Spunti di Nutrizione rev2011 - Clinica Pediatrica Trieste - Università ...

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Spunti di Nutrizione Pediatrica per il corso di Biotecnologie Mediche Dispense del corso di Pediatria, Modulo di Nutrizione, primo anno del corso di Laurea Magistrale in Biotecnologie Mediche, Università degli studi di Trieste. Alberto Tommasini Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico Burlo Garofolo, Trieste Con la collaborazione di Erica Valencic e Elisa Piscianz IRCCS Burlo Garofolo e Università di Trieste 3° revisione, Marzo 2011

<strong>Spunti</strong> <strong>di</strong> <strong>Nutrizione</strong><br />

Pe<strong>di</strong>atrica per il corso<br />

<strong>di</strong> Biotecnologie Me<strong>di</strong>che<br />

Dispense del corso <strong>di</strong> Pe<strong>di</strong>atria,<br />

Modulo <strong>di</strong> <strong>Nutrizione</strong>,<br />

primo anno del corso <strong>di</strong> Laurea Magistrale in Biotecnologie<br />

Me<strong>di</strong>che, <strong>Università</strong> degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>Trieste</strong>.<br />

Alberto Tommasini<br />

Istituto <strong>di</strong> Ricerca e Cura a Carattere Scientifico<br />

Burlo Garofolo, <strong>Trieste</strong><br />

Con la collaborazione <strong>di</strong> Erica Valencic e Elisa Piscianz<br />

IRCCS Burlo Garofolo e <strong>Università</strong> <strong>di</strong> <strong>Trieste</strong><br />

3° revisione, Marzo 2011


Dichiarazione <strong>di</strong> responsabilità e<br />

conflitto <strong>di</strong> interessi.<br />

1<br />

Premessa<br />

Questo testo è nato come <strong>di</strong>spensa delle lezioni <strong>di</strong> Pe<strong>di</strong>atria<br />

presso il corso <strong>di</strong> Biotecnologie Me<strong>di</strong>che dell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>Trieste</strong>.<br />

In esso sono contenute informazioni <strong>di</strong> carattere me<strong>di</strong>co ad<br />

esclusivo scopo <strong>di</strong>dattico. Nonostante gli sforzi per garantire la<br />

correttezza e l’aggiornamento dei materiali, il testo non può<br />

essere considerato come fonte <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni per la pratica<br />

clinica su <strong>di</strong> sé o sugli altri.<br />

L’autore non risponde <strong>di</strong> eventuali utilizzi <strong>di</strong> questo testo al <strong>di</strong><br />

fuori delle finalità <strong>di</strong>dattiche per cui è stato scritto. L’autore<br />

<strong>di</strong>chiara inoltre <strong>di</strong> non avere conflitti <strong>di</strong> interessi che possano<br />

aver influenzato quanto scritto.


Premessa<br />

Che cosa un pe<strong>di</strong>atra può insegnare ai<br />

biotecnologi?<br />

Il progresso della tecnologia procede da molti anni con un<br />

andamento esponenziale che nell’ultimo secolo ha visto<br />

crescere enormemente la quantità delle nostre conoscenze e<br />

la possibilità <strong>di</strong> intervenire sui processi che regolano la vita<br />

animale. Alcune considerazioni vanno tuttavia fatte. I<br />

fenomeni biologici <strong>di</strong> solito alternano perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> crescita<br />

esponenziale a perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> crisi, cambiamento e, nuovamente,<br />

crescita. Allo stesso modo la conoscenza <strong>di</strong> un fenomeno<br />

biologico può aumentare progressivamente fino ad un certo<br />

punto, dopo<strong>di</strong>ché non potrà procedere se non cambiando le<br />

metodologie e gli obiettivi della ricerca. L’aumento <strong>di</strong><br />

conoscenze e possibilità conduce a ricadute <strong>di</strong>fficilmente<br />

preve<strong>di</strong>bili, con conseguenti conflitti tra sentimenti <strong>di</strong><br />

onnipotenza e frustrazioni <strong>di</strong> impotenza (chi avrebbe detto un<br />

secolo fa che sarebbe stato più facile viaggiare sulla luna che<br />

curare un tumore?). Buona parte della ricerca biome<strong>di</strong>ca è<br />

finanziata da istituzioni sanitarie o da citta<strong>di</strong>ni (attraverso<br />

associazioni senza fine <strong>di</strong> lucro), alle domande dei quali<br />

bisogna saper rispondere senza inganni quando si comunicano<br />

i programmi e i risultati della ricerca. Nonostante l’enorme<br />

potenza della bio-informatica avremo bisogno ancora per<br />

2


3<br />

Premessa<br />

molto <strong>di</strong> trovare le cose semplici nella complessità, le regole o<br />

anche solo le ipotesi nella mole dei dati.<br />

A queste considerazioni si aggiungono altri problemi: come<br />

può essere determinata l’atten<strong>di</strong>bilità della letteratura<br />

scientifica? E’ infatti osservazione comune che non tutte le<br />

esperienze pubblicate sono costantemente riproducibili. Quali<br />

possono essere, inoltre, le conseguenze bio-informatiche <strong>di</strong><br />

una ridotta pubblicazione dei risultati negativi della ricerca?<br />

Nonostante gli enormi progressi della me<strong>di</strong>cina, il<br />

miglioramento della nostra salute (mortalità infantile<br />

<strong>di</strong>minuita più <strong>di</strong> 10 volte rispetto a un secolo fa; aspettativa <strong>di</strong><br />

vita me<strong>di</strong>a fortemente aumentata) è probabilmente dovuto<br />

più a fattori socio-economici (nutrizione, igiene e lavoro) e<br />

ambientali (cultura e ridotta natalità) che alle tecnologie<br />

me<strong>di</strong>che. Tuttavia esistono alcune malattie debellate<br />

dall’intervento me<strong>di</strong>co (ad esempio dai vaccini) e altre<br />

fortemente mo<strong>di</strong>ficate dalle tecnologie terapeutiche<br />

(antibiotici, sieri e farmaci) e <strong>di</strong>agnostico/preventive<br />

(screening, etc).<br />

La strada da fare è ancora molto lunga e può essere percorsa<br />

solo finché rimane un intimo contatto tra chi cura e chi fa<br />

ricerca biome<strong>di</strong>ca.<br />

Per questo il biotecnologo me<strong>di</strong>co deve conoscere i problemi<br />

sui quali la ricerca può agire, ma anche il linguaggio per<br />

interagire passo passo con il mondo clinico. Inoltre, è bene


Premessa<br />

ricordare che la cosiddetta me<strong>di</strong>cina molecolare è solo uno dei<br />

possibili approcci allo stu<strong>di</strong>o biome<strong>di</strong>co e non<br />

necessariamente quello che produce i risultati più utili: se<br />

potessimo fotografare tutte le sinapsi <strong>di</strong> un cervello<br />

contemporaneamente e misurare ciascuna molecola che le<br />

attraversa, non saremmo in grado <strong>di</strong> ipotizzare neanche<br />

lontanamente a che cosa quel cervello pensava. Un<br />

elettroencefalogramma o una tomografia ad emissione <strong>di</strong><br />

positroni potrebbero <strong>di</strong>rci probabilmente qualcosa <strong>di</strong> più.<br />

Questo solo per ricordarci che sono le domande cui si vuole<br />

rispondere e il piano sperimentale a rendere utile la ricerca.<br />

E allora perché un pe<strong>di</strong>atra? Perché tra<strong>di</strong>zionalmente si<br />

occupa <strong>di</strong> alcune patologie trattate nel corso, forse. Però è<br />

anche vero che la visione della me<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> un pe<strong>di</strong>atra può<br />

offrire anche alcune specificità: essa è affine alla genetica,<br />

perché in età pe<strong>di</strong>atrica si manifesta la maggior parte delle<br />

con<strong>di</strong>zioni monogeniche. La genetica offre alla pe<strong>di</strong>atria la<br />

<strong>di</strong>agnosi molecolare delle malattie e recentemente anche la<br />

terapia genica per alcune <strong>di</strong> queste. La pe<strong>di</strong>atria, d’altra parte<br />

offre alla me<strong>di</strong>cina i cosiddetti “esperimenti della natura”, che<br />

vestono i geni <strong>di</strong> significato e che collegano le molecole alle<br />

funzioni.<br />

La pe<strong>di</strong>atria inoltre vede l’evoluzione delle funzioni al primo<br />

contatto con l’ambiente ed è quin<strong>di</strong> il primo punto per<br />

osservare quanto i cambiamenti <strong>di</strong> quest’ultimo possano<br />

influire sulla salute. Questo è vero, in particolare, per<br />

4


5<br />

Premessa<br />

quell’interfaccia dove avviene la maggior parte del confronto<br />

molecolare con l’ambiente, cioè il tubo <strong>di</strong>gerente. Il corso <strong>di</strong><br />

nutrizione focalizzerà proprio su questi aspetti. Molte “prove”,<br />

portate a sostegno dei concetti descritti nel testo, derivano<br />

proprio dagli esempi fornitici dall’esperienza clinica e genetica<br />

<strong>di</strong> alcune malattie tipicamente infantili.<br />

Il biotecnologo potrà intervenire per migliorare la salute sia sul<br />

lato ambientale (evoluzione e sicurezza degli alimenti, cibi<br />

ottenuti da organismi geneticamente mo<strong>di</strong>ficati) che sul lato<br />

della me<strong>di</strong>cina.


Premessa<br />

Il docente<br />

Alberto Tommasini è nato nel 1966. Me<strong>di</strong>co Pe<strong>di</strong>atra e<br />

ricercatore presso l'IRCCS Burlo Garofolo e docente a contratto<br />

presso l’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> <strong>Trieste</strong>.<br />

Il campo <strong>di</strong> attività riguarda l’immunologia clinica, dalle<br />

immunodeficienze primitive alle malattie autoimmuni e<br />

reumatologiche. Uno dei fili conduttori dell’attività clinica e <strong>di</strong><br />

ricerca ha riguardato lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> <strong>di</strong>fetti genetici della<br />

regolazione immune caratterizzati da infiammazione e<br />

autoimmunità. Più recentemente si è interessato alla<br />

manipolazione cellulare in vitro per lo sviluppo <strong>di</strong> terapie<br />

cellulari.<br />

6


A chi sul lavoro e nella vita <strong>di</strong> ogni giorno<br />

ha con<strong>di</strong>viso le <strong>di</strong>fficoltà e le sod<strong>di</strong>sfazioni<br />

<strong>di</strong> un percorso a metà strada tra la clinica e la ricerca<br />

7


1. Introduzione<br />

2. Intestino e ambiente<br />

3. Il latte materno<br />

4. Le allergie alimentari<br />

5. La malattia celiaca<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

7. Abbreviazioni e glossario<br />

8. Bibliografia<br />

10


1. Introduzione<br />

11<br />

1. Introduzione<br />

Le malattie multifattoriali immunome<strong>di</strong>ate: tra genetica e<br />

ambiente.<br />

Un’elevata percentuale delle malattie multifattoriali può<br />

essere ricondotta a errori <strong>di</strong> funzionamento del sistema<br />

immunitario, dovuti a loro volta in quote <strong>di</strong>verse a fattori<br />

genetici ed ambientali 1 .<br />

Alcuni esempi sono elencati nella tabella 1, che riporta anche<br />

una stima approssimativa della <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> ogni malattia<br />

nella popolazione. Come si può vedere, nell’insieme, queste<br />

malattie interessano una percentuale rilevante della<br />

popolazione.<br />

Un aspetto interessante è che molte <strong>di</strong> queste malattie<br />

mostrano una <strong>di</strong>versa incidenza nel tempo e in <strong>di</strong>verse aree<br />

geografiche. Ciò suggerisce che mutamenti ambientali abbiano<br />

avuto un ruolo rilevante nella loro genesi.<br />

Questo accade ad esempio per il <strong>di</strong>abete insulino-<strong>di</strong>pendente<br />

(o <strong>di</strong>abete mellito <strong>di</strong> tipo 1, DMT1), la malattia infiammatoria<br />

cronica dell’intestino, la malattia celiaca e le allergie. Tuttavia<br />

non è stato facile fino ad oggi (se non forse per la celiachia)<br />

identificare i cambiamenti ambientali che hanno<br />

maggiormente inciso sul rischio <strong>di</strong> sviluppare queste malattie.


1.Introduzione<br />

Endocrinopatie autoimmuni 1:100<br />

Diabete Mellito <strong>di</strong> tipo 1<br />

(o insulino-<strong>di</strong>pendente)<br />

Tireopatie autoimmuni<br />

Iposurrenalismo<br />

Ipoparatiroi<strong>di</strong>smo<br />

Ipopituitarismo<br />

Altre malattie autoimmuni 1:1000<br />

Miastenia gravis<br />

Epatite autoimmune<br />

Sclerosi Multipla 1:2000<br />

Psoriasi 1:50<br />

Citopenie autoimmuni<br />

Allergie 1:20<br />

Allergie alimentari<br />

Asma<br />

Malattie reumatologiche 1:100<br />

Artrite reumatoide<br />

Lupus Eritemaoso<br />

Sistemico<br />

Altre<br />

Malattia infiammatoria 1:500<br />

cronica dell’intestino<br />

Malattia celiaca 1:100<br />

Tabella 1. Prevalenza approssimativa <strong>di</strong> alcune malattie immunome<strong>di</strong>ate<br />

In senso generale, si riconosce che lo stile <strong>di</strong> vita<br />

“occidentalizzato” ha costituito il determinante comune<br />

dell’aumento <strong>di</strong> incidenza <strong>di</strong> queste patologie. Stile <strong>di</strong> vita<br />

occidentalizzato significa <strong>di</strong>verse cose:<br />

• maggior <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> alimenti, migliore nutrizione;<br />

• maggior ricorso ad alimenti già preparati e conservati<br />

(frigorifero);<br />

12


13<br />

1. Introduzione<br />

• migliori standard igienici (<strong>di</strong>sponibilità e potabilità<br />

dell’acqua, fogne, riscaldamento degli ambienti, etc.);<br />

• minor rilevanza <strong>di</strong> patologie infettive (prevenzione delle<br />

infezioni con vaccini; <strong>di</strong>minuite gastroenteriti e infestazioni<br />

da parassiti; tendenza alla scomparsa <strong>di</strong> patologie come<br />

tubercolosi e lebbra);<br />

E’ bene sottolineare che la maggior parte dei cambiamenti<br />

alimentari e igienici che si sono verificati nei paesi più<br />

sviluppati ha avuto conseguenze positive. Per rendersi conto<br />

<strong>di</strong> quanto questo sia vero, è sufficiente osservare la quota <strong>di</strong><br />

mortalità ancora oggi legata <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente<br />

alla malnutrizione nei paesi più poveri. Secondo alcune analisi,<br />

i maggiori determinanti della riduzione della mortalità<br />

infantile e dell’aumento dell’aspettativa <strong>di</strong> vita risiedono nelle<br />

migliori con<strong>di</strong>zioni nutrizionali (quantità, qualità e sicurezza<br />

microbiologica degli alimenti), igieniche (acqua potabile,<br />

minor affollamento domestico, luminosità e riscaldamento<br />

degli ambienti) e socio-culturali (scolarizzazione, prevenzione<br />

delle gravidanze precoci). Gli interventi me<strong>di</strong>ci (vaccinazioni in<br />

primo luogo, ma anche <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> antibiotici) hanno un<br />

impatto minore.<br />

Quin<strong>di</strong>, per ora, a conti fatti, dovremmo essere contenti <strong>di</strong><br />

pagare il prezzo <strong>di</strong> questo benessere con l’aumento <strong>di</strong> alcune<br />

malattie che, tutto sommato sembrano abbastanza


1.Introduzione<br />

controllabili con le terapie me<strong>di</strong>che. Eppure è importante<br />

capire come i cambiamenti ambientali hanno influenzato la<br />

nostra salute, perché negli ultimi due secoli, come vedremo<br />

più in dettaglio, l’umanità ha accelerato enormemente il ritmo<br />

del cambiamento, per la prima volta influenzando in modo<br />

rilevante l’ecosistema in cui vive.<br />

Pochi numeri saranno utili a comprendere meglio<br />

l’argomento.<br />

L’evoluzione biologica dell’uomo si è svolta in circa 3 milioni <strong>di</strong><br />

anni, caratterizzati da un’alta pressione <strong>di</strong> selezione. La<br />

probabilità <strong>di</strong> morire prima <strong>di</strong> poter generare una prole era<br />

molto elevata e il saldo demografico veniva mantenuto in<br />

parità o in lieve crescita da un elevato rapporto <strong>di</strong> gravidanze<br />

per donna fertile. In tal modo, si ritiene che la variabilità<br />

genetica dei figli abbia consentito lentamente, <strong>di</strong> generazione<br />

in generazione, un adattamento ottimale e relativamente<br />

stabile all’ambiente. Negli ultimi secoli, invece, la rapi<strong>di</strong>tà del<br />

cambiamento ambientale (avvenuto nell’arco <strong>di</strong> poche<br />

generazioni) e la <strong>di</strong>minuita pressione selettiva (legata al<br />

miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni igienico-alimentari) non hanno<br />

potuto produrre un significativo adattamento della specie.<br />

Questo significa che, dal punto <strong>di</strong> vista biologico, l’uomo<br />

rispecchia in massima parte un adattamento ad un ambiente<br />

<strong>di</strong>verso da quello che si è creato negli ultimi due secoli.<br />

14


15<br />

1. Introduzione<br />

Fig. 1.1. L’evoluzione dell’uomo e le sue ere alimentari. Tratto da<br />

http://www.museum.agropolis.fr/pages/expos/fresque/la_fresque.htm<br />

Gli stu<strong>di</strong>osi, infatti, <strong>di</strong>stinguono in questa storia tre ere<br />

principali, ciascuna con durata assai <strong>di</strong>versa. Come si può<br />

desumere dalla figura 1.1, l’era più recente ha una durata<br />

puntiforme rispetto alle altre ere. Tuttavia in quest’era, si è<br />

assistito a cambiamenti alimentari, demografici e sanitari <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mensioni storiche enormi: sono <strong>di</strong>minuite fino a quasi<br />

scomparire alcune malattie infettive, mentre sono comparse e<br />

aumentate molte malattie multifattoriali. E’ ragionevole<br />

pensare che un ruolo nella patogenesi <strong>di</strong> queste malattie sia<br />

stato giocato dal confronto <strong>di</strong> un organismo che era adattato<br />

ad un ambiente <strong>di</strong>verso e che non ha avuto il tempo <strong>di</strong><br />

adattarsi ai nuovi cambiamenti, verificatisi nel giro <strong>di</strong> poche<br />

generazioni.<br />

Durante l’era agro-industriale stiamo assistendo ad altre<br />

transizioni <strong>di</strong> portata storica: la transizione demografica e la<br />

transizione alimentare. Nella transizione demografica<br />

possiamo riconoscere 3 fasi:<br />

• un periodo <strong>di</strong> aumento esponenziale della popolazione,<br />

dovuto al mantenimento del pre-esistente elevato tasso <strong>di</strong>


1.Introduzione<br />

fertilità cui si aggiunge una progressiva riduzione della<br />

mortalità (per motivi nutrizionali, igienici e me<strong>di</strong>ci);<br />

• un periodo <strong>di</strong> equilibrio in cui il tasso <strong>di</strong> fertilità comincia a<br />

<strong>di</strong>minuire ma la riduzione della mortalità prosegue,<br />

consentendo un saldo attivo della popolazione;<br />

• una terza fase, in cui il tasso <strong>di</strong> fertilità <strong>di</strong>minuisce<br />

ulteriormente (essenzialmente per motivi socio-culturali)<br />

fino a giungere ad una crescita <strong>di</strong> popolazione intorno allo<br />

0.<br />

I paesi più ricchi hanno già compiuto questa transizione,<br />

mentre i paesi più poveri sono ancora nella sua fase centrale<br />

(e le proiezioni sul compimento <strong>di</strong> questa presentano <strong>di</strong>versi<br />

punti <strong>di</strong> incertezza). In una posizione interme<strong>di</strong>a si pongono i<br />

paesi asiatici (fig. 1.2, 1.3, 1.4).<br />

Anche la transizione alimentare può essere <strong>di</strong>visa in <strong>di</strong>verse<br />

fasi.<br />

• 1. Il miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni nutrizionali ha inciso<br />

largamente sulla <strong>di</strong>minuzione <strong>di</strong>retta (fame) e in<strong>di</strong>retta<br />

(infezioni) <strong>di</strong> mortalità.<br />

• 2. I cambiamenti si sono consolidati producendo probabili<br />

ricadute positive sui figli <strong>di</strong> donne ben-nutrite (questo ha<br />

portato in generale ad un aumento della statura me<strong>di</strong>a<br />

della popolazione).<br />

• 3. Si teorizza il rischio che un eccesso alimentare (obesità)<br />

possa interrompere i trend sanitari positivi ed influenzare<br />

16


17<br />

1. Introduzione<br />

forse per la prima volta una <strong>di</strong>minuzione dell’aspettativa <strong>di</strong><br />

vita nei paesi più ricchi.<br />

Oltre all’aumentata <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> cibo, la transizione<br />

alimentare ha visto tuttavia altri importanti cambiamenti. Ad<br />

esempio, il contenuto <strong>di</strong> proteine nel frumento è<br />

drasticamente cambiato, con un aumento rilevante della<br />

quota rappresentata dal glutine (dal 2 al 20% del contenuto<br />

proteico) e questo cambiamento ha reso via via più evidente<br />

l’esistenza <strong>di</strong> soggetti intolleranti al glutine. Non solo, come<br />

sarà <strong>di</strong>scusso più avanti (cap. 5), le manifestazioni cliniche<br />

della celiachia sono a loro volta cambiate nell’ultimo secolo <strong>di</strong><br />

pari passo con il cambiamento delle con<strong>di</strong>zioni igieniche.<br />

Ancora, la nutrizione dei lattanti con latte vaccino è un<br />

fenomeno che ha conosciuto un’ampia <strong>di</strong>ffusione solo negli<br />

ultimi due secoli; le modalità <strong>di</strong> conservazione dei cibi sono<br />

completamente cambiate: dalla salatura, affumicatura e<br />

salamoia si è passati sempre più all’utilizzo <strong>di</strong> conservanti o<br />

alla conservazione in frigorifero.<br />

L’aumento <strong>di</strong> alcune delle malattie multifattoriali che stiamo<br />

osservando potrebbe essere la conseguenza <strong>di</strong> queste<br />

transizioni epocali, che rischiano <strong>di</strong> essere più rapide rispetto<br />

alla nostra capacità <strong>di</strong> adattamento biologico. Lo stu<strong>di</strong>o delle<br />

malattie <strong>di</strong> oggi, quin<strong>di</strong>, potrebbe aiutarci a vigilare meglio sui<br />

cambiamenti che produciamo all’ambiente e a prevederne i<br />

possibili effetti dannosi per la salute <strong>di</strong> domani.


1.Introduzione<br />

Fig. 1.2. Stime della popolazione e proiezioni dal 2005 al 2050 in <strong>di</strong>verse<br />

aree geografiche 2 .<br />

Fig. 1.3. Variazioni del tasso <strong>di</strong> natalità in <strong>di</strong>verse aree geografiche. La<br />

18


crescita 0 si osserva per un tasso leggermente superiore a 2 2 .<br />

Fig.1.4. Aspettativa <strong>di</strong> vita e proiezioni in <strong>di</strong>verse aree geografiche 2 .<br />

19<br />

1. Introduzione


2. Intestino e ambiente<br />

2. Intestino e ambiente<br />

La nostra sopravvivenza come quella <strong>di</strong> ogni essere vivente è<br />

resa possibile solo dall’assunzione <strong>di</strong> sufficienti quantità e<br />

qualità <strong>di</strong> nutrienti. I nutrienti servono al tempo stesso a<br />

fornire le molecole essenziali per il funzionamento<br />

dell’organismo e le fonti energetiche per il loro utilizzo.<br />

L’organismo umano de<strong>di</strong>ca alla funzione nutritiva un apparato<br />

molto complesso e raffinato: l’apparato <strong>di</strong>gerente.<br />

I primi passaggi (masticazione, omogenizzazione con saliva e<br />

poi con succhi gastrici aci<strong>di</strong>, neutralizzazione del pH acido e<br />

<strong>di</strong>gestione da parte <strong>di</strong> enzimi pancreatici) sono rivolti alla<br />

semplificazione dell’alimento e alla progressiva<br />

solubilizzazione e <strong>di</strong>gestione delle molecole in esso contenute.<br />

Nelle prime porzioni del <strong>di</strong>giuno sono resi <strong>di</strong>sponibili pepti<strong>di</strong>,<br />

aminoaci<strong>di</strong>, monosaccari<strong>di</strong>, lipi<strong>di</strong> e altre molecole che vengono<br />

assorbite per lo più attraverso meccanismi specifici facilitati da<br />

recettori o per <strong>di</strong>ffusione semplice. In con<strong>di</strong>zioni normali, il<br />

materiale residuo che passa nell’intestino crasso non<br />

dovrebbe contenere più quantità apprezzabili <strong>di</strong> nutrienti. I<br />

batteri in esso contenuti favoriscono la degradazione <strong>di</strong><br />

macromolecole non utilizzate, come la cellulosa,<br />

metabolizzano i residui proteici in<strong>di</strong>geriti, e sintetizzano<br />

vitamine del gruppo B e K.<br />

20


21<br />

2. Intestino e ambiente<br />

In realtà le cose non sono così semplici. Il fatto che la mucosa<br />

intestinale sia de<strong>di</strong>cata all’assorbimento <strong>di</strong> molecole semplici,<br />

fa sì che il suo epitelio sia <strong>di</strong>sponibile al contatto con le<br />

sostanze provenienti dall’ambiente con un effetto <strong>di</strong> barriera<br />

molto fragile (sicuramente molto più fragile <strong>di</strong> quello presente<br />

ad esempio sulla pelle). Ci troviamo dunque <strong>di</strong> fronte al<br />

paradosso <strong>di</strong> un sistema molto vulnerabile che, per necessità<br />

<strong>di</strong> sopravvivenza, deve essere continuamente messo alla<br />

prova da sostanze provenienti dall’ambiente esterno: in<br />

questa situazione eventuali sostanze tossiche o dannose o<br />

batteri patogeni possono facilmente mettere in crisi il sistema,<br />

penetrando all’interno del circolo ematico o danneggiando il<br />

sistema <strong>di</strong> approvvigionamento dei nutrienti. Ma questo è un<br />

rischio che si deve correre, se si vuole poter sfruttare la più<br />

ampia gamma <strong>di</strong> sostanze nutritive presenti nell’ambiente. A<br />

far fronte a questo rischio, per fortuna, si sono sviluppati<br />

alcuni fattori <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa: in primo luogo, il pH acido dello<br />

stomaco, oltre a svolgere una funzione <strong>di</strong>gestiva è in grado <strong>di</strong><br />

neutralizzare (nell’adulto) molti batteri. In secondo luogo, il<br />

tubo <strong>di</strong>gerente è <strong>di</strong>sseminato <strong>di</strong> cellule del sistema<br />

immunitario, organizzate in <strong>di</strong>versi livelli: cellule mucosali,<br />

sotto mucosali, noduli linfatici isolati, placche del Peyer, il<br />

tutto gravitante sul sistema <strong>di</strong> linfono<strong>di</strong> mesenterici (fig 2.1).<br />

Complessivamente, questo sistema costituisce il secondo<br />

organo linfoide per <strong>di</strong>mensioni dopo la milza. Il cosiddetto


2. Intestino e ambiente<br />

sistema immune associato alle mucose (MALT) comprende il<br />

50% del tessuto linfatico dell’intero organismo e provvede al<br />

70% della produzione anticorpale (in massima parte<br />

rappresentata da IgA).<br />

Fig 2.1. Sistema immune associato alla mucosa intestinale: follicoli linfatici<br />

solitari; aggregati follicolari in placche organizzate (Placche del Peyer). Da<br />

Sinelnikov, Atlante <strong>di</strong> Anatomia<br />

Questi dati non sorprendono, ove si ricor<strong>di</strong> che l’intestino, per<br />

i motivi sopra elencati, è un luogo <strong>di</strong> contatto continuo tra gli<br />

antigeni estranei e il sistema immunitario. Il compito del<br />

sistema immunitario in realtà non è semplice, perché prevede<br />

che la maggior parte del contenuto alimentare venga tollerato<br />

(questo è necessario per la nostra nutrizione), ma prevede<br />

anche che agenti potenzialmente dannosi vengano identificati<br />

e combattuti efficacemente. Alcuni autori suggeriscono che la<br />

mucosa intestinale sia una centrale <strong>di</strong> addestramento sia per<br />

22


23<br />

2. Intestino e ambiente<br />

la tolleranza immune sia per la risposta ai patogeni. Ad<br />

esempio, è stato <strong>di</strong>mostrato che anticorpi <strong>di</strong> tipo IgA prodotti<br />

contro Escherichia coli enterotossigeni a livello intestinale,<br />

vengono successivamente ritrovati oltre che nei flui<strong>di</strong><br />

intestinali anche nel latte materno e nella saliva. Secondo<br />

alcuni stu<strong>di</strong>, in soggetti con gravi malattie, la nutrizione<br />

enterale, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quella parenterale, garantisce il<br />

mantenimento <strong>di</strong> una produzione anticorpale <strong>di</strong> superficie,<br />

anche a vantaggio della mucosa respiratoria, con migliore<br />

<strong>di</strong>fesa dalle infezioni respiratorie. Questa <strong>di</strong>fesa sarebbe<br />

garantita dalla ricircolazione <strong>di</strong> linfociti intestinali, attraverso i<br />

linfono<strong>di</strong> mesenterici nel dotto toracico e quin<strong>di</strong> nella<br />

circolazione sanguigna sistemica (fig. 2.2).<br />

Questo avviene a maggior ragione per la risposta <strong>di</strong> tolleranza<br />

ai cibi e non solo. La <strong>di</strong>fferenza tra tolleranza e immunità sta<br />

probabilmente nel modo con cui vengono riconosciuti gli<br />

antigeni dal lume intestinale: antigeni corpuscolati (inglobati<br />

dalle M cells e passati attraverso le placche del Peyer) e<br />

antigeni riconosciuti in presenza <strong>di</strong> particolari tossine o <strong>di</strong><br />

componenti batteriche associate a patogenicità (PAMPs,<br />

pathogen associated molecular patterns), tenderanno a<br />

produrre una risposta immunitaria <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa. Gli altri antigeni<br />

saranno invece identificati come “cibo” e indurranno una<br />

risposta <strong>di</strong> tolleranza. Possiamo <strong>di</strong>re che, in assenza <strong>di</strong> fattori


2. Intestino e ambiente<br />

patogeni definiti, il programma <strong>di</strong> funzionamento basilare del<br />

sistema immune mucosale dell’intestino è la tolleranza.<br />

Fig 2.2. Ricircolo dei linfociti nei <strong>di</strong>versi siti mucosali.<br />

Ora, è bene notare che i due fenomeni devono essere in un<br />

equilibrio perfetto. La risposta contro i patogeni, infatti, non<br />

ha solo conseguenze positive (eliminazione del patogeno) ma<br />

anche negative (infiammazione e danno tessutale): una volta<br />

avviata, una reazione a patogeni rischierebbe <strong>di</strong> estendersi<br />

24


25<br />

2. Intestino e ambiente<br />

facilmente ad altri antigeni estranei presenti nel bolo<br />

alimentare. Come fa il sistema a capire che non appartengono<br />

al patogeno anch’essi? Non lo può capire, lo deve sapere già.<br />

Saperlo già significa che devono esistere linfociti specializzati a<br />

riconoscere gli antigeni alimentari come non nocivi,<br />

specializzati in altre parole a tollerare questi antigeni, evitando<br />

che la reazione immune venga estesa a questi. Deve esistere<br />

cioè una memoria della tolleranza. Il fenomeno della<br />

tolleranza agli alimenti (e anche della flora batterica saprofita)<br />

deve quin<strong>di</strong> essere, almeno in parte, un fenomeno attivo.<br />

L’esistenza <strong>di</strong> una tolleranza attiva mantenuta da specifiche<br />

cellule è sostenuta anche dalle osservazioni che, attraverso la<br />

somministrazione orale <strong>di</strong> antigeni è possibile estendere la<br />

tolleranza anche in organi <strong>di</strong>stanti dell’intestino e che, in<br />

animali da laboratorio, questa tolleranza può essere trasmessa<br />

ad altri animali attraverso l’infusione <strong>di</strong> linfociti periferici<br />

(Linfociti regolatori, ve<strong>di</strong> scheda). L’importanza <strong>di</strong> questo<br />

equilibrio per la nutrizione, e quin<strong>di</strong> per la vita, rende conto<br />

delle <strong>di</strong>mensioni importanti del sistema immune intestinale. E’<br />

chiaro, altresì, che una perturbazione <strong>di</strong> questo equilibrio, per<br />

motivi <strong>di</strong>versi, potrebbe portare a conseguenze molto gravi: si<br />

tratta proprio delle malattie <strong>di</strong> cui ci occupiamo in questo<br />

corso.


2. Intestino e ambiente<br />

Per meglio comprendere questi aspetti, può essere utile<br />

richiamare alcune conoscenze generali sulle modalità della<br />

risposta immune e <strong>di</strong> tolleranza.<br />

Le cellule del sistema immunitario possono schematicamente<br />

essere sud<strong>di</strong>vise in tre gruppi:<br />

• Cellule dell’immunità naturale. Sono capaci <strong>di</strong> fagocitare<br />

sostanze estranee e <strong>di</strong> presentarne frammenti ai linfociti.<br />

Sono attivate da strutture molecolari con<strong>di</strong>vise <strong>di</strong><br />

derivazione batterica (i PAMPs), attraverso il legame con<br />

molecole del gruppo dei toll like receptors (TLR). Sono in<br />

grado <strong>di</strong> fagocitare cellule (batteriche o fungine o cellule<br />

danneggiate), detriti e altre particelle opsonizzate da<br />

molecole del complemento o anticorpi. Producono<br />

sostanze capaci <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare la permeabilità vasale e<br />

capaci <strong>di</strong> richiamare altre cellule. Producono enzimi litici e<br />

degradativi.<br />

• Cellule natural killer. Sono de<strong>di</strong>cate soprattutto a vigilare<br />

sulle anomalie delle cellule dell’organismo (per infezioni<br />

virali; per trasformazione neoplastica). Producono la lisi<br />

delle cellule bersaglio con vari meccanismi.<br />

• Linfociti T e B. Sono le cellule dell’immunità adattativa.<br />

Durante il loro sviluppo, ciascuna cellula va incontro a un<br />

processo <strong>di</strong> ricombinazione genetica del proprio recettore<br />

(recettore dei linfociti T o TCR; immunoglobuline per i<br />

linfociti B) che è uno dei presupposti essenziali per la loro<br />

26


27<br />

2. Intestino e ambiente<br />

definitiva maturazione. Successivamente, in seguito a<br />

fenomeni <strong>di</strong> selezione centrale (timo per i linfociti T) e<br />

periferica (organi linfatici) ciascuna cellula matura potrà<br />

dare origine ad un clone più o meno ampio, recante<br />

un’unica specificità recettoriale. Per quanto riguarda i<br />

linfociti T, il processo <strong>di</strong> selezione centrale è molto<br />

rigoroso, e conduce infatti all’eliminazione <strong>di</strong> più del 90%<br />

delle cellule durante la maturazione nel timo. Attraverso<br />

meccanismi solo in parte decifrati, il timo vaglia i recettori<br />

dei linfociti T, <strong>di</strong>stinguendo almeno tre tipi <strong>di</strong> linfociti:<br />

quelli inutili o dannosi, che vengono eliminati; quelli<br />

potenzialmente utili, che vengono selezionati; quelli<br />

reattivi verso il self che, secondo l’ipotesi più accre<strong>di</strong>tata,<br />

vengono selezionati con un programma <strong>di</strong> lavoro che<br />

permetterà la loro attivazione a <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> possibili<br />

autoaggressioni (linfociti regolatori o Treg, ve<strong>di</strong> scheda).<br />

Questa breve descrizione risponde all’osservazione fatta già<br />

un secolo fa da Paul Erlich che, a fronte dell’esistenza <strong>di</strong><br />

un’ampia gamma <strong>di</strong> specificità anticorpali, postulava<br />

l’esistenza <strong>di</strong> un “horror autotoxicus”, cioè <strong>di</strong> qualche<br />

meccanismo che impe<strong>di</strong>sse al sistema immunitario <strong>di</strong> fare<br />

anticorpi anche contro le molecole del proprio organismo.<br />

Infatti, all’interno della centrale <strong>di</strong> addestramento timica ogni<br />

recettore può essere confrontato con una gamma (quasi)


2. Intestino e ambiente<br />

completa <strong>di</strong> antigeni dell’organismo. Tuttavia, in questa sede<br />

non può avvenire il confronto tra il TCR e l’altrettanto ampia<br />

varietà <strong>di</strong> antigeni alimentari che, al pari <strong>di</strong> quelli self, devono<br />

essere tollerati. Questo scenario quin<strong>di</strong> non spiega come si<br />

possa generare la tolleranza verso gli antigeni alimentari. La<br />

domanda è quin<strong>di</strong> se esistano veramente linfociti regolatori<br />

della tolleranza verso gli alimenti e se sì come e dove questi si<br />

formino?<br />

Una risposta ragionevole potrebbe essere che la tolleranza<br />

verso gli alimenti nasca primariamente proprio nell’intestino,<br />

e non nel timo, come accade invece per la tolleranza verso il<br />

self. Questo, in effetti, sembra essere vero, almeno in parte.<br />

Nella mucosa intestinale, infatti, vengono generate gran<strong>di</strong><br />

quantità <strong>di</strong> altri tipi <strong>di</strong> linfociti regolatori, che sembrerebbero<br />

più specializzati proprio per questa funzione.<br />

28


29<br />

2. Intestino e ambiente<br />

Linfociti regolatori e tolleranza immune: <strong>di</strong>verse prove<br />

<strong>di</strong>versi linfociti.<br />

1) I linfociti Tregs o natural Tregs o i “linfociti <strong>di</strong> Sakaguchi”.<br />

La prima <strong>di</strong>mostrazione dell’esistenza <strong>di</strong> questi linfociti deriva da<br />

una ricerca <strong>di</strong> S. Sakaguchi del 1995 3 . Venivano utilizzati topi privi<br />

<strong>di</strong> timo a causa <strong>di</strong> una variante genetica omozigote (topi nude<br />

BALB/c nu/nu) e topi singenici eterozigoti per la caratteristica nu<br />

(BALB/c nu/+) provvisti <strong>di</strong> un normale sistema immune. I topi nude,<br />

se non vengono tenuti in ambiente sterile, muoiono rapidamente a<br />

causa dell’assenza <strong>di</strong> un sistema immune. Linfociti ottenuti da<br />

linfono<strong>di</strong> e milza <strong>di</strong> topi BALB/c nu/+ sono tuttavia in grado <strong>di</strong><br />

ricostruire un sistema immune funzionale in questi animali<br />

permettendo la sopravvivenza in un ambiente normale. Sakaguchi<br />

scoprì che il trasferimento dei linfociti depletati <strong>di</strong> una piccola<br />

popolazione <strong>di</strong> linfociti CD4 caratterizzata dall’elevata espressione<br />

del CD25 (catena alfa del recettore dell’IL-2) causava nei topi<br />

riceventi lo sviluppo <strong>di</strong> malattie autoimmuni multiple. Per un<br />

limitato periodo <strong>di</strong> tempo dopo l’infusione, lo sviluppo <strong>di</strong> queste<br />

malattie poteva essere bloccato dall’aggiunta delle cellule<br />

precedentemente sottratte (CD4+CD25+). L’autore concludeva<br />

pertanto che quella popolazione dovesse contenere linfociti in<br />

grado <strong>di</strong> mantenere la tolleranza verso il self.<br />

Una decina <strong>di</strong> anni dopo, lo stesso autore <strong>di</strong>mostrò che quella<br />

particolare popolazione <strong>di</strong> linfociti CD4+CD25+ veniva generata nel<br />

timo e svolgeva la sua azione grazie all’espressione del fattore <strong>di</strong><br />

trascrizione FOXP3 4 .<br />

Questo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong>mostra che il gene FOXP3 è importante nella<br />

formazione <strong>di</strong> un sottogruppo <strong>di</strong> linfociti regolatori (CD4+CD25+) in<br />

grado, quando stimolati, <strong>di</strong> bloccare l'attivazione <strong>di</strong> linfociti<br />

presenti nell'ambiente circostante. In particolare, la ricerca prova<br />

che FOXP3 è espresso nel timo, soprattutto nei linfociti<br />

CD4+CD25+, dove la quantità <strong>di</strong> espressione è circa 100 volte<br />

maggiore che negli altri linfociti. L’espressione forzata <strong>di</strong> FOXP3 in<br />

linfociti T naive per mezzo <strong>di</strong> un transgene si associa ad una<br />

<strong>di</strong>minuita capacità proliferativa, a una <strong>di</strong>minuita produzione <strong>di</strong><br />

citochine e ad una aumentata espressione <strong>di</strong> alcune molecole <strong>di</strong><br />

superficie caratteristiche dei linfociti regolatori (GITR, CD104, CTLA-<br />

4). Le cellule trasdotte in questo modo si mostrano in grado <strong>di</strong>


2. Intestino e ambiente<br />

sopprimere in co-cultura la proliferazione <strong>di</strong> cellule CD4+CD25- in<br />

modo proporzionale all'espressione del transgene. Si precisa infine<br />

che l'attività soppressiva <strong>di</strong>pende dallo stimolo del recettore delle<br />

cellule regolatrici (è cioè secondaria all'attivazione <strong>di</strong> queste<br />

cellule) e si esplica attraverso il contatto cellulare e non<br />

semplicemente dalla produzione <strong>di</strong> citochine regolatorie (come<br />

descritto per altri tipi <strong>di</strong> cellule regolatorie). A conferma del ruolo<br />

regolatorio delle cellule FOXP3+ vengono compiuti anche degli<br />

stu<strong>di</strong> in vivo, in cui si <strong>di</strong>mostra che le cellule transgeniche per<br />

FOXP3 sono in grado <strong>di</strong> curare la malattia causata nei topi irra<strong>di</strong>ati<br />

dalla somministrazione dei soli linfociti CD4+CD25-.<br />

Nel 2001 (due anni prima <strong>di</strong> quest’ultimo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Sakaguchi),<br />

mutazioni del gene FOXP3 erano state descritte come responsabili<br />

<strong>di</strong> una rara sindrome genetica legata al cromosoma X e<br />

caratterizzata dalla comparsa precoce <strong>di</strong> molteplici fenomeni<br />

autoimmuni e allergici. Questa malattia, denominata IPEX<br />

(Immunodysregulation Polyendocrinopathy Enteropathy X-Linked)<br />

rappresenta l’esempio genetico del <strong>di</strong>fetto dei linfociti regolatori,<br />

responsabili del mantenimento della tolleranza.<br />

Nella nostra esperienza, la cura e lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un bambino con<br />

questa malattia hanno costituito un’occasione importante <strong>di</strong><br />

incontro tra l’esemplarietà <strong>di</strong> una malattia monogenica per la<br />

ricerca <strong>di</strong> base e le ricadute delle conoscenze a servizio delle<br />

necessità cliniche 5-7 .<br />

2) Altri linfociti regolatori. Tr1 e tolleranza intestinale. I “linfociti<br />

della Roncarolo”.<br />

Si tratta <strong>di</strong> un altro gruppo <strong>di</strong> linfociti, capaci <strong>di</strong> sopprimere<br />

l’attivazione <strong>di</strong> linfociti nel microambiente circostante (bystander<br />

action) per mezzo <strong>di</strong> citochine regolatrici, come l’interleuchina 10 e<br />

TGFbeta. Questi linfociti non hanno bisogno del contatto <strong>di</strong>retto<br />

con la cellula bersaglio e possono in tal modo favorire una<br />

tolleranza <strong>di</strong> ambiente, non specifica solo per un determinato<br />

antigene. Linfociti regolatori <strong>di</strong> questo tipo sono molto comuni<br />

nella mucosa intestinale dove, tra l’altro, l’IL-10 contribuisce a<br />

down-regolare l’eccessiva attivazione dei fagociti in continuo<br />

contatto con i più vari stimoli ambientali.<br />

30


L’appren<strong>di</strong>mento dell’ambiente.<br />

31<br />

2. Intestino e ambiente<br />

Il primo anno <strong>di</strong> vita è il periodo in cui avviene il maggiore<br />

adattamento del nostro organismo all’ambiente: questo è<br />

vero tanto per lo sviluppo del nostro cervello che per quello<br />

del nostro sistema immune. In entrambi i casi,<br />

l’appren<strong>di</strong>mento ha un costo energetico e cellulare elevato<br />

(per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> neuroni nel cervello e per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> linfociti nel timo).<br />

In entrambi i casi si imparano le regole per interagire con<br />

l’ambiente: il sistema nervoso pone le basi per il linguaggio,<br />

per il riconoscimento del sé dall’ambiente esterno (se non<br />

ancora per la coscienza dell’”io”); il sistema immune impara la<br />

tolleranza e la risposta immune e monta le prime risposte<br />

adattative all’ambiente. Il primo anno è, <strong>di</strong> fatto, il momento<br />

privilegiato perché queste interazioni si possano sviluppare<br />

correttamente. I primi mesi sono “tutelati” dal rapporto con la<br />

madre che, non a caso, vede fondersi il momento alimentare<br />

con quello della conoscenza dell’ambiente: la conoscenza<br />

tattile, gustativa e olfattiva del seno e del latte; la conoscenza<br />

u<strong>di</strong>tiva della voce della madre, il riconoscimento dei suoi<br />

occhi; la conoscenza <strong>di</strong> tracce <strong>di</strong> alimenti ingeriti dalla madre<br />

attraverso il latte; la graduale conoscenza <strong>di</strong> un mondo<br />

microbiologico che si accresce pian piano. E’ logico pensare<br />

che la perturbazione <strong>di</strong> queste con<strong>di</strong>zioni nel primo anno <strong>di</strong><br />

vita possa avere conseguenze sia sul lato cognitivo sia su<br />

quello immunologico.


2. Intestino e ambiente<br />

La maturazione dell’immunità<br />

intestinale nel bambino.<br />

Ci sono prove che già in utero avvenga un certo<br />

riconoscimento <strong>di</strong> antigeni alimentari che possono<br />

raggiungere il feto attraverso il sangue placentare. Di fatto,<br />

linfociti specifici per antigeni alimentari possono essere<br />

identificati nel sangue cordonale della maggior parte dei<br />

neonati 8-10 . In questa fase la risposta immune è però<br />

dominata da un complesso programma immunologico che<br />

garantisce al tempo stesso la tolleranza reciproca tra madre e<br />

feto. Alla nascita si verificano <strong>di</strong>versi eventi in grado <strong>di</strong><br />

mo<strong>di</strong>ficare in varia misura questo equilibrio.<br />

• L’intestino del neonato viene rapidamente colonizzato da<br />

batteri. Ci sono <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>mostrazioni che questa<br />

colonizzazione contribuisca a modellare l’organizzazione<br />

del sistema immune del bambino. I linfociti B produttori <strong>di</strong><br />

IgA e IgM cominciano a colonizzare la mucosa intestinale<br />

dopo una settimana dalla nascita, raggiungendo livelli<br />

stabili solo dopo un mese. Questo non avviene in neonati<br />

alimentati per nutrizione parenterale totale (fig. 2.3).<br />

L’osservazione che bambini nati con taglio cesareo (in<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> maggior sterilità), tendono ad avere<br />

un’incidenza <strong>di</strong> allergie maggiore rispetto ai neonati da<br />

parto spontaneo potrebbe fornire un altro dato in<strong>di</strong>retto a<br />

32


33<br />

2. Intestino e ambiente<br />

sostegno dell’importanza della colonizzazione intestinale<br />

precoce nella maturazione del sistema immunitario.<br />

• Il bambino conosce gli antigeni alimentari attraverso<br />

l’intestino. Questi possono essere forniti da formule per<br />

lattanti o <strong>di</strong>rettamente dall’allattamento materno. In<br />

quest’ultimo caso, il contatto con la cute materna fornisce<br />

un’ulteriore fonte <strong>di</strong> germi per la colonizzazione<br />

intestinale. Inoltre, il latte materno, come vedremo nel<br />

prossimo capitolo, contiene <strong>di</strong>verse sostanze e cellule<br />

immunologicamente attive.<br />

• Gli alimenti contribuiscono a modellare il sistema immune<br />

<strong>di</strong>rettamente (per le loro caratteristiche chimiche e<br />

antigeniche) e in<strong>di</strong>rettamente (per le loro caratteristiche<br />

nutrizionali e per la capacità <strong>di</strong> influire sulla costituzione<br />

della flora batterica intestinale).<br />

E’ possibile che <strong>di</strong>verse mo<strong>di</strong>ficazioni <strong>di</strong> questi elementi<br />

possano influenzare ampiamente lo sviluppo della tolleranza<br />

intestinale, influenzando il rischio <strong>di</strong> sviluppare malattie<br />

allergiche, e forse anche infiammatorie e autoimmuni.


2. Intestino e ambiente<br />

Fig. 2.3. Ruolo degli alimenti nella maturazione del sistema immune<br />

mucosale<br />

34


3. Il latte materno<br />

35<br />

3. Il latte materno<br />

Il latte materno è certo l’alimento naturale per un lattante.<br />

Questo non significa necessariamente che sia il migliore<br />

possibile. Però è stato fino ad oggi l’alimento che ha permesso<br />

la sopravvivenza dei cuccioli umani (e dei mammiferi in<br />

generale) ottenendo quin<strong>di</strong> dalla selezione naturale una sua<br />

“certificazione <strong>di</strong> qualità”. Il senso <strong>di</strong> questa certificazione è<br />

biunivoco, nel senso che è ragionevole pensare che<br />

l’evoluzione abbia premiato le coppie nutrice-lattante<br />

associate contemporaneamente alla migliore qualità del latte<br />

(selezione della madre) e alla miglior capacità <strong>di</strong> tollerare<br />

l’alimento e <strong>di</strong> utilizzarlo (selezione del bambino).<br />

Si potrebbe d’altra parte obiettare che alcune delle con<strong>di</strong>zioni<br />

che hanno fatto la “forza” del latte materno oggi sono mutate<br />

(almeno nei paesi più ricchi). Ad esempio, il latte materno


3. l latte materno<br />

costituisce un alimento ragionevolmente puro dal punto <strong>di</strong><br />

vista microbiologico (non contaminato da patogeni) e anzi<br />

microbiologicamente protetto grazie alla presenza <strong>di</strong> alte<br />

concentrazioni <strong>di</strong> anticorpi solubili. Queste qualità sono<br />

particolarmente importanti per il lattante, che non è ancora in<br />

grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendersi efficacemente dai patogeni assunti per via<br />

orale, data la minore aci<strong>di</strong>tà dei succhi gastrici e la maggiore<br />

permeabilità intestinale. Queste qualità fanno tuttora il<br />

successo del latte materno nei paesi più poveri e a minori<br />

standard igienico-sanitari. Si calcola, anzi, che il ricorso<br />

all’allattamento materno nei paesi più poveri potrebbe<br />

prevenire, con vari meccanismi, il 13% <strong>di</strong> tutte le cause <strong>di</strong><br />

morte in bambini sotto i 5 anni 11 .<br />

Oggi però è possibile preparare sostituti del latte materno con<br />

prodotti microbiologicamente puri, almeno per quanto<br />

riguarda l’alimentazione del mondo più ricco. Tuttavia le<br />

<strong>di</strong>fferenze tra il latte materno e i suoi sostituti non si<br />

esauriscono qui.<br />

Alcune evidenze suggeriscono, infatti, che il latte materno<br />

abbia un effetto sulla funzione immune del piccolo lattante<br />

molto <strong>di</strong>verso rispetto al latte <strong>di</strong> formula.<br />

• Nel 1996, venne evidenziato che il timo <strong>di</strong> lattanti allattati<br />

al seno aveva <strong>di</strong>mensioni molto maggiori (fino a doppie)<br />

rispetto al timo <strong>di</strong> bambini allattati con latte <strong>di</strong> formula 11 .<br />

La <strong>di</strong>fferenza non era dovuta ad una <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />

36


37<br />

3. Il latte materno<br />

frequenza <strong>di</strong> infezioni nei due gruppi. Secondo stu<strong>di</strong> più<br />

recenti, l’effetto potrebbe essere dovuto alla presenza nel<br />

latte <strong>di</strong> IL-7, una citochina tipica dello sviluppo timico dei<br />

linfociti, o in alternativa dal <strong>di</strong>verso con<strong>di</strong>zionamento della<br />

flora batterica intestinale.<br />

• Dati epidemiologici collegano l’allattamento al seno con un<br />

ridotto rischio <strong>di</strong> malattie infettive nei primi mesi <strong>di</strong> vita, in<br />

particolare con le gastroenteriti, ma anche infezioni<br />

respiratorie. Questa protezione <strong>di</strong>pende sicuramente in<br />

parte dall’effetto <strong>di</strong>retto delle immunoglobuline contenute<br />

nel latte materno. In particolare, il latte contiene gran<strong>di</strong><br />

quantità <strong>di</strong> IgA (intorno a 1g/L), immunoglobuline<br />

caratterizzate da importanti proprietà, tra cui la resistenza<br />

alla proteolisi e la capacità <strong>di</strong> bloccare antigeni patogeni<br />

senza provocare una rilevante reazione infiammatoria.<br />

Tuttavia, molti dati suggeriscono che il latte materno abbia<br />

anche un effetto in<strong>di</strong>retto sulla protezione da agenti<br />

infettivi, favorendo una corretta maturazione del sistema<br />

immune.<br />

• L’allattamento al seno sembra associato con un rischio<br />

ridotto <strong>di</strong> sviluppare alcune malattie immunome<strong>di</strong>ate a<br />

<strong>di</strong>stanza, tra cui il <strong>di</strong>abete autoimmune. Questo rischio è,<br />

in realtà, <strong>di</strong>fficile da misurare, trattandosi <strong>di</strong> malattie<br />

multifattoriali la cui patogenesi può essere influenzata da<br />

<strong>di</strong>versi cambiamenti ambientali.


3. l latte materno<br />

• In alcuni neonati prematuri può verificarsi una con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> stress acuto a carico dell’intestino con conseguente<br />

necrosi ipossica dell’organo (enterocolite necrotizzante del<br />

prematuro). L’intervento terapeutico in questi bambini<br />

prevede tra l’altro una restrizione alimentare e la<br />

somministrazione <strong>di</strong> antibiotici. Nei bambini allattati con<br />

latte umano, la rialimentazione precoce è tollerata senza<br />

aggravamento della patologia, <strong>di</strong>versamente da quanto<br />

avviene per il latte <strong>di</strong> formula, la cui introduzione deve<br />

quin<strong>di</strong> essere posticipata. Questa <strong>di</strong>fferenza è stata<br />

secondo alcuni attribuibile al benefico effetto del fattore <strong>di</strong><br />

crescita degli epiteli (EGF) contenuto nel latte materno.<br />

Le proprietà biologiche che permettono questi risultati non<br />

sono ancora del tutto comprese. Va però osservato che molte<br />

<strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong>pendono dal processo <strong>di</strong> sterilizzazione del latte<br />

formulato. Il trattamento al calore inattiva molte molecole<br />

biologicamente attive (citochine, fattori <strong>di</strong> crescita, anticorpi e<br />

ormoni), <strong>di</strong>strugge le cellule (il latte è ricco <strong>di</strong> macrofagi e altre<br />

cellule) e mo<strong>di</strong>fica altre sostanze nutritive. Il latte materno, al<br />

contrario, viene consumato come tale poco dopo la sua<br />

“preparazione”, mantenendo inalterata l’attività <strong>di</strong> tutte<br />

queste sostanze.<br />

In altre parole, possiamo <strong>di</strong>re che la <strong>di</strong>fferenza è inevitabile, se<br />

si considera il latte non solo per le sue proprietà nutritive ma<br />

38


39<br />

3. Il latte materno<br />

anche per la presenza <strong>di</strong> molecole bioattive e <strong>di</strong> cellule. E’<br />

bene precisare tuttavia che non conosciamo ancora, fino a che<br />

punto queste qualità biologiche siano utili al corretto sviluppo<br />

del lattante, dato che in con<strong>di</strong>zioni ambientali ideali esistono<br />

poche <strong>di</strong>fferenze tra i bambini allattati al seno e quelli<br />

alimentati con le attuali formule sostitutive.<br />

Ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> seguito le caratteristiche del latte materno cui<br />

usualmente viene attribuita importanza rispetto al latte <strong>di</strong><br />

formula, anche se per la maggior parte <strong>di</strong> queste non è facile<br />

misurare il reale beneficio a vantaggio del bambino.<br />

• Compatibilità immunologica. Come accennato in<br />

precedenza, la compatibilità degli antigeni del latte<br />

materno con il sistema immune del bambino è stata<br />

oggetto <strong>di</strong> una selezione naturale lunga quanto la genesi<br />

stessa dell’uomo. Le molecole del latte <strong>di</strong> altri mammiferi<br />

forse non sono così <strong>di</strong>verse, ma non hanno passato questo<br />

lungo periodo <strong>di</strong> “prova <strong>di</strong> compatibilità”, dato che sono<br />

state introdotte massicciamente nell’alimentazione dei<br />

lattanti solo negli ultimi due secoli.<br />

• Immunoprotezione. Diverse componenti presenti nel latte<br />

materno possono contribuire ad un effetto protettivo<br />

contro i patogeni. In primo luogo vanno considerate le<br />

immunoglobuline <strong>di</strong> classe A (IgA). E’ bene sottolineare<br />

che questi anticorpi non costituiscono un’aspecifica <strong>di</strong>fesa<br />

verso patogeni: essi portano con sé la memoria


3. l latte materno<br />

dell’ambiente in cui vive la mamma e in cui si inserisce il<br />

lattante. Oltre alle immunoglobuline, il latte contiene<br />

alcune proteine ad azione <strong>di</strong>retta antibatterica: il lisozima,<br />

in grado <strong>di</strong> lisare la parete dei batteri gram+ per mezzo <strong>di</strong><br />

un’azione <strong>di</strong>gestiva sul proteoglicano; la lattoferrina, in<br />

grado <strong>di</strong> inibire la crescita batterica sottraendo ferro e<br />

stimolando la produzione <strong>di</strong> citochine (la lattoferrina<br />

costituisce la prima proteina nel latte umano, con<br />

concentrazioni <strong>di</strong> 1-4 g/L); la lattoaderina, una<br />

glicoproteina in grado <strong>di</strong> legare ed inattivare il rotavirus.<br />

Ancora, il latte contiene oligosaccari<strong>di</strong> e mucine che<br />

possono interferire con l’adesione batterica alle cellule<br />

intestinali. Oltre a tutte queste molecole, il latte è ricco in<br />

cellule (100-1000 cellule/mcL), in particolare macrofagi,<br />

che potrebbero svolgere un ruolo nell’intestino del piccolo<br />

lattante, oltre che, ovviamente, nel prevenire l’infezione<br />

del latte all’interno della ghiandola mammaria.<br />

• Effetto antinfiammatorio e maturazione della mucosa.<br />

Questi effetti sembrano essere garantiti da una miscela <strong>di</strong><br />

citochine e fattori <strong>di</strong> crescita, caratterizzata dalla<br />

prevalenza <strong>di</strong> citochine antinfiammatorie, come il TGF-<br />

beta e l’IL-10, e dalla presenza <strong>di</strong> fattori come l’epidermal<br />

growth factor (EGF) ed il fattore <strong>di</strong> crescita dei monociti e<br />

granulociti, GM-CSF.<br />

40


4. Le allergie alimentari<br />

La nascita del concetto <strong>di</strong> allergia.<br />

41<br />

4. Le allergie alimentari<br />

Possiamo far iniziare questa storia verso la fine dell’ ‘800.<br />

Edward Jenner aveva posto le basi per le vaccinazioni, Luis<br />

Pasteur aveva da poco <strong>di</strong>mostrato il collegamento tra<br />

microrganismi e malattie, Robert Koch aveva evidenziato i<br />

criteri necessari per confermare la relazione causa-effetto tra<br />

infezione e malattia (postulati <strong>di</strong> Koch). Nel 1885 Pasteur<br />

utilizza per la prima volta il vaccino contro la rabbia e nel 1891<br />

Emil Adolf von Behring a Berlino utilizza per la prima volta il<br />

siero anti-<strong>di</strong>fterico in un bambino ammalato <strong>di</strong> <strong>di</strong>fterite. Le<br />

infezioni costituivano a quel tempo la principale causa <strong>di</strong><br />

malattia e <strong>di</strong> morte. I progressi della microbiologia e i primi<br />

passi dell’immunologia suggerivano la possibilità <strong>di</strong> un<br />

cambiamento, ancor più enfatizzata dal generale spirito<br />

positivista della scienza <strong>di</strong> fine secolo.<br />

In questa ambientazione, nel 1896 si assiste al primo decesso<br />

in seguito all’utilizzo <strong>di</strong> un siero anti-<strong>di</strong>fterico, evento che<br />

colpisce ancor <strong>di</strong> più in quanto si trattava <strong>di</strong> un trattamento<br />

preventivo in un bambino sano. Successivamente vengono<br />

riportati altri casi <strong>di</strong> reazione da siero, accompagnati dalla<br />

comparsa <strong>di</strong> febbre, macchie cutanee e insufficienza renale<br />

con shock. La patogenesi <strong>di</strong> questa malattia non venne subito


4. Le allergie alimentari<br />

compresa finché nel 1903 Arthus <strong>di</strong>mostrò che iniezioni<br />

ripetute <strong>di</strong> siero in conigli provocano simili reazioni e von<br />

Pirquet e Shick sottolinearono il fattore temporale della<br />

malattia da siero ed ipotizzarono che la malattia potesse<br />

costituire una “collisione tra antigeni e anticorpi”.<br />

Si tratta <strong>di</strong> un’ipotesi che rivoluzionerà lentamente<br />

l’interpretazione <strong>di</strong> molte malattie.<br />

Il XIX secolo aveva visto nelle infezioni la causa riconoscibile<br />

della maggior parte delle malattie e nel sistema immunitario la<br />

<strong>di</strong>fesa da parte dell’organismo. I sintomi delle malattie<br />

venivano anch’essi attribuiti all’azione <strong>di</strong>retta dei<br />

microrganismi.<br />

Von Pirquet (fig 4.1), invece, partendo dalla similitu<strong>di</strong>ne tra i<br />

sintomi tipici della malattia da siero e quelli presenti in molte<br />

malattie infettive esantematiche, ipotizzò per la prima volta<br />

che i sintomi delle malattie infettive potessero derivare non<br />

tanto dall’azione del germe ma dalla risposta contro <strong>di</strong> esso da<br />

parte del sistema immunitario.<br />

L’ipotesi, per l’epoca poteva sembrare molto azzardata, ma in<br />

realtà si appoggiava su un’altra osservazione fondamentale: il<br />

rapporto temporale tra la causa ed il sintomo. Il tempo <strong>di</strong><br />

“incubazione” della malattia da siero era, infatti, simile a<br />

quello <strong>di</strong> alcune malattie esantematiche, come il morbillo (Lo<br />

stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> von Pirquet, ve<strong>di</strong> scheda).<br />

42


43<br />

4. Le allergie alimentari<br />

Fig. 4.1. Clemens von Pirquet, ricordato in un numero del J. Immunology<br />

Come vedremo, questi pensieri non hanno costituito solo una<br />

speculazione filosofica ma, <strong>di</strong>mostrando che la risposta<br />

immunitaria può essere responsabile <strong>di</strong> sintomi<br />

“inappropriati”, aprirono il grande capitolo dello stu<strong>di</strong>o delle<br />

malattie immunome<strong>di</strong>ate. Questo filo logico continua oggi<br />

nell’osservazione della patomorfosi (cambiamento nel tempo<br />

della modalità <strong>di</strong> esprimersi <strong>di</strong> una malattia) <strong>di</strong> alcune malattie<br />

infettive: vecchie malattie (ad esempio la tubercolosi) hanno<br />

cambiato la loro presentazione nel tempo, a causa <strong>di</strong>


4. Le allergie alimentari<br />

cambiamenti dell’ambiente e dell’ospite e non è da escludersi<br />

che alcune infezioni si esprimano solo con lo scatenamento <strong>di</strong><br />

malattie multifattoriali immunome<strong>di</strong>ate. Il paradosso <strong>di</strong> un<br />

sistema immune che può creare malattia <strong>di</strong>venta ancor più<br />

evidente in un’epoca in cui il benessere fa passare in secondo<br />

piano la gravità delle infezioni e fa emergere l’apparente<br />

contrad<strong>di</strong>zione che von Pirquet in<strong>di</strong>ca come allergia (allos<br />

ergon = alterata reattività). L’esempio <strong>di</strong> von Pirquet ci fa<br />

comprendere la continuità tra la patologia immune <strong>di</strong> ieri<br />

(soprattutto infettiva) e la patologia immune <strong>di</strong> oggi<br />

(soprattutto <strong>di</strong>s-reattiva).<br />

L’allergia, come intesa oggi, in realtà è un fenomeno immune<br />

abbastanza <strong>di</strong>verso da quello illustrato da von Pirquet. Di<br />

fatto, lo stu<strong>di</strong>oso estese ben presto il concetto ad una serie <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>verse manifestazione dovute a inappropriata risposta<br />

immune. Reazioni che in seguito, Gell e Coombs<br />

raggrupparono in 4 classi.<br />

La malattia da siero corrisponde all’ipersensibilità <strong>di</strong> tipo III,<br />

me<strong>di</strong>ata da immunocomplessi. L’esempio più tipico <strong>di</strong> malattia<br />

da immunocomplessi nell’uomo è oggi quello del Lupus<br />

Eritematoso Sistemico.<br />

La risposta allergica corrisponde invece a meccanismi <strong>di</strong>versi,<br />

per lo più riconducibili alle reazioni <strong>di</strong> ipersensibilità <strong>di</strong> tipo I<br />

secondo Gell e Coombs. Ma il concetto <strong>di</strong> una alterata<br />

44


45<br />

4. Le allergie alimentari<br />

reattività immune, come meccanismo <strong>di</strong> malattia, resta valido<br />

ed è oggi alla base <strong>di</strong> numerose malattie.<br />

Lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> von Pirquet<br />

Clemens von Pirquet stu<strong>di</strong>a teologia a Innsbruck e filosofia a<br />

Leuven, poi Me<strong>di</strong>cina a Graz fino a trasferirsi all’Ospedale<br />

pe<strong>di</strong>atrico <strong>di</strong> Vienna verso l’inizio del ‘900, sotto la guida del prof<br />

Escherich (padre degli Escherichia coli). In questo vivace ambiente<br />

scientifico, von Pirquet affronta il paradosso tra malattia e<br />

protezione immune, sostenendo che un agente patogeno<br />

causerebbe segni <strong>di</strong> malattia nell’organismo solo dopo essere<br />

“mo<strong>di</strong>ficato” dalla presenza <strong>di</strong> anticorpi. Il tempo <strong>di</strong> incubazione<br />

della malattia coinciderebbe con il tempo richiesto per la<br />

formazione degli anticorpi. Per l’epoca si trattava <strong>di</strong> una teoria<br />

particolarmente innovativa e un po’ eretica rispetto ai successi del<br />

“positivismo” microbiologico.<br />

Nel 1903 (all’età <strong>di</strong> 29 anni), von Pirquet invia una lettera sigillata<br />

all’accademia delle Scienze <strong>di</strong> Vienna contenente quello che oggi<br />

verrebbe definito il suo “progetto <strong>di</strong> ricerca”. In esso era contenuta<br />

l’ipotesi <strong>di</strong> partenza e le modalità con cui l’autore si proponeva <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mostrarla. La busta sarebbe stata aperta 5 anni dopo alla<br />

presenza dello stesso von Pirquet.


4. Le allergie alimentari<br />

L’ipotesi era che sintomi <strong>di</strong> malattie esantematiche come il<br />

morbillo fossero dovuti non <strong>di</strong>rettamente al patogeno ma alla<br />

risposta dell’organismo contro <strong>di</strong> questo. Infatti, la febbre, le<br />

lesioni cutanee e il tempo <strong>di</strong> incubazione potevano ricordare<br />

proprio la reazione da siero.<br />

Somministrando siero <strong>di</strong> cavallo a conigli, von Pirquet <strong>di</strong>mostrò che<br />

(ve<strong>di</strong> immagine):<br />

- la formazione <strong>di</strong> anticorpi circolanti dopo l’infusione <strong>di</strong> gran<strong>di</strong><br />

quantità <strong>di</strong> siero eterologo è ritardata;<br />

- il ritardo è simile a quello che si osserva nella comparsa dei<br />

sintomi della malattia da siero e nell’incubazione <strong>di</strong> alcune<br />

malattie esantematiche;<br />

- una seconda infusione successiva porta a un calo degli<br />

anticorpi circolanti e alla comparsa imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong> sintomi;<br />

- la reazione è specifica: la seconda infusione deve contenere lo<br />

stesso siero;<br />

- piccole dosi <strong>di</strong> siero inducono anticorpi ma non sintomi clinici.<br />

A questa alterata reattività dell’organismo, in grado <strong>di</strong> produrre<br />

sintomi, von Pirquet dà il nome <strong>di</strong> “allergia“ (allos-ergon).<br />

Diversi meccanismi per <strong>di</strong>verse allergie:<br />

risposta pronta reaginica; risposta<br />

ritardata cellulare.<br />

La risposta allergica ricade prevalentemente tra le reazioni <strong>di</strong><br />

ipersensibilità <strong>di</strong> tipo I e <strong>di</strong> tipo IV secondo Gell e Coombs.<br />

Le reazioni <strong>di</strong> tipo I <strong>di</strong>pendono dalla stimolazione <strong>di</strong> una<br />

risposta linfocitaria dominata dalle citochine IL-4, IL-5 e IL-10<br />

(profilo Th2) in assenza <strong>di</strong> una sufficiente attivazione <strong>di</strong><br />

meccanismi contro-regolatori (produzione <strong>di</strong> IgA o IgG<br />

46


47<br />

4. Le allergie alimentari<br />

neutralizzanti; attivazione <strong>di</strong> linfociti regolatori specifici). I<br />

linfociti Th2 sostengono a loro volta la produzione <strong>di</strong><br />

immunoglobuline <strong>di</strong> tipo IgE da parte dei linfociti B (effetto<br />

dell’IL-4) e l’attivazione <strong>di</strong> granulociti eosinofili (effetto dell’IL-<br />

5). Le IgE specifiche, dette anche reagine, si legano ai recettori<br />

Fc sulla membrana dei mastociti, fino al momento in cui<br />

incontrano l’allergene. Il riconoscimento dell’allergene, <strong>di</strong><br />

solito provvisto <strong>di</strong> epitopi ripetuti, provoca il raggruppamento<br />

delle IgE <strong>di</strong> superficie e la degranulazione dei mastociti, con<br />

rilascio <strong>di</strong> istamina e <strong>di</strong> altre sostanze bioattive. L’istamina<br />

provoca vaso<strong>di</strong>latazione ed aumento della permeabilità<br />

vasale, con conseguente edema dei tessuti, stimolazione delle<br />

terminazioni nervose, prurito, rilascio <strong>di</strong> neuro-pepti<strong>di</strong>. Queste<br />

reazioni si sviluppano in genere nel giro <strong>di</strong> minuti<br />

(eccezionalmente ore) dopo il contatto con l’allergene e sono<br />

dette perciò anche reazioni <strong>di</strong> “ipersensibilità imme<strong>di</strong>ata” o<br />

“reazioni pronte” o “reaginiche”. Questo tipo <strong>di</strong> reazione,<br />

infine, avrà <strong>di</strong>verse conseguenze in base all’organo in cui si è<br />

verificato l’incontro con l’allergene.<br />

Nella pelle, reazioni minori condurranno alla formazione del<br />

pomfo, lesione elementare caratterizzata da edema<br />

superficiale (dovuto all’aumento <strong>di</strong> permeabilità vasale),<br />

pruriginosa e circondata da un’area più o meno ampia <strong>di</strong><br />

eritema (dovuto alla vaso<strong>di</strong>latazione). Reazioni più estese<br />

possono condurre a vaste chiazze <strong>di</strong> orticaria e in caso <strong>di</strong>


4. Le allergie alimentari<br />

compromissione più profonda ad angioedema (in questo caso<br />

l’edema interessa anche gli strati cutanei profon<strong>di</strong> e il<br />

sottocute).<br />

Un allergene che venga inalato entrerà invece a contatto con<br />

la mucosa respiratoria, a <strong>di</strong>versi livelli, a seconda della sua<br />

<strong>di</strong>mensione. Particelle più gran<strong>di</strong> stimoleranno una risposta<br />

immune a livello della mucosa nasale e paranasale<br />

provocando edema e secrezione nasale (rinite allergica) e, nei<br />

casi più gravi, sinusite e proliferazione della mucosa. A livello<br />

bronchiale, l’allergene potrà invece provocare, in soggetti<br />

pre<strong>di</strong>sposti (broncoiperreattività) bronco costrizione ed<br />

edema della mucosa con <strong>di</strong>minuzione del calibro bronchiale e<br />

<strong>di</strong>fficoltà espiratoria (espirazione prolungata con fischi e<br />

gemiti, asma). Una complicazione temibile delle reazioni<br />

allergiche è l’edema della glottide, che può portare a morte<br />

per soffocamento.<br />

A livello dell’apparato <strong>di</strong>gerente si potranno avere sintomi<br />

come edema delle labbra, prurito, vomito e enterocolite<br />

allergica.<br />

La persistenza della stimolazione allergica può condurre ad<br />

uno stato <strong>di</strong> infiammazione allergica cronica, caratterizzato da<br />

un ruolo maggiore degli eosinofili e dalla persistenza <strong>di</strong><br />

edema.<br />

In alcuni casi, sono sufficienti minime dosi <strong>di</strong> antigene che<br />

raggiungano il circolo per provocare reazioni allergiche<br />

48


49<br />

4. Le allergie alimentari<br />

sistemiche (anafilassi) che possono portare rapidamente a<br />

decesso per shock circolatorio. Il trattamento, in questi casi,<br />

richiede l’utilizzo <strong>di</strong> adrenalina, per mantenere il circolo e<br />

secondariamente <strong>di</strong> antistaminici e cortisonici per arginare la<br />

risposta allergica.<br />

Le reazioni allergiche ritardate avvengono <strong>di</strong> solito a ore o<br />

giorni dall’introduzione dell’allergene e sono dovute a un<br />

meccanismo immunologico <strong>di</strong>verso, classificabile come<br />

reazione <strong>di</strong> tipo IV secondo Gell e Coombs. Sono basate su<br />

questo meccanismo alcune allergie come l’enteropatia da<br />

proteine del latte vaccino. Il criterio temporale ha particolare<br />

importanza nella <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> allergia. In particolare la relazione<br />

<strong>di</strong> causa-effetto tra l’esposizione all’allergene e lo sviluppo dei<br />

sintomi sarà in genere evidente per reazioni imme<strong>di</strong>ate. Per<br />

reazioni più lente e/o in caso <strong>di</strong> sintomi più sfumati, la<br />

relazione <strong>di</strong> causa-effetto può essere dubbia. In questi casi,<br />

elementi aggiuntivi per la <strong>di</strong>agnosi specifica possono essere<br />

ottenuti da test <strong>di</strong> provocazione cutanea (prick test) o dalla<br />

ricerca <strong>di</strong> anticorpi IgE specifici nel sangue (RAST). Anche<br />

l’aumento degli eosinofili nel sangue (o nel muco nasale) dopo<br />

stimolo con l’antigene può fornire un utile parametro<br />

informativo.<br />

Il prick test è una procedura <strong>di</strong>agnostica che ricerca la<br />

presenza nella cute <strong>di</strong> mastociti sensibilizzati con IgE


4. Le allergie alimentari<br />

specifiche. Infatti, nelle ipersensibilità imme<strong>di</strong>ate, le IgE<br />

tendono a <strong>di</strong>stribuirsi sui mastociti in tutte le se<strong>di</strong>,<br />

in<strong>di</strong>pendentmente dalla<br />

localizzazione dei sintomi<br />

(respiratori, cutanei,<br />

gastroenterici). La cute<br />

offre quin<strong>di</strong> un<br />

“laboratorio” facilmente<br />

accessibile dove ricercare<br />

la presenza <strong>di</strong> questi<br />

anticorpi.<br />

In pratica, una goccia <strong>di</strong><br />

soluzione contenente<br />

un’appropriata<br />

concentrazione<br />

dell’antigene viene<br />

applicata sulla cute e con<br />

un ago si produce una<br />

piccola scarificazione in<br />

Fig. 4.2.Esecuzione <strong>di</strong> un prick test.<br />

modo da interrompere la barriera epiteliale e facilitare il<br />

contatto dell’antigene con i mastociti cutanei (fig. 4.2). Nel<br />

caso che siano presenti IgE specifiche, queste indurranno la<br />

degranulazione dei mastociti, e la formazione del pomfo. Le<br />

<strong>di</strong>mensioni e la forma del pomfo e dell’area eritematosa che lo<br />

circonda possono fornire un dato semi-quantitativo<br />

50


51<br />

4. Le allergie alimentari<br />

sull’intensità dell’allergia. L’esame è eseguito <strong>di</strong> solito<br />

confrontando <strong>di</strong>versi allergeni con un controllo positivo<br />

(istamina).<br />

Questo test, in presenza <strong>di</strong> una sintomatologia allergica, ha un<br />

elevato potere informativo, tuttavia è bene tenere in<br />

considerazioni alcuni aspetti. Primo, la positività al prick test<br />

non in<strong>di</strong>ca necessariamente un’allergia con espressione clinica<br />

manifesta: alcuni soggetti possono avere il prick test positivo<br />

ma possono tollerare (con vari meccanismi compensatori)<br />

l’allergene. In questi soggetti un’esclusione dell’allergene<br />

potrebbe avere conseguenze peggiori che una continua<br />

esposizione. Il prick test può risultare falsamente negativo in<br />

soggetti che assumono farmaci antistaminici e<br />

corticosteroidei. Infine, non sempre l’antigene applicato nel<br />

prick test rispecchia fedelmente quello in grado <strong>di</strong> provocare<br />

la reazione allergica (che può essere ad esempio un allergene<br />

derivato dalla <strong>di</strong>gestione <strong>di</strong> proteine nell’apparato <strong>di</strong>gerente).<br />

Un test equivalente rispetto al prick test è costituito dai RAST.<br />

In questo caso, gli anticorpi IgE specifici sono misurati nel siero<br />

dei pazienti per mezzo <strong>di</strong> una meto<strong>di</strong>ca ra<strong>di</strong>o-immunologica. I<br />

vantaggi dei RAST stanno nell’elevato numero <strong>di</strong> allergeni<br />

valutabili contemporaneamente e nella possibilità <strong>di</strong> ottenere<br />

un dato quantitativo in<strong>di</strong>pendente dal trattamento attuale del<br />

paziente. Gli svantaggi stanno nel costo, ma anche in


4. Le allergie alimentari<br />

un’eccessiva identificazione <strong>di</strong> risposte allergiche clinicamente<br />

non rilevanti.<br />

Nel caso <strong>di</strong> allergie con ipersensibilità <strong>di</strong> tipo ritardato, i test<br />

utili per la conferma <strong>di</strong>agnostica saranno <strong>di</strong>fferenti,<br />

includendo il dosaggio <strong>di</strong> anticorpi <strong>di</strong> tipo IgG (ad esempio<br />

nell’enteropatia da intolleranza alle proteine del latte vaccino)<br />

o l’applicazione dell’antigene per perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> 48-72 ore (patch<br />

test, nella dermatite da contatto).<br />

In ogni caso, una prova della responsabilità <strong>di</strong> un dato<br />

alimento in una reazione allergica potrà derivare da test <strong>di</strong><br />

scatenamento, in cui si riproduca (con le precauzioni adeguate<br />

rispetto al tipo <strong>di</strong> reazione) la tipica relazione temporale tra<br />

applicazione dello stimolo e manifestazione clinica. In caso <strong>di</strong><br />

sintomi soggettivi o più <strong>di</strong>fficilmente misurabili e oggettivabili,<br />

potrà essere utile eseguire test <strong>di</strong> scatenamento in doppio<br />

cieco, cioè somministrando in giorni <strong>di</strong>versi l’antigene<br />

“mascherato” in modo che né il me<strong>di</strong>co né il paziente lo<br />

possano riconoscere, fino a completamento della procedura.<br />

52


53<br />

4. Le allergie alimentari<br />

Allergie alimentari: allergia al latte.<br />

L’allergia alimentare al latte è una con<strong>di</strong>zione relativamente<br />

frequente nei primi anni <strong>di</strong> vita, interessando il 5% dei<br />

bambini. Il sintomo più frequentemente associato all’allergia<br />

al latte è costituto dalla dermatite, ma è bene ricordare che<br />

meno <strong>di</strong> un terzo delle dermatiti eczematose dei primi anni <strong>di</strong><br />

vita <strong>di</strong>pendono da allergie alimentari. Più raramente, l’allergia<br />

al latte può presentarsi anche (o soltanto) con sintomi <strong>di</strong> tipo<br />

anafilattico (cioè sintomi a comparsa acuta e in genere a<br />

interessamento multi-organo, me<strong>di</strong>ati da IgE). Questi sono<br />

riassunti nella tabella seguente (tab. 4.1).<br />

Localizzazione Segni e sintomi<br />

Cavo orale Prurito a labbra, lingua e palato, edema <strong>di</strong> labbra<br />

e lingua, sapore metallico in bocca<br />

Cute Eritema, prurito, orticaria, angioedema, rash,<br />

piloerezione<br />

Apparato Nausea, dolore addominale (colica), vomito e<br />

<strong>di</strong>gerente<br />

Apparato<br />

respiratorio<br />

<strong>di</strong>arrea<br />

Rinorrea, congestione nasale e starnuti; Prurito<br />

e tensione in gola, <strong>di</strong>sfonia, tosse abbaiante<br />

prurito nei condotti u<strong>di</strong>tivi esterni; <strong>di</strong>spnea,<br />

tosse profonda.<br />

Apparato Astenia, sincope, dolore toracico, tachicar<strong>di</strong>a,<br />

circolatorio <strong>di</strong>saritmia, ipotensione<br />

Altro Prurito periorale, eritema congiuntivale e<br />

lacrimazione, dolore lombare e contrazioni<br />

uterine, sensazione <strong>di</strong> morte.<br />

Tab. 4.1. Segni e sintomi <strong>di</strong> allergia a seconda della localizzazione


4. Le allergie alimentari<br />

Nelle forme più gravi, l’anafilassi coinvolge anche l’apparato<br />

respiratorio e circolatorio in un quadro che può giungere allo<br />

shock e alla morte (tab 4.2). Si tratta <strong>di</strong> casi rari, ma<br />

particolarmente gravi, perché spesso possono essere<br />

provocati da esposizione a quantità minime <strong>di</strong> antigene, tanto<br />

da poter essere inavvertite.<br />

Tab. 4.2. Gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> anafilassi, dal prurito allo shock.<br />

Le reazioni più blande possono essere controllate con un<br />

antistaminico, mentre nei casi più gravi è in<strong>di</strong>spensabile<br />

ricorrere all’uso dell’adrenalina, per mantenere la circolazione<br />

e il respiro.<br />

Purtroppo, le reazioni anafilattiche tendono a ripetersi<br />

costringendo chi ne soffre a evitare con estremo rigore il<br />

contatto con le sostanze scatenanti. Dato che, come si <strong>di</strong>ceva,<br />

54


55<br />

4. Le allergie alimentari<br />

contatti inavvertiti non sono infrequenti, anche da contatti<br />

minimi attraverso la cute o per via inalatoria 12,13 , il paziente<br />

dovrà anche essere costantemente munito <strong>di</strong> una dose <strong>di</strong><br />

adrenalina auto-iniettabile, da utilizzare in caso <strong>di</strong> necessità<br />

(fig. 4.3).


4. Le allergie alimentari<br />

Va da sé che la vita per<br />

questi soggetti cosiddetti<br />

“super-allergici” con rischio<br />

<strong>di</strong> anafilassi è<br />

pesantemente penalizzata.<br />

Impone infatti una <strong>di</strong>fficile<br />

<strong>di</strong>eta <strong>di</strong> esclusione (tracce<br />

occulte <strong>di</strong> latte possono<br />

essere contenute in molti<br />

alimenti 14,15 ) e una <strong>di</strong>fficile<br />

vita sociale (feste,<br />

ristoranti, comunità) ma<br />

nonostante ciò permane<br />

comunque il rischio <strong>di</strong><br />

andare incontro a<br />

manifestazioni gravi,<br />

Fig. 4.3. Manifesto informativo<br />

sull’uso <strong>di</strong> adrenalina auto-<br />

potenzialmente mortali. D’altra parte, la maggior parte dei<br />

pazienti tende a risolvere spontaneamente la propria allergia<br />

con la crescita e ritornando ad assumere gli alimenti<br />

incriminati dopo alcuni anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>eta. Tuttavia, non sempre<br />

questo accade, e c’è una piccola parte <strong>di</strong> pazienti in cui<br />

l’allergia non <strong>di</strong>minuisce nonostante la <strong>di</strong>eta 16,17 . In realtà ci<br />

sono ragionevoli motivi per ritenere che lo sviluppo <strong>di</strong> una<br />

tolleranza specifica sia più <strong>di</strong>fficile in totale assenza<br />

dell’antigene. Infatti, come abbiamo già <strong>di</strong>scusso, la tolleranza<br />

56


57<br />

4. Le allergie alimentari<br />

immune non è solo un fenomeno passivo (assenza <strong>di</strong> linfociti<br />

reattivi contro un dato antigene), ma soprattutto un<br />

fenomeno attivo (presenza <strong>di</strong> linfociti specifici per l’antigene e<br />

specializzati nel mantenimento della tolleranza).<br />

Per questo motivo, ci si è domandati se si potessero sviluppare<br />

protocolli per re-indurre la tolleranza attiva in questi soggetti,<br />

somministrando l’allergene in un regime controllato e sicuro,<br />

in modo da garantire almeno la tolleranza <strong>di</strong> piccole dosi e <strong>di</strong><br />

permettere una migliore qualità <strong>di</strong> vita.<br />

Alcune esperienze, in un contesto un po’ <strong>di</strong>verso, suggerivano<br />

che effettivamente l’anafilassi può essere prevenuta con una<br />

forzata esposizione a piccole dosi dell’antigene: ad esempio,<br />

nell’anafilassi da veleno <strong>di</strong> imenotteri, esistono procedure <strong>di</strong><br />

desensibilizzazione basate sull’iniezione sottocutanea ripetuta<br />

<strong>di</strong> piccole dosi dell’allergene. Per le allergie alimentari, invece,<br />

sono stati proposti protocolli basati sulla somministrazione<br />

sublinguale o orale dell’antigene in causa, a dosi ripetute e<br />

incrementali, avviando la procedura in un ambiente<br />

ospedaliero protetto, dove eventuali reazioni gravi possono<br />

prontamente essere fronteggiate 18,19 .<br />

Con queste procedure si ottengono, in <strong>di</strong>versi centri (tra cui<br />

quello della <strong>Clinica</strong> Pe<strong>di</strong>atrica <strong>di</strong> <strong>Trieste</strong>), risultati sicuramente<br />

incoraggianti. La maggior parte dei bambini trattati riesce a<br />

tollerare dosi più o meno alte dell’alimento, <strong>di</strong> solito ben al <strong>di</strong><br />

sopra <strong>di</strong> quelle che possono essere responsabili <strong>di</strong> assunzioni


4. Le allergie alimentari<br />

accidentali. In altre parole, se bevi ogni giorno mezzo bicchiere<br />

<strong>di</strong> latte puoi essere sicuro che non avrai una reazione<br />

anafilattica bevendone un cucchiaio.<br />

Queste procedure <strong>di</strong> desensibilizzazione sono ancora<br />

largamente empiriche, e si basano sul graduale aumento della<br />

dose, giocando ai limiti delle dosi tollerate senza sintomi<br />

importanti. Sfortunatamente, non sono ancora chiari i<br />

meccanismi cellulari e molecolari che permettono il<br />

raggiungimento della tolleranza in questi pazienti. Sembra<br />

probabile che un ruolo all’inizio della procedura sia svolto<br />

dall’“esaurimento” della risposta anticorpale specifica, per<br />

continua lieve stimolazione; un altro fenomeno, potrebbe<br />

risiedere nell’induzione <strong>di</strong> anergia nei linfociti specifici<br />

continuamente stimolati; ancora, un effetto anti-allergico<br />

viene attribuito ad una <strong>di</strong>versa modalità <strong>di</strong> risposta<br />

anticorpale contro l’antigene con IgG4 bloccanti piuttosto che<br />

con IgE; infine, ci si aspetta che la tolleranza definitiva si associ<br />

anche allo sviluppo <strong>di</strong> linfociti regolatori, in grado <strong>di</strong><br />

mantenere attivamente lo stato <strong>di</strong> tolleranza. Una migliore<br />

conoscenza <strong>di</strong> come la desensibilizzazione orale possa attivare<br />

questi e altri meccanismi potrà forse permettere in futuro <strong>di</strong><br />

migliorare in termini <strong>di</strong> tempi ed efficacia i protocolli <strong>di</strong><br />

desensibilizzazione.<br />

58


Atopia e stile <strong>di</strong> vita “occidentale”:<br />

l’ipotesi igienica.<br />

59<br />

4. Le allergie alimentari<br />

L’atopia è una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>sposizione allo sviluppo <strong>di</strong><br />

risposte allergiche espresse variamente (eczema, rinite ed<br />

asma), in risposta a comuni ed innocui antigeni ambientali.<br />

Una parte dei fattori pre<strong>di</strong>sponenti è stata identificata:<br />

• nella maggior attitu<strong>di</strong>ne dell’atopico a produrre IgE;<br />

• in una risposta esagerata da parte <strong>di</strong> mastociti ed<br />

eosinofili; nell’ipereattività bronchiale (nel caso dell’asma);<br />

• nell’aumento <strong>di</strong> permeabilità cutanea (nel caso della<br />

dermatite atopica).<br />

Si tratta per lo più <strong>di</strong> caratteri geneticamente determinati (per<br />

i quali sono stati identificati i rispettivi loci) abbastanza comuni<br />

nella popolazione generale. Esistono poi fattori ambientali da<br />

lungo tempo accertati come il fumo <strong>di</strong> sigaretta e l’aumento<br />

del particellato atmosferico, che con<strong>di</strong>zionano l’espressione<br />

della malattia nel soggetto pre<strong>di</strong>sposto.<br />

Negli ultimi 20 anni però si è assistito ad un sorprendente<br />

aumento dell’incidenza e della severità delle malattie atopiche<br />

nei paesi ad alto tenore socio-economico, <strong>di</strong>fficilmente<br />

spiegabile sulla base della genetica e dei sopramenzionati<br />

fattori ambientali.<br />

Uno stu<strong>di</strong>o condotto dopo l’unificazione tedesca ha<br />

paragonato la prevalenza <strong>di</strong> alcune manifestazioni allergiche


4. Le allergie alimentari<br />

tra bambini in età scolare della ex-Germania Est (Lipsia) e della<br />

Germania Ovest (Monaco). L’incidenza <strong>di</strong> atopia era<br />

lievemente minore nei bambini <strong>di</strong> Lipsia, nonostante questi<br />

fossero esposti a livelli <strong>di</strong> inquinamento atmosferico<br />

sensibilmente maggiori 20 . Da qui nasceva l’idea che esistesse<br />

qualche elemento dello “stile <strong>di</strong> vita occidentale” capace <strong>di</strong><br />

influenzare lo sviluppo <strong>di</strong> atopia in modo più determinante<br />

rispetto all’inquinamento ambientale, come ad esempio un<br />

incremento nell’esposizione all’acaro della polvere in ambienti<br />

domestici più riscaldati. L’idea è sostenuta anche da altri lavori<br />

che hanno riscontrato un aumento dell’incidenza <strong>di</strong> atopia in<br />

seguito alla migrazione in paesi più ricchi <strong>di</strong> soggetti<br />

provenienti da un paese con basso standard socio-<br />

economico 21,22 .<br />

Non è chiaro però quale elemento della “occidentalizzazione”<br />

sia il responsabile <strong>di</strong> questo fenomeno. Alla fine degli anni ‘80<br />

è stato suggerito che quest’andamento potesse <strong>di</strong>pendere<br />

dalle migliorate con<strong>di</strong>zioni igieniche con <strong>di</strong>simpegno del<br />

sistema immune sul fronte delle infezioni e suo riversamento<br />

su una risposta allergica contro allergeni. Infatti, alcune<br />

evidenze suggerivano che le infezioni acquisite durante<br />

l’infanzia potessero prevenire lo sviluppo della febbre da<br />

fieno 23 . Stu<strong>di</strong> successivi hanno riscontrato una relazione<br />

variabile tra specifiche infezioni contratte durante l’infanzia e<br />

lo sviluppo <strong>di</strong> atopia 24-26 . A conferma dell’ipotesi “infettiva” si<br />

60


61<br />

4. Le allergie alimentari<br />

poteva leggere il dato che nelle famiglie più numerose l’atopia<br />

è meno frequente ed in particolare lo è <strong>di</strong> meno nei fratelli<br />

successivi, verosimilmente perché esposti precocemente a<br />

infezioni trasmesse dai fratelli maggiori 27 .<br />

Nello stesso periodo apparve evidente da stu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

immunologia che la risposta contro le infezioni è me<strong>di</strong>ata da<br />

meccanismi <strong>di</strong>versi ed antagonisti rispetto alla risposta<br />

allergica. I linfociti Thelper che organizzano la risposta immune<br />

nei due casi sono schematicamente <strong>di</strong>stinguibili in base al<br />

profilo <strong>di</strong> citochine prodotte in Th1 (risposta alle infezioni) e<br />

Th2 (allergia).<br />

In base a questo presupposto teorico è possibile leggere la<br />

relazione inversa tra incidenza delle malattie allergiche e<br />

miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni igienico-sanitarie,<br />

ammettendo che la <strong>di</strong>minuita esposizione a malattie infettive<br />

alteri l’equilibrio delle citochine nell’organismo, con una<br />

maggior <strong>di</strong>sponibilità a fare risposte <strong>di</strong> tipo Th2 e quin<strong>di</strong> a<br />

sviluppare allergia. In realtà dal punto <strong>di</strong> vista immunologico le<br />

cose non sembrano essere così semplici poiché le scelte che<br />

l’organismo può compiere <strong>di</strong> fronte ad una molecola estranea<br />

non prevedono solo la possibilità esclusiva <strong>di</strong> una risposta Th1<br />

o Th2, ma anche l’opportunità <strong>di</strong> imparare a tollerare del tutto<br />

la nuova molecola con una modalità <strong>di</strong> risposta <strong>di</strong>versa o non<br />

rispondendovi affatto.


4. Le allergie alimentari<br />

Di fatto i dati riguardanti la relazione tra infezioni ed atopia<br />

sono ancora controversi. La positività ai prick test per una<br />

batteria <strong>di</strong> allergeni inalanti è risultata <strong>di</strong>mezzata in<br />

adolescenti che avevano avuto il morbillo in età infantile<br />

rispetto a quelli che erano stati vaccinati e non avevano<br />

contratto la malattia 25 . In questo stu<strong>di</strong>o, condotto in Guinea<br />

Bissau, un potenziale fattore confondente potrebbe essere<br />

costituito da un elevato livello <strong>di</strong> infestazione parassitaria.<br />

Infatti la risposta allergica utilizza gli stessi meccanismi che<br />

l’evoluzione ha selezionato per combattere i parassiti ed è<br />

stata osservata una relazione inversa tra infestazioni<br />

parassitarie ed atopia, tanto da suggerire che quest’ultima si<br />

possa sviluppare solo laddove il sistema eosinofili-IgE resta<br />

privo del suo obiettivo naturale.<br />

Poiché il micobatterio della tubercolosi (MBT) è un potente<br />

induttore <strong>di</strong> risposta tipo Th1, si è pensato che la <strong>di</strong>minuzione<br />

dell’incidenza della tubercolosi potesse essere il fattore<br />

infettivologico responsabile dell’aumento dell’atopia. Un<br />

recente stu<strong>di</strong>o anglo-nipponico ha valutato<br />

retrospettivamente la prevalenza <strong>di</strong> sintomi e <strong>di</strong> segni<br />

ematochimici <strong>di</strong> atopia in soggetti che erano stati vaccinati per<br />

la tubercolosi con un protocollo che prevedeva la ripetizione<br />

della dose nel caso che a controlli successivi non fosse<br />

mantenuta la positività alla cutireazione tubercolinica 28 . Nei<br />

soggetti che rispondevano meglio al vaccino si registrava una<br />

62


63<br />

4. Le allergie alimentari<br />

minor prevalenza <strong>di</strong> segni clinici e laboratoristici <strong>di</strong> atopia. Una<br />

possibile interpretazione <strong>di</strong> questo dato è che i responder<br />

siano i meno pre<strong>di</strong>sposti a sviluppare atopia non per effetto<br />

del vaccino ma per caratteristiche geneticamente determinate<br />

del proprio sistema immune. E’ <strong>di</strong>fficile tuttavia utilizzare lo<br />

stato <strong>di</strong> risposta al MBT come in<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione<br />

genetica <strong>di</strong> responsività immune, poiché che nell’arco <strong>di</strong><br />

vent’anni la reattività tubercolinica della popolazione<br />

giapponese <strong>di</strong>minuì dal 95% al 58%. Gli autori suggeriscono<br />

che in realtà le risposte più durature al vaccino siano<br />

mantenute dalla circolazione <strong>di</strong> MBT nella popolazione e che<br />

sia questo il vero fattore protettivo nei confronti dell’atopia.<br />

Un altro dato interessante che emerge da questo lavoro è<br />

l’aumento <strong>di</strong> incidenza <strong>di</strong> atopia in soggetti che si sono<br />

negativizzati alla tubercolina.<br />

Un altro lavoro svolto in Svezia, tuttavia, non ha riscontrato<br />

alcun effetto prottetivo della vaccinazione precoce con BCG<br />

sullo sviluppo <strong>di</strong> allergie in soggetti con familiarità per atopia<br />

29 . D’altra parte è noto che il BCG è dotato <strong>di</strong> un’efficacia<br />

estremamenrte più scarsa rispetto all’esposizione naturale<br />

all’MBT, che in Svezia è pressocché assente.<br />

Uno stu<strong>di</strong>o italiano su allievi militari ha <strong>di</strong>mostrato una<br />

relazione inversa tra la prevalenza <strong>di</strong> una pregressa epatite A e<br />

la presenza <strong>di</strong> asma e rinite. La stessa correlazione era<br />

evidente con i parametri <strong>di</strong> laboratorio (positività <strong>di</strong> una


4. Le allergie alimentari<br />

batteria <strong>di</strong> prick test per inalanti, livelli sierici <strong>di</strong> IgE specifiche<br />

contro i comuni allergeni inalanti). Inoltre veniva confermata<br />

in questo lavoro una relazione inversa tra atopia e numero <strong>di</strong><br />

fratelli. Non è chiaro però il ruolo della pregressa infezione da<br />

epatite A, che potrebbe essere semplicemente la spia <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>zioni igienico-ambientali, o <strong>di</strong> abitu<strong>di</strong>ni alimentari <strong>di</strong>verse<br />

26<br />

.<br />

Se le infezioni hanno un ruolo nell’atopia è giusto pensare che<br />

questo sia giocato anche dalle vaccinazioni. Tra<strong>di</strong>zionalmente<br />

però, le vaccinazioni sono state mirate a ottenere<br />

prevalentemente una risposta <strong>di</strong> tipo anticorpale specifica<br />

(come ad esempio quella bloccante le tossine tetanica e<br />

<strong>di</strong>fterica) che non riproduce quella secondaria all’infezione<br />

naturale. Di fatto una <strong>di</strong>fferenza nell’attivazione <strong>di</strong> linfociti Th1<br />

e Th2 è stata rilevata <strong>di</strong> recente con l’uso <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi vaccini (per<br />

esempio si è evidenziato che il vaccino antipertosse acellulare<br />

dà una risposta sia Th1 che Th2, <strong>di</strong>versamente dal vaccino<br />

cellulare che induce solo una risposta Th1) 30 . In molti casi la<br />

risposta anticorpale al vaccino viene potenziata per mezzo <strong>di</strong><br />

a<strong>di</strong>uvanti, il più usato dei quali è senza dubbio l’idrossido <strong>di</strong><br />

alluminio. L’aggiunta <strong>di</strong> idrossido <strong>di</strong> alluminio a un vaccino<br />

antipertossico cellulare con<strong>di</strong>ziona non solo una maggior<br />

risposta <strong>di</strong> tipo IgG, ma anche IgE 31 .<br />

64


65<br />

4. Le allergie alimentari<br />

In conclusione i dati epidemiologici permettono <strong>di</strong> sostenere<br />

che lo stile <strong>di</strong> vita occidentale si associa a una maggiore<br />

incidenza <strong>di</strong> atopia, ma è tuttora incerto quali aspetti<br />

dell’occidentalizzazione siano responsabili del fenomeno in<br />

questione. Le evidenze a favore <strong>di</strong> un ruolo delle infezioni,<br />

sebbene teoricamente sostenute dall’ipotesi della<br />

polarizzazione immunologica tra Th1 e Th2, necessitano <strong>di</strong><br />

ulteriori stu<strong>di</strong> che sappiano <strong>di</strong>scriminare quali infezioni<br />

abbiano un ruolo maggiore ed in che epoca della vita. In realtà<br />

il problema è ulteriormente confuso dalla eccessiva<br />

semplificazione che si fa parlando <strong>di</strong> una polarizzazione tra<br />

Th1 e Th2, trascurando altre modalità <strong>di</strong> risposta che<br />

conducano ad una tolleranza vera e propria e non al semplice<br />

shift della risposta. E’ verosimile che anche questo processo<br />

sia influenzato da fattori igienico-ambientali, in particolare per<br />

quanto riguarda la colonizzazione delle mucose da parte <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versi microrganismi saprofiti e quin<strong>di</strong> le abitu<strong>di</strong>ni alimentari.<br />

Stu<strong>di</strong> in questo senso potrebbero condurre a nuovi tipi <strong>di</strong><br />

immunoterapia dell’atopia.


5. La malattia celiaca<br />

5. La malattia celiaca<br />

La malattia celiaca viene descritta per la prima volta come<br />

un’entità nosologica definita verso la fine dell’800 da Samuel<br />

Gee, a Londra 32 . Gee in<strong>di</strong>cò la malattia con il nome <strong>di</strong><br />

“malattia celiaca”, nome già utilizzato dal me<strong>di</strong>co greco<br />

Aretaeus <strong>di</strong> Cappadocia nel secondo secolo a.C. per in<strong>di</strong>care<br />

una malattia caratterizzata da <strong>di</strong>sturbi intestinali (koiliakos, in<br />

greco) con <strong>di</strong>arrea untuosa, pallore e calo ponderale. E’ da<br />

notare che questo me<strong>di</strong>co operava proprio nell’Est della<br />

Turchia, in prossimità delle regioni del Me<strong>di</strong>oriente dove si<br />

erano maggiormente sviluppati la coltivazione ed il consumo<br />

<strong>di</strong> frumento. Forse, la descrizione <strong>di</strong> Aretaeus <strong>di</strong> Cappadocia ci<br />

racconta <strong>di</strong> uno dei primi incontri tra l’uomo e questo nuovo<br />

alimento, dopo più <strong>di</strong> un milione <strong>di</strong> anni <strong>di</strong> evoluzione in sua<br />

assenza. Dopo questa descrizione, non si è parlato più <strong>di</strong><br />

malattia celiaca per duemila anni: è possibile che una certa<br />

selezione negativa si sia sviluppata dopo i primi contatti e che<br />

la malattia sia <strong>di</strong>venuta quin<strong>di</strong> più rara e meno evidente.<br />

Successivamente, si è tornati a parlare <strong>di</strong> malattia celiaca nel<br />

XIX secolo, forse in concomitanza con un sensibile aumento <strong>di</strong><br />

concentrazione <strong>di</strong> glutine nel frumento. Infatti, l’agricoltura,<br />

dapprima con la selezione <strong>di</strong> specie più vantaggiose (ad<br />

esempio quelle in cui i semi rimanevano più a lungo sulla spiga<br />

e consentivano quin<strong>di</strong> una mietitura più proficua) e<br />

66


67<br />

5. La malattia celiaca<br />

successivamente favorendo gli incroci tra piante con<br />

determinate caratteristiche (ad esempio la capacità <strong>di</strong><br />

lievitazione della farina, in gran parte <strong>di</strong>pendente dalla sua<br />

collosità, a sua volta determinata dal contenuto in glutine) ha<br />

gradualmente portato a varietà <strong>di</strong> frumento molto più ricche<br />

in glutine (dal 2 al 30% del contenuto proteico del cereale).<br />

Era della nascita della malattia celiaca.<br />

Samuel Gee descrisse la malattia come una “in<strong>di</strong>gestione<br />

cronica” che si può verificare in persone <strong>di</strong> qualsiasi età, ma<br />

che interessa specialmente i bambini tra 1 e 5 anni <strong>di</strong> età.<br />

L’aspetto caratteristico riguarda le feci, che appaiono in gran<strong>di</strong><br />

quantità, sformate ma non liquide, con aspetto chiaro,<br />

consistenza simile a lievito e schiumosa (a suggerire la<br />

presenza <strong>di</strong> fenomeni fermentativi), particolarmente<br />

maleodoranti (suggerendo fenomeni putrefattivi). Il paziente<br />

appariva cachettico, <strong>di</strong> debole muscolatura, pallido e gonfio.<br />

La malattia spesso conduceva a decesso e, anche in caso <strong>di</strong><br />

guarigione, tendeva a ricadere. Ciò che ha reso più innovativa<br />

la descrizione <strong>di</strong> Gee, fu la sua conclusione, secondo cui l’unico<br />

trattamento possibile doveva consistere nella <strong>di</strong>eta. Tuttavia,<br />

le sue osservazioni riguardo a un maggior effetto lesivo <strong>di</strong> riso


5. La malattia celiaca<br />

e mais rispetto a farina <strong>di</strong> frumento si sarebbero poi rivelate<br />

erronee.<br />

Il fatto che la malattia possa essere <strong>di</strong>ventata più frequente<br />

che nei secoli precedenti non è induce inizialmente a ricercare<br />

una correlazione con specifici cambiamenti ambientali.<br />

L’identificazione dell’agente scatenante il morbo celiaco<br />

richiese circa mezzo secolo. Per quanto la comparsa della<br />

malattia dopo lo svezzamento potesse suggerire la<br />

responsabilità delle farine, dapprima questa venne attribuita<br />

alla loro composizione in ami<strong>di</strong>. Ancora nel 1921 la malattia<br />

veniva connotata come una intolleranza ai carboidrati, mentre<br />

i grassi erano tollerati molto meglio. Nel 1949 Sydney Haas<br />

proponeva una <strong>di</strong>eta a base <strong>di</strong> banane, e altri frutti, alimenti<br />

particolarmente gra<strong>di</strong>ti ai bambini celiaci. La buona capacità <strong>di</strong><br />

tollerare questi alimenti permise <strong>di</strong> “riabilitare” i carboidrati.<br />

Contemporaneamente, in Olanda, la transitoria sostituzione<br />

delle farine <strong>di</strong> frumento e segale con quelle <strong>di</strong> riso e patate,<br />

più facilmente <strong>di</strong>sponibili durante la carestia successiva alla<br />

guerra, permise <strong>di</strong> richiamare l’attenzione sull’intolleranza a<br />

specifiche farine. Fu solo nel 1952 che Anderson <strong>di</strong>mostrò la<br />

responsabilità del glutine <strong>di</strong> frumento e non dei carboidrati,<br />

nella intolleranza del celiaco 33 . Nell’anno successivo, l’esame<br />

del contenuto <strong>di</strong> grassi nelle feci venne utilizzato per valutare<br />

l’effetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse farine nell’alimentazione del soggetto<br />

68


69<br />

5. La malattia celiaca<br />

celiaco, permettendo <strong>di</strong> confermare il ruolo del frumento,<br />

dell’orzo, della segale e dell’avena 34 .<br />

La storia della celiachia, tuttavia, non finisce con<br />

l’identificazione del glutine come sua causa scatenante.<br />

L’espressione stessa della malattia sembra assumere <strong>di</strong>verse<br />

facce nel tempo, ogni volta associate a nuove scoperte e<br />

nuove conoscenze. Non è perciò solo un esercizio teorico<br />

quello <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare nella storia <strong>di</strong> questa malattia delle vere<br />

e proprie ere storiche che segnano in parallelismo i mutamenti<br />

del rapporto tra uomo e ambiente, ma anche tra conoscenze<br />

me<strong>di</strong>che e malattie (tab. 5.1).


5. La malattia celiaca<br />

Era Anni <strong>Clinica</strong> Diagnosi Biologia<br />

Pre- - Non conosciuta. Minore assunzione <strong>di</strong> glutine<br />

celiaca 1888 nella <strong>di</strong>eta umana. Prevalenza <strong>di</strong> cause infettive.<br />

Nascita 1888 Sindrome <strong>Clinica</strong> Prime ricerche<br />

della m. - intestinale (fattore chimiche<br />

celiaca 1952 (celiaca) tempo)<br />

E. del 1952 Sindrome<br />

Frazioni<br />

glutine - intestinale.<br />

tossiche del<br />

1965 Crisi celiaca.<br />

glutine<br />

E. degli 1965 Forme atipiche: AGA + Inizio stu<strong>di</strong><br />

AGA - anemia<br />

3 Biopsie. immunologici.<br />

HLA “infezione da<br />

glutine”<br />

E. degli 1973 Malattia EMA + Primi<br />

EMA - manifesta / 3 biospie screening AGA<br />

silente / latente<br />

poi EMA.<br />

Autoimmunità.<br />

Ruolo<br />

dell’HLA.<br />

Linfociti CD3+<br />

intraepiteliali.<br />

E. della 1997 L’ampio spettro tTG + Screening su<br />

tTG o - del rischio glutine 1 biopsia goccia <strong>di</strong><br />

era<br />

- associato<br />

sangue.<br />

moleco<br />

Anticorpi anti<br />

alre<br />

pepti<strong>di</strong><br />

deaminati<br />

glia<strong>di</strong>na.<br />

<strong>di</strong><br />

E.<br />

“omica”<br />

2011<br />

-<br />

70<br />

tTG, altro? Anti-tTG nella<br />

mucosa.<br />

Librerie<br />

fagiche.


Tab. 5.1<br />

L’era del glutine.<br />

Possiamo far iniziare verso<br />

metà del secolo scorso<br />

l’Era del glutine. L’aspetto<br />

clinico della malattia è<br />

sempre incentrato sulla<br />

”in<strong>di</strong>gestione cronica” e<br />

sulla compromissione della<br />

funzione intestinale. In<br />

alcuni casi può svilupparsi<br />

una forma grave, la<br />

cosiddetta “crisi celiaca”,<br />

con<strong>di</strong>zione caratterizzata<br />

da un circolo vizioso <strong>di</strong><br />

71<br />

5. La malattia celiaca<br />

Fig. 5.1 Alcuni esempi <strong>di</strong> cibi privi <strong>di</strong><br />

glutine.<br />

amplificazione del danno in seguito a infezioni<br />

gastroenteriche, e che poteva condurre a shock e morte. La<br />

terapia della malattia si base su una <strong>di</strong>eta permanente con<br />

esclusione dei cibi contenti glutine: frumento, orzo, segale ed<br />

in un primo tempo avena. Il celiaco può invece assumere<br />

liberamente altri cereali (riso, mais) e tuberi (patate), carni,<br />

pesci, frutta, verdure, legumi (ve<strong>di</strong> fig. 5.1, da<br />

www.farmacialoreto.it). Questi alimenti alternativi non hanno


5. La malattia celiaca<br />

tuttavia permesso per molti anni <strong>di</strong> produrre vali<strong>di</strong> sostituti<br />

della pasta e del pane, rendendo alquanto <strong>di</strong>fficile<br />

l’esecuzione della <strong>di</strong>eta, soprattutto nelle regioni a <strong>di</strong>eta<br />

me<strong>di</strong>terranea.<br />

Appartiene a questo periodo la descrizione del tipico danno<br />

della mucosa intestinale <strong>di</strong>pendente dall’assunzione <strong>di</strong> glutine<br />

nel celiaco. Campioni bioptici vengono ottenuti dapprima in<br />

seguito ad interventi chirurgici e successivamente per mezzo<br />

<strong>di</strong> una capsula automatica collegata ad un son<strong>di</strong>no e provvista<br />

<strong>di</strong> un meccanismo <strong>di</strong> prelievo per suzione (capsula <strong>di</strong> Crosby-<br />

Kugler)<br />

35<br />

. Questi esami permettono <strong>di</strong> evidenziare<br />

l’appiattimento dei villi intestinali e l’infiltrazione <strong>di</strong> linfociti<br />

nella mucosa (Fig. 5.2). Questo tipo <strong>di</strong> lesione conduce ad una<br />

notevole per<strong>di</strong>ta della superficie <strong>di</strong> assorbimento degli<br />

alimenti: si <strong>di</strong>ce infatti, a titolo d’esempio, che la superficie<br />

che occuperebbe un intestino umano, se venissero svolte<br />

tutte le sue villosità, sarebbe all’incirca pari a quella <strong>di</strong> un<br />

campo da tennis. Per un organismo evolutosi in presenza <strong>di</strong><br />

una <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> cibo molto variabile, la capacità <strong>di</strong><br />

assorbire quanto più possibile le sostanze alimentari ingerite è<br />

infatti un imperativo. Alla presenza <strong>di</strong> un apporto <strong>di</strong>etetico<br />

limitato, però, la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> superficie <strong>di</strong> assorbimento<br />

comporta un grave <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> nutrizione. Diversamente, con<br />

un’alimentazione più ricca del necessario, com’è quella<br />

<strong>di</strong>sponibile oggi in molti paesi, la riduzione della superficie <strong>di</strong><br />

72


5. La malattia celiaca<br />

assorbimento può essere in parte compensata dalla quantità<br />

del cibo. Questo, forse, è uno dei motivi che condurrà nelle<br />

ere successive ad altrettanti cambiamenti nell’espressione<br />

della malattia celiaca.<br />

La <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> tecniche semplificate per il prelievo e<br />

l’analisi istologica della mucosa duodenale permette <strong>di</strong><br />

confermare la <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> celiachia <strong>di</strong>mostrando le<br />

caratteristiche alterazioni al momento della <strong>di</strong>agnosi e la loro<br />

guarigione in una seconda biopsia eseguita dopo un congruo<br />

periodo <strong>di</strong> <strong>di</strong>eta <strong>di</strong> esclusione. Non solo, l’esecuzione <strong>di</strong> una<br />

terza biopsia dopo un tentativo <strong>di</strong> reintroduzione del glutine<br />

poteva evidenziare la ricomparsa delle alterazioni tipiche,<br />

permettendo al tempo stesso <strong>di</strong> rinforzare la certezza della<br />

<strong>di</strong>agnosi e anche la convinzione che l’intolleranza costituisse in<br />

questi soggetti una con<strong>di</strong>zione permanente, da trattare con<br />

<strong>di</strong>eta senza glutine per tutta la vita.<br />

Villo intestinale normale Villi tozzi e appiattiti nella mucosa<br />

Fig 5.2. Aspetto morfologico della mucosa nel soggetto normale e nel celiaco.<br />

73


5. La malattia celiaca<br />

74<br />

<strong>di</strong> un soggetto celiaco<br />

L’era degli AGA<br />

(Patogenesi: la celiachia come malattia<br />

dell’immunità; AGA nella <strong>di</strong>agnosi: non solo sintomi<br />

intestinali).<br />

A seguito dell’identificazione della responsabilità del glutine<br />

nella patogenesi della celiachia, anticorpi <strong>di</strong>retti contro questa<br />

proteina vennero identificati nel siero dei soggetti celiaci (AGA<br />

= anti glutine). Di conseguenza, anche l’idea della celiachia<br />

come una “in<strong>di</strong>gestione cronica” venne progressivamente<br />

sostituita dall’interpretazione della malattia come “infezione<br />

cronica” da glutine. Infatti, l‘assunzione <strong>di</strong> glutine nel soggetto<br />

celiaco comportava una risposta immunitaria simile a quella<br />

messa in atto contro agenti infettivi, con la <strong>di</strong>fferenza che in<br />

questo caso l’ “infezione” non può essere debellata, dato che<br />

l’agente che ne è alla base viene continuamente assunto con<br />

gli alimenti. E’ chiaro che non si tratta <strong>di</strong> infezione nel senso<br />

stretto del termine, tuttavia l’immagine ben sintetizza la<br />

natura della risposta immune patologica del celiaco. Qui può<br />

essere utile ricordare quanto abbiamo già detto per gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

von Pirquet sull’allergia per comprendere come il sistema<br />

immunitario, più che l’agente scatenante in sé, potesse essere<br />

il vero responsabile della malattia. Non deve quin<strong>di</strong> stupire se,<br />

negli stessi anni, si scopre che la maggior componente<br />

genetica <strong>di</strong> rischio <strong>di</strong> celiachia risiede in determinati


75<br />

5. La malattia celiaca<br />

polimorfismi degli antigeni <strong>di</strong> istocompatibilità, che possono<br />

con<strong>di</strong>zionare il modo in cui il soggetto riconosce la proteina<br />

estranea.<br />

Se da un lato la presenza degli AGA aveva indotto a<br />

interpretare la patogenesi della celiachia in chiave<br />

immunologica, dall’altro la possibilità <strong>di</strong> dosare questi<br />

anticorpi aveva fornito un nuovo strumento per la <strong>di</strong>agnosi<br />

della malattia. L’era degli AGA è quin<strong>di</strong> anche l’era in cui si<br />

consolida il ruolo della sierologia nella <strong>di</strong>agnosi della malattia:<br />

ciò permetterà <strong>di</strong> espandere le conoscenze cliniche sulla<br />

malattia, includendo casi con sintomi intestinali più sfumati e<br />

con altre patologie associate, come ad esempio l’anemia da<br />

carenza <strong>di</strong> ferro e la bassa statura isolata. Non solo, grazie alla<br />

<strong>di</strong>agnosi sierologica, ci si è accorti che la malattia era in realtà<br />

molto più frequente <strong>di</strong> quanto si pensasse inizialmente e che<br />

potesse presentarsi in alcuni casi ad<strong>di</strong>rittura senza alcun<br />

sintomo rilevante. Anche in questi casi, per i quali venne<br />

coniata l’espressione <strong>di</strong> “celiachia silente”, la biopsia<br />

intestinale mostrava tipiche alterazioni che recedevano<br />

successivamente a <strong>di</strong>eta senza glutine.<br />

In questo periodo viene anche compresa la relazione tra<br />

malattia celiaca e dermatite erpetiforme. Quest’ultima è una<br />

manifestazione cutanea <strong>di</strong> celiachia, che può verificarsi anche<br />

in assenza <strong>di</strong> un’enteropatia manifesta 36-38 o in presenza <strong>di</strong><br />

una celiachia latente.


5. La malattia celiaca<br />

La coscienza del problema aumenta progressivamente, fino<br />

alla costituzione della Celiac Society nel 1968 (11 anni più tar<strong>di</strong><br />

nascerà l’Associazione Italiana Celiachia).<br />

L’era degli EMA<br />

(La celiachia come modello unico <strong>di</strong> <strong>di</strong>sregolazione<br />

autoimmune).<br />

L’idea <strong>di</strong> un’associazione tra malattia celiaca e reazioni<br />

autoimmuni nasce dall’osservazione della relazione tra questa<br />

malattia e il <strong>di</strong>abete <strong>di</strong> tipo 1. Alla fine degli anni ’60 si erano<br />

messe a punto delle meto<strong>di</strong>che <strong>di</strong> immunofluorescenza per<br />

identificare anticorpi correlati ad una particolare nefrite<br />

sperimentale, gli anticorpi anti-reticolina (visualizzabili con<br />

una colorazione su sezioni <strong>di</strong> rene <strong>di</strong> ratto). Nel 1971 vengono<br />

identificati, nel siero <strong>di</strong> soggetti celiaci, anticorpi anti-<br />

reticolina, ai quali non si dà però subito un significato definito<br />

39 . Due anni più tar<strong>di</strong>, viene <strong>di</strong>mostrato che questi anticorpi<br />

sono presenti solo quando il soggetto mangia liberamente,<br />

mentre spariscono con la <strong>di</strong>eta senza glutine 40 . L’osservazione<br />

viene interpretata all’inizio come conseguenza <strong>di</strong> una cross-<br />

reazione tra reticolina e glutine, ipotesi che tuttavia non verrà<br />

confermata. In ogni caso, si comincia a stu<strong>di</strong>are la sensibilità e<br />

specificità <strong>di</strong> questo nuovo test come possibile ausilio per la<br />

<strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> malattia celiaca. L’introduzione successiva<br />

76


77<br />

5. La malattia celiaca<br />

dell’esofago <strong>di</strong> scimmia (e più recentemente del cordone<br />

ombelicale umano) come substrato ha permesso <strong>di</strong> migliorare<br />

molto la qualità del test 41 che si mostrerà ad<strong>di</strong>rittura più<br />

specifico della determinazione degli AGA. La reazione <strong>di</strong><br />

fluorescenza avveniva in questi casi verso il tessuto connettivo<br />

<strong>di</strong> sostegno del muscolo liscio e gli anticorpi venivano perciò<br />

denominati anti-endomisio o EMA o AEA (Fig. 5.3). Anche se<br />

non si sapeva spiegare la loro stretta correlazione con<br />

l’assunzione <strong>di</strong> glutine e con la celiachia, gli EMA <strong>di</strong>ventarono<br />

sempre più un test fondamentale per la <strong>di</strong>agnosi della<br />

malattia. Questo fu tanto vero, che la presenza <strong>di</strong> EMA positivi<br />

permetterà in seguito <strong>di</strong> identificare casi <strong>di</strong> “celiachia latente”,<br />

in assenza <strong>di</strong> un chiaro danno della mucosa intestinale<br />

all’indagine bioptica 42 . L’analisi delle biopsie con anticorpi anti<br />

CD3 marcati permette comunque <strong>di</strong> identificare anche in<br />

questi casi un infiltrato infiammatorio nell’epitelio intestinale<br />

con aumento <strong>di</strong> un particolar gruppo <strong>di</strong> linfociti, provvisti <strong>di</strong><br />

recettore gamma/delta 43-45 .<br />

Fig. 5.3 Disegno <strong>di</strong><br />

fluorescenza anti-<br />

endomisio.


5. La malattia celiaca<br />

Schematicamente, l’era degli EMA è caratterizzata sul piano<br />

clinico dalla definizione dell’associazione tra celiachia e<br />

autoimmunità. Questa associazione viene dapprima attribuita<br />

alla con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> un comune substrato genetico <strong>di</strong><br />

suscettibilità dato da specifici polimorfismi del sistema HLA.<br />

Successivamente, però, alcune osservazioni suggeriranno una<br />

relazione più complessa.<br />

La specifica associazione degli EMA con la malattia celiaca e la<br />

loro <strong>di</strong>pendenza dall’assunzione <strong>di</strong> glutine suggeriscono che<br />

questa proteina sia in grado <strong>di</strong> scatenare fenomeni<br />

autoimmuni in soggetti pre<strong>di</strong>sposti. Inoltre il fatto che gli EMA<br />

potessero essere presenti in assenza <strong>di</strong> evidenti lesioni<br />

intestinali e <strong>di</strong> altre manifestazioni cliniche rinforzava<br />

l’importanza <strong>di</strong> reazioni autoimmuni nella malattia.<br />

Uno stu<strong>di</strong>o pionieristico italiano (ve<strong>di</strong> Ventura et al., scheda <strong>di</strong><br />

seguito) ha messo in luce la relazione tra rischio <strong>di</strong><br />

autoimmunità e tempo <strong>di</strong> esposizione al glutine nei soggetti<br />

celiaci, suggerendo l’idea <strong>di</strong> un ruolo preventivo della <strong>di</strong>eta<br />

sullo sviluppo delle malattie autoimmuni associate.<br />

Se questo è vero, l’azione preventiva può essere influenzata<br />

dalla capacità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare precocemente i soggetti celiaci. A<br />

questo proposito, è bene osservare che il rischio <strong>di</strong> sviluppare<br />

malattie glutine-correlate potrebbe essere in buona parte<br />

in<strong>di</strong>pendente dall’espressione clinica della malattia. Anzi, il<br />

78


79<br />

5. La malattia celiaca<br />

lavoro coor<strong>di</strong>nato da Ventura suggerisce che proprio i soggetti<br />

con sintomi clinici meno evidenti possano avere un rischio<br />

maggiore <strong>di</strong> sviluppare malattie, in quanto la loro celiachia<br />

rimane più a lungo non <strong>di</strong>agnosticata.<br />

Queste considerazioni sono particolarmente importanti, ove si<br />

consideri che per molti anni si è consigliato <strong>di</strong> ritardare<br />

l’introduzione del glutine nell’alimentazione dei lattanti con la<br />

speranza <strong>di</strong> prevenire lo sviluppo della malattia celiaca: la<br />

posticipazione del glutine dopo l’anno <strong>di</strong> età, infatti, si associa<br />

a sintomi più sfumati e tollerabili. Tuttavia, chi ha assunto il<br />

glutine nei primi mesi <strong>di</strong> vita non ha solo una reazione più<br />

grave ed evidente, con i tipici sintomi gastrointestinali, ma ha<br />

anche una maggior probabilità <strong>di</strong> ricevere una <strong>di</strong>agnosi<br />

tempestiva e un trattamento preventivo efficace. Viceversa,<br />

chi assume il glutine più tar<strong>di</strong>vamente ha maggior probabilità<br />

<strong>di</strong> essere identificato come celiaco in età più avanzata, sulla<br />

base <strong>di</strong> sintomi più sfumati e meno tipici. Questo è quanto è<br />

accaduto in due città non molto lontane l’una dall’altra,<br />

Gotheborg in Svezia e Tampere in Finlan<strong>di</strong>a (ve<strong>di</strong> Ascher et al,<br />

scheda), a testimoniare ancora l’importante ruolo<br />

dell’ambiente nel con<strong>di</strong>zionare i tempi e i mo<strong>di</strong> con cui<br />

l’intolleranza al glutine può esprimersi in una popolazione.<br />

Le <strong>di</strong>fferenze ambientali potevano essere responsabili anche<br />

della convinzione che la celiachia fosse molto più rara negli


5. La malattia celiaca<br />

stati Uniti d’America che nell’Europa. Anche in questo caso,<br />

l’era degli EMA ha permesso <strong>di</strong> effettuare screening <strong>di</strong><br />

popolazione in Europa come negli Stati Uniti, che hanno<br />

mostrato una prevalenza simile della malattia nei <strong>di</strong>versi<br />

paesi 46 .<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista sociale, gli screening<br />

danno maggiore visibilità al problema<br />

della celiachia. Vengono perciò<br />

costituite associazioni a tutela dei<br />

pazienti e dei loro <strong>di</strong>ritti e, più<br />

gradualmente, si giunge ad una<br />

coscienza sociale della celiachia: viene<br />

elaborato un logo per la certificazione<br />

degli alimenti senza glutine (Fig. 5.4);<br />

vengono garantiti pasti senza glutine nelle mense (e anche in<br />

alcuni ristoranti); vengono prodotti prontuari e ricettari per<br />

l’alimentazione senza glutine.<br />

80<br />

Fig. 5.4 Logo utilizzato<br />

per certificare prodotti<br />

privi <strong>di</strong> glutine.


81<br />

5. La malattia celiaca<br />

Ventura A, Magazzù G, Greco L.<br />

Duration of exposure to gluten and risk for<br />

autoimmune <strong>di</strong>sorders in patients with celiac<br />

<strong>di</strong>sease. SIGEP Study Group for Autoimmune<br />

Disorders in Celiac Disease.<br />

Gastroenterology. 1999 Aug;117(2):297-303 47<br />

Sono stati stu<strong>di</strong>ati 909 pazienti con malattia celiaca<br />

consecutivamente riferiti in un periodo <strong>di</strong> 6 mesi presso i 10 centri<br />

partecipanti al progetto. L’età al momento dello stu<strong>di</strong>o era<br />

compresa tra 10 e 25 anni. Sono stati inoltre selezionati 1268<br />

controlli sani tra<br />

studenti<br />

universitari (età<br />

me<strong>di</strong>a 21 anni).<br />

Infine, sono stati<br />

analizzati 163<br />

pazienti con<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

come controllo<br />

malato.<br />

I celiaci sono stati sud<strong>di</strong>visi in tre gruppi sulla base dell’età in cui<br />

avevano ricevuto la <strong>di</strong>agnosi. Dato che tutti i pazienti hanno<br />

effettuato una <strong>di</strong>eta senza glutine dopo la <strong>di</strong>agnosi, e dato che l’età<br />

attuale era simile per tutto il gruppo, la precocità della <strong>di</strong>agnosi<br />

correlava con un’esposizione più breve al glutine, mentre i soggetti<br />

con <strong>di</strong>agnosi più tar<strong>di</strong>va erano anche quelli più a lungo esposti alla<br />

<strong>di</strong>eta contenente la proteina. Il grafico mostra che i soggetti esposti<br />

più a lungo al glutine hanno un maggior rischio <strong>di</strong> sviluppare<br />

malattie autoimmuni. Questi dati suggeriscono che una <strong>di</strong>agnosi<br />

precoce ed una <strong>di</strong>eta senza glutine possano prevenire almeno in<br />

parte il rischio <strong>di</strong> sviluppare malattie autoimmuni in soggetti celiaci.


5. La malattia celiaca<br />

H Ascher, K Holm, B Kristiansson, M Maki<br />

Different features of coeliac <strong>di</strong>sease in two<br />

neighbouring countries.<br />

Archives of Disease in Childhood 1993; 69: 375-380 48<br />

E' probabile che le modalità <strong>di</strong> introduzione del glutine nella <strong>di</strong>eta<br />

(precocità, quantità) influenzino il tipo <strong>di</strong> presentazione clinica e, <strong>di</strong><br />

conseguenza, la riconoscibilità della malattia. Di fatto, in Svezia<br />

(Gothenburg), dove il consumo <strong>di</strong> glutine da parte dei lattanti inizia<br />

presto ed è <strong>di</strong>scretamente elevato già dal quarto-quinto mese <strong>di</strong><br />

vita, l'incidenza della malattia celiaca è molto elevata e quasi tutti i<br />

casi vengono <strong>di</strong>agnosticati per la comparsa del classico quadro<br />

gastroenterologico.<br />

In Finlan<strong>di</strong>a (Tampere), dove la somministrazione <strong>di</strong> glutine ai<br />

lattanti è più cauta, la prevalenza della malattia celiaca<br />

<strong>di</strong>agnosticata su base clinica è significativamente inferiore, l'età<br />

me<strong>di</strong>a alla <strong>di</strong>agnosi è significativamente più avanzata e prevalgono<br />

i casi con presentazione atipica.<br />

82


83<br />

5. La malattia celiaca<br />

Gli screening eseguiti mostrano però che la prevalenza reale della<br />

malattia è la stessa nei due paesi 49,50 . E' ragionevole quin<strong>di</strong> pensare<br />

che la precoce e relativamente elevata assunzione <strong>di</strong> glutine con la<br />

<strong>di</strong>eta dai primi mesi favorisca un modo più clamoroso e classico, e<br />

quin<strong>di</strong> riconoscibile, <strong>di</strong> presentazione clinica della malattia celiaca<br />

nei soggetti pre<strong>di</strong>sposti. Il ritardo o la cautela nell'introduzione<br />

dell'alimento potrebbero essere causa dell'aumento <strong>di</strong> forme<br />

paucisintomatiche o atipiche. Non va <strong>di</strong>menticato tuttavia che larga<br />

parte della morbi<strong>di</strong>tà associata alla celiachia (osteopenia, anemia<br />

sideropenica, patologia neurologica, manifestazioni autoimmuni,<br />

linfoma etc.) non è necessariamente correlata al grado<br />

dell'enteropatia ma <strong>di</strong>pende piuttosto dal protrarsi dell'assunzione<br />

<strong>di</strong> glutine. Sembra quin<strong>di</strong> ragionevole che la miglior strategia<br />

preventiva sia quella <strong>di</strong> non ritardare l'introduzione del glutine<br />

nella <strong>di</strong>eta e <strong>di</strong> rendere, così, precocemente manifesta e<br />

riconoscibile la malattia nella sua forma più classica (enteropatica).


5. La malattia celiaca<br />

L’era degli EMA si<br />

chiude con un<br />

immagine che può<br />

ben sintetizzare<br />

molti dei concetti<br />

fin qui espressi:<br />

l’iceberg della<br />

celiachia 51 (Fig 5.5).<br />

Questi possono<br />

essere riassunti nei<br />

seguenti punti.<br />

• La variabilità<br />

dell’espression<br />

e clinica della malattia<br />

Fig. 5.5 L’iceberg della celiachia<br />

• Il ruolo degli anticorpi nella <strong>di</strong>agnosi e negli screening e<br />

le relative conseguenze sulla definizione <strong>di</strong> quadri<br />

clinicamente “silenti” o istopatologicamente “latenti”<br />

• L’idea <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione ancora vaga e da definire <strong>di</strong><br />

intolleranza al glutine geneticamente determinata,<br />

correlata alla presenza degli HLA tipici.<br />

Samuel Gee fu il primo a descrivere la punta emersa <strong>di</strong><br />

questo iceberg, ma fu proprio grazie agli anticorpi che si<br />

riuscì a svelare gradualmente la complessità della parte<br />

84


85<br />

5. La malattia celiaca<br />

immersa. L’idea più importante che si celava sotto il pelo<br />

dell’acqua era quella che una quota più o meno ampia<br />

della popolazione potesse essere esposta ad un rischio <strong>di</strong><br />

sviluppare un’ampia varietà <strong>di</strong> patologie correlate<br />

all’assunzione del glutine.<br />

L’iceberg conteneva in sé il germe <strong>di</strong> una visione continua<br />

della celiachia con infiniti livelli interme<strong>di</strong>, dalla malattia ad<br />

espressione intestinale conclamata fino a casi in cui solo<br />

sofisticati esami immunologici avrebbero provato la presenza<br />

<strong>di</strong> un’alterata sensibilità al glutine (ve<strong>di</strong> era molecolare).


5. La malattia celiaca<br />

L’era della transglutaminasi tessutale (il<br />

bersaglio molecolare degli anticorpi<br />

anti-endomisio).<br />

Negli anni novanta molti ricercatori erano convinti che<br />

l’in<strong>di</strong>viduazione dell’antigene endomisiale contro cui era<br />

rivolta la risposta autoimmune del celiaco avrebbe permesso<br />

<strong>di</strong> svelare gli aspetti ancora incogniti della patogenesi della<br />

malattia. Molte cose in realtà erano già state <strong>di</strong>mostrate: si<br />

conosceva la sequenza dei pepti<strong>di</strong> <strong>di</strong> glia<strong>di</strong>na (frazione<br />

proteica alcol-solubile del glutine) con maggior affinità per<br />

l’HLA DQ2 o DQ8; si erano isolati da biopsie intestinali cloni <strong>di</strong><br />

linfociti CD4 in grado <strong>di</strong> riconoscere questi pepti<strong>di</strong> su cellule<br />

presentanti l’antigene provviste <strong>di</strong> HLA DQ2 e DQ8 52 ; si era<br />

<strong>di</strong>mostrato che questi linfociti producono gran<strong>di</strong> quantità <strong>di</strong><br />

interferone gamma, che sono almeno in parte responsabili del<br />

danno mucosale (l’effetto viene bloccato da anticorpi anti-<br />

interferon gamma) 53 . Insomma, si sapeva che per essere<br />

celiaci era necessario avere un determinato HLA <strong>di</strong> rischio e si<br />

capivano anche le basi immunologiche e molecolari <strong>di</strong> questa<br />

pre<strong>di</strong>sposizione. Tuttavia solo una parte dei soggetti con<br />

questo profilo genetico sviluppava la celiachia. Inoltre, la<br />

malattia si associava alla presenza <strong>di</strong> anticorpi anti-endomisio<br />

ancora più specificamente che agli anticorpi anti-glutine e<br />

sembrava ragionevole ritenere che questa fosse la<br />

86


87<br />

5. La malattia celiaca<br />

caratteristica che meglio <strong>di</strong>fferenziava quell’un per cento <strong>di</strong><br />

celiaci da tutti gli altri soggetti con DQ2 e DQ8. Di<br />

conseguenza, era logico prevedere che l’identificazione del<br />

vero bersaglio molecolare <strong>di</strong> questi anticorpi avrebbe<br />

permesso <strong>di</strong> spiegare anche che cosa <strong>di</strong>fferenzia il celiaco dagli<br />

altri soggetti con gli stessi HLA o, in altre parole, che cosa fa si<br />

che alcuni soggetti con quel determinato HLA riescano a<br />

tollerare il glutine ed altri no.<br />

Molti tentativi <strong>di</strong> isolare l’antigene bersaglio degli anticorpi<br />

anti-endomisio erano basati su western-blot o cromatografia<br />

d’affinità tra siero <strong>di</strong> soggetti celiaci e estratti proteici ottenuti<br />

da tessuti contenenti endomisio (esofago <strong>di</strong> scimmia, cordone<br />

ombelicale umano). Solo nel 1997, un gruppo tedesco riuscì a<br />

Fig. 5.6 Diagramma <strong>di</strong> una reazione<br />

<strong>di</strong> immunoprecipitazione<br />

identificare l’antigene per<br />

mezzo <strong>di</strong> una classica<br />

meto<strong>di</strong>ca biochimica:<br />

l’immunoprecipitazione 54 .<br />

In pratica, si trattava <strong>di</strong><br />

trovare le con<strong>di</strong>zioni ideali<br />

perché l’incontro tra il<br />

siero e l’antigene in fase<br />

solubile portasse alla<br />

formazione <strong>di</strong> complessi<br />

macromolecolari insolubili<br />

che potevano essere poi


5. La malattia celiaca<br />

separati per mezzo <strong>di</strong> ultracentrifugazione. Quando sufficienti<br />

quantità <strong>di</strong> anticorpo sono mischiate con un antigene solubile<br />

macromolecolare (contenente quin<strong>di</strong> più siti <strong>di</strong> legame), si<br />

possono formare aggregati visibili <strong>di</strong> antigene cross-legato con<br />

anticorpo (Fig. 5.6 da: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/bookshelf/br<br />

.fcgi?book=imm&part=A2395&rendertype=figure&id=A2414).<br />

Sfruttando questo principio, Dieterich e collaboratori<br />

identificarono il bersaglio della risposta autoimmune tipico<br />

della celiachia in un enzima denominato transglutaminasi<br />

tessutale (tTG o TG2).<br />

La transglutaminasi tessutale è un enzima <strong>di</strong> grande<br />

importanza in almeno due <strong>di</strong>stinti processi biologici: la<br />

stabilizzazione dei tessuti connettivi e l’apoptosi cellulare. I<br />

fibroblasti rilasciano l’enzima nella matrice extracellulare dove<br />

questo resta adeso a proteine <strong>di</strong> matrice come la fibronectina.<br />

Nelle fasi <strong>di</strong> costruzione o <strong>di</strong> riparazione del tessuto<br />

connettivo, l’enzima stabilisce legami covalenti tra gruppi<br />

glutamminici e lisine <strong>di</strong> proteine a<strong>di</strong>acenti, in particolare <strong>di</strong><br />

fibre collagene, in modo da “cucire” la trama e l’or<strong>di</strong>to del<br />

tessuto (fig. 5.7).<br />

Fig. 5.7 Legame tra lisina e glutammina catalizzato dalla transglutaminasi<br />

tessutale.<br />

88


89<br />

5. La malattia celiaca<br />

All’nterno delle cellule, invece, l’enzima viene indotto e<br />

attivato durante l’apoptosi cellulare. In questo caso, l’azione <strong>di</strong><br />

cucitura permette <strong>di</strong> condensare tutto il contenuto<br />

macromolecolare della cellula in aggregati compatti e<br />

insolubili (corpi apoptotici) che possono essere facilmente<br />

rimossi dal sistema fagocitario senza che avvenga la<br />

<strong>di</strong>spersione <strong>di</strong> antigeni immunogeni nel sistema. Lo<br />

svolgimento corretto <strong>di</strong> questo processo fa sì che la morte<br />

cellulare sia accompagnata solo da minimi fatti infiammatori e<br />

senza lo sviluppo <strong>di</strong> reazioni immuni verso antigeni “criptici“<br />

(cioè quelli normalmente nascosti al sistema immune).<br />

Ogni tessuto danneggiato presenta <strong>di</strong> conseguenza<br />

un’aumentata attività della transglutaminasi tessutale, e<br />

questo vale ovviamente anche per la mucosa del soggetto<br />

celiaco. Non solo, la mucosa danneggiata del celiaco presenta<br />

anche un’alterata permeabilità epiteliale alle macromolecole,<br />

e può permettere quin<strong>di</strong> il passaggio <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> quantità <strong>di</strong><br />

pepti<strong>di</strong> <strong>di</strong> glia<strong>di</strong>na, che vengono a contatto con il tessuto<br />

danneggiato e con il sistema immune. Per capire come tutto<br />

questo possa condurre infine alla produzione <strong>di</strong> anticorpi anti-<br />

transglutaminasi, può essere opportuno considerare un<br />

fenomeno denominato “antigen sprea<strong>di</strong>ng”, già noto in altre<br />

malattie come il Lupus eritematoso Sistemico.<br />

Questo fenomeno consiste nella produzione <strong>di</strong> anticorpi con<br />

<strong>di</strong>verse specificità in seguito al riconoscimento <strong>di</strong> un unico


5. La malattia celiaca<br />

antigene da parte dei linfociti Thelper. Infatti, è noto che i<br />

linfociti T riconoscono l’antigene sotto forma <strong>di</strong> brevi pepti<strong>di</strong><br />

presentati in un’apposita tasca delle molecole HLA <strong>di</strong> classe II.<br />

E’ noto anche che i linfociti B possono funzionare da cellule<br />

presentanti l’antigene: a <strong>di</strong>fferenza delle cellule dendritiche,<br />

che possono fagocitare qualsiasi antigene, i linfociti B<br />

presenteranno solo pepti<strong>di</strong> derivati da antigeni riconosciuti<br />

per mezzo dei loro anticorpi <strong>di</strong> superficie. Questo, tuttavia,<br />

non significa necessariamente che i linfociti B presentino ai<br />

linfociti T pepti<strong>di</strong> derivati dalla stessa proteina che<br />

riconoscono con i propri anticorpi. Infatti, gli anticorpi<br />

possono legare anche complessi formati da più molecole<br />

riunite con legami d’affinità o con legami covalenti: in questi<br />

casi l’anticorpo può riconoscere una data molecola, mentre ai<br />

linfociti T può essere presentato un peptide derivante da<br />

un’altra proteina presente nel complesso macromolecolare.<br />

Un esempio “storico” <strong>di</strong> questo meccanismo riguarda la<br />

produzione degli anticorpi anti-DNA nel Lupus Eritematoso<br />

Sistemico: è chiaro, in questo caso, che i linfociti B non<br />

possono presentare ai linfociti T frammenti <strong>di</strong> DNA ma solo<br />

pepti<strong>di</strong> che il linfocito B porta al suo interno perché<br />

complessati al DNA (cioè pepti<strong>di</strong> derivati da proteine<br />

istoniche).<br />

Una cosa simile sembrerebbe accadere nella malattia celiaca.<br />

In questo caso, glia<strong>di</strong>na e transglutaminasi formerebbero un<br />

90


91<br />

5. La malattia celiaca<br />

complesso macromolecolare che può essere riconosciuto sia<br />

da anticorpi anti-glutine (AGA) che da anticorpi anti-<br />

transglutaminasi (TGA). Entrambi i linfociti B, produttori <strong>di</strong><br />

AGA o TGA, potranno presentare ai linfociti T gli stessi pepti<strong>di</strong><br />

derivati dalla glia<strong>di</strong>na. Dell’esistenza <strong>di</strong> questi linfociti T nella<br />

mucosa del celiaco abbiamo già parlato. Questo meccanismo<br />

renderebbe conto del fatto che sia la produzione <strong>di</strong> AGA che<br />

quella <strong>di</strong> TGA appaiono similmente <strong>di</strong>pendenti dall’assunzione<br />

<strong>di</strong> glutine (Fig. 5.8).<br />

Fig. 5.8 Possibile ruolo del glutine nella produzione <strong>di</strong> autoanticorpi antitransglutaminasi


5. La malattia celiaca<br />

Innanzitutto, se è vero che glia<strong>di</strong>na e transglutaminasi<br />

possono trovarsi in complessi macromolecolari, qual è il senso<br />

<strong>di</strong> questa interazione? Primo, la glia<strong>di</strong>na ha una struttura tale<br />

da essere un buon substrato per la transglutaminasi. L’azione<br />

della tTG sulla glia<strong>di</strong>na può essere varia: la glia<strong>di</strong>na può essere<br />

legata covalentemente ad altre proteine; la glia<strong>di</strong>na può<br />

essere deaminata su residui glutamminici. La prima possibilità,<br />

che può teoricamente creare gravi problemi per la formazione<br />

<strong>di</strong> neoantigeni, non è stata estesamente indagata. La seconda<br />

possibilità, invece, è stata verificata, ed anzi è stato <strong>di</strong>mostrato<br />

che i pepti<strong>di</strong> <strong>di</strong> glia<strong>di</strong>na così trattati dalla tTG aumentano la<br />

loro affinità per l’HLA DQ2 e la loro tossicità per il celiaco 55,56 .<br />

Secondariamente, la risposta anticorpale contro i pepti<strong>di</strong><br />

deaminati <strong>di</strong> glia<strong>di</strong>na (DGP) 57 è stata utilizzata recentemente<br />

per mettere a punto nuovi test <strong>di</strong>agnostici, che presentano<br />

migliore sensibilità e specificità rispetto ai vecchi anticorpi<br />

anti-glutine (AGA) 58 .<br />

Questo insieme <strong>di</strong> dati può permetterci <strong>di</strong> costruire un<br />

modello patogenetico della reazione immunopatologia tipica<br />

della mucosa del soggetto celiaco (Fig. 5.9).<br />

92


Fig. 5.9 Un qualsiasi<br />

insulto della parete<br />

determina un<br />

aumento della<br />

permeabilità<br />

epiteliale con ingresso<br />

<strong>di</strong> pepti<strong>di</strong> tossici <strong>di</strong><br />

glia<strong>di</strong>na e<br />

contemporaneamente<br />

un’attivazione<br />

tessutale <strong>di</strong><br />

transglutaminasi.<br />

L’azione della tTG<br />

sulla glia<strong>di</strong>na<br />

aumenta la reattività<br />

<strong>di</strong> questa per l’HLA<br />

93<br />

5. La malattia celiaca<br />

DQ2 e l’attivazione dei linfociti CD4 specifici, avviando un circolo<br />

vizioso, con mantenimento del danno tessutale, ulteriore ingresso <strong>di</strong><br />

glia<strong>di</strong>na e ulteriore attivazione <strong>di</strong> tTG.<br />

Si riproduce così, ad un livello maggiore <strong>di</strong> conoscenza, il<br />

modello già visto in precedenza dell’infezione cronica da<br />

glutine.<br />

Questo modello può spiegare come mai i sintomi<br />

gastroenterici della celiachia possono essere slatentizzati e<br />

aggravati in seguito a infezioni. Tuttavia, ancora una volta, il<br />

modello non ci spiega la <strong>di</strong>fferenza tra il soggetto


5. La malattia celiaca<br />

geneticamente pre<strong>di</strong>sposto e il celiaco vero e proprio. Un<br />

ipotesi recente valorizza il ruolo <strong>di</strong> una sovra-produzione <strong>di</strong><br />

IL-15 nella mucosa dei soggetti con malattia celiaca. Questa<br />

anomalia può essere scatenata da particolari infezioni<br />

intestinali e può a sua volta influenzare l’omeostasi intestinali,<br />

favorendo lo sviluppo <strong>di</strong> una risposta immune agli antigeni e<br />

ostacolando il fisiologico programma <strong>di</strong> tolleranza. Una volta<br />

rotta la tolleranza alla glia<strong>di</strong>na, il sistema potrebbe amplificarsi<br />

grazie alle particolari interazioni tra glutine transglutaminasi e<br />

HLA, fino ad auto mantenersi anche al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> cause<br />

infettive 59-62 .<br />

Altri autori hanno a suggerito che un altro meccanismo in<br />

gioco nella patogenesi della celiachia potrebbe risiedere in<br />

una risposta attivatoria dell’immunità naturale in seguito al<br />

contatto con la glia<strong>di</strong>na, che potrebbe avere tra l’altro anche<br />

delle proprietà simili a quelle <strong>di</strong> alcuni pattern patogeni<br />

batterici e virali (PAMPs). Tuttavia, i dati <strong>di</strong>sponibili non<br />

permettono ancora una chiara interpretazione in tal senso.<br />

L’era della tTG non ha avuto solo importanti ripercussioni sulle<br />

conoscenze patogenetiche, ma anche su quelle cliniche. La<br />

standar<strong>di</strong>zzazione <strong>di</strong> test ELISA basati su transglutaminasi<br />

umana ricombinante ha permesso infatti un notevole<br />

miglioramento della <strong>di</strong>agnostica della celiachia, consentendo<br />

la realizzazione <strong>di</strong> nuovi e più sensibili screening <strong>di</strong><br />

94


popolazione. Uno <strong>di</strong><br />

questi è stato condotto<br />

nelle scuole elementari<br />

<strong>di</strong> <strong>Trieste</strong>, per mezzo<br />

dell’analisi <strong>di</strong> poche<br />

gocce <strong>di</strong> sangue<br />

ottenuto per puntura <strong>di</strong><br />

polpastrello 63 . Questa<br />

iniziativa ha consentito<br />

<strong>di</strong> misurare la<br />

prevalenza della<br />

celiachia al <strong>di</strong> sopra<br />

dell’ 1% e <strong>di</strong><br />

95<br />

5. La malattia celiaca<br />

contribuire ad una <strong>di</strong>sseminazione nella società delle<br />

conoscenze sull’argomento (nella figura 5.10, un <strong>di</strong>segno dei<br />

bambini che hanno partecipato allo screening).<br />

La forza degli anticorpi anti-transglutaminasi ha consentito<br />

inoltre <strong>di</strong> poter confermare la <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> celiachia con<br />

l’esecuzione <strong>di</strong> una sola biopsia senza necessità <strong>di</strong> ripetere<br />

l’indagine a <strong>di</strong>eta e dopo scatenamento. Anzi, in casi con<br />

sintomatologia riferibile a celiachia e anticorpi positivi, la<br />

negativizzazione <strong>di</strong> questi e la regressione della sintomatologia<br />

possono, secondo alcuni, essere sufficienti a confermare la<br />

<strong>di</strong>agnosi anche senza biopsia.<br />

Fig 5.10 La tossicità del frumento<br />

contenuto in una pizza sull’epitelio del<br />

celiaco, in un <strong>di</strong>segno dei bambini delle<br />

scuole elementari


5. La malattia celiaca<br />

L’era delle “omiche”: indagando la base<br />

dell’iceberg e cercando nuove terapie.<br />

Al pari <strong>di</strong> quanto avviene per molti test <strong>di</strong>agnostici<br />

quantitativi, la definizione della celiachia sulla base della<br />

positività degli anticorpi anti-transglutaminasi rappresenta<br />

un’approssimazione matematico-statistica più che una<br />

certezza biologica. Infatti, i valori patologici <strong>di</strong> anticorpi sono<br />

definiti sulla base della me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> una popolazione sana più due<br />

volte la deviazione standard della <strong>di</strong>stribuzione. Il valore<br />

concettuale <strong>di</strong> quest’approssimazione può cambiare a seconda<br />

<strong>di</strong> come si voglia vedere la malattia celiaca: se si tratta <strong>di</strong> una<br />

malattia “tutto o niente”, il significato degli anticorpi anti tTG<br />

è quello <strong>di</strong> un’approssimazione probabilistica; se si tratta <strong>di</strong><br />

una con<strong>di</strong>zione continua, con <strong>di</strong>versi livelli <strong>di</strong> malattia,<br />

l’approssimazione riguarda la “quantità” <strong>di</strong> celiachia. Il<br />

modello dell’iceberg della celiachia suggerisce che<br />

quest’ultimo tipo <strong>di</strong> interpretazione possa descrivere meglio la<br />

realtà. Nella base immersa si nasconderebbero quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi<br />

livelli <strong>di</strong> intolleranza al glutine, il cui significato deve essere<br />

ancora valutato.<br />

Per essere chiari, è bene <strong>di</strong>re che dal punto <strong>di</strong> vista clinico vale<br />

la pena, per ora, <strong>di</strong> accettare un compromesso, e <strong>di</strong> fermarsi a<br />

considerare come celiachia solo quella più facilmente<br />

identificabile sulla base dei sintomi clinici, dei livelli sierici <strong>di</strong><br />

96


97<br />

5. La malattia celiaca<br />

anticorpi, delle lesioni bioptiche. Dal punto <strong>di</strong> vista della<br />

ricerca, invece, può essere interessante capire se, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong><br />

questi casi, esista uno spettro più ampio <strong>di</strong> intolleranza al<br />

glutine e se questo possa comportare o meno il rischio <strong>di</strong><br />

sviluppare altre malattie associate.<br />

Per indagare quest’aspetto, sono stati proposti <strong>di</strong>versi<br />

approcci, i principali dei quali consistono nella ricerca <strong>di</strong>retta<br />

degli anticorpi anti-transglutaminasi nella mucosa intestinale<br />

con meto<strong>di</strong>che <strong>di</strong> immunofluorescenza e nella<br />

caratterizzazione degli anticorpi prodotti nella mucosa con la<br />

tecnologia delle libraries fagiche. Ulteriori dati sono attesi<br />

dall’applicazione <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> genomici e proteomici ad alta resa<br />

(high throughput).<br />

Partendo dal modello dell’iceberg della celiachia, è<br />

ragionevole domandarsi se possano esistere livelli “interme<strong>di</strong>”<br />

<strong>di</strong> intolleranza al glutine, che sfuggano agli attuali criteri<br />

<strong>di</strong>agnostici della malattia. E’ possibile, infatti, definire un<br />

gruppo <strong>di</strong> soggetti con elevato rischio teorico <strong>di</strong> essere celiaci<br />

(parenti <strong>di</strong> celiaci o <strong>di</strong>abetici con HLA DQ2 e/o DQ8) che<br />

risultano negativi alle indagini sierologiche per la malattia<br />

celiaca e all’esame morfologico della biopsia intestinale.<br />

Ebbene, in alcuni <strong>di</strong> questi soggetti è possibile identificare<br />

anticorpi anti-transglutaminasi, deposti nella mucosa a<br />

contatto con il proprio bersaglio (ve<strong>di</strong> Koskinen et al, scheda).<br />

Inoltre, anche con la meto<strong>di</strong>ca delle librerie fagiche (ve<strong>di</strong>


5. La malattia celiaca<br />

Marzari et al, scheda) è stato possibile <strong>di</strong>mostrare che alcuni<br />

soggetti con queste caratteristiche producono nella mucosa<br />

anticorpi anti-transglutaminasi, indotti dall’esposizione al<br />

glutine. Quest’ultima tecnologia ha permesso inoltre <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mostrare che questi anticorpi sono prodotti proprio dai<br />

linfociti situati nella mucosa e non da linfociti del sangue<br />

periferico 64 . Infine, sempre applicando questa meto<strong>di</strong>ca è<br />

stato possibile caratterizzare dalla mucosa <strong>di</strong> soggetti la<br />

produzione <strong>di</strong> altri autoanticorpi (ad esempio contro il<br />

pancreas o contro strutture del cervello), anch’essi con<br />

comportamento glutine-<strong>di</strong>pendente. Se questo è vero, sembra<br />

ragionevole pensare che una <strong>di</strong>eta senza glutine possa<br />

contribuire alla prevenzione del rischio <strong>di</strong> autoimmunità anche<br />

in questo gruppo, come già abbiamo visto per i soggetti con<br />

celiachia più tipica. La <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> questi soggetti con<br />

“intolleranza interme<strong>di</strong>a”, quin<strong>di</strong>, potrebbe permettere <strong>di</strong><br />

prevenire una quota supplementare <strong>di</strong> malattie autoimmuni<br />

indotte dal glutine.<br />

Va detto comunque, che è probabile che anche nei soggetti<br />

celiaci il glutine non sia l’unico fattore ambientale in causa<br />

nello scatenamento <strong>di</strong> reazioni autoimmuni. D’altra parte, è<br />

possibile che l’esposizione al glutine agisca amplificando il<br />

rischio che altri fattori ambientali provochino una risposta<br />

autoimmune. La spiegazione più semplice per questa ipotesi è<br />

che il particolare tipo <strong>di</strong> infiammazione indotta dal glutine<br />

98


99<br />

5. La malattia celiaca<br />

nella mucosa interferisca con il normale funzionamento dei<br />

meccanismi <strong>di</strong> tolleranza nella mucosa stessa: un antigene<br />

estraneo simile ad antigeni endogeni (mimetismo molecolare)<br />

potrebbe rischiare <strong>di</strong> indurre una risposta autoimmune<br />

piuttosto che una risposta <strong>di</strong> tolleranza.<br />

Un’altra spiegazione potrebbe risiedere più specificamente nei<br />

rapporti tra glutine, transglutaminasi tessutale e risposta<br />

autoimmune contro questo enzima. In realtà, non c’è alcuna<br />

<strong>di</strong>mostrazione consistente che la risposta anti-<br />

transglutaminasi in sé abbia un ruolo preponderante nelle<br />

malattie autoimmuni associate alla celiachia, tanto che alcuni<br />

considerano tuttora questi anticorpi soprattutto come un<br />

epifenomeno della malattia, specifico e utilissimo per la<br />

<strong>di</strong>agnosi, ma forse non fondamentale nella patogenesi delle<br />

manifestazioni della malattia. Sicuramente non in<strong>di</strong>spensabile<br />

allo sviluppo dell’enteropatia (che come abbiamo visto<br />

<strong>di</strong>pende soprattutto dalla produzione <strong>di</strong> Interferon gamma da<br />

parte <strong>di</strong> linfociti T CD4 specifici per il glutine). Tuttavia,<br />

esistono alcune con<strong>di</strong>zioni autoimmuni associate alla celiachia<br />

dove il ruolo patogenetico <strong>di</strong> questi anticorpi è<br />

definitivamente <strong>di</strong>mostrato o altamente probabile. In primo<br />

luogo, la dermatite erpetiforme, manifestazione cutanea<br />

autoimmune che sembrerebbe <strong>di</strong>pendere dalla produzione <strong>di</strong><br />

anticorpi contro la transglutaminasi epidermica (leggermente<br />

<strong>di</strong>versa rispetto a quella tessutale). E’ possibile anche che, al


5. La malattia celiaca<br />

pari degli anticorpi anti-transglutaminasi, altri autoanticorpi<br />

siano prodotti nella mucosa per un meccanismo <strong>di</strong> “antigen<br />

sprea<strong>di</strong>ng” cioè in seguito al riconoscimento <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi antigeni<br />

in complesso con pepti<strong>di</strong> <strong>di</strong> glia<strong>di</strong>na: come già <strong>di</strong>scusso per gli<br />

anticorpi anti-transglutaminasi, la glia<strong>di</strong>na potrebbe fornire i<br />

pepti<strong>di</strong> riconosciuti da linfociti T anti-glia<strong>di</strong>na che a loro volta<br />

fornirebbero l’aiuto per la produzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi autoanticorpi.<br />

Come al solito, è possibile che nella realtà siano coinvolti<br />

<strong>di</strong>versi <strong>di</strong> questi meccanismi. Di fatto, la sola produzione <strong>di</strong><br />

autoanticorpi potrebbe spiegare alcune con<strong>di</strong>zioni<br />

autoimmuni (atassia, dermatite) ma più <strong>di</strong>fficilmente altre<br />

come il <strong>di</strong>abete e la tiroi<strong>di</strong>te autoimmune, in cui è<br />

ampiamente riconosciuto un ruolo patogenetico prevalente<br />

dell’immunità cellulare.<br />

Tutto questo, quando ancora alcuni autori <strong>di</strong>scutono se la<br />

celiachia debba o meno essere considerata essa stessa una<br />

malattia auto-immune. L’autore <strong>di</strong> queste <strong>di</strong>spense ritiene <strong>di</strong><br />

no, anche se questa <strong>di</strong>scussione non può avere che risvolti<br />

scolastici. Pensare alla celiachia come una malattia<br />

autoimmune mi sembra confondente, perché non si chiarisce<br />

quale sia il nucleo che noi vogliamo considerare malattia. In<br />

altre parole, se l’intolleranza al glutine è autoimmune, tutti i<br />

malati devono avere aspetti clinici della malattia a patogenesi<br />

autoimmune, e non semplicemente fenomeni autoimmuni<br />

come la presenza <strong>di</strong> autoanticorpi.<br />

100


101<br />

5. La malattia celiaca<br />

Per esercizio, ricor<strong>di</strong>amo che la definizione <strong>di</strong> una malattia<br />

come autoimmune prevede il sod<strong>di</strong>sfacimento <strong>di</strong> alcuni criteri<br />

abbastanza simile ai postulati <strong>di</strong> Koch per le malattie infettive.<br />

Lasciamo al lettore il giu<strong>di</strong>zio su quanto la celiachia possa<br />

sod<strong>di</strong>sfare questi criteri.<br />

• Deve essere identificata una risposta adattativa<br />

autoimmune anticorpale e/o cellulare in tutti i soggetti<br />

affetti dalla malattia.<br />

• La risposta autoimmune deve essere responsabile <strong>di</strong> un<br />

danno caratterizzante della malattia.<br />

• Il trasferimento delle cellule e/o anticorpi autoreattivi<br />

deve essere in grado <strong>di</strong> riprodurre in un altro soggetto la<br />

stessa malattia (cosa non facile da <strong>di</strong>mostrare, in assenza<br />

<strong>di</strong> modelli animali della malattia).<br />

In ogni caso, la definizione della celiachia come autoimmune o<br />

meno non cambia sostanzialmente il suo ruolo nell’aumentare<br />

il rischio <strong>di</strong> sviluppare autoimmunità. Anzi, questo ruolo<br />

apparirebbe più chiaro e netto proprio se si ammettesse che la<br />

malattia non è in se autoimmune.


5. La malattia celiaca<br />

Koskinen O, Collin P, Korponay-Szabo Ilma, Salmi T, Iltanen S,<br />

Haimila K, Partanen J, Mäki M, Kaukinen K.<br />

Gluten-dependent Small Bowel Mucosal<br />

Transglutaminase 2-specific IgA Deposits in Overt<br />

and Mild Enteropathy Coeliac Disease<br />

J Pe<strong>di</strong>atr Gastroenterol Nutr 2008;47:436-442. 65<br />

Vengono riportate immagini <strong>di</strong> immunofluorescenza (riquadri<br />

gran<strong>di</strong>) e corrispondenti immagini morfologiche dei villi intestinali<br />

(rettangoli piccoli), alla prima valutazione (A e B), dopo due anni <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>eta contenente glutine (D e E) e dopo una <strong>di</strong>eta priva <strong>di</strong> glutine (E<br />

e F).<br />

A e B mostrano un quadro <strong>di</strong> celiachia “latente”: I villi sono normali<br />

(B) mentre si osservano dei depositi <strong>di</strong> IgA che co-localizzano con la<br />

transglutaminasi tessutale (A). Non si evince dall’immagine in<br />

bianco e nero, ma le frecce in<strong>di</strong>cano il colore arancione derivante<br />

dalla fusione della fluorescenza gialla dovuta alla presenza <strong>di</strong> IgA e<br />

rossa dovuta alla presenza <strong>di</strong> transglutaminasi.<br />

D: due anni dopo la mucosa mostra segni <strong>di</strong> atrofia, sono sempre<br />

presenti anticorpi nella mucosa, ma non nel siero. Viene avviata la<br />

<strong>di</strong>eta senza glutine.<br />

F e E: a <strong>di</strong>eta senza glutine, la mucosa guarisce e scompaiono i<br />

depositi <strong>di</strong> anticorpi IgA anti-transglutaminasi.<br />

102


103<br />

5. La malattia celiaca<br />

Marzari R, Sblattero D, Florian F, et al.<br />

Molecular <strong>di</strong>ssection of the tissue transglutaminase<br />

autoantibody response in celiac <strong>di</strong>sease.<br />

J Immunol. 2001 Mar 15;166(6):4170-6. 66<br />

Per prima cosa è utile ricordare che ciascun linfocito B mucosale<br />

presenterà nel proprio genoma dei riarrangiamenti che<br />

permettono la produzione <strong>di</strong> anticorpi funzionali con un elevato<br />

grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità. Utilizzando dei primers che fiancheggiano le<br />

regioni variabili delle immunoglobuline, è possibile collezionare<br />

sotto forma <strong>di</strong> DNA copia (cDNA) tutto il patrimonio <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità<br />

anticorpali co<strong>di</strong>ficate nell’intestino. Per eseguire l’analisi <strong>di</strong> questa<br />

enorme biblioteca, può essere sfruttata la tecnologia delle libraries<br />

fagiche. In pratica, questa tecnologia permette <strong>di</strong> associare a<br />

ciascuna sequenza <strong>di</strong> DNA co<strong>di</strong>ficante per una catena anticorpale la<br />

corrispondente proteina: per far ciò, il DNA viene trasferito<br />

all’interno <strong>di</strong> fagi in modo tale che la catena anticorpale venga<br />

espressa sul capside. In questo modo il fago fornisce un potente<br />

strumento <strong>di</strong> analisi e selezione: esso accoppia una proteina<br />

(esposta sulla superficie del fago ed utilizzabile per processi <strong>di</strong><br />

selezione su base <strong>di</strong> affinità) al relativo DNA. Una volta identificata<br />

una catena anticorpale <strong>di</strong> interesse, questo sistema permette <strong>di</strong><br />

amplificare ulteriormente il fago e <strong>di</strong> valutare agevolmente le<br />

caratteristiche molecolari dell’anticorpo, cioè con quali moduli <strong>di</strong><br />

DNA questo è stato assemblato durante la ricombinazione<br />

genetica. Il limite <strong>di</strong> questa tecnologia è che non permette <strong>di</strong><br />

effettuare l’accoppiamento giusto tra catene leggere e pesanti e<br />

quin<strong>di</strong> non riproduce con certezza l’anticorpo esattamente come è<br />

in vivo. D’altra parte, è noto che la catena pesante contribuisce per<br />

la maggior parte alla specificità antigenica, e quin<strong>di</strong> si ritiene che<br />

l’approssimazione delle librerie fagiche sia più che sod<strong>di</strong>sfacente.<br />

Questo tipo <strong>di</strong> analisi ha permesso <strong>di</strong> caratterizzare la risposta<br />

autoanticorpale del soggetto celiaco, identificare le regione


5. La malattia celiaca<br />

variabili più comunemente utilizzate negli anticorpi antitransglutaminasi,<br />

mappare la specificità per <strong>di</strong>versi epitopi<br />

dell’antigene e identificare la sede <strong>di</strong> produzione della risposta<br />

autoimmune. Insieme ai risultati dell’immunofluorescenza in situ,<br />

questa meto<strong>di</strong>ca ha permesso <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare che gli anticorpi anti<br />

tTG vengono prodotti e depositati nella mucosa, non solo nella<br />

celiachia, ma anche in alcuni soggetti con <strong>di</strong>abete senza una<br />

celiachia manifesta 67 . La meto<strong>di</strong>ca è stata adattata per un uso<br />

routinario mirato a identificare se esista uno spettro <strong>di</strong> sensibilità al<br />

glutine più ampio della celiachia tipica 68 .<br />

Di seguito riportiamo anche un piccolo approfon<strong>di</strong>mento sulle<br />

relazioni tra malattia celiaca e <strong>di</strong>abete <strong>di</strong> tipo 1.<br />

104


Il <strong>di</strong>abete visto dall’intestino.<br />

105<br />

5. La malattia celiaca<br />

Il <strong>di</strong>abete insulino-<strong>di</strong>pendente (DMT1) è una malattia<br />

multifattoriale legata a fattori ere<strong>di</strong>tari multigenici ed elementi<br />

ambientali. Il peso dei fattori ambientali sembra essere<br />

preponderante (la concordanza della malattia in gemelli<br />

monozigoti è intorno al 30%), ma un substrato genetico<br />

“permissivo” è in<strong>di</strong>spensabile al realizzarsi della malattia. In<br />

particolare, l’associazione con particolari HLA offre un interessante<br />

collegamento tra la genetica e l’ambiente.<br />

La possibilità <strong>di</strong> identificare soggetti ad alto rischio <strong>di</strong> sviluppare il<br />

<strong>di</strong>abete insulino-<strong>di</strong>pendente (<strong>di</strong>abete <strong>di</strong> tipo 1) porta in sé la<br />

frustrazione derivante dall’assenza <strong>di</strong> un’efficace strategia<br />

preventiva della malattia. La presenza <strong>di</strong> anticorpi <strong>di</strong>retti contro il<br />

pancreas e l’analisi dell’HLA consentono <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>re con elevata<br />

affidabilità lo sviluppo del <strong>di</strong>abete in età pe<strong>di</strong>atrica (fratelli o figli <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>abetici), quando il rischio <strong>di</strong> sviluppare la malattia è ancora<br />

elevato e i tempi per la prevenzione sono più lunghi. In familiari <strong>di</strong><br />

1° grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>abeteci, il valore pre<strong>di</strong>ttivo degli autoanticorpi contro<br />

il pancreas varia dal 5 al 70% (in caso <strong>di</strong> positività multiple). E può<br />

essere rinforzato dalla concordanza degli HLA <strong>di</strong> rischio.<br />

E’ chiaro che la determinazione <strong>di</strong> questo rischio ha senso, ed è<br />

eticamente accettabile, solo in presenza <strong>di</strong> efficaci strategie<br />

preventive o nell’ambito <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sperimentali <strong>di</strong> prevenzione.<br />

D’altra parte, la presenza <strong>di</strong> una risposta autoanticorpale<br />

persistente contro il pancreas in<strong>di</strong>ca forse qualcosa <strong>di</strong> più <strong>di</strong> una<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> rischio, qualcosa che è forse già l’inizio della malattia,<br />

lo specchio dell’insulite, cioè dell’attivazione <strong>di</strong> linfociti autoreattivi<br />

che infiltrano le insule pancreatiche, conducendo lentamente ad<br />

una <strong>di</strong>struzione delle beta-cellule fino alla comparsa del <strong>di</strong>abete<br />

manifesto. Un intervento a questo punto avrebbe già il significato<br />

<strong>di</strong> una prevenzione secondaria.<br />

Tra le strategie preventive, è stata valutata anche la


5. La malattia celiaca<br />

somministrazione orale <strong>di</strong> insulina, allo scopo <strong>di</strong> indurre attraverso<br />

il sistema immune dell’intestino una risposta <strong>di</strong> tolleranza<br />

all’ormone e al tempo stesso alle cellule pancreatiche. Per quanto<br />

questa strategia non abbia portato finora ad apprezzabili risultati<br />

clinici, essa contiene un’idea originale: quella che l’intestino possa<br />

avere un ruolo nella genesi, e d’inverso nella prevenzione, del<br />

<strong>di</strong>abete autoimmune.<br />

Gli stu<strong>di</strong> epidemiologici hanno mostrato che l’incidenza del <strong>di</strong>abete<br />

negli anni può variare molto più <strong>di</strong> quanto vari il patrimonio<br />

genetico della stessa popolazione, suggerendo che sia possibile<br />

identificare i fattori ambientali attivi nella genesi della malattia. Un<br />

recente stu<strong>di</strong>o collaborativo europeo ha mostrato inoltre che<br />

l’aumento <strong>di</strong> incidenza del <strong>di</strong>abete mellito è maggiore nei bambini<br />

più piccoli (+ 6.3% negli ultimi 15 anni), con una tendenza<br />

all’anticipazione dell’età <strong>di</strong> insorgenza. Tra i possibili fattori<br />

ambientali in causa, appaiono <strong>di</strong> particolare importanza<br />

l’alimentazione e le infezioni, in particolare quelle a carico del<br />

tratto gastro-intestinale. Entrambi questi fattori si confrontano con<br />

l’organismo a livello della mucosa dell’intestino e il me<strong>di</strong>atore del<br />

confronto tra la genetica e l’ambiente è quin<strong>di</strong> il sistema immune<br />

della mucosa intestinale. L’ipotesi che stiamo valutando, e cioè che<br />

il <strong>di</strong>abete nasca dall’intestino, appare coerente con questi dati. Di<br />

fatto, come vedremo, l’osservazione che nei soggetti <strong>di</strong>abetici<br />

siano identificabili sottili alterazioni del sistema immune<br />

intestinale, è coerente con una visione più allargata della<br />

patogenesi del <strong>di</strong>abete e <strong>di</strong> altre malattie autoimmuni d’organo.<br />

Glutine, latte vaccino e infezione da enterovirus sono tre fattori<br />

ambientali per i quali è stato ipotizzato un ruolo nella patogenesi<br />

del DMT1. La prima caratteristica che questi hanno in comune è<br />

quella <strong>di</strong> entrare in contatto con l’organismo a livello della mucosa<br />

intestinale. I due alimenti hanno poi una seconda caratteristica in<br />

comune, quella cioè <strong>di</strong> aver fatto parte nei secoli recenti <strong>di</strong> un<br />

importante cambiamento delle abitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong>etetiche (almeno per<br />

106


107<br />

5. La malattia celiaca<br />

quanto riguarda le quantità), che non ha avuto né il tempo né le<br />

con<strong>di</strong>zioni (almeno nei paesi ad elevato sviluppo socio-sanitario) <strong>di</strong><br />

indurre un adattamento della specie in termini <strong>di</strong> selezione<br />

naturale. E’ possibile che il cambiamento <strong>di</strong>etetico spieghi, almeno<br />

in parte, la variabile incidenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>abete nel tempo che si è<br />

osservata in più paesi.<br />

L’evidenza <strong>di</strong> un ruolo patogenetico del glutine, almeno in una<br />

percentuale <strong>di</strong> <strong>di</strong>abetici (intorno al 5-10%), nasce dall’osservazione<br />

che i celiaci non <strong>di</strong>agnosticati, esposti a lungo alla <strong>di</strong>eta contenente<br />

glutine, hanno un rischio elevato <strong>di</strong> sviluppare il <strong>di</strong>abete (fino al<br />

25% dopo 30 anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>eta contenente glutine). Questo rischio si<br />

riduce fortemente nei soggetti celiaci <strong>di</strong>agnosticati precocemente,<br />

e quin<strong>di</strong> a <strong>di</strong>eta, in<strong>di</strong>cando che un’alimentazione senza glutine<br />

potrebbe essere in grado <strong>di</strong> prevenire in essi lo sviluppo <strong>di</strong> <strong>di</strong>abete.<br />

Coerente con questi dati è l’osservazione che gli anticorpi antipancreas,<br />

quando presenti in soggetti celiaci, tendono a scomparire<br />

a <strong>di</strong>eta senza glutine.<br />

Per concludere, in soggetti con il substrato genetico della celiachia<br />

(HLA ed altro non noto), il glutine potrebbe favorire una risposta<br />

autoimmune anti-pancreas ed infine il <strong>di</strong>abete conclamato.<br />

L’associazione con la celiachia sembra spiegare solo una parte<br />

minore dei casi <strong>di</strong> DMT1 (meno del 10 %), ma è possibile che anche<br />

in soggetti non tipicamente celiaci il glutine abbia un ruolo nel<br />

favorire l’insorgere del <strong>di</strong>abete. Questa ipotesi, finora mai valutata,<br />

è attualmente oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o con le nuove tecniche dell’era<br />

molecolare della celiachia.


5. La malattia celiaca<br />

108<br />

Cambiamenti nella epidemiologia e nella clinica della malattia celiaca nelle successive<br />

ere della malattia. La sequenza scritta in bianco riassume le <strong>di</strong>verse ere della celiachia.<br />

Le immagini sull’orizzonte della figura in<strong>di</strong>cano i cambiamenti della prevalenza <strong>di</strong><br />

malattia in coincidenza con l’applicazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi strumenti e strategie <strong>di</strong> <strong>di</strong>agnosi. La<br />

riga in basso, in nero, riassume l’evoluzione della clinica della malattia, dovuta sia a<br />

cambiamenti ambientali che al miglioramento delle strategie <strong>di</strong>agnostiche. L’ultima<br />

colonna propone due possibili scenari per il futuro, a seconda che la <strong>di</strong>agnostica<br />

biotecnologia permetta <strong>di</strong> leggere l’intolleranza al glutine come una singola malattie o<br />

come una costellazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi livelli <strong>di</strong> ipersensibilità.


6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

109<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Fig. 6.1 Pubblicazioni sulla malattia <strong>di</strong> Crohn negli anni su due delle<br />

maggiori riviste me<strong>di</strong>che internazionali.<br />

Nel grafico in figura 6.1 viene riportato il numero <strong>di</strong><br />

pubblicazioni sulla malattia <strong>di</strong> Crohn sulle due principali riviste<br />

me<strong>di</strong>che internazionali: l’americano “New England Journal of<br />

Me<strong>di</strong>cine” ed il britannico “The Lancet”.<br />

L’interesse verso questa malattia non è stato sempre uguale<br />

per le due riviste. Si possono inoltre notare alcuni picchi che<br />

rispecchiano verosimilmente altrettanti perio<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

avanzamanto delle conoscenze. Il primo picco, alla fine degli<br />

anni ’60 si associa a molte <strong>di</strong>verse novità, dall’introduzione <strong>di</strong><br />

terapie me<strong>di</strong>che <strong>di</strong> fondo alla caratterizzazzione <strong>di</strong><br />

manifestazioni associate alla malattia; il secondo picco, <strong>di</strong> più<br />

ampia durata per il giornale britannico, rispecchia un ulteriore<br />

aumento delle conoscenze, favorito anche dall’introduzione<br />

della colonscopia con fibre ottiche; agli inizi degli anni ’90 si


5. La malattia celiaca<br />

prende atto <strong>di</strong> cambiamenti epidemiologici e alla fine dello<br />

stesso decennio si assiste all’avvio della “rivoluzione<br />

biologica”, con l’introduzione in terapia degli anticorpi anti<br />

TNF-alfa; l’inizio del 2000, infine, è caratterizzato<br />

dall’identificazione <strong>di</strong> uno dei geni maggiormente associati al<br />

rischio <strong>di</strong> malattia, NOD2.<br />

110


Tab. 6.1 Le ere della malattia <strong>di</strong> Crohn.<br />

111<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Era Anni <strong>Clinica</strong> Diagnosi<br />

terapia<br />

e Biologia<br />

B. Crohn 1932 Ileo terminale: Chirurgica Granuloma.<br />

Chirurgia<br />

infiammazione<br />

infiammazione<br />

cronica: ulcere,<br />

ma non tumore<br />

fistole e stenosi<br />

né infezione<br />

69<br />

; Complicanze<br />

nutrizionali della<br />

E. me<strong>di</strong>ca<br />

del<br />

cortisone e<br />

dell’azatiopr<br />

ina<br />

E. della<br />

<strong>di</strong>eta e<br />

dell’ambient<br />

e<br />

1951<br />

-<br />

1967<br />

chirurgia 70<br />

Anche carcinoma,<br />

eritema nodoso,<br />

amiloidosi,<br />

febbre, ritardo <strong>di</strong><br />

crescita,<br />

spon<strong>di</strong>lite<br />

anchilosante,<br />

pioderma<br />

gangrenoso<br />

Anemia 71<br />

1970 Aumento <strong>di</strong><br />

incidenza e<br />

progresso socio-<br />

igienico<br />

77 ;<br />

aumento della<br />

MC pe<strong>di</strong>atrica<br />

Effetto del<br />

cortisone 72 ;<br />

rischi del<br />

cortisone 73 ;<br />

Sigmoidosco<br />

74<br />

pia . 6mercaptopu<br />

rina 75 76 .<br />

Ileostomia<br />

78 79,80<br />

. Dieta .<br />

Doppio<br />

contrasto 81 ;<br />

82<br />

E. biologica 1997 Talidomide<br />

90,91<br />

Infliximab 92<br />

Leucociti nel<br />

sangue 83 e nel<br />

muco rettale 84 .<br />

Permeabilità 85 ,<br />

Infezione<br />

86 ;<br />

<strong>di</strong>fetto immune<br />

87,88 ; ASCA 89<br />

Modelli murini<br />

E. genetica 2001 NOD2 come<br />

gene rischio 93,94<br />

E. del 2002 GM-CSF<br />

sistema<br />

come<br />

immune<br />

possible<br />

naturale<br />

terapia 95-97<br />

Difetto del<br />

fagocita 98,99 .<br />

Difetto <strong>di</strong> switch<br />

off 100<br />

E. delle 2009<br />

101<br />

interazioni


5. La malattia celiaca<br />

La nascita <strong>di</strong> una nuova<br />

malattia: Crohn, 1932<br />

All’inizio degli anni ‘30, un gruppo <strong>di</strong><br />

chirurghi del Mount Sinai Hospital <strong>di</strong><br />

New York, osservò una serie <strong>di</strong> pazienti<br />

con una malattia infiammatoria cronica<br />

dell’intestino a patogenesi ignota (né<br />

infettiva, né tumorale). Nel 1932, Crohn<br />

(fig. 6.2), Ginzburg e Oppenheimer descrissero questa<br />

con<strong>di</strong>zione sul Journal of American Me<strong>di</strong>cal Association<br />

(JAMA) come una nuova entità nosologica, che avrebbe<br />

successivamente preso il nome <strong>di</strong> Malattia <strong>di</strong> Crohn 69 .<br />

112<br />

Fig. 6.2 Burrill B. Crohn<br />

Fig 6.3 La prima descrizione dell’Ileite Regionale, in seguito denominata<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn.


113<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

La descrizione con cui iniziava l’articolo (fig. 6.3) costituisce<br />

tuttora un’ottima sintesi delle caratteristiche della malattia:<br />

“noi proponiamo <strong>di</strong> descrivere, nei suoi dettagli patologici e clinici,<br />

una malattia dell’ileo terminale, che colpisce soprattutto i giovani<br />

adulti e che è caratterizzata da un’infiammazione subacuta o<br />

cronica necrotizzante e cicatrizzante. L’ulcerazione della mucosa si<br />

accompagna a una sproporzionata reazione del tessuto connettivo<br />

della restante parete della zona <strong>di</strong> intestino coinvolta, un processo<br />

che conduce frequentemente a stenosi del lume intestinale associata<br />

alla formazione <strong>di</strong> fistole multiple”.<br />

Può essere utile <strong>di</strong>scutere alcuni aspetti <strong>di</strong> questa descrizione<br />

ai fini della nostra trattazione:<br />

- La frase iniziale - noi proponiamo <strong>di</strong> descrive una malattia<br />

– tra<strong>di</strong>sce già che si sta parlando <strong>di</strong> una malattia<br />

precedentemente sconosciuta, il che può suggerire che<br />

cambiamenti ambientali abbiano avuto un ruolo nella sua<br />

comparsa;<br />

- Malattia dell’ileo terminale: oggi sappiamo che l’ileo<br />

terminale è la localizzazione più caratteristica della<br />

malattia, ma che altre porzioni dell’apparato <strong>di</strong>gerente<br />

possono essere ugualmente interessate, lasciando <strong>di</strong> solito<br />

ampie porzioni del tutto sane (si parla <strong>di</strong> “lesioni a salto” o<br />

skip lesions);<br />

- Colpisce soprattutto i giovani adulti: questo resta vero, ma<br />

negli ultimi decenni sono <strong>di</strong>ventati sempre <strong>di</strong> più i casi ad


5. La malattia celiaca<br />

esor<strong>di</strong>o più precoce, in età pe<strong>di</strong>atrica, suggerendo ancora<br />

un ruolo <strong>di</strong> cambiamenti dell’ambiente nel mo<strong>di</strong>ficare<br />

l’espressione della malattia;<br />

- Infiammazione subacuta o cronica necrotizzante e<br />

cicatrizzante, … sproporzionata reazione della parete …<br />

stenosi e fistole: i sintomi della malattia <strong>di</strong>pendono<br />

dall’infiammazione in sé (febbre, astenia, calo ponderale),<br />

ma in modo ancora più caratteristico dagli aspetti<br />

<strong>di</strong>struttivi a pieno spessore <strong>di</strong> parete dell’infiammazione<br />

(ascessi, fistole, stenosi, masse addominali, occlusione).<br />

Meno importante è invece il sintomo dovuto<br />

all’infiammazione superficiale della mucosa (<strong>di</strong>arrea con<br />

muco e sangue) rispetto a quanto si poteva osservare in<br />

altre malattie come la colite ulcerativa.<br />

- Più avanti, si descrive il carattere granulomatoso (ve<strong>di</strong><br />

scheda) dell’infiammazione, non riconducibile a cause note<br />

(in primis la tubercolosi e le cause infettive).<br />

L’infiammazione granulomatosa.<br />

L’infiammazione granulomatosa è un tipo particolare <strong>di</strong> risposta<br />

infiammatoria cronica, caratterizzata da raccolte focali <strong>di</strong><br />

macrofagi, cellule epitelioi<strong>di</strong> e cellule giganti multinucleate.<br />

Questa modalità viene messa in atto in presenza <strong>di</strong> una relativa<br />

incapacità da parte dei fagociti <strong>di</strong> rimuovere in modo efficiente un<br />

agente patogeno, a causa <strong>di</strong> caratteristiche intrinseche del<br />

patogeno o a causa <strong>di</strong> un <strong>di</strong>fetto dei meccanismi <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong><br />

114


115<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

questo da parte della cellula. In tali casi, le citochine e chemochine<br />

rilasciate nella sede del danno richiameranno linfociti, che a loro<br />

volta produrranno citochine in grado <strong>di</strong> potenziare e modulare<br />

l’attività dei fagociti. Il risultato è il granuloma che può evolvere in<br />

vari mo<strong>di</strong>, in base alla persistenza o meno dei fattori che ne hanno<br />

indotto la formazione.<br />

Gli esempi più classici <strong>di</strong> reazione granulomatosa si trovano nella<br />

tubercolosi (resistenza del micobatterio alla <strong>di</strong>struzione da parte<br />

dei fagociti), nel corpo estraneo (in<strong>di</strong>geribilità) e in un particolare<br />

<strong>di</strong>fetto dei fagociti, la malattia granulomatosa cronica (per un<br />

<strong>di</strong>fetto della capacità ossidativa dei fagociti).<br />

Detto questo, appare comprensibile come in questa prima era<br />

della malattia <strong>di</strong> Crohn la malattia avesse soprattutto<br />

connotati “chirurgici”.<br />

Gli unici farmaci utilizzati, su base empirica, erano i<br />

sulfami<strong>di</strong>ci, che si erano da poco rivelati preziosi nel<br />

trattamento <strong>di</strong> malattie infettive. Tra questi farmaci, la<br />

salazopirina sembrava essere dotato <strong>di</strong> una certa efficacia, ma<br />

è incerto se questa fosse dovuta più alle qualità anti-<br />

batteriche o a quelle anti-infiammatorie (contenuto <strong>di</strong><br />

salicilato).<br />

Nel 1950 cominciano a evidenziarsi le prime complicazioni a<br />

<strong>di</strong>stanza della gestione esclusivamente chirurgica della<br />

malattia: dopo aver resecato la parte <strong>di</strong> intestino malata, la<br />

malattia tende a ricadere e a richiedere nuovi interventi, fino a<br />

portare a una rilevante <strong>di</strong>minuzione della superficie <strong>di</strong><br />

assorbimento con conseguenti problemi nutrizionali 70 .


5. La malattia celiaca<br />

Dal cortisone all’azatioprina: la prima<br />

era farmacologica<br />

All’inizio degli anni ‘50 l’uso del cortisone entra con<br />

prepotenza nell’armamentario terapeutico delle malattie<br />

infiammatorie, inclusa la malattia <strong>di</strong> Crohn 72 . L’efficacia del<br />

farmaco è subito evidente e sembra permettere in molti casi<br />

<strong>di</strong> evitare o posticipare il ricorso alla terapia chirurgica, tanto<br />

che si parlerà <strong>di</strong> una vera e propria “era degli steroi<strong>di</strong>” 102 . Solo<br />

più tar<strong>di</strong>, si cominceranno a rendere evidenti anche i rischi <strong>di</strong><br />

un trattamento steroideo prolungato (ve<strong>di</strong> scheda) 73 . Infatti,<br />

l’esperienza insegnerà ben presto che la malattia tende a<br />

ricadere alla sospensione del trattamento che viene quin<strong>di</strong><br />

mantenuto a tempo indefinito. Non solo, in alcuni pazienti si<br />

sviluppava una certa tolleranza nei confronti del farmaco, che<br />

costringeva ad aumentarne le dosi. Oggi sappiamo che il<br />

trattamento steroideo nella malattia <strong>di</strong> Crohn si limita a<br />

bloccare le manifestazioni correlate all’infiammazione, senza<br />

influire positivamente sulla storia naturale della malattia.<br />

Negli anni successivi si cercherà <strong>di</strong> aggiungere al cortisone altri<br />

farmaci immunosoppressori, a cominciare dalla 6-<br />

mercaptopurina, fino alle mostarde azotate 75 76,103 . L’era del<br />

cortisone rappresenta quin<strong>di</strong> il momento in cui la scoperta <strong>di</strong><br />

farmaci con effetto anti-infiammatorio e immunosoppressivo<br />

permette l’attuazione delle prime terapie me<strong>di</strong>che dotate <strong>di</strong><br />

116


117<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

una certa efficacia sui sintomi infiammatori della malattia. I<br />

trattamenti me<strong>di</strong>ci proposti in precedenza, infatti, non<br />

avevano basi razionali altrettanto solide e spesso<br />

rispondevano a pensieri logici arbitrari e a volte bizzarri (per<br />

una trattazione storica ve<strong>di</strong> Kirsner, The Lancet 1998 104 ).<br />

In questo periodo, vengono descritti i primi casi familiari e<br />

pe<strong>di</strong>atrici della malattia, si introducono esami non-chirurgici<br />

per una migliore <strong>di</strong>agnosi (biopsia rettale, sigmoidoscopia) e<br />

vengono descritte altre con<strong>di</strong>zioni morbose che si associano o<br />

che complicano spesso la malattia <strong>di</strong> Crohn: carcinoma del<br />

colon, eritema nodoso, amiloidosi, febbre, ritardo <strong>di</strong> crescita,<br />

anemia, spon<strong>di</strong>lite anchilosante, pioderma gangrenoso.


5. La malattia celiaca<br />

Cortisone: meccanismi <strong>di</strong> azione ed effetti<br />

collaterali<br />

Dal 1949, quando Hench e coll. <strong>di</strong>mostrano l’efficacia<br />

antinfiammatoria dei corticosteroi<strong>di</strong> o dell’ACTH nell’artrite<br />

reumatoide, i cortisonici <strong>di</strong>ventano il prototipo dei farmaci<br />

antinfiammatori (tanto che altre categorie <strong>di</strong> farmaci verranno poi<br />

in<strong>di</strong>cate come “farmaci antinfiammatori non steroidei” o ancora,<br />

come farmaci “risparmiatori <strong>di</strong> cortisone”).<br />

La potenza degli steroi<strong>di</strong>, giu<strong>di</strong>cata in base alla capacità <strong>di</strong><br />

mantenere la sopravvivenza nel soggetto adrenalectomizzato,<br />

correla con l’effetto <strong>di</strong> ritenzione <strong>di</strong> so<strong>di</strong>o (effetto<br />

mineralcorticoide). Attraverso il legame ad un altro tipo <strong>di</strong><br />

recettore i cortisonici possono me<strong>di</strong>are anche un effetto più<br />

complesso sul metabolismo, con aumento della glicemia,<br />

<strong>di</strong>minuzione dell’uso del glucosio ed accumulo <strong>di</strong> glicogeno epatico<br />

(effetto glucocorticoide). La potenza glucocorticoide correla con<br />

l’azione antinfiammatoria del farmaco.<br />

I cortisonici sono molecole liposolubili, in grado <strong>di</strong> attraversare<br />

facilmente le membrane e raggiungere il proprio recettore nel<br />

citoplasma della cellula. In seguito al legame con il cortisone, il<br />

recettore me<strong>di</strong>a una serie <strong>di</strong> effetti <strong>di</strong> regolazione della sintesi<br />

proteica, <strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente per mezzo del legame ad<br />

altri fattori <strong>di</strong> trascrizione (ve<strong>di</strong> immagine). Gli effetti immunologici<br />

<strong>di</strong>pendono da molteplici meccanismi: da un lato la repressione<br />

della produzione <strong>di</strong> citochine come l’IL-1, il TNF-alfa, l’IL-6 e la<br />

<strong>di</strong>minuita produzione <strong>di</strong> prostaglan<strong>di</strong>ne, leucotrieni e <strong>di</strong> enzimi<br />

litici; dall’altro un effetto immunosoppressore più complesso sulle<br />

cellule dell’immunità naturale e sui linfociti.<br />

118


119<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

L’effetto dei glucocorticoi<strong>di</strong> è molto potente, grazie anche al largo<br />

spettro <strong>di</strong> azione su più sostanze e funzioni cellulari. Purtroppo,<br />

però, l’utilizzo <strong>di</strong> questi farmaci nelle malattie infiammatorie<br />

croniche comporta una serie <strong>di</strong> problemi: primo, il farmaco ha un<br />

effetto sintomatico e non sembra cambiare la storia naturale della<br />

malattia (anzi, forse potrebbe aggravarne alcuni aspetti); oltre agli<br />

effetti sul sistema immunitario i cortisonici hanno marcati effetti<br />

sul metabolismo cellulare, tanto più importanti quanto più la<br />

somministrazione viene protratta. Non solo, l”assuefazione”<br />

dell’organismo ad elevati livelli <strong>di</strong> cortisone comporta la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

un’efficace risposta ormonale da stress (a causa della cosiddetta<br />

soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene). I principali effetti<br />

indesiderati <strong>di</strong> terapie <strong>di</strong> lunga durata a base <strong>di</strong> corticosteroi<strong>di</strong> sono<br />

<strong>di</strong> seguito riassunti:<br />

- Car<strong>di</strong>ovascolari: ipertensione<br />

- Cute: ecchimosi, petecchie, strie rubre, acne<br />

- Endocrino-metabolici: soppressione asse ipotalamo-ipofisisurrene,<br />

irsutismo, aspetto cushingoide, impotenza, irregolarità<br />

mestruali, ritardo e arresto della crescita nei bambini, <strong>di</strong>abete,<br />

catabolismo proteico, <strong>di</strong>sturbi elettrolitici ritenzione <strong>di</strong> so<strong>di</strong>o e<br />

acqua, ipokaliemia, ipocalcemia, calciuria.<br />

- Gastrointestinali: ulcera peptica, emorragia gastrica


5. La malattia celiaca<br />

- Immunitari: aumentata suscettibilità alle infezioni, ritardata<br />

guarigione <strong>di</strong> ferite<br />

- Neuropsichici: iperattività psico-motoria, euforia, insonnia,<br />

sindrome depressivo-maniacale, psicosi<br />

- Oftalmici: cataratta, glaucoma, cheratiti<br />

- Osteomuscolari: osteoporosi, necrosi asettica della testa del<br />

femore e dell’omero, miopatia<br />

Ambiente e immunità: dalla <strong>di</strong>eta ad<br />

una nuova epidemiologia<br />

Il ruolo <strong>di</strong> cambiamenti ambientali nella patogenesi della<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn <strong>di</strong>viene sempre più evidente: gli stu<strong>di</strong><br />

epidemiologici mostrano un aumento della prevalenza della<br />

malattia nel tempo 77 ; la transitoria esclusione <strong>di</strong> anse<br />

intestinali dal transito alimentare, eseguita per finalità<br />

chirurgiche, permetteva in esse la guarigione del processo<br />

infiammatorio 78 ; la nutrizione con <strong>di</strong>eta elementare o semi-<br />

elementare (cioè a base <strong>di</strong> molecole non complesse)<br />

permetteva non solo <strong>di</strong> affrontare il <strong>di</strong>fetto nutrizionale tipico<br />

della malattia, ma anche la risoluzione del processo<br />

infiammatorio 79,80 (ve<strong>di</strong> scheda). Queste e altre osservazioni<br />

erano coerenti con un ruolo chiave dell’ambiente (ed in<br />

particolare <strong>di</strong> quell’ambiente che entra a contatto con<br />

l’intestino attraverso l’alimentazione) nella malattia <strong>di</strong> Crohn.<br />

Tuttavia, non era chiaro quali elementi <strong>di</strong> quest’ambiente<br />

120


121<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

fossero i veri responsabili della malattia. Si osservava che<br />

l’aumento dell’incidenza della malattia nei <strong>di</strong>versi paesi<br />

rispecchiava il progresso socio-igienico-economico, tanto che<br />

si cominciò a parlare <strong>di</strong> malattie correlate alla<br />

“occidentalizzazione” dello stile <strong>di</strong> vita 105,106 . Non solo, la<br />

malattia, inizialmente descritta come più frequente nella<br />

popolazione ebraica, risultava meno frequente in Israele che<br />

negli Stati Uniti 107 . Nonostante questo, non fu possibile<br />

identificare singoli fattori ambientali sicuramente associati con<br />

la malattia.<br />

Dall’altra parte, cominciava a prendere piede l’ipotesi che la<br />

malattia potesse derivare da una risposta immune anomala a<br />

qualche mutamento ambientale non ben identificato. Infatti,<br />

la conta dei globuli bianchi nel sangue e nel muco fecale<br />

<strong>di</strong>ventano al tempo stesso una prova del coinvolgimento<br />

generale del sistema immunitario nella malattia e strumenti<br />

per la <strong>di</strong>agnosi ed il monitoraggio <strong>di</strong> questa 83,84 . Ancora una<br />

volta, però, non è facile comprendere in che cosa consista<br />

questa anomala risposta all’ambiente: si ipotizza che la<br />

malattia nasca dalla risposta ad agenti infettivi trasmissibili<br />

che tuttavia non vengono mai identificati in modo convincente<br />

86 ; si ipotizza un <strong>di</strong>fetto della tolleranza immune contro i<br />

comuni saprofiti, che sarebbe coerente con l’identificazione <strong>di</strong><br />

un’alterata reattività cellulare e anticorpale contro alcuni<br />

commensali 87,89 ; infine, si ipotizza che una patologica risposta


5. La malattia celiaca<br />

in<strong>di</strong>viduale a determinati fattori ambientali possa derivare da<br />

una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> <strong>di</strong>fetto immunitario 88,108 . A ciò si<br />

aggiungeva l’evidenza <strong>di</strong> un’alterata permeabilità intestinale,<br />

che, oltre a provocare malassorbimento e <strong>di</strong>fetto nutrizionale,<br />

poteva svolgere un ruolo patogenetico anche favorendo il<br />

confronto tra componenti ambientali e immunità mucosale. La<br />

misura della permeabilità intestinale <strong>di</strong>ventò <strong>di</strong> fatto un<br />

ulteriore in<strong>di</strong>catore biologico dell’attività <strong>di</strong> malattia,<br />

precedendo nel tempo l’aumento dei leucociti e degli in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong><br />

flogosi e la ricaduta clinicamente manifesta 85 .<br />

Contemporaneamente, lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> loci associati alla malattia<br />

in famiglie con più casi affetti, promette <strong>di</strong> fornire una chiave<br />

interpretativa, forse in grado <strong>di</strong> trovare una sintesi tra queste<br />

<strong>di</strong>verse teorie.<br />

122


Dieta elementare nella malattia <strong>di</strong> Crohn 79,80<br />

123<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

La figura mostra gli effetti della sola <strong>di</strong>eta elementare su <strong>di</strong>versi<br />

parametri in<strong>di</strong>catori sia dello stato nutrizionale che dello stato<br />

infiammatorio.<br />

Come si vede, la <strong>di</strong>eta ha <strong>di</strong> per sé oltre all’effetto nutrizionale<br />

anche un effetto anti-infiammatorio. Il meccanismo con cui si<br />

ottiene questo effetto non è ancora del tutto noto, ma è probabile<br />

che passi attraverso mo<strong>di</strong>ficazioni della composizione e del<br />

metabolismo della flora batterica intestinale.


5. La malattia celiaca<br />

I farmaci biologici: la seconda era<br />

farmacologica<br />

La seconda era farmacologica potrebbe essere anche chiamata<br />

“biotecnologica”. L’idea è quella <strong>di</strong> ottenere lo stesso potere<br />

anti-infiammatorio del cortisone, senza i pesanti effetti<br />

indesiderati <strong>di</strong> questo farmaco. Di seguito sono riassunte le<br />

basi <strong>di</strong> quest’approccio terapeutico.<br />

Sebbene il sistema immune sia in grado <strong>di</strong> riconoscere una<br />

moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> patogeni ed organizzare nei loro confronti<br />

risposte <strong>di</strong> volta in volta <strong>di</strong>verse, le fasi iniziali della <strong>di</strong>fesa<br />

primaria verso gli antigeni sono con<strong>di</strong>vise. La modalità <strong>di</strong><br />

risposta può tuttavia essere modulata dalle caratteristiche del<br />

patogeno, dando luogo alla produzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi profili <strong>di</strong><br />

citochine. Quando prodotte in grande quantità, queste<br />

citochine me<strong>di</strong>ano effetti sistemici come la reazione febbrile<br />

(azione sull’ipotalamo <strong>di</strong> IL-1 e TNF-α) e la sintesi delle<br />

proteine della fase acuta (azione sul fegato <strong>di</strong> IL-1, TNF-α e IL-<br />

6). A queste azioni si associa un programma <strong>di</strong> risparmio<br />

energetico da parte dell’organismo, finalizzato a concentrare<br />

tutte le forze sul fronte della <strong>di</strong>fesa immune. In quest’ottica si<br />

devono leggere la sonnolenza provocata dall’IL-1 e dal TNF-α e<br />

l’inibizione della crescita me<strong>di</strong>ata dall’IL-6.<br />

Tra le citochine prodotte nelle malattie infiammatorie<br />

croniche, quella che ha sicuramente il maggior potenziale<br />

124


125<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

lesivo è il TNF-α (ve<strong>di</strong> scheda), anche in ragione della sua<br />

capacità <strong>di</strong> amplificare la produzione <strong>di</strong> citochine pro-<br />

flogogene, a loro volta dotate <strong>di</strong> notevole tossicità. Ad<br />

esempio la secrezione protratta <strong>di</strong> IL-1 conduce a<br />

riassorbimento osseo, mentre la secrezione cronica <strong>di</strong> IL-6,<br />

attraverso una <strong>di</strong>minuzione dell’IGF-I, ostacola<br />

l’accrescimento.<br />

Le citochine vengono prodotte per brevi perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> tempo da<br />

cellule attivate del sistema immune. La loro sintesi avviene<br />

ex novo ed è regolata a partire da segnali <strong>di</strong> membrana<br />

trasdotti attraverso una cascata <strong>di</strong> eventi, che culminano con<br />

l’attivazione <strong>di</strong> particolari fattori <strong>di</strong> trascrizione tra cui l’NF-kB,<br />

in grado <strong>di</strong> regolare la sintesi delle citochine pro-flogogene e<br />

degli enzimi implicati nel metabolismo delle prostaglan<strong>di</strong>ne e<br />

dei tromboxani. E’ bene <strong>di</strong>re che uno degli antagonisti più<br />

potenti dell’azione dell’NF-kB è proprio il cortisone, ma come<br />

abbiamo visto questo farmaco ha anche altri importanti effetti<br />

indesiderati.<br />

Dato il suo ruolo centrale del TNF-α nell’amplificazione della<br />

risposta infiammatoria, si è pensato <strong>di</strong> controllare<br />

specificamente gli aspetti più gravi dell’infiammazione per<br />

mezzo dell’inibizione <strong>di</strong> questa citochina. Per la sua selettività,<br />

questo intervento non è teoricamente gravato dagli effetti<br />

collaterali propri <strong>di</strong> farmaci come il cortisone, anche se esiste il


5. La malattia celiaca<br />

rischio che una soppressione prolungata dell’attività del TNF-α<br />

possa associarsi ad un’aumentata suscettibilità alle infezioni.<br />

Le strategie finora stu<strong>di</strong>ate al fine <strong>di</strong> inibire il TNF-α<br />

comprendono l’infusione endovenosa <strong>di</strong> anticorpi monoclonali<br />

contro questa citochina 92 , l’uso del recettore solubile per il<br />

TNF-α coniugato con il frammento Fc <strong>di</strong> immunoglobuline <strong>di</strong><br />

classe IgG e la somministrazione <strong>di</strong> farmaci che <strong>di</strong>minuiscono<br />

l’emivita dell’RNA messaggero del TNF-α (la talidomide<br />

sembrerebbe agire in parte con questo meccanismo).<br />

Sulla base dei trials effettuati, l’inibizione del TNF-α si è<br />

rivelata essere una terapia fondamentale nelle fasi critiche<br />

delle malattie infiammatorie croniche (M. <strong>di</strong> Crohn, Artrite<br />

Reumatoide), ottenendo un’azione antinfiammatoria molto<br />

marcata, a spese <strong>di</strong> effetti collaterali contenuti.<br />

Effetti del TNF-α<br />

Basse concentrazioni<br />

induce molecole <strong>di</strong> adesione endoteliali, attiva leucociti<br />

infiammatori ad uccidere i microbi<br />

stimola la produzione <strong>di</strong> citochine pro-flogogene (IL-1, IL-6, TNF),<br />

potenzia la <strong>di</strong>fesa contro infezioni virali<br />

Concentrazioni sistemiche (ad esempio nella sepsi)<br />

azione pirogena ipotalamica, risposta fase acuta, attivazione del<br />

sistema <strong>di</strong> coagulazione<br />

inibisce la replicazione midollare, inappetenza<br />

Quantità massicce (ad esempio nello shock settico)<br />

depressione della contrattilià miocar<strong>di</strong>ca, <strong>di</strong>minuito tono della<br />

muscolatura vasale<br />

coagulazione <strong>di</strong>sseminata, ipoglicemia<br />

126


127<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Gli anticorpi anti-TNF sono oggi entrati a far parte<br />

dell’armamentario terapeutico della malattia <strong>di</strong> Crohn, grazie<br />

alla loro elevata potenza e alla loro relativa selettività.<br />

E’ bene tuttavia non concedersi troppo alla facile equivalenza<br />

tra selettività e sicurezza: per quanto meglio tollerate dei<br />

cortisonici, le nuove terapie biologiche non sono scevre da<br />

effetti collaterali. La loro elevata potenza e la lunga durata<br />

d’azione possono produrre una potente soppressione <strong>di</strong> alcuni<br />

meccanismi <strong>di</strong> risposta antimicrobica con elevato rischio <strong>di</strong><br />

sviluppare infezioni gravi da alcuni patogeni, come ad esempio<br />

il micobatterio tubercolare. Inoltre, anche questi farmaci<br />

sembrano al pari del cortisone, avere un effetto<br />

prevalentemente sintomatico, senza influenzare in modo<br />

chiaro l’evoluzione della malattia. In conclusione, questi<br />

farmaci rappresentano un indubbio passo avanti nella terapia<br />

della malattia <strong>di</strong> Crohn, ma solo una maggiore conoscenza<br />

patogenetica della malattia potrà permettere <strong>di</strong> trovare il<br />

giusto ruolo <strong>di</strong> questi farmaci, all’interno <strong>di</strong> terapie sequenziali<br />

o combinate che uniscano il trattamento del sintomo<br />

infiammatorio e le cause immuni ed ambientali che ne sono<br />

alla base.<br />

A questo proposito vengono messi a punto numerosi modelli<br />

murini della malattia, ma come si vedrà in seguito, pochi <strong>di</strong><br />

questi si riveleranno in grado <strong>di</strong> dare informazioni utili a<br />

comprendere meglio la malattia umana.


5. La malattia celiaca<br />

Nella tabella 6.2, i modelli murini <strong>di</strong> malattia infiammatoria<br />

dell’intestino sono sud<strong>di</strong>visi in quattro gruppi, a seconda <strong>di</strong><br />

quale sia stato il <strong>di</strong>fetto indotto. Va detto che nella<br />

maggioranza dei casi quello che si ottiene è un’infiammazione<br />

intestinale aspecifica che non riproduce necessariamente la<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn né la retto-colite ulcerativa umane.<br />

Il primo gruppo, comprende alcuni ceppi murini che<br />

sviluppano spontaneamente infiammazione. Gli altri tre gruppi<br />

comprendono i modelli indotti: per mezzo <strong>di</strong> agenti lesivi per<br />

la mucosa; per mezzo dell’induzione <strong>di</strong> svariati <strong>di</strong>fetti<br />

immunologici; per trasferimento <strong>di</strong> particolari sottogruppi <strong>di</strong><br />

linfociti in topi con immunodeficienza. Anche se non<br />

riproducono esattamente la malattia <strong>di</strong> Crohn, questi esempi<br />

possono testimoniare la facilità con cui vari <strong>di</strong>sturbi<br />

dell’immunità si ripercuotono sull’omeostasi intestinale.<br />

D’altra parte, è nozione comune che molte immunodeficienze<br />

primitive possano associarsi a vari livelli <strong>di</strong> infiammazione<br />

intestinale. E’ opportuno sottolineare come questi modelli<br />

siano per lo più basati sulla convinzione che il <strong>di</strong>fetto immune<br />

alla base della malattia riguardasse i linfociti della risposta<br />

adattativa, mentre come vedremo, l’identificazione <strong>di</strong> geni<br />

coinvolti nella malattia umana ha recentemente spostato<br />

l’attenzione su <strong>di</strong>fetti a carico dei fagociti e dell’immunità<br />

naturale.<br />

128


129<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Tab. 6.2 Modelli animali <strong>di</strong> malattia infiammatoria dell’intestino 109 .<br />

L’era genetica e della nuova patogenesi.<br />

Il nuovo millennio si apre con l’identificazione del principale<br />

gene associato al rischio <strong>di</strong> malattia <strong>di</strong> Crohn (NOD2) 93,94<br />

promettendo finalmente una migliore comprensione della<br />

patogenesi della malattia. NOD2 (Nucleotide<br />

Oligo<strong>di</strong>merization Domain 2) è una proteina citoplasmatica,<br />

espressa in particolar modo nelle cellule del sistema<br />

fagocitario e coinvolta nel controllo della reazione<br />

infiammatoria.


5. La malattia celiaca<br />

Fig. 6.4 Struttura del gene NOD2 e varianti associate a m. <strong>di</strong> Crohn<br />

NOD2 appartiene ad una famiglia molto vasta <strong>di</strong> proteine<br />

coinvolte nel riconoscimento <strong>di</strong> componenti batteriche<br />

(PAMPs, Pathogen Associated Molecular Patterns) e nella<br />

regolazione della risposta infiammatoria (attivazione <strong>di</strong> NK-kB<br />

e Caspasi-1) oltre che nella regolazione <strong>di</strong> varie modalità <strong>di</strong><br />

maturazione e morte dei fagociti (apoptosi, piroptosi). Questo<br />

sistema è anche descritto come un insieme <strong>di</strong> piattaforme<br />

molecolari (o inflammasomi) che garantisce una fine<br />

regolazione degli eventi suddetti, per mezzo <strong>di</strong> un continuo<br />

riassestamento <strong>di</strong> interazioni, omo- ed etero-<strong>di</strong>merizzazioni,<br />

che permettono <strong>di</strong> trasdurre il segnale producendo la<br />

<strong>di</strong>merizzazione e l’attivazione <strong>di</strong> molecole. Tale meccanismo <strong>di</strong><br />

trasduzione viene anche detto “trasduzione per contiguità o<br />

per prossimità”, ed è comune alla maggior parte delle<br />

molecole degli inflammasomi. Nell’ultimo ventennio, una<br />

grande mole <strong>di</strong> dati sul funzionamento <strong>di</strong> questi sistemi è<br />

130


131<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

derivata dallo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> alcune malattie monogeniche umane:<br />

le cosiddette sindromi autoinfiammatorie. Si tratta <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>zioni dovute a <strong>di</strong>fetti genetici a carico <strong>di</strong> alcune <strong>di</strong> queste<br />

proteine (pirina, nella febbre me<strong>di</strong>terranea familiare;<br />

CIAS1/NALP3 nelle criopirinopatie) e caratterizzate dalla<br />

ricorrenza <strong>di</strong> gravi sintomi infiammatori fin dai primi anni, o<br />

ad<strong>di</strong>rittura giorni <strong>di</strong> vita. L’identificazione <strong>di</strong> NOD2 come<br />

principale gene associato a rischio <strong>di</strong> malattia <strong>di</strong> Crohn ha<br />

quin<strong>di</strong> indotto a seguire l’analogia tra NOD2 e le altre proteine<br />

degli inflammasomi, ritenendo che anche la malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

potesse in qualche misura rientrare tra le sindromi<br />

autoinfiammatorie, dovute ad un eccesso <strong>di</strong> attivazione e/o ad<br />

un <strong>di</strong>fetto del feedback infiammatorio. Tuttavia, già i primi<br />

lavori mostravano un apparente paradosso, che smorzava un<br />

po’ l’illusione <strong>di</strong> svelare la patogenesi della malattia <strong>di</strong> Crohn.<br />

Le varianti <strong>di</strong> NOD2 associate a malattia <strong>di</strong> Crohn, erano state<br />

trasdotte in cellule <strong>di</strong> rene insieme ad un sistema reporter<br />

dell’attività <strong>di</strong> NF-kB: sorprendentemente, lo stimolo con vari<br />

PAMPs (tra cui il muramil <strong>di</strong>peptide o MDP) produceva una<br />

risposta <strong>di</strong> attivazione <strong>di</strong> NF-kB minore e non maggiore<br />

rispetto al NOD2 wild type. In altre parole, in un sistema<br />

cellulare semplificato, il risultato delle varianti associate a<br />

malattia sembrava quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>minuire piuttosto che<br />

aumentare l’attivazione infiammatoria.


5. La malattia celiaca<br />

Il meccanismo con cui le varianti <strong>di</strong> NOD2 conducono ad un<br />

aumentato rischio <strong>di</strong> sviluppare la malattia <strong>di</strong> Crohn deve<br />

quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>pendere da equilibri più complessi, per cui è <strong>di</strong>fficile<br />

considerare la malattia <strong>di</strong> Crohn come una “semplice” malattia<br />

autoinfiammatoria. A completare questo <strong>di</strong>fficile puzzle si<br />

aggiunge la caratterizzazione <strong>di</strong> un’altra malattia legata a<br />

mutazione del gene NOD2: la sindrome <strong>di</strong> Blau, una malattia<br />

granulomatosa con artrite granulomatosa, iridociclite e<br />

granulomi cutanei. In questo caso, le mutazioni (<strong>di</strong>verse da<br />

quelle associate con m. <strong>di</strong> Crohn) portano ad una “gain of<br />

function” della proteina e la malattia può essere più<br />

chiaramente inclusa nel gruppo delle malattie auto-<br />

infiammatorie.<br />

Il <strong>di</strong>fetto dell’immunità naturale: dai<br />

fagociti all’immunità degli epiteli<br />

Abbiamo arbitrariamente de<strong>di</strong>cato quest’era al ruolo<br />

dell’immunità naturalei nella malattia, anche se questa scelta<br />

potrebbe non essere pienamente con<strong>di</strong>visa dalla comunità<br />

scientifica. Sta <strong>di</strong> fatto che numerose evidenze hanno<br />

coerentemente suggerito che un <strong>di</strong>fetto non ben identificato<br />

dell’immunità naturale potesse variamente contribuire alla<br />

patogenesi della malattia <strong>di</strong> Crohn. In altre parole, nonostante<br />

il probabile ruolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi geni e <strong>di</strong>versi fattori ambientali,<br />

132


133<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

potrebbe essere possibile identificare nella malattia alcuni<br />

aspetti funzionali con<strong>di</strong>visi dalla maggior parte dei casi. A ben<br />

pensare, a suggerire questa idea, stava già da tempo la<br />

specificità della lesione istologica granulomatosa con tendenza<br />

alla formazione <strong>di</strong> fistole e all’elevata produzione <strong>di</strong> TNF-α.<br />

Nell’ultimo decennio, <strong>di</strong>versi or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> evidenze hanno<br />

permesso <strong>di</strong> formulare nuove ipotesi riguardo alla patogenesi<br />

dell’infiammazione tipica della malattia.<br />

• Alcuni dei principali geni <strong>di</strong> rischio della malattia (a<br />

cominciare da NOD2) hanno un ruolo nella risposta<br />

immune naturale dell’epitelio e/o nella corretta funzione<br />

dei fagociti (ve<strong>di</strong> <strong>di</strong> seguito).<br />

• Tentativi terapeutici basati sullo stimolo dei fagociti per<br />

mezzo del fattore <strong>di</strong> crescita dei granulociti e dei monociti<br />

(GM-CSF) hanno portato a qualche miglioramento in alcuni<br />

gruppi <strong>di</strong> pazienti con malattia <strong>di</strong> Crohn 95-97 .<br />

• Alcuni <strong>di</strong>fetti congeniti dei fagociti (classificati come<br />

immunodeficienze primitive) possono esprimersi con<br />

un’infiammazione intestinale in buona parte<br />

sovrapponibile a quella tipica della malattia <strong>di</strong> Crohn (ve<strong>di</strong><br />

scheda).<br />

• E’ stato <strong>di</strong>mostrato che monociti ottenuti da soggetti con<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn hanno un <strong>di</strong>fetto (e non un eccesso)<br />

nella produzione <strong>di</strong> alcune citochine (tra cui l’IL-8) e hanno


5. La malattia celiaca<br />

un relativo <strong>di</strong>fetto a rimuovere batteri non patogeni<br />

aggiunti in elevata carica 98,99 .<br />

• Topi knock out per NOD2 sviluppano un’infiammazione<br />

granulomatosa dopo colonizzazione con H.hepaticus. Il<br />

trapianto <strong>di</strong> cellule staminali non è sufficiente a<br />

proteggere dall’infiammazione, suggerendo che<br />

l’espressione del <strong>di</strong>fetto nell’epitelio intestinale sia<br />

sufficiente a pre<strong>di</strong>sporre alla malattia. Al contrario,<br />

l’espressione forzata <strong>di</strong> α-defensina nelle cellule<br />

dell’epitelio intestinale è in grado <strong>di</strong> prevenire lo sviluppo<br />

della malattia infiammatoria 110 .<br />

• Tra i <strong>di</strong>fetti immuni associati ad infiammazione simil-<br />

Crohn, è particolarmente interessante citare la <strong>di</strong>splasia<br />

ectodermica anidrotica con immunodeficienza, dovuta al<br />

<strong>di</strong>fetto del gene IKK-gamma, co<strong>di</strong>ficante la proteina<br />

NEMO. Anche in questo caso, come per NOD2, il <strong>di</strong>fetto<br />

interessa l’attivazione <strong>di</strong> NF-KB ed è espresso sia nel<br />

sistema immune che nell’epitelio. I pazienti affetti da<br />

questa malattia possono sviluppare una colite<br />

infiammatoria. Questo rischio non <strong>di</strong>minuisce in seguito a<br />

trapianto <strong>di</strong> cellule staminali ematopoietiche,<br />

sottolineando anche in questo caso il ruolo patogenetico<br />

del <strong>di</strong>fetto epiteliale 111 .<br />

134


135<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Immunodeficienze associate a infiammazione<br />

Crohn-like<br />

La presenza <strong>di</strong> infiammazione intestinale con le caratteristiche della<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn è descritta da molti anni in alcune<br />

immunodeficienze primitive. Nella malattia granulomatosa cronica<br />

(CGD) l’infiammazione intestinale può presentarsi anche in assenza<br />

<strong>di</strong> sintomi infettivi 112-118 . Le caratteristiche dell’infiammazione<br />

intestinale nella CGD sono <strong>di</strong> fatto in<strong>di</strong>stinguibili rispetto a quelle<br />

della malattia <strong>di</strong> Crohn 112 . Una malattia <strong>di</strong> Crohn si può sviluppare<br />

anche in soggetti con vari <strong>di</strong>sturbi dei neutrofili, tra cui la<br />

glicogenosi <strong>di</strong> tipo 1b 119 , la neutropenia ciclica 120 , il <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong><br />

adesione dei neutrofili 121 , la neutropenia cronica e<br />

autoimmune 122,123 . Alcuni <strong>di</strong> questi pazienti hanno mostrato una<br />

buona risposta al trattamento con GM-CSF 124-127 , che come<br />

abbiamo visto è un trattamento che ha dato qualche beneficio<br />

anche in pazienti con malattia <strong>di</strong> Crohn senza un evidente <strong>di</strong>fetto<br />

dei fagociti 95-97,128 . Una colite infiammatoria simile alla malattia <strong>di</strong><br />

Crohn può essere presente anche in soggetti con sindrome <strong>di</strong><br />

Wiskott Aldrich, possibilmente correlata ad un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong><br />

produzione <strong>di</strong> IL-10 129 .<br />

Prese nell’insieme, queste evidenze suggeriscono che la<br />

malattia <strong>di</strong> Crohn possa svilupparsi sul substrato <strong>di</strong> una più o<br />

meno grave immunodeficienza dell’immunità naturale <strong>di</strong><br />

parete e/o dei fagociti. Quanto più grave è il <strong>di</strong>fetto, tanto più


5. La malattia celiaca<br />

la malattia avrà un esor<strong>di</strong>o precoce e si assocerà ad un elevato<br />

rischio infettivo. Tanto più sottile è il <strong>di</strong>fetto, tanto più invece<br />

saranno necessari altri fattori genetici e/o ambientali e la<br />

malattia tenderà <strong>di</strong> conseguenza ad avere un esor<strong>di</strong>o più<br />

tar<strong>di</strong>vo. Questa idea è rappresentata nella fig. 5.6. Diverse<br />

anomalie genetiche conducono a conseguenze funzionali<br />

simili, con sviluppo d’infiammazione cronica granulomatosa<br />

130<br />

.<br />

Fig. 5.6 L’universo dei <strong>di</strong>fetti dell’immunità naturale nella patogenesi della<br />

m. <strong>di</strong> Crohn.<br />

Quanto più vicina è l’orbita al granuloma, tanto maggiore sarà<br />

il ruolo della genetica e la precocità <strong>di</strong> esor<strong>di</strong>o. La maggior<br />

parte dei casi <strong>di</strong> malattia <strong>di</strong> Crohn è associata ad anomalie<br />

periferiche <strong>di</strong> quest’universo. Tuttavia, i casi più precoci e a<br />

maggior componente genetica possono offrire un prototipo<br />

semplificato per comprendere la patogenesi della malattia.<br />

136


137<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Se questo è vero, è possibile provare a rileggere il meccanismo<br />

<strong>di</strong> funzionamento <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi farmaci nella malattia (tab. 6.3) e<br />

pensare a nuovi trattamenti che prendano in considerazione<br />

sia la necessità <strong>di</strong> bloccare l’infiammazione che quella <strong>di</strong><br />

compensare un possibile <strong>di</strong>fetto immune sottostante o una<br />

<strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> parete.<br />

Tab. 6.3 L’azione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi farmaci riletta sulla base delle ipotesi<br />

patogenetiche.<br />

L’era delle interazioni: ambiente,<br />

mucosa e immunità.<br />

Questa è l’era attuale. Le informazioni <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>sponiamo ci<br />

permettono <strong>di</strong> tentare una lettura funzionale complessiva<br />

partendo dai dati genetici e ambientali <strong>di</strong>sponibili.<br />

Nella maggior parte dei casi, è verosimile che la malattia si<br />

sviluppi solo in presenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse con<strong>di</strong>zioni: un<br />

cambiamento della flora batterica intestinale; una


5. La malattia celiaca<br />

<strong>di</strong>minuzione della capacità <strong>di</strong> barriera fisica e immunologica<br />

della parete intestinale (teoria del “leaky gut” 131 );<br />

un’anomalia del funzionamento dei sistema fagocitico, con<br />

relativa incapacità <strong>di</strong> eliminare elevate cariche batteriche. E’<br />

ragionevole pensare che <strong>di</strong>fetti più gravi <strong>di</strong> una <strong>di</strong> queste<br />

componenti possano condurre a sviluppare la malattia anche<br />

in assenza <strong>di</strong> altri fattori, come accadrebbe ad esempio in<br />

forme ad esor<strong>di</strong>o precoce legate a gravi <strong>di</strong>fetti dei fagociti.<br />

Una teoria che cerca <strong>di</strong> mettere insieme tutti questi fattori è<br />

stata recentemente proposta da Segal e collaboratori 101 . La<br />

malattia si svilupperebbe quando tre <strong>di</strong>verse con<strong>di</strong>zioni si<br />

verificano, ciascuna variamente influenzata da fattori genetici<br />

e ambientali: aumentata carica batterica; <strong>di</strong>fettosa risposta da<br />

parte dell’immunità naturale con insufficiente clearance<br />

batterica; attivazione del sistema adattativo con tentativo <strong>di</strong><br />

compenso e mantenimento <strong>di</strong> una risposta cronica<br />

granulomatosa (fig. 6.6).<br />

138


139<br />

6. La malattia <strong>di</strong> Crohn<br />

Fig 6.6 Un’ipotesi patogenetica a tre sta<strong>di</strong> per la malattia <strong>di</strong> Crohn, da<br />

Segal et al. 101


8. Bibliografia<br />

7. Abbreviazioni e glossario<br />

ACTH: Adreno Cortico Tropic Hormone. Ormone<br />

adrenocorticotropo. Prodotto dall’ipofisi, stimola la produzione <strong>di</strong><br />

ormoni steroidei nella corticale del surrene.<br />

AGA: anticorpi anti glutine<br />

Allergeni: antigeni coinvolti in risposte allergiche.<br />

Angioedema: improvviso passaggio <strong>di</strong> liqui<strong>di</strong> nell’interstizio<br />

(sottocute, sottomucose) per rilascio <strong>di</strong> sostanze attive sulla<br />

permeabilità vasale. A livello della glottide, può provocare <strong>di</strong>fficoltà<br />

respiratoria, asfissia e morte.<br />

Apoptosi: morte cellulare programmata con basso rilascio <strong>di</strong><br />

antigeni e molecole infiammatorie nell’ambiente. Utilizzata per<br />

rimuovere cellule danneggiate o cellule che hanno compiuto la<br />

propria funzione.<br />

Autofagia: meccanismo utilizzato per la rimozione <strong>di</strong> proteine<br />

degradate, organelli danneggiati e/o componenti estranei dal<br />

citoplasma. In pratica, si forma una membrana in grado <strong>di</strong> avvolgere<br />

una data porzione del citoplasma, formando una vescicola più o<br />

meno grande, che successivamente si fonderà con un lisosoma per<br />

permetterne la degradazione del contenuto.<br />

BCG: Bacillo <strong>di</strong> Calmette Guérin. Preparato ottenuto da un ceppo<br />

attenuato <strong>di</strong> Micobatterio tubercolare.<br />

DGP: deamidated glia<strong>di</strong>n peptide. Anticorpi contro pepti<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

glia<strong>di</strong>na deaminati dall’azione della transglutaminasi tessutale. Il<br />

test ELISA per la misura <strong>di</strong> questi anticorpi ha mostrato risultati<br />

migliori rispetto al test allestito con la glia<strong>di</strong>na in forma nativa.<br />

DMT1: <strong>di</strong>abete mellito <strong>di</strong> tipo 1. E’ il <strong>di</strong>abete autoimmune, tipico<br />

dell’età giovanile e non correlato al sovrappeso.<br />

EGF: epidermal growth factor. Fattore <strong>di</strong> crescita dell’epidermide.<br />

140


EMA: anticorpi anti-endomisio.<br />

141<br />

7. Abbreviazioni e glossario<br />

GM-CSF: Granulocyte Monocyte Colony Stimulating Factor. Fattore<br />

<strong>di</strong> crescita dei granulociti e monociti<br />

HLA: human leukocyte antigens. Antigeni del sistema <strong>di</strong><br />

istocompatibilità presenti sui globuli bianchi umani.<br />

IBD: malattia infiammatoria cronica dell’intestino<br />

Ig: Immunoglobulina<br />

Istamina: sostanza contenuta nelle granulazione dei mastociti e<br />

rilasciata in seguito all’attivazione <strong>di</strong> queste cellule (<strong>di</strong> solito per<br />

legame <strong>di</strong> un allergene alle IgE specifiche adese sulla membrana).<br />

L’istamina aumenta la permeabilità vasale e stimola la sensazione<br />

del prurito. E’ responsabile delle caratteristiche lesioni del pomfo e<br />

dell’orticaria.<br />

Inflammasoma: piattaforma molecolare che comprende <strong>di</strong>verse<br />

proteine caratterizzate da tipici domini funzionali. In seguito ad<br />

attivazione da parte <strong>di</strong> un ligando (in genere un PAMP), queste<br />

proteine innescano una catena <strong>di</strong> omo- e oligo-<strong>di</strong>merizzazioni,<br />

inducendo prossimità tra domini funzionali (ad esempio CARD o<br />

PYD) in grado <strong>di</strong> attivare <strong>di</strong>versi meccanismi effettori (caspasi e/o<br />

fattori <strong>di</strong> trascrizione).<br />

IGF-1: Insulin –like Growth Factor 1. Anche chiamato Somatome<strong>di</strong>na<br />

C. Ormone indotto dall’ormone della crescita, <strong>di</strong> cui me<strong>di</strong>a parte<br />

dell’attività <strong>di</strong> stimolo alla crescita cellulare.<br />

IPEX: Immuno<strong>di</strong>sregolazione, Poliendocrinopatia, Enteropatia legata<br />

al cromosoma X. E’ un <strong>di</strong>fetto congenito dei meccanismi della<br />

tolleranza immune. In questa malattia, le cellule T regolatorie non<br />

svolgono correttamente la loro funzione a causa <strong>di</strong> mutazioni nel<br />

gene Foxp3.<br />

LPS: lipopolisaccaride batterico. E’ un complesso macromolecolare<br />

in grado <strong>di</strong> stimolare le cellule dell’immunità naturale attraverso i<br />

toll like receptors.


8. Bibliografia<br />

MALT: sistema immune associato alle mucose. Comprende linfociti<br />

intra-mucosali, noduli linfatici solitari e formazioni organizzate come<br />

le placche del Peyer, le tonsille e le adenoi<strong>di</strong>.<br />

MBT: micobatterio tubercolare<br />

MDP: muramil <strong>di</strong>-peptide. Componente della parete batterica in<br />

grado <strong>di</strong> stimolare toll-like receptors umani. Appartiene al gruppo<br />

dei cosiddetti PAMPs.<br />

NF-kB: Fattore Nucleare kB. E’ un fattore <strong>di</strong> trascrizione<br />

fondamentale in numerose funzioni leucocitarie tra cui la<br />

proliferazione e la produzione <strong>di</strong> citochine infiammatorie.<br />

NOD2: Nucleotide-bin<strong>di</strong>ng oligo<strong>di</strong>merization domain 2. E’ una<br />

proteina (nota anche come CARD15) le cui mutazioni costituiscono il<br />

più comune fattore genetico <strong>di</strong> rischio per la malattia <strong>di</strong> Crohn nella<br />

popolazione caucasica.<br />

PAMPs: profili molecolari associati ai patogeni. Si tratta <strong>di</strong> marcatori<br />

generici del mondo procariotico, con<strong>di</strong>visi tra più microrganismi, e<br />

riconosciuti dal sistema dell’immunità naturale per mezzo dei toll<br />

like receptors.<br />

PIDs: immunodeficienze primitive. Difetti congeniti (geneticamente<br />

determinati) del funzionamento <strong>di</strong> una o più componenti del<br />

sistema immune. Possono accompagnarsi ad un’anomala<br />

suscettibilità a infezioni gravi, malattie autoimmuni e infiammatorie,<br />

tumori.<br />

Piroptosi: morte cellulare programmata, senza contrazione<br />

citoplasmatica e con rilascio <strong>di</strong> varie molecole pro-infiammatorie.<br />

Questo meccanismo potrebbe essere attivato quando la cellula non<br />

può andare in apoptosi in modo sicuro ad esempio per incapacità <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>struggere microrganismi fagocitati, e occorre garantire un<br />

potenziamento della risposta immune.<br />

142


143<br />

7. Abbreviazioni e glossario<br />

Placche del Peyer: aggregati linfoi<strong>di</strong> mucosali strutturati,<br />

comunicanti con il lume intestinale per mezzo <strong>di</strong> cellule specializzate<br />

(M cells).<br />

Pomfo: lesione elementare cutanea, caratterizzata da rilievo<br />

cutaneo rotondeggiante e liscio, dovuto a trasudazione <strong>di</strong> liquido<br />

nel derma per effetto dell’istamina sulla permeabilità vasale. Nei<br />

casi più gravi, è circondato da un alone eritematoso (dovuto a<br />

maggior afflusso <strong>di</strong> sangue) e può assumere forma irregolare con<br />

estroflessioni (pseudopo<strong>di</strong>).<br />

RAST: ra<strong>di</strong>o-allergo sorbent test. Test ra<strong>di</strong>oimmunologico per la<br />

misura delle IgE specifiche contro allergeni.<br />

Reagine: IgE specifiche contro allergeni e in grado <strong>di</strong> scatenare<br />

risposte allergiche imme<strong>di</strong>ate con degranulazione <strong>di</strong> mastociti e<br />

rilascio <strong>di</strong> istamina.<br />

TCR: recettore dei linfociti T.<br />

TGA: anticorpi anti-transglutaminasi.<br />

TLR: toll like receptors. Recettori <strong>di</strong> membrana o citoplasmatici in<br />

grado <strong>di</strong> attivarsi in seguito al legame con alcuni componenti<br />

molecolari con<strong>di</strong>visi tra <strong>di</strong>versi microbi (o PAMPs).<br />

Treg: linfociti T regolatori. Caratterizzati dall’espressione<br />

dell’antigene CD4 insieme ad elevati livelli <strong>di</strong> CD25 e FOXP3 (ma<br />

bassi livelli <strong>di</strong> CD127), sono i principali responsabili del<br />

mantenimento della tolleranza immune periferica.<br />

tTG: transglutaminasi tessutale. E’ il più specifico auto antigene<br />

della celiachia.


8. Bibliografia<br />

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