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QF33 - Così fan tutte - Fondazione Donizetti

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02. Mellace - <strong>Così</strong> <strong>fan</strong> <strong>tutte</strong>_Layout 2 29/10/2012 11.22 Pagina 19<br />

Mozart, Da Ponte e le vertigini della consapevolezza<br />

sociali (il fidanzamento socialmente onorevole) e lotta contro le insidie<br />

esterne e le proprie pulsioni interne. Né la conciliatoria, vivace sezione<br />

conclusiva di prammatica, «Abbracciamci, o caro bene», prelevata di peso<br />

dalla tradizione dell’intermezzo, vale a far dimenticare quel momento<br />

cruciale di sgomento, di vertigine esistenziale, esperienza irripetibile e<br />

fondante di sé, che Mozart colloca al limitare del dramma, immediatamente<br />

prima che Don Alfonso espliciti ai due Candide inesperti della<br />

vita il senso della lezione che hanno appena ricevuto.<br />

Già nell’atto I, peraltro, Mozart aveva squarciato la tela comica del<br />

dramma giocoso con altrettanta, imprevedibile arbitrarietà. Avviene nel<br />

terzettino con cui Don Alfonso e le ragazze si congedano dagli amanti in<br />

partenza, augurando loro una serena traversata per mare: «Soave sia il<br />

vento, | tranquilla sia l’onda, | ed ogni elemento | benigno risponda |<br />

ai nostri desir». Probabilmente Da Ponte non immaginò nulla di più d’un<br />

anodino testo madrigalistico, cinque senari dal tono idilliaco, risalenti per<br />

li rami alla tradizione lirica petrarchesca. Mozart risponde spalancando,<br />

inaspettatamente, un abisso d’incanto emotivo. Il regolare accompagnamento<br />

degli archi (le semicrome dei violini con sordina, le linee per valori<br />

più larghi di fiati, violoncelli e bassi) parrebbe assecondare la vocazione<br />

bucolica del breve madrigale imitando il moto della brezza marina, ma<br />

non tarda a smentirlo la qualità della scrittura vocale, improntata a un’intimità<br />

estatica che rimanda alla polifonia chiesastica e pare ripristinare lo<br />

stupore, religioso e affettuoso a un tempo, del «Benedictus» delle messe<br />

create un decennio prima per le volte bianche del duomo di Salisburgo,<br />

mentre le voci gravi (la gestualità dei violoncelli, la frase ‘a solo’ di Don<br />

Alfonso) approfondiscono un abisso di consapevolezza del tutto sproporzionato<br />

alla situazione (o forse no, se è vero che per i due amanti la finta<br />

partenza pare abbia il valore d’un rito di passaggio, dal quale ritorneranno<br />

diversi da prima). <strong>Così</strong> era avvenuto per il terzetto delle maschere<br />

«Protegga il giusto ciel» nel finale I del Don Giovanni, e avverrà ancora<br />

nel quartetto del brindisi in canone «E nel tuo, nel mio bicchiero» in<br />

quest’opera: <strong>tutte</strong> pagine che troverebbero la loro collocazione stilistica<br />

più propria nel repertorio sacro; luoghi in cui il cielo di carta del teatrino<br />

dapontiano si squarcia, rivelando allo spettatore baratri sentimentali<br />

affatto ignoti alla sensibilità libertina del nostro compatriota.<br />

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