate alle estremità,<br />

una con le estremità libere e l’altra incastrate, hanno le stesse frequenze e lunghezze<br />

d’onda, ma le onde sono traslate, l’una rispetto a l’altra, del fattore π/2.


4.2 Vibrazioni longitudinali di una barra 73<br />

Estremo libero ed estremo vincolato<br />

Se la base iniziale della barra è incastrata , mentre l’altra è libera, le condizioni al contorno<br />

risultano:<br />

(A + B) e iωt = 0<br />

³<br />

iκ Ae iκl − Be −iκl´<br />

e iωt = 0<br />

Dalla prima si trae che A = −B, dalla seconda segue:<br />

e iκl + e −iκl µ<br />

=2cos(κl) =0=⇒ κl = n − 1<br />

<br />

π<br />

2<br />

e quindi<br />

(n = 1, 2,...)<br />

κn =<br />

µ<br />

n − 1<br />

ωn =<br />

<br />

π<br />

2 l<br />

µ<br />

n − 1<br />

<br />

π<br />

2<br />

c<br />

l<br />

(4.20a)<br />

(4.20b)<br />

Il confronto tra le (4.20) e la (4.15) dimostra come le frequenze delle vibrazioni libere<br />

delle barre con vincoli misti sono più basse di quelle di analoghe barre vincolate in modo<br />

uguale ad entrambi gli estremi. Indicando con ωI n lefrequenzediquesteultimeeconωII n<br />

quelle delle barre con vincoli asimmetrici, si ha:<br />

ω II<br />

n<br />

ω I n<br />

= n − 1/2<br />

n<br />

Vibrazioni indotte da una percossa<br />

= 1 − 1<br />

2n = © 0.5 0.75 0.833 ··· ª<br />

Su di una barra lunga l, inizialmente in quiete, vincolata ad un estremo e libera all’altro,<br />

si applichi, all’estremità libera, una pressione di intensità σ0 per un tempo molto breve<br />

∆t, dopo il quale la forza viene rimossa e la barra è lasciata libera di vibrare. Alla fine del<br />

tempo ∆t solo un breve tratto della barra di lunghezza ∆x, infinitesimo dello stesso ordine<br />

di ∆t, avrà avvertito gli effetti della percossa, mentre il resto della barra sarà rimasto in<br />

quiete.<br />

Per valutare gli effetti della forza alla fine del tempo di applicazione, si parte dalla<br />

equazione (4.2); integrando entrambi i membri rispetto ad x, nell’intervallo [0, ∆x], siha:<br />

Z ∆x<br />

σ (∆x, t) − σ (0,t)=ρ ü (x, t) dx (4.21)<br />

Per 0 ≤ t


4.2 Vibrazioni longitudinali di una barra 74<br />

Considerando ∆x un infinitesimo, si avrà quindi:<br />

da cui, si ottiene:<br />

σ0∆t = ρ ˙u (0, ∆t) ∆x + O ¡ ∆x 2¢<br />

σ0 ∆t σ0<br />

˙u (0, ∆t) =v0 = lim =<br />

∆t→0 ρ ∆x ρc<br />

(4.22)<br />

in cui c è la velocità di propagazione delle onde.<br />

Per quanto visto nel precedente paragrafo, per una barra con un estremo libero ed uno<br />

vincolato, la soluzione dell’equazione (4.2) si può scrivere:<br />

u (x, t) =<br />

∞X<br />

Ane iωnt<br />

cos (κnx) (4.23)<br />

n=1<br />

dove le espressioni di ωn e κn sono quelle delle eq. (4.20). Diversamente dal caso trattato<br />

prima qui si è posta l’origine del riferimento in corrispondenza dell’estremità libera della<br />

barra, per cui la funzione seno è sostituita dalla funzione coseno. Derivando la (4.23) si<br />

trova l’espressione della velocità:<br />

˙u (x, t) =i<br />

∞X<br />

Anωne iωnt cos (κnx) (4.24)<br />

n=1<br />

Ponendo l’origine dei tempi nell’istante in cui cessa l’azione della forza, al tempo zero la<br />

velocità dei punti della barra è nulla ovunque eccetto il tratto iniziale di lunghezza ∆x<br />

dove prende il valore v0 fornito dalla (4.22). Moltiplicando entrambi i membri della (4.24)<br />

per cos (κjx), ponendo t =0e tenendo conto che ˙u 6= 0solo per x ∈ [0, ∆x], siha:<br />

Z ∆x<br />

∞X<br />

Z l<br />

v0 cos (κjx) dx = i<br />

cos (κjx)cos(κnx) dx<br />

0<br />

n=1<br />

Ajωj<br />

Tenendo conto dell’espressione esplicita di κ ediω [eq. (4.20)] e delle proprietà di ortogonalità<br />

delle funzioni trigonometriche, si ha:<br />

¡ ¡ 3<br />

v0 ∆x + O ∆x ¢¢ l<br />

= iAjωj<br />

2<br />

da cui, a meno di infinitesimi di ordine superiore al secondo in ∆x, siricava:<br />

Aj = −i 2v0∆x<br />

ωjl<br />

0<br />

4σ0∆t<br />

= −i<br />

ρ (2j − 1) πc<br />

(4.25)<br />

Sostituendo la (4.25) nella (4.23) ed utilizzando le espressioni esplicite di ω e κ [eq. (4.20)],<br />

si ha l’espressione dell’onda che si propaga nella barra:<br />

u (x, t) = 4σ0∆t<br />

ρπc<br />

∞X<br />

n=1<br />

sin [(2n − 1) ω1t]cos[(2n − 1) κ1x]<br />

(2n − 1)<br />

(4.26)<br />

dove ω1 = πc/2l, è la frequenza del primo modo e κ1 = ω1/c è il corrispondente numero<br />

d’onda..


4.2 Vibrazioni longitudinali di una barra 75<br />

≥ΖΜΚΡ ≥ΖΝΚΜ ≥ΖΝΚΡ<br />

≥ΖΟΚΜ ≥ΖΟΚΡ ≥ΖΠΚΜ<br />

≥ΖΠΚΡ ≥ΖΘΚΜ ≥ΖΘΚΡ<br />

Figura~4.2: Rappresentazione della funzione u(x, t) in 6 istanti successivi. τ = ω1t.<br />

In figura 4.2 la funzione u (x, t) è rappresentata in sei istanti successivi. Il tempo τ<br />

è normalizzato con la frequenza del primo modo: τ = ω1t, l’ascissa spaziale è normalizzata<br />

alla lunghezza (ξ = x/l), mentre l’ampiezza dello spostamento è normalizzata con<br />

il fattore 4σ0∆t/ρπc. Come si vede il fronte d’onda presenta una brusca discontinuità<br />

tra la parte indisturbata e quella che ha subito lo spostamento; in questo strato infinitesimo<br />

evidentemente si raggiungono deformazioni infinite: ciò dipende dall’ipotesi fatta<br />

che ∆t sia infinitesiomo e quindi, perché l’impulso σ0∆t sia finito, che σ0 sia infinito. In<br />

realtà la transizione tra le due zone sarà tanto più lunga quanto più lungo è il tempo<br />

di applicazione della forza e proporzionalmente minore la tensione σ0. Infigura 4.3 sono<br />

riportati, sovrapposti, gli andamenti della deformazione ε = ∂u/∂x in tre istanti successivi<br />

(τ =0.5 − 1.0 − 1.5). Il grafico mostra un picco, pronunciato ma di intensità finita, che<br />

interessa un tratto piccolo ma finito della barra, che si propaga, come il fronte d’onda, con<br />

velocità c. Il fatto che il risultato non sia un picco infinito di ampiezza nulla dipende però<br />

solo dal numero finito di armoniche (40) messe in conto nella (4.26) per il calcolo di u. Al<br />

crescere del numero delle armoniche conteggiate, il picco si fa sempre più alto e sottile.<br />

Raggiunta la base fissa, come si vede dalla fig. 4.2, il fronte d’onda torna indietro, fino<br />

alla base libera, dove viene ulteriormente riflessa verso l’interno, però con segno opposto.<br />

Poiché nelle equazioni non sono stati introdotti termini dissipativi, è evidente che il moto<br />

prosegue indefinitamente.


4.3 Onde nel continuo indefinito 76<br />

Figura~4.3: Andamento della tensione nella barra in 3 istanti successivi.<br />

4.3 Onde nel continuo indefinito<br />

Nel continuo tridimensionale le equazioni di equilibrio sono espresse dalla (4.1); a queste si<br />

devono aggiungere le relazioni di compatibilità cinematica che, per piccole deformazioni,<br />

sono:<br />

E = sim grad u (4.27)<br />

dove l’operatore sim (T) indica la parte simmetrica del tensore T, e la legge costitutiva del<br />

materiale. Per un mezzo linearmente elastico ed isotropo questa può formulare nel modo<br />

seguente:<br />

T = λ Tr (E) I+2µE (4.28)<br />

in cui I indica il tensore isotropo, Tr (E) =e è la variazione relativa di volume dell’elemento,<br />

mentre λ e µ sono coefficienti noti come le costanti di Lamè del materiale. Come è noto<br />

queste costanti sono legate al modulo di Young E ed al coefficiente di Poisson ν, dalle<br />

relazioni<br />

λ =<br />

νE<br />

(1 + ν)(1 − 2ν)<br />

Sostituendo le (4.27) e (4.28) nella (4.1) risulta:<br />

µ = G =<br />

E<br />

2(1 + ν)<br />

(4.29)<br />

(λ + µ)graddivu+µ4u + g =ρü (4.30)<br />

in cui 4 indica l’operatore di Laplace: 4 =divgrad= ∂2<br />

∂x2 + ∂2<br />

∂y2 + ∂2<br />

∂z2 .<br />

Si assumano ora nulle le forze di volume, e si ponga<br />

dove:<br />

u = u l + u t<br />

(4.31)<br />

div u t =rotu l =0 (4.32)


4.3 Onde nel continuo indefinito 77<br />

La decomposizione (4.31) di un vettore come somma di uno irrotazionale (u l ) ed uno<br />

adivergenzanulla(u t ) è sempre possibile. Applicando l’operatore divergenza a tutti i<br />

membri della (4.30) e tenendo conto delle (4.31) e (4.32), si ottiene:<br />

div<br />

h<br />

(λ +2µ) ∆u l − ρü li<br />

=0 (4.33)<br />

Analogamente applicando l’operatore rotore e tenendo anche conto che rot grad ≡ 0, si<br />

deduce:<br />

rot £ µ∆u t − ρü t¤ =0 (4.34)<br />

Poiché per le entrambe le quantità in parentesi quadra nelle due equazioni (4.33) e (4.34)<br />

si annullano rotore e divergenza esse sono, a meno di un termine costante, identicamente<br />

nulle; si ottengono così le due equazioni:<br />

dove<br />

cl =<br />

4.3.1 Onde piane<br />

ü l = c 2 l 4ul<br />

ü t = c 2 t 4u t<br />

s s<br />

λ +2µ E 1 − ν<br />

=<br />

ρ ρ (1 + ν)(1 − 2ν)<br />

ct =<br />

r<br />

µ<br />

ρ =<br />

s<br />

E 1<br />

ρ 2(1 + ν)<br />

(4.35a)<br />

(4.35b)<br />

(4.36)<br />

Una soluzione delle equazioni (4.35) è costituita da onde piane che si propagano secondo<br />

una arbitraria direzione n. Infatti posto<br />

u(t, x) =u (x · n ± ct) (4.37)<br />

dove u sta per ul od ut secondo l’equazione considerata e di conseguenza c = cl o c = ct .<br />

Tenendo conto che:<br />

ü =c 2 u 00<br />

4u = u 00 (n · n) =u 00<br />

si vede che la (4.37) soddisfa identicamente ciascuna delle (4.35). Pertanto alle due equazioni<br />

(4.35) corrispondono due tipi di onde che si propagano con velocità differenti: cl<br />

e ct. Le prime sono caratterizzate da un moto irrotazionale, le seconde da divergenza<br />

nulla, quindi, poiché div u = εii = e, è la variazione percentuale di volume, al moto u t<br />

corrisponde una deformazione che non comporta variazione di volume, quindi è una pura<br />

distorsione.<br />

Le funzioni u che soddisfano le equazioni (4.35) sono arbitrarie e vengono definite dalle<br />

condizioni iniziali, ma le componenti u l e u t devono rispettare le condizioni di irrotazionalità<br />

e divergenza nulla. Poiché un campo irrotazionale ammette sempre un potenziale,<br />

si può porre u l =grad[Ψ (x · n−ct)] = Ψ 0 n, ciò dimostra che la componente u l dello<br />

spostamento ha la direzione della propagazione dell’onda. Analogamente la condizione<br />

che div u t =0,implicache ¡ u t¢ 0 · n =0, e dunque, poiché n è una costante,anche che<br />

¡ u t · n ¢ 0 =0, da cui segue che u t ·n =cost. Una traslazione uniforme dell’intero spazio non<br />

è in genere compatibile con le condizioni al contorno; si potrà quindi porre u t ·n =0. Si può<br />

pertanto concludere che la componente u t è perpendicolare alla direzione di propagazione<br />

dell’onda.


4.4 Onde superficiali (onde di Rayleigh) 78<br />

y<br />

z<br />

Figura~4.4: Rappresentazione schematica di un’onda superficiale piana.<br />

I due tipi di onde sono note in sismologia con i nomi di onde di pressione, odonde-p, e<br />

onde di taglio, odonde-s; le onde p si propagano con velocità superiore alle onde di taglio<br />

(s), le loro velocità sono nel rapporto:<br />

s<br />

= 2+ λ<br />

µ =<br />

r<br />

1 − ν<br />

2<br />

1 − 2ν ≥ √ 2 (4.38)<br />

cl<br />

ct<br />

come si deduce dalle (4.36). L’equazione (4.38) dimostra che il rapporto tra le velocità<br />

delle onde p eles dipende solo dal coefficiente di Poisson ν.<br />

4.4 Onde superficiali (onde di Rayleigh)<br />

Si vuole ora cercare una soluzione dell’equazione delle onde (4.35) che sia valida in un<br />

semispazio in prossimità della sua frontiera. Questa soluzione descrive la propagazione di<br />

onde in prossimità della superficie di separazione del semispazio in uno strato di relativo<br />

piccolo spessore e quindi sono chiamate onde superficiali o onde di Reyleigh in onore del<br />

fisico che per primo studiò questo fenomeno (1885).<br />

Si considererà il caso di un’onda piana, cioè quando le particelle poste in vibrazione<br />

si muovono parallelamente ad un piano che per ovvie ragioni si supporrà ortogonale alla<br />

superficie che delimita il semispazio. Si assumerà un riferimento con origine sulla frontiera<br />

del semispazio, l’asse x nella direzione della propagazione dell’onda e l’asse z ortogonale<br />

alla superficie e rivolto verso l’interno del semispazio. Per le ipotesi fatte il vettore di<br />

spostamento u è contenuto nel piano xz e quindi ha componenti nulle nella direzione<br />

ortogonale y.<br />

Nel paragrafo precedente è stato mostrato che è conveniente esprimere il campo degli<br />

spostamenti come somma di un vettore irrotazionale ed uno a divergenza nulla. Poiché il<br />

x


4.4 Onde superficiali (onde di Rayleigh) 79<br />

più generale vettore irrotazionale è il gradiente di un potenziale scalare Φ mentre il più<br />

generale vettore a divergenza nulla si esprime come il rotore di un potenziale vettore ψ,<br />

si avrà:<br />

ul =gradΦ ut =rotψ (4.39)<br />

Nel caso piano, Φ e ψ saranno funzioni solo di x e z; inoltre,perchéut sia contenuto nel<br />

piano xz occorre che ψ sia ortogonale a tale piano, quindi che abbia una sola componente<br />

non nulla −Ψ, parallela ad y. In modo esplicito si ha dunque:<br />

ul = ∂Φ<br />

∂x<br />

wl = ∂Φ<br />

∂z<br />

ut = ∂Ψ<br />

∂z<br />

wt = − ∂Ψ<br />

∂x<br />

(4.40)<br />

in cui u, w indicano le componenti sugli assi x e z, rispettivamente, ed i pedici l o t<br />

indicano la parte irrotazionale e quella a divergenza nulla.<br />

equazioni (4.35) si ottiene facilmente:<br />

Sostituendo le (4.40) nelle<br />

µ<br />

∂ ∂2Φ ∂x ∂t2 <br />

= c 2 µ<br />

∂ ∂2Φ l<br />

∂x ∂x2 + ∂2Φ ∂z2 <br />

µ<br />

∂ ∂2Φ ∂z ∂t2 <br />

− ∂<br />

µ<br />

∂2Ψ ∂z ∂t2 <br />

µ<br />

∂ ∂2Ψ ∂x ∂t2 <br />

= c 2 l<br />

= −c 2 t<br />

= c 2 t<br />

µ<br />

∂ ∂2Φ ∂z ∂x2 + ∂2Φ ∂z2 <br />

µ<br />

∂ ∂2Ψ ∂z ∂x2 + ∂2Ψ ∂z2 <br />

µ<br />

∂ ∂2Ψ ∂x ∂x2 + ∂2Ψ ∂z2 <br />

Queste relazioni sono equivalenti alle espressioni più sintetiche:<br />

µ<br />

∂2Φ grad<br />

∂t2 = c2l 4Φ<br />

<br />

µ<br />

∂2Ψ grad<br />

∂t2 = c2 <br />

t 4Ψ<br />

che, a meno di un termine costante, del tutto irrilevante, implicano che:<br />

∂ 2 Φ<br />

∂t 2 = c2 l<br />

4Φ (4.41a)<br />

∂2Ψ ∂t2 = c2t 4Ψ (4.41b)<br />

Queste due equazioni sono simili e si differenziano solo per il diverso valore della velocità<br />

delle onde di pressione rispetto a quelle di taglio; si cercherà ora la struttura della soluzione<br />

di un’equazione del tipo:<br />

∂2F ∂t2 = c24F (4.42)<br />

dove F sta per Φ o Ψ e di conseguenza c varrà cl o ct.<br />

Separando le variabili si pone<br />

F (x, z, t) =X (x) Z (z) φ (t) (4.43)


4.5 Trave a taglio 80<br />

Sostituendo la (4.43) nella (4.42) e dividendo tutti i termini per F = XZφ, siha:<br />

1 d<br />

φ<br />

2 µ<br />

φ 1 d<br />

= c2<br />

dt2 X<br />

2X 1 d<br />

+<br />

dx2 Z<br />

2Z dz2 <br />

4.5 Trave a taglio<br />

Si consideri ora il caso di uno strato delimitato da due piani paralleli tra loro distanti<br />

h. Si assuma un riferimento in cui l’asse z è ortogonale ai due piani, quindi, supponendo<br />

chelostratosiasoggettoadunmotopiano,siindichiconx l’altro asse che, insieme a z,<br />

definisca il piano parallelo alla direzione del moto, così che possa porsi uy =0. Inoltre<br />

si assumerà che la faccia inferiore dello strato (z =0) sia vincolata, per cui u(0,t)=0,<br />

mentre la faccia superiore sarà libera, e quindi T(h, t)k =0; k indica la direzione dell’asse<br />

z.<br />

Si cerca una soluzione delle equazioni (4.35) che soddisfa le condizioni precedenti,<br />

assumendo uz =0ed inoltre che la sola componente di u non nulla, ux, sia funzione della<br />

sola coordinata spaziale z:<br />

ux = u(z, t) uy = uz =0 (4.44)<br />

Di conseguenza la sola componente di deformazione non nulla sarà:<br />

γxz = du<br />

dz<br />

e pertanto la sola componente di T diversadazerosaràτ xz. Le equazioni di equilibrio<br />

(4.1) con g =0si riducono alla sola:<br />

ρ ∂2u ∂t2 = G∂2 u<br />

∂z2 poiché le altre si riducono all’identità 0=0, e da cui si ottiene:<br />

∂2u ∂t2 = c2 ∂2u ∂z2 dove c = p G/ρ è la velocità delle onde di taglio [eq. (4.36)].<br />

Separando le variabili, ponendo:<br />

dalla (4.45) si ottengono le due equazioni ordinarie:<br />

(4.45)<br />

u (z,t) =φ (z) w(t) (4.46)<br />

¨w + ω 2 w = 0 (4.47a)<br />

φ 00 + κ 2 φ = 0 (4.47b)<br />

dove κ = ω/c.<br />

Come nel caso delle vibrazioni longitudinali di una barra, le soluzioni delle equazioni<br />

(4.47) sono funzioni armoniche:<br />

w(t) = e iωt<br />

φ(z) = Ae iκx + Be −iκx<br />

(4.48a)<br />

(4.48b)


4.5 Trave a taglio 81<br />

e quindi<br />

u (x, t) =Ae i(ωt+κx) + Be i(ωt−κx)<br />

Per rispettare le condizioni ai limiti si dovrà avere che u(0,t) = 0 ed inoltre che<br />

τ xz(h) =Gγ xz(h) =Gw dφ<br />

dz |zhl =0, per cui dovranno essere soddisfatte le condizioni:<br />

(A + B)e iωt = 0<br />

³<br />

iκ Ae iκh − Be iκh´<br />

e iωt = 0<br />

da cui si hanno le soluzioni non banali: A = −B e cos (κh) =0,ovvero:<br />

µ<br />

κ = κn = n − 1<br />

<br />

π<br />

2 h<br />

dove n è un intero positivo. A questi valori di κ corrispondono le autofunzioni<br />

φn = φ0n sin<br />

·µ<br />

n − 1<br />

<br />

π<br />

2<br />

z<br />

¸<br />

h<br />

(4.49)<br />

(4.50)<br />

che sono le forme di vibrazione dello strato.<br />

Dalla (4.49) e dalla definizione di κ segue che le frequenze dei modi di vibrazione dello<br />

strato sono:<br />

Oscillazioni forzate<br />

µ<br />

ω = ωn = cκn = n − 1<br />

<br />

π<br />

2<br />

c<br />

h<br />

(4.51)<br />

Si supponga ora che la base dello strato sia soggetta ad un moto assegnato di direzione<br />

x, descritto dalla storia di accelerazione ag(t). Le equazioni di equilibrio (4.1) sono ovviamente<br />

ancora valide, ma devono scriversi con riferimento ad una base inerziale, per cui in<br />

questo caso si ha<br />

µ<br />

ρ ag + ∂2u ∂t2 <br />

= G ∂2u ∂z2 da cui si deduce l’equazione<br />

∂2u ∂t2 − c2 ∂2u ∂z2 = −ag(t) (4.52)<br />

La soluzione di questa equazione si cercherà tra le funzioni che possono esprimersi come<br />

combinazione lineare delle autofunzioni φ n dei modi di vibrazione dello strato, nella forma:<br />

u(z,t) =<br />

∞X<br />

wn (t) φn (z) (4.53)<br />

n=1<br />

che soddisfano in modo implicito le condizioni ai limiti. Questo richiede in via preliminare<br />

la dimostrazione che le autofunzioni φ n formino un sistema ortogonale, ossia che<br />

R h<br />

0 φ n(z)φ k(z)dz =0se n 6= k.


4.5 Trave a taglio 82<br />

Ortogonalità dei modi Per quanto visto prima ogni funzione un(z,t) =wn(t)φ n(z) è<br />

una soluzione dell’equazione di equilibrio<br />

ρün = G ∂2 un<br />

∂z 2<br />

per cui in ogni istante vi è equilibrio tra le tensioni prodotte dalla deformazione elastica un<br />

e le forze esterne −ρün. Seune uk sono gli spostamenti relativi a due modi di vibrazione<br />

n e k, alloraperilteorema di Betti, ad ogni istante, il lavoro fatto dalle forze del modo<br />

n per gli spostamenti del modo k sarà uguale al lavoro delle forze del modo k per gli<br />

spostamenti del modo n. Informule:<br />

Z h<br />

0<br />

(−ρün) ukdz =<br />

Sotituendo ad u il prodotto w(t)φ(z) si ottiene:<br />

¨wnwk<br />

Z h<br />

0<br />

Z h<br />

ρφ n(z)φ k(z)dz =¨wkwn<br />

0<br />

(−ρük) undz<br />

Z h<br />

o<br />

ρφ k(z)φ n(z)dz<br />

quindi, tenendo conto cke per (4.47a) si ha ¨wn/wn = −ω2 n, dividendo ambo i membri<br />

dell’equazione precedente per wnwk si ottiene:<br />

ovvero:<br />

−ω 2 Z h<br />

n ρφn(z)φk(z)dz = −ω<br />

0<br />

2 Z h<br />

k<br />

o<br />

¡ ω 2 n − ω 2 k<br />

¢ Z h<br />

ρφn(z)φk(z)dz =0<br />

Se ω2 n 6= ω2 k la condizione precedente è soddisfatta solo se<br />

Z h<br />

0<br />

0<br />

ρφ k(z)φ n(z)dz<br />

ρφ n(z)φ k(z)dz =0 n 6= k (4.54)<br />

che esprime la condizione di ortogonalità dei modi di vibrazione; quando, come nel caso<br />

esaminato, si suppone che ρ costante nel dominio di integrazione, la condizione (4.54)<br />

diviene semplicemente: R h<br />

0 φ n(z)φ k(z)dz =0.<br />

Soluzione del problema delle oscillazioni forzate Tornando alla determinazione<br />

delle vibrazioni dello strato prodotte dal moto di trascinamento della base vincolata,<br />

sostituendo la (4.53) nella (4.52) e ricordando che, se la serie (4.53) è assolutamente<br />

convergente, l’operatore di somma e quello di derivazione commutano, si ha:<br />

∞X<br />

∞X<br />

¨wn (t) φn (z) − c<br />

n=0<br />

2<br />

wn (t) φ<br />

n=1<br />

00 n (z) =−ag (t)<br />

Eseguendo la sostituzione φ 00 n = −κnφ n, come è lecito per la (4.47b), quindi moltiplicando<br />

tutti i termini di questa equazione per la k-esima autofunzione φ k(z) eperρ ed integrando<br />

su z tra 0 e h, tenendo in conto la (4.54) si ha:<br />

¨wk (t)<br />

Z h<br />

ρφ<br />

0<br />

2 k (z) dz + c2κ 2 kwk Z h<br />

(t) ρφ<br />

0<br />

2 k (z) dz = −ag<br />

Z h<br />

(t)<br />

0<br />

ρφ k (z) dz


4.5 Trave a taglio 83<br />

Dividendo tutti i termini per R h<br />

si deriva;<br />

dove<br />

0 ρφ2 k<br />

(z) dz e ricordando che cκ = ω, dall’ultima equazione<br />

¨wk (t)+ω 2 k wk (t) =−pkag (t) (4.55)<br />

pk =<br />

R h<br />

0 ρφk (z) dz<br />

R h<br />

0 ρφ2k (z) dz<br />

(4.56)<br />

è il coefficiente di partecipazione del modo k.<br />

l’espressione (4.50), pertanto:<br />

Per ρ costante le funzioni φk hanno<br />

pk =<br />

R h<br />

0 sin £¡ k − 1<br />

¢ ¤<br />

z<br />

2 π h dz<br />

R h<br />

φ0k 0 sin2 £¡ k − 1 ¢ ¤ =<br />

z<br />

2 π h dz 1 4<br />

φ0k (2k − 1) π<br />

(4.57)<br />

Icoefficienti pk che “pesano” l’azione ag per ciascun modo, decrescono inversamente al-<br />

l’ordine del modo. Così, normalizzando tutti i modi per cui φ0k = 1 ∀k, il rapporto tra<br />

il coefficiente del modo k ed il primo, pk/p1 = 1/(2k + 1). Ad esempio il coefficiente di<br />

partecipazione del 10◦ modo sarà 1/19 del coefficiente del primo; i modi di ordine molto<br />

elevato pertanto avranno un coefficiente molto piccolo e risulteranno trascurabili.<br />

Se l’eccitazione è una funzione armonica di pulsazione ωf, per quanto visto nel capitolo<br />

2, le ampiezze delle risposte modali wk(t) dipendono, oltre che dall’ampiezza della forzante,<br />

dal rapporto βk = ωf/ωk tra la frequenza della forzante e quella naturale del modo. Poiché<br />

la funzione di amplificazione D [eq. (2.48)] ha un massimo per β ' 1,lerispostedeimodidi<br />

frequenza prossima a quella della forzante saranno amplificati; quelli di frequenza ωk ¿ ωf<br />

(βk À 1) risultano attenuati, poiché D


4.5 Trave a taglio 84<br />

per cui l’equazione di equilibrio diviene:<br />

ρ ∂2 u<br />

∂t 2 = G∂2 u<br />

∂z 2 + η ∂3 u<br />

∂t∂z 2<br />

Si cerca una soluzione della (4.60) ponendo:<br />

u (z,t) =φ (z) e iωt<br />

Sostituendo la (4.61) nella (4.60) si ottiene:<br />

ovvero:<br />

−ρω 2 φ (z) e iωt = Gφ 00 (z) e iωt + iωηφ 00 (z) e iωt<br />

(4.60)<br />

(4.61)<br />

·<br />

φ 00 (z)+ ρω2<br />

¸<br />

φ (z) e<br />

G + iωη iωt =0 (4.62)<br />

I modi di vibrazione dello strato si ottengono quindi come soluzione dell’equazione<br />

φ 00 (z)+κ ∗2 φ (z) =0 (4.63)<br />

per appropriate condizioni al contorno. La costante<br />

κ ∗ r r<br />

ρ ρ<br />

= ω = ω<br />

G∗ |G∗ √<br />

e−iψ (4.64)<br />

|<br />

èilnumero d’onda complesso e G∗ = G − iωη èilmodulo di taglio complesso. Se<br />

si pone ωη =2ζG, doveζèla percentuale di smorzamento rispetto al critico, si ha<br />

G∗ = G (1 +2iζ) e la (4.64) si puòscrivere:<br />

κ ∗ s<br />

ρ<br />

= ω<br />

G ¡ 1 +4ζ 2¢√e−iψ (4.65)<br />

esièpostoψ =tan −1 (2ζ). Le due radici di e −iψ sono quindi e −iζ e e i(π−ζ) .<br />

La soluzione dell’equazione (4.63) si scrive dunque:<br />

φ (z) =Ae iκ∗ z + Be −iκ ∗ z<br />

e quindi u (z, t) = ¡ Ae iκ∗ z + Be −iκ ∗ z ¢ e iωt . Di conseguenza la tensione τ èdatada<br />

τ = G ∂u<br />

∂z + η ∂2 u<br />

∂t∂z<br />

=[G + iωη] ∂φ<br />

∂z eiωt =<br />

G ∗ ³<br />

∗<br />

iκ Ae iκz − Be −iκ∗z ´<br />

e iωt<br />

(4.66)<br />

(4.67)<br />

Se z =0corrisponde alla superficie libera dello strato, si avrà τ (0,t)=0e quindi, per<br />

la (4.67) A − B =0,ossiaA = B.<br />

Si supponga che la base dello strato sia soggetta ad un moto imposto di tipo armonico:<br />

u0 = Ue iωt ; quindi alla base dello strato, per compatibilità cinematica, si dovrà avere:<br />

Ae iκ∗ h + Be −iκ ∗ h = U


4.5 Trave a taglio 85<br />

7<br />

6<br />

5<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100<br />

Figura~4.5: Modulo della funzione di amplificazione per v = 500m/ sec, h = 50m e<br />

ζ =0.1<br />

ed essendo A = B,<br />

A = B =<br />

U<br />

e iκ∗ h + e −iκ ∗ h =<br />

U<br />

2cos(κ ∗ h)<br />

così il rapporto tra l’ampiezza del moto in superficie A + B e quella alla base U è<br />

F (ω) = 2A<br />

U =<br />

1<br />

cos (κ ∗ h)<br />

ed è detta la funzione di amplificazione dello strato. Ponendo κ ∗ = κ1 + iκ2, siha<br />

ed il cui modulo è<br />

1<br />

F (ω) =<br />

cos hκ1 cosh hκ2 − i sin hκ1 sinh hκ2<br />

|F (ω)| =<br />

1<br />

p sinh(κ2h) 2 +cos(κ1h) 2<br />

(4.68)<br />

(4.69)<br />

(4.70)<br />

Per valori piccoli dello smorzamento si ha κ ∗ ' κ (1 − iζ), doveκ = ω p ρ/G = ω/v<br />

è il numero d’onda non smorzato. In tal caso κ1 = κ, κ2 = ζκ. Ponendo ad esempio<br />

v = 500 m/ sec e ζ =0.1, h =50m<br />

Se il terreno è stratificato, la soluzione si può ancora porre nella forma (4.66) all’interno<br />

di ciscuno strato, ma i coefficienti A e B saranno diversi tra uno strato e l’altro. Assumendo<br />

per ciascun strato un riferimento che ha origine sulla superficie limite superiore dello strato<br />

e rivolto verso il basso, le condizioni di compatibilità ed equilibrio tra due strati consecutivi<br />

impongono che:<br />

φk (0) = φk+1 (hk+1)<br />

τ k (0) = τ k+1 (hk+1)


4.6 Vibrazione delle travi inflesse 86<br />

Dalla prima si tre immediatamente che<br />

mentre dalla seconda, ricordando la (4.67) si ha:<br />

ovvero<br />

Ak+1 + Bk+1 = Ake iκ∗ k hk + Bke −iκ∗ k hk (4.71)<br />

G ∗ k+1 iκ∗ k+1 (Ak+1 − Bk+1) =G ∗ k iκ∗ k<br />

³<br />

Ake iκ∗ khk − Bke −iκ∗ khk ´<br />

Ak+1 − Bk+1 = G∗ kiκ∗ k<br />

G∗ k+1iκ∗ ³<br />

Ake<br />

k+1<br />

iκ∗ khk − Bke −iκ∗ khk ´<br />

(4.72)<br />

Ponendo a sistema le (4.71) e (4.72) si ottiene la relazione ricorsiva:<br />

Ak+1 =<br />

Ã<br />

1 + G∗ kiκ∗ k<br />

!<br />

Ake iκ∗ khk Ã<br />

+ 1 − G∗ kiκ∗ k<br />

!<br />

Bke −iκ∗ khk (4.73a)<br />

Bk+1 =<br />

Ã<br />

G ∗ k+1 iκ∗ k+1<br />

1 − G∗ k iκ∗ k<br />

G ∗ k+1 iκ∗ k+1<br />

!<br />

Ake iκ∗ k hk +<br />

Ã<br />

G ∗ k+1 iκ∗ k+1<br />

1 + G∗ k iκ∗ k<br />

G ∗ k+1 iκ∗ k+1<br />

!<br />

Bke −iκ∗ khk (4.73b)<br />

Partendo dallo strato superiore dove, per quanto si è visto A = B e ponendo A = B = 1,<br />

applicando ripetutamente la (4.73) si determinano i coefficienti AN e BN dell’ultimo strato,<br />

la funzione di amplificazione sarà:<br />

F (ω) =<br />

2<br />

ANe iκ∗ N hN + BNe −iκ∗ N hN<br />

4.6 Vibrazione delle travi inflesse<br />

(4.74)<br />

Per una trave di sezione costante deformabile solamente a flessione, l’equazione della linea<br />

elastica è, come noto:<br />

d4v p(x)<br />

=<br />

dx4 EJ<br />

dove v(x) è lo spostamento della linea elastica, p(x) indica la densità del carico, EJ èla<br />

rigidezza alla flessione ed x è l’ascissa lungo la linea d’asse della trave. Nel caso dinamico,<br />

oltre al carico p(x) si dovrà mettere in conto le forze di inerzia; considerando trascurabili<br />

i termini dovuti all’inerzia rotazionale, l’equazione di equilibrio dinamico della trave è:<br />

∂4 µ<br />

v 1<br />

= p(x) − ρ<br />

∂x4 EJ<br />

∂2v ∂t2 <br />

che, ordinata diversamente può scriversi:<br />

∂4v ρ<br />

+<br />

∂x4 EJ<br />

∂2v p(x, t)<br />

=<br />

∂t2 EJ<br />

(4.75)<br />

In questa equazione ρ è la densità di massa della trave e v(x, t) è la linea elastica della<br />

trave, funzione dell’ascissa x e del tempo t.


4.6 Vibrazione delle travi inflesse 87<br />

4.6.1 Oscillazioni libere<br />

Ponendo p ≡ 0, l’equazione (4.75) si semplifica nella:<br />

∂4v ρ<br />

+<br />

∂x4 EJ<br />

∂2v =0 (4.76)<br />

∂t2 la cui soluzione rappresenta le oscillazioni libere della trave. Anche in questo caso la<br />

soluzione si cerca con il metodo di separazione, ponendo:<br />

Sostituendo la (4.77) nella (4.76) si ottiene:<br />

e quindi:<br />

v (x, t) =φ (x) w (t) (4.77)<br />

d4φ ρ<br />

w +<br />

dx4 1 d<br />

φ<br />

4φ dx4 da cui si deducono le due equazioni:<br />

EJ<br />

ρ<br />

EJ φd2 w<br />

=0<br />

dt2 = − 1<br />

w<br />

d2w = ω2<br />

dt2 d 2 w<br />

dt 2 + ω2 w = 0 (4.78a)<br />

d4φ ρω2<br />

− φ = 0 (4.78b)<br />

dx4 EJ<br />

La prima è ancora l’equazione di un oscillatore elementare non smorzato di frequenza<br />

naturale ω2 . La seconda delle (4.78), posto<br />

a 4 = ρω2<br />

EJ<br />

è un’equazione omogenea di quarto grado, la cui equazione caratteristica è<br />

α 4 − a 4 =0<br />

le cui 4 radici sono<br />

α = © a ia −a −ia ª<br />

Quindi la soluzione della (4.78b) è<br />

o, in forma equivalente:<br />

φ(x) =C1e ax + C2e iax + C3e −ax + C4e −iax<br />

(4.79)<br />

φ(x) =A1 sin (ax)+A2 cos (ax)+A3 sinh (ax)+A4 cosh (ax) (4.80)<br />

I valori dei coefficienti Ak (o Ck) dipendono dalle condizioni al contorno, pertanto la<br />

funzione φ risulterà definita solo dopo aver precisato le condizioni di vincolo delle estremità.


4.6 Vibrazione delle travi inflesse 88<br />

Trave appoggiata<br />

Nella trave appoggiata si annullano sia gli spostamenti sia i momenti alle estremità della<br />

trave. Poiché M = EJu 00 le condizioni di vincolo forniscono le 4 equazioni per le funzioni<br />

φ:<br />

φ(0) = 0 φ(l) =0<br />

φ 00 (0) = 0 φ 00 (l) =0<br />

dove l indica la lunghezza della trave. Sostituendo la (4.80) e la sua derivata seconda si<br />

ottengono le seguenti 4 equazioni, le cui incognite sono i coefficienti Ai:<br />

A2 + A4 = 0<br />

−A2 + A4 = 0<br />

A1 sin(al)+A2 cos(al)+A3 sinh(al)+A4 cosh(al) = 0<br />

−A1 sin(al) − A2 cos(al)+A3 sinh(al)+A4 cosh(al) = 0<br />

In altra forma questo sistema si può riscrivere:<br />

⎡<br />

0 1 0 1<br />

⎢ 0<br />

⎣ sin(al)<br />

−1<br />

cos(al)<br />

0<br />

sinh(al)<br />

1<br />

cosh(al)<br />

− sin(al) − cos(al) sinh(al) cosh(al)<br />

⎤ ⎡<br />

⎥ ⎢<br />

⎥ ⎢<br />

⎦ ⎣<br />

A1<br />

A2<br />

A3<br />

A4<br />

⎤<br />

⎥<br />

⎦ =<br />

Questo sistema omogeneo ha soluzioni non banali solo se il determinante della matrice dei<br />

coefficienti è nullo, ossia se:<br />

−4sinal sinh al =0<br />

che evidentemente è soddisfatta se al = nπ, ossia se:<br />

a = n π<br />

l<br />

Ricordando la definizione (4.79) della costante a si ottengono le frequenze naturali delle<br />

oscillazioni libere non smorzate:<br />

ωn =<br />

s<br />

EJ<br />

ρ a2 = n 2 π 2<br />

s<br />

EJ<br />

ρl4 ⎡<br />

⎢<br />

⎣<br />

0<br />

0<br />

0<br />

0<br />

⎤<br />

⎥<br />

⎦<br />

(4.81)<br />

Imodidivibrazioneflessionale di una trave elastica di sezione costante sono sinusoidi<br />

la cui “lunghezza d’onda” è un sottomultiplo di l: sin(nπx/l), a ciascun modo corrisponde<br />

una frequenza di vibrazione fornita dall’equazione (4.81).<br />

Mensola<br />

Nel caso di una mensola incastrata nella sezione origine (x =0), le condizioni di vincolo<br />

sono: u(0) = u 0 (0) = 0, M(l) =V (l) =0, ossia nella sezione di incastro si annullano<br />

gli spostamenti e le rotazioni, nella sezione libera saranno nulle le sollecitazioni di taglio<br />

e momento. Queste condizioni implicano che la funzione φ deve verificare le seguenti<br />

equazioni:<br />

φ (0) = φ 0 (0) = 0<br />

φ 00 (l) = φ 000 (l) =0


4.6 Vibrazione delle travi inflesse 89<br />

Sostituendo l’espressione (4.80) della funzione φ si ha il sistema di 4 equazioni nelle 4<br />

incognite Ak:<br />

⎡<br />

⎢<br />

⎣<br />

0 1 0 1<br />

1 0 1 0<br />

− sin (al) − cos (al) sinh(al) cosh(al)<br />

− cos (al) sin(al) cosh(al) sinh(al)<br />

Il determinante della matrice dei coefficienti è<br />

2+2cosal cosh al<br />

⎤ ⎡<br />

⎥ ⎢<br />

⎥ ⎢<br />

⎦ ⎣<br />

A1<br />

A2<br />

A3<br />

A4<br />

⎤<br />

⎥<br />

⎦ =<br />

I valori di al che rendono nulla questa funzione devono essere trovati numericamente; le<br />

prime 4 radici sono:<br />

al = © 1. 8751 4. 6941 7. 8548 10. 996 ··· ª<br />

e pertanto le prime 4 frequenze naturali di una mensola omogenea di lunghezza l e rigidezza<br />

flessionale EJ, risultano:<br />

s<br />

EJ<br />

ω =<br />

ρl4 © ª<br />

3. 516 22. 035 61. 698 120. 91 ··· (4.82)<br />

⎡<br />

⎢<br />

⎣<br />

0<br />

0<br />

0<br />

0<br />

⎤<br />

⎥<br />


Appendice A<br />

Elementi di algebra lineare<br />

A.1 Spazi vettoriali<br />

Si dice spazio vettoriale un insieme non vuoto V che soddisfa le seguenti condizioni:<br />

1. Se u ed v sono elementi di V, esiste un’operazione, la somma di u e v, che associa a<br />

due elementi di V uno ed un solo elemento dello stesso spazio:<br />

echeverifica le seguenti proprietà:<br />

(a) è commutativa<br />

(b) è associativa:<br />

2. Esiste in V un elemento nullo 0 tale che:<br />

w = u + v<br />

u + v = v + u<br />

u +(v + w) =(u + v)+w<br />

u + 0 = u ∀u ∈ V<br />

3. Per ogni elemento u ∈ V esiste un altro elemento di V, detto l’opposto di u, (−u),<br />

tale che:<br />

u +(−u) =0<br />

4. Se a èunnumeroeu ∈ V, ilprodottodia per u è un vettore v ∈ V:<br />

che verifica le seguenti proprietà:<br />

v = au<br />

a(bu) =(ab)u<br />

1u = u<br />

(a + b)u = au + bu<br />

a(u + v) =au + av<br />

90


A.2 Dipendenza lineare 91<br />

A.2 Dipendenza lineare<br />

Dati n vettori v1,...,vn elementi di V, questisidiconolinearmente dipendenti se esistono<br />

n numeri a1,...,an, non tutti nulli, tali che:<br />

a1v1 + a2v2 + ···+ anvn = 0 (A.1)<br />

Al contrario, se l’eq. (A.1) è vera solo se a1 = a2 = ··· = an =0,ivettoriv1,...,vn si<br />

dicono linearmente indipendenti.<br />

A.3 Dimensionidiunospazio.Basi<br />

Se in uno spazio vettoriale V esistono n vettori linearmente indipendenti e1, e2,...,en, ma<br />

non ne esistono n + 1, sidicecheV ha n dimensioni, e si indica con Vn.<br />

Una n-pla di vettori indipendenti ∈ Vn forma una base dello spazio vettoriale, poiché<br />

ogni vettore w ∈ Vn si può rappresentare con una combinazione lineare dei vettori della<br />

base.<br />

Infatti, se e1,...,en sono una tale base, allora qualunque sia w esisteranno n+1 numeri<br />

aj tali che:<br />

a1e1 + a2e2 + ···+ anen + an+1w = 0 (A.2)<br />

in quanto per ipotesi in Vn non esistono n + 1 vettori linearmente indipendenti; inoltre<br />

an+1 6= 0, poiché in caso contrario i vettori della base {ej} sarebbero linearmente<br />

dipendenti. Quindi, risolvendo la (A.2) rispetto a w si ha:<br />

incuiicoefficienti wj sono dati dalla:<br />

w = w1e1 + w2e2 + ···+ wnen =<br />

wj = − aj<br />

an+1<br />

e sono detti le componenti di w rispetto alla base E = {ej}.<br />

A.4 Prodotto interno<br />

nX<br />

j=1<br />

wjej<br />

(A.3)<br />

Se u, w sono elementi dello spazio vettoriale V, sidefinisce il prodotto interno (o scalare)<br />

dei due vettori un’operazione che associa a u, w un numero (reale o complesso) e si indica<br />

con il simbolo:<br />

hu, wi<br />

Il prodotto interno soddisfa le seguenti condizioni:<br />

1. se a e b sono numeri (reali o complessi) allora:<br />

hau,bwi = abhu, wi<br />

in cui b indica il complesso coniugato di b.


A.5 Vettori ortogonali 92<br />

2.<br />

3.<br />

4.<br />

hu, ui ≥ 0<br />

e l’uguaglianza è verificata se e solo se u = 0.<br />

A.5 Vettori ortogonali<br />

hu + v, wi = hu, wi + hv, wi<br />

hu, wi = hw, ui<br />

Due vettori non nulli u e v si dicono ortogonali se il loro prodotto interno è nullo:<br />

u ⊥ w se hu, wi =0<br />

Se n vettori vj sono tra loro ortogonali allora sono anche linearmente indipendenti.<br />

Infatti in caso contrario esisterebbe una combinazione lineare con coefficienti non tutti<br />

nulli per cui:<br />

nX<br />

ajvj = 0<br />

j=1<br />

Prendento il prodotto interno di ambo i membri di questa equazione ed uno qualsiasi vk<br />

dei vettori dell’insieme, per l’ortogonalità tra essi, si ha evidentemente:<br />

nX<br />

ajhvj, vki = akhvk, vki =0<br />

j=1<br />

Ciòimplica,datochehvk, vki 6=0,cheak =0. Poiché questo e valido per qualunque vk<br />

(k = 1, 2,...,n), ne segue che i coefficienti ak devono essere tutti nulli, quindi i vettori vj<br />

sono linermente indipendenti.<br />

Da quanto dimostrato segue che in uno spazio Vn non possono esistere più di n vettori<br />

tra loro ortogonali.<br />

A.6 Basi ortogonali<br />

Dati n vettori linearmente indipendenti v1, v2, ...,vn, si possono, a partire da questi,<br />

costruire n vettori ortogonali. A questo scopo è sufficiente seguire la procedura:<br />

w1 = v1<br />

w2 = v2 − hw1, v2i<br />

hw1, w1i w1<br />

w3 = v3 − hw1, v3i<br />

hw1, w1i w1 − hw2, v3i<br />

hw2, w2i w2<br />

...<br />

(A.4)


A.7Componentidiunvettore 93<br />

È facile controllare direttamente che i vettori wj sono tra loro ortogonali; la dimostrazione<br />

però non è completa se non si verivica che i denominatori nelle eq. (A.4) sono diversi da<br />

zero. Per questo basta controllare che wk 6= 0 ∀k; ma questo è immediato perché, tenendo<br />

conto che ogni wk è una combinazione lineare a coefficienti non tutti nulli di vj, j ≤ k, se<br />

per qualche k risultasse wk = 0, esisterebbe una combinazione lineare dei vettori vj con<br />

risultante nullo, contraddicendo l’ipotesi di indipendenza dei vettori vj.<br />

Poiché i vettori ortogonali sono indipendenti possono essere impiegati per formare una<br />

base dello spazio Vn. Data una base qualsiasi, seguendo la procedura (A.4), si può sempre<br />

costruire una base ortogonale. Se poi, a partire da una base ortogonale wj si costruisce<br />

un’altra base:<br />

1<br />

uj =<br />

hwj, wji wj ∀j<br />

che soddisfa alla condizione di normalità huj, uji = 1, ∀j, labasecosìottenutasidice<br />

ortonormale.<br />

A.7 Componenti di un vettore<br />

Data una base E ∈ Vn, l’eq. (A.3) dimostra che ogni vettore w può essere rappresentato<br />

come combinazione lineare dei vettori della base. I coefficienti wj della combinazione si<br />

dicono le componenti di w nella base E.<br />

Dati due vettori u ed w, rappresentati nella base E:<br />

la loro somma è data da:<br />

u =<br />

nX<br />

j=1<br />

ujej<br />

u + w =<br />

w =<br />

nX<br />

j=1<br />

nX<br />

(uj + wj)ej<br />

j=1<br />

wjej<br />

(A.5)<br />

(A.6)<br />

cioè le componenti della somma di due vettori si ottengono sommando le componenti<br />

omologhe dei vettori sommati.<br />

Se a è un numero, applicando le proprietà elencate, si ottiene facilmente che:<br />

au =<br />

nX<br />

(auj)ej<br />

j=1<br />

(A.7)<br />

ossia le componenti del vettore ottenuto moltiplicando un vettore per uno scalare si<br />

ottengono moltiplicando le componenti del vettore dato per lo stesso scalare.<br />

Si calcola ora il prodotto interno di due vettori rappresentati nella base E; utilizzando<br />

l’eq. (A.5) e le proprietà del prodotto interno si ottiene:<br />

hu, wi =<br />

nX<br />

j=1 k=1<br />

nX<br />

hej, ekiujwk =<br />

nX<br />

nX<br />

j=1 k=1<br />

gkjujwk<br />

(A.8)<br />

Questa equazione dimostra che il prodotto interno di due vettori si calcola come una forma<br />

quadratica i cui coefficienti:<br />

gkj = hej, eki (A.9)


A.8 Cambiamento di base 94<br />

formano una matrice quadrata hermitiana1 edefinita positiva2 : la prima proprietà è conseguenza<br />

della proprietà 4, mentre quest’ultima discende direttamente dalla proprietà n. 2<br />

del prodotto interno.<br />

Indicando con u e w le matrici n × 1 costruite con le componenti dei vettori u e w, e<br />

con G la matrice quadrata n × n costruita con i coefficienti gkj:<br />

⎡ ⎤ ⎡ ⎤ ⎡<br />

⎤<br />

u1<br />

w1<br />

g11 g12 ... g1n<br />

⎢<br />

⎢u2<br />

⎥ ⎢<br />

⎥ ⎢w2<br />

⎥ ⎢<br />

u = ⎢ ⎥ w = ⎢ ⎥ G = ⎢g21<br />

g22 ... g2n ⎥<br />

⎣ . ⎦ ⎣ . ⎦ ⎣...................<br />

⎦ (A.10)<br />

un<br />

wn<br />

gn1 gn2 ... gnn<br />

il prodotto interno dei vettori u ed w si calcola con la forma quadratica 3 :<br />

A.7.1 Basi ortonormali<br />

hu, wi = w ∗ · G · u = u ∗ · G · w (A.11)<br />

Se E è una base ortonormale, tenendo conto che in tal caso si ha hej, eki =0per j 6= k e<br />

hej, eji = 1, dall’eq. (A.9) segue:<br />

gjk = δjk<br />

in cui δjk indica il simbolo di Kroneker: δjk =0per j 6= k e δjj = 1. Di conseguenza la<br />

matrice G coincide con la matrice unità I ed il prodotto interno di due vettori in questa<br />

base diviene:<br />

hu, wi = u ∗ · I · w = u ∗ · w (A.12)<br />

In questo caso il prodotto interno si riconduce al prodotto matriciale tra una matrice ad<br />

una riga u ∗ ed una matrice ad una colonna w.<br />

A.8 Cambiamento di base<br />

Se E è una base di Vn e E0 un’altra base nello stesso spazio, i vettori e0 j che formano la<br />

seconda base si potranno rappresentare come combinazione di quelli della prima:<br />

e 0 j =<br />

nX<br />

k=1<br />

β kjek<br />

(A.13)<br />

1 Una matrice quadrata si dice hermitiana se per tutti i termini della matrice sono verificate le uguaglianze<br />

ajk = akj. SeconA ∗ si indica la matrice (detta aggiunta) che si ottiene da A scambiando le righe<br />

con le colonne e prendendo il complesso coniugato dei suoi elementi:<br />

A ∗ = A T<br />

una matrice è hermitiana se A = A ∗ . È evidente che gli elementi della diagonale principale di una matrice<br />

hermitiana sono reali. Se una matrice hermitiana è reale allora è una matrice simmetrica, cioè A = A T .<br />

2 Una matrice quadrata n × n A si dice definita positiva se, per per qualsiasi matrice n × 1, x 6= 0 si ha:<br />

x ∗ · A · x > 0<br />

3 Nel caso reale l’eq. (A.11) diviene semplicemente hu, wi = u T · G · w.


A.8 Cambiamento di base 95<br />

Analogamente i vettori della prima base si potranno rappresentare come combinazione di<br />

quelli della seconda:<br />

nX<br />

eh =<br />

(A.14)<br />

αjhe<br />

j=1<br />

0 j<br />

Con i coefficienti βkj e αjh si costruiscono due matrici n × n che, come è facile dimostrare,<br />

sono l’una l’inversa dell’altra. Infatti se si sostituisce l’eq. (A.13) nella (A.14) si ottiene:<br />

nX nX<br />

eh =<br />

(A.15)<br />

αjhβkjek j=1 k=1<br />

Poiché i vettori eh sono linearmente indipendenti, l’equazione (A.15) implica che:<br />

nX<br />

j=1<br />

β kjαjh = δkh<br />

che, con formalismo matriciale, si può scrivere:<br />

da cui segue che, poiché A e B sono quadrate:<br />

(A.16)<br />

B · A = I (A.17)<br />

B = A −1<br />

(A.18)<br />

cioè la matrice B èl’inversadiA (e viceversa).<br />

Se u èunvettorediVn e uT =[u1, u2, ...,un] sono le sue componenti nella base E,<br />

cioè si ha:<br />

nX<br />

u =<br />

j=1<br />

sostituendo ai vettori ej la loro rappresentazione nella base E 0 espressa dall’eq. (A.14), si<br />

ottiene:<br />

incuisièposto<br />

u =<br />

nX<br />

nX<br />

j=1 k=1<br />

u 0 k =<br />

ujej<br />

ujαkjv 0 k =<br />

nX<br />

j=1<br />

αkjuj<br />

nX<br />

k=1<br />

u 0 k v0 k<br />

(A.19)<br />

(A.20)<br />

L’equazione (2.23) mostra che le quantità u 0 k sono le componenti di u nella nuova base E0 ;<br />

con esse si costruisce la matrice u 0 (n×1) , che si ottiene dalla matrice u delle componenti<br />

relative alla base precedente mediante la trasformazione:<br />

u 0 = Au (A.21)


A.9 Operatori lineari 96<br />

A.9 Operatori lineari<br />

Una funzione che associa elementi v di uno spazio vettoriale ad altri elementi dello stesso<br />

spazio, è chiamata un operatore. Se la funzione gode delle proprietà di linearità, è indicata<br />

con il nome di operatore lineare.<br />

Più precisamente, sia L : Vn 7→ Vn, inmodotaleche,se( uw) ∈ Vn e a e b sono<br />

numeri,siha:<br />

L(au + bw) =aL(u)+bL(w)<br />

L è un operatore lineare.<br />

Dato uno spazio vettoriale Vn, seE è una sua base e L un operatore lineare, rappresentando<br />

un vettore u ∈ Vn come combinazione lineare dei vettori della base:<br />

u =<br />

nX<br />

j=1<br />

ujej<br />

(A.22)<br />

ed applicando ad entrambi i membri dell’eq. (A.22) l’operatore L, tenendo conto delle<br />

proprietà prima enunciate, risulta:<br />

L(u) =<br />

nX<br />

ujL(ej) (A.23)<br />

j=1<br />

I vettori L(ej) sono elementi di Vn e quindi si possono rappresentare nella base E;<br />

indicando con akj la componente di L(ej) relativamente a ek, è<br />

L(ej) =<br />

Quindi, sostituendo nell’eq. (A.23) si ottiene:<br />

L(u) =<br />

nX<br />

nX<br />

j=1 k=1<br />

nX<br />

k=1<br />

ujakjek =<br />

akjek<br />

⎛<br />

nX nX<br />

⎝<br />

k=1<br />

akjuj<br />

j=1<br />

⎞<br />

⎠ ek<br />

(A.24)<br />

Dall’eq. (A.24) appare evidente che le componenti del vettore L(u) nella base E, siottengono<br />

combinando linearmente i coefficienti akj con le componenti del vettore origine<br />

u. Raccogliendo le componenti di L(u) ediuin matrici n × 1 eicoefficienti ak,j della<br />

trasformazione nella matrice n × n:<br />

⎡<br />

⎤<br />

a11 a12 ... a1n<br />

⎢a21<br />

a22<br />

L = ⎢ ... a2n ⎥<br />

⎣...................<br />

⎦<br />

an1 an2 ... ann<br />

le componenti di L(u) in E si ottengono dal prodotto:<br />

L · u (A.25)


A.9 Operatori lineari 97<br />

A.9.1 Cambiamento di base di un operatore lineare<br />

Se u, w sono due elementi dello spazio vettoriale Vn collegati da una trasformazione lineare<br />

L, in modo che si abbia w = L(u), per l’eq. (A.25), le componenti dei vettori relative ad<br />

una base E si trasformano mediante la relazione lineare:<br />

w = L · u (A.26)<br />

in cui L è una matrice n × n. Passando dalla base E ad una nuova base E 0 le componenti<br />

dei vettori u, w si trasformano in accordo alla eq. (A.21); tenendo conto anche della (A.18)<br />

si ha quindi: w 0 = Aw e u = A −1 u 0 , per cui l’eq. (A.26) diviene:<br />

avendo posto:<br />

w 0 = A · w = A · L · A −1 · u 0 = L 0 · u 0<br />

L 0 = A · L · A −1<br />

(A.27)<br />

(A.28)<br />

L’eq. (A.28) esprime la legge di trasformazione a seguito del cambiamento di base della<br />

matrice L della trasformazione lineare L.<br />

A.9.2 Nucleo di un operatore lineare<br />

Se L indica un operatore lineare in Vn, l’insieme degli elementi dello spazio vettoriale Vn<br />

per cui si ha:<br />

L(v) =0<br />

èchiamatoilnucleo dell’operatore L. Formalmente, il nucleo (L) di un’operatore lineare<br />

èdefinito dalla relazione:<br />

A.9.3 Inverso di un operatore<br />

(L) ={v ∈ Vn|L(v) =0} (A.29)<br />

Sia L un operatore lineare di Vn; datounelementoqualsiasiw ∈ Vn, si supponga che<br />

esista un solo elemento di Vn, v, taleche:<br />

w = L(v)<br />

allora si può definire un operatore w → v, inverso di L:<br />

v = L −1 (w) =L −1 ◦ L(v) (A.30)<br />

Si può dimostrare che, se esiste, L−1 è un operatore lineare e che l’operatore L è<br />

invertibile (cioè esiste il suo inverso L−1 ) se e solo se il suo nucleo è costituito dal solo<br />

vettore nullo:<br />

(L) ={0}<br />

Se L è la matrice dell’operatore L in una base E, allora, se L è invertibile, la matrice<br />

dell’operatore L−1 è l’inversa di L. L’operatore L èinvertibileseesoloseLnon è<br />

singolare (cioè det(L) 6= 0). 4<br />

4<br />

Il determinante è una proprietà intrinseca dell’operatore e non muta con il cambiamento della base.<br />

Infatti, tenendo conto delle note proprietà dei determinanti e dell’eq. (A.28), si ha:<br />

det(A 0 )=det(A · L · A −1 )=det(A)det(L)det(A) −1 =det(A)


A.9 Operatori lineari 98<br />

A.9.4 Operatore identico<br />

L’operatore che trasforma ogni elemento di Vn in se stesso è detto l’operatore identico<br />

dello spazio Vn:<br />

v = I(v) ∀v ∈ Vn<br />

L’eq. (A.30) dimostra che, se un operatore è invertibile, l’applicazione successiva di L<br />

e del suo inverso produce l’operatore identico:<br />

L −1 ◦ L = I<br />

La matrice dell’operatore identico I in Vn è la matrice unitaria I (n × n).<br />

A.9.5 Operatori hermitiani<br />

Siano (v, w) ∈ Vn elementi di uno spazio vettoriale ed L un operatore lineare dello stesso<br />

spazio: poiché L(v) ∈ Vn, si può calcolare il prodotto interno:<br />

hL(v), wi<br />

Esiste ed è unico un altro operatore lineare L ∗ , detto l’operatore aggiunto di L, taleche:<br />

hL(v), wi = hv, L ∗ (w)i (A.31)<br />

Un operatore lineare L si dice hermitiano od autoaggiunto se L = L ∗ , per cui:<br />

hL(v), wi = hv L(w)i<br />

La matrice dell’operatore aggiunto è l’aggiunta della matrice di L, cioèlamatriceche<br />

si ottiene prendendo la complessa coniugata della trasposta:<br />

L ∗ = L T (A.32)<br />

La matrice aggiunta di una matrice reale è la sua trasposta. Una matrice è hermitiana se<br />

coincide con la sua aggiunta A ∗ = A; una matrice reale è autoaggiunta se è simmetrica.<br />

A.9.6 Operatori unitari<br />

Un operatore U si dice unitario se soddisfa la seguente condizione: per ogni (v, w) ∈ Vn,<br />

hU(w), U(v)i = hw, vi (A.33)<br />

Un operatore è unitario solo se U ∗ ◦ U = I. Infatti dalla definizione (A.33) e da quella<br />

di operatore aggiunto (A.31), segue:<br />

hU(v), U(w)i = hv, U ∗ ◦ U(w)i = hv, wi<br />

da cui segue evidentemente che U ∗ ◦ U = I.<br />

Quindi per un operatorunitario esiste sempre l’operatore inverso, e questo coincide con<br />

l’operatore aggiunto.


A.9 Operatori lineari 99<br />

A.9.7 Autovalori ed autovettori di un operatore<br />

Se A è un operatore lineare dello spazio vettoriale Vn ed x un elemento di Vn, x è detto<br />

un autovettore di A se per qualche numero λ èverificata l’equazione:<br />

A(x) =λx (A.34)<br />

il numero λ ∈ C è detto l’autovalore di A associato all’autovettore x.<br />

Se ad un autovalore λ sono associati più di un atovettore xk, allora ogni combinazione<br />

lineare di questi autovettori è un autovettore di A. Infatti, per le proprietà degli operatori<br />

lineari e per la (A.34), si ha:<br />

A( X<br />

ckxk) = X<br />

ckA(xk) =λ X<br />

k<br />

k<br />

Gli autovettori che corrispondono ad autovettori distinti sono linearmente indipendenti.<br />

Siano infatti x1,...,xm m autovettori di A, cui corrispondono diversi autovalori λ1,...,λm.<br />

Se m = 1 l’affermazione è ovvia; infatti cx1 = 0 solo se c =0. Si assuma che l’affermazione<br />

siaveraperm − 1; in questo caso per qualunque combinazione lineare a coefficienti non<br />

tuttinulli,siha:<br />

k<br />

ckxk<br />

c1x1 + c2x2 + ···+ cm−1xm−1 6= 0 (A.35)<br />

Si supponga per assurdo che invece x1,...,xm−1, xm siano linearmente dipendenti. In<br />

questo caso esisterebbe una combinazione lineare a coefficienti non tutti nulli per cui:<br />

c1x1 + c2x2 + ···+ cm−1xm−1 + cmxm = 0 (A.36)<br />

Applicando l’operatore A a tutti i termini della (A.36) e tenendo conto dell’eq. (A.34),<br />

risulta:<br />

c1λ1x1 + c2λ2x2 + ···+ cm−1λm−1xm−1 + cmλmxm = 0 (A.37)<br />

se a questa equazione si sottra la (A.36) moltiplicata per λm, risulta:<br />

c1(λ1 − λm)x1 + c2(λ2 − λm)x2 + ···+ cm−1(λm−1 − λm)xm−1 = 0<br />

ma, dato che per ipotesi λm 6= λk, (k 6= m), questa implicherebbe che x1,...,xm−1 siano<br />

linearmente dipendenti, contraddicendo l’ipotesi: quindi l’eq. (A.36) è falsa ed è pertanto<br />

dimpostrato che gli autovettori di autovalori distinti sono linearmente indipendenti.<br />

Indicando con I l’operatore identico, l’equazione (A.34) si può riscrivere:<br />

(A − λI)(x) =0 (A.38)<br />

Ricordando la definizione del nucleo di un operatore, è evidente che gli autovettori associati<br />

all’autovalore λ sono il nucleo dell’operatore (A − λI); ne consegue che λ è un operatore<br />

di A seesolose(A − λI) non è invertibile.<br />

Un’ulteriore proprietà che può essere dimostrata è che ogni operatore A ha almeno un<br />

operatore non nullo. Per quanto visto in precedenza se un operatore lineare ha m atovalori<br />

distinti allora ha anche m autovalori, che tra loro risultano linearmente indipendenti; da<br />

questo consegue che un operatore in Vn non può avere più di n autovalori ed autovettori.


A.10 Vettori in C n 100<br />

A.10 Vettori in C n<br />

Nei paragrafi precedenti si è posto in evidenza come un vettore v ∈ Vn, elemento di uno<br />

spazio vettoriale, sia generalmente diverso dai coefficienti di una sua rappresentazione<br />

relativa ad una qualche base di Vn; per sottolineare questa differenza e non ingenerare<br />

confusione, l’insieme delle componenti di v è stato chiamato matrice n × 1 o matrice<br />

colonna enonvettore, come spesso avviene.<br />

Peraltro lo spazio dei numeri complessi, 5 o, più in generale, il prodotto di n spazi<br />

complessi C × C×··· × C = C n è uno spazio vettoriale, in quanto soddisfa a tutte le<br />

condizioni esposte nel primo paragrafo. Pertanto le n-ple di numeri complessi sono esse<br />

stesse elementi di uno spazio vettoriale, per cui non è improprio chiamare vettore una<br />

matrice-colonna. Quindi l’insieme di n numeri complessi è di per se stesso un vettore,<br />

come elemento di uno spazio C n ma può anche essere la rappresentazione, relativa ad<br />

una qualche base, di un elemento di un altro spazio vettoriale. Ad esempio l’insieme dei<br />

segmenti orientati nello spazio che hanno un estremo in un punto è uno spazio vettoriale; le<br />

coordinate dell’altro estremo del segmento riferite ad una terna cartesiana forniscono una<br />

terna di numeri che sono le componenti del vettore nella base assegnata. Questa terna di<br />

numeri può essere interpretata come un vettore dello spazio R n o come rappresentazione,<br />

riferita ad una certa base, del segmento orientato dello spazio geometrico.<br />

Nel seguito, quando non sarà necessario evidenziare questa distinzione, le n-ple di<br />

numeri reali (o complessi) saranno chiamate vettori.<br />

A.11 Autovalore ed autovettori di una matrice<br />

Sia E una base in Vn; come si è visto, ogni vettore v ∈ Vn può essere rappresentato<br />

dalla matrice (n × 1) delle componenti di v rispetto ad E. Quindi ad ogni vettore in Vn<br />

corrisponde una matrice (n × 1) e ad ogni operatore lineare una matrice (n × n).<br />

Se dunque A è un operatore lineare e A la matrice ad esso associata nella base E, se<br />

λ è un autovalore di A ed x un corrispondente autovettore, le componenti x di x in E,<br />

devono soddisfare l’equazione:<br />

L’eq. (A.39) è equivalente alla:<br />

A · x = λx (A.39)<br />

(A − λI) · x = 0 (A.40)<br />

in cui I indica la matrice unità e 0 è l’elemento nullo di C n .<br />

L’equazione (A.40) è un sistema omogeneo (perché il termine noto è nullo) di n equazioni<br />

nelle n incognite x, lacuimatricedeicoefficienti è (A−λI). Comeènotounsistema<br />

di questo genere ammette soluzioni non banali 6 se e solo se il rango della matrice dei<br />

coefficienti è inferiore al numero delle incognite. Poiché nel caso in esame la matrice è<br />

quadrata questo significa che si dovrà avere:<br />

det(A − λI) =0 (A.41)<br />

5 Analoghe considerazioni si applicano allo spazio dei numeri reali, che si può considerare un sottospazio<br />

di C 6 x = 0 è ovviamente soluzione dell’eq. (A.40), ma essa è priva di interesse e quindi denominata banale


A.11 Autovalore ed autovettori di una matrice 101<br />

Sviluppando il determinante si ottiene un polinomio di ordine n in λ, detto polinomio<br />

caratteristico della matrice A; la condizione (A.41) è quindi un’equazione di grado n in λ,<br />

del tipo:<br />

λ n + p1λ n−1 + p2λ n−2 + ···+ pn =0 (A.42)<br />

Per il teorema fondamentale dell’algebra l’eq. (A.42) ha sempre n soluzioni (radici), reali<br />

o complesse, qualcuna delle quali può avere molteplicità maggiore di 1. Se si indica con λk<br />

una delle m ≤ n radici distinte dell’eq. (A.42) e con rk ≥ 1 la sua molteplicità, l’eq (A.42)<br />

èequivalentea:<br />

mY<br />

(λ − λk) rk =0 (A.43)<br />

k=1<br />

Se λk è una soluzione dell’eq. (A.42), il sistema di equazioni che si ottiene sostituendo<br />

λk a λ nella (A.40) ammette almeno una soluzione non banale.<br />

Se gli autovalori di A sono tutti distinti (cioè se l’equazione caratteristica ha n soluzioni<br />

di molteplicità uno), come si è già visto gli autovettori di A sono linearmente indipendenti:<br />

pertanto con essi si può costruire una base di Vn. In questa base la matrice Φ costruita<br />

con le componenti degli autovettori coincide con la matrice unità. Ora poiché l’eq. (A.39),<br />

scritta per tutti gli autovettori, si può mettere nella forma:<br />

A · Φ = Φ · Λ (A.44)<br />

in cui Λ è la matrice diagonale degli autovettori, se Φ = I, dall’eq.(A.44) segue che A = Λ;<br />

in altre parole si può dire che, nel riferimento che ha per base gli autovettori dell’operatore<br />

A, la matrice ad esso associata è diagonale e coincide con la matrice Λ costruita con i suoi<br />

autovalori, che per ipotesi sono tutti diversi.<br />

La matrice di trasformazione da una base arbitraria E a quella degli autovettori è<br />

evidentemente costituita dalle componenti degli autovettori su questa base; infatti dall’eq.<br />

(A.44) si deduce:<br />

Φ −1 · A · Φ = Λ (A.45)<br />

ovvero, inversamente, si può passare dalla base degli autovettori ad un’altra base E<br />

mediante la trasformazione inversa:<br />

A.11.1 Autovalori multipli, triangolarizzazione<br />

Φ · Λ · Φ −1 = A (A.46)<br />

Se una matrice ha qualche autovalore di molteplicità maggiore di uno non è più garantita<br />

l’esistenza di n autovettori distinti; pertanto non è in generale sempre possibile porre la<br />

matrice nella forma diagonale Λ. Tuttavia è almeno sempre possibile determinare una<br />

trasformazione unitaria che renda la matrice triangolare superiore; anche in questo caso i<br />

termini sulla diagonale principale sono gli autovalori della matrice.<br />

Per dimostrare la precedente affermazione si osservi che una matrice ha sempre almeno<br />

un autovettore; si costruisce allora una base ortonormale in Vn formata con l’autovettore<br />

φ di A econaltrin − 1 vettori ortonormali, ma per altro arbitrari.


A.11 Autovalore ed autovettori di una matrice 102<br />

In questa base la prima colonna di A ha tutti i termini nulli, eccetto il primo, che ha il<br />

valore dell’autovalore λ1 associato all’auovettore φ. Infatti in questa base φ ha componenti<br />

[1 00...0] e quindi si dovrà avere:<br />

⎡ ⎤<br />

a11<br />

⎢<br />

⎢a21<br />

⎥<br />

A · φ = ⎢ ⎥<br />

⎣ . ⎦ = λ1φ<br />

⎡ ⎤<br />

1<br />

⎢<br />

⎢0<br />

⎥<br />

= λ1 ⎢ ⎥<br />

⎣.<br />

⎦<br />

0<br />

da cui appare evidente che si avrà<br />

an1<br />

a11 = λ1 aj1 =0 (j =2...n)<br />

La matrice di trasformazione U1 che proietta la matrice in questo riferimento è ovviamente<br />

formata con le componenti dell’autovettore φ e degli altri vettori ortogonali.<br />

Se ora si considera la matrice (n − 1 × n − 1) A1, ottenuta da A eliminandone le prime<br />

riga e colonna, anche questa matrice avrà almeno un autovettore e quindi si potrà costruire<br />

una base di Vn−1 in cui sono nulli tutti i termini della prima colonna di A1, escluso il<br />

primo. La matrice di trasformazione può essere aumentata in Vn, aggiungendovi il vettore<br />

[1 0 ... 0] T e ponendo uguali a zero le componenti dei vettori di Vn−1 su φ. Questamatrice<br />

di trasformazione U2 è ancora unitaria e quindi tale è anche la trasormazione prodotto<br />

U1 · U2; infatti:<br />

(U1 · U2) ∗ · (U1 · U2) =U ∗ 2 · U ∗ 1 · U1 · U2<br />

<strong>It</strong>erando il procedimento alle sottomatrici (n−2×n−2) ...2×2 che via via si formano,<br />

si perviene quindi a costruire una trasformazione ortonormale:<br />

U1 · U2 ···Un−1<br />

che trasforma una generica matrice A in una matrice triangolare superiore, i cui termini<br />

sulla diagonale principale sono gli autovalori di A.<br />

Esempio A.1 La matrice (3 × 3):<br />

⎡<br />

3<br />

A = ⎣0 −2<br />

5<br />

⎤<br />

2<br />

−1⎦<br />

0 4 1<br />

ha l’autovalore triplo λ =3e non può essere diagonalizzata. Si cerca quindi la trasformazione<br />

ortonormale che triangolarizza A. Poiché la prima colonna di A è già nella forma desiderata,<br />

la prima trasformazione sarà la trasformazione identica; quindi: U1 = I. Si considera allora la<br />

sottomatrice (2 × 2):<br />

A1 =<br />

· ¸<br />

5 −1<br />

4 1<br />

che ha l’autovalore doppio λ =3e l’autovettore φ1 =[1/ √ 52/ √ 5] T ; si costruisce quindi la base<br />

ortonormale: · √<br />

1 5<br />

2/<br />

√<br />

2/ 5<br />

√ 5 −1/ √ ¸<br />

5<br />

con cui si forma la trasformazione ortonormale U2:<br />

⎡<br />

1<br />

U2 = ⎣0<br />

0<br />

1/<br />

0<br />

√ 5 2/ √ 0 2/<br />

5<br />

√ 5 −1/ √ ⎤<br />

⎦<br />

5


A.11 Autovalore ed autovettori di una matrice 103<br />

Applicando ad A questa trasformazione se ne ottiene la forma triangolare, i termini diagonali<br />

essendo i suoi autovalori:<br />

U T ⎡<br />

· A · U = ⎣ 3 2/√5 −6/ √ 0 3<br />

⎤<br />

5<br />

5 ⎦<br />

0 0 3<br />

2<br />

A.11.2 Matrici simmetriche; ortogonalità degli autovettori<br />

Come si è già detto una matrice si dice hermitiana se essa coincide con la matrice dell’operatore<br />

aggiunto, cioè con la matrice coniugata della trasposta : A = AT . La matrice<br />

trasposta coniugata si indica comunemente con il simbolo A∗ ;seAè reale la sua trasposta<br />

coniugata coincide con la trasposta ed una matrice hermitiana e reale è simmetrica.<br />

Una matrice hermitiana (in particolare simmetrica) si può sempre porre nella forma<br />

diagonale. Questa proprietà consegue immediatamente dal fatto, dimostrato in precedenza,<br />

che ogni matrice può essere posta in forma triangolare e che la proprietà di essere<br />

hermitiana si conserva per una trasformazione unitaria; infatti in questo caso si ha:<br />

(U ∗ · A · U) ∗ = U ∗ · A ∗ · U = U ∗ · A · U<br />

dato che per ipotesi A ∗ = A. Poichè d’altra parte una matrice triangolare ed hermitiana<br />

è ovviamente una matrice diagonale, ne consegue che le matrici hermitiane sono sempre<br />

diagonalizzabili. La matrice ortonormale U della trasformazione che la triangolarizza (e<br />

quindi la diagonalizza) è allora la matrice dei suoi autovalori. Da questo segue dunque<br />

immediatamente come corollario che gli autovettori di una matrice hermitiana formano<br />

una base ortogonale.<br />

Un’ulteriore proprietà delle matrici hermitiane è che i loro autovalori sono sempre<br />

reali. Infatti se A è una matrice hermitiana, φ un suo autovettore e λ il corrispondente<br />

autovalore si ha:<br />

A · φ = λφ<br />

quindi, moltiplicando entrambi i membri dell’equazione a sinistra per φ ∗ , si ottiene:<br />

φ ∗ · A · φ = λφ ∗ · φ (A.47)<br />

Prendendo il trasposto-coniugato 7 dei due membri dell’eq.(A.47):<br />

φ ∗ · A ∗ · φ = λφ ∗ · φ (A.48)<br />

dal confronto tra le equazioni (A.47) e (A.48), tenendo conto che per ipotesi A ∗ = A, ne<br />

consegue che deve risultare λ = λ, ilchesignifica che λ è reale. In particolare se la matrice<br />

A è reale e simmetrica, anche gli autovettori φ sono reali.<br />

7 Èfacileverificare che (A ∗ · B) ∗ = B ∗ · A. Infatti:<br />

(A T B) T = B T A = B T · A


A.11 Autovalore ed autovettori di una matrice 104<br />

A.11.3 Autovalori ed autovettori generalizzati di due matrici<br />

Se A e B sono due operatori lineari in Vn ed A e B le corrispondenti matrici in una<br />

opportuna base E, l’equazione (A.39) può essere generalizzata nel modo seguente:<br />

A · x = λB · x (A.49)<br />

Se l’operatore B è invertibile, in modo che esista la matrice inversa di B, allora<br />

l’eq. (A.49) è equivalente a:<br />

B −1 · A · x = λx<br />

che è equivalente alla (A.39), ove si sostituisca A con B −1 · A.<br />

Se A e B sono matrici hermitiane, la matrice B −1 ·A nonloè;pertantononèpossibile<br />

direttamente estendere le proprietà delle matrici hermitiane (autovalori reali, esistenza in<br />

ogni caso della trasformazione diagonale, ecc.). Tuttavia, se B è hermitiana, non singolare<br />

edefinita positiva, allora esiste almeno una decomposizione per B, comeilprodottodi<br />

una matrice per la sua aggiunta:<br />

B = C ∗ · C (A.50)<br />

in cui C è una matrice non singolare. Sostituendo la (A.50) nella (A.49) e ponendo:<br />

si ha:<br />

A · C −1 · y = λC ∗ · y<br />

che, moltiplicata a sinistra per (C−1 ) ∗ diviene:<br />

y = C · x x = C −1 · y (A.51)<br />

(C −1 ) ∗ · A · C −1 · y = λy (A.52)<br />

L’eq. (A.52) è ora nella forma standard (A.49) ed inoltre la matrice (C −1 ) ∗ · A · C −1<br />

è ancora hermitiana, se lo è A. Si può dunque concludere che se B è hermitiana, non<br />

singolare e definita positiva, esiste una trasformazione che pone il problema degli autovalori<br />

nella forma standard conservando la proprietà di A di essere hermitiana. Questo consente<br />

di estendere all’eq. (A.49), quando A e B sono hermitiane, tutte le proprietà dimostrate<br />

per gli autovalori e gli autovettori di una matrice hermitiana, relativamente al problema<br />

standard (A.39).<br />

Se si indica con Y la matrice degli autovettori di (C −1 ) ∗ · A · C −1 ,allorasiha:<br />

Y ∗ · (C −1 ) ∗ · A · C −1 · Y = Λ (A.53)<br />

in cui Λ è la matrice diagonale degli autovalori di A. Ponendo ora:<br />

l’equazione (A.53) diviene:<br />

X = C −1 Y<br />

X ∗ · A · X = Λ (A.54)<br />

ciò dimostra che X diagonalizza la matrice A.<br />

Tenendo conto della posizione (A.50) e del fatto che Y è ortonormale, si verifica anche<br />

con facilità che:<br />

X ∗ · B · X = Y ∗ · (C −1 ) ∗ · (C ∗ · C) · C −1 · Y = Y ∗ · Y = I<br />

cioè la trasformazione X diagonalizza anche la matrice B, trsformandola nella matrice<br />

unità.

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