contemporary art magazine issue # sixteen december ... - Karyn Olivier
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MOUSSE / THE CARNIVAL OF ART / PAG. 80<br />
Fin dal medioevo, le manifestazioni popolari assimilabili al<br />
carnevale hanno dato vita a un “secondo mondo” rispetto a<br />
quello ufficiale, incarnato dal potere ecclesiastico e secolare.<br />
Michael Bachtin ne ha analizzato estensivamente alcuni aspetti<br />
che possono essere applicati alle forme d’<strong>art</strong>e sperimentate a<br />
p<strong>art</strong>ire dal secondo dopoguerra: “non conosce distinzioni tra<br />
attori e spettatori” (l’happening, la performance, l’uscita dell’<strong>art</strong>e<br />
dai luoghi deputati); “è impossibile sfuggirvi, il carnevale non<br />
ha alcun confine spaziale” (gli esperimenti relazionali, da Hélio<br />
Oiticica e Lygia Clark ai giorni nostri, l’<strong>art</strong>e ambientale), “ha un<br />
carattere universale, è uno stato p<strong>art</strong>icolare del mondo intero” (la<br />
transregionalità, l’allargamento dei confini) (in L’Opera di Rabelais<br />
e la cultura popolare, Torino, Einaudi, 1979).<br />
Stiamo assistendo a un proliferare di esperienze <strong>art</strong>istiche<br />
individuali e collettive che si rifanno alle tradizioni carnevalesche,<br />
come l’annuale Art Parade organizzata da Deitch Project a p<strong>art</strong>ire<br />
dal 2005 o la più recente processione organizzata a Sonsbeek 2008,<br />
che ha visto gli abitanti della città di Arnhem sfilare per le strade<br />
con le opere della mostra. Al salutare coinvolgimento di pubblici<br />
trasversali, prodotto da queste e altre esperienze, fa da contraltare<br />
il rischio di una spettacolarizzazione autoreferenziale, che scarica<br />
tutto il potenziale di sovvertimento dell’ordine costituito, veicolato<br />
già secoli fa dal carnevale, e trasmesso ai giorni nostri forse più<br />
dalla politica agita dai movimenti che dall’<strong>art</strong>e istituzionalizzata.<br />
Esistono, tuttavia, percorsi in grado potenziare lo slittamento dello<br />
sguardo, le pratiche possibili di consapevolizzazione dal basso e di<br />
“agency” attraverso il forte potere metaforico, e non si tratta delle<br />
pratiche più platealmente schierate.<br />
Francis Alÿs ha organizzato a New York nel 2002, con il Public Art<br />
Fund e il MoMA, una processione, The Modern Procession, che ha<br />
visto centinaia di persone attraversare la città (da Manhattan al<br />
Queens, dove il museo si sarebbe temporaneamente trasferito),<br />
portando sulle spalle le riproduzioni dei capolavori del MoMA e<br />
l’icona vivente dell’<strong>art</strong>ista contemporanea, incarnata da Kiki Smith,<br />
come una madonna laica. Nel video Guards (Artangel, 2004-2005),<br />
Alÿs mette in scena una parata militare, in forma di concerto, che<br />
vede una Londra deserta percorsa da guardie della Regina, prima<br />
in formazione sparsa e progressivamente sempre più compatta.<br />
I movimenti delle guardie avrebbero dovuto essere registrati, in<br />
origine, dalle telecamere a circuito chiuso di cui è disseminata la<br />
città, per stigmatizzare il regime di controllo sempre più pervasivo<br />
a cui siamo sottoposti.<br />
Una manifestazione a prima vista di protesta sfila, invece, per le<br />
strade di Tirana. Al posto dei c<strong>art</strong>elli con gli slogan, i manifestanti<br />
portano dei manifesti specchianti che riflettono il paesaggio urbano<br />
in mutazione con il passare delle persone: è il video di Mircea<br />
Cantor, The Landscape is Changing (2003), che apre poeticamente<br />
uno squarcio sulle possibilità di azione e di immaginazione<br />
degli individui. Una vera parata-manifestazione è invece quella<br />
organizzata a San Sebastian per Manifesta 5 da Jeremy Deller<br />
(Social Parade, 2004) in cui gruppi e associazioni di minoranze<br />
solitamente invisibili, tra cui i pensionati, persone diversamente<br />
abili, rom, gay e lesbiche, emergono finalmente alla luce del sole<br />
come rappresentanti reali della città.<br />
La parata carnevalesca, come forma <strong>art</strong>istica collaborativa, è<br />
stata recentemente sperimentata dal musicista Arto Lindsey,<br />
che mutuando un motto di M<strong>art</strong>in Luther King, I Am a Man, ha<br />
organizzato insieme agli studenti della Städelschule di Francoforte<br />
un corteo diviso in “bloko” tematici (sezioni), coinvolgendo, tra<br />
gli altri, Nico Vascellari. Lo stesso Lindsay aveva p<strong>art</strong>ecipato al<br />
progetto di Matthew Barney realizzato durante il carnevale di<br />
Bahia e documentato in De Lama Lâmina (2004), un esperimento<br />
sincretico di commistione tra carnevale, rituali Condonblé,<br />
tematiche ambientaliste e performance, che ha “ufficializzato” la<br />
possibilità di sperimentare il carnevale stesso come forma d’<strong>art</strong>e,<br />
praticata peraltro estensivamente in molti carnevali diasporici,<br />
come ben documentato negli studi di Claire Tancons: “La sfida non<br />
è tanto definire ciò che può essere <strong>art</strong>igianato o <strong>art</strong>e da autodidatti<br />
in contrasto con le <strong>art</strong>i visive o performative contemporanee,<br />
quanto determinare gli spazi che restano di azione, in un periodo in<br />
cui l’<strong>art</strong>e contemporanea mainstream non ha più nessun interesse<br />
a mantenerli”( “The Greatest Free Show on E<strong>art</strong>h: Carnival from<br />
Trinidad to Brasil, Cape Town to New Orleans”, in PROSPECT.1,<br />
New Orleans, 2008). È proprio questo potenziale congiunto di<br />
pratica creativa e di affrancamento che Tancons individua nelle<br />
forme del carnevale caraibico, del sud America e del sud Africa<br />
e che l’ha spinta a formulare, per l’ultima edizione della Biennale<br />
di Gwangju, la processione come mostra in movimento, come<br />
esperimento curatoriale. Incarnando lo spirito della Biennale, nata<br />
per commemorare i sanguinosi movimenti di rivolta studentesca<br />
della primavera del 1980, “Spring” ripercorre i luoghi delle<br />
manifestazioni di protesta, riattivandoli con l’intervento di cinque<br />
<strong>art</strong>isti che hanno progettato, rispettivamente, cinque sezioni<br />
della mostra: Jarbas Lopes ha riproposto un’opera concepita<br />
per il carnevale carioca che vedeva trasportare una costruzione<br />
in polistirolo da p<strong>art</strong>e di uno stuolo di uomini e donne coperti di<br />
fango; <strong>Karyn</strong> <strong>Olivier</strong> ha costruito, insieme agli studenti, una serie<br />
di protesi da indossare che ne costringevano i movimenti; Marlon<br />
Griffith ha creato degli abiti contundenti, simbolo delle lotte<br />
contro la soppressione da p<strong>art</strong>e dell’Inghilterra del carnevale di<br />
Trinidad; Marjo Benjamin ha realizzato dei veicoli umani, illuminati<br />
dall’interno, e MAP Office hanno pensato a un corteo funebre con<br />
carri da riempire di desideri e bruciare con le offerte raccolte. La<br />
mostra è quindi un evento temporaneo ed effimero – testimoniato<br />
da un video realizzato da Caecilia Tripp – e “pagando un tributo<br />
all’ethos di resistenza del Carnevale riconosce anche il grado<br />
di convergenza e di collisione tra processioni carnevalesche e<br />
manifestazioni politiche, come espressioni di angoscia popolare<br />
contro i reali e percepiti abusi di potere”( Claire Tancons, “Spring”,<br />
cat. The 7th Gwangju Biennale, Annual Report, 2008 ).<br />
Come è risaputo, la tradizione del Carnevale è profondamente<br />
radicata anche in Europa e sono molti gli <strong>art</strong>isti che si rifanno<br />
ad essa, ai riti antichi di rovesciamento temporaneo dell’ordine<br />
costituito ancora vivi soprattutto nelle zone alpine, di confine,<br />
nei paesi isolati del nord e del sud. Ma è ancora ai Caraibi che<br />
guarda Lara Favaretto, con un work-in-progress iniziato nel 2001<br />
intitolato Treat or Trick che, fin dal titolo (dolcetto o scherzetto),<br />
sembra voler sintetizzare le tradizioni carnevalesche ‘globali’:<br />
da quella del carnevale di Santiago di Cuba, dove l’<strong>art</strong>ista ha<br />
girato insieme a Berardo Carboni un film con Sandra Milo (Buco<br />
nell’Acqua) e dove è si è generata l’idea del progetto; ai bambini<br />
mascherati di Halloween (il motto del titolo); alle parate di carri<br />
allegorici tipici dei carnevali del centro Italia (i carri usati per il<br />
loro trasporto). I testoni colorati di Treat or Trick sono appunto<br />
le caricature dei componenti della troupe cubana e sono il frutto<br />
di un lungo soggiorno di Lara Favaretto nel centro Italia, dove<br />
un gruppo composto da pensionati volontari del carnevale del<br />
paese, grazie a una complessa mediazione, ha realizzato il lavoro<br />
secondo tradizione. Un lavoro stratificato, che prevede diverse<br />
epifanie. Ogni volta che i testoni escono, per le parate (avvenute<br />
a Bergamo con la Gamec; a Trento, con il M<strong>art</strong>, a Bruxelles e al<br />
Musac di Leon), vengono caricati sui rimorchi, per poi essere<br />
indossati solitamente da gruppi già consolidati, come una squadra<br />
di calcio o una compagnia di teatro, sfilano lungo le strade e<br />
vengono incappucciati al loro ritorno nel museo: “perché il museo<br />
si trasforma nel loro magazzino e stanno senza una identità<br />
MAP Office (Gutierrez + Portefaix), The Final Battle, 2008, SPRING, 7th Gwangju Biennale - photo: Akiko Ota<br />
MOUSSE / THE CARNIVAL OF ART / PAG. 81<br />
The Carnival of Art<br />
_Anna Daneri<br />
Processioni, parate, manifestazioni: l’<strong>art</strong>e si misura sempre più con la vita, sperimentando<br />
nuovi formati che si rifanno alle tradizioni popolari del carnevale e alla storia dei movimenti<br />
politici di rivolta. Ne abbiamo registrato il potere di coinvolgimento e le potenzialità<br />
poetiche, p<strong>art</strong>endo dall’esperienza di “Spring”, curata da Claire Tancons per l’ultima<br />
Biennale di Gwangju, cercando corrispondenze tra ricerche apparentemente lontane…