Testi 08 - La criminalità organizzata di stampo mafioso - Movimento ...
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142 LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI STAMPO MAFIOSO - EVOLUZIONE DEL FENOMENO E DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO numerosi, ma appare di interesse citare - tra gli altri - quelli del sociologo calabrese Arlacchi 183 . L’autore individua negli anni ‘70 lo spartiacque tra la mafia “tradizionale” e la mafia “imprenditrice”, definendola come quell’aggregazione che - da tale data - non è più una componente improduttiva e subalterna dell’economia, ma una forza della produzione e il trasferimento del metodo mafioso nell’organizzazione aziendale del lavoro e nella conduzione degli affari esterni all’impresa viene considerata una innovazione. La tesi sostenuta dall’Arlacchi, sebbene non priva di rigore scientifico, è stata criticata, in particolare da quanti non intravedono nell’impresa mafiosa alcuna capacità di innovazione nel mercato. Essa, in quanto impresa, ancorché illegale, al pari dell’imprenditoria sana può effettivamente produrre ricchezza, ma è escluso che da questa possa derivare sviluppo e, ancora meno, “cultura d’impresa”. Sostiene l’assunto il fatto che la sua affermazione non si realizza nel rispetto delle leggi tipiche del mercato, che sono appunto innovazione e concorrenza, ma il loro esatto contraltare. Tale tipologia di impresa, infatti, non favorisce lo sviluppo dell’economia legale (rectius sana) ma ne impedisce tanto la formazione quanto sviluppo e sopravvivenza, imponendo regole e modelli comportamentali incompatibili con il principio della remuneratività degli investimenti (ad esempio con vendite sotto costo) o falsando gli elementi della competizione riducendo a zero i costi finanziari potendo ricorrere a forme di liquidità illecita e praticamente illimitate. In tale contesto interpretativo emerge poi l’ulteriore considerazione che la mafia rappresenta uno degli ostacoli più importanti e trascurati dello sviluppo economico nazionale. 183 ARLACCHI, La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Il Mulino, Bologna, 1983, pag. 84 e anche dello stesso autore “I costi economici della grande criminalità”, in AA.VV, L’impresa mafiosa entra nel mercato, F. Angeli, Milano, 1985, pag. 29. Sul punto si veda anche U. SANTINO, Storia del Movimento Antimafia, Editori Riuniti, Roma, 2000, pag. 248, “Al centro dei dibattiti è la considerazione della mafia come impresa, tesi in cui convivono, spesso inconsciamente, due specificazioni: la mafia – impresa (cioè l’attività mafiosa di per sé si configura come una razionale combinazione di mezzi e fini per il perseguimento di scopi di arricchimento: impresa illecita) e l’impresa mafiosa (cioè le attività economiche lecite gestite direttamente o indirettamente da mafiosi, con l’impiego di capitali di provenienza illecita e con l’uso di mezzi illeciti, come la violenza e la minaccia, nella lotta concorrenziale). Si tratta, comunque, di teorizzazioni non supportate da una adeguata base di dati”.
CARATTERISTICHE ED EFFETTI DELL’ECONOMIA MAFIOSA 143 Pur potendo propendere per le tesi dinanzi appena esposte non si può sottacere che sul merito definitorio della “Crimine S.p.A.” si registrano differenti posizioni. Da un lato, vi è la tendenza ad escluderne la sussistenza, dall’altro, si propende per una visione più possibilista in virtù degli obiettivi di scopo da questa perseguiti. In tal senso si sostiene che il requisito economico della cosiddetta ricerca della piena ed efficiente allocazione delle risorse non sia diverso sia con riferimento all’impresa lecita, sia con riguardo a quella illecita. La tesi che propende per l’inesistenza dell’impresa mafiosa come soggetto economico rinvia, nella sostanza, al fatto che il suo “gestore” in nessun caso può essere assimilato all’imprenditore, non assommando in sé alcuno dei requisiti previsti dal vigente ordinamento relativamente a obblighi e diritti ricadenti esclusivamente sull’imprenditore legale 184 . Pertanto non può considerarsi come esistente ciò che non trova riconoscimento e tutela nelle norme di diritto positivo tanto per quel che riguarda l’imprenditore, quanto per la tutela dei terzi 185 . 184 In via generale anche la giurisprudenza tributaria appare orientata verso un riconoscimento generalizzato della figura dell’imprenditore. In una recente sentenza la Cassazione, Sez. I - Sentenza n. 4407 del 10 maggio 1996, ha sostenuto: “... Va considerato, infatti, che il requisito della professionalità che caratterizza la figura dell’imprenditore non può essere individuato commisurando l’abitualità dell’attività svolta a fini di lucro secondo parametri temporali prestabiliti. Se, infatti, non ricorre la figura dell’imprenditore nel caso di un soggetto che compia occasionalmente isolate operazioni speculative, essa non può essere invece negata quando l’unico affare compiuto appaia di notevole rilevanza economica e si articoli in una serie di operazioni di una certa complessità, come del resto ha avvertito la giurisprudenza più consapevole, la quale ha ribadito che la abitualità, sistematicità e continuità dell’attività economica, come indice della professionalità necessaria per l’acquisto della qualità di imprenditore, vanno intese in senso non assoluto, ma relativo, sicché non può escludersi la qualità di imprenditore nel soggetto che svolga un’attività che si protragga nel tempo per una durata apprezzabile, ancorché finalizzata al compimento di un’unica operazione speculativa (Cas 12/5/65,n. 907, 29/1/73, n. 267; 31/5/86, n. 3690)..”. 185 DI NUZZO – MORGANTE, La rilevanza fiscale dell’impresa illecita, in Finanza e Fisco, n. 10/98. “L’esigenza sistematica di dare rilievo all’illiceità riferita all’impresa, cioè di chiedersi quale sia il trattamento da riservarsi ad essa, è tutt’altro che evidente per chi osserva l’impresa subendo la suggestione di una assimilazione, seppur non consapevole, della stessa al negozio giuridico. È un dato da tutti acquisito che l’illiceità, intersecando il negozio giuridico, non possa non provocare una qualche modificazione del regime del negozio, in termini di contrasto dell’efficacia dello stesso. Ma quanto detto non è altrettanto immediato con riferimento all’impresa. Il negozio è quella figura concettuale escogitata nel secolo decimonono che compendia tutti i casi nei quali l’ordinamento giuridico dà una risposta positiva ad un assetto d’interessi voluto dai privati. In altri termini l’ordinamento mette a disposizione il proprio apparato, anche sanzionatorio, per realizzare un intento voluto dai privati. E, quindi, essendo il negozio il punto d’intersezione tra volontà dei privati ed ordinamento, quest’ultimo può supportare il contratto se ed in quanto le sue finalità non siano in contrasto con i precetti in esso contenuti. Quando invece ricorre l’illiceità, l’ordinamento non riconosce il negozio e, come diretta conseguenza, non mette il suo apparato sanzionatorio e
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E DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO<br />
numerosi, ma appare <strong>di</strong> interesse citare - tra gli altri - quelli del<br />
sociologo calabrese Arlacchi 183 . L’autore in<strong>di</strong>vidua negli anni ‘70 lo<br />
spartiacque tra la mafia “tra<strong>di</strong>zionale” e la mafia “impren<strong>di</strong>trice”,<br />
definendola come quell’aggregazione che - da tale data - non è più una<br />
componente improduttiva e subalterna dell’economia, ma una forza<br />
della produzione e il trasferimento del metodo <strong>mafioso</strong><br />
nell’organizzazione aziendale del lavoro e nella conduzione degli<br />
affari esterni all’impresa viene considerata una innovazione. <strong>La</strong> tesi<br />
sostenuta dall’Arlacchi, sebbene non priva <strong>di</strong> rigore scientifico, è stata<br />
criticata, in particolare da quanti non intravedono nell’impresa<br />
mafiosa alcuna capacità <strong>di</strong> innovazione nel mercato.<br />
Essa, in quanto impresa, ancorché illegale, al pari<br />
dell’impren<strong>di</strong>toria sana può effettivamente produrre ricchezza, ma è<br />
escluso che da questa possa derivare sviluppo e, ancora meno, “cultura<br />
d’impresa”.<br />
Sostiene l’assunto il fatto che la sua affermazione non si realizza<br />
nel rispetto delle leggi tipiche del mercato, che sono appunto<br />
innovazione e concorrenza, ma il loro esatto contraltare. Tale tipologia<br />
<strong>di</strong> impresa, infatti, non favorisce lo sviluppo dell’economia legale<br />
(rectius sana) ma ne impe<strong>di</strong>sce tanto la formazione quanto sviluppo e<br />
sopravvivenza, imponendo regole e modelli comportamentali<br />
incompatibili con il principio della remuneratività degli investimenti<br />
(ad esempio con ven<strong>di</strong>te sotto costo) o falsando gli elementi della<br />
competizione riducendo a zero i costi finanziari potendo ricorrere a<br />
forme <strong>di</strong> liqui<strong>di</strong>tà illecita e praticamente illimitate. In tale contesto<br />
interpretativo emerge poi l’ulteriore considerazione che la mafia<br />
rappresenta uno degli ostacoli più importanti e trascurati dello<br />
sviluppo economico nazionale.<br />
183 ARLACCHI, <strong>La</strong> mafia impren<strong>di</strong>trice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, Il Mulino, Bologna,<br />
1983, pag. 84 e anche dello stesso autore “I costi economici della grande <strong>criminalità</strong>”, in AA.VV,<br />
L’impresa mafiosa entra nel mercato, F. Angeli, Milano, 1985, pag. 29. Sul punto si veda anche U.<br />
SANTINO, Storia del <strong>Movimento</strong> Antimafia, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma, 2000, pag. 248, “Al centro dei<br />
<strong>di</strong>battiti è la considerazione della mafia come impresa, tesi in cui convivono, spesso inconsciamente,<br />
due specificazioni: la mafia – impresa (cioè l’attività mafiosa <strong>di</strong> per sé si configura come una<br />
razionale combinazione <strong>di</strong> mezzi e fini per il perseguimento <strong>di</strong> scopi <strong>di</strong> arricchimento: impresa<br />
illecita) e l’impresa mafiosa (cioè le attività economiche lecite gestite <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente<br />
da mafiosi, con l’impiego <strong>di</strong> capitali <strong>di</strong> provenienza illecita e con l’uso <strong>di</strong> mezzi illeciti, come la<br />
violenza e la minaccia, nella lotta concorrenziale). Si tratta, comunque, <strong>di</strong> teorizzazioni non<br />
supportate da una adeguata base <strong>di</strong> dati”.