Testi 08 - La criminalità organizzata di stampo mafioso - Movimento ...

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110 LA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI STAMPO MAFIOSO - EVOLUZIONE DEL FENOMENO E DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO delle consorterie criminali tradizionali avvenuta con gradualità nel tempo e nello spazio; avente caratteristiche e forme di manifestazione tipiche dei sodalizi originari, ma caratterizzate da forme decisamente diverse di manifestazione tanto nell’ambiente del crimine quanto nell’impatto nel tessuto sociale, di cui in nessun momento hanno goduto del consenso. Le mafie si sono proiettate al Nord in maniera graduale e diseguale, a causa di specifiche circostanze che, laddove assenti, non hanno né favorito né consentito il proliferare criminale. Tre, sinteticamente, i motivi a base della relativa diffusione: in primo luogo, lo spostamento di singoli criminali o di interi gruppi verso le zone a maggiore concentrazione industriale del Nord Italia, nell’ambito di un più generale ed ampio fenomeno migratorio sull’asse Sud - Nord negli anni Cinquanta e Sessanta; secondariamente, la dissennata applicazione - negli anni Sessanta e Settanta - delle disposizioni sul soggiorno obbligato che, mirante a sradicare i mafiosi dalla loro terra di origine con la convinzione di renderli totalmente inefficaci ha, nella sostanza e di fatto, reso le mafie un fenomeno di esportazione verso aree non preparate a contrastarne il radicamento 165 ; 165 Tra i primi ad arrivare Giuseppe Doto, più conosciuto come Joe Adonis, cresciuto alla scuola di don Vito Genovese in America, durante il proibizionismo. Uscito di scena nel 1962 Lucky Luciano, Doto gli subentrò nella gestione degli affari delle cosche al Nord: bische, night club, estorsioni e anche traffico di stupefacenti e preziosi, stando ai rapporti della questura di Milano. Quando, nel 1971, il vecchio Doto fu inviato al confino, ormai era troppo tardi: proprio l’estensione, nel 1965, del provvedimento di confino anche ai mafiosi produsse, infatti, un massiccio “esodo” di uomini delle cosche nel Nord Italia e il conseguente rafforzamento delle stesse attività illecite. Nel 1970 Milano era ormai una base operativa dei siciliani, tanto che a giugno vi si tenne un’importante riunione con Gerlando Alberti, Giuseppe Calderone, Tommaso Buscetta, Gaetano Badalamenti, Totò Riina e Salvatore “Cicchiteddu” Greco, l’ex capo della commissione. Nel corso degli anni Settanta, arrivarono in Lombardia Gerlando Alberti, Gaetano Carollo, i fratelli Fidanzati e poi, tra i tanti, i Ciulla, i Guzzardi e i Bono. Arrivò anche Luciano Liggio che, nel 1972, diede il via all’intensa stagione dei sequestri di persona: tra le sue vittime più illustri gli imprenditori Pietro Torielli e Luigi Rossi di Montelera. Tradito da un’intercettazione telefonica, la “primula rossa” fu arrestata il 16 maggio 1974, in via Ripamonti. Quello che si aprì nel 1975 contro Liggio e trenta imputati fu un vero e proprio processo di mafia, come ricordato dalla Commissione parlamentare antimafia nella relazione del 1976. In essa si registrò con preoccupazione l’avanzata delle cosche al Nord, certamente favorita, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, dall’invio al confino di quasi 400 uomini che, oltre ai sequestri, si dedicarono alle rapine, al contrabbando di tabacchi, stupefacenti e pietre preziose e al fiorente mercato dell’edilizia, controllando il lavoro nero nei cantieri di Milano e dell’hinterland.

LA GEOGRAFIA MAFIOSA 111 e, infine, la ricerca di nuove opportunità di investimento per i capitali derivanti dal commercio di stupefacenti, produttivo di enormi liquidità non sempre investibili nelle aree depresse del Sud. Prima di tali evidenze nell’Italia settentrionale, tanto sul territorio quanto nel tessuto economico, non era dato registrare la stabile presenza delle organizzazioni mafiose. Parziale eccezione di quanto sopra era difatti rappresentata dalla sussistenza di attività malavitose quali la gestione di locali notturni o il gioco d’azzardo, notoriamente e congenitamente da sempre penetrate da interessi mafiosi. 4.2 IL CONSOLIDAMENTO TERRITORIALE Il momento di consolidamento delle mafie nelle aree del Nord appare retrodatabile ai primi anni Ottanta e, in particolare, all’anno 1983. Infatti, il 1983 è un anno significativo sia per l’emersione di risultanze inaspettate all’esito di indagini di polizia giudiziaria, sia per l’analisi delle dinamiche evolutive dei nuclei della nascente criminalità organizzata. In quello stesso anno - sotto il profilo soggettivo - si consacrò il ruolo del boss Angelo Epaminonda (detto il Tebano) in luogo del suo predecessore Francis Turatello (detto faccia d’Angelo) come capo incontrastato della malavita milanese. La sostanziale differenza tra le due “gestioni” appare rilevante sotto il profilo della comprensione generale del fenomeno in rassegna: da una organizzazione marcatamente criminale quale era quella della banda Turatello si passa, infatti, alla creazione di una struttura avente le caratteristiche della mafiosità e solidaristicamente vicina a quelle consorterie. L’inesistenza di relazioni tra la banda Turatello e la mafia è testimoniata dal collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, che ha condiviso con lo stesso un lungo periodo detentivo sia nel carcere di Palermo, sia in quello di Cuneo 166 . 166 Buscetta così si esprime: “...Era arrivato a Palermo dopo una rivolta avvenuta nel carcere di Milano e si era subito presentato per salutarmi. Turatello allora era il signore della malavita milanese, ma era consapevole di trovarsi fuori casa in Sicilia, di essere ospite di un regno straniero con il quale era consigliabile stabilire buone relazioni. (...) Quando i lavori per la costruzione del supercarcere di Cuneo furono terminati, Turatello ebbe l’onore di essere il primo detenuto a inaugurarlo. Fu trasferito da Palermo e per un certo tempo fu addirittura il solo carcerato detenuto nel nuovo penitenziario. Quando arrivai anch’io, Turatello si era già ambientato e poté contraccambiare in modo adeguato

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e, infine, la ricerca <strong>di</strong> nuove opportunità <strong>di</strong> investimento per i<br />

capitali derivanti dal commercio <strong>di</strong> stupefacenti, produttivo <strong>di</strong><br />

enormi liqui<strong>di</strong>tà non sempre investibili nelle aree depresse del<br />

Sud.<br />

Prima <strong>di</strong> tali evidenze nell’Italia settentrionale, tanto sul territorio<br />

quanto nel tessuto economico, non era dato registrare la stabile<br />

presenza delle organizzazioni mafiose. Parziale eccezione <strong>di</strong> quanto<br />

sopra era <strong>di</strong>fatti rappresentata dalla sussistenza <strong>di</strong> attività malavitose<br />

quali la gestione <strong>di</strong> locali notturni o il gioco d’azzardo, notoriamente e<br />

congenitamente da sempre penetrate da interessi mafiosi.<br />

4.2 IL CONSOLIDAMENTO TERRITORIALE<br />

Il momento <strong>di</strong> consolidamento delle mafie nelle aree del Nord<br />

appare retrodatabile ai primi anni Ottanta e, in particolare, all’anno<br />

1983. Infatti, il 1983 è un anno significativo sia per l’emersione <strong>di</strong><br />

risultanze inaspettate all’esito <strong>di</strong> indagini <strong>di</strong> polizia giu<strong>di</strong>ziaria, sia per<br />

l’analisi delle <strong>di</strong>namiche evolutive dei nuclei della nascente<br />

<strong>criminalità</strong> <strong>organizzata</strong>. In quello stesso anno - sotto il profilo<br />

soggettivo - si consacrò il ruolo del boss Angelo Epaminonda (detto il<br />

Tebano) in luogo del suo predecessore Francis Turatello (detto faccia<br />

d’Angelo) come capo incontrastato della malavita milanese. <strong>La</strong><br />

sostanziale <strong>di</strong>fferenza tra le due “gestioni” appare rilevante sotto il<br />

profilo della comprensione generale del fenomeno in rassegna: da una<br />

organizzazione marcatamente criminale quale era quella della banda<br />

Turatello si passa, infatti, alla creazione <strong>di</strong> una struttura avente le<br />

caratteristiche della mafiosità e solidaristicamente vicina a quelle<br />

consorterie. L’inesistenza <strong>di</strong> relazioni tra la banda Turatello e la mafia<br />

è testimoniata dal collaboratore <strong>di</strong> giustizia Tommaso Buscetta, che ha<br />

con<strong>di</strong>viso con lo stesso un lungo periodo detentivo sia nel carcere <strong>di</strong><br />

Palermo, sia in quello <strong>di</strong> Cuneo 166 .<br />

166 Buscetta così si esprime: “...Era arrivato a Palermo dopo una rivolta avvenuta nel carcere <strong>di</strong> Milano e<br />

si era subito presentato per salutarmi. Turatello allora era il signore della malavita milanese, ma era<br />

consapevole <strong>di</strong> trovarsi fuori casa in Sicilia, <strong>di</strong> essere ospite <strong>di</strong> un regno straniero con il quale era<br />

consigliabile stabilire buone relazioni. (...) Quando i lavori per la costruzione del supercarcere <strong>di</strong><br />

Cuneo furono terminati, Turatello ebbe l’onore <strong>di</strong> essere il primo detenuto a inaugurarlo. Fu trasferito<br />

da Palermo e per un certo tempo fu ad<strong>di</strong>rittura il solo carcerato detenuto nel nuovo penitenziario.<br />

Quando arrivai anch’io, Turatello si era già ambientato e poté contraccambiare in modo adeguato

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