contemporary art magazine issue # sixteen december ... - Karyn Olivier
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MOUSSE / FABIAN MARTI / PAG. 38<br />
I AM MANY<br />
_ Vincenzo de Bellis<br />
L’immaginario delle fotografie e delle<br />
sculture di Fabian M<strong>art</strong>i nasce da fonti<br />
diverse e riflette il suo interesse per una<br />
gamma molto ampia di soggetti. Dai simboli<br />
gotici e medievali ai romanzi pulp di<br />
fantascienza, M<strong>art</strong>i si appropria di immagini<br />
esistenti per ricombinarle, creando<br />
un universo eccentrico e personale, in cui<br />
temi classici come la vanitas s’intrecciano<br />
alla cultura e alla musica underground.<br />
Teschi, croci, rune, cristalli, ma anche vasi<br />
minoici e donne africane popolano un lavoro<br />
in cui il principio e la fine convergono<br />
nella personalità dell’<strong>art</strong>ista. Vincenzo de<br />
Bellis ha di recente intervistato il giovane<br />
“<strong>art</strong>isti” svizzero, trovandosi a conversare<br />
con più di una persona…<br />
Chi è Fabian M<strong>art</strong>i?<br />
Il mio principale mezzo di comunicazione. Questa stessa domanda<br />
rappresenta una p<strong>art</strong>e integrante del mio lavoro. A mio modo<br />
di vedere, nasciamo come secchi vuoti, che si riempiono di<br />
esperienze nel corso della vita. La domanda, allora, diventa: chi<br />
voglio essere? Io voglio costruire me stesso. Arte come modo di<br />
crearsi un’identità.<br />
Cosa significa concretamente?<br />
Che l’<strong>art</strong>ista deve inventare se stesso. Penso che si debba<br />
aspirare a vivere una vita biografica, cioè degna di essere scritta.<br />
Questa idea, che per me ha un’importanza fondamentale, viene<br />
da Nietzsche. Sono interessato alla questione di cosa significhi<br />
essere un <strong>art</strong>ista. L’<strong>art</strong>ista è una persona che decide di diventare<br />
un <strong>art</strong>ista. Il mio compito principale nella vita è pormi il problema<br />
di me stesso. Ogni mio lavoro diventa p<strong>art</strong>e della mia identità<br />
o delle mie identità. Cerco di immergermi totalmente nella mia<br />
pratica. È un po’ come un metodo di recitazione: divento il mio<br />
lavoro. Cerco di convincermi, almeno per un periodo limitato, che<br />
ciò che faccio sia importante.<br />
In questo modo la tua storia diventa, in senso stretto, la storia<br />
del tuo lavoro. Puoi raccontarmi come hai iniziato?<br />
Poco tempo fa ho letto un <strong>art</strong>icolo su Huysmans. A quanto pare,<br />
prima di scrivere il suo libro più memorabile, À rebours, lavorava<br />
alla maniera di Zola, tanto che aveva aderito al gruppo dei<br />
Naturalisti. Poi, a un tratto, decise di compiere una svolta verso una<br />
letteratura radicalmente estetica, il movimento decadentista: Des<br />
Esseintes, il protagonista del libro, vive segregato in un castello<br />
di campagna, un mondo ermetico in cui persegue le sue oziose<br />
ricerche. Una bella immagine dell’<strong>art</strong>ista attuale, che è libero di<br />
esplorare qualsiasi direzione gli venga in mente. In questa storia,<br />
vedo un parallelo con la mia vicenda biografica. Ho iniziato usando<br />
la macchina fotografica per documentare ciò che mi circondava, il<br />
mio ambiente, o milieu. Scattavo un sacco di foto dei miei amici.<br />
Poi ho deciso di cambiare. In fin dei conti, il mio ambiente non era<br />
troppo entusiasmante. Ho iniziato a spostarmi verso un mondo più<br />
<strong>art</strong>ificiale. Un mondo di cui sono l’unico responsabile.<br />
La fotografia è il tuo principale mezzo. Usi sia fotografie tue che<br />
immagini preesistenti. Cosa risveglia il tuo interesse nei due casi?<br />
Quando uso immagini trovate, le prendo da fonti diverse. Per<br />
le fotografie di un lavoro molto recente, ho usato le riviste<br />
degli anni ’50 e ’60, mentre per la mia serie “Kaleidoscope” ho<br />
raccolto copertine di libri pulp degli anni ’70 e ’80 e, in certi casi,<br />
ho trovato le immagini su Internet. La loro provenienza non conta.<br />
M’interessa che inneschino qualcosa, sul piano della forma o del<br />
contenuto. Cerco di trovare un significato simbolico nella loro<br />
stranezza, un senso che non si rivela subito.<br />
Come hai accennato, creo anche le immagini da solo, con la<br />
macchina fotografica o lo scanner. Come nel caso di quelle già<br />
Fabian M<strong>art</strong>i, Breeding Period, 2008 - courtesy: Galerie Peter Kilchmann, Zurich<br />
esistenti, cerco di “trovare” i miei scatti. Di solito ho un’idea<br />
piuttosto vaga dell’effetto che voglio ottenere, e lascio che la<br />
coincidenza giochi un ruolo nel processo. Cerco anche di seguire<br />
direzioni che mi sembrano bizzarre o ambigue, tento di non<br />
riprodurre quello che già so.<br />
Il tuo immaginario è zeppo di segni misteriosi ed esoterici. Penso,<br />
per esempio, a Komposition für einen Rhombus, in cui il profilo<br />
specchiato di una donna nuda si punta una spada al petto, oppure<br />
a The Rise, con l’impronta dorata di un pollice su un fondo nero...<br />
Credo che tutta la conoscenza dei secoli passati, l’intera<br />
cronologia, sia inscritta nell’umanità. Non tanto come conoscenza<br />
intellettuale, piuttosto a livello instintuale, sentimentale. Ho avuto<br />
questa intuizione durante un trip indotto da funghi psicoattivi.<br />
Per me è una prospettiva affascinante, apre una simultaneità<br />
che lascia spazio alla possibilità del viaggio mentale nel tempo.<br />
Per questo, nel mio lavoro, sfrutto molto gli archetipi. Forse con<br />
esoterismo intendi questo. L’idea è di avvincere lo spettatore<br />
utilizzando simboli antichi e universalmente noti. Tutto però si<br />
gioca su un livello puramente formale. In Komposition für einen<br />
Rhombus, il titolo dice tutto; anche se ti sembra di riconoscere<br />
un’iconografia cristiana, il fulcro è il rombo bianco formato dalle<br />
spade incrociate, una forma astratta di base. Adoro i paradossi,<br />
gioco con l’aspettativa che un simbolo debba veicolare qualcosa<br />
di ben definito, ma cerco di portarlo al punto in cui si rovescia nel<br />
suo contrario. Per esempio, in uno dei miei lavori più conosciuti,<br />
Brot & Tod, sono accostate due forme (un teschio e un toast), una<br />
semplice composizione che diventa complessa ed eccentrica.<br />
Nel 2007, hai presentato per la prima volta delle sculture. Come<br />
si legano alle fotografie nello spazio espositivo?<br />
Ho iniziato a scolpire l’argilla come modo di espandere la mia<br />
pratica. Volevo lavorare in un modo più diretto, sporcarmi le mani.<br />
Mi sembrava una cosa atavica, creare qualcosa dalla terra. Lo<br />
paragono al materiale che uso in fotografia: in qualche modo è<br />
sporco anche quello. Nella fotografia c’è un lato materiale che cerco<br />
di svelare servendomi del suo nemico numero uno: la polvere.Tento<br />
di accentuare questo aspetto materiale affiancando la fotografia<br />
alle ceramiche. Per esempio, nella mostra di un anno fa alla Galleria<br />
Fonti di Napoli, ho assemblato una passerella fatta di quindici lastre<br />
quadrate di argilla umida. Ci camminavo sopra, indossando i miei<br />
stivali di cuoio e un bastone da passeggio.Questa passerella iniziava<br />
dalla porta della galleria e percorreva l’intero spazio. Le impronte<br />
che lasciavo si sono seccate nel corso dell’esposizione. Alla fine<br />
della mostra, Fonti ha fatto cuocere le lastre.<br />
Spesso usi lo scanner invece della macchina fotografica,<br />
posizionando le immagini e gli oggetti in modo che si imprimano<br />
direttamente sul vetro. Inizi a scannerizzare con il coperchio<br />
sollevato, creando così uno sfondo scuro. Quando lo fai con le foto<br />
analogiche, il processo enfatizza la materialità della fotografia<br />
attraverso le macchie di polvere, mentre quando piazzi direttamente<br />
l’oggetto sulla superficie il risultato è che gli oggetti rappresentati<br />
sembrano tridimensionali. Qual è la ragione di tutto questo?<br />
Serve a dare all’oggetto una presenza iconica.<br />
Se penso a Kaleidoscope o ad Abstract Cross, solo per citarne<br />
un paio, mi viene da dire che, spesso, concepisci i tuoi lavori in<br />
termini di serie. Se è così, questo implica un gusto nell’archiviare<br />
i materiali e accostarli, facendo emergere un senso. Puoi dirmi da<br />
cosa nasce questo meccanismo di archiviazione e come si applica<br />
al tuo lavoro?<br />
Non penso che il mio lavoro abbia a che fare con l’archiviazione.<br />
Uso l’archivio della storia e della storia dell’<strong>art</strong>e come una sorta<br />
di memoria collettiva. Nel mio lavoro, puoi trovare immagini che<br />
funzionano come icone, e sono autosufficienti.<br />
Come il mio pezzo Hundhund, che significa “canecane”. Il titolo<br />
è tautologico quanto l’immagine; due negativi sovrapposti dello<br />
stesso cane. In altri casi, realizzo quelle che si potrebbero<br />
chiamare serie, e uso un certo tipo di immagine. A volte mi<br />
sembra che l’idea abbia bisogno della serialità per sviluppare il<br />
suo contenuto. Alcuni tipi di immagine devono essere svolte per<br />
mostrare il loro spettro completo.<br />
MOUSSE / FABIAN MARTI / PAG. 39<br />
Nella tua recente personale da Peter Kilchmann, hai presentato<br />
una serie di immagini che raffigurano vasi minoici, rilievi e<br />
sculture in bronzo di cavalli, o donne africane che danzano<br />
in stato di trance. Come nei lavori precedenti, hai distorto le<br />
immagini applicando del nastro adesivo...<br />
Non la definirei una distorsione, si tratta piuttosto di un livello<br />
astratto sovrapposto alle immagini trovate. Lo considero una<br />
virtuale moltiplicazione dei livelli di lettura, e le linee servono a<br />
unificare gli scatti. I due spazi della galleria funzionano come vasi<br />
comunicanti. In uno di essi, si trovano immagini che rimandano alla<br />
cultura occidentale. Nell’altro, si possono vedere cinque immagini<br />
in formato gigante di una donna africana in trance. Questo lavoro,<br />
intitolato Spiritual Me, rappresenta l’<strong>art</strong>ista che produce il suo<br />
lavoro in condizione di totale perdita di controllo.<br />
Certo, si tratta di una visione romantica, ma per me rappresenta<br />
un ideale. Le ballerine circondano una struttura in legno al centro<br />
della stanza, che riprende l’idea della linea perché collega diversi<br />
piedistalli sui quali poggiano sculture in ceramica. La struttura<br />
organizza lo spazio e può essere vista come una macchina della<br />
follia, che permette a di raggiungere uno stato di alterazione<br />
mentale.<br />
Chi è M<strong>art</strong>in Biafa?<br />
M<strong>art</strong>in Biafa è uno dei miei alter ego, un anagramma del mio<br />
nome. Ho iniziato la mia carriera decostruendo il mio nome. Si<br />
compone delle stesse lettere, ma indica e simboleggia un’altra<br />
identità. Come il titolo della mia mostra alla Galleria Fonti di<br />
Napoli, “Sono Legione”, io sono una legione, una moltitudine.<br />
Quindi, tra “Fabian M<strong>art</strong>i Vs. M<strong>art</strong>i Biafa”, con chi sto parlando<br />
adesso?<br />
Stai parlando con “Vs”.<br />
The imagery in Fabian M<strong>art</strong>i’s photographs<br />
and sculptures comes from different<br />
sources and reflects his fascination with a<br />
wide range of subjects. From medieval and<br />
Gothic symbols to pulp sci-fi novels, M<strong>art</strong>i<br />
appropriates existing images and mixes<br />
them up to create a strange and personal<br />
world composed of classical themes such<br />
as vanitas, and underground culture and<br />
music. Skulls, crosses, runes, crystals,<br />
but also Minoan vases and African women<br />
populate a body of work whose beginning<br />
and end coincide in the <strong>art</strong>ist’s persona.<br />
Vincenzo de Bellis recently interviewed<br />
the young Swiss “<strong>art</strong>ists”, realizing that<br />
he had to talk with more than one…”<br />
Who is Fabian M<strong>art</strong>i?<br />
My main medium. An integral p<strong>art</strong> of my work consists of exactly<br />
that question. I believe that in the beginning we are empty<br />
buckets, and throughout our lifetime this bucket gets filled with<br />
experience. So the question is who do I want to be? I want to<br />
make myself. Art as a way to create an identity.<br />
What does that mean, exactly?<br />
The <strong>art</strong>ist has to invent himself. I think that it is best to lead a<br />
biographical life, which means a life that is worth being written<br />
down. This idea, which I like very much, goes back to Nietzsche.<br />
I’m interested in the question of what it means to be an <strong>art</strong>ist.<br />
The <strong>art</strong>ist is someone that decides to become an <strong>art</strong>ist.<br />
All I do in my life is to be preoccupied with myself. Every work<br />
I create becomes p<strong>art</strong> of my identity or my identities. I try to<br />
immerse myself in my work. Maybe it is a bit like a Method<br />
Acting. I become my work. At least temporarily, I try to believe<br />
that what I make is important.