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GiusePPe Troiano Quel 10 settembre del 1943 ... - Studi Cassinati

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la mano, come per invitarmi ad avvicinarmi; poi mi tese una metà<br />

<strong>del</strong>la mela.<br />

Mi ci sedetti accanto, senza diffidenza, e morsi quel frutto. Il soldato<br />

mi accarezzò il capo e pronunciò alcune parole in tedesco. Non<br />

so cosa dicesse, ma nei suoi occhi leggevo la tenerezza, non l’odio.<br />

Tolse dal taschino una foto e me la mostrò. Era l’immagine di un<br />

bambino <strong>del</strong>la mia stessa età e aveva capelli biondi e occhi azzurri<br />

come lui.<br />

Mentre guardavo incuriosito l’immagine <strong>del</strong> mio coetaneo, un ufficiale<br />

invitò la truppa ad alzarsi e a ripartire. Il soldato mi diede<br />

un buffetto affettuoso sulla guancia, ripose la fotografia, mise a tracollo<br />

la sacca, il fucile sulla spalla e riprese la marcia. La sua figura<br />

mi è rimasta impressa e mi ha insegnato che anche nella guerra si<br />

può restare umani.<br />

Cassino non era più come prima. Ora vi giravano militari sconosciuti<br />

che parlavano una lingua gutturale. Suonava dura per<br />

gente abituata a un dialetto dolce. Forse per questo facevano timore,<br />

ma era anche per quel loro modo di comportarsi così guerresco<br />

e deciso.<br />

La città funzionava come una retrovia. I soldati venivano dal<br />

fronte, da combattimenti feroci. Molti non avevano simpatia per gli<br />

italiani, considerati traditori e bugiardi. I feriti erano stipati per le<br />

cure in un lungo edificio, adiacente alla chiesa di S. Antonio. Era<br />

un convento, i cui locali erano utilizzati, prima che il comando tedesco<br />

li requisisse, come scuola elementare. Fu trasformato in<br />

ospedale militare e fu disegnata una grande croce rossa sul tetto,<br />

per segnalarlo ai bombardieri alleati. Era, infatti, una convenzione<br />

di guerra non bombardare questi stabili.<br />

Una mattina mia madre mi condusse con sé al Municipio. Al ritorno<br />

ci arrestammo a osservare, in Largo S. Antonio, l’arrivo dei<br />

feriti che sopraggiungevano dal fronte. Vidi <strong>del</strong>le scene orribili. Alcuni<br />

soldati avevano il corpo bruciato ed erano avvolti in bianche<br />

bende come mummie, altri avevano una o entrambe le gambe recise<br />

al ginocchio oppure moncherini al posto <strong>del</strong>le braccia. Altri ancora<br />

si muovevano a fatica, camminando su stampelle o sorretti da<br />

commilitoni, poiché le loro ferite, benché dolorose, non impedivano<br />

la deambulazione.<br />

Un’umanità dolente, deturpata nel fisico e fiaccata nel morale,<br />

sfilava davanti ai miei occhi di bambino, svelandomi le atrocità più<br />

nascoste <strong>del</strong>la guerra. Gli infermieri si affaccendavano intorno ai<br />

soldati più gravemente colpiti e li trasportavano con barelle all’in-<br />

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