Testi 08 - La criminalità organizzata di stampo mafioso - Movimento ...
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278 LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI STAMPO MAFIOSO - EVOLUZIONE DEL FENOMENO E DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO possano far ritenere che il soggetto mantenga collegamenti con l’esterno aventi matrice criminale, terroristica o eversiva. La principale novità introdotta dal legislatore antimafia con la citata 279/02 è quella di una diversa cadenza temporale del provvedimento applicativo che dovrà avere valenza per un periodo non inferiore all’anno e non superiore ai due. Tale previsione ha, di fatto, reso stabile il regime dell’articolo 41-bis nell’ordinamento penitenziario superando, inoltre, il principio di eccezionalità che ne aveva favorito l’introduzione normativa. La compressione dei diritti - anche di quelli fondamentali di una persona - dei detenuti sottoposti al regime del 41bis è assolutamente evidente; in tal senso si è più volte espressa la Corte Costituzionale chiamata ad intervenire sul vecchio articolato immune da incostituzionalità esclusivamente a causa della sua eccezionalità. Il nuovo tessuto normativo, per così dire, rivisitato in una sorta di “lifting costituzionale” tiene quindi conto e trasferisce in legge i principi fissanti limiti di operatività e di applicabilità. La nuova stesura, sebbene ampiamente rivisitata rispetto alla precedente, nel senso sopra indicato, non consente tuttavia di fugare completamente i dubbi di compatibilità anche dell’attuale 41-bis con il quadro ordinamentale e costituzionale proprio per la sua istituzionalizzazione. Il tramutare sic et simpliciter un provvedimento nato e costruito per rispondere a esigenze di pura emergenza, appare tuttora porsi in evidente contrasto con almeno i seguenti tre distinti profili: obliterazione degli aspetti rieducativi della pena, costituenti principio costituzionale dell’articolo 27, comma 2, che recita “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”; istituzionalizzazione di un circuito penitenziario speciale attivato dalla autorità amministrativa, anziché da quella giudiziaria; distorsione dei principi dell’ordinamento penitenziario, utilizzato quale elemento di polizia preventiva e non più quale luogo di espiazione. Un acuto commento alla precarietà che la definitiva stabilizzazione dell’articolo 41-bis comporta appare sintetizzabile nelle parole del
LA LEGISLAZIONE PREMIALE E LE SANZIONI PENITENZIARIE COME SCELTA DI POLITICA CRIMINALE Senatore Jannuzzi 305 che afferma: “... Dopo dieci anni che le cose andavano avanti così, di proroga in proroga e di ricorsi scaduti prima che il giudice facesse in tempo ad esaminarli, i combattenti dell’antimafia a tempo pieno, hanno avuto un’idea geniale: se la smettessimo con le proroghe e rendessimo l’articolo 41-bis “definitivo”, stabile per sempre? Detto e fatto: un anno fa, il 23 dicembre 2002, il Parlamento, pressoché all’unanimità, ha varato la legge di “stabilizzazione” del carcere duro. Un’enormità. L’unica difesa possibile, anche se alquanto ipocrita, di una norma di legge che introduce di fatto l’esercizio della tortura nelle carceri italiane stava appunto nella sua proclamata provvisorietà: dura solo sei mesi, te la prorogo di sei mesi in sei mesi, ma passata l’emergenza te la toglierò. Non c’era alcuna ragione di fatto (erano cessate le stragi) e alcuna utilità pratica, tranne quella gara tra il centrodestra e il centrosinistra a chi faceva di più la faccia feroce e a chi dimostrava di essere più duro nella “guerra alla mafia”. Ma cosa è successo? Con le nuove garanzie che è stato necessario prevedere per rendere definitiva una norma così grave sono state aumentate le responsabilità dei giudici a cui spetta l’ultima parola; e senza la mannaia della proroga di sei mesi in sei mesi si sono allungati i tempi utili al mafioso per presentare e ai giudici del tribunale di sorveglianza per esaminarlo. I giudici finalmente lo hanno fatto, come la legge prescrive, e lo stanno facendo sempre più spesso e sempre più spesso accolgono i ricorsi. Per una ragione molto semplice: dove sono le prove dei contatti del detenuto con l’esterno al fine di continuare a delinquere? Se le prove dei contatti a fini criminosi con l’esterno ci fossero (questo è il cavallo di battaglia degli avvocati), il detenuto non sarebbe soltanto sottoposto ai rigori del carcere duro, ma sarebbe di nuovo indagato e processato e di nuovo condannato per crimini che in tal modo continua a commettere; se le prove non ci sono, i giudici non possono convalidare il decreto che il ministro emette meccanicamente solo sulla base dei rapporti di polizia”. 305 L. JANNUZZI, Senatore indipendente eletto con Forza Italia, 41 bis, la commedia degli equivoci, cit. editoriale Panorama, 15 gennaio 2004, pag. 71. 279
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E DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO<br />
possano far ritenere che il soggetto mantenga collegamenti con<br />
l’esterno aventi matrice criminale, terroristica o eversiva. <strong>La</strong><br />
principale novità introdotta dal legislatore antimafia con la citata<br />
279/02 è quella <strong>di</strong> una <strong>di</strong>versa cadenza temporale del provve<strong>di</strong>mento<br />
applicativo che dovrà avere valenza per un periodo non inferiore<br />
all’anno e non superiore ai due. Tale previsione ha, <strong>di</strong> fatto, reso<br />
stabile il regime dell’articolo 41-bis nell’or<strong>di</strong>namento penitenziario<br />
superando, inoltre, il principio <strong>di</strong> eccezionalità che ne aveva favorito<br />
l’introduzione normativa. <strong>La</strong> compressione dei <strong>di</strong>ritti - anche <strong>di</strong> quelli<br />
fondamentali <strong>di</strong> una persona - dei detenuti sottoposti al regime del 41bis<br />
è assolutamente evidente; in tal senso si è più volte espressa la<br />
Corte Costituzionale chiamata ad intervenire sul vecchio articolato<br />
immune da incostituzionalità esclusivamente a causa della sua<br />
eccezionalità. Il nuovo tessuto normativo, per così <strong>di</strong>re, rivisitato in<br />
una sorta <strong>di</strong> “lifting costituzionale” tiene quin<strong>di</strong> conto e trasferisce in<br />
legge i principi fissanti limiti <strong>di</strong> operatività e <strong>di</strong> applicabilità.<br />
<strong>La</strong> nuova stesura, sebbene ampiamente rivisitata rispetto alla<br />
precedente, nel senso sopra in<strong>di</strong>cato, non consente tuttavia <strong>di</strong> fugare<br />
completamente i dubbi <strong>di</strong> compatibilità anche dell’attuale 41-bis con il<br />
quadro or<strong>di</strong>namentale e costituzionale proprio per la sua<br />
istituzionalizzazione. Il tramutare sic et simpliciter un provve<strong>di</strong>mento<br />
nato e costruito per rispondere a esigenze <strong>di</strong> pura emergenza, appare<br />
tuttora porsi in evidente contrasto con almeno i seguenti tre <strong>di</strong>stinti<br />
profili:<br />
obliterazione degli aspetti rieducativi della pena, costituenti<br />
principio costituzionale dell’articolo 27, comma 2, che recita<br />
“le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso<br />
<strong>di</strong> umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”;<br />
istituzionalizzazione <strong>di</strong> un circuito penitenziario speciale<br />
attivato dalla autorità amministrativa, anziché da quella<br />
giu<strong>di</strong>ziaria;<br />
<strong>di</strong>storsione dei principi dell’or<strong>di</strong>namento penitenziario,<br />
utilizzato quale elemento <strong>di</strong> polizia preventiva e non più quale<br />
luogo <strong>di</strong> espiazione.<br />
Un acuto commento alla precarietà che la definitiva stabilizzazione<br />
dell’articolo 41-bis comporta appare sintetizzabile nelle parole del