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n° 67 - Eco della Brigna

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e14<br />

Vittoriano Gebbia<br />

Lei, un giorno, mi venne a trovare e,<br />

vedendomi davanti al cancello che<br />

l’aspettavo prima di fermarsi davanti<br />

casa disse: “Seicentotrentanove, seicentoquaranta,<br />

seicentoquarantuno e<br />

seicentoquarantadue”.<br />

Mia madre mi strappò dai miei ricordi e<br />

mi strinse piangendo.<br />

“E’ finita!” disse mio padre. Mi prese<br />

per mano e mi trascinò dentro casa.<br />

Era passato quasi un anno da quando la<br />

guerra era finita.<br />

Un provvedimento governativo, nel frattempo, concesse<br />

totale amnistia ai disertori.<br />

Io avevo cominciato, sulla scia di mio padre, a fare il medico<br />

a tempo pieno.<br />

Coso era sempre con me, anzi, a dire il vero, era praticamente<br />

la mia ombra. Spesso mi seguiva anche quando mi<br />

spostavo per qualche visita domiciliare e, frequentemente,<br />

guadagnava più lui in dolcetti che io in parcelle.<br />

Ma quella vita mi piaceva. Mi piaceva il contatto con le persone.<br />

Mi piaceva sentirmi utile.<br />

La guerra l’avevamo quasi dimenticata, io e Coso.<br />

Con una meticolosa opera di restauro ero riuscito a mettere<br />

a posto quasi tutti i tasselli del mosaico <strong>della</strong> mia vita.<br />

Ma mi mancava sempre qualcosa. Ero tranquillo, ma non<br />

capivo perché non mi sentissi appagato.<br />

Non avevo mai parlato con nessuno di Anna. Forse per evitare<br />

che qualcuno mi dicesse: “…E una ragazza così, te la<br />

sei lasciata scappare?”.<br />

Fu mia madre che una sera mi disse: “Mario, va’ da lei!”. Io<br />

le risposi come se avessimo affrontato l’argomento centinaia<br />

di volte. “E se non le interessassi? È passato un anno…”<br />

“Se non vai da lei non potrai mai saperlo e la tua vita non<br />

sarà mai completa”.<br />

Partii dopo due giorni. Non sapevo cosa le avrei detto. Non<br />

sapevo neanche se avrei avuto il coraggio di presentarmi a<br />

casa sua. In un anno tante cose cambiano.<br />

Arrivai davanti al grande portone di ferro <strong>della</strong> sua casa che<br />

era mattino inoltrato.<br />

Ero ben vestito e curato.<br />

Il cancello era socchiuso ed entrai percorrendo pochi metri.<br />

Lei era là, a pochi passi. Stava curando il roseto multicolore.<br />

Mi vide e si sistemò i capelli.<br />

“Uhm”, disse freddamente, “ti preferivo con l’aspetto rude<br />

di un soldato in guerra!”. Ma prima che mi si raggelasse il<br />

sangue nelle vene aggiunse dolcemente: “Sei tornato?…”.<br />

Mi saltò al collo e mi baciò.<br />

Ci avviammo verso casa. Sull’uscio suo padre ci guardava<br />

senza riuscire a capire chi fossi. Non appena ci avvicinammo<br />

mi riconobbe, accennò un saluto con la mano ed entrò in casa.<br />

“Abbiamo a tavola un ospite importante”, tuonò, “cambiate<br />

La guerra, ormai,<br />

è un ricordo<br />

dai contorni sbiaditi,<br />

ma i suoi occhi,<br />

gli occhi di Maria,<br />

li ricordo ancora...<br />

...mi trafissero il cuore<br />

e mi rivoltarono l’anima.<br />

l’abito all’atleta!”.<br />

La mia vita si era completata. Anche gli<br />

ultimi tasselli del mosaico erano stati<br />

collocati al loro posto.<br />

Ci sposammo, io ed Anna, ed ancora<br />

oggi dividiamo le nostre vite.<br />

Forse anche noi, come i genitori di Maria,<br />

all’origine <strong>della</strong> nostra esistenza, eravamo<br />

due parti di un unico essere vivente.<br />

Mio padre, ormai anziano, ha definitivamente<br />

smesso di lavorare lasciando a<br />

me il compito, gravoso, di essere il<br />

medico condotto del paese.<br />

Passa le giornate con mia madre trovando sempre qualcosa<br />

da fare.<br />

Spesso prende la canna da pesca, la cassetta degli ami e con<br />

lei percorre i seicentoquarantadue passi che separano la casa<br />

dal porticciolo.<br />

Vanno a pescare mio padre e mia madre, ma non portano<br />

mai pesce.<br />

Una volta, vedendoli ritardare, raggiunsi il porto. Li trovai<br />

seduti sulla banchina l’uno accanto all’altra. Mio padre,<br />

vedendomi, tirò fuori la lenza dall’acqua. Fu allora che mi<br />

accorsi che non c’era né amo né esca. Capii allora che mio<br />

padre ama talmente tanto la vita che non sarebbe capace di<br />

toglierla neanche al più piccolo ed, apparentemente, insignificante<br />

essere vivente.<br />

Coso visse con me per dodici anni. Una mattina abbaiò dietro<br />

la porta di casa. Uscii e mi fece capire di seguirlo. Era<br />

vecchio e stanco, Coso. Si sdraiò. Mi sedetti per terra e lui<br />

mi salutò per l’ultima volta così come fece quando ci conoscemmo:<br />

leccandomi una mano. Con lui se ne andò anche<br />

un pezzetto di me.<br />

Non tornai più nei posti in cui avevo vissuto la guerra.<br />

Soltanto una volta, costretto dal lavoro, sorvolai, con un<br />

aereo di linea, quella zona.<br />

Era una magnifica giornata, limpida e chiara come raramente<br />

se ne vedono. L’aereo si abbassò parecchio perché da lì a<br />

poco sarebbe atterrato.<br />

Fu allora che vidi la chiesetta che, per tre giorni, fu il rifugio<br />

mio e di Maria. Il campanile era crollato. Anche lui,<br />

come parecchi soldati, si era arreso alla guerra.<br />

Abbiamo una bambina, io e Anna. Quando nacque fu proprio<br />

Anna a decidere come chiamarla.<br />

“Maria” mi disse.<br />

“Perché?” risposi.<br />

“E’ per lei che tu sei vivo. E’ per lei che noi ci siamo incontrati”.<br />

Aveva ragione.<br />

La guerra, ormai, è un ricordo dai contorni sbiaditi, ma i<br />

suoi occhi, gli occhi di Maria, li ricordo ancora.<br />

I suoi occhi neri, profondi, incastonati su un viso da bambina<br />

mi trafissero il cuore e mi rivoltarono l’anima.

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