contemporary art magazine issue # sixteen december ... - Karyn Olivier
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MOUSSE / AURÉLIEN FROMENT / PAG. 68<br />
Penser | Classer<br />
_Paola Nicolin<br />
Il lavoro di Aurélien Froment è un ipertesto, un puzzle di elementi – ora omologhi, ora<br />
compositi – elegantemente ordinati in una ragnatela di riferimenti. Avvincente territorio<br />
postmoderno quello dell’<strong>art</strong>ista francese – classe ’76 – in cui Paola Nicolin ha voluto<br />
avventurarsi, per scoprire, per esempio, i nessi fra un isolotto alla foce del fiume Hudson,<br />
l’architettura arcologica e una libreria di titoli concatenati. Ma anche per analizzare<br />
il modo peculiare con cui Froment indaga la relazione fra segno e oggetto, linguaggio<br />
e significato, nel complesso mondo dei media.<br />
Aurélien Froment, Instructions for a 35 mm Projector - courtesy: STORE, London<br />
Non so se Paolo Soleri ne fosse affetto, ma di certo ne era<br />
Georges Perec.<br />
L’ossessione di classificare, elencare, incastrare in combinazioni<br />
sempre nuove e diverse aveva fatto presa sulla sua mente e,<br />
di conseguenza, sulla sua scrittura. Dello scrittore francese,<br />
morto nel 1982 a Parigi, era caratteristica la tensione costante<br />
verso le enumerazioni, le parole crociate e giochi di logica, che<br />
produceva per i settimanali. Di certo, entrambi condividono quel<br />
talento per l’<strong>art</strong>e combinatoria che ha permesso all’architetto<br />
italiano di modulare, nel deserto dell’Arizona, Arcosanti (dal 1970<br />
a oggi), un’alternativa eco-sostenibile all’urban sprawl, e a Perec<br />
di creare B<strong>art</strong>lebooth, personaggio-metafora di La Vie mode<br />
d’emploi, romanzo senza avvenimenti, ma dove tutte le storie<br />
s’incastrano l’una nell’altra, quasi fossero cunicoli scavati nel<br />
passato dalle persone che hanno abitato nel palazzo parigino di<br />
Rue Simon-Crubellier, dal giorno della sua edificazione sino alle<br />
otto di sera del 23 giugno 1975.<br />
A questi due universi paralleli, s’ispira anche il lavoro di Aurélien<br />
Froment (Angers, Francia, 1976) dal titolo De l’Ile à hélice à Ellis<br />
Island ( 2005-2007), che altro non è se non una mensola appesa<br />
al muro che regge quarantaquattro libri, organizzati in modo tale<br />
che l’ultima parola del titolo di ciascuno sia la prima del titolo<br />
successivo.<br />
Froment lavora con la fotografia, il video, la performance, ma<br />
è soprattutto il carattere spaziale dell’uso del testo, sia esso<br />
filosofico, poetico, saggistico, fantascientifico, a caratterizzare il<br />
suo lavoro che chiede di essere letto, prima che esteticamente<br />
apprezzato.<br />
Nel caso di De l’Ile à hélice à Ellis Island, in p<strong>art</strong>icolare, l’opera<br />
gioca sul doppio piano della semplicità e della complessità, in<br />
quanto appare nella veste domestica e accessibile della mensola<br />
di libri per poi rivelarsi come dispositivo <strong>art</strong>icolato che organizza<br />
una stratificazione densa di materiale e riferimenti in un modo<br />
scorrevole.<br />
Non a caso si potrebbe dire che Froment organizza immagini<br />
come capitoli di un romanzo d’appendice.<br />
Il titolo di De l’Ile à hélice à Ellis Island rimanda a due altri<br />
titoli – di libri – seppure non fisicamente presenti nell’elenco.<br />
L’île à hélice (L’isola a elica), il nome della nave sulla quale<br />
Paolo Soleri è salpato alla volta degli Stati Uniti dopo la guerra,<br />
ma anche il titolo di un romanzo – meno noto – di Jules Verne.<br />
Ellis Island invece suona come il nome dell’isola nella baia di<br />
New York dove, sino al 1924, gli immigranti – e dunque anche<br />
Paolo Soleri – aspettavano di ottenere il visto per il nuovo<br />
mondo, ma è anche il titolo – seguito da “histoires d’errance et<br />
d’espoir” – di uno dei romanzi più felici di Perec, scritto dopo<br />
il successo di La Vie, pubblicato nel 1995, e dedicato a questa<br />
isola-soglia, dove erranza e speranza si confondono, cercando<br />
i contorni di un’identità il cui segno è la cancellazione. Dal libro<br />
nel 1977 nasce il documentario su quel che restava degli uffici<br />
di Ellis Island – abbandonati dal 1954 – realizzato da Robert<br />
Bober in collaborazione con Perec stesso. L’intrico di riferenti,<br />
nomi e situazioni piace tantissimo a Froment che con il testo, il<br />
libro, l’archivio e la libreria, ama molto costruire spazi mentali.<br />
Anche nel caso di De l’Ile à hélice à Ellis Island è la capacità di<br />
reinventare quest’<strong>art</strong>e combinatoria, che p<strong>art</strong>e dall’oggetto e<br />
arriva alla fotografia, al libro e al video a rendere interessante<br />
il suo lavoro. L’incastro si arricchisce poi grazie a quell’idea di<br />
illusione e realtà, di passato e presente, di presenza e assenza<br />
suggerita dal fatto che i libri da cui è originato il progetto sono<br />
assenti, che l’isola è il simbolo delle incertezze ed è diventato<br />
oggi un luogo di memoria e della persistenza di tracce, che tutta<br />
l’operazione passa dal piano della lettura al piano della messa in<br />
discussione dell’oggetto della nostra attenzione: è la libreria? È la<br />
storia dell’isola? È l’utopia di Arcosanti? È l’illusione di un’erranza<br />
che mette le radici?<br />
La manipolazione del testo, del linguaggio e del processo stesso<br />
della costruzione dell’immagine si fa più complessa quando la<br />
p<strong>art</strong>enza è un progetto editoriale, come nel caso di L’Archipel<br />
(2003-2007). Il lavoro era stato commissionato a Froment dal<br />
Centre National de la Photographie di Parigi. Insieme a Pierre<br />
Leguillon, responsabile dell’impaginazione grafica, l’<strong>art</strong>ista ha<br />
selezionato una serie d’immagini, organizzate attorno a tre<br />
isole tematiche. L’opera funziona come una sequenza di tre<br />
finestre, ognuna delle quali si apre su una raccolta di oggetti e<br />
immagini. Dalla selezione dei testi e delle immagini, Froment<br />
è passato alla costruzione di spazi, fino alla costituzione di un<br />
arcipelago di significati e riferimenti – da Yona Friedman a<br />
Werner Herzog e molto altro – spesso indecifrabili, ma compilato<br />
in maniera impeccabile. E infatti era Perec a scrivere: “Pensare/<br />
Classificare”.<br />
Il confronto si gioca sull’investigazione del ruolo delle immagini,<br />
del loro statuto, della veridicità o meno del loro contenuto<br />
e dell’infinita possibilità di combinarne sequenze, vettori<br />
di altrettanti infiniti significati. È il gioco delle c<strong>art</strong>e, ben<br />
formalizzato da Froment nella più recente Who Here Listens ( to)<br />
BBC News on Friday Nights? (2008).<br />
L’idea di ripresa del processo e del film come investigazione del<br />
quotidiano la fa da protagonista, invece, nel video L’Adaptation<br />
Manifeste (2008). Sorta di antologia cinematografica del<br />
“leggere” – e anche citazione più o meno esplicita di una serie di<br />
quadri di fanciulle riprese nella lettura (da Fragonard in poi) – il<br />
video è una sequenza di remake cinematografici, dove l’<strong>art</strong>ista<br />
chiede all’attrice Karine Lazard di recitare celebri scene di lettura<br />
interpretate da famose attrici in film autoriali. Sul monitor si<br />
passa dalla Julienne Moore di The Hours alla Lolita di Stanley<br />
Kubrick, passando per le scene di Fahrenheit 451.<br />
Théatre de poche (2007) è una boite en valise sulla<br />
manipolazione delle immagini. Nel video di dodici minuti, un<br />
uomo estrae delle immagini dalle tasche del suo vestito, di<br />
fronte, la platea degli spettatori. Tema la relazione tra monitor e<br />
MOUSSE / AURÉLIEN FROMENT / PAG. 69<br />
corpo, dispositivi e iTouch che hanno radicalmente trasformato<br />
comportamenti e gesti del quotidiano. Froment lega il passato<br />
al presente, perché l’uomo che manipola immagini, oggetti e<br />
<strong>art</strong>efatti è, in realtà, un mago, una figura centrale del mondo<br />
dello spettacolo, dell’illusione, della finzione che spinge sino<br />
ai massimi livelli di resistenza la capacità dubitativa dell’uomo<br />
moderno. Una coreografia, un puzzle, un formicaio fitto di cunicoli<br />
come La vie di Perec o le unità abitative di Arcosanti.<br />
Aurélien Froment’s work is a hypertext,<br />
a jigsaw puzzle of elements – sometimes<br />
uniform, sometimes composite – elegantly<br />
organized into a spiderweb of references.<br />
This French <strong>art</strong>ist, born in ’76, works in an<br />
intriguing postmodern territory that Paola<br />
Nicolin ventures into with the aim of discovering,<br />
for example, the links between an<br />
island at the mouth of the Hudson River,<br />
arcological architecture, and a bookshelf<br />
that creates a daisy chain of titles. But<br />
also to analyse the distinctive way in which<br />
Froment explores the relationship between<br />
sign and object, language and meaning, in<br />
the complex world of the media.<br />
I don’t know whether Paolo Soleri had it, but Georges Perec<br />
certainly did.<br />
The obsession with classifying things, listing them, fitting them<br />
into different new combinations overran his mind and as a result,<br />
his writing. This French writer, who died in Paris in 1982, had a<br />
constant mania for enumeration, like the crosswords and logic<br />
puzzles he created for weeklies. Both of them definitely share<br />
the combinatorial talent that allowed the Italian architect to<br />
develop Arcosanti (1970 to the present) in the Arizona desert, as<br />
an environmentally sustainable alternative to urban sprawl, and<br />
Perec to create B<strong>art</strong>lebooth, the metaphorical character of La Vie<br />
mode d’emploi. In this eventless novel, all the stories fit together<br />
like tunnels dug into the past of the inhabitants of a Parisian<br />
ap<strong>art</strong>ment building on Rue Simon-Crubellier, from the day it was<br />
built until eight o’clock in the evening on June 23, 1975.<br />
These two parallel universes are also the inspiration for a piece<br />
by Aurélien Froment (born in Angers, France in 1976) entitled De<br />
l’Ile à hélice à Ellis Island ( 2005-2007), which is simply a shelf<br />
on the wall holding 44 books, organized so that the last word in<br />
the title of each is the first word in the next.<br />
Froment works in photography, video, and performance <strong>art</strong>, but<br />
his work is characterized above all by the spatial use of text, be it<br />
philosophy, poetry, essay, or science fiction, requiring viewers to<br />
become readers.<br />
In the specific case of De l’Ile à hélice à Ellis Island, it works on<br />
a double level of simplicity and complexity, taking the familiar<br />
domestic guise of a bookshelf, but then revealing itself to be a<br />
convoluted device that organizes densely-layered materials and<br />
references in a fluid way.<br />
Not coincidentally, one could say that Froment organizes images<br />
as if they were chapters in a feuilleton.<br />
The title De l’Ile à hélice à Ellis Island refers to two other titles<br />
(of books) though they are not physically included in the list.<br />
L’île à hélice (Propeller Island) was the name of the ship that<br />
brought Paolo Soleri to the United States after the war, but also<br />
the title of a lesser-known novel by Jules Verne. Ellis Island is<br />
the name of the island in the New York bay where until 1924,<br />
immigrants (including Paolo Soleri) waited to get their visas<br />
to the new world, but is also the title – followed by “histoires<br />
d’errance et d’espoir” – of one of Perec’s happiest novels.<br />
Written after the success of La Vie and published in 1955, it is<br />
dedicated to this island threshold where wandering and hope<br />
are intermingled, trying to outline an identity whose hallmark is<br />
erasure. In 1977, the book became the basis for a documentary<br />
about what remained of the Ellis Island offices (abandoned in<br />
1954), made by Robert Bober in collaboration with Perec himself.<br />
Froment is very fond of jumbled-together references, names and<br />
situations, and loves to construct mental spaces out of texts,<br />
books, archives and shelves. In De l’Ile à hélice à Ellis Island as<br />
well, the ability to reinvent this combinatorial <strong>art</strong>, st<strong>art</strong>ing with<br />
objects and arriving at photography, books and videos, is what<br />
makes his work interesting. This interlocking of elements is also