La ballata degli antieroi di Daniele Spini - Teatro Alighieri
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da allora ugualmente simbolo <strong>di</strong> quella vicenda, fino al punto <strong>di</strong> interpretare anche la<br />
Moritat, come testimonia un’incisione <strong>di</strong>scografica memoranda.<br />
Si arrivò comunque alla prima, il 31 agosto 1928 al Theater am Schiffbauerdamm.<br />
Oltre a Harald Paulsen e Lotte Lenya (il cui nome però non figurava in locan<strong>di</strong>na) fra<br />
gli interpreti principali c’erano Roma Bahn (Polly), Erich Ponto (Peachum), Rosa Valetti<br />
(Signora Peachum), Kurt Gerron (Tiger Brown), Kate Kühn (Jenny). <strong>La</strong> regia era firmata<br />
da Erich Engel, che peraltro da ultimo si era ritirato, costringendo Brecht a terminare il<br />
suo lavoro, le scene da Caspar Neher, altro collaboratore <strong>di</strong> lungo corso <strong>di</strong> Bertolt Brecht.<br />
Theo Mackeben <strong>di</strong>rigeva la Ruth Lewis Band. Successo dapprima modesto, ma presto in<br />
crescita tumultuosa, arrivando a quattrocento repliche in due anni. Tradotta in <strong>di</strong>ciotto<br />
lingue, in poco tempo l’Opera da tre sol<strong>di</strong> ebbe centinaia <strong>di</strong> allestimenti, migliaia <strong>di</strong> repliche<br />
e moltissimi adattamenti, fra i quali merita <strong>di</strong> esser citata almeno la Kleine Dreigroschenmusik,<br />
la Piccola musica da tre sol<strong>di</strong>, una suite strumentale ricavata da Weill stesso<br />
e <strong>di</strong>retta nel 1929 da Otto Klemperer, che ne lasciò anche due incisioni in <strong>di</strong>sco a <strong>di</strong>r poco<br />
emozionanti. Una fortuna straripante, più forte persino della tempesta storica che pochi<br />
anni dopo travolse Brecht, Weill e il loro mondo. Prima che il nazismo prendesse il potere<br />
i due <strong>di</strong>oscuri produssero molti altri testi, teatrali o da concerto, fra i quali Happy end<br />
nel 1929 e nel 1930 la seconda e definitiva Mahagonny e Colui che <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> sì. Poi l’intesa<br />
cominciò a incrinarsi, anche perché Weill esitava a seguire Brecht su una strada sempre<br />
più decisamente politica (“Non me la sento <strong>di</strong> mettere in musica il Manifesto del Partito<br />
comunista”, confidò una volta a Lotte). Già costretti all’esilio, si ritrovarono nel 1933 a Parigi,<br />
per I sette peccati capitali, poi traversarono entrambi l’Atlantico per stabilirsi in America.<br />
Dopo la guerra Brecht tornò in Germania, e si stabilì a Berlino Est, dando vita con il<br />
Berliner Ensemble a una nuova epopea del teatro moderno, fino alla sua scomparsa nel<br />
1956. Così Elisabeth Hauptmann, che aveva sposato un altro compositore impegnato a<br />
sinistra, Paul Dessau. Anche gli altri protagonisti della prima del 1928 seguirono chi l’una<br />
chi l’altra delle <strong>di</strong>verse strade della <strong>di</strong>aspora intellettuale causata dalla Seconda guerra<br />
mon<strong>di</strong>ale: Kurt Gerron, il primo interprete <strong>di</strong> Tiger Brown e <strong>di</strong> Moritat morì nel <strong>La</strong>ger <strong>di</strong><br />
Theresienstadt. Rosa Valetti andò stabilirsi in Israele. Harald Paulsen, Roma Bahn, Erich<br />
Ponto e Theo Mackeben invece servirono il regime in film e spettacoli <strong>di</strong> propaganda,<br />
ma come molti altri sopravvissero alla sua caduta riciclandosi comodamente nella poco<br />
esigente rinascita della Germania federale. Kurt Weill rimase negli States, godendosi una<br />
fortunata seconda vita artistica a Broadway, fino a una morte davvero immatura, nel<br />
1950. Lotte Lenya rimase con lui, e ne tenne poi vivo il culto, sopravvivendo fino al 1981<br />
sempre nella luce riflessa <strong>di</strong> quel passato favoloso: anche se la notorietà più vasta le<br />
venne da tutt’altra parte, nel 1960, quando interpretò gran<strong>di</strong>osamente la terribile Rosa<br />
Klebb in uno dei gran<strong>di</strong> film <strong>di</strong> 007, Dalla Russia con amore.<br />
In Gran Bretagna il successo travolgente della Dreigroschenoper non fece impalli<strong>di</strong>re<br />
il ricordo della Beggar’s Opera, che continuò a conoscere rivisitazioni importanti, fra le<br />
quali quella che vide Benjamin Britten nel 1948 rinfrescare le antiche canzoni con una<br />
veste musicale assai preziosa. Ma per tutto il resto del mondo quella storia resta legata<br />
inscin<strong>di</strong>bilmente alla rilettura sarcastica <strong>di</strong> Bertolt Brecht ed Elisabeth Hauptmann. E<br />
forse ancor più ai songs dolceamari <strong>di</strong> Weill, nei quali risuona comunque, più o meno celata,<br />
una malinconia che li nobilita anche più dell’intento <strong>di</strong>dascalico e pre<strong>di</strong>catorio che li<br />
aveva motivati, e che li ha resi fra i monumenti musicali più popolari e amati del Novecento:<br />
a cominciare da quella Moritat che ci era finita dentro quasi per caso.<br />
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