Testi 08 - La criminalità organizzata di stampo mafioso - Movimento ...
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220 LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI STAMPO MAFIOSO - EVOLUZIONE DEL FENOMENO E DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO indeterminata, e che deve essere apprezzata per sua stessa natura “de relato”. In questa sede, allo scopo di evitare di affrontare il problema in chiave sociologica e di cadere in una spirale che porterebbe a semplici valutazioni soggettive, si è preferito analizzare il caso, peraltro più interessante ai fini dell’inquadramento della problematica, della responsabilità del professionista nell’esercizio dell’attività di assistenza legale in favore di soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso. La scelta di approfondire tale aspetto è poi determinata dalla ulteriore considerazione che le riflessioni che seguono, nell’ambito di una valutazione molto ampia del reato associativo (che può manifestarsi in ogni angolo del territorio essendo da ricollegare al metodo e non all’associazione che lo utilizza) risultano avere una maggiore valenza e possibilità di manifestazione rispetto ad altre possibili fattispecie, prima fra tutte quella correlata al così detto “voto di scambio”. E’ da premettere che il tentativo della fissazione di limiti negativi all’ampiezza della latitudine dell’esercizio del mandato difensivo non è materia sconosciuta al diritto penale. Ovviamente non si tratta di un tema risolto e, anche di recente, interventi dottrinari qualificati hanno sollevato non pochi dubbi sulla legittimazione della loro configurabilità. 246 Per questo non si sbaglia nell’affermare che la questione è ben lungi dall’essere conclusa, anche a causa delle seguenti considerazioni di carattere generale: il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, così come previsto dalla vigente codificazione, manifesta contenuti di rilevante ampiezza con riferimento al bene giuridico protetto, dal che ne consegue un’astratta applicabilità in molteplici casi; non esiste una codificazione del limite minimale posto dalla deontologia professionale alle attività del professionista in ordine al bilanciamento di interessi tra loro confliggenti: ovvero, da un lato, la tutela della libertà della difesa, e, dall’altro l’interesse pubblico alla repressione della insidiosa figura associativa. 246 A. PISA, in Dir.pen e proc. Avvocati e favoreggiamento personale, 1995, pag. 337.
IL PRECETTO PENALE QUALE STRUMENTO DELLA POLITICA CRIMINALE DI CONTRASTO 221 Sebbene la condotta difensiva vada in direzione della mera utilità degli associati e nei fatti possa essere finalizzata esclusivamente ad agevolare la stessa associazione, essa non può aprioristicamente essere considerata illecita. Diversamente argomentando, difatti, si amplierebbe fuori misura la portata della norma incriminatrice, andando ad incidere in via interpretativa su fondamentali garanzie costituzionali. Stabilita questa premessa di ordine metodologico, ed entrando nel tema prescelto, occorre senza dubbio porsi preliminarmente il seguente interrogativo: può mai essere incriminato un avvocato a titolo di “concorso esterno” per condotte realizzate nell’interesse di clienti appartenenti ad organizzazioni criminali? Per rispondere a tale domanda si ritiene utile richiamare il contenuto della sentenza 18 novembre 1996 del tribunale di Palermo 247 che, trattando di due casi differenti, ma riferiti a chiamate in correità per professionisti, sul punto, testualmente afferma: Parte prima: “Risponde di concorso esterno e non di partecipazione all’associazione mafiosa l’avvocato penalista a carico del quale sia stata raggiunta la prova di una sua imminente affiliazione rituale nelle file di “Cosa nostra” nonché della materiale realizzazione di comportamenti illeciti favorevoli all’organizzazione criminale e connessi all’attività professionale, quale, ad es., l’aver esercitato pressioni su un medico legale al fine di costringerlo a mutare le conclusioni di una perizia contraria agli interessi processuali di alcuni imputati appartenenti all’associazione mafiosa e da lui assistiti”; Parte seconda: “La condotta dell’avvocato penalista che, nell’interesse di alcuni imputati per associazione mafiosa, abbia esercitato il proprio mandato difensivo sfruttando tutti gli strumenti processuali consentiti dalla legge e non travalicando i limiti impostigli dalla deontologia professionale, non può mai configurarsi come contributo penalmente rilevante ai sensi degli art. 110 e 416-bis c.p., poiché trattasi comunque di attività rientrante nell’ambito del diritto alla difesa tutelato dall’art. 24, comma 2, Cost; a nulla rilevando, di conseguenza, le propalazioni di numerosi collaboratori di giustizia convergenti su una generica “vicinanza” del professionista ad alcuni esponenti dell’organizzazione criminale”. 247 Presidente RIZZO, est. PARDI; imp. Cardone e Clementi.
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IL PRECETTO PENALE QUALE STRUMENTO DELLA POLITICA CRIMINALE DI CONTRASTO 221<br />
Sebbene la condotta <strong>di</strong>fensiva vada in <strong>di</strong>rezione della mera utilità<br />
degli associati e nei fatti possa essere finalizzata esclusivamente ad<br />
agevolare la stessa associazione, essa non può aprioristicamente essere<br />
considerata illecita. Diversamente argomentando, <strong>di</strong>fatti, si<br />
amplierebbe fuori misura la portata della norma incriminatrice,<br />
andando ad incidere in via interpretativa su fondamentali garanzie<br />
costituzionali. Stabilita questa premessa <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne metodologico, ed<br />
entrando nel tema prescelto, occorre senza dubbio porsi<br />
preliminarmente il seguente interrogativo: può mai essere incriminato<br />
un avvocato a titolo <strong>di</strong> “concorso esterno” per condotte realizzate<br />
nell’interesse <strong>di</strong> clienti appartenenti ad organizzazioni criminali? Per<br />
rispondere a tale domanda si ritiene utile richiamare il contenuto della<br />
sentenza 18 novembre 1996 del tribunale <strong>di</strong> Palermo 247 che, trattando<br />
<strong>di</strong> due casi <strong>di</strong>fferenti, ma riferiti a chiamate in correità per<br />
professionisti, sul punto, testualmente afferma:<br />
Parte prima: “Risponde <strong>di</strong> concorso esterno e non <strong>di</strong><br />
partecipazione all’associazione mafiosa l’avvocato penalista a carico<br />
del quale sia stata raggiunta la prova <strong>di</strong> una sua imminente affiliazione<br />
rituale nelle file <strong>di</strong> “Cosa nostra” nonché della materiale realizzazione<br />
<strong>di</strong> comportamenti illeciti favorevoli all’organizzazione criminale e<br />
connessi all’attività professionale, quale, ad es., l’aver esercitato<br />
pressioni su un me<strong>di</strong>co legale al fine <strong>di</strong> costringerlo a mutare le<br />
conclusioni <strong>di</strong> una perizia contraria agli interessi processuali <strong>di</strong> alcuni<br />
imputati appartenenti all’associazione mafiosa e da lui assistiti”;<br />
Parte seconda: “<strong>La</strong> condotta dell’avvocato penalista che,<br />
nell’interesse <strong>di</strong> alcuni imputati per associazione mafiosa, abbia<br />
esercitato il proprio mandato <strong>di</strong>fensivo sfruttando tutti gli strumenti<br />
processuali consentiti dalla legge e non travalicando i limiti impostigli<br />
dalla deontologia professionale, non può mai configurarsi come<br />
contributo penalmente rilevante ai sensi degli art. 110 e 416-bis c.p.,<br />
poiché trattasi comunque <strong>di</strong> attività rientrante nell’ambito del <strong>di</strong>ritto<br />
alla <strong>di</strong>fesa tutelato dall’art. 24, comma 2, Cost; a nulla rilevando, <strong>di</strong><br />
conseguenza, le propalazioni <strong>di</strong> numerosi collaboratori <strong>di</strong> giustizia<br />
convergenti su una generica “vicinanza” del professionista ad alcuni<br />
esponenti dell’organizzazione criminale”.<br />
247 Presidente RIZZO, est. PARDI; imp. Cardone e Clementi.