realtà - Istituto Neurotraumatologico Italiano
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ealtàmedica<br />
L A R I V I S T A D E L M E D I C O D I F A M I G L I A<br />
PAG. 19<br />
2000<br />
VALUTAZIONE RISCHI D’INFARTO<br />
PAG. 25<br />
IL LETARGO DELL’ORSO<br />
PAG. 39<br />
WELFARE, GLI ITALIANI<br />
NE CHIEDONO UNO NUOVO<br />
GIULIA EDITORE SRL<br />
n. 1/13<br />
GENNAIO/MARZO<br />
ANNO XV<br />
LA RIVISTA È SCARICABILE<br />
DAL SITO WEB www.gruppoini.it
IL PUNTO Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
Perché non esportiamo<br />
gli idioti?<br />
di Delfo Galileo Faroni<br />
Gli idioti sono sempre esistiti<br />
e rappresentano una<br />
razza che non tramonterà<br />
mai. Non ci riferiamo,<br />
ovviamente, a coloro che,<br />
per arresto congenito o<br />
acquisito dello sviluppo<br />
dell’encefalo, presentano<br />
una infermità mentale,<br />
che si manifesta con assenza<br />
dell’intelligenza e prevalenza degli istinti; ma a<br />
quei soggetti che vengono così chiamati, con un<br />
senso di commiserazione, a causa si certi atti e<br />
comportamenti che rivelano atteggiamenti da<br />
idiota. Ma chi sono gli idioti?<br />
Non è facile rispondere a questo interrogativo.<br />
L’idiota solitario o di gruppo è diventato un personaggio<br />
importante della società contemporanea.<br />
Molti si sono impegnati a fondo nella ricerca<br />
della fenomenologia dell’idiota per mettere a<br />
punto i livelli e le caratteristiche di questi sciocchi,<br />
ma i tentativi fatti fino ad oggi non sono<br />
ancora riusciti a consentire giudizi chiari, e questo<br />
perché l’idiota di oggi modifica in continuazione<br />
la propria immagine e non prova nessuna<br />
vergogna per la propria tipologia caricaturale.<br />
Noi, che non ci sentiamo assediati da concetti già<br />
detti e risaputi, proponiamo la seguente classificazione.<br />
Gli idioti sono: i servi del potere e dei potenti,<br />
con una specie di istinto gregario; i falsi colti,<br />
malati di estetismo; i presuntuosi ingiustificati; i<br />
vanesi ed esibizionisti; quelli che compiono azioni<br />
suggerite da altri; quelli che si rendono colpevoli<br />
di pretendere cose che vanno oltre le loro<br />
possibilità; quelli che tentano di realizzare ciò che<br />
non è assolutamente possibile realizzare; i burocrati<br />
che arrivano in ufficio sempre in orario e in<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
30 anni di lavoro non hanno mai fatto un’assenza;<br />
quelli che credono che il Paradiso sia escluso<br />
ai miscredenti; quelli che ancora credono che gli<br />
Italiani siano un popolo di eroi, santi, poeti e<br />
navigatori; quelli che vogliono far passare per<br />
vera una falsa intelligenza.<br />
Ed ancora: quelli che ricevono benefici e poi voltano<br />
le spalle a chi glieli ha dati; quelli che non<br />
conoscono limiti imposti dal destino e dalla<br />
natura alla loro intelligenza; quelli che si ritengono<br />
onnipotenti e quindi mal si prestano a limitazioni<br />
che la società, quando li scopre, impone<br />
loro; gli incapaci di prendere coscienza della loro<br />
imbecillità e del loro relativismo morale e culturale;<br />
quelli che non si rendono conto dell’inutilità<br />
della loro esistenza; quelli con il volto destinato<br />
all’anonimato, ma che, per motivi inspiegabili,<br />
1 Il punto
Il punto 2<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
raggiungono la ribalta e la notorietà; quanti vorrebbero<br />
essere spiritosi, ma non perdono occasione<br />
per scivolare nel cattivo gusto, con ironiche<br />
allusioni e con un sarcasmo volgare; gli illusi che,<br />
pur di mettersi in mostra ed attrarre l’attenzione,<br />
non esitano a falsare la <strong>realtà</strong> delle cose.<br />
Demostene diceva: “Nulla è più facile che illudersi,<br />
perché ciò che ogni uomo desidera, crede<br />
anche che sia vero”.<br />
Potremmo continuare ancora ad elencare quelli<br />
che vogliono far credere che Dio li preferisce.<br />
Purtroppo il bacillo dell’idiozia non è stato<br />
ancora scoperto. Visto, quindi, che non è possibile<br />
curarli, e considerati i numerosi problemi<br />
che essi pongono, l’unica soluzione, la più con-<br />
facente per levarseli da torno, sarebbe quella di<br />
esportarli. Ma nella Penisola in quanti si resterebbe?<br />
C’è poi l’obbligo di rispettare le leggi.Non ci<br />
sono patti, contratti o intese con altri Paesi per<br />
effettuare l’esportazione di idioti, quindi, con<br />
questa spina nel fianco e mantenendo questo<br />
falso senso di tutela nei loro confronti, dobbiamo<br />
imparare a conviverci. Certamente il nostro<br />
punto di vista non sarà condiviso da tutti, ma<br />
l’idea di esportare gli idioti vi affascina, e ci affascina<br />
anche lanciare contro di loro saette ed epiteti<br />
offensivi e ingiuriosi, anche se poi tutto finisce<br />
qui. Longanesi diceva: “Due idioti sono due<br />
idioti. Diecimila sono una forza storica”.
IL PUNTO Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
3 Il punto
ealtàmedica<br />
Garante scientifico<br />
Delfo Galileo Faroni<br />
Direttore editoriale<br />
Jessica Faroni<br />
Direttore responsabile<br />
Luciano Pecchi<br />
Coordinamento redazionale<br />
Glauco Messina<br />
Coordinamento comitato scientifico<br />
Carlo De Bac<br />
Comitato scientifico<br />
Francesco Bove, Carlo De Bac,<br />
Delfo Galileo Faroni, Jessica Veronica Faroni,<br />
Gaetano Lanzetta, Glauco Messina,<br />
Roberto Proietti, Valter Santilli<br />
Editore:<br />
Giulia S.r.l.<br />
Via Sardegna, 50 - Roma<br />
Direzione, redazione,<br />
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La rivista è posta sotto la tutela delle leggi sulla<br />
stampa. Gli articoli pubblicati impegnano esclusivamente<br />
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solo dietro autorizzazione scritta della direzione.<br />
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La rivista è aperta a ogni tipo di contributo<br />
medico-scientifico. Tutti gli operatori sanitari<br />
possono inviare alla redazione di Realtà Medica<br />
2000 propri articoli, che troveranno spazio in<br />
base alla normale programmazione redazionale.<br />
La direzione si riserva, comunque, il diritto di<br />
non pubblicazione; nel qual caso gli articoli<br />
verranno restituiti all’autore.
SOMMARIO Realtà Medica 2000 - n.1/2013<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
IL PUNTO<br />
Perché non esportiamo gli idioti? di Delfo Galileo Faroni 1<br />
POLITICA SANITARIA<br />
Regione Lazio, Piano di Rientro. Faroni: «È arrivato il momento della discontinuità», Red. 7<br />
NEUROLOGIA<br />
Le cefalee pediatriche... con un bambino è tutto (o quasi) diverso,<br />
Intervista di Roberto Nappi alla dott.ssa Federica Galli 11<br />
DIABETOLOGIA<br />
Diabete e farmaci innovativi. In Italia esistono difficoltà di interazione, L.P. 17<br />
CARDIOLOGIA<br />
Valutazione rischi d’infarto. Piccola rivoluzione grazie allo studio Check, Red. 19<br />
ENDOCRINOLOGIA<br />
Romanticismo, passione, libertà: i prodotti ormonali della donna, di Delfo Galileo Faroni 23<br />
NEFROLOGIA<br />
Il letargo dell’orso: un meraviglioso enigma per il nefrologo e non solo, di Guido Baldinelli 25<br />
MANAGEMENT SANITARIO<br />
L’importanza della figura infermieristica: il Case manager (parte prima), di Federica Ederli 29<br />
SOCIETÀ<br />
Le donne come “motore” della promozione della salute<br />
A cura del reparto di Salute della donna e dell’età evolutiva, Cnesps-Iss 33<br />
POLITICHE SOCIALI<br />
Welfare, gli italiani ne chiedono uno nuovo, Red. 39<br />
STORIA DELLA MEDICINA<br />
Dal secolo dei lumi a la Belle Époque, di Luca Tofini 43<br />
SALUTE E PARLAMENTO<br />
Rubrica, a cura di Giorgia Pecchi 49<br />
5 Sommario
Politica Sanitaria 6<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Fondato dal Prof. Delfo Galileo Faroni<br />
Via Torino, 122<br />
00184 Roma - Italy<br />
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POLITICA SANITARIA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
Regione Lazio, Piano di Rientro<br />
Faroni: «È arrivato il momento<br />
della discontinuità»<br />
Il cambiamento non può prescindere dalla analisi.<br />
«Da questa affermazione – dichiara la dott.ssa<br />
Jessica Veronica Faroni, presidente Aiop-Lazio –<br />
emerge l’inefficacia dei tagli lineari che sono il<br />
contrario di quello che sarebbe necessario per<br />
controllare i costi e ridurre le inefficienze. Emerge<br />
l’inadeguatezza del decisore politico che, in particolare<br />
nel Lazio, non è stato fino ad oggi in grado<br />
di affrontare i nodi strutturali della sanità<br />
regionale, che restano, dopo cinque anni di piano<br />
di rientro, ancora tutti sul tavolo».<br />
«Sviluppare una azione programmatoria forte da<br />
parte della regione, ricostruire le competenze della<br />
struttura regionale di governo del settore, dare<br />
al piano di rientro una visione non solo finanziaria,<br />
introdurre nelle aziende sanitarie strumenti<br />
di controllo e gestione adeguati, sviluppare la<br />
sanità sul territorio, aumentare la produttività<br />
delle strutture pubbliche, definire l’accreditamento<br />
delle strutture, coinvolgere gli operatori in una<br />
gestione condivisa del sistema valorizzandone le<br />
specificità, definire gli accordi con le strutture<br />
universitarie – sottolinea Faroni – sono solo alcuni<br />
dei nodi da sciogliere analizzati nella ricerca».<br />
«La decima legislatura regionale – continua Faroni<br />
– potrebbe essere quella in cui il sistema sanitario<br />
laziale diventerà efficiente e finanziariamente<br />
in equilibrio. In cui cittadini e imprese non<br />
saranno più costretti a sopportare la più elevata<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
La sanità è un sistema complesso e la ricerca dal titolo “Criticità finanziarie (e non solo) del<br />
sistema sanitario” elaborata dall’Associazione Italiana Ospedalità Privata, Regione Lazio, in<br />
collaborazione con il Centro Studi Regionali e presentata a Roma il 31 gennaio 2013 dal dott.<br />
Marcello Degni e dalla dott.ssa Jessica Veronica Faroni, presidente Aiop Lazio, alla presenza<br />
di Nicola Zingaretti, nel delineare questa complessità, propone al dibattito soluzioni concrete.<br />
Un approccio a tutto campo, non una visione settoriale, perché il tema va affrontato nelle sue<br />
molteplici articolazioni, altrimenti non si cambia nulla.<br />
pressione fiscale regionale del paese per sostenerlo.<br />
In cui i servizi forniti ai cittadini saranno<br />
all’altezza di un paese civile. In cui il privato<br />
accreditato che eroga prestazioni di alta qualità<br />
possa sentirsi, forse per la prima volta, pienamente<br />
inserito nell’offerta pubblica. I fondamentali ci<br />
sono. Il Lazio è una regione che produce il più<br />
alto PIL d’Italia dopo la Lombardia. È mancata<br />
fino ad oggi una classe dirigente adeguata».<br />
«Crediamo – dichiara il presidente di Aiop<br />
Lazio – che sia arrivato il momento della discontinuità,<br />
indispensabile per favorire lo sviluppo».<br />
Nella prima parte della ricerca viene fornita una<br />
rassegna critica dei numeri della sanità prima e<br />
dopo i piani di rientro e ne vengono analizzate le<br />
principali criticità: torsione finanziaria, unidirezionalità<br />
della mobilità sanitaria, farraginosità dei<br />
meccanismi di ripartizione, scarsa trasparenza e<br />
inadeguatezza delle basi informative, scarsa efficienza<br />
dei sistemi regionali. Particolare attenzione<br />
viene dedicata in questa parte della ricerca alle<br />
regole introdotte dall’attuazione del federalismo<br />
fiscale e alle possibili distorsioni connesse alla<br />
implementazione di questo processo: l’armonizzazione<br />
dei bilanci degli enti territoriali e delle<br />
aziende sanitarie e la conseguente perimetrazione<br />
del bilancio; la questione dei costi standard e dei<br />
fabbisogni, il ruolo dei fattori strutturali nella<br />
determinazione delle funzioni di costo.<br />
7 Politica Sanitaria
Politica Sanitaria 8<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Nella seconda parte lo studio dell’Aiop - Centro<br />
Studi Regionali si concentra sul caso Lazio ripercorrendone<br />
la storia dell’ultimo decennio. Dall’analisi<br />
emerge il fallimento del policy maker,<br />
incapace di risolvere i nodi strutturali del sistema<br />
che, dopo 6 anni di piano di rientro, restano<br />
ancora intatti. Assenza di programmazione del<br />
sistema da parte della regione, debolezza gestionale<br />
delle aziende sanitarie, inefficacia dei controlli<br />
(ruolo dell’ASP), indeterminatezza nella<br />
ripartizione dell’offerta, scarsa produttività delle<br />
strutture, carenza della sanità nel territorio, scarsa<br />
distinzione tra sanità e ricerca (policlinici universitari).<br />
Sono solo i principali nodi irrisolti che,<br />
insieme agli altri analizzati nella ricerca, producono<br />
ancora un rilevante disavanzo e la più elevata<br />
pressione fiscale regionale su cittadini e<br />
imprese.<br />
In altre parole, lo studio arriva a una conclusione:<br />
il fallimento strutturale delle politiche sanitarie<br />
della Regione Lazio fino ad oggi attuate. Un lento<br />
percorso di riduzione del disavanzo che richiederà<br />
ancora anni per il conseguimento del pareggio<br />
– sta scritto sempre nello studio – obiettivo<br />
che resterà una chimera (o sarà conseguito a scapito<br />
delle prestazioni fornite ai cittadini) se non<br />
saranno aggrediti in nodi strutturali più volte<br />
richiamati.<br />
Per compiere il salto di qualità sono necessari<br />
alcuni prerequisiti: approccio bipartisan; rafforzamento<br />
della governance del sistema (struttura<br />
centrale e aziende sanitarie); allargamento della<br />
partecipazione multilivello (oltre allo Stato anche<br />
le Regioni, recuperando il partenariato previsto<br />
dalla lettera di intenti che ha preceduto il piano<br />
di rientro); partecipazione forte degli stakeholders<br />
(pazienti, operatori, enti territoriali, cittadini).<br />
Direttrici completamente ignorate dal policy<br />
maker, anche nella legislatura appena conclusa.<br />
Nulla di tutto ciò si ritrova infatti nella lettera del<br />
presidente Polverini al capo del governo del 17<br />
ottobre 2012: “sono stata nominata Commissario<br />
ad acta della sanità nel mese di maggio 2010,<br />
prendendo in consegna una gestione priva di una<br />
visione strategica coerente, in assenza di ogni forma<br />
di governance e capace di generare ogni anno<br />
miliardi di disavanzi a cui dover trovare coperture<br />
a carico della collettività”. Già questo incipit tradisce<br />
l’assenza del necessario approccio condiviso,<br />
forzato fino ad alterare la <strong>realtà</strong>: il sistema sanitario<br />
laziale è gestito dal febbraio del 2007 dal<br />
Tavolo governativo, in attuazione del piano di<br />
rientro; non è possibile rilevare discontinuità nell’ambito<br />
di questa fase, come emerge dalle risultanze<br />
delle riunioni di verifica, del tutto uniformi<br />
rispetto a quelle della precedente legislatura (stessi<br />
problemi, stessi rilievi, stesse inadempienze).<br />
“La sanità laziale”, continua la lettera, “registrava<br />
discipline presenti ovunque, spesso con masse critiche<br />
e numeri che mettevano a rischio la salute
POLITICA SANITARIA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
del paziente, nessuna logica di rete e forti differenze<br />
tra Roma e le Province, soprattutto per<br />
quanto riguarda l’emergenza. Un numero di<br />
posti letto per 1000 abitanti pari 4,5 contro uno<br />
standard richiesto di 4 posti letto per 1000 abitanti.<br />
In alcune discipline (riabilitazione e lungo<br />
degenza) il numero di posti letto era addirittura<br />
pari a 5 volte quello delle regioni virtuose [in <strong>realtà</strong>;<br />
come evidenziato nell’ultima riunione del<br />
Tavolo sopra richiamata, nel Lazio è ancora forte<br />
la carenza di posti letto per non acuti]. In buona<br />
sostanza si curava tutto e dovunque, con una<br />
organizzazione che inevitabilmente produceva<br />
bassa qualità ed alti costi. Costi che nel periodo<br />
Marrazzo-Montino sono aumentati di 1 miliardo<br />
e 243 milioni vanificando pressoché interamente<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
l’aumento del fondo sanitario messo a disposizione<br />
della Regione Lazio nello stesso periodo e pari<br />
a 1 miliardo e 532 milioni".<br />
È una distorsione evidente della <strong>realtà</strong>: la riorganizzazione<br />
della rete ospedaliera è figlia del piano<br />
di rientro. I decreti commissariali approvati<br />
all’inizio della legislatura regionale erano stati già<br />
predisposti dalla struttura tecnica prima delle elezioni<br />
e sarebbero stati approvati anche se l’esito<br />
del voto fosse stato di segno opposto. La riduzione<br />
del disavanzo si è avviata con il piano di rientro<br />
e i risultati del 2010 e del 2011 risentono dell’<br />
effetto delle azioni intraprese a partire dal 2007,<br />
inclusa la ristrutturazione del debito, completata<br />
nel corso del 2008.<br />
I “contributi straordinari una tantum per 1<br />
miliardo e 364 milioni di euro” (che in <strong>realtà</strong><br />
sono stati ben maggiori se si considera anche il<br />
contributo straordinario del 2007, pari a 2,3<br />
miliardi), erogati dallo Stato, hanno contribuito<br />
alla riduzione dello squilibrio degli anni “della<br />
giunta Marrazzo-Montino”, creando le premesse<br />
per le ulteriori riduzioni (speriamo non effimere)<br />
realizzate negli anni successivi.<br />
Anche il blocco dei finanziamenti per inadempienze<br />
è un elemento comune delle diverse<br />
amministrazioni, come dimostra il menzionato<br />
stop ripetutosi nel 2012 per ben tre verifiche consecutive.<br />
La prossima legislatura regionale, se sarà intrapreso<br />
un lavoro intenso di aggressione dei nodi<br />
strutturali del sistema, potrà forse vedere l’uscita<br />
dal piano di rientro. Ma è una strada ancora in<br />
salita, che richiede molta determinazione.<br />
I suggerimenti e le proposte indicate nella ricerca<br />
Aiop si riassumono nella esigenza di introdurre<br />
una forte discontinuità rispetto alle politiche delle<br />
ultime tre legislature regionali, per ricondurre<br />
il sistema su un percorso di sviluppo.<br />
La ricerca si conclude con una appendice sull’invecchiamento<br />
della popolazione e sulle politiche<br />
socio-assistenziali, uno dei nodi strutturali più<br />
rilevanti a livello nazionale, che nel Lazio presenta<br />
particolari criticità. (Red.)<br />
9 Politica Sanitaria
Neurologia 10<br />
<strong>realtà</strong>medica
NEUROLOGIA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
Dottoressa Galli, iniziamo dal capire se i bambini<br />
soffrono dello stesso mal di testa degli<br />
adulti.<br />
Anche nei bambini la distinzione di partenza è<br />
sempre quella tra cefalee primarie – emicrania e<br />
cefalea tensiva – e cefalee secondarie, con la differenza<br />
che, tra le primarie, risulta quasi assente<br />
la cefalea grappolo, la più rara in assoluto e<br />
comunque tipica dell’età adulta. La prevalenza<br />
delle forme primarie è stimata essere del 10-20%<br />
nella popolazione in età prescolare, con un progressivo<br />
incremento in relazione all’età, fino a<br />
valori che si collocano intorno al 27-32% intorno<br />
ai 13-14 anni, considerando l’incorrere di crisi<br />
almeno mensili, pur potendo toccare punte<br />
dell’87-94%, se si considera la presenza di cefalea<br />
almeno una volta l’anno.<br />
A livello di genere si rilevano differenze<br />
sensibili?<br />
No, non si rilevano differenze di genere fino alla<br />
pubertà. Successivamente, si registra un netto<br />
incremento tra le femmine con un rapporto di 2<br />
ad 1, differenza che si protrae fino all’età adulta.<br />
Questo perché gli sbalzi ormonali influiscono<br />
moltissimo sulla possibile insorgenza di un attacco<br />
emicranico. Per quanto riguarda la prognosi,<br />
le donne appaiono svantaggiate, ma di questo ne<br />
parleremo più approfonditamente in seguito.<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Le cefalee pediatriche …<br />
con un bambino è tutto (o quasi) diverso<br />
di Roberto Nappi*<br />
A nessuna età si è esenti dal mal di testa in quanto non fa sconti, neppure da piccoli. Il rischio<br />
di soffrire di cefalea è infatti identico anche in età pediatrica, con in più tutta una serie di<br />
problematiche che, inevitabilmente, risultano accentuate quando si ha a che fare con un<br />
bambino, che, rispetto ad un adulto, fatica maggiormente a sopportare e a comprendere il<br />
dolore. Per conoscere meglio caratteristiche e peculiarità delle cefalee in età pediatrica<br />
abbiamo interpellato Federica Galli (Headache Science Center, Unità di Psicologia IRCCS C.<br />
Mondino, Pavia).<br />
* Responsabile comunicazione Fondazione CIRNA Onlus<br />
Le forme più frequenti sono dunque l’emicrania<br />
e la cefalea tensiva?<br />
Senza alcun dubbio sì. L’emicrania con aura, cioè<br />
con tutta quella batteria di sintomi che precedono<br />
il mal di testa vero e proprio, è presente solo<br />
in pochi casi. I sintomi sono prevalentemente<br />
visivi, ma anche di tipo sensoriale, motorio e/o<br />
linguistico: il bambino può ad esempio descrivere<br />
delle luci colorate o delle macchie che interessano<br />
il campo visivo, può lamentarsi di avere formicolii,<br />
di sentire come delle punture di spillo, presentare<br />
rigidità o debolezza agli arti, fino a presentare<br />
delle difficoltà ad esprimersi. Questi sintomi<br />
scompaiono di solito nell’arco di un’ora, lasciando<br />
il posto all’insorgere del mal di testa propriamente<br />
detto. Le caratteristiche sintomatologiche<br />
di questo sono simili a quelle presentate nelle forme<br />
senza aura. Il dolore è spesso di intensità<br />
medio-forte: il bambino è costretto a sospendere<br />
tutto quello che sta facendo, tanto da mettersi a<br />
letto, spesso al buio ed in silenzio. È frequente la<br />
nausea, seguita qualche volta da vomito. Il dolore<br />
può essere pulsante, ma anche di tipo costrittivo.<br />
Soffermandoci sulla tipologia di dolore: essa<br />
cambia a seconda dell’età?<br />
Più il bambino è piccolo, più è raro che il dolore<br />
sia unilaterale. A questo proposito è anche<br />
importante sottolineare che più è piccolo il bam-<br />
11 Neurologia
Neurologia 12<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
bino, più un tipo di dolore sempre localizzato<br />
nello stesso punto, e senza alternanza di lato, può<br />
di per sé far ipotizzare la presenza di una cefalea<br />
di tipo secondario. Una trasposizione tout court<br />
di categorie diagnostiche calibrate sul paziente in<br />
età adulta può infatti far perdere le specificità con<br />
cui il sintomo si presenta in età evolutiva.<br />
E sulla cefalea tensiva cosa ci può dire?<br />
Due sono le forme fondamentali di cefalea di<br />
tipo tensivo: la forma episodica e la forma cronica,<br />
le cui caratteristiche cliniche sono pressoché<br />
sovrapponibili, differenziandosi essenzialmente<br />
per la maggiore durata della seconda (più di 15<br />
giorni al mese). La forma episodica è la più<br />
comune forma di cefalea esistente. La prevalenza<br />
sembra in ogni modo aumentare con l’età,<br />
soprattutto per le forme croniche. In età evolutiva<br />
può essere difficile distinguere la forma tensiva<br />
episodica dall’emicrania senz’aura. Entrambe le<br />
forme possono in ogni modo coesistere - crisi<br />
emicraniche che si alternano a quelle tensive - o<br />
essere non chiaramente distinguibili, con sintomi<br />
di entrambi i tipi che possono caratterizzare uno<br />
stesso attacco.<br />
In questo caso il dolore e la sintomatologia<br />
generale come si presentano?<br />
La qualità del dolore è costrittiva o gravativa, ma<br />
non pulsante. La severità del dolore è lieve o<br />
media, può inibire, senza impedire, le normali<br />
attività quotidiane. La localizzazione del dolore è<br />
di solito bilaterale, ma può anche essere unilaterale<br />
(5-10%). Il dolore non è aggravato dagli sforzi<br />
fisici, particolare che maggiormente differenzia<br />
le due forme. La presenza di nausea o vomito<br />
esclude la diagnosi di cefalea tensiva, anche se<br />
può essere presente anoressia media o moderata.<br />
Possono essere presenti fastidio alle luci oppure ai<br />
rumori. I bambini con cefalea tensiva possono<br />
essere pallidi e presentare inappetenza.<br />
Non abbiamo detto nulla sulla cefalea tensiva<br />
cronica: davvero in un bambino può già manifestarsi?<br />
Purtroppo sì. La cefalea tensiva cronica rappre-<br />
senta una fetta cospicua dei pazienti che accedono<br />
a Centri specialistici (circa il 30%), anche se<br />
la prevalenza in termini di popolazione generale<br />
è attestata intorno allo 0.8%. La caratteristica<br />
comune a queste forme è la presenza di crisi quasi<br />
quotidiane, per cui la qualità della vita del<br />
paziente viene ad essere profondamente minata.<br />
Queste forme di cefalea presentano anche un più<br />
alto grado di problematiche di tipo psicologico,<br />
prevalentemente ansia e depressione, sia negli<br />
adulti che in età evolutiva, richiedendo quindi<br />
interventi sia psicologici che farmacologici. In<br />
questi casi, un lavoro di tipo psicologico può<br />
essere particolarmente utile anche per prevenire<br />
la cosiddetta “cefalea da abuso di farmaci analgesici”,<br />
piuttosto presente negli ultimi anni negli<br />
adulti. Un aspetto che mi preme sottolineare è<br />
l’importanza del lavoro di prevenzione che si può<br />
fare in età evolutiva rispetto all’abuso di farmaci<br />
analgesici, cercando il più possibile di fornire ai<br />
piccoli strumenti “diversi” per gestire le crisi<br />
dolorose. Per questo è importante cercare di affidarsi<br />
a Centri specialistici fin da questa età.<br />
Affrontare il problema cefalea non significa solo<br />
escludere che si tratti di una forma secondaria,<br />
anche se spesso è questo che (comprensibilmente)<br />
sta più a cuore ai genitori. Dal punto di vista<br />
del paziente, diciamo che nella sfortuna di soffrire<br />
di cefalea fin da piccoli si ha la “fortuna” di<br />
avere più tempo per apprendere come gestirla.<br />
Dottoressa Galli, passiamo ora alle cefalee<br />
secondarie, che solitamente sono le più allarmanti,<br />
nel senso che possono essere la spia di<br />
qualcosa di più grave, è così?<br />
Esatto. Elementi che devono prospettare un<br />
immediato intervento medico volto ad escludere<br />
cefalee secondarie sono la presenza di crisi che<br />
divengono più severe, prolungate e/o frequenti,<br />
un esordio del dolore acuto che può svegliare il<br />
bambino anche di notte, il dolore presente al<br />
risveglio che non risulta attenuato dall’uso di<br />
analgesici, la presenza di rigidità nucale, sonnolenza<br />
e vomito. Anche mal di testa scatenati - e<br />
non solo peggiorati - da tosse, starnuti, sforzi in
NEUROLOGIA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
genere o dal mutamento della stazione corporea<br />
devono destare preoccupazioni in proposito. Specifici<br />
accertamenti diagnostici sono indispensabili<br />
anche quando il comportamento o le caratteristiche<br />
di personalità del bambino subiscono cambiamenti<br />
repentini oppure quando le normali<br />
tappe dello sviluppo fisico-psicologico presentano<br />
un rallentamento.<br />
Quali sono le patologie più serie riscontrabili<br />
a seguito di una cefalea secondaria?<br />
Una cefalea può essere sintomatica di una malformazione<br />
vascolare, soprattutto quando la cefalea<br />
è sempre localizzata allo stesso lato, se incorre<br />
un’aura stereotipata e prolungata, se ci sono segni<br />
neurologici o rigonfiamenti cranici, se i sintomi<br />
che accompagnano la cefalea sono presenti anche<br />
al di fuori delle crisi. Meningite batterica o virale,<br />
encefalite, un ascesso intracranico o una emorragia<br />
devono essere sospettati invece in caso di febbre,<br />
sonnolenza, irritabilità, fotofobia, vomito.<br />
L’alterazione dello stato di coscienza ed un coinvolgimento<br />
focale neurologico suggeriscono, ad<br />
esempio, la possibilità che sia in atto una infezione<br />
intracranica. Ci sono poi i tumori cerebrali,<br />
che, sebbene rari, rappresentano pur sempre la<br />
seconda patologia maligna che occorre nell’infanzia,<br />
dopo la leucemia. Il 45% dei tumori cerebrali<br />
dell’infanzia sono localizzati nella fossa posteriore:<br />
nella maggior parte dei casi la cefalea sembra<br />
precedere i segni neurologici o oculari. Il dolore<br />
può tipicamente essere provocato da colpi di tosse,<br />
starnuti o sforzi in genere, così come dal passaggio<br />
alla stazione eretta. La cefalea può essere<br />
presente al mattino e/o svegliare il bambino che<br />
sta dormendo. Nei bambini più piccoli possono<br />
presentarsi irritabilità, vomito, pianto, inquietudine,<br />
alterazioni strutturali delle fontanelle, incremento<br />
del perimetro cranico, o altri segni individuabili<br />
tramite opportune indagini. Nei bambini<br />
più grandi può essere presente un rallentamento<br />
dello sviluppo cognitivo, piuttosto che una<br />
regressione, con problemi d’apprendimento ed<br />
attentivi, cambiamenti nella personalità, così<br />
come letargia, apatia, sintomi di depressione.<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Domanda che può sembrare fuori luogo: soffrire<br />
di mal di testa fin da piccoli può essere un<br />
“vantaggio” rispetto a quando il problema<br />
esordisce in età adulta?<br />
Tra virgolette sì. Come accennavo prima, si ha<br />
infatti la “fortuna” di poter apprendere nel corso<br />
della crescita come fronteggiare la problematica,<br />
arrivando, si spera, ad una gestione matura del<br />
proprio mal di testa. In secondo luogo, e questo<br />
è l’aspetto più significativo, la cefalea, con esordio<br />
in età evolutiva, cambia spesso le sue caratteristiche<br />
sintomatologiche nel corso del tempo, con<br />
elevata possibilità di miglioramento e remissione<br />
spontanea. Dati tratti dalla letteratura fanno rilevare<br />
un’elevata probabilità di remissione (intorno<br />
al 30%) o di evoluzione positiva (intorno al 50%<br />
dei casi), sia nel senso di un miglioramento che<br />
di remissione, pur essendo possibile peggioramento<br />
(5%) o invarianza (15%) delle crisi. La<br />
prognosi sembra risentire delle differenze di genere:<br />
nei maschi l’evoluzione è migliore rispetto a<br />
ciascuno dei parametri presi in considerazione.<br />
13 Neurologia
Neurologia 14<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
La scomparsa delle crisi dolorose può ad ogni<br />
modo essere momentanea, ripresentandosi anche<br />
a distanza di anni. Studi volti all’individuazione<br />
dei fattori predittivi per l’evoluzione della cefalea<br />
hanno evidenziato che la presenza di disturbi psicopatologici<br />
associati alle cefalee (sia tensive che<br />
emicraniche) hanno un valore prognostico negativo.<br />
In generale per i maschi la prognosi sembra<br />
migliore che per le femmine.<br />
Lei è una psicologa, quindi saprà benissimo<br />
quanto sia fondamentale nei bambini, ancor<br />
più che negli adulti, l’incidenza dei fattori psichici<br />
di fronte ad una malattia, quale, di fatto,<br />
può essere la cefalea.<br />
È assolutamente così. In età evolutiva diversi studi<br />
hanno posto in rilievo la presenza di fattori psichici,<br />
in qualche modo associati alle crisi cefalalgiche<br />
(tensive o emicraniche). È chiaro che<br />
un’analisi di questa associazione in età evolutiva<br />
presenta delle difficoltà aggiuntive, in quanto<br />
implica il tenere in costante considerazione le<br />
diverse tappe di crescita (in termini biologici,<br />
anatomici, fisiologici, oltre che cognitivi ed emotivi)<br />
e le peculiarità di sviluppo del bambino,<br />
oltre che fattori ambientali, sociali e culturali<br />
entro cui il paziente quotidianamente si muove.<br />
I fattori psicologici sono di fatto “fattori scatenanti”<br />
le crisi, questo mi preme precisarlo. Esiste<br />
probabilmente un substrato biologico (che ancora<br />
conosciamo poco) su cui si innestano provocando<br />
le crisi. L’individuazione di questi “fattori<br />
scatenanti” (attraverso attente valutazioni psicologico-cliniche)<br />
fornisce armi aggiuntive per arginare<br />
le crisi dolorose.<br />
Invece per quanto riguarda il versante più propriamente<br />
psicologico quali sono i segnali che<br />
bisogna saper cogliere?<br />
Ad esempio, una cefalea cui sembra conseguire<br />
un vissuto di isolamento oppure uno scarso rendimento<br />
scolastico, la sospetta presenza di competitività<br />
o conflittualità familiare, la presenza di<br />
problematiche psicopatologiche concomitanti<br />
(enuresi, balbuzie, tic, ansia, disturbi del sonno,<br />
difficoltà alimentari…) dovrebbero in ogni caso<br />
richiedere la programmazione di una valutazione<br />
psicologico-clinica. Un altro aspetto che riveste<br />
un’importanza del tutto peculiare in età evolutiva,<br />
e come tale da tenere in stretta considerazione<br />
nel momento in cui si approfondisce il “significato”<br />
del sintomo cefalea in questa fascia d’età, è<br />
quello riferibile alla sfera scolastica con cui il<br />
paziente si trova immancabilmente ad interagire.<br />
Vi si aggiungono aspetti legati ai processi di<br />
socializzazione, al confronto diretto con i coetanei.<br />
Nella pratica clinica è molto frequente il<br />
riscontro di problemi scolastici, familiari, di<br />
socializzazione dietro alla cefalea, “sintomo” in<br />
questo caso di problematiche di tipo psicologico.<br />
Una fobia scolare sottostante al sintomo cefalea<br />
viene spesso riscontrata: uno scarso rendimento<br />
scolastico può essere “giustificato” dal frequente<br />
incorrere di crisi cefalalgiche, che rischiano di<br />
innestare un circolo vizioso, potendo, tra l’altro,<br />
allontanare il bambino da scuola.<br />
Volendo dare un consiglio ai genitori di bambini<br />
che soffrono di cefalea cosa direbbe loro?<br />
Quello che dico sempre quando li incontro la<br />
prima volta e cioè di non considerare aprioristicamente<br />
che la cefalea del bambino sia “inventata”<br />
o “solo una scusa” per evitare i suoi obblighi<br />
scolastici perché ciò rischia di etichettare il bambino<br />
semplicemente come “svogliato”, a volte<br />
come un “bugiardo”, non riconoscendo che il<br />
mal di testa può esprimere un disagio di diversa<br />
origine. Può ad esempio accadere che il bambino<br />
viva con ansia non tanto la dimensione scolastica,<br />
quanto a volte l’allontanamento dal suo ambiente<br />
familiare. Cambiamenti a livello familiare (dalla<br />
nascita di un fratellino fino all’acuirsi o all’insorgere<br />
di un conflitto tra i genitori che ne minaccia<br />
magari la separazione), anche se non direttamente<br />
comunicati, possono essere recepiti dal bambino,<br />
che può piombare in uno stato di profonda<br />
angoscia. La cefalea in questi casi non è altro che<br />
la punta di un iceberg, un tentativo da parte del<br />
bambino di chiedere aiuto, oppure di ritrovare le<br />
attenzioni di genitori in quel momento “lontani”<br />
perché magari presi da problematiche di coppia.
NEUROLOGIA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
Per concludere, parliamo di terapia, o meglio,<br />
di terapie.<br />
Esatto. Innanzitutto va detto che il bambino non<br />
è un adulto “in piccolo” e qualsiasi intervento<br />
diagnostico e terapeutico necessita di essere calibrato<br />
in funzione delle specificità situazionali, in<br />
termini biologici, psicologici ed ambientali. Per<br />
quanto riguarda il trattamento farmacologico<br />
delle cefalee dell’età evolutiva si distingue fondamentalmente<br />
tra terapia dell’attacco (o sintomatica)<br />
e terapia preventiva. Gli elementi che<br />
depongono a favore di un intervento sul sintomo<br />
sono la presenza di più di non più di due crisi al<br />
mese, l’età inferiore ai 5 anni, crisi non particolarmente<br />
invalidanti, la presenza di disturbi di<br />
tipo endocrino (ad esempio diabete o obesità), la<br />
resistenza dei genitori a trattamenti di tipo preventivo.<br />
La terapia preventiva è invece indicata<br />
quando il paziente presenta numerose crisi invalidanti<br />
(più di due al mese) con elevata durata<br />
degli attacchi (più di due ore), l’età del paziente<br />
supera i 5 anni, in presenza di comorbidità psichiatrica<br />
o di fattori che prospettano un elevato<br />
rischio emicranico (equivalenti emicranici, familiarità,<br />
quando le crisi interferiscono molto con<br />
le normali attività quotidiane (il paziente è<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
costretto al riposo, al buio, ecc), le terapie per<br />
l’attacco si sono mostrate inefficaci o hanno<br />
determinato rilevanti effetti collaterali, il sintomo<br />
è strumentale al perseguimento di vantaggi<br />
secondari.<br />
Come per gli adulti sono possibili terapie non<br />
farmacologiche?<br />
Certamente sì. Sul versante del trattamento nonfarmacologico<br />
delle cefalee sono da annoverare<br />
interventi che vanno dal training autogeno, al<br />
biofeedback, alla psicoterapia (individuale, di<br />
coppia, familiare). La scelta dipende ovviamente<br />
dalle specificità situazionali e dovrebbe essere<br />
attuata integrando quella farmacologica. L’esperienza<br />
clinica supporta l’utilizzo di interventi non<br />
farmacologici, laddove sono ancora scarse le evidenze<br />
scientifiche a tale proposito (soprattutto<br />
per quello che riguarda interventi di psicoterapia<br />
propriamente detti). Tuttavia portare all’attenzione<br />
dei genitori e del paziente cefalalgico la presenza<br />
di dinamiche relazionali disfunzionali,<br />
unendo eventualmente suggerimenti di tipo psicopedagogico,<br />
prima di arrivare all’indicazione di<br />
una vera e propria psicoterapia, può già rappresentare<br />
un notevole contributo per il miglioramento<br />
della cefalea.<br />
15 Neurologia
Diabetologia 16<br />
<strong>realtà</strong>medica
DIABETOLOGIA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
Quattro milioni e duecentomila persone in Italia<br />
soffrono di diabete, con una spesa calcolata attorno<br />
agli undici miliardi di euro, più che doppia<br />
rispetto a vent’anni fa. E pesanti sono i rischi collegati<br />
alla patologia: ogni anno settantacinquemila<br />
diabetici subiscono un infarto, diciottomila un<br />
ictus, ventimila vanno incontro a insufficienza<br />
renale cronica e cinquemila all’amputazione di<br />
un arto. Infine diciottomila perdono la vita. I dati<br />
sono stati resi noti al meeting dell’European<br />
Association for the study of Diabetes, a Stoccolma,<br />
dove è emersa la necessità di modificare l’approccio<br />
alla malattia, puntando sull’intervento<br />
precoce. Giocando d’anticipo, migliorando il<br />
compenso metabolico del paziente sin dall’esordio<br />
del diabete si potrebbero ridurre le complicanze<br />
cardiovascolari nei successivi cinque anni<br />
in modo significativo.<br />
«Dobbiamo attuare un cambiamento – sottolinea<br />
Carlo Giorda, vicepresidente Amd – una glicemia<br />
di 140/150 non deve più essere tollerata con<br />
benevolenza, ma diventare subito oggetto di<br />
cura». Per far questo è necessaria una trasformazione<br />
culturale, un cambiamento nell’approccio<br />
che coinvolga tutti, dai diabetologi ai medici di<br />
medicina generale, dalle associazioni di volontariato<br />
alle istituzioni e l’industria. La parola chiave<br />
è formazione. Un intervento precoce sarebbe<br />
auspicabile anzitutto per la salute dei pazienti,<br />
consentendo di ridurre e complicanze vascolari di<br />
oltre il 40%. Ma un beneficio non trascurabile,<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Diabete e farmaci innovativi<br />
In Italia esistono difficoltà di interazione<br />
In Italia soffrono di diabete quattro milioni e duecentomila persone con una spesa calcolata<br />
attorno agli undici miliardi di euro, più che doppia rispetto a vent’anni fa. E pesanti sono i<br />
rischi collegati alla patologia: ogni anno settantacinquemila diabetici subiscono un infarto,<br />
diciottomila un ictus, ventimila vanno incontro a insufficienza renale cronica e cinquemila<br />
all’amputazione di un arto. Eppure di fronte a questo quadro il nostro Paese è quello che ha<br />
maggiori difficoltà ad aprire le porte ai farmaci innovativi. Lo rileva un’indagine di Cegedim<br />
Strategic Data (Csd), presentata a Milano durante un incontro promosso da Onda (Osservatorio<br />
nazionale sulla salute della donna) e Amd (Associazione medici diabetologi.<br />
secondo lo specialista, sarebbe quello a vantaggio<br />
dei conti pubblici. Proprio le complicanze del<br />
diabete incidono per quasi il 50% sui costi diretti<br />
della malattia, senza contare le giornate di lavoro<br />
perse o le pensioni di invalidità. Oggi, secondo i<br />
dati degli Annali Amd, ogni anno circa il 17%<br />
delle visite effettuate negli oltre 650 centri diabetologici<br />
della Penisola collegati ad Amd sono primi<br />
accessi: persone cioè che arrivano per la prima<br />
volta nella struttura, ma con la malattia già in<br />
atto, in media da oltre 7 anni.<br />
«È evidente che qualcosa, nel sistema di gestione<br />
del diabete, non funziona a dovere», prosegue<br />
Giorda. E l’importanza di una prevenzione che<br />
comporti anche dei mutamenti degli stili di vita<br />
viene evidenziata dall’allarmante quadro presentato<br />
da Sandro Gentile, presidente dell’Amd<br />
(Associazione medici diabetologi), nel corso del<br />
meeting.<br />
«Ci troviamo di fronte a bimbi di 4-5 anni che,<br />
oltre ai chili di troppo, oggi presentano una forma<br />
di diabete che finora era detta dell’adulto»,<br />
spiega Gentile, precisando che tuttavia «i dati del<br />
diabete di tipo 2 fra i bambini italiani ancora non<br />
esistono». E il medico cita la vicenda di un bimbo<br />
napoletano con valori talmente alterati da dove<br />
prendere un antidiabetico sciolto nel latte del<br />
biberon, a meno di due anni di età. Una situazione<br />
che si lega all’aumento di sovrappeso e obesità<br />
nei bambini. «E testimonia anche alcune rivoluzioni<br />
nello stile di vita dei nostri figli: dall’alimen-<br />
17 Diabetologia
Diabetologia 18<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
tazione sempre meno mediterranea, alle troppe<br />
ore passate davanti alla tv».<br />
Stando, poi, a un’indagine di Cegedim Strategic<br />
Data (Csd), presentata Milano durante un incontro<br />
promosso da Onda (Osservatorio nazionale<br />
sulla salute della donna) e Amd (Associazione<br />
medici diabetologi) si evince che le cure per il<br />
diabete in Italia sono tra le più arretrate d’Europa.<br />
Lo studio mostra che il nostro Paese è quello<br />
che ha maggiori difficoltà ad aprire le porte ai farmaci<br />
innovativi. L’indagine ha messo a confronto<br />
l’approccio prescrittivo in cinque paesi europei,<br />
attraverso le cartelle cliniche di oltre 4,5 milioni<br />
di pazienti raccolte attraverso i medici di medicina<br />
generale. È emerso che in Italia ad essere in<br />
cura con i farmaci innovativi sono appena l’1,5%<br />
dei malati di diabete di tipo 2 trattati con i farmaci<br />
più innovativi, a fronte del 15% registrato<br />
in Francia, Spagna, Germania e Gran Bretagna.<br />
Le ragioni del ritardo italiano, secondo Pasquale<br />
Palladino, managing director di Csd sono legate<br />
al persistere di«regolamentazioni e restrizioni alla<br />
loro prescrivibilità, parzialmente in via di superamento».<br />
Incide poi la paura dell’impatto economico<br />
della malattia, ma il costo del diabete, ricor-<br />
dano gli specialisti, «è prevalentemente a carico<br />
delle complicanze, mentre quello direttamente<br />
legato al trattamento con farmaci antidiabetici<br />
incide per meno del 10%».<br />
C’è poi la scarsa attenzione dedicata dalle aziende<br />
farmaceutiche alla comunicazione e formazione<br />
diretta ai medici in tema di diabete, quantificabile<br />
in poco più di 37 milioni di euro nel 2009<br />
meno della metà di quanto investito in Francia e<br />
Spagna, mentre in Gran Bretagna sono stati investiti<br />
oltre 100 milioni e in Germania oltre 123<br />
milioni di euro.<br />
Altra lacuna italiana quella che riguarda anche un<br />
piano nazionale dedicato, e una complessità legislativa<br />
che ha pochi eguali, con ben 132 normative<br />
regionali per la prevenzione e la gestione del<br />
diabete, spesso diverse tra loro e comunque insufficienti.<br />
Per assistere al meglio i pazienti diabetici, spiegano<br />
Sandro Gentile, presidente di Amd, e Franca<br />
Maria Mulas, consigliere nazionale dell’associazione,<br />
l’auspicio dei medici «è che si giunga presto<br />
a un’integrazione tra la rete di centri e la medicina<br />
del territorio, ma anche dei database esistenti per<br />
monitorare i risultati degli atti medici». (L.P.)
CARDIOLOGIA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
Il 46% delle persone che hanno un livello di colesterolo<br />
Ldl inferiore a 130 mg/dl può essere a<br />
rischio di infarto e ictus. Nove milioni di italiani,<br />
che in base a parametri tradizionali di rischio cardiovascolare<br />
sono a rischio medio, possono<br />
comunque incorrere in eventi acuti. In particolare<br />
2 milioni, che non si curano, sono ad alto<br />
rischio. Sono questi i risultati a cui è giunto lo<br />
studio Check, realizzato dall’Università di Milano<br />
in collaborazione con la Società Italiana Medicina<br />
Generale (Simg), i cui risultati sono pubblicati<br />
su Nutrition Metabolism and Cardiovascular<br />
Diseases.<br />
Una piccola rivoluzione nelle valutazioni dei<br />
rischi d’infarto. Lo studio spiega Alberico Catapano,<br />
farmacologo dell’ateneo milanese «è stato<br />
realizzato negli ultimi 8 anni analizzando sesso,<br />
età, istruzione, attività fisica, colesterolo di 7.000<br />
cittadini assistititi in 421 ambulatori di medici di<br />
famiglia di 16 regioni italiane. E sono stati anche<br />
prelevati e analizzati campioni di sangue. Cosa<br />
che ha permesso di fotografare il rischio cardiovascolare<br />
della popolazione italiana». Tale rischio<br />
è stato quindi valutato sia in base ai più noti fattori<br />
(fumo, colesterolo, pressione arteriosa, obesità,<br />
familiarità, età) sia in base ad altri parametri,<br />
come il grado di istruzione («chi non ha istruzione<br />
ha un rischio del 40% in più rispetto a un laureato»)<br />
o il dosaggio di proteine. «In particolare<br />
– afferma Catapano – è stato esaminata la presenza<br />
della proteina C reattiva nel sangue, prodotta<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Valutazione rischi d’infarto<br />
Piccola rivoluzione grazie allo studio Check<br />
Lo studio Check, realizzato dall’Università di Milano in collaborazione con la Società Italiana<br />
Medicina Generale (Simg), i cui risultati sono pubblicati su Nutrition Metabolism and<br />
Cardiovascular Diseases, ha messo in evidenza che anche chi ha un colesterolo Ldl inferiore<br />
a 130 può essere ad alto rischio infarto. Una piccola rivoluzione nelle valutazioni dei rischi<br />
d’infarto riconducibile ai livelli bassi prolungati nel tempo della proteina C reattiva nel sangue<br />
e alla sua interazione con alcuni tra i fattori di rischio più importanti, in particolare con quello<br />
dovuto al sovrappeso e al grasso viscerale.<br />
nel fegato e legata all’infiammazione, e si è visto<br />
che non sono tanto i suoi livelli alti a preoccupare,<br />
ma i livelli bassi prolungati nel tempo e la loro<br />
interazione con alcuni tra i fattori di rischio più<br />
importanti, in particolare con quello dovuto al<br />
sovrappeso e al grasso viscerale (girovita oltre 88<br />
cm nella donna e 102 nell’uomo). Accade così<br />
che anche chi ha un colesterolo Ldl inferiore a<br />
130 può essere ad alto rischio». «Attenzione, questa<br />
proteina non deve essere considerata causa di<br />
malattia né fattore di rischio, ma un parametro<br />
che consente di valutare meglio il rischio se concomitante<br />
con altri», precisa Catapano che, a<br />
domanda, consiglia il suo dosaggio «non a tutti,<br />
19 Cardiologia
Cardiologia 20<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
ma solo a coloro che sono a rischio medio secondo<br />
la carta del rischio».<br />
In base ai parametri del Rischio CardioVascolare<br />
Globale, l’81% della popolazione, oltre 48,5<br />
milioni di cittadini, ha rischio cardiovascolare<br />
basso. Solo il 4% (2,4 milioni) ha un rischio alto<br />
e assume farmaci a carico del Servizio Sanitario<br />
Nazionale; il 15%, quindi quasi nove milioni di<br />
persone, ha un rischio medio. Ma è proprio<br />
quest’ ultima la fascia di cittadini che, in base agli<br />
indici dallo studio Check sulla base dei valori<br />
riscontrati di proteina C reattiva, ha almeno in<br />
parte (2 milioni) un rischio elevato. Ecco in dettaglio<br />
alcuni risultati:<br />
COLESTEROLO – Il 46% delle persone che<br />
hanno un livello di colesterolo minore di 130<br />
mg/dl è a rischio.<br />
ISTRUZIONE – Chi non ha alcuna istruzione<br />
ha un rischio maggiore del 40% rispetto a chi è<br />
laureato e chi ha fatto le elementari ha un rischio<br />
del 20% maggiore di chi ha la licenza media, che<br />
a sua volta ha il 30% di rischio in più di chi è<br />
diplomato. È del 9% in più invece il rischio per<br />
chi è in possesso del diploma rispetto a chi ha<br />
proseguito gli studi universitari.<br />
ETÀ – Gli adulti tra 40 e 49 anni rischiano il<br />
70% in meno degli anziani tra 70 e 79. Tra 50 e<br />
59 anni si rischia il 30% in più di chi ha una decina<br />
di anni in meno; tra i 60 e i 69 anni si rischia<br />
il 12% in più di chi ha un’età tra 50 e 59 anni.<br />
Tra 60 e 69 anni si corre un rischio minore del<br />
20% rispetto a chi ha 10 anni in più.<br />
PESO – Tra le persone obese, con indice di massa<br />
corporea oltre 30, le donne hanno un rischio del<br />
58% maggiore rispetto agli uomini, mentre tra i<br />
normopeso sono gli uomini ad avere il 40% di<br />
rischio in più rispetto al gentil sesso. Tra i sovrappeso<br />
il rischio è del 20% in più per le donne.<br />
ATTIVITÀ FISICA E SESSO – Chi non svolge<br />
un’attività fisica ha il 30% in più di rischio rispetto<br />
a chi la svolge. Il rischio per le donne è del 9%<br />
in più di quello degli uomini.<br />
Allo studio Check, coordinato dall’Università di<br />
Milano, hanno partecipato 421 medici di famiglia<br />
in 16 regioni italiane che hanno reclutato<br />
quasi 7000 pazienti di età compresa fra i 40 e i<br />
79 anni. La regione col maggior numero di medici<br />
coinvolti è la Lombardia (94). Ha partecipato<br />
anche San Marino con cinque ambulatori. (Red.)<br />
LE ANTOCIANINE RIDUCONO I DANNI DELL’INFARTO<br />
Uno studio realizzato da un gruppo di esperti europei che hanno dato vita al Progetto Athena, ha<br />
verificato sull’uomo le proprietà delle antocianine, i pigmenti contenuti, tra le altre cose, nei frutti di<br />
bosco. Il lavoro scientifico, pubblicato sul Journal of Nutrition, ha dimostrato come il consumo regolare<br />
di queste sostanze sia in grado di ridurre del 30% il danno causato dall’infarto e aiuti il cuore a mantenersi<br />
più giovane. Rivelatrice è stata l’introduzione di antocianine nella dieta di ratti e topi.<br />
«Grazie a una serie di incroci con mais sudamericano accuratamente selezionato - spiega Chiara Tonelli,<br />
dell’Università degli Studi di Milano - abbiamo sviluppato due varietà di mais, blu e giallo, identiche in<br />
ogni nutriente e composto bioattivo, ad eccezione che nella presenza o meno di antocianine, permettendo<br />
così di ascrivere in modo inequivocabile a questa classe di pigmenti il ruolo cardioprotettivo".<br />
I risultati dello studio sono stati presentati in un convegno a Milano.<br />
Nel corso dei lavori sono stati anche diffusi dati sulla crescita nel consumo di prodotti come gli<br />
integratori alimentari, settore che vede l’Italia tra i Paesi leader con un incremento medio da qualche<br />
anno stabile intorno al 10%. Secondo il Cordis, servizio di informazione della Commissione Europea in<br />
materia di ricerca, nel mondo il mercato della nutraceica, disciplina che associa scienza dell’alimentazione<br />
e farmaceutica, vale ormai 50 miliardi di euro.
ENDOCRINOLOGIA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
21 Endocrinologia
Endocrinologia 22<br />
<strong>realtà</strong>medica
ENDOCRINOLOGIA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
Terenzio, commediografo latino, diceva: “Conosco<br />
il carattere delle donne: non vogliono quando<br />
tu vuoi, quando tu non vuoi sono le prime a<br />
volere”. Nietzsche, filosofo tedesco: “La donna fu<br />
il secondo errore di Dio”. Canetti, scrittore<br />
austriaco: “Delle donne non vince quella che corre<br />
dietro, né quella che scappa, vince quella che<br />
aspetta”. Italo Svevo: “È una delle grandi difficoltà<br />
della vita indovinare ciò che una donna vuole”.<br />
Potremmo raccogliere mille altre straordinarie e<br />
originali citazioni sulla donna, ma la donna è e<br />
rimarrà sempre un oggetto di meditazione e rivelazione.<br />
Una delle chiavi, che ci permettono di<br />
inquadrare alcuni aspetti della radiosa bellezza<br />
psicofisica della donna, è senza dubbio la sua ben<br />
determinata costellazione ormonica.<br />
Sono proprio gli ormoni femminili, cioè gli<br />
estrogeni e in particolare la follicolina a conferirle<br />
una mentalità romantica, ipercritica, passionale,<br />
libera, intuitiva. Il maschio per il suo aspetto<br />
somatico virile, sicuro dell’azione degli ormoni<br />
maschili stimolanti e prepotenti, attraverso i quali<br />
si è formato un carattere forte ed ha acquisito una<br />
personalità intraprendente, è convinto che la<br />
donna è generalmente suggestionabile, remissiva,<br />
dai toni affettivi facilmente orientabili, scevra da<br />
atteggiamenti di ribellione, quindi malleabile e<br />
modellabile. Non c’è nulla di più errato. Questi<br />
convincimenti sono soltanto reazioni idealistiche.<br />
La mentalità della donna è di tipo prettamente<br />
anarcoide. La sua insofferenza alle imposizioni<br />
sentimentali e comportamentali, e a tutto ciò che<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Romanticismo, passione, libertà:<br />
i prodotti ormonali della donna<br />
di Delfo Galileo Faroni*<br />
Il maschio, per il suo aspetto somatico virile, sicuro dell’azione degli ormoni stimolanti e<br />
prepotenti, è convinto che la donna sia remissiva, malleabile e modellabile. Non c’è nulla di<br />
più errato. Questi convincimenti sono soltanto reazioni idealistiche.<br />
* Reumatologo, Presidente INI, <strong>Istituto</strong> <strong>Neurotraumatologico</strong> <strong>Italiano</strong><br />
23 Endocrinologia
Endocrinologia 24<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
tende a limitare la libertà di pensare e di azione<br />
secondo il proprio giudizio, la porta a reazioni<br />
psicologiche ingannevoli, che possono manifestarsi<br />
o in uno stato di sgradevole sopportazione<br />
verso il maschio, venendo meno alla fiducia data,<br />
o a compiere atti di infedeltà o tradimento verso<br />
il partner che ha scelto. Sulla suggestionabilità c’è<br />
da osservare che agire sul suo inconscio, cercando<br />
di indurla a fare cose che altrimenti non farebbe,<br />
è cosa molto difficile, vista la sua stabile e persistente<br />
lucidità mentale.<br />
La timidezza, la fedeltà, il potere seducente, possono<br />
essere, entro certi limiti, sentimenti profondi<br />
nella donna, ma a condizione che sia sinceramente<br />
innamorata del proprio uomo, lo trovi<br />
ardente in amore, intellettuale, intelligente,<br />
signorile, simpatico. La donna deve essere consapevole<br />
di questi valori, della costanza di essi. Un<br />
proverbio greco dice: “La donna ama nella misura<br />
in cui vede l’amato davanti”.<br />
Soltanto queste magiche qualità dell’uomo possono<br />
evitare l’affiorare dei suoi istinti malvagi. Se<br />
poi la donna viene meno al concetto di fedeltà,<br />
perdendo pudore e ritegno, vuol dire che è stata<br />
ferita nel proprio orgoglio. Del resto diceva Plauto:<br />
“L’amore può produrre molto miele o fiele”.<br />
C’è poi la presunzione dell’uomo di valutare in<br />
forma pessimistica il livello di intelligenza della<br />
donna. Questa opinione relativistica viene però<br />
smentita dai test comparativi fra i due sessi. L’uomo<br />
si affida troppo alle proprie capacità intellettive<br />
e ideative. Ma c’è un’altra considerazione da<br />
fare: all’acutezza dell’ingegno la donna unisce<br />
sempre un pizzico di sottile astuzia e di malizia,<br />
e queste sono capacità istintive che l’uomo non<br />
potrà mai imitare.<br />
Basta cosi, grazie per l’attenzione.
NEFROLOGIA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
Il letargo dell’orso:<br />
un meraviglioso enigma<br />
per il nefrologo e non solo<br />
di Guido Baldinelli*<br />
Il letargo fa parte di un comportamento animale<br />
finalizzato a superare la stagione invernale in cui<br />
fa freddo ed è diminuita la disponibilità di cibo.<br />
Con il letargo l’animale dorme in una tana e<br />
quindi ha bisogno di poca energia. Si abbassa la<br />
frequenza cardiaca, diminuisce la temperatura<br />
corporea, diminuisce la frequenza respiratoria, si<br />
abbassa notevolmente il metabolismo basale: è un<br />
po’ come un motore che sta acceso ma al minimo<br />
dei giri; così l’animale riesce a sopravvivere efficacemente<br />
a momenti di lunga deprivazione del<br />
cibo. Vanno in letargo soprattutto rettili, anfibi e<br />
mammiferi. Non vanno in letargo gli uccelli perché<br />
volando possono migrare e quindi sfuggire a<br />
climi avversi: le rondini svernano in Africa per<br />
poi tornare a primavera in Europa. L’orso bruno<br />
Marsicano che popola le terre d’Abruzzo va in<br />
letargo, come tutti i suoi parenti orsi, per circa 5<br />
mesi durante l’inverno. In autunno diventa iperfagico,<br />
ingerisce anche 15.000 calorie al dì, per<br />
aumentare le sue scorte di grasso bruno, quel tipo<br />
di grasso che possiedono in quantità notevole<br />
solo gli animali ibernanti e che è deputato solo<br />
alla termogenesi (produzione di calore) e non al<br />
funzionamento dei muscoli. L’orso quindi si fa<br />
una vera e propria riserva di calorie, per dirla in<br />
parole semplici riempie il serbatoio di benzina.<br />
Questo è possibile grazie ad un aumento dell’in-<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Il letargo dell’orso è un magnifico modello biologico da cui abbiamo ancora moltissimo da<br />
imparare: per 5 mesi non beve e non urina e non va in insufficienza renale; per cinque mesi<br />
sta immobile e non va soggetto a osteoporosi o a ipotrofia muscolare o a flebo trombosi con<br />
conseguente embolia polmonare; è capace di diventare obeso ed iperinsulinemico senza<br />
sviluppare arteriosclerosi.<br />
sulina e della resistenza all’insulina che permette<br />
l’accumulo dei grassi. Per inciso l’insulinorestenza<br />
è la base patogenetica di quella malattia purtroppo<br />
epidemica nell’uomo moderno, la sindrome<br />
metabolica, che comporta ipertensione arteriosa,<br />
obesità viscerale (la pancia), diabete e ipercolesterolemia.<br />
A novembre si avvicina ad una tana scelta in un<br />
posto molto nascosto e tranquillo e lì si sistema<br />
per il lungo sonno invernale. La temperatura corporea<br />
si abbassa a circa 30 gradi, la frequenza cardiaca<br />
a 10 battiti al minuto (contro i 40), diminuisce<br />
la frequenza del respiro, si abbassa il metabolismo<br />
basale del 40%, non mangia e non defeca<br />
e soprattutto quello che sta interessando in<br />
maniera straordinaria il nefrologo per 5 mesi non<br />
beve e non urina. L’uomo pur potendo sopravvivere<br />
anche qualche settimane senza mangiare non<br />
riesce andare oltre i tre giorni senza bere. Esempio<br />
ne sono i naufraghi su una scialuppa di salvataggio<br />
che muoiono per disidratazione e per<br />
insufficienza renale acuta. Gli orsi invece per uno<br />
straordinario adattamento della funzione renale<br />
riescono a non bere per 5 mesi. E ancor di più<br />
straordinario, prelievi di sangue eseguiti durante<br />
l’ibernazione mostrano valori di azotemia anche<br />
più bassi della norma. I nefrologi stanno studiando<br />
attentamente questo fenomeno e per ora que-<br />
* Nefrologo del Reparto di Dialisi, <strong>Istituto</strong> <strong>Neurotraumatologico</strong> <strong>Italiano</strong>, Divisione Medicus Tivoli (Roma)<br />
25 Nefrologia
Nefrologia 26<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
sto è quello che abbiamo capito. Innanzi tutto<br />
diminuendo il metabolismo dell’animale diminuiscono<br />
anche le scorie azotate (urea) prodotte.<br />
Diminuisce del 70% il GFR (filtrato renale glomerulare),<br />
cioè la quantità di sangue che viene filtrato<br />
dai glomeruli. Poi quasi tutta questa preurina<br />
viene riassorbita lungo il tubulo renale.<br />
Quella poca che transita oltre il tubulo e arriva in<br />
vescica, lì viene riassorbita. Ovviamente anche<br />
l’urea, prodotto finale di scarto del metabolismo<br />
azotato, viene riassorbita. E qui sta il punto essenziale<br />
che ogni nefrologo vorrebbe imparare a<br />
riprodurre nell’uomo per salvarlo dalla insufficienza<br />
renale e dalla necessità della dialisi. L’urea<br />
passando nell’intestino viene degradata dalla flora<br />
intestinale ad azoto che può essere nuovamente<br />
riutilizzato dall’organismo: un ecosistema quindi<br />
in cui le proteine non si sprecano mai.<br />
Il metabolismo dell’orso in letargo è tutto basato<br />
sul catabolismo del grasso, soprattutto del grasso<br />
bruno accumulato in autunno che è deputato<br />
esclusivamente a produrre calore e non energia<br />
come il grasso bianco che serve per contrarre i<br />
muscoli. Prodotto finale del metabolismo dei<br />
grassi è anche l’acqua che quindi viene a compensare<br />
il fatto che l’orso in letargo non beve.<br />
L’abilità a evitare l’aumento dell’azotemia durante<br />
il letargo, periodo in cui non beve e non urina,<br />
è una spettacolare conquista metabolica del<br />
mammifero orso. Nell’uomo si può anche rallentare<br />
l’uremia (letteralmente urina nel sangue) prescrivendo,<br />
come faccio io tutti i giorni, diete ipoproteiche,<br />
cioè a basso contenuto di proteine.<br />
Però queste diete riescono solo a diminuire la formazione<br />
di urea e assolutamente non favoriscono<br />
il riciclo intestinale dell’urea. Importanti studi<br />
sono necessari per comprendere e poi imitare i<br />
meccanismi con cui l’orso, pur non eliminando<br />
urina, evita l’insufficienza renale. E per concludere...ho<br />
chiesto a mia figlia, veterinaria, di spiegarmi<br />
questo fenomeno e mi ha risposto “ ma<br />
papà l’orso ha imparato questi meccanismi biochimici<br />
seguendo un’evoluzione di centinaia di<br />
migliaia di anni”.<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
- Peter Stenvinkel1, Alkesh H Jani and Richard<br />
J Johnson2. Hibernating bears (Ursidae):<br />
metabolic magicians of definite interest for the<br />
nephrologist. Kidney International 2013; 83<br />
- Brown DC, Mulhausen RO, Andrew DJ et al.<br />
Renal function in anesthetized dormant and<br />
active bears. Am J Physiol 1971; 220<br />
- Nelson R, Wahner HW, Jones JD et al. Metabolism<br />
of bears before, during, and after winter<br />
sleep. Am J Physiol 1973; 224<br />
- Palumbo PJ, Wellik DL, Bagley NA et al.<br />
Insulin and glucagon responses in the hibernating<br />
black bear. Int Conf Bear Res and Manag<br />
1983; 5<br />
Un magnifico esemplare di orso marsicano: da studi<br />
sulle impronte e sulle feci si stima che nel nostro<br />
Appennino centrale, specialmente concentrati nel<br />
Parco Nazionale d’Abruzzo siano presenti circa 50<br />
esemplari.
NEFROLOGIA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
L’orsa partorisce durante il letargo invernale così da potersi trovare pronta a primavera per l’allevamento<br />
dei cuccioli.<br />
L’orso durante il letargo per 5 mesi non mangia e non defeca, non beve e non urina, non si muove e non va<br />
soggetto a osteoporosi: un esempio da studiare per poi poter curare molte malattie dell’uomo (insufficienza<br />
renale, diabete tipo 2, osteoporosi, atrofia muscolare).<br />
27 Nefrologia
Management Sanitario 28<br />
<strong>realtà</strong>medica
MANAGEMENT SANITARIO Realtà Medica 2000 - n.1/2013<br />
L’importanza della figura<br />
infermieristica: il Case manager 1<br />
di Federica Ederli*<br />
L’evoluzione dei bisogni sanitari e di quelli sociali<br />
avvenuta nel corso degli ultimi decenni ha richiesto<br />
un cambiamento radicale delle politiche di<br />
intervento e della struttura dei servizi sanitari e<br />
sociali. Tre fattori hanno contribuito a produrre<br />
il mutato scenario col quale il sistema complessivo<br />
di intervento deve misurarsi.<br />
In primo luogo l’allungamento della vita, che,<br />
associato alla bassa natalità, ha comportato un<br />
progressivo invecchiamento della popolazione. In<br />
secondo luogo, il complesso degli effetti prodotti<br />
dal miglioramento del tenore di vita, dal mutato<br />
stile di vita della popolazione e dai progressi compiuti<br />
dalla medicina. Se da un lato questi cambiamenti<br />
hanno favorito la riduzione della mortalità<br />
per patologie acute, dall’altro hanno comportato<br />
l’aumento delle malattie croniche, patologie che<br />
aumentano con l’età: 30% nella fascia di età 25-<br />
44 anni; 88% negli over 75.<br />
Il nuovo scenario sociosanitario è condizionato,<br />
infine, dal mutamento della struttura familiare. Il<br />
sistema di assistenza tradizionale, che affidava in<br />
larga misura le risposte sanitarie e assistenziali<br />
rispettivamente all’ospedale e alla famiglia, non è<br />
in grado di rispondere ai bisogni attuali di salute.<br />
L’adozione da parte dei servizi sanitari e sociali di<br />
modelli di intervento commisurati ai cambiamenti<br />
sociali e sanitari è stata oggetto, nei paesi<br />
occidentali, di riforme e di iniziative innovative a<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
In un periodo di contenimento dei costi e di budget limitati, di degenze medio brevi e di super<br />
specializzazione medica ad alta tecnologia, va rivisto e ridefinito il ruolo dell’infermiere; un<br />
ruolo ampio, riconosciuto come strategia per migliorare il sistema sanitario al fine di renderlo<br />
accessibile a un numero sempre maggiore di popolazione e sempre più vicino a dove è necessario.<br />
* Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche<br />
1 Parte prima<br />
livello locale e regionale. In generale, si tratta di<br />
interventi orientati alla costruzione di un sistema<br />
articolato, coordinato e integrato di risposte<br />
(strutture, servizi e attività) a diversa intensità<br />
sanitaria e sociale, capaci di incontrare i diversificati<br />
bisogni dei singoli e della collettività. I sistemi<br />
sanitari dei paesi industrializzati sono uniformemente<br />
interessati da un processo di progressiva<br />
specializzazione dei servizi ospedalieri, verso un<br />
aumento della capacità di risposta ad emergenze<br />
cliniche, problemi acuti, interventi diagnostici e<br />
terapeutici ad alta complessità. Contestualmente<br />
si sta registrando un progressivo aumento delle<br />
problematiche legate alla disabilità e a malattie<br />
croniche, che determinano una crescente domanda<br />
di servizi di assistenza a lungo termine e a basso<br />
contenuto sanitario.<br />
I due fenomeni possono essere considerati<br />
entrambi conseguenza dello sviluppo della scienza<br />
medica, che ci impone, quindi, di affrontare<br />
non solo il problema della specializzazione tecnologica<br />
dell’ospedale del futuro, ma anche quello<br />
di organizzare e gestire modelli di “long-term<br />
care” in ambienti sempre più professionali.<br />
Il crescente bisogno di servizi assistenziali per<br />
cure a lungo termine è condizionato da quattro<br />
determinanti fondamentali:<br />
• l’invecchiamento generale della popolazione;<br />
29 Management Sanitario
Management Sanitario 30<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
• lo specifico aumento dell’aspettativa di vita<br />
media dei pazienti affetti da malattie croniche<br />
e disabilitanti;<br />
• la riduzione della potenzialità di assistenza<br />
informale da parte dei nuclei familiari;<br />
• la progressiva evoluzione del sistema ospedaliero<br />
verso l’assistenza agli acuti con livelli sempre<br />
più spinti di specializzazione e tecnologia.<br />
Nel corso degli ultimi anni si è registrata peraltro<br />
una progressiva riduzione del numero medio dei<br />
membri dei nuclei familiari e un aumento del<br />
lavoro femminile con la conseguente caduta dell’assistenza<br />
informale familiare. È inoltre aumentata<br />
la consapevolezza dei bisogni e la gamma<br />
degli interventi clinico-terapeutici realizzabili a<br />
domicilio e nelle fasi post-acute, con necessità di<br />
un approccio più professionale alle cure domiciliari.<br />
Per questi motivi, anche se si è registrato un<br />
generale miglioramento delle condizioni igieniche<br />
delle abitazioni, l’assistenza a domicilio è<br />
divenuta più complessa e condizionata dalla<br />
necessità di forti supporti esterni.
MANAGEMENT SANITARIO Realtà Medica 2000 - n.1/2013<br />
A questi fattori di ordine demografico e sociale si<br />
sono poi sovrapposte le nuove strategie organizzative<br />
degli ospedali, sempre più orientate alla<br />
gestione delle fasi acute di malattia o di interventi<br />
diagnostico-terapeutici di elevata complessità ed<br />
impegno.<br />
Queste dinamiche hanno subito una accelerazione<br />
a seguito della introduzione dei sistemi di<br />
finanziamento ospedaliero basati sui DRG, o<br />
comunque su sistemi che incentivano la massima<br />
efficienza interna e la rapida dimissione dei<br />
pazienti. Le modifiche della attività ospedaliera<br />
non riguardano soltanto la durata della degenza,<br />
ma anche la selezione della casistica e l’incremento<br />
del case mix, ed hanno finito per modificare la<br />
stessa struttura organizzativa dell’ospedale. Come<br />
conseguenza di ciò le strutture ospedaliere tendono<br />
ora sempre più ad evitare pazienti con necessità<br />
di cure a lungo termine e a bassa complessità<br />
clinica, anche perché la loro organizzazione non<br />
ne consente una gestione efficace ed efficiente.<br />
Nei prossimi decenni saremo chiamati ad affrontare<br />
un crescente problema di assistenza a lungo<br />
termine, non solo prevedendo una maggiore spesa<br />
su questo versante, ma anche specializzando le<br />
risposte e riorganizzandone le funzioni e le relazioni<br />
operative con il sistema ospedaliero. Sul versante<br />
delle specializzazioni, che presuppone lo<br />
studio di tipologie edilizie, percorsi assistenziali,<br />
formazione specifica del personale, appare cruciale<br />
la adozione di un sistema di finanziamento<br />
basato sul “case-mix” dei pazienti assistiti, da realizzare<br />
con particolare attenzione al carico assistenziale,<br />
più che alla diagnosi clinica.<br />
È necessario inoltre prevedere la diffusione di<br />
strutture destinate alla gestione professionale di<br />
specifici problemi, come gli Hospice per i pazienti<br />
neoplastici, Nuclei assistiti Speciali per pazienti<br />
Alzheimer, strutture per pazienti in coma prolungato.<br />
Il problema del collegamento di queste strutture<br />
con il sistema ospedaliero è di tipo strutturale e<br />
organizzativo. Se la loro localizzazione più ade-<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
guata appare fuori dall’ospedale, si ritiene strategico<br />
che esse mantengano con l’ospedale una<br />
connessione funzionale, nell’ambito di programmi<br />
di Disease Management che garantiscano<br />
continuità assistenziale, appropriatezza della cura<br />
e garanzia dei livelli essenziali necessari.<br />
La “modernità“ della figura infermieristica si<br />
caratterizza per un costante incremento della<br />
complessità che, in campo socio-sanitario, si<br />
esprime sempre più attraverso una serie di nuove<br />
tendenze e cambiamenti a livello istituzionale.<br />
In campo sanitario, i motivi di tale trasformazione<br />
sociale sono da ricercare: nella crescente diversificazione<br />
assistenziale legata all’evoluzione epidemiologica;<br />
nello sviluppo e nella diffusione dei<br />
servizi territoriali, orientati sempre più verso i cittadini;<br />
nella delocalizzazione del processo decisionale<br />
di tipo assistenziale e clinico; nello sviluppo<br />
dell’informatica, che ha inevitabilmente comportato<br />
cambiamenti anche sul piano organizzativo;<br />
nell’accorciamento dei tempi di ospedalizzazione;<br />
nella presenza di personale assistenziale<br />
ausiliario (OTA e OSS) un tempo marginale; nel<br />
sempre maggior interesse nel valutare le informazioni;<br />
nella presenza di attività formative sul campo<br />
(ECM) e, per finire, nella settorializzazione<br />
delle competenze.<br />
La credibilità dell’infermiere moderno e di conseguenza<br />
l’avanzamento della professione, dipende<br />
dalla capacità di riconoscere i bisogni della<br />
popolazione e dalla tempestività nella risposta ad<br />
essi oltre che dalla qualità e dall’ampiezza della<br />
stessa.<br />
In un periodo di contenimento dei costi e di<br />
budget limitati, di degenze medio brevi e di super<br />
specializzazione medica ad alta tecnologia, probabilmente<br />
implica anche la revisione e la definizione<br />
di un nuovo ruolo dell’Infermiere, un ruolo<br />
ampio, riconosciuto, come strategia per migliorare<br />
il sistema sanitario al fine di renderlo accessibile<br />
a un numero sempre maggiore di popolazione<br />
e sempre più vicino a dove è necessario.<br />
L’introduzione di nuovi approfondimenti, di<br />
31 Management Sanitario
Management Sanitario 32<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
nuove funzioni e di nuovi ruoli probabilmente<br />
potrebbe anche rendere necessario il demandare<br />
o delegare ad altri operatori della salute, attività<br />
che fino a oggi sono state del campo degli Infermieri.<br />
Il passaggio da un ruolo infermieristico legato al<br />
modello biomedico a un modello infermieristico<br />
autonomo che si prende carico dell’assistenza<br />
considerata nel suo interno, trasversale a sintomi<br />
e apparati e non focalizzata solo sulla malattia,<br />
inserita nell’ambiente circostante avulsa da quanto<br />
la persona considera famiglia e importante per<br />
il proprio benessere, richiede maturità della professione,<br />
dibattito nelle professioni. Richiede di<br />
essere sostenuta con dati, frutto di ricerca e preparazione<br />
oltre che da modelli organizzativi del<br />
lavoro diversi da quello per compiti, ancora troppo<br />
spesso in uso nella vita ospedaliera italiana.<br />
Richiede un linguaggio comune e una documentazione<br />
mirata come strumento di lavoro legata a<br />
modelli organizzativi appropriati e non solo<br />
come riporto di meri compiti e scarne attività<br />
eseguite. Questo passaggio impone una visione<br />
dove la malattia non è il fattore principale, ma un<br />
momento del qui e ora della linearità della vita;<br />
richiede uno sforzo per una visione assistenziale<br />
veramente basata sul meta paradigma infermieristico<br />
una “Care” centrata sull’Uomo - paziente -<br />
persona e pianificata per migliorare la qualità della<br />
salute e della vita oltre che la capacità funzionale,<br />
espone la professione infermieristica a interrogarsi<br />
sul proprio ruolo, sul significato di una<br />
espansione delle barriere del proprio campo riconosciuto.<br />
Campo spesso molto legato a quello<br />
dell’area professionale dipendente e sui limiti dello<br />
stesso oltre che sulle conoscenze e sulle derivanti<br />
competenze necessarie per questo avanzamento<br />
al fine di mettere in atto una professione<br />
autonoma dove è proprio questa parte a influenzare<br />
quella dipendente e quella collaborativi/<br />
interdipendente e non il contrario. (1. Segue)
SOCIETÀ Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
Le donne come “motore”<br />
della promozione della salute *<br />
Quest’anno il Cnesps-Iss (Centro nazionale di<br />
Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della<br />
Salute dell’<strong>Istituto</strong> Superiore di Sanità) ha pensato<br />
di dedicare la Giornata internazionale della<br />
donna (8 marzo) – celebrata in tutto il mondo<br />
per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed<br />
economiche delle donne, sia le discriminazioni e<br />
le violenze di cui sono ancora fatte oggetto – a<br />
una serie di riflessioni sul loro ruolo nella prevenzione<br />
e promozione della salute e sul sussistere di<br />
disuguaglianze. Questa giornata non deve essere<br />
un momento isolato ma fare da volano per ricordare<br />
i progressi raggiunti in diversi ambiti (economici,<br />
politici e sociali) e per spronare la “continuità”<br />
degli interventi per raggiungere obiettivi<br />
futuri.<br />
OBIETTIVO DONNA:<br />
L’OFFERTA ATTIVA PER<br />
SVILUPPARE COMPETENZE<br />
Nell’ampio mondo della prevenzione e della promozione<br />
della salute, quando si definiscono strategie<br />
di intervento, è importante cercare di identificare<br />
le priorità: in quali gruppi di popolazione<br />
e in quali momenti della vita si può avere la più<br />
alta resa dell’investimento (umano, economico o<br />
sociale che sia)? In quest’ottica, non vi è dubbio<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Anche se le condizioni di salute delle donne sono migliorate nel tempo e in quasi tutti i Paesi<br />
del mondo, persistono differenze tra uomini e donne (e per gruppi, all’interno di ciascun<br />
genere) che spesso nascondono iniquità evitabili, legate alla diversa posizione sociale,<br />
all’accesso alle risorse, alle regole sociali. Inoltre, il ruolo diverso assunto dalle donne nella<br />
società e il loro sempre maggior contributo al mondo del lavoro le ha portate spesso ad<br />
assumere comportamenti e stili di vita che possono influenzare la loro salute. Di seguito<br />
riportiamo la sintesi di quanto realizzato dal Centro nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza<br />
e Promozione, tratto dal sito dell’<strong>Istituto</strong> superiore di Sanità, che si ringrazia.<br />
* A cura del reparto di Salute della donna e dell’età evolutiva, Cnesps-Iss<br />
che le donne costituiscano uno dei target prioritari<br />
poiché il loro naturale ruolo sociale (fulcro<br />
delle relazioni familiari) il loro vivere importanti<br />
esperienze di cambiamento nel corso della vita<br />
(come il periodo della gravidanza) e l’essere generalmente<br />
più attente alla propria salute rispetto<br />
agli uomini, le rende soggetti privilegiati, in grado<br />
di recepire, favorire e “irradiare” verso gli altri<br />
scelte e stili di vita salutari.<br />
Il movimento delle donne agli inizi degli anni ‘70<br />
ha anticipato la “visione” della Carta di Ottawa,<br />
affermando con straordinaria forza il diritto alla<br />
presa di parola e all’autodeterminazione con la<br />
proposizione del punto di vista “di genere”. La<br />
Carta di Ottawa (presentata a novembre 1986<br />
dall’Oms) propone infatti una definizione dinamica<br />
della salute, iscritta nel contesto sociale<br />
come bene comune: la salute come capacità di<br />
controllo del proprio stato da parte delle persone<br />
e delle comunità per scelte autonome. In questo<br />
contesto è nata l’idea di servizi consultoriali con<br />
competenze multidisciplinari per la promozione<br />
della salute, servizi radicalmente innovativi nello<br />
scenario tradizionale e la legislazione di quegli<br />
anni (legge 405/75 e legge 194/78) riflette proprio<br />
questa potente spinta. Le ricerche epidemiologiche<br />
confermano sistematicamente quanto<br />
paghi l’investimento sulla promozione delle competenze<br />
delle donne, oltre a quanto siano fertili<br />
33 Società
Società 34<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
le loro potenzialità. Il Progetto obiettivo materno<br />
infantile (Pomi), varato nel 2000, è sotteso da<br />
questa “visione” di salute pubblica mirando ad<br />
attivare processi decisionali autonomi e consapevoli,<br />
secondo un approccio non direttivo ma orizzontale.<br />
Promuovere la salute implica l’adozione di strategie<br />
operative con obiettivi misurabili riguardanti<br />
la popolazione nella sua globalità, con il cardine<br />
epidemiologico della conoscenza delle articolazioni<br />
sociali della popolazione stessa e delle corrispondenti<br />
articolazioni del rischio (nella consapevolezza<br />
che quelle sociali sono le “cause dietro<br />
le cause” determinanti lo stato di salute). Il cardine<br />
epidemiologico implica conseguentemente<br />
il cardine operativo dell’offerta attiva (nella consapevolezza<br />
che i più difficili da raggiungere sono<br />
generalmente affetti da deprivazione sociale e,<br />
pertanto, a più alto rischio). Al fine di promuovere<br />
un ripensamento individuale e comunitario<br />
sul vissuto quotidiano e sulla memoria storica, e<br />
sviluppare nuove consapevolezze e competenze,<br />
è infatti fondamentale utilizzare un processo<br />
comunicativo che sfrutti sinergicamente tutti i<br />
potenziali canali operanti (da quelli istituzionali<br />
a quelli già operanti all’interno della comunità)<br />
con modalità tarate sulle specifiche caratteristiche<br />
delle persone e dei gruppi di popolazione da<br />
coinvolgere.<br />
In generale, al modello sociale di salute corrisponde<br />
un modello di welfare basato sulla partecipazione<br />
e sull’empowerment, in alternativa al<br />
tradizionale, dominante, modello paternalistico<br />
direttivo. Nella sanità pubblica far emergere le<br />
competenze potenziali, valorizzarle, promuoverle,<br />
sostenerle e proteggerle è la chiave di volta per la<br />
promozione della salute, delle donne e di tutta la<br />
collettività, intesa secondo la Carta di Ottawa.<br />
PROMOZIONE DELLA<br />
SALUTE RIPRODUTTIVA<br />
Promuovere la salute riproduttiva e valutare l’efficacia<br />
dei percorsi assistenziali offerti durante il<br />
percorso nascita è indice di qualità dell’assistenza<br />
sanitaria di un Paese. In Italia numerose sono le<br />
iniziative avviate nell’ambito della salute riproduttiva<br />
volte non solo a prevenire gli eventi avversi,<br />
ma anche a ridurre l’eccesso di medicalizzazione,<br />
a coinvolgere le donne nella scelta dei percorsi<br />
assistenziali e a promuovere la loro appropriatezza.<br />
IL PERCORSO NASCITA:<br />
UNA GRANDE OPPORTUNITÀ<br />
PER PROMUOVERE LA SALUTE<br />
Gli interventi di promozione della salute che<br />
riguardano le donne in età riproduttiva permettono<br />
di massimizzare i risultati con un impiego<br />
di risorse limitato. Grazie alla centralità del ruolo<br />
della donna nella famiglia, questi interventi promuovono<br />
la salvaguardia della salute delle donne,<br />
ma anche della famiglia e della comunità in senso<br />
più ampio. Considerata l’opportunità offerta dai<br />
contatti ripetuti tra madre e personale socio-sanitario<br />
coinvolto nell’assistenza al percorso nascita,<br />
è strategico programmare interventi di promozione<br />
della salute dedicati alle tematiche di interesse<br />
per le donne. Come non vedere allora nel percorso<br />
nascita una grande opportunità per realizzare<br />
interventi di prevenzione e di promozione della<br />
salute?<br />
LA PERSISTENZA<br />
DI DISUGUAGLIANZE<br />
Un focus specifico nella salute delle donne (e di<br />
tutti i cittadini) deve essere mantenuto per il<br />
monitoraggio delle disuguaglianze che si continuano<br />
a osservare, in base all’area di residenza,<br />
alle condizioni socio-economiche, allo status di<br />
migrante, anche nel territorio italiano. Spesso<br />
queste condizioni di vulnerabilità interagiscono<br />
nell’aggravare le possibilità delle donne di accedere<br />
alle opportunità di assistenza e di beneficiare<br />
così del loro maggior potenziale di salute. Un<br />
esempio di queste difficoltà e “mancate opportu-
SOCIETÀ Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
nità” si riscontra tra le donne immigrate nel<br />
nostro Paese le quali, però, dimostrano anche che<br />
quando sono messe in grado di esprimere le loro<br />
capacità raggiungono risultati simili a quelli<br />
osservati nelle italiane.<br />
SALUTE DELLE DONNE<br />
E DEI BAMBINI MIGRANTI<br />
Negli ultimi anni si è potuto osservare, sia a livello<br />
internazionale che locale, il rafforzamento del<br />
processo di femminilizzazione dei flussi migratori<br />
che ha comportato un progressivo aumento della<br />
componente femminile della popolazione straniera.<br />
Un’evidente ricaduta della consistente presenza<br />
femminile straniera, che si caratterizza<br />
anche per la giovane età, è osservabile sulla natalità.<br />
A fronte di questa situazione aumenta sempre<br />
più l’attenzione per la tutela della maternità<br />
tra le immigrate che partoriscono in Italia.<br />
L’USO DEI FARMACI<br />
NELLA POPOLAZIONE<br />
FEMMINILE IMMIGRATA<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Il 56% delle donne immigrate e il 64% delle italiane<br />
ha ricevuto almeno una prescrizione nel<br />
corso dell’anno. Le differenze di prevalenza d’uso<br />
si riducono per le donne di età compresa fra 25 e<br />
44 anni. Inoltre, tranne che nei bambini di età<br />
inferiore a 15 anni, le donne immigrate hanno<br />
35 Società
Società 36<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
un consumo di farmaci superiore a quello degli<br />
uomini immigrati. In termini di impatto di spesa<br />
farmaceutica Ssn, le donne immigrate hanno<br />
avuto una spesa procapite di 74 euro contro i 101<br />
delle italiane. Sono alcuni dei dati che emergono<br />
da un’indagine sulla prescrizione farmaceutica<br />
nella popolazione immigrata a cui ha partecipato<br />
anche il Cnesps-Iss.<br />
DONNE, ATTENZIONE<br />
ALLA CLAMIDIA<br />
In Italia, come in Europa, è la Clamidia l’infezione<br />
sessualmente trasmessa (Ist) più diffusa, fra<br />
quelle batteriche. Particolarmente grave il fatto<br />
che colpisce principalmente donne giovani (
SOCIETÀ Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
dalismo; azioni agite o subite sotto l’influenza<br />
della sostanza psicoattiva legale più diffusa e tollerata<br />
dalla società.<br />
ANDAMENTI DI INCIDENZA<br />
E MORTALITÀ PER<br />
CERVICOCARCINOMA IN ITALIA<br />
Le tendenze temporali di incidenza e mortalità<br />
per cervicocarcinoma stimate in Italia dal 1980<br />
al 2012 risultano in forte riduzione in tutto il<br />
Paese presentando, però, delle differenze tra le<br />
diverse aree territoriali. Questi andamenti, in<br />
linea con altri Paesi Europei, riflettono l’incremento<br />
nel ricorso al pap test a partire dal 1994<br />
da attribuire, almeno in parte, all’effetto delle<br />
campagne di screening che si sono andate consolidando<br />
sul territorio nazionale. Sempre più<br />
importante appare quindi promuovere la diffusione<br />
e la conformità ai programmi di prevenzione<br />
dei tumori femminili in modo omogeneo sul<br />
territorio.<br />
IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE<br />
NELLA DONNA<br />
Le donne presentano malattie cardiovascolari con<br />
un ritardo di almeno 10 anni rispetto agli uomini,<br />
hanno complessivamente meno eventi ma di<br />
tipo più grave. Il quadro clinico non è così evidente<br />
come quello degli uomini: spesso il dolore<br />
manca, è localizzato in altra sede ed è confuso<br />
con quello derivato da altre patologie. Fino alla<br />
menopausa le donne sono aiutate dalla protezione<br />
ormonale; dopo, passato un periodo di esposizione<br />
che si aggira intorno ai 10-15 anni, le<br />
donne vengono colpite addirittura più degli<br />
uomini da eventi cardiovascolari. Sulla base dei<br />
dati raccolti nell’ambito dell’Osservatorio epidemiologico<br />
cardiovascolare (Oec)/Health Examination<br />
Survey (Hes), indagine condotta dal 2008<br />
al 2012 sullo stato di salute degli italiani, sono<br />
state raccolte diverse informazioni sul profilo di<br />
rischio delle donne in menopausa.<br />
ESSERE DONNA,<br />
UN VANTAGGIO DA DIFENDERE<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Un vantaggio da difendere e, in parte, ancora da<br />
conquistare con un impegno sia individuale che<br />
collettivo. L’approccio di genere alla salute si colloca<br />
infatti all’interno di una strategia di azioni<br />
intersettoriali, capaci di incidere sui determinati<br />
della salute e di contrastare le disuguaglianze in<br />
coerenza con l’approccio più generale della salute<br />
in tutte le politiche.<br />
37 Società
POLITICHE SOCIALI Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
Welfare, gli italiani ne chiedono<br />
uno nuovo<br />
Cresce la sfiducia dei cittadini nell’attuale sistema<br />
di welfare: il 63% ritiene che non offre una buona<br />
copertura per i diversi rischi, per il 75% non<br />
riesce a contenere le diseguaglianze sociali, per il<br />
79% costa troppo al bilancio pubblico. Considerati<br />
questi presupposti, non stupisce che per<br />
l’86% degli italiani il welfare debba essere assolutamente<br />
cambiato per rispondere meglio ai nuovi<br />
bisogni di protezione, come la non autosufficienza.<br />
I cittadini non vogliono solo tagli, ma anche<br />
razionalizzazione ed efficienza: il 62% pensa che<br />
in sanità le manovre di finanza pubblica tagliano<br />
i servizi, senza eliminare sprechi o razionalizzare<br />
le risorse. È quanto emerge dalla seconda indagine<br />
«Le nuove tutele oltre la crisi. Il welfare possibile<br />
per giovani, migranti e non autosufficienti»<br />
realizzata dal Censis per il Forum Ania-Consumatori<br />
(fondazione promossa dall’Ania che vuole<br />
rendere sistematico il dialogo tra imprese di assicurazione<br />
e consumatori) e presentata a Roma<br />
presso l’Auditorium dell’Ara Pacis.<br />
Il 63,6% degli italiani pensa che nel futuro l’ampiezza<br />
della copertura pubblica avrà una contrazione.<br />
Le famiglie reagiscono a questa crescente<br />
sfiducia appoggiandosi ancora di più alle forme<br />
tradizionali di autotutela. Per tutelarsi dal rischio<br />
di eventi imprevisti l’83,9% cercherà di risparmiare,<br />
l’80,4% di assumere comportamenti molto<br />
cauti (ad esempio, adottando stili di vita salutari,<br />
oppure facendo controlli medici periodici),<br />
il 76% confida nella capacità di adattamento della<br />
famiglia, altri invece ritengono opportuno<br />
l’utilizzo di strumenti specifici come le polizze<br />
danni (32,3%), le polizze vita o i fondi pensione<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Crolla la fiducia nel welfare pubblico: per il 63% dei cittadini è inadeguato, l’86% vuole che<br />
sia modificato per dare copertura ai nuovi bisogni, il 54% chiede di tagliare le spese inutili,<br />
per l’86% è necessario far pagare i servizi in relazione al reddito delle persone che li<br />
utilizzano. Presentata la seconda indagine sulle prospettive del welfare realizzata da Censis<br />
e Forum Ania-Consumatori<br />
(30,4%). Già ora le forme di autotutela privata<br />
raggiungono un valore di quasi 28 miliardi di<br />
euro annui per la spesa sanitaria privata (+2,3%<br />
nel periodo 2008-2011) e di circa 11 miliardi di<br />
euro per l’assistenza privata per anziani e non<br />
autosufficienti.<br />
A fronte di questo sistema sempre più inadeguato<br />
e oneroso, oltre il 54% dei cittadini parla apertamente<br />
e con grande pragmatismo della necessità<br />
di razionalizzare il welfare pubblico, selezionando<br />
i servizi e gli interventi necessari alla popolazione<br />
e tagliando il resto. Per l’86% è necessario far<br />
pagare il welfare in relazione al reddito delle persone<br />
che lo utilizzano. In questo quadro generale,<br />
si aggrava l’asimmetria tra la copertura di welfare<br />
e i bisogni di alcuni specifici gruppi sociali. Le<br />
zone d’ombra della protezione sociale riguardano<br />
i Neet (giovani che non lavorano, non studiano<br />
e non cercano occupazione), i nuovi bisogni di<br />
tutela dei migranti, la non autosufficienza degli<br />
anziani.<br />
Paradigmatica della inadeguatezza del nostro<br />
sistema sociale è la condizione degli anziani non<br />
autosufficienti che, secondo stime del Censis,<br />
ammontano attualmente a 2,2 milioni, il 3,9%<br />
del totale della popolazione italiana. In Italia è<br />
ampiamente diffuso un modello di assistenza<br />
familiare, tanto che i familiari stretti rappresentano<br />
i caregiver nel 73,5% dei casi. Il problema è<br />
che quasi in un caso su tre (il 29,3%) il carico<br />
assistenziale viene assorbito interamente dalla<br />
famiglia dell’anziano. Per questo motivo, gran<br />
parte degli italiani sottolinea l’importanza del<br />
potenziamento dei servizi di assistenza: il 43,8%<br />
39 Politiche Sociali
Politica Sociali 40<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
indica l’assistenza domiciliare, il 34,1% richiede<br />
soluzioni di sostegno economico diretto alle<br />
famiglie. La maggioranza degli italiani è ormai<br />
convinta che per affrontare la non autosufficienza<br />
dovrà contare solo sulle sue forze, perché i costi<br />
sono alti e la copertura pubblica scarsa: risparmiando,<br />
integrando l’assistenza pubblica con<br />
l’acquisto di servizi privati, oppure assicurandosi<br />
contro la non autosufficienza. Solo il 15,2% ritiene<br />
sufficienti gli attuali servizi pubblici.<br />
Riguardo alle cause della non autosufficienza delle<br />
persone cui i rispondenti fanno riferimento,<br />
queste si distribuiscono nel 75% circa dei casi in<br />
modo abbastanza omogeneo su tre indicazioni<br />
principali. Il 25,8% ha parlato infatti di età avanzata<br />
unita ad una o più malattie croniche, il<br />
23,5% ha invece fatto riferimento ad una malattia<br />
cronica specifica (come diabete, ictus, artrosi,<br />
etc.), mentre il 24,3% ha indicato una malattia<br />
cronicodegenerativa (come Parkinson, Alzheimer,<br />
Sclerosi Multipla, Artrite Reumatoide, etc.).<br />
Il nesso tra malattie croniche, disabilità e non<br />
autosufficienza è evidente, e si tratta di un dato<br />
che impone una riflessione, da un lato, su disponibilità,<br />
accessibilità e qualità dei servizi dedicati<br />
alla cronicità, laddove è evidente che ad una<br />
migliore e più efficace gestione delle malattie croniche<br />
corrispondono migliori livelli di autosufficienza<br />
e, dall’altro, sulla centralità della prevenzione.<br />
A fronte della dinamica demografica che il<br />
Paese è destinato a conoscere nei prossimi decenni,<br />
la riduzione del tasso di malattie croniche sulla<br />
popolazione anziana rappresenta una strategia<br />
irrinunciabile.<br />
Quali sono le risposte organizzative e di tipologie<br />
di servizi, da cui dipende ovviamente anche la<br />
dimensione del finanziamento e le sue eventuali<br />
modalità, più richieste dagli italiani. L’opzione<br />
della domiciliarità delle cure viene condivisa da<br />
una ampia maggioranza del campione; è infatti il<br />
70,6% a ritenere che la soluzione migliore per<br />
una persona non autosufficiente sia rappresentata<br />
dalla permanenza in casa propria, con l’assistenza<br />
di familiari e/o personale professionale. A questi<br />
rispondenti si aggiungono quelli (pari al 15,4%<br />
del totale) che ritengono più auspicabile per la<br />
persona non autosufficiente la permanenza in<br />
casa propria supportata da strumenti tecnologici<br />
di controllo, che siano in grado di monitorare a<br />
distanza i parametri medici. Il 7,4% fa riferimento<br />
a soluzioni residenziali di tipo socio sanitario,<br />
come ad esempio una RSA, mentre il 5,9% fa<br />
riferimento a soluzioni abitative protette, come<br />
piccoli appartamenti o comunità. La domiciliarità<br />
come soluzione primaria da rendere praticabile<br />
economicamente e tecnicamente, è questa la<br />
richiesta prevalente degli italiani.<br />
Malgrado l’esperienza di massa di questi anni della<br />
risposta spontanea alla non autosufficienza che<br />
ha coinvolto milioni di famiglie italiane esiste<br />
ancora una consapevolezza insufficiente sulla sua<br />
importanza e la necessità di trovare risposte adeguate;<br />
infatti, la non autosufficienza figura al 4°
POLITICHE SOCIALI Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
posto tra i rischi che più preoccupano le famiglie<br />
italiane, dopo il futuro dei figli, il timore di perdere<br />
il lavoro e la malattia<br />
Sono oltre 6,9 milioni (il 52,9%) i giovani di 18-<br />
34 anni che vivono con almeno un genitore,<br />
mentre i Neet sono 3,2 milioni (il 23,9% dei giovani<br />
con età compresa tra 15 e 34 anni). Per questa<br />
categoria risulta dominante il problema del<br />
lavoro e delle relative difficoltà ad accedere a questo<br />
mercato. Il 60% degli italiani pensa che sia<br />
ingiusto pagare meno o dare meno tutele ai giovani<br />
che entrano per la prima volta nel mercato<br />
del lavoro. Tuttavia, quasi il 92% ritiene che per<br />
i giovani sia opportuno accontentarsi del primo<br />
lavoro che capita, anche se a basso reddito o non<br />
adeguato al titolo di studio, pur di entrare in gioco.<br />
Non a caso, riguardo gli interventi per i quali<br />
sarebbe importante migliorare il welfare attuale<br />
con nuovi strumenti monetari (come sussidi, ser-<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
vizi, ecc.) oltre il 37% dei giovani richiama la precarietà<br />
del lavoro, il 29,2% la perdita dell’occupazione<br />
e il 33,6% la disoccupazione di lunga<br />
durata.<br />
I migranti vivono in Italia con l’ambizione di<br />
migliorare il proprio status economico, mettere<br />
radici costruendo casa, fornire una buona istruzione<br />
ai propri figli. Sono ottimisti sulle loro<br />
chance di integrazione, visto che quasi il 79%<br />
pensa che nel mondo del lavoro i più bravi non<br />
rimarranno confinati in lavori umili e a basso<br />
reddito, mentre il 53,2% ritiene che i più abili<br />
emergeranno nell’imprenditoria. Considerando i<br />
servizi di welfare cui si accede tramite lo strumento<br />
Isee, i migranti richiedono più asili nido e<br />
scuola rispetto alle famiglie tradizionali (richiesti<br />
dal 44,8% contro il 30,3% degli italiani, che si<br />
concentrano sui servizi socio-sanitari). Dall’indagine<br />
emerge poi un rischio di competizione tra<br />
questi soggetti sociali, visto che il 48% degli italiani<br />
pensa che i migranti prendano più di quello<br />
che danno al sistema di welfare, mentre solo il<br />
16% ritiene che questa popolazione dia più di<br />
quel che riceva in cambio.<br />
Eppure il dare e avere dei migranti rispetto ai<br />
grandi comparti, sanità e previdenza, mostra<br />
complessivamente un saldo positivo; infatti, in<br />
sanità si stimano in quasi 3 miliardi di euro la<br />
spesa pubblica per la sanità ascrivibile a prestazioni<br />
erogate agli immigrati, pari a circa il 2,8% del<br />
totale della spesa sanitaria pubblica nel 2010; nella<br />
previdenza, nel 2009 circa due milioni di lavoratori<br />
stranieri per la gran parte in età lontana<br />
dalla pensione hanno versato all’Inps circa 7,5<br />
miliardi di euro di contributi previdenziali (circa<br />
il 4% dei contributi previdenziali annuali); e<br />
secondo proiezioni Caritas nel 2010, sono entrati<br />
in età pensionabile poco più di 15.000 stranieri,<br />
il 75% donne, pari al 2,2% delle persone in età<br />
pensionabile nell’anno di riferimento, mentre i<br />
pensionati stranieri dovrebbero essere circa<br />
137.000, pari al 3,3% del totale degli stranieri<br />
residenti (a fronte di circa il 25% di pensionati<br />
per il totale della popolazione italiana). (Red.)<br />
41 Politiche Sociali
STORIA DELLA MEDICINA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
Dal secolo dei lumi<br />
a la Belle Époque<br />
di Luca Tofini*<br />
Immaginiamo che una razza aliena stia osservando<br />
lo sviluppo dell’umanità durante tutta la sua<br />
storia, e cerchiamo d’individuare quali caratteristiche<br />
di quest’epoca attirerebbero il loro interesse<br />
perché segnano un cambiamento radicale rispetto<br />
agli altri periodi precedenti.<br />
L’ERA DELLE MACCHINE<br />
Lo scopo di qualsiasi macchinario è di eseguire<br />
più rapidamente e in modo più affidabile delle<br />
operazioni che, se altrimenti fossero eseguite<br />
dall’uomo, richiederebbero maggior tempo e<br />
denaro e darebbero risultati soggetti a delle differenze<br />
dovute alle caratteristiche individuali dell’operatore.<br />
In altre parole lo scopo delle macchine è di<br />
aumentare l’efficienza di un’operazione, riducendone<br />
anche i costi e se possibile aumentandone<br />
la quantità e la qualità.<br />
Questa maggior efficienza aumentando il volume<br />
di merci prodotte richiede anche un maggior<br />
quantitativo di risorse (ottenute col commercio,<br />
con le guerre o spesso una combinazione di<br />
entrambi i metodi) perciò le società dell’era industriale<br />
tendono ad essere composte da enormi<br />
complessi centralizzati basati su una struttura di<br />
comando gerarchica, per poter coordinare i flussi<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Col termine età industriale indichiamo il periodo storico che va dalla metà del XVIII secolo<br />
fino ad oggi: si tratta di un arco di tempo ricco di avvenimenti importanti, non solo in ambito<br />
medico ma anche in altri campi quali l’economia, la politica, la scienza e in generale<br />
nell’evoluzione dei costumi della società. Per questi motivi non lo descriveremo in un unico<br />
articolo (sarebbe inutilmente dispersivo e pregiudicherebbe la qualità del nostro lavoro) ma<br />
lo suddivideremo in quattro sezioni, ciascuna delle quali si occuperà dei momenti più<br />
importanti di quest’età: in quest’articolo partiremo dalla fine del XVIII secolo (detto anche il<br />
secolo dei lumi) e arriveremo all’inizio del XX secolo (spesso noto col termine di Belle Époque).<br />
* Cultore della materia<br />
di risorse e persone necessaria al suo funzionamento.<br />
Inoltre per funzionare le società industrializzate<br />
hanno bisogno di personale istruito che possa<br />
svolgere lavori sempre più complessi, quindi queste<br />
società hanno spesso reso obbligatoria l’istruzione<br />
sia per motivi politici che per motivi economici.<br />
Riassumendo, la maggior presenza di macchine<br />
ha reso necessaria la nascita di una società che<br />
permettesse (indirettamente) di accudirle come<br />
se fossero quasi dei neonati, fornendogli risorse<br />
(analoghe al cibo) e personale che potesse permettergli<br />
di funzionare.<br />
LA CRESCITA<br />
DELLA COMUNICAZIONE<br />
Uno i settori più avvantaggiati della rivoluzione<br />
industriale è stato quello delle comunicazioni,<br />
grazie all’introduzione sia di macchine che hanno<br />
permesso di percorrere tragitti più lunghi in tempi<br />
più brevi, sia di strumenti più efficienti per trasmettere<br />
rapidamente messaggi a certe distanze<br />
che prima avrebbero richiesto diversi giorni per<br />
essere coperte: per rendersi conto dell’impatto di<br />
queste tecnologie è sufficiente guardare un qualsiasi<br />
film western, dove è evidente come gli Stati<br />
43 Storia della Medicina
Storia della Medicina 44<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Uniti si siano potuti sviluppare grazie alla combinazione<br />
ferrovia+telegrafo.<br />
Anche gli imperi coloniali europei furono resi<br />
possibili dalle navi a vapore, che rispetto alle vecchie<br />
navi a vela erano più rapide e meno soggette<br />
ai naufragi per il cattivo tempo.<br />
LA NASCITA DELLA SOCIETÀ<br />
DI MASSA<br />
Dopo la caduta dell’impero romano la popolazione<br />
europea conobbe un drammatico calo,<br />
rimanendo a lungo bassa (le città con un milione<br />
di abitanti riapparvero solo nel XIX secolo) a causa<br />
delle continue guerre, delle pandemie ricorrenti<br />
e dello stato di miseria endemico in cui versava<br />
gran parte della popolazione.<br />
La situazione iniziò a cambiare verso la metà del<br />
XIX secolo per una serie di motivi, uno dei quali<br />
fu la crescente industrializzazione che aumentò la<br />
popolazione delle principali città (dove erano<br />
concentrate le fabbriche).<br />
Questa maggior densità abitativa insieme alla cattive<br />
condizioni igieniche favorì lo scoppio di epidemie,<br />
ma diverse scoperte in ambito scientifico<br />
(accompagnate da una serie di programmi di<br />
lavori pubblici per la costruzione di fognature ed<br />
acquedotti) ridussero l’incidenza delle malattie<br />
infettive e incrementarono la resa agricola, favorendo<br />
una crescita demografica e allungando le<br />
aspettative di vita per la maggior parte della<br />
popolazione.<br />
Tale incremento demografico spinse varie nazioni<br />
a conquistare altri paesi anche per poter dare una<br />
nuova sistemazione alla popolazione in eccesso,<br />
liberandosi così di elementi pericolosi per la<br />
madrepatria (come accadde in Australia).<br />
I prodotti a basso costo prodotti dalle fabbriche<br />
se da un lato rovinarono la tradizionale economia<br />
basata sull’artigianato, permisero anche a molte<br />
persone di avere oggetti prima riservati alle élite,<br />
migliorandone lentamente la qualità di vita.<br />
In questo periodo nacquero i primi partiti di<br />
massa, che diedero la possibilità ad una parte<br />
sempre più ampia della popolazione di partecipare<br />
al governo della nazione candidandosi ed eleggendo<br />
i propri rappresentanti.<br />
LA FIDUCIA NELLA SCIENZA<br />
E NEL PROGRESSO<br />
In un secolo la rivoluzione industriale cambiò il<br />
volto dell’Europa (e delle nazioni extraeuropee<br />
capaci di portarla a termine con successo, come<br />
il Giappone, i paesi del Nordamerica e in misura<br />
minore l’impero russo) migliorando costantemente<br />
le condizioni di vita della popolazione.<br />
Questi progressi fecero nascere un’enorme fiducia<br />
sia verso il futuro sia verso la scienza, che<br />
secondo alcuni filosofi insieme al progresso<br />
avrebbe risolto ogni problema dell’umanità (una<br />
corrente di pensiero nota come positivismo): per<br />
la prima volta sembrava possibile realizzare il<br />
paradiso sulla Terra, al punto che molti libri scritti<br />
in quel periodo hanno quasi come protagoniste
STORIA DELLA MEDICINA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
le conquiste delle scienza e della tecnica (basti<br />
pensare ai romanzi di Jules Verne).<br />
Perciò è impossibile capire il XIX secolo senza<br />
ricordare questa fiducia dell’uomo in se stesso e<br />
nella scienza, anzi si può dire che ne è stata una<br />
componente essenziale quanto l’industrializzazione<br />
e le conquiste della scienza.<br />
GLI STATI NAZIONE<br />
Per secoli dopo la caduta dell’impero romano gli<br />
abitanti di un territorio s’identificavano col luogo<br />
dove vivevano oppure con la religione che praticavano,<br />
questo anche se parlavano una lingua<br />
simile a quella dei territori vicini ed avevano lo<br />
stesso re.<br />
Ciò iniziò a cambiare prima con la rivoluzione<br />
francese e poi con le guerre napoleoniche, che<br />
fecero nascere l’idea di un’identità comune in cui<br />
potessero identificarsi persone che avevano una<br />
storia comune e vivevano nella medesima area<br />
geografica.<br />
Tale contrapposizione nacque anche in reazione<br />
al dominio straniero a cui erano state soggette le<br />
popolazioni locali, come accadde in Italia sotto il<br />
dominio austriaco o in Grecia sotto i turchi.<br />
All’inizio il concetto d’identità nazionale fu prerogativa<br />
di un ristretto gruppo d’intellettuali, ma<br />
poi si diffuse tra il resto della popolazione anche<br />
grazie all’istruzione obbligatoria e alle guerre contro<br />
altre popolazioni.<br />
Alla fine questi progetti di fornire un’identità<br />
comune sfociarono negli stati nazione, che si<br />
sostituirono ai vecchi stati in cui i cittadini<br />
s’identificavano con le dinastie regnanti. Tale<br />
processo in alcuni casi fu piuttosto traumatico,<br />
dato che spesso i nuovi stati nazione nacquero o<br />
dalle guerre per rendersi indipendenti dalle<br />
potenze straniere oppure dal dominio di una<br />
potenza locale sulle altre o infine da una combinazione<br />
di questi metodi (basti pensare al Risorgimento<br />
italiano).<br />
Purtroppo ciascuna identità nazionale proclamava<br />
la sua superiorità sulle altre, il che alla fine sfociò<br />
in una serie di guerre rese sempre più distruttive<br />
dai progressi della tecnologia militare, guerre<br />
che per la metà del secolo seguente avrebbero<br />
insanguinato il mondo intero.<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
LA MEDICINA<br />
NELL’ERA INDUSTRIALE<br />
Anche per quanto riguarda la medicina adotteremo<br />
lo stesso metodo che abbiamo usato per<br />
descrivere le altre caratteristiche di questo periodo,<br />
quindi raggrupperemo i diversi cambiamenti<br />
in aree tematiche, concentrandoci su quelli più<br />
importanti ai fini dello studio delle professioni<br />
sanitarie.<br />
Tali classificazioni sono arbitrarie e non hanno la<br />
pretesa di essere onnicomprensive (né è nostra<br />
intenzione) ma speriamo che possano fornire una<br />
buona panoramica delle conquiste mediche (e<br />
non solo) del XIX secolo.<br />
LA GUERRA INVISIBILE<br />
Per secoli le malattie infettive furono la principale<br />
causa di morte al mondo, al punto tale che spesso<br />
in guerra i soldati morti per malattia superavano<br />
i caduti in battaglia e potevano compromettere<br />
una campagna militare (l’esempio più noto è stato<br />
il fallimento della riconquista francese di Haiti,<br />
dove i soldati furono decimati oltre che dagli<br />
indigeni anche dalla febbre gialla).<br />
Per lungo tempo la colpa delle infezioni fu attribuita<br />
agli umori corporei oppure all’aria avvelenata,<br />
ovviamente con nessun effetto sui tentativi<br />
di cura e prevenzione di queste situazioni.<br />
Ciò era particolarmente evidente nelle operazioni<br />
chirurgiche, dove la mortalità dovuta alle infezioni<br />
post operatorie raggiungeva livelli elevatissimi<br />
e di fatto comprometteva i progressi nel campo<br />
della chirurgia (quale l’anestesia diffusasi negli<br />
USA nella metà del secolo e al centro di una grossa<br />
polemica con strascichi legali per stabilirne la<br />
paternità) rendendoli virtualmente inutili.<br />
I diversi tentativi di risolvere questi problemi pur<br />
se occasionalmente coronati da successo non<br />
influenzarono molto le cure, soprattutto per la<br />
mancanza di una teoria dimostrabile che spiegasse<br />
il verificarsi delle infezioni.<br />
La più nota di queste false partenze è senz’altro la<br />
storia del dottor Ignac Semmelweis, un medico<br />
di origini ungheresi che per un certo periodo<br />
ridusse la mortalità postpuerperale in alcuni<br />
ospedali dell’impero austro-ungarico: purtroppo<br />
il suo carattere difficile unito alle sue scarse capa-<br />
45 Storia della Medicina
Storia della Medicina 46<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
cità comunicative e all’ostracismo della comunità<br />
scientifica gli impedirono di avere successo, al<br />
punto tale che alla fine dopo essere impazzito<br />
morì per le percosse ricevute in manicomio, senza<br />
che le sue scoperte potessero influenzare il corso<br />
della medicina (ovviamente dopo morto fu<br />
rivalutato e ricevette diversi riconoscimenti<br />
postumi, tra cui una statua nella città di Pest).<br />
Tutto questo iniziò a cambiare tra il 1857 e il<br />
1859 quando Louis Pasteur dimostrò che il processo<br />
di fermentazione era provocato da microrganismi<br />
che nascevano solo da altri microrganismi,<br />
senza nessun tipo di generazione spontanea.<br />
Le sue scoperte attrassero l’interesse di Joseph<br />
Lister, un chirurgo e ricercatore britannico in un<br />
certo modo figlio d’arte (il padre Joseph Jackson<br />
Lister inventò delle tecniche per correggere<br />
l’aberrazione cromatica dei microscopi, trasformando<br />
così giocattoli inaffidabili in strumenti<br />
fondamentali per la scienza): Joseph Lister inoltre<br />
Louis Pasteur<br />
svolse studi importanti sull’infiammazione e sulla<br />
coagulazione, ma in quest’articolo lo ricorderemo<br />
per i suoi progressi nella lotta alle infezioni.<br />
Dopo aver studiato le ricerche di Pasteur, Lister<br />
decise di provare a eliminare i germi presenti nelle<br />
ferite usando l’acido fenico (ricordiamo che<br />
all’epoca l’esistenza stessa dei germi nelle ferite<br />
era solo un’ipotesi fantasiosa).<br />
Nonostante i dubbi dei colleghi ebbe successo<br />
riducendo drasticamente la mortalità postoperatoria,<br />
e in seguito passò dall’antisepsi (la disinfezione<br />
della ferita) all’asepsi (la disinfezione di tutto<br />
quello che poteva entrare in contatto con la<br />
lesione).<br />
Ci volle molto tempo perché le sue scoperte fossero<br />
accettate e applicate, ma lentamente la pratica<br />
dell’asepsi diffondendosi eliminò molte infezioni<br />
chirurgiche, anche se non esistevano ancora<br />
farmaci in grado di uccidere i germi presenti nei<br />
pazienti.<br />
Questa lotta contro i microrganismi diede ulteriori<br />
risultati positivi anche grazie alla maggior<br />
diffusione delle vaccinazioni (Pasteur stesso sperimentò<br />
con successo il vaccino contro la rabbia)<br />
e alla formulazione dei postulati di Koch, che<br />
permisero di stabilire con precisione i criteri per<br />
individuare una malattia infettiva.<br />
Tali progressi furono possibili anche da una<br />
diversa concezione del corpo umano (resa possibile<br />
dai progressi nell’istochimica e nella microscopia)<br />
adesso concepito come un insieme di cellule<br />
dalla cui alterazione deriva la patologia,<br />
un’idea formulata per la prima volta da Rudolf<br />
Virchow che insieme ai lavori di Pasteur distrusse<br />
definitivamente la vecchia teoria ippocratica degli<br />
umori.<br />
GUERRA E MEDICINA<br />
Spesso la medicina è stata debitrice di molti progressi<br />
alla guerra che ha costretto l’uomo a sviluppare<br />
strategie per salvare il maggior numero di vite<br />
possibile, dando così vita a innovazioni che poi<br />
hanno avuto ricadute positive in ambito civile.<br />
Durante le guerre napoleoniche il medico personale<br />
di Napoleone Jean Larrey introdusse le prime<br />
ambulanze sul campo di battaglia, adattando<br />
carri d’artiglieria e fornendoli del personale
STORIA DELLA MEDICINA Realtà Medica 2000 - n. 1/2013<br />
necessario per curare i feriti: pur con i grossi limiti<br />
dell’epoca questa soluzione permise di ridurre<br />
la mortalità tra i soldati, o almeno tra quelli che<br />
sopravvivevano alle cure.<br />
Successivamente Jonathan Letterman introdusse<br />
il moderno sistema di triage e il trattamento della<br />
ferita a tre stadi (fasciatura e pronto soccorso,<br />
ospedale da campo e ospedale) due innovazioni<br />
che con alcuni piccoli cambiamenti sono arrivate<br />
fino ad oggi.<br />
Paradossalmente la guerra di Crimea ebbe un’importanza<br />
decisiva per l’evoluzione dell’assistenza<br />
infermieristica grazie a Florence Nightingale,<br />
un’infermiera inglese che col suo duro lavoro riuscì<br />
a migliorare le tremende condizioni igieniche<br />
dell’ospedale di Scutari che uccisero migliaia di<br />
soldati (basti pensare che per migliaia di malati<br />
di dissenteria erano disponibili solo dieci pitali)<br />
anche se il suo lavoro all’inizio fu osteggiato dalle<br />
autorità militari che ne temevano ripercussioni<br />
negative sul morale dei soldati.<br />
Quest’esperienza le permise di formulare le regole<br />
alla base del nursing e nel 1860 pubblicò Notes<br />
on Nursing, un libro fondamentale per la professione<br />
infermieristica: in patria inoltre aprì la<br />
Nightingale training school (una delle prime scuole<br />
infermieristiche al mondo) e si sforzò di<br />
migliorare con successo le condizioni sanitarie nel<br />
suo paese.<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Un’ulteriore tappa dell’assistenza ai feriti fu la<br />
nascita nel 1863 della Croce rossa, fondata in<br />
Svizzera dal filantropo Jean Henri Dunat, che<br />
dopo la sanguinosa esperienza di Solferino decise<br />
di dar vita ad un organismo neutrale che si prendesse<br />
cura dei feriti di tutte le parti in conflitto e<br />
che fosse rispettato da tutti i belligeranti.<br />
Nonostante la vita di quest’organizzazione non<br />
sia stata sempre facile (anche per le controversie<br />
sul simbolo per identificarla) la Croce rossa e le<br />
organizzazioni afferenti ad essa (come la Mezzaluna<br />
rossa) hanno permesso di mitigare gli effetti<br />
distruttivi delle guerre, malgrado i conflitti del<br />
Novecento la misero a dura prova anche per i<br />
rapporti problematici con diverse nazioni belligeranti<br />
(come accadde con l’Unione Sovietica<br />
quando indagarono sul massacro di Katyn).<br />
VICOLI CIECHI E RAMI SECCHI<br />
Come abbiamo già detto riassumere tutti i progressi<br />
compiuti dalla medicina nel XIX secolo<br />
sarebbe impossibile, poiché accanto alle scoperte<br />
di grande impatto sul pubblico se ne verificarono<br />
moltissime individualmente meno appariscenti<br />
(come la scoperta della vera funzione dei leucociti,<br />
avvenuta verso il 1883 grazie ai lavori di Elja<br />
Metchnikoff) ma che sommate alla fine avrebbero<br />
avuto un effetto determinante sull’evoluzione<br />
della medicina.<br />
47 Storia della Medicina
Storia della Medicina 48<br />
<strong>realtà</strong>medica<br />
Rileggendo le parti precedenti potrebbe sembrare<br />
che durante tutto l’Ottocento la marcia della<br />
scienza sia stata solo un’ininterrotta serie di successi,<br />
con pochi rallentamenti incapaci di fermarla<br />
definitivamente: in <strong>realtà</strong> la storia della scienza<br />
oltre che d’idee di successo che sono arrivate quasi<br />
inalterate fino a noi, è anche ricca di teorie che<br />
invece non ce l’hanno fatta a sopravvivere alla<br />
prova dei fatti, e che perciò oggi sono ricordate<br />
solo come curiosità dagli storici. Per questo motivo<br />
prima di concludere questo lungo articolo<br />
desideriamo descrivere due discipline di cui una<br />
è tutt’oggi molto controversa, mentre l’altra è<br />
considerata ormai del tutto inutile nella medicina<br />
moderna.<br />
Il primo esempio riguarda l’omeopatia che fu<br />
fondata all’inizio dell’Ottocento dal dottor<br />
Samuel Hahnemann, che nel 1810 ne formulò le<br />
basi nella sua opera principale intitolata l’Organon<br />
della medicina razionale.<br />
Il nucleo principale del suo pensiero è che le malattie<br />
derivano da perturbazioni della forza vitale,<br />
provocate da condizioni che predispongono l’organismo<br />
ad ammalarsi chiamate miasmi, ciascuno<br />
dei quali è responsabile di varie patologie.<br />
I miasmi sostanzialmente appartengono a tre tipi<br />
diversi: la psora associata al difetto, la sicosi all’eccesso<br />
e la syphilis alla distruzione.<br />
Per curare le malattie l’omeopatia somministra al<br />
paziente sostanze estremamente diluite che in<br />
concentrazione normale darebbero gli stessi sintomi<br />
della malattia, in modo da poter riportare<br />
la forza vitale al suo equilibrio perturbato dalla<br />
patologia.<br />
Col progredire della scienza anche il pensiero<br />
omeopatico ha subito diverse evoluzioni per<br />
adattarsi alle nuove scoperte scientifiche, ma a<br />
tutt’oggi l’efficacia della medicina omeopatica<br />
rimane piuttosto dubbia, anche se il sistema sanitario<br />
di alcuni paesi rimborsa i farmaci omeopatici<br />
e in alcune situazioni le cure omeopatiche<br />
integrano nel percorso terapeutico la medicina<br />
tradizionale (o allopatica).<br />
Attualmente sembra che la fiducia del pubblico<br />
nell’omeopatia sia calata in molti paesi, ma probabilmente<br />
occorreranno diversi anni per capire<br />
se l’omeopatia arricchirà la lista delle idee in via<br />
d’estinzione oppure se sopravvivrà in una forma<br />
diversa da quella che conosciamo, così come è<br />
accaduto all’alchimia che ha dato origine alla chimica<br />
moderna.<br />
Al contrario dell’omeopatia invece i lavori di<br />
Cesare Lombroso appartengono senza dubbio<br />
alle teorie che oggi consideriamo prive di validità<br />
scientifica.<br />
Nella sua opera principale L’uomo delinquente del<br />
1876 sosteneva che le cause del crimine derivassero<br />
dalle caratteristiche anatomiche del criminale<br />
e che alcuni criminali per questo motivo fossero<br />
irrecuperabili: il corollario di quest’idea è che<br />
basta esaminare l’aspetto di una persona per stabilirne<br />
le caratteristiche psicologiche. Sebbene<br />
quest’idea non sia stata introdotta da Lombroso<br />
(era già nata all’inizio dell’Ottocento) si può però<br />
affermare che egli abbia contribuito nel portarla<br />
alle sue estreme conseguenze.<br />
Tra l’altro Lombroso era convinto che gli italiani<br />
appartenessero a due razze diverse, i settentrionali<br />
di origine ariano nordica e i meridionali di stirpe<br />
negra e africana, che sarebbero naturalmente<br />
inclini al disordine e alla violenza e apparterrebbero<br />
ad una razza inferiore (denominata poi white<br />
nigger o negro bianco): né aveva un’opinione<br />
migliore delle donne, dato che considerava le<br />
donne normali delle semi criminali innocue (ed<br />
era la cosa più carina che scrisse su di loro).<br />
Nell’ultima parte della sua vita oltre ad avvicinarsi<br />
allo spiritismo iniziò anche a prendere in maggior<br />
considerazione tra le cause della criminalità<br />
l’ambiente e le malattie mentali, ma anche se<br />
oggi lo consideriamo il fondatore dell’antropologia<br />
criminale purtroppo per lui le sue teorie non<br />
hanno retto al trascorrere del tempo.<br />
L’unica testimonianza che ne rimane oltre alle<br />
sue opere (disponibili anche in formato digitale)<br />
è il Museo di antropologia criminale Cesare Lombroso<br />
a Torino, dove accanto ai manufatti realizzati<br />
dai detenuti si trovano diversi crani appartenenti<br />
ai criminali studiati durante la sua carriera:<br />
se v’interessa sappiate che la visita il mercoledì è<br />
gratuita.
Rubrica a cura di Giorgia Pecchi<br />
Disposizioni urgenti per promuovere<br />
lo sviluppo del Paese mediante<br />
un più alto livello di tutela della salute<br />
L’11 novembre 2012 è entrata in vigore la legge 8 novembre 2012, n. 189. Si tratta della<br />
conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante<br />
Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela<br />
della salute (GU n. 263 del 10-11-2012 - Suppl. Ordinario n. 201).<br />
Per meglio capire come si è giunti all’approvazione della legge, di seguito pubblichiamo ampi stralci<br />
della relazione del deputato Lucio Barani, PDL, in sede di discussione sulle linee generali del disegno<br />
di legge di conversione n. 5440-A.<br />
“Entrando nel merito, il decreto-legge in esame, composto da 16 articoli suddivisi in quattro Capi,<br />
procede ad una riorganizzazione di alcuni fondamentali aspetti del Servizio sanitario Nazionale. Tale<br />
riassetto presenta carattere di urgenza a seguito del profondo ridimensionamento dell'offerta assistenziale<br />
di tipo ospedaliero e, più in generale, della contrazione delle risorse destinate al SSN, derivante<br />
dai provvedimenti legislativi degli ultimi anni e, più recentemente, dalle disposizioni del decreto legge<br />
n. 95/2012, recante Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi<br />
ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario.<br />
Viene quindi operato un riassetto del sistema delle cure territoriali, di alcuni aspetti della governance<br />
del personale dipendente del SSN, nonché il completamento della riqualificazione e razionalizzazione<br />
dell'assistenza farmaceutica. Vengono inoltre adottate misure urgenti su alcune specifiche tematiche<br />
del settore sanitario.<br />
Il provvedimento che ha subito modifiche nel corso dell'esame presso la XII Commissione affari sociali,<br />
si suddivide in IV Capi e in 16 articoli”.<br />
Qui di seguito si darà una sintetica illustrazione del contenuto del testo come risultante dagli emendamenti<br />
approvati nel corso dell'esame in Commissione, soffermandoci su aspetti ritenuti da noi più<br />
interessanti.<br />
IL CAPO I (ARTT. 1-6-BIS), CONTIENE NORME PER LA RAZIONALIZZAZIONE<br />
DELL’ATTIVITÀ ASSISTENZIALE E SANITARIA.<br />
L'articolo 1, interamente riscritto in Commissione, dispone in tema di riordino dell'assistenza territoriale<br />
e di mobilità del personale delle aziende sanitarie.<br />
L'articolo 2 reca modifiche alla legge n. 120/2007, con l'intento di delineare il passaggio a regime dell'attività<br />
libero professionale intramuraria, fissando al 31 dicembre 2012 il termine per la ricognizione<br />
straordinaria degli spazi da dedicare all'attività libero professionale intramuraria.<br />
L'articolo 2-bis, inserito nel corso dell'esame presso la commissione, mediante l'inserimento di un<br />
comma all'articolo 15 del decreto-legge n. 95/2012, prevede l'istituzione, con decreto non regolamentare<br />
del Ministro della salute da adottare entro 15 giorni dalla data di entrata in vigore Pag. 73della<br />
legge di conversione, di una Commissione per la formulazione di proposte per l'aggiornamento delle<br />
tariffe per la remunerazione delle prestazioni sanitarie.<br />
L'articolo 3 disciplina alcuni aspetti della responsabilità professionale, stabilendo il principio che, l'esercente<br />
la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone<br />
49 Salute&Parlamento
Salute&Parlamento 50<br />
pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale non risponde penalmente per<br />
colpa lieve, salvo comunque l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile: nella determinazione<br />
del risarcimento del danno il giudice tiene debitamente conto della condotta sopra descritta. Tale norma<br />
rivoluziona, con realistica sensibilità, il sistema-sanità, offrendo la giusta attenzione al professionista<br />
che sia adempiente alle linee guida e ligio alle indicazioni della scienza. Con tale innovazione, il medico,<br />
se dovesse rispondere per colpa lieve, sarà sempre tenuto a risarcire il danno, ma non andrà incontro a<br />
responsabilità penali. Con questa scelta, modernissima, si è dato un durissimo colpo ai guasti della<br />
medicina cosiddetta difensiva (il medico, temendo responsabilità, evita di agire), stimolando un percorso<br />
virtuoso che, ad effetto domino, porterà il professionista ad essere più attento all'adempimento,<br />
con beneficio per i pazienti e per l'intero sistema-sanità».<br />
Viene poi demandato ad un provvedimento regolamentare, da emanare nel rispetto di alcuni criteri,<br />
la disciplina delle procedure e dei requisiti minimi ed uniformi per l'idoneità dei contratti di assicurazione<br />
degli esercenti le professioni sanitarie, anche in attuazione dell'articolo 3, comma 5, lettera e)<br />
del decreto-legge n. 138/2011 che statuisce il principio dell'obbligo del professionista di stipulare, a<br />
tutela del cliente, idonea assicurazione per i rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale.<br />
Viene consentito il risarcimento del danno biologico conseguente all'attività dell'esercente della professione<br />
sanitaria mediante il rinvio alle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del D.Lgs. n. 209/2005.<br />
L'articolo 3-bis, inserito durante l'esame in Commissione, prevede l'istituzione di unità di risk management<br />
all'interno delle aziende ospedaliere e ospedaliere-universitarie, degli IRCSS di diritto pubblico,<br />
degli ospedali classificati e delle strutture di ricovero private accreditate, con il compito di individuare<br />
le situazioni e le prestazioni sanitarie potenzialmente rischiose, di interagire con i soggetti coinvolti e<br />
con l'assicuratore nel caso in cui si verifichi un fatto che comporti l'attivazione della copertura assicurativa<br />
obbligatoria e di prestare consulenza in materia assicurativa. Oltre ad attribuire competenze ulteriori<br />
alle unità sopra descritte le regioni e province autonome possono istituire unità di risk management<br />
all'interno delle strutture sanitarie e osservatori regionali dei contenziosi. Viene prevista l'istituzione<br />
presso il Ministero della salute di un Osservatorio nazionale per il monitoraggio del rischio clinico.<br />
L'articolo 4 detta disposizioni in tema di dirigenza sanitaria e di governo clinico. Il comma 1 reca<br />
modifiche ed integrazioni ad alcuni articoli (3, 3-bis, 7-quater, 15, 15-ter, 15-septies, 15-novies e 17)<br />
del decreto legislativo n. 502/1992. Vengono disciplinate le modalità di nomina dei direttori generali<br />
delle aziende e degli enti del servizio sanitario regionale da parte delle regioni, tenute ad attingere obbligatoriamente<br />
ad un elenco regionale di idonei, aggiornato almeno ogni due anni, costituito mediante<br />
una selezione effettuata, secondo criteri individuati dalle regioni, da una commissione di cui è disciplinata<br />
la composizione, costituita dalla regione medesima.<br />
Nel corso dell'esame in Commissione è stato inserito un nuovo articolo 4-bis che detta disposizioni<br />
dirette a consentire, allo scopo di assicurare la costante erogazione dei servizi sanitari e il rispetto dei<br />
livelli essenziali di assistenza, l'assunzione di personale a tempo indeterminato e determinato da parte<br />
delle aziende sanitarie locali, anche in deroga alla normativa vigente in tale ambito, nel rispetto degli<br />
equilibri programmati di finanza pubblica. Per le stesse finalità viene consentita una disapplicazione<br />
del blocco automatico del turn over nelle regioni sottoposte ai Piani di rientro dai disavanzi sanitari,<br />
nel rispetto di criteri stabiliti.<br />
L'articolo 5 prevede l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con prioritario riferimento<br />
alle malattie croniche e alle malattie rare. È inoltre prevista l'istituzione di un fondo da parte del Ministro<br />
dell'economia e delle finanze di concerto con quello della salute, attingendo ai proventi dei giochi<br />
autorizzati dall'Amministrazione Autonoma dei monopoli di Stato, per garantire copertura finanziaria
ai LEA con riferimento alle prestazioni di prevenzione e cura della ludopatia ed è previsto l'aggiornamento<br />
del nomenclatore tariffario entro il 31 maggio 2013.<br />
L'articolo 6 dispone diverse misure in materia di edilizia sanitaria, per sviluppare il coinvolgimento<br />
del capitale privato nei lavori di ristrutturazione e di realizzazione di strutture ospedaliere, per semplificare<br />
l'applicazione della normativa antincendio alle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e<br />
private e per accelerare l'utilizzazione delle risorse per la realizzazione di strutture di accoglienza dei<br />
detenuti degli ex ospedali psichiatrici giudiziari.<br />
L'articolo 6-bis, inserito nel corso dell'esame in Commissione, prevede che le eventuali plusvalenze<br />
derivanti dalla vendita di immobili consentita alle regioni non in piano di rientro ai fini del ripiano<br />
del disavanzo sanitario, possono essere utilizzate dalle regioni per finalità extrasanitarie. Esso inoltre<br />
estende fino al 31 dicembre 2013 il divieto di intraprendere o proseguire azioni esecutive nei confronti<br />
delle regioni sottoposte a piano di rientro e commissariate ed estingue di diritto i pignoramenti e le<br />
prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni alle aziende sanitarie locali e ospedaliere.<br />
IL CAPO II (ARTT. 7-9) DISPONE IN TEMA DI RIDUZIONE DEI RISCHI SANITARI<br />
CONNESSI ALL'ALIMENTAZIONE E ALLE EMERGENZE VETERINARIE.<br />
L'articolo 7 reca disposizioni in materia di vendita di prodotti del tabacco e di bevande alcoliche, di<br />
misure di prevenzione per contrastare la ludopatia nonché disposizioni relative all'attività sportiva non<br />
agonistica. Vengono stabiliti obblighi e divieti relativamente alla vendita di tabacco e di bevande alcoliche<br />
ai minorenni - anche mediante distributori automatici - la cui violazione è punita con l'applicazione<br />
di sanzioni amministrative pecuniarie. Inoltre al fine di contenere la diffusione delle dipendenze<br />
dalla pratica di gioco con vincite in denaro, è posto il divieto di messaggi pubblicitari dei giochi di cui<br />
sopra in trasmissioni televisive o radiofoniche e di rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte<br />
ai minori nei trenta minuti precedenti e successivi alla trasmissione delle stesse, nonché la pubblicità<br />
sulla stampa periodica o quotidiana ad essi rivolta e il divieto di ingresso dei minorenni nelle aree destinate<br />
al gioco.<br />
L'articolo 8 reca norme in materia di sicurezza alimentare e di bevande. Al fine di aggiornare la normativa<br />
nazionale dedicata ai prodotti per esigenze nutrizionali particolari e di trasferire le relative competenze<br />
alle regioni, province autonome e aziende sanitarie locali (ASL), viene attribuito a queste ultime<br />
il riconoscimento degli stabilimenti di produzione e confezionamento, previo controllo del rispetto<br />
della normativa comunitaria e di alcuni requisiti e viene attribuita al Ministro della salute la facoltà di<br />
compiere verifiche ispettive. Al fine di garantire la sicurezza alimentare dei consumatori, sono poi stabiliti<br />
alcuni obblighi riguardanti il commercio di pesce, di latte crudo e di bevande analcoliche. Si tratta<br />
di obblighi informativi sulle caratteristiche e il corretto trattamento del prodotto la cui violazione è<br />
punita con sanzione amministrativa. Viene poi stabilito che le bevande analcoliche devono essere commercializzate<br />
con un contenuto di succo naturale non inferiore al 20%. Tuttavia le bevande prodotte<br />
anteriormente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto prive del contenuto<br />
minimo obbligatorio possono essere commercializzate entro i successivi otto mesi. L'innalzamento<br />
della percentuale di frutta nelle bevande con denominazioni di fantasia costituisce un vero e proprio<br />
traguardo lungo il percorso di tutela dalla salute dei cittadini ed in particolare dei giovani.<br />
L'articolo 9, non modificato nel corso dell'esame in commissione, al fine di procedere in presenza di<br />
malattie infettive e diffusive del bestiame, anche di rilevanza internazionale, all'eradicazione prescritta<br />
dalla normativa dell'Unione europea, reca disposizioni in materia di emergenze veterinarie.<br />
51 Salute&Parlamento
Salute&Parlamento 52<br />
IL CAPO III (ARTT. 10-13) RECA DISPOSIZIONI IN MATERIA DI FARMACI E DI<br />
SERVIZIO FARMACEUTICO.<br />
L'articolo 10 reca disposizioni in materia di farmaci. Il comma 1 snellisce alcuni adempimenti finora<br />
richiesti per la produzione e l'immissione in commercio dei medicinali. I commi seguenti, intendono<br />
invece assicurare, su tutto il territorio nazionale, l'erogazione e l'utilizzo uniforme dei medicinali innovativi<br />
di particolare rilevanza, garantendo la parità di trattamento di tutti gli assistiti nei vari ambiti<br />
regionali.<br />
L'articolo 11 contiene disposizioni finalizzate ad una revisione straordinaria del Prontuario farmaceutico<br />
nazionale nonché disposizioni dirette a favorire, da parte del SSN, l'impiego razionale ed economicamente<br />
compatibile dei medicinali. La misura è stata resa necessaria per adeguare il settore farmaceutico<br />
convenzionato agli interventi sulla spesa farmaceutica attuati con il decreto-legge n. 95/2012,<br />
che hanno fra l'altro ridotto gli spazi economici destinati alla rimborsabilità dei farmaci. A tal fine, si<br />
prevede che, entro il 30 giugno 2013 l'AIFA proceda ad una revisione straordinaria del Prontuario farmaceutico<br />
nazionale escludendo dalla rimborsabilità i farmaci terapeuticamente superati.<br />
L'articolo 11-bis, inserito durante l'esame in commissione, vieta il trasferimento per atto tra vivi dell'autorizzazione<br />
sanitaria all'esercizio della farmacia, in caso di condanna con sentenza di primo grado<br />
per il reato di truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale, fino alla conclusione del procedimento<br />
penale a seguito di sentenza definitiva.<br />
L'articolo 12, ampiamente modificato nel corso dell'esame in commissione, reca interventi sulle procedure<br />
di classificazione dei medicinali. Esso stabilisce preliminarmente che la domanda di classificazione<br />
di un medicinale tra quelli erogabili a carico del SSN è istruita dall'AIFA contestualmente alla<br />
contrattazione del relativo prezzo; viene poi disposto che le aziende farmaceutiche possono presentare<br />
all'AIFA la domanda sopracitata soltanto dopo aver ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio<br />
dello stesso medicinale.<br />
L'articolo 13 interviene in materia di medicinali omeopatici e di adempimenti riguardanti la macellazione<br />
degli animali, al fine di semplificare l'attuazione delle norme. Viene confermato per i medicinali<br />
omeopatici presenti sul mercato italiano alla data del 6 giugno 1995, il termine del 31 dicembre 2015<br />
per avviare la procedura di registrazione. Disposizioni particolari vengono poi stabilite per i medicinali<br />
veterinari omeopatici e in relazione agli allevamenti animali.<br />
IL CAPO IV (ARTT. 14-16), RECA LE NORME FINALI.<br />
L'articolo 14 dispone la razionalizzazione di taluni enti sanitari, quali: CO.AN.AN, l'<strong>Istituto</strong> nazionale<br />
per la promozione della salute delle popolazioni migranti (INMP), Fondazione ONAOSI<br />
L'articolo 15 disciplina il trasferimento alle regioni delle funzioni di assistenza sanitaria del personale<br />
navigante (marittimo e dell'aviazione civile) e le prestazioni soggette a tariffa rese dal Ministero della<br />
salute. Al fine di semplificare l'attuazione delle norme che trasferiscono l'assistenza sanitaria del personale<br />
navigante, l'articolo 15 rivede la normativa vigente contenuta nell'articolo 4 della legge 12<br />
novembre 2011, n. 183 (Legge di stabilità 2012).<br />
L'articolo 15-bis inserito nel corso dell'esame in commissione, detta alcune disposizioni in tema di<br />
acquisto di beni e servizi da parte degli enti del servizio sanitario nazionale o, per essi, delle regioni e<br />
province autonome, nonché sulla determinazione dei prezzi di riferimento.<br />
L'articolo 16 dispone sull'entrata in vigore del provvedimento.<br />
A detta dell’on. Barani, il risultato fin qui ottenuto è più che soddisfacente ma ci sono ancora margini<br />
di miglioramento su questioni come l'esercizio abusivo della professione, le cure palliative, la riorganizzazione<br />
della Dirigenza Sanitaria del Ministero della Salute e del CNR, le disciplina di alcune professioni<br />
mediche come i biologi. Vedremo cosa accadrà con i nuovi Parlamento e Governo.