Testi 08 - La criminalità organizzata di stampo mafioso - Movimento ...

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29.05.2013 Views

280 LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI STAMPO MAFIOSO - EVOLUZIONE DEL FENOMENO E DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO 6. I PRINCIPALI PROBLEMI DI COSTITUZIONALITÀ La Corte Costituzionale - più volte adita in materia - non si è mai pronunciata sull’incostituzionalità del “carcere duro”ma si è limitata a porre dei limiti che lo rendessero conforme ai precetti costituzionali. Ciò che è stato contestato non è il principio in sé ma il metodo applicativo delle misure, quasi sempre in punto di motivazione. Nella sostanza la Suprema Corte: con la sentenza n. 349 del 1993 ha affermato che “I provvedimenti ministeriali devono comunque recare una puntuale motivazione per ciascuno dei detenuti cui sono rivolti” e che questi “Non possono disporre trattamenti contrari al senso di umanità”, con ciò cassando la procedura utilizzata nei primi due anni di vigenza della norma, consistente nell’adottare provvedimenti “multipli” e non “ad personam”, richiamando peraltro motivazioni generiche circa la pericolosità sociale dell’inciso. con la sentenza n. 376 del 1997, ha chiarito definitivamente che “i provvedimenti applicativi dell’articolo 41-bis comma 2 devono, in primo luogo, essere concretamente giustificati in relazione alle [...] esigenze di ordine e sicurezza” e “non già astrattamente sul titolo del reato oggetto della condanna o dell’imputazione” e che “ogni provvedimento deve essere adeguatamente motivato, anche ogni provvedimento di proroga delle misure dovrà recare una autonoma congrua motivazione in ordine alla permanenza attuale dei pericoli per l’ordine e la sicurezza che le misure medesime mirano a prevenire: non possono ammettersi semplici proroghe immotivate del regime differenziato, né motivazioni apparenti o stereotipe, inidonee a giustificare in termini di attualità le misure disposte”, con ciò confermando il pregresso orientamento anche con riferimento ai provvedimenti reiterativi. A fattor comune, la Corte ha infine più volte affermato che “è vietato adottare misure restrittive concretanti un trattamento contrario al senso di umanità, o tali da vanificare del tutto la finalità rieducativa della pena” (sentenze n. 351 del 1996; n. 349 del 1993) e recentemente ribadito che “l’applicazione del regime differenziato non comporta e non può comportare la soppressione o la sospensione delle

LA LEGISLAZIONE PREMIALE E LE SANZIONI PENITENZIARIE COME SCELTA DI POLITICA CRIMINALE attività di osservazione e di trattamento individualizzato né la preclusione alla partecipazione del detenuto ad attività culturali, ricreative, sportive e di altro genere” (sentenza n. 376 del 1997). 281

280<br />

LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI STAMPO MAFIOSO - EVOLUZIONE DEL FENOMENO<br />

E DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO<br />

6. I PRINCIPALI PROBLEMI DI COSTITUZIONALITÀ<br />

<strong>La</strong> Corte Costituzionale - più volte a<strong>di</strong>ta in materia - non si è mai<br />

pronunciata sull’incostituzionalità del “carcere duro”ma si è limitata a<br />

porre dei limiti che lo rendessero conforme ai precetti costituzionali.<br />

Ciò che è stato contestato non è il principio in sé ma il metodo<br />

applicativo delle misure, quasi sempre in punto <strong>di</strong> motivazione. Nella<br />

sostanza la Suprema Corte:<br />

con la sentenza n. 349 del 1993 ha affermato che “I<br />

provve<strong>di</strong>menti ministeriali devono comunque recare una<br />

puntuale motivazione per ciascuno dei detenuti cui sono<br />

rivolti” e che questi “Non possono <strong>di</strong>sporre trattamenti contrari<br />

al senso <strong>di</strong> umanità”, con ciò cassando la procedura utilizzata<br />

nei primi due anni <strong>di</strong> vigenza della norma, consistente<br />

nell’adottare provve<strong>di</strong>menti “multipli” e non “ad personam”,<br />

richiamando peraltro motivazioni generiche circa la<br />

pericolosità sociale dell’inciso.<br />

con la sentenza n. 376 del 1997, ha chiarito definitivamente che<br />

“i provve<strong>di</strong>menti applicativi dell’articolo 41-bis comma 2<br />

devono, in primo luogo, essere concretamente giustificati in<br />

relazione alle [...] esigenze <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne e sicurezza” e “non già<br />

astrattamente sul titolo del reato oggetto della condanna o<br />

dell’imputazione” e che “ogni provve<strong>di</strong>mento deve essere<br />

adeguatamente motivato, anche ogni provve<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> proroga<br />

delle misure dovrà recare una autonoma congrua motivazione<br />

in or<strong>di</strong>ne alla permanenza attuale dei pericoli per l’or<strong>di</strong>ne e la<br />

sicurezza che le misure medesime mirano a prevenire: non<br />

possono ammettersi semplici proroghe immotivate del regime<br />

<strong>di</strong>fferenziato, né motivazioni apparenti o stereotipe, inidonee a<br />

giustificare in termini <strong>di</strong> attualità le misure <strong>di</strong>sposte”, con ciò<br />

confermando il pregresso orientamento anche con riferimento<br />

ai provve<strong>di</strong>menti reiterativi.<br />

A fattor comune, la Corte ha infine più volte affermato che “è<br />

vietato adottare misure restrittive concretanti un trattamento contrario<br />

al senso <strong>di</strong> umanità, o tali da vanificare del tutto la finalità rieducativa<br />

della pena” (sentenze n. 351 del 1996; n. 349 del 1993) e<br />

recentemente riba<strong>di</strong>to che “l’applicazione del regime <strong>di</strong>fferenziato non<br />

comporta e non può comportare la soppressione o la sospensione delle

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