GiusePPe Troiano Quel 10 settembre del 1943 ... - Studi Cassinati

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Lungo la strada vedemmo filari di macerie e case sventrate che mostravano le suppellettili. La gente superstite si aggirava smarrita, cercando di stare lontano dai monconi di pareti. Vi era, però, nei sopravvissuti, la paura che potesse arrivare una seconda ondata di bombardieri. Così, ognuno si affrettava verso un riparo migliore. Gli alleati erano convinti, infatti, che, bombardando a tappeto la città a più riprese, avrebbero facilmente fiaccato la resistenza dei tedeschi e reso più agevole ai loro soldati d’impadronirsi della stessa, una volta giunti nella pianura cassinate. Erano calcoli che miravano naturalmente a risparmiare il più possibile la vita dei loro militari a scapito di quella degli abitanti di Cassino, sottoposti a bombardamenti massicci e distruttivi. Giunti all’altezza del ramo del Rapido, trovammo il ponte, in Corso Principe Umberto, parzialmente distrutto. Solo una sottile striscia, presidiata dai tedeschi, permetteva il passaggio. Fortunatamente, due soldati ci aiutarono ad andare dall’altra parte e raggiungemmo l’imbocco di vico Monte Cavallo. Arrivammo in cima appena in tempo per rifugiarci nella grotta. Un’altra ondata di bombardieri si accanì sulla città, spianando ciò che era rimasto in bilico e distruggendo fabbricati ancora integri. Vi erano, ormai, tutti gli indizi che la città di Cassino sarebbe divenuta un cruento teatro di battaglia. I tedeschi avevano fatto dell’agglomerato il luogo in cui convenivano le truppe provenienti dalla Val di Sangro e dall’agro casertano. Le truppe aumentavano di numero giorno dopo giorno; comparvero nelle strade pesanti carri armati; dappertutto, in pianura come in collina, era un fervore di lavori. I tedeschi stavano approntando la linea di fortificazione Gustav, che correva dall’Adriatico al Tirreno, traversando le Mainarde e i monti Ausoni. In quella catena accidentata, Montecassino aveva un ruolo centrale. Doveva fare da baluardo principale, in grado di sbarrare la strada verso Roma alle truppe alleate provenienti da Napoli, via Casilina. Tra la gente correva voce che i soldati tedeschi, attestati a Mignano Montelungo, avrebbero ben presto ripiegato verso il cassinate, per sfruttare la configurazione orografica del luogo, ricca di fiumi e di monti, e costituire così una difesa invalicabile. Molte famiglie pensarono seriamente di abbandonare Cassino, ma non è facile decidersi a lasciare le proprie proprietà e il luogo in cui si è nati, dove hai ricordi, amicizie e interessi. Gli adulti discutevano del pro e del contro, ma iniziare una vita da sfollati, con 72

poche cose appresso e in altre zone, era una risoluzione che si rinviava in continuazione, nella speranza che avvenisse chissà quale miracolo. La gente temeva i bombardamenti, ma, essendo divenuti quotidiani, vi si era assuefatta. Aveva trovato anche il modo di sopravvivere agli scoppi delle bombe, rifugiandosi in posti ritenuti più sicuri delle case. Non avevano, però, consapevolezza che la guerra non conosce regole, che essa non cessa se non con lo sterminio dell’altra parte, e l’altra parte erano le truppe tedesche fortificate nel cassinate e gli abitanti dei luoghi dove si trovavano queste fortificazioni. In breve, l’illusione di sopravvivere in mezzo alle avversità e l’attaccamento alle cose possedute impedivano che la città si svuotasse. Vi era, inoltre, in molte famiglie, la convinzione che la guerra si sarebbe arrestata alle soglie del monastero di Montecassino, che la sua sacralità avrebbe fatto da usbergo a chi avesse chiesto ospitalità ai monaci. Frotte di famiglie cassinati presero a premere sull’abate, Dom Gregorio Diamare, e sui monaci benedettini affinché le porte dell’abbazia si aprissero a coloro che chiedevano asilo. A casa dei miei parenti si discusse dell’eventualità di rifugiarsi nel monastero. Zio Peppino non voleva lasciare il lavoro di ristoratore e mia madre era contraria all’idea di ripararsi nell’abbazia. Affermava che la chiesa del Carmine era stata bombardata, nonostante fosse un luogo religioso. Non vi era motivo, quindi, di credere che l’abbazia non potesse diventare un bersaglio per i bombardieri alleati, qualora la battaglia terrestre si fosse spostata a Cassino. Le retate di uomini, che i tedeschi stavano compiendo per procurarsi mano d’opera forzosa, erano per mia madre la prova che si stava preparando qualcosa di grosso. Alla fine fu presa la decisione di trasferirsi a Vallerotonda, qualora la situazione bellica si fosse aggravata. In quel paese di montagna, a una quindicina di chilometri da Cassino, mio zio conosceva un contadino che si era offerto di darci ospitalità. Un altro mio zio, Umberto Fiorenza, maestro come mio padre, era venuto a rifugiarsi nell’edificio di mezza costa. Aveva quattro figli, due giovani e due ragazze. I giovani stavano sempre all’allerta. Erano in età per lavorare e i soldati tedeschi davano loro la caccia. Di tanto in tanto i militari si presentavano sull’uscio di casa e con fare prepotente entravano e ispezionavano i locali in cerca di uomini. Non trovavano nessuno perché, appena le donne segnala- 73

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Gli alleati erano convinti, infatti, che, bombardando a tappeto<br />

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miravano naturalmente a risparmiare il più possibile la vita dei loro<br />

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Giunti all’altezza <strong>del</strong> ramo <strong>del</strong> Rapido, trovammo il ponte, in<br />

Corso Principe Umberto, parzialmente distrutto. Solo una sottile<br />

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due soldati ci aiutarono ad andare dall’altra parte e raggiungemmo<br />

l’imbocco di vico Monte Cavallo. Arrivammo in cima<br />

appena in tempo per rifugiarci nella grotta. Un’altra ondata di bombardieri<br />

si accanì sulla città, spianando ciò che era rimasto in bilico<br />

e distruggendo fabbricati ancora integri.<br />

Vi erano, ormai, tutti gli indizi che la città di Cassino sarebbe<br />

divenuta un cruento teatro di battaglia. I tedeschi avevano fatto<br />

<strong>del</strong>l’agglomerato il luogo in cui convenivano le truppe provenienti<br />

dalla Val di Sangro e dall’agro casertano. Le truppe aumentavano<br />

di numero giorno dopo giorno; comparvero nelle strade pesanti<br />

carri armati; dappertutto, in pianura come in collina, era un fervore<br />

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I tedeschi stavano approntando la linea di fortificazione Gustav,<br />

che correva dall’Adriatico al Tirreno, traversando le Mainarde e i<br />

monti Ausoni. In quella catena accidentata, Montecassino aveva<br />

un ruolo centrale. Doveva fare da baluardo principale, in grado di<br />

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Napoli, via Casilina.<br />

Tra la gente correva voce che i soldati tedeschi, attestati a Mignano<br />

Montelungo, avrebbero ben presto ripiegato verso il cassinate,<br />

per sfruttare la configurazione orografica <strong>del</strong> luogo, ricca di<br />

fiumi e di monti, e costituire così una difesa invalicabile.<br />

Molte famiglie pensarono seriamente di abbandonare Cassino,<br />

ma non è facile decidersi a lasciare le proprie proprietà e il luogo in<br />

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