Testi 08 - La criminalità organizzata di stampo mafioso - Movimento ...

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212 LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI STAMPO MAFIOSO - EVOLUZIONE DEL FENOMENO E DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO precede e contiene gli accordi concernenti la realizzazione dei singoli crimini e che permane dopo la realizzazione di ciascuno di essi 230 . Tale distinzione consente di chiarire immediatamente quale sia la differenza esistente tra la compartecipazione al reato (sia essa stabile o occasionale) e l’associazione a delinquere di stampo mafioso: un’associazione può ritenersi di tipo mafioso, distinguendosi dalla normale e tradizionale associazione a delinquere, quando sia connotata da quei particolari elementi indicati nell’articolo 416-bis, dei quali il principale ed imprescindibile è il metodo mafioso seguito per la realizzazione del programma criminoso 231 . Infatti la natura mafiosa di una associazione per delinquere non è determinata dagli scopi che essa si prefigge, bensì dal metodo impiegato, con il ricorso sistematico all’intimidazione e all’imposizione di un atteggiamento omertoso 232 . L’articolo 416-bis, delinea un reato associativo a condotta multipla e di natura mista, nel senso che, mentre per l’associazione semplice è sufficiente la creazione di una organizzazione stabile, sia pure rudimentale, per l’associazione mafiosa è altresì necessario che questa abbia conseguito nell’ambiente circostante una reale capacità di intimidazione e gli aderenti si siano avvalsi in modo effettivo di tale forza al fine di realizzare il loro programma criminoso 233 . I fatti oggetto delle norme che regolano le citate fattispecie sono quindi sostanzialmente diversi, ontologicamente distinti, funzionalmente autonomi, pur sussistendo la possibilità di conversione di una associazione per delinquere comune in associazione di tipo mafioso e la conseguente configurabilità di concorso formale di reati. Pertanto se la condotta realizzata prima dell’entrata in vigore della legge 13 settembre 1982, nr. 646 è riconducibile astrattamente, sussistendone tutti gli elementi costitutivi a tale ipotesi criminosa, essa è punibile soltanto ai sensi dell’art. 416 c.p., mentre la medesima condotta protrattasi successivamente è punibile ai sensi dell’articolo 416-bis c.p. 234 . 230 Vds. Cassazione Penale, Sezione. 6, 13 giugno 1997. 231 Vds Cassazione Penale, Sezione 1, 14 febbraio 1998. 232 Vds Cassazione Penale, Sezione 5, 19 dicembre 1996. 233 Vds Cassazione Penale, Sezione 6, 11 febbraio 1994. 234 Vds Cassazione Penale, Sezione 1, 4 luglio 1987.

IL PRECETTO PENALE QUALE STRUMENTO DELLA POLITICA CRIMINALE DI CONTRASTO 213 Da quanto esposto ne deriva che l’elemento qualificante di tale forma associativa sia l’operare secondo un metodo mafioso, idoneo a creare sudditanza interna ed esterna attraverso un processo intimidatorio. Il reato, pertanto, si caratterizza dal lato attivo per l’utilizzazione, da parte degli associati, ai fini del raggiungimento degli scopi del sodalizio, della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo in se stesso e dal lato passivo per la conseguente condizione di assoggettamento ed omertà dei singoli. L’avvalersi della capacità di intimidazione può esplicarsi sia sfruttando il clima intimidatorio già conseguito dal sodalizio sia ponendo in essere nuovi atti di violenza o minaccia i quali, peraltro, in tal caso, non devono realizzare l’effetto di per sé soli, ma in quanto espressione rafforzativa del potere del gruppo. Non è d’altro canto richiesto dalla norma che l’avvalersi della suddetta capacità si esplichi in una condotta distinta da quella diretta al conseguimento del fine sociale: anche una sola condotta può essere finalizzata ad entrambi i risultati quando considerata in rapporto alle sue specifiche modalità ed al tessuto sociale in cui si manifesta, essa esprime di per sé la forza intimidatrice del vincolo associativo 235 . Affermando siffatti principi la Cassazione ha ritenuto che correttamente i giudici di merito avessero ravvisato la sussistenza di una associazione di stampo mafioso in fattispecie nella quale i vari componenti del sodalizio avevano realizzato numerose estorsioni ai danni di diversi commercianti, avvalendosi come strumento di coercizione delle parti lese, al di là delle specifiche minacce poste in essere nei singoli episodi, di costanti richiami alla pericolosità ed al potere generalizzato sul territorio del gruppo di cui essi facevano parte, con conseguente convinzione delle vittime di essere esposte ad ineludibile pericolo, manifestata anche nel comportamento processuale delle stesse. Giova ricordare tuttavia che proprio l’eterogeneità degli scopi a cui può potenzialmente mirare una associazione mafiosa rendono la forza dell’intimidazione derivante dal vincolo associativo un elemento strumentale e non una modalità della condotta. Non necessariamente questa deve essere utilizzata dagli associati né estrinsecarsi di volta in volta in atti di violenza fisica e morale per 235 Vds Cassazione Penale, Sezione 6, 18 luglio 1995.

IL PRECETTO PENALE QUALE STRUMENTO DELLA POLITICA CRIMINALE DI CONTRASTO 213<br />

Da quanto esposto ne deriva che l’elemento qualificante <strong>di</strong> tale<br />

forma associativa sia l’operare secondo un metodo <strong>mafioso</strong>, idoneo a<br />

creare sud<strong>di</strong>tanza interna ed esterna attraverso un processo<br />

intimidatorio. Il reato, pertanto, si caratterizza dal lato attivo per<br />

l’utilizzazione, da parte degli associati, ai fini del raggiungimento<br />

degli scopi del sodalizio, della forza intimidatrice derivante dal<br />

vincolo associativo in se stesso e dal lato passivo per la conseguente<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> assoggettamento ed omertà dei singoli. L’avvalersi della<br />

capacità <strong>di</strong> intimidazione può esplicarsi sia sfruttando il clima<br />

intimidatorio già conseguito dal sodalizio sia ponendo in essere nuovi<br />

atti <strong>di</strong> violenza o minaccia i quali, peraltro, in tal caso, non devono<br />

realizzare l’effetto <strong>di</strong> per sé soli, ma in quanto espressione rafforzativa<br />

del potere del gruppo. Non è d’altro canto richiesto dalla norma che<br />

l’avvalersi della suddetta capacità si esplichi in una condotta <strong>di</strong>stinta<br />

da quella <strong>di</strong>retta al conseguimento del fine sociale: anche una sola<br />

condotta può essere finalizzata ad entrambi i risultati quando<br />

considerata in rapporto alle sue specifiche modalità ed al tessuto<br />

sociale in cui si manifesta, essa esprime <strong>di</strong> per sé la forza intimidatrice<br />

del vincolo associativo 235 . Affermando siffatti principi la Cassazione<br />

ha ritenuto che correttamente i giu<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> merito avessero ravvisato la<br />

sussistenza <strong>di</strong> una associazione <strong>di</strong> <strong>stampo</strong> <strong>mafioso</strong> in fattispecie nella<br />

quale i vari componenti del sodalizio avevano realizzato numerose<br />

estorsioni ai danni <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi commercianti, avvalendosi come<br />

strumento <strong>di</strong> coercizione delle parti lese, al <strong>di</strong> là delle specifiche<br />

minacce poste in essere nei singoli episo<strong>di</strong>, <strong>di</strong> costanti richiami alla<br />

pericolosità ed al potere generalizzato sul territorio del gruppo <strong>di</strong> cui<br />

essi facevano parte, con conseguente convinzione delle vittime <strong>di</strong><br />

essere esposte ad inelu<strong>di</strong>bile pericolo, manifestata anche nel<br />

comportamento processuale delle stesse. Giova ricordare tuttavia che<br />

proprio l’eterogeneità degli scopi a cui può potenzialmente mirare una<br />

associazione mafiosa rendono la forza dell’intimidazione derivante dal<br />

vincolo associativo un elemento strumentale e non una modalità della<br />

condotta.<br />

Non necessariamente questa deve essere utilizzata dagli associati<br />

né estrinsecarsi <strong>di</strong> volta in volta in atti <strong>di</strong> violenza fisica e morale per<br />

235 Vds Cassazione Penale, Sezione 6, 18 luglio 1995.

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