contemporary art magazine issue # sixteen december ... - Karyn Olivier
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MOUSSE / CURATOR’S CORNER / PAG. 34<br />
Could be asked, might choose<br />
to answer:<br />
twenty questions for<br />
Raimundas Malasˇauskas<br />
Curator’s Corner # 1: Raimundas Malasˇauskas<br />
La seguente intervista a Raimundas Malasˇauskas è stata fatta da Chris Fitzpatrick e<br />
Matthew Post a bordo di una mongolfiera in volo su Nizza. Nato a Vilnius, capitale della<br />
Lituania, in epoca sovietica, Raimundas ha curato diverse mostre ed eventi internazionali,<br />
è uno scrittore molto pubblicato e co-autore di un libretto d’opera. Nel 2007 e<br />
2008, ha insegnato al dip<strong>art</strong>imento di Pratica Curatoriale del California College of the<br />
Arts; oggi vive a Parigi, visitando di tanto in tanto www.rye.tw.<br />
Chris Fitzpatrick: È la prima volta che salgo su una mongolfiera;<br />
che mezzo allucinante! Stiamo sorvolando Nizza, ma è corretto<br />
dire che siamo a Nizza?<br />
Raimundas Malašauskas: No, non penso che l’aria app<strong>art</strong>enga a<br />
Nizza… dovrebbe essere di pertinenza della Francia, a quanto ne<br />
so. L’aria esula dalle municipalità, è nazionale.<br />
Matthew Post: È solo temporaneamente nazionale? Forse il<br />
flusso dell’aria ci dà un pretesto per riflettere sul reciproco<br />
scambio di sistemi e pressioni da una zona all’altra; come<br />
hanno fatto i tuoi progetti – realizzati in atmosfere diverse – a<br />
riconciliare la loro suddivisione con lo scambio di aria tra contesti<br />
e cornici differenti?<br />
RM: Fammi rispondere alla “giardiniere Chauncey”: c’è l’aria, c’è<br />
il vento, ci sono le tempeste, ci sono gli uragani e ci sono i tifoni.<br />
MP: Hai parlato di come il Centro di Arte Contemporanea di<br />
Vilnius fosse un “alieno” in Lituania. Com’era lavorare lì?<br />
Un progetto di / A project by Andrea Viliani<br />
RM: Chiaramente mi piaceva un sacco lavorare su un disco<br />
volante. Poi la navicella madre è venuta a liberarmi e mi ha<br />
riportato al mio pianeta, dove ci troviamo adesso.<br />
CF: Sembra che nell’arco della tua carriera tu abbia lavorato sia<br />
dentro che fuori delle istituzioni. Quali sfide deve affrontare un<br />
curatore, lavorando in modo così indipendente e nomade?<br />
RM: La sfida principale è schivare l’esaurimento, i problemi di<br />
memoria e le crisi isteriche.<br />
MP: Ti sposti prevalentemente tra Parigi, Vilnius e New York:<br />
lavorare al centro è diverso che farlo alla periferia?<br />
RM: Credo che il binomio centro/periferia non sia più valido.<br />
Ormai, tutto è periferia.<br />
MP: Come si sviluppa, nella pratica <strong>art</strong>istica e curatoriale, la<br />
produzione dello spazio tra realtà e illusione, finzione e verità?<br />
RM: Se devo parlare onestamente, penso che quello spazio sia un po’<br />
sovraffollato. Meglio allontanarsene, se non vuoi morire asfissiato.<br />
CF: Quindi è stato il tuo desiderio di fuga a suscitare il tuo<br />
interesse per la malleabilità del tempo?<br />
RM: Non voglio fuggire dallo spazio in generale (sarebbe<br />
impossibile), ma da quello spazio p<strong>art</strong>icolare tra finzione e realtà,<br />
dove sinceramente non potrebbe entrare più nemmeno uno<br />
spillo. L’intera terminologia finzione/realtà deve essere rivista,<br />
se si vuole ridarle un significato, perché a forza di abusarne si è<br />
desemantizzata.<br />
Photo: Eweliyi<br />
CF: I tuoi progetti non seguono la linearità temporale. Si svolgono<br />
nel passato o nel futuro, a volte entrambi simultaneamente.<br />
Per Documenta, hai commissionato progetti che avrebbero<br />
potuto realizzarsi in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo.<br />
Ultimamente, hai collaborato con Francesco Manacorda al<br />
progetto “1972: A Proposal for the 6th Berlin Biennial – Spring<br />
1972”, in cui il 1972 si fonde con il 2010. Puoi spiegare il tuo<br />
interesse per i viaggi nel tempo, le intersezioni temporali e la<br />
simultaneità?<br />
RM: Adoro Ray Bradbury.<br />
MP: Recentemente hai tenuto un seminario intitolato<br />
“Kaleidoscope Room” al California College of the Arts. In che<br />
modo i meccanismi e le storie del caleidoscopio influenzano<br />
o complicano il modo in cui percepiamo la visione? Come è<br />
possibile usare questo strumento per vedere e descrivere certe<br />
forme di pratica culturale?<br />
RM: Non mi ricordo di quel seminario. Ma probabilmente un<br />
caleidoscopio è utile per capire il modo in cui una mosca vede il<br />
mondo.<br />
CF: (risate) Eppure il seminario dimenticato è legato alla tua<br />
imminente “Paper Exhibition” all’Artists Space di New York. Si<br />
tratta di un processo di ricordo e ricostruzione? Ti va di parlarci<br />
di questa mostra?<br />
RM: No. È un segreto. Quando sarete pronti, lo capirete.<br />
CF: Tutti ti considerano un curatore, a p<strong>art</strong>e te. Hai sempre avuto<br />
una resistenza a definire la tua pratica. Vedi anche la distanza tra<br />
questo e quello, tra loro e gli altri, come uno spazio da scavalcare<br />
o navigare?<br />
RM: Io sono un’<strong>art</strong>ista.<br />
MP: Pensi che le mostre dovrebbero avere un senso? Le<br />
concezioni tradizionali della curatela implicano il chiarimento<br />
e la spiegazione delle informazioni, e soprattutto l’inserimento<br />
dei lavori in un contesto, affinché acquistino un significato più<br />
profondo, o diverso, da quello che avevano prima. Trovi che la<br />
tua pratica sia un capovolgimento di questo processo, e consista<br />
nell’offuscare e complicare le cose?<br />
RM: La differenza tra finzione e realtà è che la finzione deve avere<br />
per forza un senso. La realtà, da questo punto di vista, non ha<br />
obblighi. Io sono un’<strong>art</strong>ista.<br />
CF: Gli <strong>art</strong>isti hanno interesse in questo sp<strong>art</strong>iacque?<br />
RM: Sì, gli <strong>art</strong>isti non sono obbligati a fare qualcosa che abbia un<br />
senso, il tentativo di imporgliene uno dovrebbe essere punito.<br />
CF: La tua pratica <strong>art</strong>istica assume spesso la forma di quella che<br />
comunemente si definisce attività curatoriale. Poco tempo fa,<br />
per esempio, hai allestito una mostra a Roma, alla Galleria 1/9<br />
Unosunove Arte Contemporanea, intitolata “One of These Things Is<br />
Not Like The Other Things” (Una di queste cose non è come le altre)<br />
che si fondava sull’esclusione, invece che sull’inclusione, come in<br />
“Sesame Street”. Quali sono stati i risultati? Qualche spettatore è<br />
riuscito individuare quale fosse la “cosa” in questione?<br />
RM: Sì, è venuta un po’ di gente sveglia a vedere la mostra.<br />
MP: Molti dei tuoi progetti comportano il ribaltamento o la<br />
manomissione delle strutture e dei dogmi delle mostre. Per<br />
esempio, insieme ad Aaron Schuster, hai anche scritto un saggio<br />
curatoriale in forma di libretto d’opera per la mostra “Cellar<br />
Door” di Loris Greaud al Palais de Tokyo. Pensi che l’attività del<br />
curatore – che sempre più si definisce come disciplina autonoma<br />
con le sue proprie storie, teorie e cliché – sia arrivata ad avere<br />
bisogno di un capovolgimento?<br />
RM: Sì.<br />
CF: A questo punto la sua stessa esistenza dipende da tale<br />
capovolgimento?<br />
RM: Veramente ho detto sì perché non ho capito la domanda.<br />
CF: Questo sembra avere un rapporto anche con “Black Market<br />
Worlds, The IX Baltic Triennial” da te curata al Contemporary Art<br />
Centre di Vilnius insieme a Sophia Hernandez Chong Cuy e Alexis<br />
Vaillant. Come sei finito nel mondo delle ombre e come ne sei<br />
uscito? Cosa pensi che attragga gli <strong>art</strong>isti verso questi non-spazi?<br />
RM: Gli <strong>art</strong>isti, per natura, amano contemplare l’abisso.<br />
MP: Cosa cercano in quel vuoto?<br />
RM: Le loro chance di sopravvivere nel caso si tuffassero.<br />
MP: Abbiamo parlato di “An Evening With Joseph Cornell”, in cui<br />
la medium Valerie Winborne evoca lo spirito dell’<strong>art</strong>ista, e della<br />
relativa conferenza di Anne Walsh e Chris Kubick. Hai parlato<br />
molto di Telepathic Piece di Robert Barry e, di recente, hai curato<br />
la mostra “Hypnotic Show” alla Silverman Gallery, in cui gli<br />
spettatori, ipnotizzati, creavano un’opera d’<strong>art</strong>e nella loro mente.<br />
In che modo l’azione del medium complica i concetti d’autorialità<br />
e rappresentanza? Con chi stiamo parlando?<br />
RM: “Rosabelle, believe!” sono state le ultime parole di Houdini<br />
alla moglie prima di morire. Voleva credesse che lui avrebbe<br />
comunicato con lei dall’aldilà ma, a sentire Rosabelle, non lo fece<br />
mai. Forse lei non ascoltò con sufficiente attenzione, occupata<br />
com’era a dilapidare la sua eredità. Non posso dire di essere una<br />
persona credente, ma mi piace osservare coloro che credono.<br />
Anche l’autorialità è una questione di credo.<br />
CF: Durante il seminario “Kaleidoscope Room” ci hai anche<br />
mostrato per dodici volte Theatre de Poche di Aurélien Froment<br />
e hai affermato che quel film si ripeteva ogni volta in modo<br />
diverso, cosa che, naturalmente, non era vera, eppure, in un certo<br />
senso, lo era. Come si legano alla possibilità, la contraffazione, la<br />
congettura, l’incredulità e il dubbio?<br />
RM: Spero solo che non finiremo per trovarci in una<br />
sceneggiatura di Paul Auster.<br />
CF: Sei stato anche una star televisiva. Ma per fortuna non sei<br />
finito in carcere come Willis e Kimberly Drummond.<br />
MP: Una delle cose più interessanti di CACTV – la rete<br />
televisiva che hai prodotto per il CAC di Vilnius, e che trasmette<br />
regolarmente – era che ogni programma era un pilota e ogni<br />
episodio era l’ultima puntata. Puoi spiegarci perché?<br />
RM: Avete mai visto l’episodio pilota del telefilm M.A.S.H.?<br />
Vedendolo, potevi anche pensare che ne sarebbe venuto fuori<br />
qualcosa di buono e che Alan Alda fosse un Hawkeye credibile.<br />
Gli episodi pilota sono, per natura, una virtuale ultima puntata<br />
(perché molto spesso non incontrano i gusti del pubblico), eppure<br />
ti fanno sempre credere che l’episodio successivo sarà bello…<br />
Questa magia si dissolve con il secondo episodio.<br />
MP: In che modo il crollo del principio e della fine offre una forma<br />
alternativa di generazione dei contenuti?<br />
RM: Hai visto l’ultima apparizione di Sarah Palin su SNL quando<br />
passa di fianco a Tina Fey? A me è sembrata fantastica. Mi piaceva<br />
anche l’attore che impersonava Todd Palin in tenuta da bici da neve.<br />
CF: Tu hai fatto anche il modello. I dilettanti sono veri<br />
professionisti? Si possono ancora fare queste distinzioni?<br />
RM: Siamo dilettanti, ma siamo costretti a diventare<br />
professionisti. No, è una distinzione che non si può più fare.<br />
È solo questione di quanto tempo ti avanza per leggere.<br />
CF: Pensi che il mondo dell’<strong>art</strong>e sia troppo professionale e<br />
produttivo di questi tempi? La stessa terminologia sembra<br />
rifletterlo: “Produzione <strong>art</strong>istica”, “Produttore di cultura”,<br />
“Pratica”.<br />
RM: Sì, è una noia mortale. Sembra di leggere tra le righe:<br />
“non vogliamo <strong>art</strong>isti indolenti, pigri, cazzoni, sessualmente<br />
degenerati”. Questa efficienza è terrificante, anzi peggio: è<br />
noiosa.<br />
MP: A che altitudine siamo adesso, secondo te?<br />
RM: 500 metri, più o meno.<br />
CF: Forse vedremo Michel Fournier paracadutarsi dalla<br />
stratosfera! Non so perché la stampa abbia fatto tanto chiasso<br />
sul suo recente tentativo andato a vuoto, quando il pallone è<br />
volato via senza di lui. Quando si tratta di record mondiali, <strong>art</strong>e o<br />
qualsiasi altra cosa, cosa trovi più interessante – il potenziale, il<br />
fallimento o il successo?<br />
RM: Il potenziale.<br />
CF: Come si lega il tuo interesse nel potenziale al “capolavoro<br />
mancante”?<br />
RM: La tua domanda contiene già la risposta.<br />
MP: Ho sentito che una volta hai mandato un tuo surrogato in<br />
c<strong>art</strong>apesta perché p<strong>art</strong>ecipasse al tuo posto a una conferenza.<br />
C’entrava il potenziale della tua presenza oppure eri più presente<br />
nell’assenza?<br />
RM: Lo avevo visto in una puntata dei Simpsons. B<strong>art</strong> Simpson crea<br />
un clone in lattice di se stesso e lo fa sedere nel suo banco di scuola.<br />
MOUSSE / CURATOR’S CORNER / PAG. 35<br />
CF: Il gesto era legato anche allo spazio asfissiante, o solo alle<br />
conferenze?<br />
RM: Più che altro mi permetteva di trovarmi in posti diversi,<br />
contemporaneamente. Certe volte non riuscivi a distinguere tra<br />
me e il surrogato, soprattutto alle feste.<br />
CF: Sei Raimundas Malašauskas?<br />
RM: No, sono Dora García.<br />
Dora García (Valladolid, 1965) ha studiato <strong>art</strong>e all’università di<br />
Salamanca e alla Rijksakademie di Amsterdam. Vive e lavora a<br />
Bruxelles, e il suo principale settore d’interesse è la creazione<br />
di situazioni o contesti che contribuiscono ad alterare il rapporto<br />
tradizionale tra <strong>art</strong>ista, opera e spettatore. Di recente ha lavorato<br />
per la 16° Biennale di Sydney, la Tate Modern e l’Institute of<br />
Contemporary Arts di Londra.<br />
Chris Fitzpatrick and Matthew Post, two<br />
San Francisco curators, recently conducted<br />
the following interview in a hot air<br />
balloon over Nice, France with Raimundas<br />
Malašauskas. Born in Vilnius, Lithuania<br />
during Soviet Times, Raimundas has curated<br />
numerous exhibitions and events internationally,<br />
is a widely published author,<br />
and has co-written a libretto. In 2007 and<br />
2008, he taught at the California College<br />
of the Arts in the MA in Curatorial Practice<br />
dep<strong>art</strong>ment; he now lives in Paris, visiting<br />
www.rye.tw time after time.<br />
Chris Fitzpatrick: This is our first time in a hot air balloon; it is an<br />
incredible mode of transportation! We are above Nice, but are we<br />
still in Nice?<br />
Raimundas Malašauskas: No, I don’t think the air belongs to<br />
Nice… it must belong to France, I believe. It is above city<br />
politics, air is national.<br />
Matthew Post: Is air only temporarily national? Maybe airflow<br />
presents a way of thinking about the interchange of systems and<br />
pressures from one zone to another; how have your projects –<br />
which have taken place in different atmospheres – reconciled<br />
their sectioning and exchanging of air in different contexts and<br />
locations?<br />
RM: Let me answer in the “Chauncey The Gardener” way: you<br />
have air, you have wind, you have storms, you have hurricanes<br />
and you have typhoons.<br />
MP: You’ve talked about how Contemporary Art Center, Vilnius<br />
was an “alien” in Lithuania. What was it like working there?<br />
RM: like working in a flying saucer, of course. Later on the mother<br />
ship came to rescue me and take me back to my planet, where we<br />
are right now.<br />
CF: You seem to have worked in and outside of institutions<br />
throughout your career. What challenges do curators face when<br />
working independently and nomadically?<br />
RM: The major challenge is to overcome exhaustion, memory loss<br />
and rage fits.<br />
MP: Working mainly between Paris, Vilnius and New York, does<br />
the center differ from working on the periphery?<br />
RM: I don’t think the binomial center/periphery is valid anymore.<br />
Everything is periphery now.<br />
MP: How does the production of the space between reality and<br />
illusion, fiction and non-fiction, play out in <strong>art</strong>istic or curatorial<br />
practice?<br />
RM: Honestly, I think that space is overcrowded. One has to get<br />
away from it, or die asphyxiated.<br />
CF: So is your desire to escape from space what led to your<br />
interest in the malleability of time?<br />
RM: I don’t want to escape from space (I couldn’t), but from that<br />
p<strong>art</strong>icular space between fiction and reality where honestly there<br />
is no place left for a pin. The whole terminology fiction/reality