Testi 08 - La criminalità organizzata di stampo mafioso - Movimento ...

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258 LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI STAMPO MAFIOSO - EVOLUZIONE DEL FENOMENO E DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO nella lotta contro il terrorismo, sia nel contrasto alla criminalità mafiosa ed in particolare a Cosa Nostra. In questo senso, per dare una prima concreta impressione dello sviluppo di specifiche sensibilità processuali che abbiano avuto riguardo ai fenomeni della collaborazione si possono richiamare le seguenti massime dei primi del ‘900 dalle quali si evince quantomeno - e già allora - la sussistenza del fenomeno e l’utilità che alla collaborazione veniva attribuita “… in materia di associazioni a delinquere le quali debbono necessariamente iniziarsi e svolgersi nel mistero, non è possibile altra dimostrazione se non quella che provenga da persone che già parteciparono alla mala vita e che quindi sono in grado di conoscerne tutti i segreti… 286 ” “…l’aver appartenuto alla setta non autorizza a ritenere mendaci le loro asserzioni quando queste si riscontrano avvalorate dai fatti e dalle indagini dei Reali Carabinieri… 287 ”, “…i difensori hanno dimenticato che si versa in tema di associazioni per delinquere… e di persone abbastanza pessime che agiscono in segreto, per cui la prova non può essere fornita da gentiluomini… ma da individui della stessa risma se non peggiori; da quelli, insomma, che solamente possono avvicinare e avere pratica con simili delinquenti… gli stessi loro compagni che poi, con tarda resipiscenza, li tradiscono e li accusano, come è avvenuto nel caso di specie… 288 ”. Dal punto di vista normativo la materia è stata regolata in maniera decisamente diversa a seconda che si trattasse di incardinare in norma gli aspetti di una disciplina premiale in favore dei pentiti o dissociati provenienti da organizzazioni terroristiche 289 , ovvero in favore di appartenenti ad associazioni mafiose. 286 Massima estratta dalla sentenza della Corte d’Appello delle Calabrie resa in data 2 agosto 1901, proc. pen. ARICÒ più 56, ora in Archivio di Stato di Catanzaro. 287 Massima estratta dalla sentenza della Corte d’Appello delle Calabrie resa in data 8 giugno agosto 1905, proc. pen. Martini più 46, ora in Archivio di Stato di Catanzaro. 288 Massima estratta dalla sentenza della Corte d’Appello delle Calabrie resa in data 23 aprile 1915, proc. pen. Mafrica più 50, ora in Archivio di Stato di Catanzaro. 289 M. MELLINI, Il giudice e il pentito. Dalla giustizia dell’emergenza all’emergenza della giustizia, Sugarco edizioni, Milano, 1986, pagg. 17, 18. “L’idea di fare ricorso a promesse di impunità per i terroristi disposti a rompere la solidarietà con i compagni e la fedeltà alla causa cui si erano votati, per collaborare all’opera di repressione, fu presentato in un primo tempo come una sorta di rimedio estremo, di tentativo concepito sulla base di intuizione degli “addetti ai lavori”. Un rimedio dettato dalla necessità di andare a tentoni, o cercare di sfruttare quanto la fantasia e la spregiudicatezza di un pugno di uomini, cui ci si era dovuti affidare in quella drammatica situazione, potesse offrire di nuovo, visto che i metodi “tradizionali”, per quanto collaudati e sperimentati, sembravano inefficienti

LA LEGISLAZIONE PREMIALE E LE SANZIONI PENITENZIARIE COME SCELTA DI POLITICA CRIMINALE Sullo specifico punto, pur senza scendere nel dettaglio delle singole motivazioni, c’è da mettere in evidenza come l’estensione di benefici processuali e carcerari a soggetti mafiosi sia stata inizialmente osteggiata dalla dottrina penale sulla base di diverse motivazioni che, in sintesi, si riportano: sostanziale ritrosia ad assimilare l’atteggiamento psicologico del “terrorista” a quello del “mafioso”, sulla base di una asserita quanto discutibile migliore affidabilità del primo rispetto al secondo 290 . Secondo taluna dottrina il fondamento idealistico proprio del terrorista lo avrebbe reso maggiormente attendibile nel momento della maturata convinzione dell’erroneità della strategia eversiva rispetto al mafioso, il cui pentimento non necessariamente si integra con la parallela dissociazione ideale dal modello culturale e criminale in cui il mafioso ha sviluppato la propria avversione verso lo Stato; e inadeguati. Certo è che, nella fase dell’introduzione delle prime norme sui pentiti, si parlò molto di “spiragli” da aprire nella conoscenza dell’ambiente terroristico, così come si diede per scontato che una norma del genere dovesse essere considerata una “novità” del tutto eccezionale, un tentativo che avrebbe potuto dare frutti da non buttare via, in una situazione in cui non ci si poteva permettere di andare troppo per il sottile, e tanto meno lasciare inutilizzati espedienti che, almeno, consentissero di rompere l’opprimente impressione dell’inerzia, della rassegnazione, della “resa”…Quando venne in discussione la vera e propria legge sui pentiti, a distanza di due anni dal decreto Cossiga, non più di spiragli da aprire nel buio mondo del terrorismo si parlò, ma di accelerazione del dissolvimento dell’intero movimento per la lotta armata, di mezzi per ripulire il paese dai rottami e dall’infezione residua, per fare piena luce e completare l’opera di giustizia. La nuova legge conteneva un termine ultimativo sia per la collaborazione da prestare, sia per la consumazione dei reati per i quali si potesse acquistare l’impunità, diversamente dal decreto Cossiga che nessun termine conteneva al riguardo. Fu tuttavia subito evidente che ormai ben altro ci si aspettava dai “pentiti”. Non più una collaborazione nella fase della ricerca delle “piste”, delle “prove” (“…aiuta concretamente le autorità…nella ricerca delle prove…” era scritto nel decreto Cossiga) ma addirittura l’assunzione di un ruolo processuale preciso di fonte di prova (“… fornisce prove rilevanti…” è scritto nella legge sui pentiti) per portare avanti processi e pervenire alle condanne…La provvisorietà e la straordinarietà del provvedimento erano inoltre contraddette dall’insistenza di varie parti politiche per estendere il “premio” ai pentiti della camorra e della mafia, misura che allora non fu adottata, non tanto per una precisa volontà di non valicare il limite previsto, quanto per l’inopportunità di trattare nella stessa sede questioni relative a “emergenze” diverse. Ma le emergenze, si sa, non mancano mai; e una volta accettato il principio, appariva chiaro, ormai, che la questione dei pentiti non sarebbe stata liquidata con lo spirare dei termini della legge 29.5. 1982, n. 304 e con l’esaurimento dei processi per i fatti da essa considerati”. 290 M. MELLINI, op. cit, pag. 79,80. “ …omertà e indisponibilità alla collaborazione sono ben più profondamente connaturate nel mafioso che nel terrorista, così come la “cultura” mafiosa è assai meno epidermica di quella di certi rivoluzionari e guerriglieri più o meno improvvisati… E, se è concepibile che un terrorista “salti il fosso”, passi dall’altra parte e con l’abiura diventi esso stesso uno zelante dell’ortodossia sociale e politica, il mafioso, il camorrista, potrà pur rompere la legge dell’omertà ed essere preso da parossismo della delazione, ma per lui non vi sarà mai la “conversione”, la scelta ideologica. 259

LA LEGISLAZIONE PREMIALE E LE SANZIONI PENITENZIARIE<br />

COME SCELTA DI POLITICA CRIMINALE<br />

Sullo specifico punto, pur senza scendere nel dettaglio delle<br />

singole motivazioni, c’è da mettere in evidenza come l’estensione <strong>di</strong><br />

benefici processuali e carcerari a soggetti mafiosi sia stata<br />

inizialmente osteggiata dalla dottrina penale sulla base <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse<br />

motivazioni che, in sintesi, si riportano:<br />

sostanziale ritrosia ad assimilare l’atteggiamento psicologico<br />

del “terrorista” a quello del “<strong>mafioso</strong>”, sulla base <strong>di</strong> una<br />

asserita quanto <strong>di</strong>scutibile migliore affidabilità del primo<br />

rispetto al secondo 290 . Secondo taluna dottrina il fondamento<br />

idealistico proprio del terrorista lo avrebbe reso maggiormente<br />

atten<strong>di</strong>bile nel momento della maturata convinzione<br />

dell’erroneità della strategia eversiva rispetto al <strong>mafioso</strong>, il cui<br />

pentimento non necessariamente si integra con la parallela<br />

<strong>di</strong>ssociazione ideale dal modello culturale e criminale in cui il<br />

<strong>mafioso</strong> ha sviluppato la propria avversione verso lo Stato;<br />

e inadeguati. Certo è che, nella fase dell’introduzione delle prime norme sui pentiti, si parlò molto <strong>di</strong><br />

“spiragli” da aprire nella conoscenza dell’ambiente terroristico, così come si <strong>di</strong>ede per scontato che<br />

una norma del genere dovesse essere considerata una “novità” del tutto eccezionale, un tentativo che<br />

avrebbe potuto dare frutti da non buttare via, in una situazione in cui non ci si poteva permettere <strong>di</strong><br />

andare troppo per il sottile, e tanto meno lasciare inutilizzati espe<strong>di</strong>enti che, almeno, consentissero <strong>di</strong><br />

rompere l’opprimente impressione dell’inerzia, della rassegnazione, della “resa”…Quando venne in<br />

<strong>di</strong>scussione la vera e propria legge sui pentiti, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> due anni dal decreto Cossiga, non più <strong>di</strong><br />

spiragli da aprire nel buio mondo del terrorismo si parlò, ma <strong>di</strong> accelerazione del <strong>di</strong>ssolvimento<br />

dell’intero movimento per la lotta armata, <strong>di</strong> mezzi per ripulire il paese dai rottami e dall’infezione<br />

residua, per fare piena luce e completare l’opera <strong>di</strong> giustizia.<br />

<strong>La</strong> nuova legge conteneva un termine ultimativo sia per la collaborazione da prestare, sia per la<br />

consumazione dei reati per i quali si potesse acquistare l’impunità, <strong>di</strong>versamente dal decreto Cossiga<br />

che nessun termine conteneva al riguardo. Fu tuttavia subito evidente che ormai ben altro ci si<br />

aspettava dai “pentiti”. Non più una collaborazione nella fase della ricerca delle “piste”, delle<br />

“prove” (“…aiuta concretamente le autorità…nella ricerca delle prove…” era scritto nel decreto<br />

Cossiga) ma ad<strong>di</strong>rittura l’assunzione <strong>di</strong> un ruolo processuale preciso <strong>di</strong> fonte <strong>di</strong> prova (“… fornisce<br />

prove rilevanti…” è scritto nella legge sui pentiti) per portare avanti processi e pervenire alle<br />

condanne…<strong>La</strong> provvisorietà e la straor<strong>di</strong>narietà del provve<strong>di</strong>mento erano inoltre contraddette<br />

dall’insistenza <strong>di</strong> varie parti politiche per estendere il “premio” ai pentiti della camorra e della mafia,<br />

misura che allora non fu adottata, non tanto per una precisa volontà <strong>di</strong> non valicare il limite previsto,<br />

quanto per l’inopportunità <strong>di</strong> trattare nella stessa sede questioni relative a “emergenze” <strong>di</strong>verse. Ma le<br />

emergenze, si sa, non mancano mai; e una volta accettato il principio, appariva chiaro, ormai, che la<br />

questione dei pentiti non sarebbe stata liquidata con lo spirare dei termini della legge 29.5. 1982, n.<br />

304 e con l’esaurimento dei processi per i fatti da essa considerati”.<br />

290 M. MELLINI, op. cit, pag. 79,80. “ …omertà e in<strong>di</strong>sponibilità alla collaborazione sono ben più<br />

profondamente connaturate nel <strong>mafioso</strong> che nel terrorista, così come la “cultura” mafiosa è assai<br />

meno epidermica <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> certi rivoluzionari e guerriglieri più o meno improvvisati… E, se è<br />

concepibile che un terrorista “salti il fosso”, passi dall’altra parte e con l’abiura <strong>di</strong>venti esso stesso<br />

uno zelante dell’ortodossia sociale e politica, il <strong>mafioso</strong>, il camorrista, potrà pur rompere la legge<br />

dell’omertà ed essere preso da parossismo della delazione, ma per lui non vi sarà mai la<br />

“conversione”, la scelta ideologica.<br />

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