GiusePPe Troiano Quel 10 settembre del 1943 ... - Studi Cassinati
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Finalmente a Viterbo, ma la guerra continua Il desiderio di mia madre era di raggiungere Roma e da lì Viterbo, per ricongiungersi a sua sorella, Lina Sensini, sposata con un commerciante del posto. Il giorno seguente profittammo di un camion tedesco diretto a Roma. Tutto andò per il meglio fino nei pressi di Valmontone, quando il camion si arrestò a un posto di blocco di Waffen SS. I componenti della polizia militare diedero uno sguardo all’interno e si accorsero della nostra presenza. Ingiunsero all’autista di farci scendere e di proseguire. Rimanemmo lì, sul bordo della strada, senza sapere come comportarci. Iniziò a piovere. Prima una pioggerellina, poi uno scroscio. Non vi era un luogo dove ripararci e speravamo di salire in uno dei camion che transitavano da lì. Quei soldati, però, furono irremovibili. Impedirono ad ogni mezzo di prenderci a bordo, indifferenti della sorte di tre bambini infreddoliti e bagnati fracidi e della loro madre, preoccupata e impaurita. Mio fratello ed io avevamo un cappottino che arrivava a mezza coscia. Sotto indossavamo dei pantaloncini corti, come si usava all’epoca. Battevamo i denti per l’umidità e il gelo e non so come non prendemmo un malanno. Quando gli SS andarono via, un camion della Wehrmacht si fermò e ci fece salire. A Roma fummo ospiti della famiglia che abitava nell’alloggio di fronte al nostro, in via Pascoli, e che aveva lasciato Cassino poco dopo il bombardamento del 10 settembre. Il capofamiglia era ferroviere e disponeva di un appartamento in via Ramni, nei pressi della Stazione Termini. Con il treno della Ferrovia Nord, che partiva da Piazzale Flaminio, raggiungemmo Viterbo. Nella città dei Papi avemmo un periodo di pace. Dapprima fummo ospiti di zia Lina, poi la famiglia Carparelli, cugini di mia madre, ci offrì gentilmente l’uso di un appartamento nel quartiere storico di Viterbo, quello di S. Pellegrino. Nel mese di Maggio del 1944 i tedeschi si ritirarono da Montecassino e si fortificarono sull’Appennino centrale. Viterbo, non lontano da Orte, centro ferroviario tra nord e sud di primaria importanza, entrò nel mirino dei bombardieri alleati. Ricominciò l’odissea dei rifugi e delle paure. Più volte sfuggimmo alla morte. Una notte stavamo dormendo nella casa di S. Pellegrino. Il suono acuto della sirena annunziò il sopraggiungere degli aerei americani. 111
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Finalmente a Viterbo, ma la guerra continua<br />
Il desiderio di mia madre era di raggiungere Roma e da lì Viterbo,<br />
per ricongiungersi a sua sorella, Lina Sensini, sposata con un commerciante<br />
<strong>del</strong> posto. Il giorno seguente profittammo di un camion<br />
tedesco diretto a Roma. Tutto andò per il meglio fino nei pressi di<br />
Valmontone, quando il camion si arrestò a un posto di blocco di<br />
Waffen SS. I componenti <strong>del</strong>la polizia militare diedero uno sguardo<br />
all’interno e si accorsero <strong>del</strong>la nostra presenza. Ingiunsero all’autista<br />
di farci scendere e di proseguire. Rimanemmo lì, sul bordo <strong>del</strong>la<br />
strada, senza sapere come comportarci. Iniziò a piovere. Prima una<br />
pioggerellina, poi uno scroscio. Non vi era un luogo dove ripararci e<br />
speravamo di salire in uno dei camion che transitavano da lì.<br />
Quei soldati, però, furono irremovibili. Impedirono ad ogni mezzo<br />
di prenderci a bordo, indifferenti <strong>del</strong>la sorte di tre bambini infreddoliti<br />
e bagnati fracidi e <strong>del</strong>la loro madre, preoccupata e impaurita.<br />
Mio fratello ed io avevamo un cappottino che arrivava a mezza coscia.<br />
Sotto indossavamo dei pantaloncini corti, come si usava all’epoca.<br />
Battevamo i denti per l’umidità e il gelo e non so come non<br />
prendemmo un malanno.<br />
Quando gli SS andarono via, un camion <strong>del</strong>la Wehrmacht si<br />
fermò e ci fece salire. A Roma fummo ospiti <strong>del</strong>la famiglia che abitava<br />
nell’alloggio di fronte al nostro, in via Pascoli, e che aveva lasciato<br />
Cassino poco dopo il bombardamento <strong>del</strong> <strong>10</strong> <strong>settembre</strong>. Il<br />
capofamiglia era ferroviere e disponeva di un appartamento in via<br />
Ramni, nei pressi <strong>del</strong>la Stazione Termini.<br />
Con il treno <strong>del</strong>la Ferrovia Nord, che partiva da Piazzale Flaminio,<br />
raggiungemmo Viterbo. Nella città dei Papi avemmo un periodo<br />
di pace. Dapprima fummo ospiti di zia Lina, poi la famiglia Carparelli,<br />
cugini di mia madre, ci offrì gentilmente l’uso di un appartamento<br />
nel quartiere storico di Viterbo, quello di S. Pellegrino.<br />
Nel mese di Maggio <strong>del</strong> 1944 i tedeschi si ritirarono da Montecassino<br />
e si fortificarono sull’Appennino centrale. Viterbo, non lontano<br />
da Orte, centro ferroviario tra nord e sud di primaria<br />
importanza, entrò nel mirino dei bombardieri alleati. Ricominciò<br />
l’odissea dei rifugi e <strong>del</strong>le paure. Più volte sfuggimmo alla morte.<br />
Una notte stavamo dormendo nella casa di S. Pellegrino. Il suono<br />
acuto <strong>del</strong>la sirena annunziò il sopraggiungere degli aerei americani.<br />
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