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La ballata degli antieroi di Daniele Spini - Teatro Alighieri

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dolorosi e graffianti <strong>di</strong> tanti orrori liberati nella pittura “seria”, da cavalletto. Il cabaret, le<br />

danze <strong>di</strong> società, dal tango al fox-trot, la canzone vera e propria: tutto l’arsenale <strong>di</strong> detriti<br />

<strong>di</strong> vissuto sperimentato in Mahagonny – esteso anche a citazioni colte ironiche proprio<br />

perché decontestualizzate, compresa una reminiscenza dell’ouverture <strong>di</strong> Pepusch nel<br />

Corale mattutino <strong>di</strong> Peachum – torna ad ampliare il parlato in una <strong>di</strong>mensione ancor più<br />

paradossale, fino a conseguire una sua epicità, bislacca e ironizzante quanto si vuole ma<br />

tale da collocare anche musicalmente lo spettacolo in una sorta <strong>di</strong> luogo “terzo” rispetto<br />

a noi spettatori, da una parte, e ai personaggi dell’azione dall’altra. Alle spalle della Dreigroschenoper<br />

c’è, certo, anche l’operetta: ma per Weill davvero negli anni Venti non è più<br />

tempo <strong>di</strong> valzer, se non per farne balenare qualche fantasma più inquietante che non<br />

serenamente svagato all’uso viennese d’anteguerra, come nella Canzone <strong>di</strong> Salomone<br />

<strong>di</strong> Jenny. “Non preparate i fazzoletti”, sembrano <strong>di</strong>rci Brecht e Weill: “le lagrime che noi<br />

versiam son false”: l’esatto contrario della poetica naturalista.<br />

Ovviamente le voci non sono quelle dei <strong>di</strong>vi dell’opera, o dei tenori eroici <strong>di</strong> Wagner, ma<br />

quelle <strong>di</strong> cantanti-attori da cabaret. L’orchestra ideata da Weill non è da meno, e schiera<br />

nove esecutori per ventuno strumenti: sax contralto (anche flauto, clarinetto e sax baritono),<br />

sax tenore (anche soprano, fagotto e clarinetto basso), due trombe, trombone<br />

(anche contrabbasso), banjo (anche violoncello, chitarra, chitarra hawaiana, bandoneon<br />

e mandolino), timpano, percussioni, harmonium (anche celesta e pianoforte). Una <strong>di</strong>stribuzione<br />

che da sola in<strong>di</strong>ca <strong>di</strong>rezioni assai <strong>di</strong>verse da quelle abituali della musica seria:<br />

non solo e non tanto per la scelta <strong>degli</strong> strumenti, anche se il bandoneon appartiene<br />

alla cultura argentina del tango, non certo a quella del classicismo viennese, quanto per<br />

l’idea stessa <strong>di</strong> far suonare a uno stesso musicista contrabbasso e trombone, o violoncello<br />

e banjo, del tutto improponibile in un’orchestra sinfonica regolarmente costituita.<br />

Questo nelle intenzioni <strong>di</strong> Weill: poi la pratica spesso e volentieri mo<strong>di</strong>fica organico e<br />

<strong>di</strong>stribuzione, così come taglia o sposta o integra con altri <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa provenienza i ventiquattro<br />

pezzi che compongono la partitura, a volte assegnando una canzone a un personaggio<br />

<strong>di</strong>verso. Ma L’opera da tre sol<strong>di</strong> non è né vuol essere un nuovo Tristano e Isotta,<br />

intoccabile nella sua augusta sublimità, e come tutto ciò che ha a che fare anzitutto con<br />

il teatro e con la sua vita perennemente rinnovata e adeguata nasce e resta sostanzialmente<br />

un’opera aperta.<br />

Così è sempre successo, fin da prima che L’opera da tre sol<strong>di</strong> andasse in scena: poiché<br />

al culmine <strong>di</strong> un periodo <strong>di</strong> prove abbastanza tempestoso, e segnato da ritiri e rientri<br />

<strong>di</strong> più <strong>di</strong> un interprete (se ne andò sbattendo la porta anche Peter Lorre, che avrebbe<br />

dovuto impersonare Peachum, e che <strong>di</strong> lì a poco sarebbe <strong>di</strong>ventato celeberrimo come<br />

protagonista <strong>di</strong> M - Il mostro <strong>di</strong> Düsseldorf, primo film sonoro del grande Fritz <strong>La</strong>ng), Harald<br />

Paulsen, che sosteneva la parte <strong>di</strong> Macheath, giu<strong>di</strong>cando che il suo personaggio non<br />

fosse sufficientemente posto in risalto, chiese agli autori <strong>di</strong> sottolinearlo meglio. Nacque<br />

così, in fondo per caso, il pezzo in<strong>di</strong>menticabile destinato a rimanere il più popolare fra<br />

tutti quelli creati da Brecht e Weill e quasi il simbolo della loro collaborazione, la Moritat,<br />

la <strong>ballata</strong> funebre <strong>di</strong> Mackie Messer: intonata da un Cantastorie (in molti allestimenti<br />

però la canta Mackie) alla fiera <strong>di</strong> Soho, dove “i men<strong>di</strong>canti men<strong>di</strong>cano, i ladri rubano,<br />

le puttane puttaneggiano”, in un breve prologo al primo atto vero e proprio, subito dopo<br />

l’ouverture aguzza e paro<strong>di</strong>stica nelle sue allusioni alla musica colta. Così il personaggio<br />

<strong>di</strong> Jenny delle Spelonche trovò un rilievo particolare per dare spazio all’interprete, che<br />

era la moglie <strong>di</strong> Weill, ma che rimase famosa più <strong>di</strong> tutti gli altri, perché era Lotte Lenya,<br />

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