Diagnostica morfologica: Neuroradiologia - Centauro

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29.05.2013 Views

754 2. Indicazioni fa ricorso alle vie alternative solo quando esistano gravi processi ateromasici a carico delle arterie femorali, iliache e dell’aorta, che ostacolino l’avanzamento del catetere. Dal punto di vista tecnico l’esecuzione di un cateterismo per via femorale comporta: – puntura dell’arteria femorale, previa anestesia locale; – introduzione di una guida metallica flessibile, attraverso l’ago, all’interno dell’arteria femorale; – rimozione dell’ago; – introduzione di un catetere flessibile di materiale plastico, fatto scorrere sulla guida metallica precedentemente introdotta; – il catetere viene fatto risalire fino all’arco aortico sotto controllo fluoroscopico e, in successione, vengono incannulate le arterie di interesse (carotidi comuni, vertebrali ed eventualmente carotidi interne ed esterne per lo studio del circolo cerebrale; vertebrali, cervicali profonde ed ascendenti, intercostali, iliache, lombari e sacrali per lo studio del circolo del midollo spinale), acquisendo seriografie antero-posteriori, laterali ed eventualmente oblique contemporaneamente all’iniezione di mezzo di contrasto, eseguita con iniettore automatico; – terminato l’esame, il catetere viene rimosso e si effettua la compressione dell’arteria femorale per almeno 10 minuti, al fine di prevenire la formazione di ematomi e/o sanguinamenti; estremamente importante è verificare la presenza, anche durante la compressione, di un polso periferico a valle (generalmente l’arteria pedidia) del punto di compressione; – il paziente dovrà restare a riposo per le successive 24 ore. Le indicazioni allo studio angiografico, a seguito dell’introduzione nella pratica clinica di TC e RM, si sono molto ridotte. Attualmente, uno studio angiografico diagnostico viene richiesto ai fini di: – studio di malformazioni vascolari; – ricerca di aneurismi in pazienti con pregressa emorragia subaracnoidea o in cui altri esami (TC, RM, angio-TC, angio-RM) abbiano evidenziato reperti sospetti per aneurisma; – studio di arteriti; – valutazione preoperatoria dei vasi extracranici (entità della stenosi, circoli di compenso, lesioni “tandem”, caratteristiche delle lesioni ateromatose) in pazienti in cui sia stata accertata l’esistenza di una significativa patologia ateromasica tramite altre metodiche meno invasive (angio-TC, angio-RM, Doppler, ecotomografia); – valutazione preoperatoria del contributo specifico dei singoli assi arteriosi (carotide esterna, interna e circolo vertebro-basilare) all’apporto ematico ad una neoplasia, e in particolare ai meningiomi; – ricerca di eventuali dissezioni arteriose o pseudoaneurismi. L’esecuzione di procedure angiografiche comporta rischi di complicanze locali, cerebrali e sistemiche. Le complicanze locali includono la formazione di ematomi, le lacerazioni vasali, l’iniezione di contrasto subintimale, la formazione di pseudoaneurismi e di fistole artero-venose. Le complicanze cerebrali sono causate da fenomeni tromboembolici o dissezioni arteriose, provocati dalla tecnica del cateterismo, e consistono in fatti ischemici cerebrali. Le reazioni sistemiche sono estremamente rare, sono attribuite agli effetti tossici ed allergizzanti dei mezzi di contrasto e consistono in orticaria, bradicardia, laringospasmo, crisi epilettiche, shock anafilattico. L’incidenza di queste complicazioni ha subìto una progressiva riduzione a seguito del miglioramento tecnico dei materiali utilizzati e dell’introduzione dei mezzi di contrasto non-ionici. G • Studio funzionale del sistema nervoso centrale in RM L’introduzione nell’uso clinico di sequenze veloci ed ultraveloci, reso possibile dal miglioramento tecnologico degli apparecchi di RM, ha permesso di studiare in vivo alcuni fenomeni fisiologici che hanno luogo a livello del SNC. Anche se questi studi devono essere a tutt’oggi considerati sperimentali, da sottoporre a costante verifica facendo ricorso alle metodiche, più invasive, della Medicina nucleare (PET, SPECT), verosimilmente essi avranno un impatto enorme sulla attività neurologica, neurochirurgica e neuroradiologica. Tratteremo in questa sezione della RM funzionale e della spettroscopia in RM, tralasciando le tecniche di Medicina nucleare (discusse nel capitolo 46 ad esse dedicato). a) RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE Lo studio dei fenomeni fisiologici che si verificano nel sistema nervoso centrale è possibile solo facen- Parte Quinta • Procedimenti diagnostici nella patologia neurochirurgica

42 • Diagnostica morfologica: Neuroradiologia do ricorso a tecniche che consentano una risoluzione spaziale adeguata all’individuazione della precisa sede del fenomeno studiato ed una risoluzione temporale comparabile alla sua velocità di sviluppo. Le sequenze di risonanza magnetica che possono rispondere a questi requisiti sono: – FLASH (Fast Low-Spin Angle Shot), caratterizzate da tempi di acquisizione di pochi secondi (2- 10) per ciascuna immagine; – EPI (Echo-planar imaging), i cui tempi di acquisizione si riducono a 100 millisecondi per immagine, con un limite teorico di 20 millisecondi; sono disponibili esclusivamente su apparecchi di ultima generazione. L’utilizzazione, a fini di studio funzionale, delle sequenze FLASH è possibile anche su apparecchi RM che non dispongano di gradienti particolarmente intensi e veloci, ma presenta la limitazione di non consentire, a differenza delle EPI, l’acquisizione di informazioni funzionali relative all’intero encefalo (acquisizioni volumetriche), ma soltanto ad un singolo strato che deve essere identificato a priori dal neuroradiologo. Al momento attuale è possibile studiare, grazie a queste tecniche, la diffusione delle molecole d’acqua nel tessuto cerebrale, lo stato di ossigenazione ematica in aree corticali attivate tramite stimolazione delle medesime, e il flusso ematico cerebrale a livello capillare. È importante osservare che la collaborazione del paziente è estremamente importante nella conduzione di questi studi, che richiedono l’assoluta immobilità e, a volte, l’esecuzione di particolari compiti (attivazione). Diffusione La diffusione è il movimento casuale delle molecole di acqua, nei tessuti, dipendente dall’energia termica. Senza volere entrare in dettagli troppo tecnici, il principio fisico grazie al quale è possibile studiare la diffusione è la perdita della coerenza di fase degli spin in movimento casuale, che determina una riduzione del segnale proporzionale all’entità del movimento delle molecole d’acqua; il principio è il medesimo utilizzato in phase-contrast angio-RM, tuttavia, essendo la velocità del movimento delle molecole d’acqua nei tessuti di entità molto minore a quella del sangue nei vasi è necessario utilizzare gradienti di intensità maggiore (almeno 25-30 mT/m). Le variazioni del coefficiente di diffusione apparente (ADC) può essere rappresentato attraverso: – immagini pesate in diffusione (Diffusion-Weighted Imaging, DWI), in cui l’intensità di ogni pixel è dipendente dalla entità della riduzione di segnale (le aree a più basso coefficiente di diffusione sono iperintense); – mappe del coefficiente di diffusione apparente, dove l’intensità di ogni pixel è proporzionale al valore assoluto del coefficiente di diffusione apparente misurato (le aree a più basso coefficiente di diffusione sono ipointense). Sperimentalmente si è osservata una evidente riduzione del coefficiente di diffusione apparente dell’acqua a 15 minuti da occlusione vasale: le implicazioni nel trattamento d’urgenza dell’infarto cerebrale, finalizzato al recupero delle aree di “penombra ischemica”, sono evidenti. Anche se l’interpretazione fisiopatologia del fenomeno è ancora oggetto di discussione, verosimilmente la riduzione del coefficiente di diffusione apparente in condizioni di ischemia è conseguente al passaggio di acqua dall’ambiente extracellulare a quello intracellulare dipendente dalla riduzione dell’attività della pompa Na/K, a sua volta causata dalla riduzione della disponibilità intracellulare di ATP. È importante osservare che, se quanto sopra esposto è corretto, la metodica permette di evidenziare solamente le aree cerebrali dove esiste una consistente alterazione dei processi metabolici cellulari, i cui neuroni andranno incontro ai fenomeni necrotici; non permette, tuttavia, di valutare l’estensione delle aree in penombra ischemica, dove esiste una riduzione regionale del flusso (evidenziabile attraverso lo studio della perfusione), ma non ancora una compromissione dei processi metabolici intracellulari. Perfusione Il flusso ematico cerebrale a livello capillare può essere quantificato valutando la riduzione dell’intensità di segnale del tessuto cerebrale sulle immagini pesate in T2 o in T2*, a seguito del primo passaggio nei capillari del mezzo di contrasto. Il gadolinio, infatti, causa una riduzione del T1 e del T2, con meccanismi diversi ed antagonisti: – la riduzione del T1 dipende dalla capacità delle molecole di gadolinio di facilitare il passaggio degli spin delle molecole di acqua circostanti dalla condizione di maggiore livello energetico (eccitazione) a quella di minore livello (rilassamento), ed è strettamente dipendente dall’interazione diretta del gadolinio con le molecole d’acqua; – la riduzione del T2 dipende dalla distribuzione non uniforme delle molecole di gadolinio che causa variazioni locali del campo magnetico. Quando la barriera emato-encefalica è integra, l’effetto del gadolinio sul T1 è minimo perché le molecole di gadolinio possono interagire esclusivamente con le molecole dell’acqua presente a livello intravasale, mentre l’effetto sul T2 è massimo perché la distribuzione del gadolinio è marcatamente disomogenea a causa della sua compartimentalizzazione nello spazio intravasale. 755

42 • <strong>Diagnostica</strong> <strong>morfologica</strong>: <strong>Neuroradiologia</strong><br />

do ricorso a tecniche che consentano una risoluzione spaziale adeguata all’individuazione della precisa<br />

sede del fenomeno studiato ed una risoluzione temporale comparabile alla sua velocità di sviluppo.<br />

Le sequenze di risonanza magnetica che possono rispondere a questi requisiti sono:<br />

– FLASH (Fast Low-Spin Angle Shot), caratterizzate da tempi di acquisizione di pochi secondi (2-<br />

10) per ciascuna immagine;<br />

– EPI (Echo-planar imaging), i cui tempi di acquisizione si riducono a 100 millisecondi per immagine,<br />

con un limite teorico di 20 millisecondi; sono disponibili esclusivamente su apparecchi di<br />

ultima generazione.<br />

L’utilizzazione, a fini di studio funzionale, delle sequenze FLASH è possibile anche su apparecchi<br />

RM che non dispongano di gradienti particolarmente intensi e veloci, ma presenta la limitazione<br />

di non consentire, a differenza delle EPI, l’acquisizione di informazioni funzionali relative all’intero<br />

encefalo (acquisizioni volumetriche), ma soltanto ad un singolo strato che deve essere identificato<br />

a priori dal neuroradiologo.<br />

Al momento attuale è possibile studiare, grazie a queste tecniche, la diffusione delle molecole<br />

d’acqua nel tessuto cerebrale, lo stato di ossigenazione ematica in aree corticali attivate tramite stimolazione<br />

delle medesime, e il flusso ematico cerebrale a livello capillare.<br />

È importante osservare che la collaborazione del paziente è estremamente importante nella conduzione<br />

di questi studi, che richiedono l’assoluta immobilità e, a volte, l’esecuzione di particolari<br />

compiti (attivazione).<br />

Diffusione<br />

La diffusione è il movimento casuale delle molecole di acqua, nei tessuti, dipendente dall’energia<br />

termica.<br />

Senza volere entrare in dettagli troppo tecnici, il principio fisico grazie al quale è possibile studiare<br />

la diffusione è la perdita della coerenza di fase degli spin in movimento casuale, che determina<br />

una riduzione del segnale proporzionale all’entità del movimento delle molecole d’acqua; il principio<br />

è il medesimo utilizzato in phase-contrast angio-RM, tuttavia, essendo la velocità del movimento<br />

delle molecole d’acqua nei tessuti di entità molto minore a quella del sangue nei vasi è necessario<br />

utilizzare gradienti di intensità maggiore (almeno 25-30 mT/m).<br />

Le variazioni del coefficiente di diffusione apparente (ADC) può essere rappresentato attraverso:<br />

– immagini pesate in diffusione (Diffusion-Weighted Imaging, DWI), in cui l’intensità di ogni pixel<br />

è dipendente dalla entità della riduzione di segnale (le aree a più basso coefficiente di diffusione<br />

sono iperintense);<br />

– mappe del coefficiente di diffusione apparente, dove l’intensità di ogni pixel è proporzionale al<br />

valore assoluto del coefficiente di diffusione apparente misurato (le aree a più basso coefficiente<br />

di diffusione sono ipointense).<br />

Sperimentalmente si è osservata una evidente riduzione del coefficiente di diffusione apparente<br />

dell’acqua a 15 minuti da occlusione vasale: le implicazioni nel trattamento d’urgenza dell’infarto<br />

cerebrale, finalizzato al recupero delle aree di “penombra ischemica”, sono evidenti.<br />

Anche se l’interpretazione fisiopatologia del fenomeno è ancora oggetto di discussione, verosimilmente<br />

la riduzione del coefficiente di diffusione apparente in condizioni di ischemia è conseguente al<br />

passaggio di acqua dall’ambiente extracellulare a quello intracellulare dipendente dalla riduzione dell’attività<br />

della pompa Na/K, a sua volta causata dalla riduzione della disponibilità intracellulare di ATP.<br />

È importante osservare che, se quanto sopra esposto è corretto, la metodica permette di evidenziare<br />

solamente le aree cerebrali dove esiste una consistente alterazione dei processi metabolici cellulari,<br />

i cui neuroni andranno incontro ai fenomeni necrotici; non permette, tuttavia, di valutare l’estensione<br />

delle aree in penombra ischemica, dove esiste una riduzione regionale del flusso (evidenziabile<br />

attraverso lo studio della perfusione), ma non ancora una compromissione dei processi metabolici<br />

intracellulari.<br />

Perfusione<br />

Il flusso ematico cerebrale a livello capillare può essere quantificato valutando la riduzione dell’intensità<br />

di segnale del tessuto cerebrale sulle immagini pesate in T2 o in T2*, a seguito del primo passaggio<br />

nei capillari del mezzo di contrasto.<br />

Il gadolinio, infatti, causa una riduzione del T1 e del T2, con meccanismi diversi ed antagonisti:<br />

– la riduzione del T1 dipende dalla capacità delle molecole di gadolinio di facilitare il passaggio degli<br />

spin delle molecole di acqua circostanti dalla condizione di maggiore livello energetico (eccitazione)<br />

a quella di minore livello (rilassamento), ed è strettamente dipendente dall’interazione<br />

diretta del gadolinio con le molecole d’acqua;<br />

– la riduzione del T2 dipende dalla distribuzione non uniforme delle molecole di gadolinio che<br />

causa variazioni locali del campo magnetico.<br />

Quando la barriera emato-encefalica è integra, l’effetto del gadolinio sul T1 è minimo perché le<br />

molecole di gadolinio possono interagire esclusivamente con le molecole dell’acqua presente a livello<br />

intravasale, mentre l’effetto sul T2 è massimo perché la distribuzione del gadolinio è marcatamente<br />

disomogenea a causa della sua compartimentalizzazione nello spazio intravasale.<br />

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