Testi 08 - La criminalità organizzata di stampo mafioso - Movimento ...
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LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI STAMPO MAFIOSO - EVOLUZIONE DEL FENOMENO<br />
E DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO<br />
Epaminonda 167 , invece, prima <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare il primo pentito <strong>di</strong><br />
mafia del Nord, orientò la propria organizzazione in guisa <strong>di</strong> struttura<br />
mafiosa e questo principalmente nell’opera <strong>di</strong> epurazione dei<br />
fedelissimi del suo predecessore, tutti sistematicamente sterminati<br />
negli anni successivi nel corso <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> agguati <strong>di</strong> tipico <strong>stampo</strong><br />
<strong>mafioso</strong> e che costarono circa sessanta omici<strong>di</strong>, molti dei quali<br />
eseguiti in pieno giorno.<br />
Dal punto <strong>di</strong> vista dell’organizzazione degli affari il Tebano<br />
consentì, <strong>di</strong> fatto, l’espansione del mercato degli stupefacenti al Nord<br />
in rapporto organico con gruppi criminali mafiosi lì inse<strong>di</strong>atisi negli<br />
anni precedenti.<br />
Per il Dalla Chiesa “...la vicenda Epaminonda consentì anche <strong>di</strong><br />
mettere a fuoco un problema sociologicamente e storicamente<br />
rilevante: quello della trasferibilità e imitabilità del modello <strong>mafioso</strong>.<br />
In sostanza emerse che in città tra<strong>di</strong>zionalmente estranee alla<br />
presenza mafiosa si strutturassero organizzazioni guidate da persone<br />
non affiliate a Cosa Nostra, fino a <strong>di</strong>ventarne alleati o membri. Si<br />
l’ospitalità che aveva ricevuto in Sicilia. (...) “Faccia d’angelo” mostrava in ogni occasione una<br />
deferenza e un affetto fuori dal comune nei miei confronti. Era il tipico gangster: sbruffone,<br />
estroverso, generoso. Aveva le mani bucate. Regalava denaro, gioielli, automobili come se si trattasse<br />
<strong>di</strong> sigarette. Amava il lusso, la bella vita, le donne. Era un megalomane: l’esatto opposto del <strong>mafioso</strong>.<br />
(...) <strong>La</strong> sua ammirazione per me era sincera. Solo io, però, potevo aiutarlo a uscire dal gravissimo<br />
guaio nel quale si era cacciato. Anni prima aveva preso le parti <strong>di</strong> uno dei suoi uomini che aveva<br />
litigato con Alfredo Bono, un pezzo grosso <strong>di</strong> Cosa Nostra che operava a Milano. (...) Uno dei<br />
componenti della banda Turatello <strong>di</strong>ede uno schiaffo a Bono nel corso <strong>di</strong> un classico, sciocco alterco<br />
da night club. Il <strong>mafioso</strong> parlò poco, ma fece capire che considerava quella lite come un affronto<br />
grave a lui stesso e alla sua gente. <strong>La</strong> sfida fu raccolta da Turatello in persona, il quale mandò a <strong>di</strong>re<br />
ad Alfredo Bono che, se lui o i suoi avessero anche solo accennato a ven<strong>di</strong>care lo schiaffo ricevuto ci<br />
sarebbe stata una guerra tale da sterminare tutti i siciliani che si trovavano a Milano. I siciliani ne<br />
presero atto. Non replicarono. Rimasero in silenzio. (...) Turatello si rendeva conto <strong>di</strong> aver commesso<br />
un grave errore, ma solo fino a un certo punto. Se fosse stato al corrente dell’esistenza <strong>di</strong> Cosa<br />
Nostra, avrebbe tentato il tutto per tutto per farsi perdonare. (...) Il destino <strong>di</strong> Turatello si compì in un<br />
supercarcere della Sardegna, a Bad’ e’ Carros, vicino Nuoro, a più <strong>di</strong> cinque anni dal fatale incidente<br />
con Bono. <strong>La</strong> sua strada si incrociò con quella <strong>di</strong> un catanese pluriergastolano a causa <strong>di</strong> omici<strong>di</strong><br />
eseguiti in carcere, Antonino Faro, figlioccio <strong>di</strong> Luciano Liggio, come Alfredo Bono. (...) Quando<br />
Liggio seppe che Turatello si trovava nello stesso carcere del suo animale, <strong>di</strong>sse a Faro: “Vai ad<br />
ammazzare Turatello. E mentre lo spegni, domanda a quel gran cornuto se è ancora vero che nessun<br />
siciliano deve più circolare per Milano...”.<br />
da: PINO ARLACCHI, Op. cit., Ad<strong>di</strong>o Cosa Nostra. I segreti della mafia nella confessione <strong>di</strong> Tommaso<br />
Buscetta, pag. 211, 216.<br />
167 ALFIO CARUSO, Da Cosa Nasce Cosa, Op. cit., pag. 330. “... Ma sotto le guglie della Madonnina<br />
imperano i mafiosi <strong>di</strong> Palermo. Hanno fatto sventrare Turatello nel penitenziario <strong>di</strong> Bad’ e’ Carros e<br />
tengono sotto scacco Epaminonda, piccolo ras delle bische e delle scommesse negli ippodromi <strong>di</strong> San<br />
Siro. Con buona pace della geografia e <strong>di</strong> tutto il resto, Milano e Torino sono per una volta la<br />
periferia <strong>di</strong> Catania.