contemporary art magazine issue # sixteen december ... - Karyn Olivier
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MOUSSE / MATIAS FALDBAKKEN / PAG. 10<br />
A MILLION WAYS<br />
TO SAY NO<br />
_ Luigi Fassi<br />
Catapultato sulla ribalta europea nel 2001 con il controverso romanzo The Cocka Hola<br />
Company, prima tappa di una feroce trilogia sui vizi pubblici e privati della società<br />
scandinava intitolata “Scandinavian Misantrophy”, Matias Faldbakken si divide oggi tra<br />
la popolarità internazionale della sua scrittura e l’ermetismo delle sue produzioni <strong>art</strong>istiche.<br />
Erede innovativo dell’estremismo situazionista, l’<strong>art</strong>ista norvegese è interprete<br />
di un desiderio di ribellione, inteso come negazione totale e dissolutiva, declinato coniugando<br />
Pop culture e nichilismo, anarchia e rigore concettuale.<br />
Parlami della tua formazione e dei tuoi esordi. Ti sei affermato<br />
internazionalmente innanzitutto come scrittore e romanziere<br />
e, solo in seguito, come <strong>art</strong>ista visivo, sebbene le due attività<br />
sembrino essere tematicamente legate tra loro. È tutto accaduto<br />
per caso o semplicemente avevi iniziato a scrivere prima di<br />
metterti a fare <strong>art</strong>e?<br />
Ho avuto una formazione <strong>art</strong>istica (presso l’Accademia di<br />
Belle Arti di Bergen, in Norvegia, e presso la Städelschule di<br />
Francoforte) ma, dopo aver terminato gli studi, mi sono scoperto<br />
profondamente disilluso riguardo alla possibilità di lavorare<br />
come <strong>art</strong>ista. Molte della mie idee erano incentrate sull’uso<br />
del linguaggio, così ho deciso di mettere insieme le due cose,<br />
lavorando alla stesura narrativa di una storia e cercando poi i<br />
contatti con una casa editrice importante. Mi sentivo molto più<br />
libero combinando intuizioni <strong>art</strong>istiche e intrattenimento in un<br />
formato letterario. Inoltre pensavo che, rispetto ad altri ambiti,<br />
in letteratura la distribuzione fosse molto più ampia e il pubblico<br />
sicuramente più eterogeneo. Così, alla fine il mio libro è stato<br />
pubblicato e ho iniziato ad essere conosciuto come scrittore.<br />
Tra i tuoi libri e le tue opere visive c’è una notevole discrepanza.<br />
I lavori <strong>art</strong>istici sono spesso ermetici e richiedono, per essere<br />
compresi, una certa conoscenza del tuo modo di operare,<br />
mentre i tuoi romanzi esprimono in modo diretto, e facilmente<br />
accessibile, il loro messaggio di critica verso i meccanismi della<br />
società contemporanea. Ti poni obiettivi diversi quando scrivi e<br />
fai <strong>art</strong>e, o ritieni che siano solo due diverse <strong>art</strong>icolazioni di una<br />
medesima intenzione?<br />
Tanto il mio lavoro <strong>art</strong>istico quanto la mia scrittura sono incentrati<br />
su temi di negazione e rifiuto, odio e misantropia. I libri che<br />
scrivo sono intenzionalmente semplici e divertenti da leggere,<br />
mentre la mia <strong>art</strong>e è, come tu dici, molto più ermetica e chiusa.<br />
Credo che una delle qualità dell’<strong>art</strong>e sia di essere un fatto<br />
sociale, ma allo stesso tempo sostanzialmente inaccessibile<br />
per un pubblico generalista. Ma sono molto interessato ai<br />
meccanismi dell’intrattenimento e alla sua capacità di entrare<br />
nell’immaginario del pubblico su larga scala. Così, uso i miei<br />
libri per “popolarizzare” alcune delle idee che ho e vedere i<br />
risultati a contatto con un’audience allargata, mentre uso l’<strong>art</strong>e<br />
come uno strumento per portare avanti delle forme di negazione<br />
silenziose, senza alcuna intenzione di convincere, impressionare<br />
o comunicare con un pubblico.<br />
In seguito alle numerose traduzioni dei tuoi libri negli ultimi anni,<br />
immagino tu abbia avuto molti riscontri e risposte, non solo dalla<br />
critica, ma anche da normali lettori, provenienti da diverse fasce<br />
di età e formazione culturale. Mi chiedo se qualcosa di simile<br />
ti sia successo nel mondo dell’<strong>art</strong>e e da quale dei due ambiti<br />
(letteratura-<strong>art</strong>e) tu ti sia sentito, sinora, più stimolato e ispirato.<br />
Quando ho dei feedback per quanto riguarda la mia <strong>art</strong>e si tratta<br />
sempre di <strong>art</strong>isti, professionisti del settore o istituzioni (gli stessi<br />
che ti invitano alle mostre, ecc.). Per la letteratura invece le cose<br />
sono diverse, ho dei riscontri molto più estesi e differenziati.<br />
Ad esempio, mi piace molto leggere le email che mi mandano<br />
giovani lettori e sapere cosa si scriva su di me nei blog, in rete.<br />
C’è anche un certo interesse accademico verso i miei libri, sono<br />
stati oggetto di diversi saggi e dottorati di ricerca. Ma, come<br />
dicevo, non faccio <strong>art</strong>e con le stesse, esatte intenzioni che ho<br />
quando scrivo, per quanto gli stessi temi percorrano entrambe le<br />
attività. Ci sono molti vantaggi a lavorare nello spazio più ritirato<br />
e di nicchia dell’<strong>art</strong>e visiva e, invece, molti svantaggi nell’avere le<br />
tue idee e le tue intenzioni tradotte e diffuse dappertutto con la<br />
scrittura. Così mi bilancio tenendo un piede in entrambi i settori.<br />
È molto interessante questo tuo modo di dividerti fra due<br />
diversi tipi di pubblico, con livelli d’aspettativa assai differenti.<br />
Personalmente, ritengo ci sia attualmente un gap piuttosto chiaro<br />
tra <strong>art</strong>isti impegnati a elaborare con efficacia processi di reale<br />
peso critico e <strong>art</strong>isti che cercano invece di opporsi alle regole<br />
e ai meccanismi dominanti in modi molto riduttivi e prevedibili,<br />
che altro non si rivelano se non una conferma di quegli stessi<br />
meccanismi. Quanto ti senti coinvolto in questo problema? Mi<br />
sembra che, per te, come già accennavi prima, lavorare come<br />
scrittore “popolare” ti aiuti a tenere il tuo percorso critico<br />
ancorato su un terreno più autentico e reale.<br />
La provocazione di tipo <strong>art</strong>istico o attivistico era un aspetto<br />
che mi ha interessato durante la stesura dei miei primi due<br />
romanzi. Vi si parla di provocazione come di uno strumento e,<br />
allo stesso tempo, le storie sono ironicamente provocative, sia<br />
rispetto ai temi toccati sia riguardo la loro trattazione, mettendo<br />
direttamente alla prova ciò di cui parlano. La dialettica tra il<br />
portare a galla verità, come esito di una pratica critica, e i<br />
mezzi adoperati per disseminare tali verità, è sempre molto<br />
interessante. C’è una discrepanza netta tra l’<strong>art</strong>ista accademico/<br />
nevrotico, tutto concentrato su di sé, con scarsa autostima e poco<br />
visibilità, e l’<strong>art</strong>ista PR, fatto tutto di relazioni sociali e di poca<br />
ricerca. La differenza tra i due modelli è sempre molto divertente.<br />
Il seminarista dell’<strong>art</strong>e e l’<strong>art</strong>ista arrampicatore sociale sono<br />
entrambe figure problematiche e l’<strong>art</strong>e che producono è molto<br />
spesso sgradevole, su entrambe le sponde. Personalmente io<br />
sono un fan dell’<strong>art</strong>e sgradevole, per questo prendo un po’ da<br />
entrambi i modelli.<br />
Alcuni critici hanno scritto di una matrice anarchica nel tuo<br />
lavoro. La mia impressione è che, in alcuni casi, tu spinga<br />
l’anarchia sino al punto di arrivare di coincidenza con il<br />
nichilismo, come in One Spray Can Escapist dove una stessa<br />
parola viene riprodotta con lo spray a muro un numero tale di<br />
volte da renderla del tutto illeggibile, o in Newspaper, dove le<br />
colonne di quotidiani presentano un contenuto indecifrabile in<br />
seguito a un processo di scansione multipla. Nel libro d’<strong>art</strong>ista<br />
Not Made Visible, che hai pubblicato recentemente, è evidenziato<br />
il tuo interesse per l’approccio negazionista dei situazionisti nei<br />
confronti della cultura, inteso come unico modo per preservarne<br />
il significato. Da questo punto di vista, mi sembra che il tuo lavoro<br />
sia più orientato verso un forte sarcasmo, piuttosto che verso un<br />
atteggiamento ironico.<br />
In effetti, l’uso che faccio del termine “anarchia” è vicino a<br />
quello di una fantasia nichilista di libertà assoluta, ottenuta<br />
attraverso un processo di negazione totale. Per quanto riguarda<br />
i situazionisti, sono interessato soprattutto alle loro strategie<br />
di rinunzia, di rifiuto e di generale diniego, così come al loro<br />
disgusto per tutto quanto li circondasse. Non ho mai pensato il<br />
mio lavoro come ironico, parlerei invece, appunto, di sarcasmo,<br />
e allargando lo sguardo ai miei libri, anche di una certa satira. Di<br />
Matias Faldbakken, Untitled (Canvas #16), 2008 - courtesy: the <strong>art</strong>ist and STANDARD (OSLO), Oslo Matias Faldbakken, Untitled (Canvas #23), 2008 - courtesy: STANDARD (OSLO), Oslo Matias Faldbakken, Untitled (Canvas #24), 2008 - courtesy: STANDARD (OSLO), Oslo<br />
MOUSSE / MATIAS FALDBAKKEN / PAG. 11<br />
uno humour dark e violento. Ironia? Proprio non direi.<br />
Tutto il tuo lavoro si basa su strategie linguistiche, atte a<br />
decostruire il concetto di testo come stabilità univoca e<br />
monolitica, come quando scrivi frasi e aforismi adoperando<br />
bande di nastro isolante, in modo da renderle quasi astratte<br />
e irriconoscibili. Hai diretto questa pratica di decostruzione<br />
testuale anche verso te stesso, firmando il tuo primo libro con lo<br />
pseudonimo di Abo Rasul, celando così la tua vera identità.<br />
Come dicevo prima, la distinzione del mio lavoro tra un<br />
ambito linguisticamente narrativo e uno visivo, si è sempre<br />
accompagnata per me al conflitto tra un approccio criticamente<br />
verbale e un approccio più irrazionale e non verbale. Il gesto di<br />
auto-annullamento dell’identità diventa ovvio, quando trasformo<br />
in immagini astratte i miei statement verbali, sino a renderli<br />
illeggibili. Lo spazio tra ciò che trasmette senso e ciò che diventa<br />
incomprensibile è quello che m’interessa di più. Mi sembra che<br />
ciò che si crea tra messaggi di una semplicità da regime e gesti,<br />
invece, di astrazione non comunicativa, sia un spazio di grande<br />
potenzialità.<br />
La sincerità del tuo modo di operare mi sembra emerga al<br />
meglio nel tuo rinunziare a indicare una soluzione precisa o una<br />
direzione utopica. Non prendi una posizione precisa. Tuttavia, mi<br />
domando se non consideri la negazione in sé come una sorta di<br />
approccio utopico. Come se la negazione fosse il primo passo<br />
verso un possibile cambiamento.