Testi 08 - La criminalità organizzata di stampo mafioso - Movimento ...
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LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI STAMPO MAFIOSO - EVOLUZIONE DEL FENOMENO<br />
E DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO<br />
tra il detenuto e soggetti appartenenti alla <strong>criminalità</strong> <strong>organizzata</strong>. In<br />
questo quadro complessivo, la scelta <strong>di</strong> compressione temporanea<br />
adottata appare quin<strong>di</strong> conforme alla esigenza da contrastare una<br />
<strong>criminalità</strong> <strong>organizzata</strong> sempre più ramificata sul territorio e nel<br />
tessuto economico, privilegiando, con la leva dei benefici (concessi e<br />
non concessi) e con l’applicazione del carcere duro una finalità <strong>di</strong><br />
prevenzione generale. Proprio per il suo carattere emergenziale<br />
l’impianto normativo (articoli 4-bis e 41-bis dell’O.p.) avrebbe dovuto<br />
restare in vigore solo per tre anni, ma detto termine fu più volte<br />
prorogato fino alla stabilizzazione del provve<strong>di</strong>mento avvenuta per<br />
effetto della citata legge 23 <strong>di</strong>cembre 2002, n. 279. Dal punto <strong>di</strong> vista<br />
della costruzione normativa appare il caso <strong>di</strong> sottolineare che la<br />
limitazione <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà temporale delle misure restrittive (sei mesi<br />
rinnovabili) imposta ai singoli provve<strong>di</strong>menti applicativi aveva la<br />
finalità <strong>di</strong> evitare censure <strong>di</strong> incostituzionalità in punto <strong>di</strong><br />
compressione delle libertà fondamentali e che, per altro verso, la<br />
previsione della reiterabilità del provve<strong>di</strong>mento applicativo aveva la<br />
finalità <strong>di</strong> rendere surrettiziamente stabile l’istituto del carcere duro<br />
attraverso il seguente bizantinismo giuri<strong>di</strong>co: “...per ciascuno dei<br />
detenuti a cui veniva applicato, il decreto ministeriale non poteva<br />
superare la durata prevista <strong>di</strong> sei mesi e <strong>di</strong> sei mesi in sei mesi doveva<br />
ogni volta essere prorogato. Il detenuto aveva naturalmente il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />
ricorrere contro il decreto al giu<strong>di</strong>ce del tribunale <strong>di</strong> sorveglianza ma<br />
cosa succedeva? Non si faceva in tempo a presentare ricorso e il<br />
tribunale a prenderlo in esame e i sei mesi erano già passati e il<br />
decreto contro cui si era ricorso era già scaduto, così arrivava un<br />
nuovo decreto e si doveva ricorrere <strong>di</strong> nuovo e tutto ricominciava da<br />
capo come nel gioco dell’oca... 300 ”. Ovviamente questa regola valeva<br />
anche nel caso in cui il provve<strong>di</strong>mento impugnato fosse stato<br />
esaminato dal tribunale <strong>di</strong> sorveglianza e malauguratamente accolto: il<br />
successivo grado <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio sarebbe inevitabilmente caduto per<br />
effetto della intervenuta decadenza dell’atto impugnato.<br />
A tal proposito, per quanto <strong>di</strong> interesse, appare significativa la<br />
motivazione <strong>di</strong> una sentenza <strong>di</strong> rigetto emanata nel 1996 dalla<br />
Cassazione Penale “...Rileva preliminarmente la Corte che il decreto<br />
300 JANNUZZI L., Sen. in<strong>di</strong>pendente eletto con Forza Italia, 41 bis, la comme<strong>di</strong>a degli equivoci, e<strong>di</strong>toriale<br />
Panorama, 15 gennaio 2004, pag. 71.