29.05.2013 Views

compositi plastici - dmfci

compositi plastici - dmfci

compositi plastici - dmfci

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

INTRODUZIONE 4<br />

COMPOSITI PLASTICI 7<br />

COMPOSITI A MATRICE POLIMERICA 11<br />

POLIMERI:GENERALITA’ 14<br />

COMPOSITI PARTICELLARI 17<br />

METODI DI FABBRICAZIONE PARTICELLARI 22<br />

CARBONATO DI CALCIO 24<br />

TALCO 27<br />

MICA 28<br />

CARICHE DI FORMA SFERICA 30<br />

SILICE 33<br />

CARICHE METALLICHE 34<br />

CARICHE NATURALI DI NATURA ORGANICA 36<br />

PROPRIETA’ MECCANICHE E TERMICHE<br />

DEI COMPOSITI PARTICELLARI 38<br />

COMPOSITI CON FIBRE 45<br />

GENERALITA’ 45<br />

FIBRE DI CARBONIO 48<br />

FIBRE ARAMMIDICHE 56<br />

FIBRE CERAMICHE 58<br />

FIBRE DI BORO 59<br />

FIBRE DI VETRO 59<br />

COMPOSITI A FIBRE CORTE 61<br />

PROPRIETA’ MECCANICHE 61<br />

COMPOSITI FIBRE LUNGHE 72<br />

MACROMECCANICA DELLA LAMINA 76<br />

1


MICROMECCANICA DELLA LAMINA 86<br />

CARICHI DI ROTTURA 90<br />

MACROMECCANICA DEL LAMINATO 92<br />

IDENTIFICAZIONE SUCCESSIONE<br />

LAMINE NEL LAMINATO 98<br />

PROGETTAZIONE 101<br />

IL CEDIMENTO STRUTTURALE DEI COMPOSITI 110<br />

TECNOLOGIE DI FABBRICAZIONE 117<br />

LAVORAZIONE A MANO-LAMINAZIONE<br />

(HAND LAY-UP E SPRAY-UP) 118<br />

STAMPAGGIO SOTTO VUOTO O A PRESSIONE 119<br />

AVVOLGIMENTO-FILAMENT WINDING 120<br />

PRODUZIONE CONTINUA (PULTRUSIONE) 123<br />

STAMPAGGIO PER TRASFERIMENTO 124<br />

FABBRICAZIONE DI COMPOSITI A FIBRE CORTE 126<br />

APPLICAZIONI 128<br />

CAMPO AEROSPAZIALE 128<br />

TELAIO DI UNA VETTURA SPORTIVA<br />

IN MATERIALE COMPOSITO 133<br />

FRENI A DISCO 137<br />

VETRORESINA IN CAMPO NAUTICO 150<br />

STRUTTURE A NIDO D'APE 155<br />

2


INTRODUZIONE<br />

Con il termine “composito” in generale si intende un materiale ottenuto<br />

combinando due o più componenti in modo che il prodotto finale abbia proprietà<br />

diverse da quelle dei singoli costituenti. I <strong>compositi</strong> sono generalmente costituiti da<br />

almeno due componenti, chiamati anche fasi, combinati in varie proporzioni e forme:<br />

una delle fasi, la matrice, è in forma continua, e ha per lo più lo scopo di assicurare<br />

una certa forma al pezzo nonché quello di proteggere e trasmettere in modo uniforme<br />

il carico alla fase di rinforzo. L’altra, o le altre fasi, è rappresentata da un<br />

componente discontinuo: trattasi del rinforzo, carica o filler dir si voglia.<br />

L’idea di base dei <strong>compositi</strong> è quella di ottimizzare, in termini di caratteristiche<br />

meccaniche e leggerezza, le prestazioni dei materiali cosiddetti convenzionali.<br />

Combinando, infatti, un materiale con una certa proprietà (p.e. un polimero), con un<br />

altro di proprietà differenti (p.e. fibre di vetro), è possibile ottenere un materiale,<br />

composto dai due, che ne esalti le caratteristiche migliori. I materiali <strong>compositi</strong><br />

risultano particolarmente interessanti in quanto offrono particolari combinazioni di<br />

diverse proprietà che non possono essere contemporaneamente presenti nei materiali<br />

tradizionali come le leghe metalliche, i ceramici ed i polimeri. Un materiale<br />

composito è infatti un materiale multifase creato artificialmente e diverso da quelli<br />

che si trovano in natura: in base al principio delle azioni combinate, l’ottimizzazione<br />

di una proprietà viene ottenuta mediante l’attenta e studiata combinazione di due o<br />

più materiali differenti a costo anche di peggiorarne alcune altre. La figura<br />

sottostante mostra il Principio delle Azioni combinate per la resistenza meccanica.<br />

4


Materiali <strong>compositi</strong> complessi sono largamente presenti in natura: nel legno delle<br />

piante un polimero di natura fibrosa, la cellulosa è tenuta assieme da sostanze<br />

cementanti, come la lignina; nelle ossa degli animali il tessuto connettivo contiene<br />

particelle di idrossiapatite.<br />

L’utilizzo dei <strong>compositi</strong> come materiali da costruzione ha origini antichissime: già<br />

nell’antico Egitto era usanza preparare i mattoni partendo da una miscela di fango<br />

rinforzato con paglia ed essiccato al sole!<br />

La più importante caratteristica dei materiali <strong>compositi</strong> è che possono essere<br />

progettati e preparati partendo da opportuni componenti in modo tale da ottenere le<br />

proprietà finali desiderate. Quindi il concetto della progettazione è di fondamentale<br />

importanza: a differenza di quanto avviene per altri materiali, nei quali la struttura<br />

viene preparata dopo averne progettato la forma e calcolate le dimensioni, note le<br />

proprietà del materiale costituente, nel caso di materiali <strong>compositi</strong> la struttura può<br />

essere realizzata contemporaneamente al materiale che la costituisce, e il materiale<br />

progettato e fabbricato con le proprietà desiderate in funzione delle proprietà che si<br />

vogliono attribuire alla struttura. La progettabilità costituisce senz’altro la<br />

5


caratteristica più "stimolante" di un materiale composito, unico tipo di materiale che<br />

può essere prodotto nella forma definitiva e con le proprietà volute mentre viene<br />

prodotto.<br />

Esistono diversi tipi di materiali <strong>compositi</strong>, classificabili a seconda dei materiali<br />

costituenti: in particolar modo in base al tipo di materiale di cui è costituita, la<br />

matrice assegna il nome ai vari tipi di <strong>compositi</strong>; avremo così <strong>compositi</strong> organici,<br />

metallici o ceramici a seconda che la matrice sia di materiale organico, metallico o<br />

ceramico. Tale distinzione, ancor prima che per motivi costruttivi o meccanici, si<br />

rende tanto più utile quanto più si risentono gli effetti della temperatura di esercizio.<br />

La matrice, infatti, deve poter rimanere allo stato solido e non viscoso per poter<br />

assicurare una certa tenuta tra le fibre di rinforzo. A tal proposito si può fare<br />

riferimento al seguente schema:<br />

Temperatura di esercizio max<br />

MATRICE ORGANICA 1000 °C<br />

I rinforzi, atti ad assorbire la maggior parte delle sollecitazioni meccaniche,<br />

possono a loro volta essere di varia natura e forma:<br />

o rinforzi fibrosi di diametro – 7-8 μm lunghezza qualche cm;<br />

o rinforzi particellari di diametro di qualche μm e lunghezza fino a 30-40<br />

mm;<br />

o rinforzi whiskers di diametro - 10 μm lunghezza - 10-50 mm.<br />

I rinforzi possono essere inoltre di diversa natura: metallica, vetrosa, ceramica,<br />

organica ecc. Una classificazione sommaria è la seguente:<br />

6


COMPOSITI PLASTICI<br />

I <strong>compositi</strong> <strong>plastici</strong> ricoprono una vasta gamma di accoppiamenti fibra-matrice.<br />

Essi sono il materiale più noto per merito della vetro-resina, il primo tipo ad essere<br />

prodotto, costituita da fibre di vetro inserite in una matrice termoindurente (come la<br />

poliestere e la epossidica) o in una matrice termoplastica.<br />

Le vetro-resine ricoprono una vasta gamma di applicazioni ma è doveroso dire che<br />

finora il loro uso raramente ha comportato, nella sostituzione di elementi strutturali<br />

meccanici, l'impiego di tecniche di progettazione sofisticate e tali da sfruttare al<br />

meglio le possibilità offerte dal materiale. Oggi assistiamo, è vero, allo sviluppo delle<br />

suddette tecniche progettuali ma non si può negare che il loro impulso è stato dato<br />

dalla necessità di ben utilizzare i nuovi tipi di fibre artificiali disponibili a costi<br />

interessanti. Sia le fibre policristalline (carbonio e boro) sia quelle perfettamente<br />

monocristalline (whiskers) raggiungono valori del modulo di Young e della resistenza<br />

a trazione che possono superare di gran lunga i relativi valori dei materiali usuali.<br />

Mentre l'uso dì whiskers (fibre corte discontinue come Al203, WC, SiC) comporta<br />

al momento notevoli difficoltà tecnologiche, le fibre di carbonio e boro hanno ormai<br />

superato la fase di sperimentazione e sono in uso per un crescente numero di<br />

7


applicazioni industriali. Tutte le fibre fin qui accennate con l'aggiunta di quelle metal-<br />

liche di berillio e di acciaio rientrano nella famiglia dei materiali inorganici (tab. I).<br />

Esistono anche le fibre organiche polimeriche di recente realizzazione la cui<br />

buona resistenza al calore e all’ossidazione raggiunge i circa 300°C. Il materiale<br />

poliammidico (Nomex) è già stato impiegato per fibre in alcune strutture<br />

“honeycomb” cioè strutture a sandwich, a strati; oggi la ricerca tende a valorizzare<br />

tali materiali.<br />

Più in dettaglio, osservando e commentando lo schema, possiamo dire che la<br />

matrice può essere costituita da:<br />

o una materia plastica (termo<strong>plastici</strong> come il nylon e l'ABS o termoindurenti<br />

come le resine epossidiche, le resine poliestere);<br />

o un metallo (generalmente alluminio, o titanio e loro leghe, più raramente<br />

magnesio o altri);<br />

o un materiale ceramico, generalmente carburo di silicio o allumina.<br />

All’interno della matrice è dispersa (in varie modalità) una fase discontinua<br />

(generalmente fibrosa, ma a volte anche particellare), detta rinforzo o carica, ed ha in<br />

genere il compito di assicurare rigidezza e resistenza meccanica, assumendo su di sé<br />

la maggior parte del carico esterno applicato al materiale. A questo scopo<br />

fondamentale è la cura dell'adesione interfacciale tra fibre e matrice. Le fibre più<br />

usate sono la fibra di vetro, la fibra di carbonio e le fibre aramidiche, come il kevlar, e<br />

il Nomex, anche se ne esistono numerose di altri tipi, tra cui anche ceramiche.<br />

Nella grande maggioranza dei casi le matrici sono polimeriche perché<br />

garantiscono bassa densità (e quindi leggerezza del materiale finale): hanno però il<br />

difetto di calare drasticamente le performances al salire della temperatura. I campi di<br />

interesse sono i più disparati: nella tabella seguente vengono elencati esempi<br />

corrispondenti a diversi settori industriali oggi maggiormente importanti.<br />

8


SETTORE<br />

INDUSTRIALE<br />

AERONAUTICO-<br />

AEROSPAZIALE<br />

ESEMPI<br />

parti di ali e code, fusoliere, antenne, pale di<br />

elicottero, carrelli di atterraggio, sedili, pavimenti,<br />

pannelli interni, serbatoi, involucri esterni e coni<br />

terminali di razzi e missili, tubi di lancio<br />

AUTOMOBILISTICO parti di carrozzeria, cabine per camion, spoilers,<br />

quadri comandi, pannelli porta-strumenti,<br />

alloggiamenti per luci, paraurti, molle per<br />

sospensioni, organi di trasmissione, ingranaggi,<br />

cuscinetti<br />

NAVALE - MARINO scafi, ponti, alberi, vele e relative stecche,<br />

profili strutturali, sagole di salvataggio, boe<br />

d'ancora, protezioni per motori, pannelli interni<br />

CHIMICO tubazioni, serbatoi, recipienti in pressione,<br />

tramogge, valvole, pompe, ventole e giranti, grate<br />

per pavimenti<br />

EDILE passerelle e ponti per traffico leggero, condotte<br />

sotterranee, recinzioni, profilati strutturali,<br />

zoccolini corrimano, ringhiere, grondaie, profili per<br />

finestre, elementi di rinforzo per il recupero<br />

edilizio<br />

ELETTRICO basette per circuiti stampati, pannelli,<br />

alloggiamenti, interruttori, isolatori, connettori,<br />

condotte porta cavi, scale isolate, corde, tralicci,<br />

9


Nella presente trattazione ci soffermeremo a disquisire maggiormente circa i<br />

materiali <strong>compositi</strong> a matrice polimerica facendo solo qualche cenno ai <strong>compositi</strong> a<br />

matrice metallica e ceramica.<br />

componenti per motori e trasformatori, utensili<br />

isolati<br />

AGRICOLO strutture per silos e serre, palificazioni per<br />

SPORT E TEMPO<br />

LIBERO<br />

piantagioni, recintazioni, archetti per tunnels, scale,<br />

botti per alimenti<br />

mazze da golf, racchette da tennis, elmetti<br />

protettivi, sci, tavole da surf e snow-board, archi e<br />

frecce, biciclette, canne da pesca, canoe, piscine,<br />

componenti per caravans e roulotte<br />

10


COMPOSITI A MATRICE POLIMERICA<br />

Il primo composito a matrice polimerica risale al 1908 ed era formato da resine<br />

fenoliche e fibre di cellulosa che, oltre all’azione rinforzante, avevano lo scopo di<br />

ridurre lo sviluppo di prodotti gassosi in fase di stampaggio a caldo. Da allora i<br />

materiali <strong>compositi</strong> hanno raggiunto lo status di commodity negli anni ’40 con le<br />

fibre di vetro in poliesteri insaturi. La tabella seguente mostra una ordinata cronologia<br />

dello sviluppo dei materiali <strong>compositi</strong> polimerici.<br />

Anno Materiale<br />

1909 Compositi con matrice fenolo-formaldeide<br />

1928 Compositi con matrice urea-formaldeide<br />

1938 Compositi con matrice melamminica<br />

1942 Compositi con fibra di vetroresina poliestere insatura<br />

1946 Compositi a matrice epossidica<br />

1946 Compositi nylon-vetro<br />

1956 Compositi fenolica-asbesto<br />

1964 Compositi con fibre di carbonio<br />

1965 Compositi con fibre di boro<br />

1969 Compositi ibridi carbonio-vetro<br />

1972 Compositi con fibre arammidiche<br />

1975 Compositi ibridi grafite-arammidiche<br />

Tabella 1.1 Cronologia dello sviluppo dei materiali <strong>compositi</strong> polimerici<br />

Molti materiali polimerici hanno la capacità di incorporare quantità anche rilevanti<br />

di cariche sotto forma di polvere fine, generalmente di natura inorganica (per esempio<br />

carbonato di calcio, talco sferette di vetro, silice, silicati, polveri metalliche, ossidi<br />

metallici, grafite, nerofumo); in alcuni casi vengono usati anche materiali di natura<br />

11


organica ( per esempio cellulosa, farina di legno). I materiali che si ottengono in<br />

questo modo vengono detti <strong>compositi</strong> particellari a matrice polimerica: ad essi con<br />

un’opportuna formulazione possono impartirsi caratteristiche elettriche, termiche,<br />

magnetiche, che non sono proprie del materiale base, oppure si possono modificare<br />

sostanzialmente le sue proprietà.<br />

Dal punto di vista meccanico non si può affermare che l’incorporazione di cariche<br />

in polvere produca effetti sempre positivi: se il modulo elastico, la durezza e la<br />

resistenza all’usura possono migliorare, viceversa il carico di rottura e la duttilità<br />

peggiorano.<br />

In questo settore l’esperienza ha mostrato che le caratteristiche fisiche e<br />

meccaniche del composito dipendono, oltre che dalla proprietà dei singoli<br />

componenti, dalle dimensioni, dalla forma e dal grado di dispersione delle particelle,<br />

nonché dal grado dall’adesione tra queste e la matrice polimerica.<br />

Alcune proprietà sono valutabili a priori con sufficiente precisione, (modulo<br />

elastico), altre hanno andamenti imprevedibili perché sono influenzate anche dalle<br />

tecniche di lavorazione. La deformazione a rottura , per esempio è molto sensibile ai<br />

difetti che facilmente si introducono nel materiale in fase di lavorazione. Gli<br />

aggregati costituiscono inoltre un elemento di discontinuità del materiale, che<br />

determina il deterioramento di alcune importanti caratteristiche meccaniche, come la<br />

resistenza all’impatto;in fase di lavorazione se ne deve prevenire dunque la<br />

formazione.<br />

Nei <strong>compositi</strong> fibrosi vengono impiegate fibre corte e discontinue, oppure fibre<br />

lunghe e continue. A differenza di quanto accade nei <strong>compositi</strong> particellari, inoltre tali<br />

fibre possono essere disposte secondo orientazioni casuali od orientate in direzioni<br />

prestabilite (per esempio lungo la direzione del carico), in modo da ottenere manufatti<br />

con proprietà diverse nelle diverse orientazioni spaziali. Nel caso di fibre le proprietà<br />

sono determinate, oltre che dal tipo di fibra e di matrice, anche dalla lunghezza delle<br />

fibre e dalla loro orientazione nel manufatto. In generale incominciamo a dire sin da<br />

ora che le proprietà meccaniche dei <strong>compositi</strong> con fibre lunghe sono più elevate di<br />

12


quelle di <strong>compositi</strong> con fibre corte, anche se la differenza tende a diminuire<br />

all’aumentare della lunghezza di queste ultime e del disallineamento di quelle lunghe<br />

rispetto alla direzione del carico applicato.<br />

Per determinate applicazioni è più conveniente ricorrere a <strong>compositi</strong> “ibridi”,<br />

contenenti cioè fibre di due o più tipi, disposti all’interno di lamine diverse, alternate<br />

secondo criteri di ottimizzazione delle proprietà progettate per la struttura<br />

complessiva. E’ il caso di <strong>compositi</strong> ibridi con fibre di carbonio e fibre di kevlar.<br />

Nella tabella che segue sono riportate le proprietà di alcune fibre utilizzate nei<br />

<strong>compositi</strong> a fibre lunghe.<br />

Fibra Diametro Densità Carico di rottura Modulo elastico<br />

tipico ρ σb E<br />

(µm) (g/cm 2 ) (MPa) (GPa)<br />

Vetro E 10 2,54 2400 70<br />

Vetro S 10 2,50 2600 85<br />

Aramide<br />

Kevlar 29 1,44 3600 62<br />

Kevlar 49 11,9 1,45 3600 131<br />

Carbonio<br />

P-55 2,0 1900 380<br />

P-100 10 2,15 2200 690<br />

T-300 7 1,76 3200 228<br />

Polietilene<br />

Spectra 900 38 0,97 2600 120<br />

Tabella 1.3 Proprietà di alcune fibre utilizzate nei <strong>compositi</strong> a fibre lunghe<br />

Occorre precisare che, anche da un punto di vista prettamente economico,<br />

l’aggiunta di cariche siano esse fibre o particelle di vario tipo, non rappresenta<br />

sempre un vantaggio. L’aggravio che ne può derivare in termini di maggiore<br />

complessità dei cicli di lavorazione deve essere infatti compensato o da una riduzione<br />

13


del costo del composito o da un deciso miglioramento di una qualche caratteristica<br />

che ne giustifichi il costo maggiore.<br />

Segue adesso qualche piccolo cenno sui materiali polimerici costituenti le matrici.<br />

POLIMERI: GENERALITA’<br />

Segue qualche piccolo cenno sui materiali costituenti le matrici polimeriche.<br />

Un polimero (dal greco molte parti) è una macromolecola, ovvero una molecola<br />

dall'elevato peso molecolare, costituita da un gran numero di piccole molecole (i<br />

monomeri) uguali o diverse (copolimeri) unite a catena mediante la ripetizione dello<br />

stesso tipo di legame. Benché a rigore anche le macromolecole tipiche dei sistemi<br />

viventi (proteine, acidi nucleici, polisaccaridi) siano polimeri, col termine "polimeri"<br />

si intendono comunemente le macromolecole di origine sintetica: materie plastiche,<br />

gomme sintetiche e fibre tessili (ad esempio il nylon). Esempi di monomeri possono<br />

essere il cloruro di vinile o l'etene: il primo dà origine al cloruro di polivinile,<br />

altrimenti detto polivinilcloruro, PVC, il secondo al polietilene detto anche politene.<br />

In generale possiamo distinguere:<br />

• polimeri termo<strong>plastici</strong>: sono un gruppo di materie plastiche che acquistano<br />

malleabilità, cioè rammolliscono, sotto l'azione del calore. In questa fase possono<br />

essere modellate o formate in oggetti finiti e quindi per raffreddamento tornano ad<br />

essere rigide. Questo processo,teoricamente,può essere ripetuto più volte in base alle<br />

qualità delle diverse materie plastiche;<br />

• polimeri termoindurenti: sono un gruppo di materie plastiche che, dopo una<br />

fase iniziale di rammollimento dovute al riscaldamento, induriscono per effetto di<br />

reticolazione tridimensionale. Nella fase di rammollimento per effetto combinato di<br />

calore e pressione risultano formabili. Se questi materiali vengono riscaldati dopo<br />

l'indurimento non ritornano più a rammollire, ma si decompongono carbonizzandosi.<br />

14


Tra i primi il più comune fra tutte le materie plastiche è il polietilene detto anche<br />

politene.<br />

Il polietilene (o politene) è il più semplice dei polimeri sintetici ed è il più comune<br />

fra le materie plastiche. Viene spesso indicato con la sigla "PE", così come ad<br />

esempio si usa "PS" per il polistirene o "PVC" per il polivinilcloruro. Ha formula<br />

chimica (-CH2-)n dove n può arrivare fino ad alcuni milioni. Le catene possono essere<br />

di lunghezza variabile e più o meno ramificate. Il polietilene è una resina<br />

termoplastica, si presenta come un solido trasparente (forma amorfa) o bianco (forma<br />

cristallina) con ottime proprietà isolanti e di stabilità chimica, è un materiale molto<br />

versatile ed una delle materie plastiche più economiche; gli usi più comuni sono<br />

come isolante per cavi elettrici, film per l'agricoltura, borse e buste di plastica,<br />

contenitori di vario tipo, tubazioni, strato interno di contenitori asettici per liquidi<br />

alimentari ("brick") e molti altri. Il polietilene si sintetizza a partire dall’etene<br />

secondo la reazione:<br />

n CH2=CH2 → [-CH2-CH2-]n<br />

La molecola dell’etene è caratterizzata dal doppio legame fra gli atomi di carbonio<br />

che la rende particolarmente stabile.<br />

Il cloruro di polivinile, noto anche come polivinilcloruro o con la corrispondente<br />

sigla PVC, è il polimero del cloruro di vinile. È il polimero più importante della<br />

serie di quelli ottenuti da monomeri vinilici ed è una delle materie plastiche di<br />

maggior consumo al mondo. Puro, è un materiale rigido; deve la sua versatilità<br />

applicativa alla possibilità di essere miscelato anche in proporzioni elevate a prodotti<br />

plastificanti, quali ad esempio gli esteri dell'acido ftalico, che lo rendono flessibile e<br />

modellabile. Il PVC si sintetizza a partire dal cloruro di vinile secondo la reazione:<br />

CH2=CHCl --> ...-CH2-CHCl-CH2-CHCl-CH2-CHCl-CH2-CHCl-CH2-<br />

CHCl-CH2-CHCl-CH2-CHCl-CH2-CHCl<br />

Viene prevalentemente usato per: finestre, serramenti esterni, giocattoli, bottiglie,<br />

contenitori, grondaie.<br />

15


Il poliuretano, ma sarebbe meglio dire i poliuretani, è una famiglia di polimeri in<br />

cui la catena polimerica è costituita di legami uretanici. È largamente impiegato per<br />

produrre schiume rigide e flessibili, elastomeri, guarnizioni ed entra come<br />

componente anche nella produzione di alcuni tipi di vernici.<br />

Il polipropilene (PP) è un composto plastico che può mostrare diversa tatticità. Il<br />

prodotto più interessante dal punto di vista commerciale è quello isotattico, che è<br />

caratterizzato da un elevato carico a rottura, una bassa densità, una buona resistenza<br />

termica e all'abrasione. La densità è di 0,9 g/cm³ e il punto di fusione è di 165°C e<br />

oltre. Le proprietà chimiche, determinate nella produzione, comprendono la<br />

stereoregolarità, la massa molecolare e la distribuzione di massa molecolare.Il<br />

prodotto atattico si presenta invece come un solido dall'aspetto gommoso di scarso<br />

interesse commerciale (è stato usato solo come additivo). Il polipropilene ha<br />

conosciuto un gran successo nell'industria della plastica: molti oggetti di uso comune,<br />

dagli zerbini agli scolapasta per fare alcuni esempi, sono fatti di polipropilene. Di<br />

seguito sono mostrate le catene polimeriche del tipo isotattico e del tipo sindiotattico<br />

rispettivamente.<br />

Il nylon è una famiglia di polimeri sintetici (poliammidi), il cui capostipite - il<br />

nylon 6,6 - fu messo a punto il 28 febbraio 1935 da Wallace Carothers alla DuPont di<br />

Wilmington, Delaware (USA). I nylon sono usati soprattutto come fibra tessile e per<br />

produrre piccoli manufatti. Nylon 6,6: è il prodotto della polimerizzazione per<br />

condensazione di esametilendiammina e acido adipico; è il nylon per antonomasia ed<br />

è il più diffuso. Nylon 6: è il prodotto della polimerizzazione per condensazione del<br />

caprolattame. Di seguito il nylon 6 e il nylon 6.6.<br />

16


Tra i materiali termoindurenti distinguiamo diversi tipi di resine. Con resina<br />

artificiale (o resina sintetica) si intende in genere un materiale viscoso, di aspetto<br />

simile alla resina vegetale, capace di indurirsi a freddo o a caldo. Si tratta in genere di<br />

un'ampia classe di differenti e complessi polimeri, che si possono ottenere con una<br />

grande varietà di metodi e materie prime.<br />

Fra le resine sintetiche più comuni citiamo le resine fenoliche, le resine<br />

epossidiche, le resine poliestere insature (UPR, Unsaturated Polyester Resin) e le<br />

resine vinil-estere (VE).<br />

Una resina sintetica non viene in genere commercializzata come tale, ma ne<br />

vengono venduti i suoi precursori, nella forma di due componenti separati,<br />

l'oligomero e l'agente reticolante, che vengono miscelati al momento dell'uso. La<br />

miscelazione innesca la reazione di reticolazione che trasforma l'oligomero,<br />

solitamente un liquido oleoso poco viscoso capace di adattarsi ai più piccoli dettagli<br />

dello stampo, nel polimero solido, una materia plastica solitamente trasparente che<br />

può venire successivamente lavorata, colorata e decorata.<br />

Gli usi delle resine artificiali sono i più disparati. Vari tipi di resine artificiali sono<br />

utilizzati come basi per adesivi; uno degli usi principali è per l’appunto quello nelle<br />

matrici di materiali <strong>compositi</strong>. Impieghi includono materiali edilizi (pannelli,<br />

condotte eccetera) oppure le resine a scambio ionico per la purificazione dell'acqua.<br />

Anche in campo artistico si usano tali resine (in genere resine poliestere), ad esempio<br />

nella produzione di figurine e statue in plastica come alternativa (più leggera e meno<br />

tossica) al piombo metallico. Di seguito qualche particolare sui diversi tipi di resina.<br />

o Resine fenoliche: Le caratteristiche dipendono dai materiali con cui sono<br />

mescolate. Sono una famiglia di polimeri ottenuti per reazione tra fenolo e<br />

17


formaldeide; in funzione del rapporto tra i due reagenti si dividono a loro<br />

volta in novolacche e resoli. Una di esse, la bachelite, è considerata la prima<br />

materia plastica sintetica comparsa al mondo. Usi: settore casalingo, mobili<br />

per televisori.<br />

o Resine ureiche: dure e colorate. Hanno buone proprietà meccaniche e sono<br />

facilmente lavorabili. Usi: spine, prese, elettrodomestici, interruttori.<br />

o Resine melamminiche: buona resistenza alle alte temperature e all'umidità.<br />

Usi: Laminati, settore casalingo, arredamenti, vernici.<br />

o Resine epossidiche: eccellente adesività, resistenza al calore e chimica.<br />

Inoltre possiedono buone proprietà meccaniche e sono ottimi isolanti<br />

elettrici. Usi: vernici, rivestimenti, adesivi e materiali <strong>compositi</strong>.<br />

o Resine poliesteri insature: Sono leggere, facilmente lavorabili e resistenti<br />

agli agenti atmosferici. Usi: Piscine, coperture per tetti.<br />

Si è già detto che nel caso di materiali <strong>compositi</strong> le resine maggiormente utilizzate<br />

per matrici di materiali <strong>compositi</strong> sono le epossidiche, poliesteri insature, e le<br />

vinilestere.<br />

18


COMPOSITI PARTICELLARI<br />

Le resine sintetiche non sono in generale adoperate allo stato puro ma, durante la<br />

lavorazione, vengono mescolate con quantità più o meno rilevanti di sostanze definite<br />

filler, riempitivi o cariche.<br />

Per ora diciamo che uno dei vantaggi dei <strong>compositi</strong> particellari a differenza di<br />

quelli rinforzati con fibre, è quello di avere un comportamento costitutivo<br />

generalmente isotropo. A tal proposito un aspetto molto importante, di cui finora non<br />

abbiamo parlato, è quello facente riferimento alla anisotropia dei materiali <strong>compositi</strong>.<br />

Infatti per la presenza di una fase continua (matrice ) ed una discontinua (rinforzo), i<br />

materiali <strong>compositi</strong> presentano spiccata caratteristiche di anisotropia sia da un punto<br />

di vista elastico che di resistenza meccanica. II grado di anisotropia potrà essere<br />

maggiore o minore a seconda della orientazione assunta dalle fibre nella matrice; più<br />

marcato nel caso di fibre disposte tutte parallelamente tra di loro, meno se orientate in<br />

maniera diversa o addirittura casuale. Per ottenere le più diverse orientazioni, si<br />

possono utilizzare dei veri e propri tessuti di fibre, oppure sovrapporre più lamine con<br />

le fibre orientate in maniera differente: di questo si parlerà ampiamente a proposito<br />

dei <strong>compositi</strong> fibrosi.<br />

I vantaggi dei <strong>compositi</strong> particellari possono riassumersi in:<br />

• minori costi di produzione;<br />

• facilità dei processi di formatura anche di forme complesse;<br />

• comportamento costitutivo isotropo: comportamento che in presenza di sbalzi<br />

di temperatura può risultare vantaggioso.<br />

Dell’ultimo punto ne abbiamo già discusso. Dei primi due se ne parlerà più avanti:<br />

diciamo ora in generale dei <strong>compositi</strong> particellari.<br />

I filler vengono adoperati sia nei polimeri termo<strong>plastici</strong>, sia nelle resine<br />

termoindurenti. A seconda dello scopo per cui vengono aggiunti si distinguono in<br />

riempitivi, rinforzanti e diluenti.<br />

I riempitivi sono materiali di basso costo e larga disponibilità, nella maggior parte<br />

19


dei casi sotto forma di polveri (non metalliche). Vengono aggiunti in quantità molto<br />

rilevanti fino all’80% in volume. I rinforzanti sono invece materiali introdotti nel<br />

polimeri con lo scopo principale di migliorare le caratteristiche meccaniche (modulo<br />

elastico, carico di rottura, durezza superficiale, resistenza all’urto) e termiche<br />

(stabilità dimensionale a caldo, resistenza al calore e alla fiamma). I diluenti sono<br />

invece materiali aggiunti al polimero per rimpiazzare parzialmente additivi di<br />

maggior costo (per esempio pigmenti) oppure per migliorare la lavorabilità del<br />

composito.<br />

Alcuni filler sono di uso generale e vanno bene in pratica per qualunque polimero;<br />

altri invece trovano impiego per certe categorie di polimeri o sono addirittura<br />

specifici per un dato materiale polimerico. Tra i filler di uso generale ricordiamo il<br />

carbonato di calcio, oppure la bentonite entrambi usati in quasi tutti i termo<strong>plastici</strong>. Il<br />

nerofumo, è invece il filler rinforzante più indicato per le gomme. Molte cariche<br />

organiche, cometa farina di legno o i fiocchi di cotone, trovano il loro maggiore<br />

impiego nelle resine termoindurenti. Tra i diluenti si trovano la silice e vari silicati di<br />

calcio.<br />

In generale si può affermare che con una opportuna formulazione, si possono<br />

impartire caratteristiche elettriche, termiche, magnetiche, che non sono proprie del<br />

materiale matriciale. La tabella seguente contiene una classificazione funzionale delle<br />

cariche.<br />

Utilizzo Tipo di carica<br />

Usi generali Carbonato di calcio, silice, allumina, talco, mica,<br />

ossido di zinco, solfato di bario<br />

Ritardanti di fiamma Allumina triidrata, triossido di arsenico, ossido<br />

di antimonio, bicarbonato di ammonio<br />

Conducibilità elettrica Argento, rame, alluminio, grafite<br />

Rigidità dielettrica Allumina, silice, mica<br />

Resistenza all’abrasione Allumina, silice, carburo di silicio, metalli<br />

Resistenza all’impatto Gomme<br />

Tabella 1.2 Classificazione funzionale delle cariche<br />

20


Molto importante è l’interazione tra il polimero e la carica. Alcune volte, quando si<br />

ha a che fare con polimeri non polari (per esempio polietilene, o altri polimeri<br />

caratterizzati da scarse proprietà di adesione nei confronti delle cariche), tale<br />

interazione è praticamente nulla e le particelle di filler si comportano come semplici<br />

inclusioni nella matrice. In questi casi la carica indebolisce la matrice e agisce da<br />

semplici diluente. In altri casi, grazie alla natura polare del polimero, (per esempio<br />

PVC) e alle caratteristiche superficiali delle cariche, si possono stabilire forze anche<br />

molto intense, e legami chimici veri e propri tra i due costituenti. In generale diciamo<br />

che è essenziale che le cariche vengano “bagnate” dal polimero costituente la<br />

matrice: questo è il motivo per cui per cui molte volte vengono trattate<br />

superficialmente con silani, stereati, o altri additivi bagnanti/accoppianti, studiati per<br />

il caso specifico.<br />

Fattori molto importanti nell’interazione polimero-carica sono: le dimensioni delle<br />

particelle, la forma delle medesime e la loro porosità. E’ stato trovato che, in linea<br />

generale, a parità di frazione volumetrica, l’effetto rinforzante migliora con il<br />

diminuire delle dimensioni delle particelle: per particelle di diametro sotto 0,2<br />

micrometri il limite elastico e il carco di rottura crescono linearmente con il diminuire<br />

delle dimensioni delle particelle.<br />

Molta importanza può avere in certi casi anche la distribuzione delle dimensioni<br />

delle particelle, specialmente per quanto riguarda l’efficienza di<br />

“impaccahettamento” della carica.<br />

Per molte proprietà si osserva che aumentando la concentrazione in filler, si arriva<br />

a duna valore della frazione volumetrica in corrispondenza del quale si ha<br />

ottimizzazione della proprietà esaminata.<br />

Una particolare attenzione è posta al potere abrasivo della carica per il<br />

danneggiamento che la sua presenza nel composito potrebbe arrecare alle<br />

apparecchiature di miscelazione, lavorazione e formatura.<br />

Materiali a bassa durezza di Mohs, come il Talco, il Caolino, ed il carbonato di<br />

calcio, cono meno dannosi rispetto a materiali più duri come la silice o i feldspati: a<br />

21


tal proposito si dice che si preferisce il filler per cui il “grado” a cui corrisponde il<br />

residuo più basso al setaccio a 325 mesh.<br />

La reattività chimica del filler può incidere sulle qualità superficiali del manufatto<br />

e sulla sua curabilità. Per esempio, cariche di carbonato di calcio (pH:9-10) rendono<br />

la superficie del composito alcalina e facilmente deteriorabile anche in ambiente<br />

debolmente acido. Dal punto di vista della resistenza chimiche invece la Barite è il<br />

più insolubile dei filler inorganici solitamente impiegati.<br />

Di notevole importanza è poi la morfologia delle particelle di filler: cioè la loro<br />

forma e il modo di aggregazione. Si può dire che esistono nei filler tante morfologie<br />

quanti sono i prodotti impiegati.<br />

Alcune cariche hanno forma arrotondata, forma assunta durante la macinazione a<br />

secco o a umido, per cui vengono smussati i loro spigoli. Altri filler sono invece sotto<br />

forma di lamelle (metalli, mica e talco). Rara è la morfologia acculare, cioè a foglia<br />

allungata, ad ago: questa si trova solo in certi tipi di minerali (Wollastonite e talco<br />

della California).<br />

METODI DI FABBRICAZIONE DEI PARTICELLARI<br />

Per quanto concerne le masse da stampaggio a base di materiali termo<strong>plastici</strong><br />

caricati, vengono dapprima preparate miscelando la resina con le cariche e tutti gli<br />

altri agenti ausiliari (stabilizzatori, scivolanti, lubrificanti, ecc.) e successivamente<br />

granulate in determinate dimensioni. Per lo stampaggio a iniezione e per l’estrusione<br />

vengono consigliati granulati compatti, ben scorrevoli, di dimensioni da 2 a 5 mm.<br />

Per la granulazione “pre-miscele” di materie prime e agenti ausiliari vengono fuse ed<br />

omogeneizzate mediante grossi estrusori a vite, estrusori planetari oppure miscelatori<br />

a vite per i materiali di rinforzo. Le masse fuse vengono addotte, attraverso una testa<br />

con filiera multipla, a granulatori sommersi che, immediatamente all’uscita, scaricano<br />

in una corrente di acqua fredda granuli di forma diversa (da lenticolare a sferica)<br />

oppure vengono fatte passare attraverso bagni di raffreddamento e quindi frantumate<br />

22


mediante granulatori ottenendo granuli cilindrici o cubici.<br />

Le figura seguenti mostrano un estrusore a vite, monovite<br />

e bivite. Nel processo di estrusione, plastica in forma di<br />

granuli o polvere (dry-blend) insieme alla carica vengono<br />

alimentati in un miscelatore riscaldato dove viti rotanti<br />

omogeneizzano il tutto. La massa fusa viene poi spinta attraverso una filiera per dare<br />

un prodotto finito o semi-finito.<br />

Per la preparazione di masse da stampaggio a base di resine termoindurenti<br />

contenenti filler si procede premiscelando le cariche a freddo dopo eventuale<br />

essiccazione con resina polverizzata ad un certo stadio di policondensazione, con<br />

coloranti e scivolanti; si procede quindi a plastificazione e omogeneizzazione su<br />

cilindri riscaldati. La resina, durante questo trattamento procede nella<br />

policondensazione portandosi alla viscosità opportuna per le ulteriori lavorazioni. I<br />

23


compound vengono successivamente raffreddati, frantumati, macinati e messi in<br />

commercio come polveri da stampaggio. Vi sono chiaramente varianti e particolari<br />

tecnici di compounding (composizione), legati allo stato fisico della resina (liquida o<br />

solida) e alla natura del filler.<br />

Segue adesso una carrellata sulle principali cariche utilizzati nei <strong>compositi</strong><br />

particellari.<br />

CARBONATO DI CALCIO<br />

Il carbonato di calcio (CC) è la carica maggiormente utilizzata nei composti<br />

particellari essendo caratterizzata da:<br />

o basso costo;<br />

o assenza di tossicità (adatto quindi ad articoli destinati a venire in contatto con<br />

alimenti);<br />

o colore bianco;<br />

o bassa durezza (circa 3 della scala Mohs, nessuna usura delle macchine);<br />

o facilità di trattamento superficiale;<br />

o carattere basico.<br />

I tipi di maggior uso sono quelli macinati:prima della macinazione di eliminano le<br />

impurezze quali gli ossidi di ferro e la silice. Si possono usare anche precipitati nel<br />

caso di elevate purezze richieste.<br />

Il trattamento superficiale viene effettuato prevalentemente mediante acido<br />

stereatico o stereato di calcio. Nel caso di PVC rigido, il CC può essere usato fino a<br />

tenori del 40% in peso, oppure a bassi livelli di concentrazione (fino al 5% con<br />

dimensioni di 2-3μm), se si tratta semplicemente di modificare il comportamento<br />

reologico della resina. Un esempio di CC in PVC rigido è quello utilizzato per le<br />

tubazioni rigide: nella tabella seguente vengono riportate le caratteristiche principali.<br />

24


PVC 100 100 100 100<br />

CC 0 10 20 30<br />

Modulo elastico (GPa) 2,9 3,1 3,4 3,8<br />

Resistenza a trazione (MPa) 56 53 48 37<br />

Resilienza IZOD 0,65 0,93 1 0,98<br />

Temperatura di distorsione (°C) 73 74 74 75<br />

Variazione di peso (14 gg. a 55 °C in H2SO4) -0,052 -0,061 -0,07 -0,09<br />

Variazione di peso in olio ( 30 gg. a 23 °C) 0,03 0,11 0,09 0,08<br />

Tabella 2.1 Proprietà del PVC rigido per tubazioni<br />

Nel caso di PVC plastificato (flessibile) si possono raggiungere anche tenori molto<br />

elevati di CC, come 100 phr (parti di carica su 100 parti di polimero), con dimensioni<br />

medie delle particelle da 3-15 μm. Le particelle più fini causano aumenti<br />

considerevoli di viscosità. Applicazioni tipiche per questi compound sono manufatti<br />

per isolamento elettrico, pavimentazione e tubi flessibili. Seguono due tabelle con le<br />

caratteristiche riportate di <strong>compositi</strong> PVC plastificato per tubi flessibili e <strong>compositi</strong> a<br />

base di resine poliestere insature.<br />

CC 0 phr 36 phr 100 phr<br />

PVC/DOP 100/40 100/43 100/43<br />

Carico di rottura (MPa) 15 15 12<br />

Modulo secante (Mpa) (100%) 12 12 9<br />

Allungamento a rottura (%) 300 290 270<br />

Perdita in peso per abrasione (mg) (Taber) 20 63 93<br />

Durezza (Shore A) 96 95 95<br />

Tabella 2.2 Proprietà di PVC plastificato per tubi flessibili<br />

Nelle resine poliestere insature le applicazioni più importanti del CC si hanno<br />

negli SMC (Sheet Molding Compound: composizioni per stampaggio da lastre) e<br />

25


BMC (Bulk Molding Compound: composizioni per stampaggio in massa). Negli<br />

SMC sono presenti anche fibre corte di vetro e modificatori di viscosità come MgO,<br />

agente di ispessimento.<br />

Il CC è usato anche nel polipropilene per masse da stampaggio fino a tenori di<br />

circa 60 parti in peso. Il polietilene non viene generalmente caricato con CC a causa<br />

della scarsa adesione reciproca.<br />

Componenti Parti in peso<br />

Premix BMC SMC<br />

Resina poliestere 100 100 100<br />

CC (5 µm) 125 250 150<br />

Ossido di magnesio -- -- --<br />

Fibra di vetro (6 mm) 60 90 --<br />

Fibra di vetro (5 cm) -- -- 125<br />

Resistenza a flessione (MPa) 70-95 90-100 180-210<br />

Modulo elastico (GPa) 9-12 13-15 12-14<br />

Resilienza IZOD 5-7 4,5-6,5 13-24<br />

Durezza Barcol 60-70 60-70 60-70<br />

Tabella 2.3 Proprietà di <strong>compositi</strong> a base di resine poliestere insature contenenti carbonato<br />

di calcio<br />

Parti in peso<br />

Polipropilene 100 100 100<br />

CC 43 54 68<br />

Modulo elastico (GPa) 2,9 3 3,2<br />

Resistenza a trazione (MPa) 30 30 25<br />

Resistenza IZOD (senza intaglio) 13 13 10<br />

Tabella 2.4 Proprietà di <strong>compositi</strong> a base di polipropilene con carbonato di calcio per<br />

stampaggio a compressione<br />

26


TALCO<br />

Chimicamente il talco è un silicato idrato di magnesio: 3 4SiO<br />

H O . La sua<br />

MgO 2 2<br />

composizione può variare considerevolmente a seconda del luogo di estrazione. Il<br />

talco trova larga applicazione industriale; come materiale di carica viene usato<br />

nell'industria della carta, al fine di ottenere superfici lisce e bianche; come<br />

lubrificante secco, nell'industria tessile, per appesantire e lubrificare filati e tessuti;<br />

impastato con feldspato e argilla, formato e successivamente cotto a 1480°C, è usato<br />

come materiale refrattario, particolarmente resistente agli sbalzi termici. Viene<br />

adoperato inoltre in profumeria (ciprie e saponi); nella preparazione di<br />

anticrittogamici; nella brillatura del riso; nell'industria delle sostanze coloranti; e in<br />

quella dei pellami, degli esplosivi e dei prodotti farmaceutici.<br />

La morfologia del talco può essere lamellare o aciculare, anche se quello usato<br />

come filler a forma lamellare per le migliori caratteristiche meccaniche del composito<br />

risultante. Ha un elevato rapporto di forma per cui è un importante rinforzane oltre<br />

che diluente. I polimeri caricati con talco mostrano un aumento del modulo elastico<br />

E, e della resistenza al creep, rispetto a quelli caricati con CC. A causa dell’elevato<br />

rapporto di forma, è opportuno curare attentamente la fase di miscelazione. Per<br />

questo si usano talchi trattati, anche per limitare gli effetti di infragilimento che il<br />

talco induce. Viene utilizzato prevalentemente nel polipropilene:settore<br />

automobilistico e degli elettrodomestici. Le prestazioni meccaniche del polipropilene<br />

(PP) caricato con talco sono migliori di quelle del PP caricate con CC; tuttavia per<br />

concentrazioni superiori al 40 % in peso di elevata finezza è opportuno usare<br />

stabilizzanti. Infatti occorre prestare attenzione però alla stabilità ad alta temperatura:<br />

in generale nel caso di cariche con elevata superficie specifica la resistenza alla<br />

degradazione termica è bassa.<br />

27


Non caricato 20% talco 40% talco<br />

Modulo elastico (GPa) 1,6 2,7 4,2<br />

Carico di snervamento (MPa) 38 39 37<br />

Resilienza IZOD (ft-lb/in) 0,58 0,47 0,42<br />

Temperatura di distorsione (°C) 62 72 88<br />

Tabella 2.5 Proprietà del polipropilene caricato con talco<br />

Polietilene PVC rigido Polistirolo<br />

(medio peso molecolare) antiurto<br />

Non 40% Non 30% Non 40%<br />

caricato talco caricato talco caricato talco<br />

Modulo elastico (GPa) 1,1 3,3 3,5 7,2 2,3 5,7<br />

Carico di snervamento (MPa) 52 61 56 54 33 37<br />

Resilienza IZOD (ft-lb/in) 3,7 3,7 0,6 0,23 2,75 0,45<br />

Tabella 2.6 Proprietà di alcuni polimeri caricati con talco<br />

MICA<br />

La mica è un silicato di alluminio e potassio.A temperatura ambiente ha un aspetto<br />

lamellare, colore variabile grigio-giallognolo o nerastro luccicante, inodore. A causa<br />

della sua struttura laminare presenta sfaldatura "a foglietti", lungo piani paralleli alle<br />

lamine. Ti piamente le miche sono caratterizzate da due strati di tetraedri di 2 5 O Si e<br />

da uno ottaedrico di ioni<br />

3 + 2+<br />

,<br />

Al , Mg e OH- (spessore degli starti circa 10μ). Questi tre<br />

strati sono legati debolmente a strutture simili mediante cationi di K, Li, Na, Ca. Le<br />

miche commercialmente più importanti sono la flogopite e la muscovite. Durante la<br />

macinazione del materiale, si ha distacco tra gli strati, per cui si formano laminette<br />

estremamente sottili di dimensioni 1μ e trasversalmente dai 4 ai 100 μ. In seguito<br />

28


all’elevato rapporto di forma (tipo HAR: high aspect ratio) e alla facilità con cui le<br />

laminette di mica si orientano le uno con le altre, possiamo ottenere <strong>compositi</strong> con<br />

diverse caratteristiche cambiando le tecnologie di lavorazione o semplicemente lo<br />

spessore dei manufatti: l’orientamento delle laminette nel fuso polimerico comporta<br />

grosse variazioni di resistenza alla frattura in presenza di intagli superficiali di<br />

profondità maggiore dello spessore della “pelle”. Gli incrementi del modulo elastico<br />

E sono particolarmente rilevanti.<br />

Materiale Modulo elastico (GPa) Resistenza a flessione(MPa)<br />

Polietilene 31 120<br />

Polipropilene 38 170<br />

Nylon 66 45 185<br />

Nylon 66 (particelle non orientate) 18 85<br />

Copolimero stirene-acrilonitrile (SAN) 53 200<br />

Tabella 2.7 Proprietà meccaniche di polimeri termo<strong>plastici</strong> contenenti il 50% di mica<br />

L’introduzione della mica produce però un peggioramento della<br />

resilienza:l’infragilimento può essere evitato combinando alla mica, fibre di vetro.<br />

Laddove le caratteristiche di resilienza non siano importanti può essere usata la mica<br />

al posto delle fibre di vetro, molto meno costoso. Anche nel caso della mica è<br />

essenziale che la matrice bagni e aderisca bene alle particelle del filler, per cui è<br />

consigliabile un trattamento superficiale della carica con silani, e gli amminosilani.<br />

20% vetro 50% mica 20% vetro<br />

30% mica<br />

Modulo elastico (GPa) 5,3 18 16<br />

Carico di rottura (MPa) 107 95 124<br />

Resilienza IZOD (ft-lb/in) con intaglio 0,9 1,4 0,9<br />

Resilienza IZOD (ft-lb/in) senza intaglio 7,7 4,1 7,5<br />

Tabella 2.8 Proprietà di <strong>compositi</strong> nylon 66/mica/fibra di vetro<br />

29


La mica trova impiego anche nei polimeri termoindurenti, come le resine fenoliche,<br />

per migliorarne il comportamento dielettrico. Una formulazione tipica è quella<br />

costituita da 100 parti di novalacca e 150 parti di mica, che mostra notevoli<br />

caratteristiche dielettriche alle elevate tensioni (per esempio negli spinterogeni del<br />

motore a scoppio). Grazie alla caratteristica dei termoindurenti di bagnare molto bene<br />

le cariche, si originano in tal caso <strong>compositi</strong> con elevate caratteristiche resistenziali<br />

(eccetto che per la resilienza).<br />

Modulo elastico Resistenza<br />

(GPa) (GPa)<br />

Resina poliestere 47 159<br />

Resina epossidica 44 166<br />

Resina fenolica 52 145<br />

Resina fenolica (con mica a basso fattore di forma) 21 62<br />

BMC (tipico) 13 100<br />

Tabella 2.9 Proprietà di resine termoindurenti caricate con mica (50% in volume)<br />

CARICHE DI FORMA SFERICA<br />

Un tipo particolare di filler è costituito da particelle di forma sferica, caratterizzate<br />

dal più basso rapporto superficie/volume. Anche se esistono cariche di forma sferica<br />

di tipo diversissimo, il mercato è oggi dominato dalle sferette di vetro ( SiO 2 72%,<br />

CaO 8%, Na2 O 14%), con dimensioni variabili tra i 5 e i 700 μm, con o senza<br />

trattamento superficiale. I vantaggi delle sferette di vetro sono:<br />

o la loro regolarità;<br />

o la bagnabilità da parte del polimero fuso;<br />

o a parità di concentrazione sono quelle che causano il minor aumento di<br />

viscosità del composito;<br />

o si riducono le tensioni interne;<br />

30


o si facilita lo stampaggio di forme complesse.<br />

Le caratteristiche meccaniche migliorano notevolmente se si usano le sferette di<br />

vetro insieme a fibre di vetro corte.<br />

Oltre a cariche di forma sferiche piene al loro interno, possiamo avere anche cave,<br />

prodotte di diversi materiali (carbonio, vetro, ceramiche, polimeri) ma soprattutto di<br />

vetro: esse hanno una densità di 0.3<br />

3<br />

g / cm e dimensioni comprese tra 50 e 100 μ.<br />

Vengono utilizzate sia in polimeri termo<strong>plastici</strong> che in polimeri termoindurenti per<br />

ridurre il peso dei manufatti e la loro conducibilità termica; le sferette sono in grado<br />

inoltre di resistere a pressioni elevatissime (10MPa). In alcuni casi anch’esse<br />

vengono combinate con fibre di vetro per aumentare la leggerezza del manufatto.<br />

Importanti applicazioni in cui sono essenziali leggerezza, coibenza termica e<br />

stabilità termica sono rappresentate dagli schermi ablativi che proteggono i veicoli<br />

spaziali nella fase di rientro nell’atmosfera, si ha in tal caso una matrice fenolica<br />

epossidica, e dagli elementi di isolamento termico nei missili a combustibile solido.<br />

Nel settore nautico vengono impiegate le sferette per alleggerire gli scafi e coperte in<br />

vetroresina e nell’industria elettronica si usano formulazioni a base di resine<br />

epossidiche e microsfere cave per produrre materiali con bassi valori della costante<br />

dielettrica e del fattore di perdita.<br />

Le sferette di carbonio, aventi una densità molto bassa ( 0.006-0.25<br />

3<br />

g / cm )<br />

presentano un costo molto elevato: questo è il motivo per cui vengono utilizzate in<br />

specializzate produzioni come nei su citati schermi ablativi. Le particelle di carbonio<br />

cave favoriscono la formazione di uno strato carbonizzato scarsamente conduttore e<br />

di elevatissima resistenza termica.<br />

Una importante applicazione delle sferette di vetro cave è quella delle schiume<br />

sintattiche: esse si ottengono miscelando microsfere di vetro resina fenolica o altro<br />

materiale con un resina fluida, in presenza di additivi e agenti di cura. Vengono molto<br />

utilizzate nel settore marino per la costruzione di galleggianti di profondità: le<br />

schiume polimeriche convenzionali hanno infatti scarsa resistenza compressione e<br />

non possono essere usate a forti profondità. Le schiume sintattiche vengono<br />

31


adoperate per la stesura di cavi sottomarini, nell’estrazione del petrolio da fondali<br />

marini profondi e nei sommergibili di profondità. In generale rispetto alle<br />

convenzionali schiume polimeriche, le schiume sintattiche presentano questi<br />

vantaggi:<br />

o miglior caratteristiche meccaniche;<br />

o migliori caratteristiche meccaniche specifiche (resistenza/peso<br />

specifico);<br />

o miglior resistenza idrostatica;<br />

o minor assorbimento di umidità;<br />

o maggiore stabilità alle differenze di temperatura.<br />

Inoltre è molto importante nel determinare le proprietà meccaniche di una schiuma<br />

sintattica che le microsfere abbiano la distribuzione più omogenea possibile rispetto<br />

alla forma, alle dimensioni e alla resistenza. Le microsfere conferiscono alla schiuma<br />

sintattica un comportamento costitutivo macroscopico di un materiale isotropo e<br />

omogeneo. La foto seguente riporta una scansione al microscopio elettronico. Di<br />

seguito è riportata una tabella con le proprietà meccaniche.<br />

Microsfere di carbonio Microsfere di vetro<br />

FTD 202 (10-100 µm)<br />

Densità (g/cm 3 ) 0,66 0,68 0,68 0,65<br />

Modulo elastico a compressione (GPa) 2,1 2,1 1,9 1,8<br />

Resistenza a compressione (MPa) 87 82 59 64<br />

Carico massimo idrostatico (MPa) 136 128 108 95<br />

Tabella 2.10 Proprietà meccaniche di schiume sintattiche epossidiche<br />

32


SILICE<br />

La silice è sostanzialmente costituita da biossido di silicio amorfo in forma<br />

estremamente fine. Le applicazioni principali sono indicate nella tabella seguente.<br />

Scopo Settori<br />

Rinforzo Gomme (soprattutto siliconiche)<br />

Tissotropia Resine termoindurenti, plastisol vinilici<br />

Aumento di viscosità Vernici, inchiostri<br />

Reologia Cosmetici, prodotti farmaceutici<br />

Opacizzazione Vernici, polimeri vinilici<br />

Filler Polimeri<br />

Abrasivi Paste dentifricie<br />

Tabella 2.11 Applicazioni tipiche dei vari tipi di silice<br />

Il diametro medio delle particelle primarie è tipicamente di 0.01-0.1 μ con<br />

superfici specifiche di 50-800 m 2 /g. Esse difficilmente sono presenti singolarmente<br />

perché formano aggregati costituiti da molte decine di particelle primarie. Gli<br />

aggregati possono a loro volta impaccarsi per formare agglomerati di dimensioni<br />

maggiori. I tipi commerciali di silice sono classificati e noti come fumed, arc, gel,<br />

precipitated, a seconda del metodo di preparazione. Nella tabella seguente vengono<br />

specificate le proprietà.<br />

Fumed Arc Gel Precipitated<br />

Area superficiale (m 2 /g) 50-400 150-200 300-1000 60-300<br />

Densità apparente (g/t) 90-120 120-150 90-160 160-200<br />

Dimensioni medie agglomerati (µm) 0,8 4-8 4-10 1,5-10<br />

Gruppi –OH superficiali (nm -2 ) 2-4 2-3 4-8 8-10<br />

Tabella 2.12 Proprietà tipiche dei vari tipi di silice sintetica<br />

33


La silice è utilizzata come rinforzo nelle gomme siliconiche e costituisce, in<br />

particolare il rinforzo più efficace per le gomme siliconiche HTV (high temperature<br />

vulcanization: vulcanizzazione ad alta temperatura).<br />

L’uso della silice si è affermato anche nella tecnologia del PVC, particolarmente<br />

per la preparazione di paste a base di polivinilcloruro contenenti plastificanti per la<br />

produzione di articolo semirigidi o flessibili (“organogel” o “organosol”). Nei<br />

manufatti con PVC rigido l’aggiunta di silice migliora le proprietà dielettriche.<br />

Aggiunta a molti materiali polimerici limita la tendenza dei manufatti ad aderire<br />

tra loro (particolarmente importante nella produzione di film o fogli) e riduce la<br />

facilità con cui i manufatti realizzati con alcuni polimeri, particolarmente le<br />

poliolefine, scivolano se impilati. Essa conferisce ai manufatti una superficie liscia e<br />

opaca che è apprezzata in molte applicazioni (industri automobilistica).<br />

CARICHE METALLICHE<br />

I solidi polimerici sono di solito materiale non conduttori dal punto di vista<br />

elettrico; tuttavia in molte applicazioni si richiedono materiali con resistività elettrica<br />

intermedia tra quella dei metalli e quella degli isolanti. L’uso di filler conduttori<br />

consente di formulare <strong>compositi</strong> a matrice polimerica, con resistività variabile tra i<br />

3<br />

10 − e i 6<br />

10 Ωcm. Applicazioni tipiche si hanno nell’industria elettronica per la<br />

produzione di contenitori impermeabili alle radiazioni ad alta frequenza e in tutti quei<br />

settori nei quali la presenza di cariche elettrostatiche , che danno facilmente origine a<br />

scariche elettriche può risultare dannosa o addirittura pericolosa ( serbatoi per<br />

combustibili).<br />

I filler impiegati per questi scopi sono evidentemente materiali ad elevata<br />

conducibilità elettrica e quindi usualmente metalli (alluminio, alluminio, nichel,<br />

acciaio inox, argento). In alcuni casi si fa uso di fibre di vetro, grafite, nerofumo<br />

rivestite di nichel o alluminio. La dipendenza della resistività di una materia plastica<br />

caricata con un filler conduttore varia col contenuto del filler: si osserva che una<br />

34


consistente diminuzione della resistività al di sopra di un valore critico della<br />

concentrazione in filler: tale valore dipende fortemente dalla forma delle particelle<br />

della carica e dal grado di dispersione piuttosto che dalla natura stessa della carica.<br />

Microfibrille e lamelle risultano più efficaci di quelle sferiche.<br />

Sono oggi disponibili compound fenolici ed epossidici fortemente caricate con<br />

alluminio. Dopo indurimento tali materiali possono essere lavorati con le stesse<br />

tecniche di lavorazione dei metalli. I termo<strong>plastici</strong> modificati (acrilonitrile-butadiene-<br />

stirene ABS; acetaliche; nylon; polietilene PE; polipropilene, PP; ecc) vengono<br />

lavorati invece con le tecniche convenzionali delle materie plastiche (estrusione,<br />

iniezione).<br />

Applicazioni di rilievo trovano gli adesivi conduttori, costituiti da soluzioni di<br />

polimeri termo<strong>plastici</strong> (per esempio acetato di cellulosa) o da resineepossidiche,<br />

fortemente caricati con polvere finissima di argento. La conducibilità elettrica è tale<br />

da consentire la riparazione di circuiti integrati danneggiati. Oltre all’aumento di<br />

conducibilità, le cariche metalliche aumenti di:<br />

o modulo elastico;<br />

o durezza;<br />

o peso specifico;<br />

o diminuzione del ritiro volumetrico (per resine termoindurenti);<br />

o diminuzione del coefficiente di dilatazione termica;<br />

o aumento della conducibilità termica.<br />

Esistono cariche aumentano la conducibilità elettrica senza aumentare quella<br />

termica viceversa. Per quest’ultima essenziale è la forma delle particelle.<br />

Forma delle particelle Resistività elettrica (Ωcm) Conducibilità termica(BTU/hr ft°F/ft)<br />

Polvere >10 -6 0,25<br />

Lamine 0,1 1,05<br />

Tabella 2.13 Proprietà di una resina fenolica caricata con particelle di alluminio di forma<br />

diversa (Φ=0,4)<br />

35


CARICHE NATURALI DI NATURA ORGANICA<br />

I tipi i <strong>compositi</strong> che abbiamo fino ad ora esaminati hanno lo svantaggio di non<br />

essere riciclabili a causa dell’intimo mescolamento dei componenti il composito, che<br />

li rende difficilmente separabili. Così l’uso di materiali di natura organica sembra<br />

essere una possibile soluzione: si tratta prevalentemente di materiali cellulosici<br />

contenuti spesso nella lignina. L’uso di queste particelle risale all’inizio del secolo:<br />

nel 1907 il dottor Leo Baekland preparò delle polveri da stampaggio addizionando le<br />

resine fenoliche di farina di legno.<br />

Oggi alla farina di legno vengono preferite fibre di cellulosa di elevata purezza (<br />

più del 99%). E’ da notare come l’impiego di queste cariche non porta a sostanziali<br />

miglioramenti delle caratteristiche meccaniche dei manufatti e può favorirne la<br />

degradazione sia fotochimica che biologica.<br />

NEROFUMO<br />

Il particolato carbonioso (in ambito tecnico anche indicato con il termine inglese<br />

di soot) è una polvere nera (essenzialmente carbonio incombusto amorfo, più tracce<br />

di altri composti) che si può ottenere come sottoprodotto della combustione<br />

incompleta di una qualsiasi sostanza organica.<br />

Lo si può vedere facilmente osservando ad esempio la sottile polvere nera che si<br />

forma avvicinando una fiamma ad una superficie metallica fredda come quella di un<br />

cucchiaino. Si può comunque trovare facilmente su tutte le superfici esposte a fumi di<br />

combustione (ciminiere, condotti di scarico), in particolare in caso di combustione<br />

"ricca" di carbonio o comunque povera di ossigeno. Più nel dettaglio, esso è un<br />

agglomerato di particelle carboniose (dall'80% fino a circa il 96% di carbonio allo<br />

stadio finale, con percentuali variabili a seconda del tipo di combustione) di circa 1<br />

μm di diametro, prodotte durante la combustione quando la quantità di ossigeno è<br />

insufficiente a bruciare completamente gli idrocarburi in CO2 e acqua (combustione<br />

"ricca"), oppure quando la temperatura di fiamma è bassa. Sebbene abbia alcuni<br />

36


utilizzi industriali, generalmente è un componente "indesiderato" dei processi con<br />

fiamma, sia dal punto di vista tecnologico, sia da quello ambientale e relativo alla<br />

salute umana, in quanto riconosciuto come forte agente inquinante oltre che come<br />

"collettore" di diversi composti cancerogeni. Generalmente si conviene di definire<br />

nerofumo il particolato carbonioso di diametro particellare ben definito, prodotto per<br />

utilizzi industriali, mentre il nome "fuliggine" viene comunemente dato al particolato<br />

ottenuto come sottoprodotto "incontrollato" della combustione.<br />

Il diametro medio delle particelle varia tra i 10 e i 100 nm con superfici specifiche<br />

che arrivano a 1000 g/cm 3 . Sebbene venga utilizzato largamente come rinforzo nelle<br />

gomme il nerofumo non è propriamente una carica rinforzante. Esso conferisce una<br />

elevata resistenza ai raggi ultravioletti: l’azione protettiva si manifesta già a<br />

concentrazioni del 2-3%, è dovuta sia all’elevato potere assorbente della radiazione<br />

sia alla capacità del filler di catturare superficialmente i radicali liberi, che<br />

favoriscono le reazioni di scissione delle catene polimeriche. Da questo effetto trae<br />

vantaggio l’industria dei cavi coassiali per trasmissione di segnali.<br />

37


PROPRIETA’ MECCANICHE E TERMICHE DEI COMPOSITI<br />

PARTICELLARI<br />

Il modulo elastico E di un composito può aumentare o diminuire con la quantità di<br />

carica presente a seconda che il rapporto tra il modulo della carica e quello del<br />

polimero sia maggiore o minore di uno E / 1.<br />

Nel caso si usino cariche minerali<br />

c E p<br />

tale rapporto varia tra 20 a 100. Il modo più semplice di valutare il modulo elastico è<br />

quello di considerare le due condizioni estreme di sforzo assunto uguale nei due<br />

componenti (modello in serie, equazione 1) o di deformazione uguale (modello in<br />

parallelo, equazione 2):<br />

c<br />

c<br />

( − Φ m ) Em<br />

+ f E f<br />

E = 1 Φ<br />

(1)<br />

E<br />

c<br />

⎛1 − Φ f Φ<br />

= ⎜ +<br />

⎜<br />

⎝ Em<br />

E<br />

f<br />

f<br />

⎞<br />

⎟<br />

⎠<br />

dove abbiamo indicato con Φ f la frazione volumetrica della carica e con<br />

E , E , E i moduli elastici di composito, particella e matrice rispettivamente.<br />

f<br />

m<br />

Queste relazioni sono state applicate anche ad altre proprietà come la conduttività<br />

termica o i fattori di perdita.<br />

Takayanagi ha proposto una relazione che in qualche modo combina le due<br />

precedenti e utilizza due parametri, ϕ e ψ che devono essere determinati<br />

sperimentalmente ( ϕψ = Φ f ):<br />

E<br />

c<br />

( ) ⎟ ⎛ ⎞<br />

⎜<br />

ψ 1−ψ<br />

=<br />

+<br />

⎜<br />

⎝ 1−<br />

ϕ Em<br />

+ ϕE<br />

f Em<br />

⎠<br />

Per tenere conto delle dimensioni e della forma delle particelle si presenta una<br />

delle più note equazioni, quella di Kerner:<br />

(2)<br />

(3)<br />

38


α<br />

f<br />

con<br />

⎛1<br />

− Φ<br />

1+<br />

⎜<br />

⎝ Φ<br />

= 2<br />

max<br />

max<br />

⎞<br />

⎟<br />

⎟Φ<br />

⎠<br />

c<br />

E<br />

c<br />

1+<br />

ABΦ<br />

f<br />

=<br />

1−<br />

α BΦ<br />

f<br />

f<br />

E f<br />

−1<br />

Em<br />

B =<br />

E f<br />

+ A<br />

E<br />

dove A = parametro che dipende dalla forma delle particelle<br />

Φ max = massima frazione di impiccamento della carica.<br />

Forma delle particelle A Φmax<br />

Sfere di uguale dimensione 1,5 0,74<br />

(impaccamento massimo)<br />

Sfere di uguale dimensione 1,5 0,64<br />

(impaccamento random)<br />

Sfere di uguale dimensione 1,5 0,6<br />

(impaccamento sciolto)<br />

Ellissoidi (impaccamento random) 1,58-2,08-2,8-4,93 0,68-0,6-0,53-0,42<br />

con fattore di forma: 2-4-6-10<br />

Tabella 2.15 Valori del coefficiente A e di Φmax nell’equazione di Kerner<br />

Deformazione a rottura<br />

A causa della rigidità delle particelle utilizzate la deformazione della matrice, più<br />

duttile, risulta maggiore della deformazione macroscopica del materiale composito.<br />

L’aggiunta di una carica comporta pertanto la diminuzione di duttilità. Usiamo la<br />

formula di Chow per valutare l’allungamento a rottura di u n composito particellare:<br />

m<br />

(4)<br />

e<br />

39


con:<br />

π<br />

2<br />

1<br />

f<br />

Z ∫ −<br />

ε<br />

rott<br />

⎡<br />

⎢<br />

=<br />

⎢<br />

⎢ 2a<br />

⎢<br />

⎢⎣<br />

2<br />

2<br />

( Z ) = sinϑ<br />

1+<br />

( Z 1)<br />

sin ϑdϑ<br />

0<br />

( E − E )<br />

f<br />

m<br />

( Z )<br />

f<br />

12γ<br />

⎛ Em<br />

− E<br />

⎜<br />

⎜1+<br />

⎝ Em<br />

dove: γ = energia interfacciale polimero-carica<br />

Z = fattore di forma (rapporto tra le dimensioni longitudinale e trasversale<br />

delle particelle di carica)<br />

a = dimensione minore delle particelle.<br />

Resistenza a trazione<br />

Per quanto riguarda la resistenza a trazione, in generale, se si realizza una buona<br />

adesione tra polimero e filler, il carico aumenta al decrescere della concentrazione<br />

della carica. Una relazione tra il carico di rottura e la concentrazione del filler che<br />

tiene conto anche della anisotropia di forma delle particelle, è la seguente:<br />

Scorrimento viscoso sotto carico (creep)<br />

f<br />

⎞<br />

⎟<br />

⎟Φ<br />

⎠<br />

12γE<br />

⎛ E Φ ⎞<br />

m m f<br />

σ = ⎜ + Φ ⎟<br />

u ⎜<br />

f<br />

d<br />

⎟<br />

⎝ E f − Em<br />

⎠<br />

Per quanto riguarda il comportamento al creep, questo varia a seconda che si<br />

considerino piccole o grandi deformazioni. Nel primo caso la deformazione<br />

diminuisce (rispetto a quella del polimero non caricato) a causa dell’aumentata<br />

rigidità del materiale. Nel secondo caso, invece, la deformazione può aumentare se<br />

l’interfaccia polimero-carica si danneggia con conseguente formazione di<br />

microcavità.<br />

2<br />

f<br />

⎤<br />

⎥<br />

⎥<br />

⎥<br />

⎥<br />

⎥⎦<br />

0,<br />

5<br />

40


Proprietà termiche<br />

Le resine sintetiche sono caratterizzate da bassa conducibilità termica: questa,<br />

tuttavia, può essere convenientemente aumentata con l’incorporazione di cariche<br />

minerali. Per valutare l’effetto dei filler minerali sulla conducibilità termica K di un<br />

materiale polimerico,si può far uso della relazione di Lewis e Nielsen:<br />

con:<br />

K<br />

K<br />

B =<br />

K f<br />

K<br />

f<br />

m<br />

m<br />

−1<br />

+ A<br />

K<br />

K<br />

m<br />

1+<br />

ABΦ<br />

=<br />

1−<br />

BψΦ<br />

f<br />

f<br />

⎛1<br />

− Φ<br />

⎜<br />

⎝ Φ<br />

⎞<br />

⎟<br />

⎠<br />

e f Φ<br />

max<br />

ψ 1+<br />

⎜ ⎟<br />

= 2<br />

max<br />

dove: A = termine che dipende dalla forma delle particelle (vedi tabella, ove<br />

per completezza sono riportati anche valori relativi ad altre geometrie di carica).<br />

K m e K f = rispettivamente conduttività termica del polimero e della carica.<br />

Forma delle particelle A<br />

Sfere 1,5<br />

Particelle irregolari 3<br />

Fibre casualmente orientate (l/d = 4) 2,08<br />

Fibre casualmente orientate (l/d = 15) 8,38<br />

Lamelle (l/d = 40) 15-20<br />

Tabella 2.16 Valore del coefficiente A nell’equazione di Lewis-Nielsen<br />

41


Il valore del parametro A può differire da quelli indicati soprattutto se la geometria<br />

della carica viene modificata durante la lavorazione. Per prevedere la conduttività di<br />

un composito particellare, può essere usata la relazione di Ziebland:<br />

log<br />

*<br />

( K ) = Φ log(<br />

K ) + ( 1−<br />

Φ ) log(<br />

K )<br />

c<br />

f<br />

f<br />

* Dove K f è un termine determinato sperimentalmente misurando la conduttività<br />

termica del composito a composizione nota. Nel caso si usino particelle ad elevato<br />

rapporto di forma, occorre tener conto del fatto che la conduttività termica è, al pari<br />

del modulo elastico, una grandezza direzionale.<br />

Materiale Conduttività termica (W/m °K)<br />

Rame 400<br />

Alluminio 230<br />

Vetro comune 0,9<br />

Polietilene (alta densità) 0,63<br />

Polietilene (bassa densità) 0,33<br />

Nylon 6 0,31<br />

Polistirolo 0,15<br />

Polistirolo (schiuma) 0,05<br />

Resina epossidica 0,23<br />

Resina epossidica/20% alluminio (peso) 0,92<br />

Resina epossidica/Al2O3 (11% vol.) 0,5<br />

Resina epossidica/Al2O3 (30% vol.) 1,0<br />

Resina poliestere 0,2<br />

Tabella 2.17 Conduttività termica di alcuni materiali usati come filler, di alcuni polimeri e di<br />

un composito particellare<br />

f<br />

m<br />

42


Espansione termica<br />

Mediante l’introduzione di cariche minerali è possibile ridurre i coefficienti di<br />

espansione termica lineare e cubico λ, α di un polimero in modo da adeguarli a quelli<br />

di altri materiali con i quali i <strong>compositi</strong> dovessero essere solidalmente collegati.<br />

Materiale Coefficiente di espansione termica di volume (°K -1 ) x 10 5<br />

Silice amorfa 0,05<br />

Vetro comune 1<br />

Ferro 1,2<br />

Alluminio 2,5<br />

Rame 1,5<br />

Polistirolo 8<br />

Polipropilene 10<br />

Polipropilene + fibra di vetro 4<br />

Resina poliestere 10<br />

Resina poliestere (SMC) 2,5<br />

Resina poliestere (DMC) 2,3-2,4<br />

Resina epossidica 5-10<br />

Resina fenolica + 40% α-cellulosa 2,9<br />

Tabella 2.18 Coefficiente di espansione termica di volume<br />

Valori tipici del coefficiente di espansione cubico sono riportati nella tabella<br />

sottostante. Per prevedere i valori di α sono state proposte diverse relazioni. Per gli<br />

elastomeri vale la regola delle miscele:<br />

c<br />

( − Φ f ) α m + f α f<br />

α = 1 Φ<br />

Nella maggior parte dei casi, invece i valori reali risultano inferiori a quelli<br />

previsti da questa legge. Relazioni che possono essere utilmente usate sono quelle di<br />

Thomas e di Turner:<br />

43


( α ) = Φ log(<br />

α ) + ( 1−<br />

) log(<br />

α )<br />

log Φ<br />

c<br />

α f Φ<br />

α c =<br />

Φ<br />

f<br />

f<br />

f<br />

β<br />

β<br />

f<br />

f<br />

f<br />

+<br />

+<br />

( 1−<br />

Φ c ) α m<br />

( 1−<br />

Φ c ) β m<br />

Dove i termini β i si riferiscono ai moduli di volume ( pressione/variazione di<br />

volume).<br />

f<br />

β<br />

m<br />

m<br />

44


COMPOSITI CON FIBRE<br />

GENERALITA’<br />

Nel caso dei <strong>compositi</strong> fibro-rinforzati la fase dispersa è composta da fibre, che<br />

hanno un alto rapporto lunghezza-diametro.<br />

Questi particolari materiali sono realizzati con fibre e matrici a bassa densità, i<br />

quali offrono eccellenti valori della resistenza e del modulo specifici. La matrice può<br />

essere metallica, polimerica o ceramica. Nei primi due casi la fibra ha il compito<br />

principale di rinforzare il materiale, specie nei polimeri; nell’ultimo caso, invece, le<br />

fibre migliorano le proprietà meccaniche e hanno tuttavia l’effetto predominante di<br />

incrementare la tenacità: i materiali ceramici, infatti, sono resistenti all’ossidazione<br />

ed al deterioramento ad alta temperatura e pertanto, se non fosse per la loro eccessiva<br />

fragilità, sarebbero senz’altro i candidati ideali per molte applicazioni ad elevate<br />

temperare e carichi.<br />

I materiali <strong>compositi</strong> più importanti per estensione di mercato sono quelli a<br />

matrice polimerica, mentre i <strong>compositi</strong> a matrice metallica e ceramica sono limitati a<br />

poche applicazioni di nicchia soprattutto a causa dell’elevato costo e della<br />

complessità delle tecnologie di trasformazione.<br />

Per quanto riguarda i materiali <strong>plastici</strong> usati come matrice si accenna a quelli<br />

normalmente più usati: le resine termoindurenti (poliesteri ed epossidiche, fenoliche,<br />

siliconiche, poliammidi). Sono tutte organiche tranne le resine siliconiche che vedono<br />

la sostituzione del C col Si.<br />

Volendo aumentare la rigidità delle resine (p. es. aggiungendo carbonato di sodio<br />

o silicato di alluminio nelle poliesteri e polvere di quarzo, talco o mica nelle<br />

epossidiche) si viene a diminuire la resistenza a flessione mentre la loro accresciuta<br />

45


viscosità genera un difficile riempimento degli spazi tra le fibre.<br />

Un ulteriore aspetto è ricoperto dai sistemi <strong>compositi</strong> ibridi, che inglobano in una<br />

matrice di resina epossidica alcune coppie di fibre come vetro + boro, grafite+vetro,<br />

vetro+berillio. Con questi <strong>compositi</strong> si tenta di creare un comportamento ottimale, ma<br />

si ha sovente una non uniforme entrata sotto carico delle diverse fibre per via dei<br />

diversi moduli elastici.<br />

In base alla natura e al diametro, le fibre sono suddivise in tre gruppi principali:<br />

whisker, fibre e fili, come già precedentemente accennato.<br />

Il loro diametro varia da 5 a 15 micron, ma altre sono molto più spesse, come quelle<br />

ottenute per deposito di vapori su fibre, come le fibre di boro e di carburo di silicio<br />

(100-150 micron).<br />

I whisker sono monocristalli molto sottili e presentano un elevatissimo rapporto<br />

lunghezza-diametro. Grazie alle piccolissime dimensioni, essi sono in grado di<br />

raggiungere un elevato grado di perfezione cristallina e sono virtualmente privi di<br />

difetti, motivo per cui essi hanno resistenze meccaniche eccezionalmente elevate. I<br />

whisker sono infatti i materiali più resistenti che si conoscano.<br />

I materiali che sono classificati quali fibre possono essere sia policristallini che<br />

amorfi e mostrano piccoli diametri; le fibre sono generalmente realizzate in materiale<br />

polimerico o ceramico.<br />

Il diametro della fibra è critico rispetto alla resistenza: come tutti i materiali<br />

fragili, mostrano un incremento della resistenza al diminuire delle dimensioni<br />

trasversali.<br />

Le fibre in fiocco possono essere prodotte direttamente o attraverso il taglio di<br />

filamenti continui.<br />

Le fibre inorganiche, metalliche e non metalliche, sono più resistenti, più rigide,<br />

hanno un più elevato punto di fusione, resistono meglio al calore rispetto alle fibre<br />

tradizionali; sono inoltre del tutto ininfiammabili, per contro, eccetto le metalliche,<br />

sono fragili. La loro importanza tessile è quindi finora molto limitata mentre è grande<br />

l’impiego come rinforzo nei materiali <strong>compositi</strong>. Sono di norma eccellenti alle alte<br />

46


temperature ed in ambiente corrosivo.<br />

Le fibre più utilizzate per la realizzazione di <strong>compositi</strong> sono quelle di vetro, di<br />

carbonio e arammidiche. Vengono utilizzate sia come fibre lunghe, sia come fibre<br />

corte della lunghezza di alcuni millimetri. Altri tipi di fibra, sia organiche (alcune<br />

fibre polimeriche, quali, ad esempio, le polietileniche) che inorganiche (metalliche e<br />

ceramiche), hanno impieghi più limitati.<br />

Le fibre al carbonio e le ceramiche sono prodotte a partire da fibre organiche,<br />

precursori che vengono degradati termicamente. I precursori sono preparati con le<br />

stesse tecnologie impiegate per preparare le fibre organiche convenzionali.<br />

Per alcune fibre si ricorre al CVD ( chemical vapor deposition), con un substrato<br />

di fibre alto-fondenti: SiC o B4C su boro, TiN, SiC su carbonio.<br />

Sia le fibre policristalline (carbonio e boro) sia quelle perfettamente<br />

monocristalline (whiskers senza dislocazioni o con una sola dislocazione centrale)<br />

raggiungono valori del modulo di Young e della resistenza a trazione che possono<br />

superare di gran lunga i relativi valori dei materiali usuali. Mentre l'uso dì whiskers<br />

(fibre corte discontinue come Al203, WC, SiC) comporta al momento notevoli<br />

difficoltà tecnologiche, le fibre di carbonio e boro hanno ormai superato la fase di<br />

sperimentazione e sono in uso per un crescente numero di applicazioni industriali.<br />

I fili sottili sono invece caratterizzati dall’avere maggiori diametri, in genere essi<br />

sono realizzati in acciaio, molibdeno e tungsteno.<br />

L’ottenimento di un significativo grado di rinforzo è possibile solo se il legame<br />

interfacciale fibra-matrice è forte. Tuttavia, in condizioni di carico, tale legame si<br />

annulla all’estremità delle fibre: la conseguenza di ciò è che in questi punti non vi è<br />

alcun trasferimento di sforzo. Pertanto per ottenere un effettivo rafforzamento ed<br />

irrigidimento della struttura è necessario che la fibra raggiunga almeno una certa<br />

lunghezza critica, che dipende dall’accoppiamento fibra-matrice. Le fibre per le quali<br />

la lunghezza è molto maggiore della lunghezza critica sono definite fibre continue,<br />

mentre quelle più corte di essa vengono chiamate fibre discontinue o fibre corte. In<br />

questo secondo caso la matrice si deforma intorno alle fibre in maniera tale che in<br />

47


pratica non vi è nessun trasferimento di carico, né viene fornito alcun rinforzo da<br />

parte della fibra. In tal caso il composito diventa sostanzialmente un particellare.<br />

Anche la disposizione delle fibre risulta critica per le caratteristiche del<br />

composito. Le proprietà meccaniche di un composito con fibre continue ed allineate<br />

sono fortemente anisotrope. Il rinforzo e la conseguente resistenza raggiungono il<br />

massimo valore nella direzione di allineamento ed il minimo nella direzione<br />

trasversale. Infatti, lungo questa direzione l’effetto di rinforzo delle fibre è<br />

praticamente nullo e normalmente si presentano delle fratture per valori di carichi di<br />

trazione relativamente bassi. Per altre orientazioni del carico, la resistenza globale del<br />

composito assume valori intermedi.<br />

Quando su un piano sono presenti sforzi in più direzioni si realizzano spesso<br />

strutture multistrato ottenute sovrapponendo lamine di <strong>compositi</strong> unidirezionali<br />

secondo orientazioni differenti: queste strutture vengono chiamate <strong>compositi</strong><br />

laminari.<br />

Nei <strong>compositi</strong> a fibre corte e discontinue le fibre possono essere sia allineate che<br />

distribuite casualmente. Per quelli con fibre allineate è possibile ottenere resistenze e<br />

rigidezze significative nella direzione longitudinale. Le proprietà dei <strong>compositi</strong> a<br />

fibre corte casualmente orientate sono invece isotrope a scapito, tuttavia, di alcune<br />

limitazioni sull’efficienza del rinforzo.<br />

FIBRE DI CARBONIO<br />

Le fibre di carbonio, scoperte nel 1878 da Edison e utilizzate per realizzare la<br />

prima lampada ad incandescenza, sono state prodotte commercialmente solo dal 1960<br />

secondo un procedimento messo a punto da William Watt per la Royal Aircraft in<br />

UK, rappresentano il punto di separazione tra le fibre organiche e le fibre inorganiche<br />

in quanto prodotte per modificazione di fibre organiche o da peci organiche.<br />

Le fibre di carbonio possono essere prodotte per trattamento termico (pirolisi<br />

48


controllata) di diversi precursori polimerici, materie prime contenenti carbonio, quali<br />

il rayon, il poliacrilonitrile (PAN), le poliammidi aromatiche e le resine fenoliche,<br />

ecc.. Recentemente sono state introdotte fibre di carbonio e di grafite ottenute da<br />

materiali peciosi, residui della distillazione del petrolio o del catrame (PITCH).<br />

Le fibre di carbonio hanno iniziato l’era dei materiali <strong>compositi</strong> per impiego<br />

inizialmente militare o aeronautico ed in seguito anche per prodotti dell’industria<br />

automobilistica e per il tempo libero.<br />

La struttura rigida delle molecole ad anelli<br />

ciclici a nastro o a scala a pioli, delle fibre di<br />

carbonio sia da PAN che da peci ha suggerito<br />

come costruire molecole organiche<br />

aromatiche per ottenere fibre ad elevate<br />

prestazioni.<br />

La terminologia fibre di carbonio si alterna, nella pratica comune, a quella di fibre<br />

di grafite. In realtà il primo termine dovrebbe essere applicato a fibre trattate fino a<br />

circa 2000 °C, riservando il termine “grafite” a quelle trattate ad almeno 2500 °C,<br />

anche se la struttura di queste ultime non corrisponde alla tipica struttura cristallina<br />

tridimensionale della grafite.<br />

FIBRE DI CARBONIO DA PAN<br />

Il precursore che in realtà ha iniziato l’era delle fibre di carbonio (1960), è la fibra<br />

di poliacrilonitrile, PAN, caratterizzata da una composizione chimica adeguata, da un<br />

particolare orientamento molecolare e da una certa morfologia; questo è il processo<br />

che ricopre attualmente il maggior interesse industriale.<br />

La composizione chimica è importante per moderare l’esotermicità della reazione<br />

di ciclizzazione dei —CN (ossidazione in aria), 18kcal/mole, condotta a 220 - 260 °C<br />

per alcune ore. La reazione di ciclizzazione porta ad un materiale ignifugo di colore<br />

nero, PAN ossidato, ma con proprietà meccaniche modeste, che viene utilizzato per<br />

49


abbigliamento protettivo, per ovatte ignifughe o in <strong>compositi</strong> carbonio-carbonio, per<br />

freni ad elevate prestazioni (aerei, macchine da corsa e treni ad alta velocità).<br />

Il processo successivo di carbonizzazione (400-1000 °C) è generalmente condotto<br />

in atmosfera inerte o sotto vuoto e porta alla rimozione di atomi dalla struttura e allo<br />

sviluppo della struttura grafitica. Da 400 a 1000°C si sviluppano HCN, NH3 e N2;<br />

possono svilupparsi anche CO, CO2 e H2O in funzione della quantità di O2 che il<br />

precursore ossidato ha legato durante il trattamento a 220-260 °C in aria.<br />

Dopo il trattamento a 1000 °C la fibra contiene più del 90% di carbonio e circa il<br />

5% di azoto.<br />

Proprietà Alta resistenza Alto modulo Modulo ultraelevato<br />

Diametro (µm) 5,5-8,0 5,4-7,0 8,4<br />

Densità (g/cm 3 ) 1,75-1,80 1,78-1,81 1,96<br />

Contenuto di carbonio (%) 92-95 >99 >99<br />

Resistenza a trazione (MPa) 3105-4555 2415-2555 1865<br />

Modulo tensile (GPa) 228-262 359-393 517<br />

Allungamento a rottura (%) 1,3-1,8 0,6-0,7 0,38<br />

Tabella 3.1 Proprietà di fibre di carbonio prodotte da PAN<br />

È molto importante controllare la ritrazione della fibra durante la fase di<br />

ciclizzazione a 220-260 °C, in quanto in questa fase viene determinato l’allineamento<br />

dei segmenti molecolari lungo l’asse della fibra, orientamento da cui dipende il<br />

modulo elastico finale.<br />

L’orientamento molecolare impartito alla fibra acrilica originale influenza la tenacità<br />

ed il modulo elastico della fibra finale. Un eccessivo orientamento è negativo perché<br />

introduce difetti superficiali all’interno della fibra.<br />

50


Le reazioni che avvengono per la formazione della fibra di carbonio sono le<br />

seguenti. Riscaldando il poliacrilonitrile, il calore fa ciclizzare i gruppi laterali ciano<br />

delle unità ripetitive e si formano degli anelli.<br />

Innalzando la temperatura di riscaldamento, gli atomi di carbonio perdono via i<br />

loro idrogeni rendendo gli anelli aromatici.<br />

E’ interessante notare come, nel caso<br />

di fibre prodotte da PAN, le proprietà<br />

meccaniche siano influenzate dalla<br />

temperatura di carbonizzazione: con<br />

l’aumentare di detta temperatura il<br />

modulo elastico cresce sempre mentre<br />

la resistenza raggiunge un massimo a<br />

circa 1500 °C.<br />

51


Innalzando ancora la temperatura a circa 400-600 o C le catene adiacenti si uniscono<br />

tra loro così:<br />

52


Questo processo libera idrogeno gassoso e ci dà un polimero a nastro costituito da<br />

anelli uniti tra loro. Si porta la temperatura da 600 fino a 1300 o C; facendo i nostri<br />

nastri appena formati si uniranno tra loro per dare origine a nastri ancora più larghi<br />

come questi:<br />

Quando ciò accade si libera azoto gassoso. Come si vede il polimero che si ottiene<br />

ha atomi di azoto lungo i bordi, e questi nuovi larghi nastri possono quindi ancora<br />

fondersi per formare nastri ancora più larghi. Tanto più ciò avviene, tanto più viene<br />

espulso azoto. Giunti alla fine, i nastri sono davvero molto larghi e gran parte<br />

dell'azoto se ne è andata, lasciandoci dei nastri che sono per lo più puro carbonio<br />

nella forma di grafite. Ecco perché questi polimeri si chiamano fibre di carbonio.<br />

Si valuta che il 75% circa delle fibre di carbonio venga oggi utilizzato per<br />

applicazioni nel settore aeronautico: infatti, le elevate prestazioni meccaniche,<br />

ottenibili con <strong>compositi</strong> a fibre continue di carbonio, la loro provata affidabilità, il<br />

loro peso ridotto (a parità di proprietà meccaniche) e i minori costi hanno<br />

53


determinato, proprio in tale settore, specialmente negli ultimi anni, un loro crescente<br />

uso.<br />

FIBRE DI CARBONIO DA PECE<br />

Il pitch, pece o residuo catramoso, è il residuo della distillazione del catrame o del<br />

petrolio e consiste di migliaia di idrocarburi aromatici che formano un sistema multi-<br />

eutettico con temperature di rammollimento tra 50 e 300 °C di gran lunga inferiori<br />

alle temperature di fusione dei componenti aromatici puri. Per trattamento termico tra<br />

400 e 450 °C si forma una mesofase, ovvero cristalli liquidi aventi un ordine<br />

molecolare intermedio tra quello dei cristalli e quello di un liquido. Per il gradiente di<br />

scorrimento, durante l’estrusione dal fuso, si ottiene una fibra precursore di quella di<br />

carbonio; le molecole della mesofase vengono orientate lungo l’asse della fibra.<br />

Il processo di produzione di fibre di carbonio da mesofase della pece è così<br />

riassunto: il precursore pece o catrame viene trattato termicamente sopra 350 °C per<br />

essere convertito in mesofase contenente le due fasi isotropa ed anisotropa. Dopo<br />

estrusione, a circa 380 °C, la fase isotropa viene resa infusibile per termofissaggio in<br />

aria ad una temperatura al di sotto del punto di rammollimento a circa 300 °C. La<br />

fibra viene infine carbonizzata a 1000 °C o trattata a temperature superiori a 2000 °C<br />

per produrre fibre di grafite ad elevato modulo elastico.<br />

Proprietà Thornel P55S Thornel P75S Thornel P100<br />

Diametro (µm) 10 10 10<br />

Densità (g/cm 3 ) 2,02 2,06 2,15<br />

Contenuto di carbonio (%) 99 99 >99<br />

Resistenza a trazione (MPa) 1895 2070 2240<br />

Modulo tensile (GPa) 380 517 690<br />

Allungamento a rottura (%) 0,5 0,4 0,3<br />

Tabella 3.2 Proprietà di fibre di carbonio prodotte da catrame<br />

54


I vantaggi principali di questo processo è che non è richiesta alcuna tensione dei<br />

filamenti durante la fase di carbonizzazione e di grafitizzazione ed i tempi delle<br />

singole fasi che sono molto più brevi del processo da PAN. Si può notare,<br />

confrontando i dati caratteristici dei due tipi di fibre, che quelle ottenute da catrame<br />

presentano un elevato modulo elastico a scapito della resistenza, superiore per le<br />

fibre ottenute partendo dal poliacrilonitrile.<br />

55


FIBRE ARAMMIDICHE<br />

Le fibre arammidiche, il cui sviluppo è iniziato negli anni ’50 ad opera di<br />

ricercatori della Du Pont, vengono ottenute da poliammidi aromatiche.<br />

La reazione tra 1,4-fenilendiammina (para-fenilendiammina) con il cloruro di<br />

tereftaloile da vita alla catena polimerica nota con il nome di Kevlar.<br />

Tra le fibre arammidiche, il Kevlar è quella attualmente più diffusa, prodotta in<br />

quattro diverse tipologie (Kevlar, Kevlar 29, 49, e 149), ma già da alcuni anni altre<br />

fibre della stessa famiglia vengono prodotte e commercializzate (Tab. 3.3). Il kevlar<br />

29 viene impiegato nella fabbricazione di cavi, cordami, tessuti per vele e indumenti<br />

protettivi balistici, mentre il 49 è utilizzato come fibra di rinforzo nei laminati<br />

<strong>plastici</strong>. Il kevlar, dal caratteristico colore giallo-oro, offre ottime doti di leggerezza -<br />

il suo peso specifico è quasi la metà di quello del vetro - e una elevata resistenza a<br />

trazione unita a un contenuto allungamento a rottura.<br />

Polimero Nome fibra Produttore<br />

Poli-m-fenilene isoftalammide Nomex du Pont<br />

Conex Teijin<br />

Polibenzammide PRD 49 du Pont<br />

Poli-p-fenilene tereftalammide Kevlar du Pont<br />

Twaron AKzo<br />

Politereftaloil-p-amminobenzidrazina X-500 Monsanto<br />

Poliammidobenziimidazolo FVM Russia<br />

Tabella 3.3 Nomi, produttori e composizione delle fibre arammidiche<br />

56


Il processo di produzione di tali fibre è piuttosto complesso, prevedendo nel caso<br />

del Kevlar: estrusione in acqua di una pasta contenente il 20% di polimero in acido<br />

solforico (che presenta comportamento liquido-cristallino), neutralizzazione della<br />

fibra mediante NaOH, trattamenti termici e stiro.<br />

Una caratteristica tipica del Kevlar è la modalità di frattura, che avviene per<br />

sfibratura (splitting) in microfibrille, quando viene sottoposta a trazione, e con la<br />

formazione di zone di schiacciamento (buckling) e di attorcigliamento (kinking),<br />

quando è sottoposta a compressione. La cattiva resistenza agli sforzi di compressione<br />

è il motivo per cui il suo uso per la realizzazione di <strong>compositi</strong> è sconsigliato nel caso<br />

di strutture soggette a carichi di compressione o, per carichi di flessione, nelle zone<br />

nelle zone delle strutture soggette a compressione. La tipologia di frattura del Kevlar,<br />

con la formazione di fibrille, consente invece la dissipazione di elevate energie di<br />

frattura, impartendo al composito elevata resistenza all’impatto.<br />

Nel corso degli anni, questo tipo di fibra sintetica ha ricevuto miglioramenti<br />

notevoli in termini di resistenza meccanica. Fin dall'inizio essa si dimostrò<br />

promettente, con una resistenza rispetto all'acciaio, beninteso a parità di massa (non<br />

certo di spessore, perché la densità è molto più bassa), di oltre 2 volte. Questo era un<br />

risultato notevole, e ben presto comparvero materiali leggeri per la protezione dei<br />

soldati in Vietnam, sia individuale che per i velivoli.<br />

Con il tempo si è arrivati a prodotti ancora più resistenti, che offrono un rapporto<br />

di almeno 5:1 sull'acciaio. Ovviamente, questo riguarda la resistenza meccanica, ma<br />

non quella al logorio né tanto meno quella al calore: non esistono ingranaggi in<br />

kevlar, o parti di motore in tal materiale. Queste fibre presentano costi inferiori<br />

rispetto a quelle di carbonio.<br />

Vantaggi:<br />

o massa volumica molto bassa;<br />

o buona resistenza a rottura;<br />

o ottima resistenza all’impatto.<br />

57


Svantaggi:<br />

o fortemente danneggiabili dall’umidità;<br />

o rapido calo delle proprietà meccaniche all’aumentare della temperatura<br />

d’esercizio;<br />

o resistenza a compressione molto più bassa, (circa un quarto) di quella a<br />

trazione.<br />

Alcune precisazioni sulla fibra Nomex. E’ stata commercializzata a metà degli anni<br />

sessanta. È disponibile in diverse forme: fiocco, filati, strutture laminari e cartoni. In<br />

tutte queste varianti presenta una resistenza stupefacente al calore e alla fiamma ed<br />

eccellenti caratteristiche di isolamento elettrico. Questa combinazione di proprietà la<br />

rende adatta a una vasta gamma di applicazioni. Sotto forma di fibra (fiocco e filati)<br />

viene impiegata principalmente per indumenti protettivi e come feltro o tessuto per la<br />

filtrazione di gas caldi; sotto forma di carta o cartone viene utilizzata per isolamento<br />

elettrico e come struttura a nido d'ape, a basso peso, per materiali <strong>compositi</strong>. Una<br />

piccola curiosità: i piloti automobilistici indossano tute in Nomex III (materiale<br />

composito contenente Kevlar) per le sue proprietà ignifughe. Sui circuiti di Formula<br />

1, Niki Lauda e Gerhard Berger, tra i piloti più famosi, sono sopravvissuti agli<br />

incendi delle loro monoposto grazie alle tute in Nomex.<br />

FIBRE CERAMICHE<br />

Le fibre ceramiche sono impiegate soprattutto come fibre refrattarie per impieghi<br />

che superano i 1000 °C e sono caratterizzate da una struttura policristallina piuttosto<br />

che amorfa. Le fibre ceramiche refrattarie sono utilizzate soprattutto per l’isolamento<br />

termico ad alte temperature e per la realizzazione di <strong>compositi</strong> speciali. Si tratta di<br />

fibre aventi proprietà assolutamente eccezionali, di gran lunga superiori a quelle<br />

dell’acciaio e delle altre fibre normalmente usate; purtroppo il metodo stesso di<br />

fabbricazione pone dei problemi di costo, per cui questo tipo di fibra presenta un<br />

58


costo elevatissimo il che la rende disponibile ancora in piccoli quantitativi per<br />

applicazioni speciali, come l’aerospaziale.<br />

FIBRE DI BORO<br />

Le fibre Boron si ottengono mediante un procedimento che prevede la deposizione<br />

di microgranuli di boro su una sottile fibra di tungsteno che fa da supporto per la<br />

deposizione, quindi anche la fibra può essere considerata un materiale composito. Tra<br />

le fibre di rinforzo, il boro è inoltre l'unico ad avere eccezionale resistenza non solo a<br />

trazione, ma anche a compressione e flessione, unitamente ad alto modulo e bassa<br />

densità. Le caratteristiche fisico-meccaniche del BORON sono:<br />

- densità 2,58 (g/cm 3 );<br />

- tenacità 13,6 (cN/dtex);<br />

- allungamento a rottura 0,8 (%);<br />

- temperatura di fusione 2.000 (°C).<br />

Oltre alle sopraindicate eccezionali resistenze a trazione e a temperatura, la fibra<br />

di boro presenta buona resistenza agli acidi e agli alcali, ottima resistenza ai solventi<br />

organici, ai raggi ultravioletti ed ai microrganismi.<br />

Si tratta di una fibra molto particolare, ottenuta con tecnologie sofisticate che<br />

comportano una produzione molto complessa: il suo costo è di conseguenza alto.<br />

D’altro canto il Boron trova applicazione quasi esclusivamente in nicchie ristrette<br />

come quella dei <strong>compositi</strong> in grado di resistere a temperature elevatissime.<br />

FIBRE DI VETRO<br />

Certamente quando si parla di fibre di vetro non si può fare a meno di ricordare<br />

l’uso più diffuso e praticato e cioè la “vetroresina”. Materiale composito formato da<br />

fibra di vetro e resina plastica, in genere a base di poliestere, vinilestere o epossidica.<br />

Le fibre si ottengono con un processo abbastanza rapido ed economico: il vetro fuso<br />

59


ad alta temperatura viene stirato a elevata velocità attraverso una filiera e<br />

bruscamente raffreddato. Le fibre cosi’ ottenute, dette bavelle, hanno un diametro<br />

compreso tra i 5 e i 15 micron e vengono immediatamente riunite in un filato<br />

continuo. Quest'ultimo subisce poi una serie di trattamenti speciali di finitura che<br />

serviranno a proteggerlo durante la manipolazione futura e a facilitarne<br />

l'impregnazione in fase di laminazione. A seconda della purezza si possono ottenere<br />

diversi tipi di vetro; tra quelli più usati i vetri E, R e S; il primo è caratterizzato da<br />

buona resistenza e modesto modulo elastico. Migliori caratteristiche meccaniche<br />

hanno invece i tipi R e S, sviluppati nei primi anni '50 in seguito a richieste specifiche<br />

di numerose industrie.<br />

A partire dagli anni sessanta la vetroresina ha avuto molte applicazioni per la<br />

costruzione di oggetti esposti agli agenti atmosferici, in particolare imbarcazioni,<br />

grazie soprattutto alle doti di estrema leggerezza e di resistenza alla corrosione in<br />

ambienti basici come l'acqua marina.<br />

Era il primo materiale plastico composito, stampabile a freddo, senza pressione e<br />

che, adeguatamente rinforzato, migliorare notevolmente le caratteristiche di<br />

resistenza meccanica. Per simili motivi ha avuto molte applicazioni nell'edilizia sia<br />

industriale, sia civile, in particolare in seguito agli studi sugli effetti della respirazione<br />

delle polveri dell'Eternit, un materiale precedentemente sfruttato ampiamente nelle<br />

coperture industriali. In campo industriale essa è anche utilizzata per la realizzazione<br />

di serbatoi atmosferici per liquidi. Grazie ad un'altra proprietà, quale la scarsa<br />

conducibilità elettrica, la vetroresina è spesso usata per la costruzione di coperture di<br />

apparecchiature elettrotecniche. Presenta le seguenti caratteristiche<br />

o Resistenza a flessione: superiore a qualsiasi altro prodotto utilizzato per la<br />

costruzione di carrozzerie in genere;<br />

o Resistenza all’urto: grazie alla elevata flessibilità assorbe notevolmente gli urti<br />

riducendone gli effetti negativi sulla struttura e riducendo altresì i rischi per gli<br />

occupanti dell’abitacolo;<br />

60


o Resistenza tecnica: una carrozzeria in vetroresina possiede un’ottima<br />

climatizzazione. In climi freddi la struttura ha una bassissima dispersione di<br />

calore interno. In climi caldi protegge dalle radiazioni solari.<br />

61


COMPOSITI CON FIBRE CORTE<br />

PROPRIETA’ MECCANICHE<br />

Gli effetti dell’orientamento sono molto importanti nella valutazione delle<br />

caratteristiche meccaniche del materiale composito.<br />

Nella figura sottostante, vengono rappresentate fibre lunghe fibre corte disposte in<br />

modo casuale e fibre corte parallele e allineate tra loro. L’anisotropia è originata<br />

dall’orientazione indotta sulle particelle di rinforzo, la cui forma è prevalentemente<br />

allungata, dalle tecniche di formatura dei manufatti. Un caso estremo si ha nei<br />

materiali con fibre lunghe disposte parallelamente (prima figura a sinistra), il cui<br />

modulo elastico in direzione parallela a quelle delle fibre è molto maggiore che in<br />

direzione trasversale.<br />

Mentre nel caso di <strong>compositi</strong> a fibra lunghe è relativamente facile valutare le<br />

proprietà elastiche del composito in funzione dell’orientamento delle fibre, nel caso<br />

di <strong>compositi</strong> a fibre corte la cosa è un po’ più complessa. Nella figura sottostante è<br />

rappresentato l’andamento delle linee di forza di un composito contenente una fibra<br />

di lunghezza l e di diametro d, a riposo e in trazione.<br />

62


Consideriamo dapprima il caso in cui tutte le fibre sono allineate tra di loro. Una<br />

sollecitazione applicata al materiale viene trasmessa a ogni singola fibra mediante<br />

sforzi di taglio all’interfaccia fibra-matrice; si determina in questo modo una<br />

sollecitazione tensile sulla fibra stessa. Partendo da queste considerazioni, e<br />

assumendo un comportamento elastico lineare della matrice e della fibra, Cox ha<br />

sviluppato un modello secondo il quale lo sforzo tensile medio σ f , sulla fibra di<br />

lunghezza l è dato dalla relazione seguente:<br />

Il termine<br />

_<br />

σ<br />

f<br />

=<br />

( ) ⎥ ⎥⎥⎥<br />

⎡ ⎛ l ⎞⎤<br />

⎢ tanh( ς ) ⎜ ⎟<br />

⎢ ⎝ 2<br />

ε 1−<br />

⎠<br />

⎢ ⎛ l ⎞<br />

⎢<br />

cosh ς ⎜ ⎟<br />

⎣ ⎝ 2 ⎠⎦<br />

E f f<br />

( ) ⎥ ⎥⎥⎥<br />

⎡ ⎛ l ⎞⎤<br />

⎢ tanh( ς ) ⎜ ⎟<br />

⎢ ⎝ 2<br />

1−<br />

⎠<br />

prende il nome di fattore di efficienza della lunghezza.<br />

⎢ ⎛ l ⎞<br />

⎢<br />

cosh ς ⎜ ⎟<br />

⎣ ⎝ 2 ⎠⎦<br />

Se assumiamo un impaccamento esagonale delle fibre, ς vale:<br />

Dove: d f = diametro delle fibre<br />

2<br />

ς<br />

=<br />

E<br />

f<br />

d<br />

f<br />

16G<br />

⎛<br />

ln⎜<br />

⎜<br />

⎝<br />

G m = modulo di taglio della matrice.<br />

m<br />

2π<br />

3Φ<br />

f<br />

⎞<br />

⎟<br />

⎟<br />

⎠<br />

63


In particolar modo ς è proporzionale al rapporto di forma tra la lunghezza della<br />

fibra e il suo diametro. Si tratta di un parametro critico nella trasmissione degli<br />

sforzi: per un migliore trasferimento del carico il rapporto di forma deve essere il<br />

maggiore possibile, quindi l maggiore il più possibile di d.<br />

La sollecitazione media in un composito si assume pari a:<br />

( 1 − f ) σ m<br />

−<br />

−<br />

σ = Φ f σ f + Φ<br />

Da cui il modulo elastico del composito:<br />

Il modulo elastico del composito è<br />

così ricondotto a quello dei<br />

componenti, alla quantità di fibra e ai<br />

suoi parametri geometrici. Poiché il<br />

diametro delle fibre è costante in<br />

pratica, l’unica variabile geometrica è<br />

la lunghezza. La figura mostra la<br />

dipendenza del modulo elastico dalla<br />

lunghezza delle fibre nel caso di<br />

polipropilene contenente fibra di vetro.<br />

⎡ ⎛ l ⎞⎤<br />

⎢ tanh( ς ) ⎜ ⎟⎥<br />

Ec f E ⎢ ⎝ 2<br />

= Φ<br />

⎥<br />

f ε m 1−<br />

⎠<br />

+ 1 Φ<br />

⎢ ⎛ l ⎞⎥<br />

⎢<br />

cosh(<br />

ς ) ⎜ ⎟⎥<br />

⎣ ⎝ 2 ⎠⎦<br />

( − f ) Em<br />

E’ importante far notare che buoni valori di rigidezza si ottengono anche con fibre<br />

corte, a volte anche molto corte, con il vantaggio di poter utilizzare per questi<br />

materiali li tradizionali tecnologie di formatura (estrusione e iniezione).<br />

Più complesso è determinare il modulo elastico in direzione ortogonale, E 90 . Una<br />

64


valutazione può essere effettuata utilizzando la relazione seguente:<br />

1<br />

E<br />

90<br />

σ f<br />

=<br />

E<br />

f<br />

1−<br />

Φ<br />

+<br />

E<br />

Poiché spesso la fibra è molto più rigida della matrice:<br />

E<br />

90<br />

Em<br />

≅<br />

1−<br />

Φ<br />

Che è un valore non molto più elevato di quello della matrice. In pratica è difficile<br />

che si verifichi la condizione di perfetto parallelismo delle fibre; molto spesso anzi si<br />

producono durante lo stampaggio variazioni molto estese di orientazione.<br />

In questo caso il calcolo diventa molto più difficile sia perché l’efficienza di<br />

ciascuna fibra varia al variare dell’orientazione della fibra rispetto alla direzione del<br />

carico applicato, sia perché è necessario conoscere la reale distribuzione delle fibre in<br />

seno al materiale.<br />

Possiamo introdurre nell’espressione<br />

f<br />

m<br />

( ) ⎥ ⎥⎥⎥<br />

⎡ ⎛ l ⎞⎤<br />

⎢ tanh( ς ) ⎜ ⎟<br />

⎢ ⎝ 2<br />

1−<br />

⎠<br />

⎢ ⎛ l ⎞<br />

⎢<br />

cosh ς ⎜ ⎟<br />

⎣ ⎝ 2 ⎠⎦<br />

f<br />

un termine η noto come<br />

fattore di orientamento di Krenchel, parametro adimensionale che varia da 0 ad 1<br />

quando tutte le fibre sono parallele. Se si trascurano deformazioni trasversali il fattore<br />

di orientamento di Krenchel, può essere ricavato da un calcolo statistico<br />

sull’orientazione delle fibre:<br />

η<br />

∑<br />

= n<br />

a<br />

n<br />

dove a n è la frazione di fibre orientate ad un angolo Φ n rispetto la direzione di<br />

orientazione del carico. Nel caso limite in cui le fibre sono orientate casualmente su<br />

di un piano si ottiene η = 0,375, se invece sono orientate casualmente in tre direzioni<br />

η = 0,2. Per esempio pin un composito laminare rinforzato con fibre più lunghe dello<br />

spessore della lamina ci si aspetta che le fibre siano disposte prevalentemente in due<br />

dimensioni η =0,375; il valore di η può deviare da quello previsto dal calcolo<br />

4<br />

cos<br />

statistico a causa di fibre sporgenti dal piano o piegate.<br />

Quando si analizzano le proprietà meccaniche di un composito rinforzato con fibre<br />

Φ<br />

n<br />

65


corte, un altro parametro fondamentale (oltre alla quantità, alla lunghezza,<br />

all’orientamento delle fibre) per ottenere l’effetto di rinforzo è l’adesione fibra-<br />

matrice. In un composito sottoposto a trazione gli sforzi di taglio interfacciali τ i ,<br />

sono massimi alle estremità delle fibre.<br />

Aumentando la deformazione, le estremità sono i punti in cui l’interfaccia cede<br />

per prima; quando τ i raggiunge il valore della frizione inizia il “debonding”, lo<br />

sfilamento delle fibre dalla matrice. Nella regione di debonding (δ ), misurata dal<br />

centro della fibra, le fibre semplicemente scivolano dalla matrice.<br />

E’ definita lunghezza critica della fibra l c , come quella lunghezza al disotto della<br />

quale la regione di debonding si estende lungo tutta la fibra prima che il composito<br />

ceda. In questo caso le fibre non raggiungono il carico di rottura ma scivolano fuori<br />

dalla matrice e non si rompono. Riprenderemo il discorso più avanti.<br />

Per quanto riguarda la resistenza a rottura, una semplice stima può farsi secondo<br />

la legge delle miscele:<br />

Dove σ fb = resistenza delle fibre;<br />

( ) '<br />

− f σ<br />

σ b = Φ f σ fb + 1 Φ m<br />

σ = sforzo applicato alla matrice al momento della rottura.<br />

'<br />

m<br />

Questa relazione in effetti sovrastima per vari motivi l’effetto della resistenza reale<br />

dei <strong>compositi</strong>. Una causa importante di cedimento è data dalla distribuzione non<br />

uniforme degli sforzi lungo le fibre ed è possibile utilizzare l’analisi di Cox già vista.<br />

Il carico medio massimo sostenibile da una fibra risulta cosi inferiore a quello<br />

massimo; la relazione che lega i due carichi è la seguente:<br />

dove ( l l )<br />

c<br />

c<br />

−<br />

⎛ lc ⎞<br />

σ f max = ⎜1−<br />

⎟⎠ σ fb<br />

l > = lunghezza critica della fibra data da:<br />

Dove: d = diametro della fibra;<br />

l<br />

c<br />

⎝<br />

2l<br />

σ fbd<br />

=<br />

2τ<br />

τ i = sforzo di taglio sostenibile dall’interfaccia.<br />

i<br />

66


Nel caso in cui la lunghezza delle fibre sia maggiore di quella critica la rottura del<br />

materiale comporta la rottura delle fibre a causa dello sforzo tensile ad esse applicato;<br />

la sollecitazione di rottura del materiale è pertanto:<br />

' ( − ) σ<br />

τ il<br />

σ b = Φ f + 1 Φ f m<br />

d<br />

Se invece le fibre sono molto corte, lc < l , la sollecitazione tensile sulla fibra sarà<br />

più bassa e pari a 2τ / d;<br />

la sollecitazione a rottura del materiale è allora:<br />

i<br />

Come si osserva dall’espressione<br />

' ( 1−<br />

) σ<br />

⎛ lc<br />

⎞<br />

σ b = σ fbΦ<br />

f ⎜1−<br />

⎟ + Φ f m<br />

⎝ 2l<br />

⎠<br />

l<br />

σ<br />

d<br />

fb<br />

c = , il valore della lunghezza critica<br />

2τ<br />

i<br />

diminuisce all’aumentare della frizione interfacciale, perciò è inversamente<br />

proporzionale all’adesione fibra-matrice: maggiore è l’interfaccia fibra-matrice più<br />

corte possono essere le fibre per avere un rinforzo efficiente.<br />

Ovviamente nel caso in cui nel materiale ci sia una distribuzione di lunghezze<br />

delle fibre con un a certa frazione di lunghezza inferiore a quella critica, sarà<br />

necessario fare una media pesata tra le equazioni precedenti.<br />

Visto che tutte le lavorazioni dei <strong>compositi</strong> a fibra corta comportano una riduzione<br />

della lunghezza delle fibre è fondamentale avere elevati valori di τ i perchè risultino<br />

bassi i valori di l c , in modo che anche dopo la formatura del manufatto, una frazione<br />

consistente del rinforzo conservi una lunghezza maggiore di quella critica. I valori<br />

tipici della lunghezza critica per varie coppie fibra/matrice polimerica sono<br />

dell’ordine dei 100-300μm.<br />

Nel caso di perfetto allineamento delle fibre l’efficienza del rinforzo ha un<br />

andamento del tutto simile a quello già visto per il modulo elastico. Si può assicurare<br />

che già fibre 10 volte più lunghe di l c sarebbero in grado di assicurare rinforzi<br />

prossimi a quelli delle fibre lunghe.<br />

Nella realtà i carichi massimi sostenibili sono inferiori a quelli previsti dalle<br />

equazioni precedenti principalmente a causa di due fattori:<br />

67


o orientazione casuale delle fibre;<br />

o effetto delle terminazioni delle fibre stesse.<br />

Quest’ultimo effetto è particolarmente deleterio e determina, a causa della<br />

concentrazione dello sforzo, il cedimento prematuro della matrice. Inoltre, la<br />

vicinanza relativa delle fibre (un fattore non considerato nella derivazione di tutte le<br />

relazioni proposte) impone sforzi supplementari alla matrice. Questo effetto da solo<br />

può bastare a ridurre meno del 50% la resistenza di un composito a fibre corte con<br />

l >> lc<br />

rispetto a uno a fibre lunghe.<br />

La resistenza massima diminuisce se il materiale viene sollecitato in una direzione<br />

che forma un angolo Θ non nullo nella direzione di allineamento delle fibre<br />

(assumendo che le fibre siano in effetti tutte allineate).<br />

E’ stato proposto che a seconda del valore dell’angolo, la resistenza del materiale<br />

sia data dalle relazioni seguenti:<br />

o<br />

σ<br />

= σ sen<br />

b<br />

b<br />

2<br />

Θ<br />

68


2<br />

σ = 2τ cosec<br />

Θ<br />

b<br />

σ = σ<br />

b<br />

i<br />

fb<br />

2<br />

cosec<br />

Rispettivamente per piccoli, intermedi e prossimi alla normalità valori dell’angolo.<br />

La figura seguente mostra che anche un lieve disorientamento delle fibre causa una<br />

grave perdita della resistenza del materiale.<br />

La resistenza a frattura, soprattutto in condizioni d’urto, è fondamentale per<br />

estendere il comportamento dei materiali <strong>compositi</strong>. In particolare, si richiede che il<br />

materile sia in grado di assorbire grandi quantità di energia senza che questo comporti<br />

un danneggiamento catastrofico (materiali impact tolerant). A tal fine è necessario<br />

inserire nel materiale meccanismi energeticamente dissipativi e che limitino gli effetti<br />

connessi con le concentrazione di sforzo causato dalle fibre stesse. Oltre ad<br />

Θ<br />

69


incrementare la tenacità della matrice è possibile intervenire sulla resistenza<br />

dell’interfaccia fibra/matrice indebolendola. Questo accorgimento è in contrasto con<br />

quanto visto in precedenza, per cui possiamo affermare che le resistenze in condizioni<br />

impulsive e in condizioni statiche sono proprietà contrapposte. Il frapporre sul<br />

cammino di un difetto un’interfaccia debole è un efficace mezzo per smussare l’apice<br />

del difetto diminuendone cosi’ la pericolosità (meccanismo di Cook-Gordon).<br />

Un altro efficace meccanismo di assorbimento di energia si determina favorendo<br />

lo sfilamento delle fibre dalla matrice (meccanismo di pull-out, espulsione) in modo<br />

da trasformare parte dell’energia di impatto in lavoro di estrazione. E’ evidente che se<br />

la lunghezza delle fibre è maggiore di quella critica le fibre si romperanno piuttosto<br />

che sfilarsi: anche in questo le condizioni per ottimizzare resistenze statiche e<br />

dinamiche divergono.<br />

E’ stato valutato che il lavoro di estrazione W, delle fibre con l < lc<br />

è pari a:<br />

2<br />

W = Φ τ l / 12d<br />

mentre quello delle fibre lunghe l > lc<br />

è pari a:<br />

f<br />

f<br />

i<br />

3<br />

il<br />

c<br />

W = Φ τ / 12d<br />

Riportando in un grafico le due precedenti espressioni si nota che il massimo<br />

lavoro dissipato si ha quando la lunghezza delle fibre è uguale a quella critica:<br />

f<br />

f<br />

l<br />

f<br />

Se quindi per aumentare σ b oppure<br />

E, risulta necessario usare fibre per cui<br />

l ≅ 10l<br />

per aumentare la resistenza alla<br />

frattura occorre che l ≅ l . Si possono<br />

cercare compromessi tra resistenza a<br />

trazione e resistenza alla frattura<br />

utilizzando contemporaneamente fibre<br />

di lunghezza diversa che soddisfino le<br />

condizioni viste.<br />

c<br />

70


A parità di quantità e di lunghezza della carica fibrosa la resistenza all’impatto, nel<br />

caso di fibre orientate, dipenderà dalla direzione di applicazione del carico,<br />

similmente quanto avviene per il modulo elastico.<br />

71


COMPOSITI CON FIBRE LUNGHE<br />

I materiali <strong>compositi</strong> hanno peculiarità che li distinguono in modo netto dai<br />

tradizionali materiali dell'ingegneria strutturale. Mentre alcune caratteristiche infatti<br />

possono essere viste come variazioni del comportamento rispetto ai materiali<br />

convenzionali, altre sono completamente nuove e richiedono pertanto nuovi modelli<br />

analitici di descrizione del comportamento strutturale e appropriate procedure di<br />

analisi sperimentale.<br />

Un aspetto importante da mettere in evidenza, soprattutto con <strong>compositi</strong> a fibre<br />

lunghe, è la possibilità di realizzare, con fibre disposte nelle opportune direzioni,<br />

materiali con proprietà fortemente anisotrope, ma tale anisotropia può anche essere<br />

progettata in funzione delle direzioni e dei valori delle sollecitazioni esterne<br />

applicate, fino a giungere, con un’opportuna orientazione delle fibre o sequenza di<br />

laminazione, a materiali con proprietà approssimativamente isotrope. La figura<br />

seguente e la tabella 3.6 riportano, a titolo d’esempio, i moduli elastici, al variare<br />

dell’orientazione delle fibre, in una lamina, e le costanti elastiche di tre diversi<br />

laminati con diverse sequenze di laminazione.<br />

72


Laminato* Ex = Ey (GPa) νxy Gxy (GPa)<br />

0/90 92,46 0,038 4,5<br />

[±45]s 16,4 0,829 44,5<br />

[0/90/+45/-45/90/0]s 75,64 0,213 17,9<br />

Tabella 3.6 Proprietà elastiche dei laminati<br />

L’aggiunta di fibre lunghe in genere migliora le proprietà meccaniche di un<br />

materiale composito. L’incremento di proprietà meccaniche dipende essenzialmente<br />

dalle proprietà delle fibre e della matrice, dalla loro frazione volumetrica, dalla<br />

geometria della struttura, dalle modalità di sollecitazione e dall’orientazione di<br />

applicazione del carico. In funzione dell’orientazione del carico e del tipo di proprietà<br />

meccanica considerata anche il tipo d’interfaccia e la qualità dell’adesione che si<br />

realizza tra fibra e matrice possono essere di importanza rilevante.<br />

Nel caso di <strong>compositi</strong> con particelle o fibre corte gli sforzi applicati al composito<br />

vengono trasmessi all’elemento di carica esclusivamente attraverso la matrice. Se la<br />

fibra è continua, una parte più o meno grande di tali sforzi può risultare direttamente<br />

applicata alla fibra, in funzione della direzione di applicazione del carico rispetto a<br />

quella di orientazione della fibra.<br />

La progettazione delle proprietà meccaniche di una struttura in materiale<br />

composito passa attraverso la determinazione delle proprietà di una lamina.<br />

Nel caso più semplice di una lamina con fibre unidirezionali e carico applicato alla<br />

struttura nella direzione delle fibre, fibre e matrice sopportano il carico applicato<br />

secondo aliquote che dipendono dal rapporto tra i moduli elastici di fibra e matrice e<br />

dalla frazione volumetrica delle fibre. La modellazione delle proprietà elastiche del<br />

composito, in questo caso, è semplice; considerando che fibre e matrice subiscono<br />

sotto l’applicazione del carico uguale deformazione, il modulo elastico del composito<br />

Ec può essere valutato attraverso la “regola delle miscele” che media i moduli elastici<br />

dei due componenti, Ef ed Em, attraverso le rispettive frazioni volumetriche:<br />

73


Dai dati riportati nella seguente tabella si evince come, utilizzando fibre continue<br />

e disponendole tutte nella stessa direzione, è possibile ottenere materiali che nella<br />

direzione delle fibre presentano proprietà elastiche e resistenza anche di molto<br />

superiori a quelle di materiali tradizionalmente considerati forti (Eacciaio = 200 GPa).<br />

Fibra E L (GPa) E T (GPa) G LT (GPa) νxy σbL (MPa) σbT (MPa)<br />

Vetro E 45 12 4,4 0,25 1000 34<br />

Kevlar 49 76 5,5 2,1 0,34 1380 28<br />

Carbonio T-300 132 10,3 6,5 0,25 1240 45<br />

Boron 274 15 52 0,25 1310 34<br />

Metallo<br />

Al 2024-73 72,3 72,3 27,6 0,31 462 455<br />

Acciaio 4130 207 207 82,7 0,25 655 655<br />

Tabella 3.7 Proprietà meccaniche di <strong>compositi</strong> unidirezionali con Φf = 0,60 e i due metalli di<br />

riferimento<br />

La maggior parte dei materiali tradizionali possono essere descritti come materiali<br />

omogenei (con proprietà uniformi, non funzione della posizione), ed isotropi (con<br />

proprietà costanti in ogni direzione e in ogni punto, non funzione dell'orientazione).<br />

I materiali <strong>compositi</strong> sono invece spesso non omogenei (eterogenei) e non isotropi<br />

(anisotropi). Un solido eterogeneo ha proprietà non uniformi attraverso il corpo; le<br />

proprietà dipendono dal punto in cui si valutano. Un solido anisotropo ha le proprietà<br />

che sono differenti, in un punto del solido, in tutte le direzioni; non ci sono piani di<br />

simmetria delle proprietà del materiale ma le proprietà sono funzione<br />

dell'orientazione secondo cui si valutano. I materiali <strong>compositi</strong> sono generalmente<br />

materiali ortotropi. Un solido ortotropo è un materiale con proprietà che sono<br />

differenti in tre direzioni mutuamente perpendicolari tra loro; hanno quindi tre piani<br />

mutuamente perpendicolari di simmetria delle proprietà del materiale.<br />

A causa della natura eterogenea e del comportamento anisotropo dei materiali<br />

74


<strong>compositi</strong>, il loro studio può essere intrapreso attraverso due punti di vista: la<br />

micromeccanica e la macromeccanica. La micromeccanica è lo studio del<br />

comportamento del materiale composito attraverso le interazioni dei suoi componenti<br />

(matrice e rinforzo) esaminati in scala macroscopica e porta alla valutazione di come<br />

tali componenti possano essere scelti, proporzionati e disposti per ottenere particolari<br />

caratteristiche meccaniche (fig. seguente). Questo tipo di analisi può essere applicato<br />

alla progettazione del materiale sotto forma perciò di una sola lamina isolata, ovvero<br />

di un singolo strato o elemento di materiale composito in cui tutte le fibre sono<br />

MATRICE<br />

FIBRE<br />

LAMINA<br />

La micromeccanica è lo studio del comportamento del materiale composito attraverso<br />

l'interazione della matrice e del rinforzo.<br />

parallele tra loro. Una lamina può essere considerata come materiale ortotropo.<br />

Nelle applicazioni industriali i <strong>compositi</strong> si trovano generalmente sotto forma di<br />

laminati; il comportamento dei laminati può essere valutato come composizione del<br />

comportamento macroscopico delle lamine e quindi, in scala più ampia, come<br />

omogeneo e caratterizzato da proprietà meccaniche apparenti, globali, attraverso<br />

considerazioni a livello di macromeccanica dei <strong>compositi</strong> (fig. sotto).<br />

LAMINE LAMINATO<br />

75


La macromeccanica è lo studio del comportamento del materiale composito considerato come<br />

costituito da più lamine omogenee ortotrope caratterizzate da proprietà meccaniche globali<br />

apparenti.<br />

MACROMECCANICA DELLA LAMINA<br />

La lamina è il mattone fondamentale con cui sono costruiti i laminati. La<br />

conoscenza quindi del comportamento meccanico della lamina è fondamentale per<br />

prevedere e capire il comportamento dell'intera struttura in composito.<br />

Il comportamento macromeccanico di una lamina viene analizzato considerando<br />

solo le proprietà meccaniche globali apparenti del materiale supposto omogeneo ma<br />

non isotropo, prescindendo dalle interazioni tra i componenti.<br />

La legge Hooke per un materiale anisotropo omogeneo è data da:<br />

σi = Cij εj i,j = 1,..., 6 (3.1)<br />

dove i termini i sono espressi in forma semplificata per esprimere:<br />

dove:<br />

ε1 = ∂u<br />

∂x<br />

γ12 = ∂u<br />

∂y<br />

σ1 = σ11 σ4 = τ23<br />

σ2 = σ22 σ5 = τ31<br />

σ3 = σ33 σ3 = τ33<br />

; ε12= ∂v<br />

∂y<br />

∂v<br />

+<br />

∂x ; γ31 = ∂w<br />

∂x<br />

; ε3= ∂w<br />

∂z<br />

+ ; γ23= ∂v<br />

∂z<br />

+ ∂u<br />

∂y<br />

76


La matrice di rigidezza Cij è di 36 elementi ma si può dimostrare che è<br />

simmetrica, pertanto Cij = Cji ; le costanti di rigidezza indipendenti diventano<br />

pertanto 21.<br />

Se il materiale è ortotropo le costanti di rigidezza non nulle diventano 9:<br />

σ1 ⎧ ⎫ σ2 ⎪ ⎪ σ3<br />

⎨τ23⎬<br />

⎪τ31⎪<br />

⎩ ⎭<br />

τ12<br />

=<br />

⎪ C11<br />

⎪<br />

⎪<br />

⎪<br />

C12<br />

C13<br />

0<br />

0<br />

0<br />

C12<br />

C22<br />

C23<br />

0<br />

0<br />

0<br />

C13<br />

C23<br />

C33<br />

0<br />

0<br />

0<br />

0<br />

0<br />

0<br />

C44<br />

0<br />

0<br />

0<br />

0<br />

0<br />

0<br />

C55<br />

0<br />

0<br />

0<br />

0<br />

0<br />

0<br />

C66<br />

⎪ ⎧<br />

⎪ ⎪<br />

⎪ ⎨<br />

⎪<br />

⎪<br />

⎩<br />

ε1<br />

ε2<br />

ε3<br />

γ23<br />

γ31<br />

γ12<br />

Una singola lamina, si può ritenere che abbia uno spessore trascurabile rispetto<br />

alle altre dimensioni e pertanto si può pensare ad uno stato piano di tensione in cui si<br />

pone:<br />

e quindi si ha:<br />

σ33 = 0 , τ23 = 0 , τ31 = 0<br />

⎧ σ1 ⎫<br />

⎨ σ2 ⎬<br />

⎩τ12⎭<br />

=<br />

⎪<br />

⎪<br />

⎪<br />

Q11<br />

Q12<br />

0<br />

Q12<br />

Q22<br />

0<br />

0<br />

0<br />

Q66<br />

⎪<br />

⎪<br />

⎪<br />

⎧<br />

⎨<br />

⎩<br />

ε1 ⎫<br />

ε1 ⎬<br />

dove i termini Qij sono le costanti di rigidezza ridotte e possono essere espresse<br />

attraverso le costanti ingegneristiche:<br />

Q11 =<br />

γ12<br />

⎭<br />

⎫<br />

⎪<br />

⎬<br />

⎪<br />

⎭<br />

E11<br />

1 - ν12ν21 Q12 = ν12 E22<br />

1 - ν12 ν21 = ν21 E11<br />

1 - ν12 ν21<br />

77


Q22 =<br />

E22<br />

1 - ν12 ν21 Q66 = G12<br />

dove le direzioni 1 e 2 sono quelle principali di ortotropia del materiale.<br />

In tabella sono riportate le proprietà elastiche tipiche di alcuni materiali <strong>compositi</strong>.<br />

___________________________________________________________<br />

A B C D<br />

_____________________________________________________________<br />

GRAFITE /VETRO E/BORO/GRAFITE/<br />

PROPRIETA' EPOXY EPOXY EPOXYALLUMINIO<br />

_____________________________________________________________<br />

E1 (GPa) 137.5 42.7 206.8 124.1<br />

E2 (GPa) 14.5 11.7 14.5 24.8<br />

ν12 0.21 0.27 0.21 0.3<br />

G12 (GPa) 5.9 4.1 5.5 22.1<br />

Q11 (GPa) 138.6 43.6 211.7 126.2<br />

Q12 (GPa) 3.1 3.2 3.0 7.6<br />

Q22(GPa) 14.5 11.9 14.5 25.3<br />

Q66 (GPa) 5.9 4.1 5.5 22.1<br />

___________________________________________________________<br />

Proprietà elastiche di alcuni <strong>compositi</strong><br />

Dalle relazioni, si vede subito che:<br />

E11<br />

ν12 = E22<br />

ν21<br />

Per avere l'espressione dello stato di tensione riferito invece ad un sistema di<br />

78


iferimento qualunque sul piano x, y, orientato dell'angolo θ rispetto a x (fig.<br />

seguente), si opera la rotazione degli assi<br />

⎧ σx ⎫<br />

⎨ σy ⎬<br />

⎩τxy⎭<br />

=<br />

⎪M<br />

⎪<br />

2<br />

N2 MN<br />

⎪<br />

X<br />

Sistemi di riferimento sulla lamina.<br />

N2 M2 -MN<br />

θ<br />

-2MN ⎪<br />

2MN ⎪<br />

M2-N2 ⎪<br />

⎧ σ1 ⎫<br />

⎨ σ2 ⎬<br />

⎩τ12⎭<br />

dove M = cos θ e N = sin θ, che in forma compatta può essere scritta come:<br />

{σx;y;xy} = |T| -1 {σ1,2,12}<br />

dove con l'apice -1 si indica la matrice inversa.<br />

2<br />

Y<br />

1<br />

79


|T| -1 =<br />

⎪M<br />

⎪<br />

2<br />

N2 MN<br />

⎪<br />

Si può dimostrare anche che:<br />

e definendo<br />

dove<br />

⎧<br />

⎨<br />

⎩<br />

ricordando che:<br />

Si può ottenere:<br />

εx<br />

εy<br />

γxy<br />

2<br />

⎧<br />

⎨<br />

⎩<br />

⎫<br />

⎬<br />

⎭<br />

|R| =<br />

ε1 ⎫<br />

ε2 ⎬<br />

γ12<br />

⎭<br />

⎧ εx ⎫<br />

⎨ εy ⎬<br />

⎩γxy⎭<br />

⎧ σ1 ⎫<br />

⎨ σ2 ⎬<br />

⎩τ12⎭<br />

= |T| -1<br />

⎪ 1<br />

0<br />

0<br />

= |R|<br />

= |R|<br />

= |Q|<br />

N2 M2 -MN<br />

0<br />

1<br />

0<br />

⎧<br />

⎨<br />

⎩<br />

⎧<br />

⎨<br />

⎩<br />

⎧<br />

⎨<br />

⎩<br />

⎧<br />

⎨<br />

⎩<br />

-2MN ⎪<br />

2MN ⎪<br />

M2-N2 ε1<br />

ε2<br />

γ12<br />

2<br />

0⎪<br />

0⎪<br />

2⎪<br />

ε1<br />

ε2<br />

γ12<br />

2<br />

εx<br />

εy<br />

γxy<br />

2<br />

⎫<br />

⎬<br />

⎭<br />

⎫<br />

⎬<br />

⎭<br />

ε1 ⎫<br />

ε2 ⎬<br />

γ12<br />

⎭<br />

⎫<br />

⎬<br />

⎭<br />

⎪<br />

80


⎧ σx ⎫<br />

⎨ σy ⎬<br />

⎩τxy⎭<br />

= |T| -1<br />

Si può dimostrare che<br />

⎧ σ1 ⎫<br />

⎨ σ2 ⎬<br />

⎩τ12⎭<br />

|R| |T| |R| -1 = |T| T<br />

= |T| -1 |Q| |R| |T| |R| -1<br />

dove l'apice T indica la trasposta della matrice, e ponendo<br />

si ha:<br />

⎧ σx ⎫<br />

⎨ σy ⎬<br />

⎩τxy⎭<br />

= |Q _ |<br />

|Q _ | = |T| -1 |Q| |T| T<br />

⎧ εx ⎫<br />

⎨ εy ⎬<br />

⎩γxy⎭<br />

=<br />

⎪Q<br />

⎪<br />

_<br />

11<br />

Q _<br />

12<br />

Q _<br />

16<br />

⎪<br />

⎪<br />

Q _<br />

12<br />

Q _<br />

22<br />

Q _<br />

26<br />

Q _<br />

16<br />

Q _<br />

26<br />

Q _<br />

66<br />

⎪<br />

⎪<br />

⎪<br />

⎧ εx ⎫<br />

⎨ εy ⎬<br />

⎩γxy⎭<br />

⎧ εx ⎫<br />

⎨ εy ⎬<br />

⎩γxy⎭<br />

che rappresenta l'equazione costitutiva della lamina e dove: i termini Q _ ij formano<br />

la matrice di rigidezza della lamina riferita ad un sistema di riferimento x-y, tale che<br />

la direzione x forma un angolo θ con la direzione 1.<br />

Q _ 11 = Q11 cos 4 θ + 2 (Q12 + 2Q66) sin 2 θ cos 2 θ + Q22 sin 4 θ<br />

Q _ 12 = (Q11 + Q22 - 4 Q66) sin 2 θ cos 2 θ + Q12 (sin 4 θ + cos 4 θ)<br />

81


Q _ 22 = Q11 sin 4 θ + 2 (Q12 + 2Q66) sin 2 θ cos 2 θ + Q22 cos 4 θ<br />

Q _ 16 = (Q11 - Q12 - 2Q66) sin θ cos 3 θ + (Q12 - Q22 + 2Q66) sin 3 θ cos θ<br />

Q _ 26 = (Q11 - Q12 - 2Q66) sin 3 θ cos θ + (Q12 - Q22 + 2Q66) sin θ cos 3 θ<br />

Q _ 66 = (Q11 + Q22 - 2Q12 - 2Q66) sin 2 θ cos 2 θ + Q66 (sin 4 θ + cos 4 θ)<br />

In tabella sono riportati i valori dei termini della matrice di rigidezza riferita a<br />

sistemi di riferimento orientati secondo alcuni angoli rispetto alle direzioni principali<br />

di ortotropia, per il materiale "A" di tab. 3.I.<br />

_____________________________________________________________<br />

Q _ 11 Q _ 12 Q _ 16 Q _ 22 Q _ 26 Q _ 66<br />

θ (GPa) (GPa) (GPa) (GPa) (GPa) (GPa)<br />

_____________________________________________________________<br />

0° 138.5 3.1 0 14.6 0 5.9<br />

45° 45.7 33.9 30.1 45.7 30.1 36.7<br />

90° 14.6 3.1 0 138.5 0 5.9<br />

_____________________________________________________________<br />

Matrice di rigidezza riferita a sistemi di riferimento orientati secondo alcuni<br />

angolirispetto alle direzioni principali di ortotropia. (materiale A di tab.3.I)<br />

Per conoscere completamente il comportamento strutturale di una lamina ortotropa,<br />

supposto sempre che svolga la sua funzione in condizioni di stato piano di tensioni, è<br />

necessaria la conoscenza di quattro parametri elastici (E1, E2, G12, ν12) e tre limiti a<br />

rottura (R1, R2, R12,).<br />

Per la valutazione di tali parametri è stata messa a punto una procedura basata su<br />

prove di trazione su provini prelevati, da una piastra unidirezionale, in tre direzioni:<br />

82


paralleli alla direzione delle fibre, perpendicolari alla direzione delle fibre e in una<br />

direzione intermedia (generalmente a 45°) come riportato nella figura seguente.<br />

La geometria dei provini, stabilita dalla normativa ASTM D 3039, è riportata<br />

nella figura a pagina seguente. Lo spessore, non definito dalla normative, non deve<br />

essere inferiore a 1.5 mm per evitare di avere provini poco maneggevoli.<br />

25.4<br />

0°<br />

45°<br />

228.7<br />

90°<br />

152.4 38.1<br />

83


Alle estremità dei provini debbono essere incollate piastre che consentano una<br />

uniforme distribuzione dei carichi tra afferraggi e provini. Tali piastre possono essere<br />

realizzate in alluminio o in composito.<br />

Per il rilievo delle deformazioni nel corso della prova, i provini debbono essere<br />

strumentati con estensimetri elettrici. E' buona norma scegliere estensimetri con le<br />

dimensioni delle griglie sensibili massime compatibilmente con le dimensioni del<br />

provino per poter ottenere misure globali che non risentano dell'eterogeneità del<br />

materiale della prova. Gli estensimetri dovranno comunque essere applicati su<br />

entrambe le facce del provino per poter valutare la componente dovuta alla trazione,<br />

depurandola della eventuale componente flessionale dovuta ad un non perfetto<br />

allineamento del provino durante la prova di carico, che in ogni caso dovrà essere<br />

contenuta entro definiti limiti (ASTM D 3039).<br />

Sui provini tagliati nella direzione delle fibre 1, devono essere rilevate le<br />

deformazioni sia nella direzione longitudinale che in quella trasversale ε1 e ε12). Si<br />

potranno quindi ottenere:<br />

rottura:<br />

Ε1 = σ1<br />

ε1 , ν12 = - ε12<br />

ε1<br />

Conducendo la prova fino alla rottura dei provini si ottiene il valore del carico di<br />

R1 = σ1 max<br />

Sui provini tagliati nella direzione perpendicolare alla direzione della fibre "2",<br />

devono essere rilevate le deformazioni nella direzione longitudinale (ε2). Viene<br />

valutato:<br />

E2= σ2<br />

ε2<br />

84


e limite a rottura<br />

R2 = σ2max<br />

Sui provini tagliati nella direzione a 45° rispetto a quella delle fibre vengono<br />

misurate le deformazioni nella direzione longitudinale ε(45°) e trasversale ε*(45°)<br />

necessarie per il calcolo del modulo tangenziale G12 (ASTM D 3518); infatti<br />

G12 = τ12<br />

γ12<br />

dove τ12 = P<br />

2ab<br />

con P carico sul provino e ab area della sezione del provino e<br />

γ12 = ε(45°) -ε*(45°)<br />

Risultati analoghi si possono ottenere dalla<br />

G12 =<br />

⎛ 4<br />

⎜<br />

⎝E(45°)<br />

- 1<br />

E1<br />

1<br />

1 ⎞<br />

-<br />

E2<br />

⎟<br />

⎠<br />

+ 2ν12 E1<br />

Portando a rottura il provino e ricordando che:<br />

τ12 = σx sin θ cos θ = 1<br />

2 σ(45°)<br />

si può ottenere il valore del taglio massimo:<br />

R12 = 1<br />

2 R(45°)<br />

85


MICROMECCANICA DELLA LAMINA<br />

Oltre a poter essere determinate sperimentalmente, le proprietà di una lamina<br />

possono essere definite in modo analitico in base alle proprietà dei materiali<br />

costituenti. E' possibile quindi "prevedere" il comportamento strutturale di una lamina<br />

attraverso procedure di micromeccanica.<br />

L'obiettivo dell'approccio micromeccanico è la valutazione dei moduli elastici e<br />

dei carichi di rottura del composito attraverso la conoscenza dei moduli elastici e dei<br />

carichi di rottura delle fibre e della matrice che lo costituiscono.<br />

dove<br />

I termini della matrice di rigidezza del composito sono:<br />

Cij = Cij (Ef; νf; Vf; Em; νm, Vm)<br />

Ef = Modulo di Young delle fibre<br />

νf = Coefficiente di Poisson delle fibre<br />

νm = Coefficiente di Poisson della matrice<br />

con analoghe definizioni si descrivono i coefficienti relativi alla matrice.<br />

Analogamente per i carichi di rottura valgono considerazioni simili:<br />

dove<br />

Xi = Xi (Xif, Vf, Xim, Vm)<br />

Xi = R1, R2, R12 carichi di rottura del composito<br />

Xif = R1f, R2f, R12f carichi di rottura delle fibre<br />

e analoghe definizioni per le caratteristiche della matrice.<br />

Negli sviluppi successivi della trattazione micromeccanica dei <strong>compositi</strong><br />

86


vengono fatte alcune ipotesi. In particolare la lamina viene considerata<br />

macroscopicamente omogenea, a comportamento lineare elastico e inizialmente<br />

scarica. Le fibre sono omogenee, a comportamento lineare elastico, isotrope, spaziate<br />

regolarmente e perfettamente allineate. La matrice è omogenea, a comportamento<br />

lineare elastico e isotropa. Si suppone inoltre che non esistano vuoti nel composito.<br />

Si consideri un elemento fondamentale di volume della lamina come in figura<br />

seguente. Il composito è sottoposto a deformazione ε1 nella direzione delle fibre. La<br />

fibra sarà sollecitata con una tensione<br />

σf = Ef ε1<br />

mentre la matrice sarà soggetta ad una tensione<br />

σ1<br />

fibra<br />

matrice<br />

σm = Em ε1.<br />

2<br />

L Δ L<br />

σ1<br />

Volume elementare di lamina caricato secondo 1.<br />

La sezione A del composito è soggetta ad una tensione globale σ1 tale che:<br />

1<br />

87


P = σ1 A = σf Af + σm Am<br />

ma σ1= E1 ε1<br />

si ha quindi<br />

E1 =<br />

σ1<br />

εi = Ef Af<br />

A + Em Am<br />

A = Ef Vf + Em Vm<br />

Questa formulazione del modulo di Young attraverso la micromeccanica è nota<br />

come regola delle misture e rappresenta una variazione lineare del modulo di Young<br />

E1, dal valore Em al valore Ef quando Vf passa da 0 a 1. (fig. seguente).<br />

Il modulo di Young nella direzione 2 si può valutare considerando lo stesso<br />

elemento fondamentale di volume della lamina, caricato con una sollecitazione σ2.<br />

E 1<br />

E<br />

m<br />

0 1<br />

V<br />

f<br />

Andamento del modulo di Young al variare della percentuale in volume delle fibre.<br />

E<br />

f<br />

88


W<br />

fibra<br />

2<br />

matrice<br />

σ2<br />

σ2<br />

Volume elementare di lamina caricato secondo 2.<br />

La deformazione nella direzione 2 cui è soggetta la matrice vale:<br />

εm =<br />

σ2<br />

Em<br />

mentre le fibre sono soggette ad una deformazione<br />

εf=<br />

σ2<br />

Ef<br />

la dimensione trasversale su cui agisce la εf è approssimativamente VfW mentre<br />

la εm agisce su una porzione VmW. La deformazione trasversale totale vale:<br />

ovvero:<br />

ε2W = VfWεf + VmWεm<br />

ε2 = Vf εf + Vmεm<br />

1<br />

89


e sostituendo<br />

ma<br />

ε2 = Vf σ2<br />

Ef + Vm σ2<br />

Em<br />

σ2 = E2 ε2 = E2(Vf σ2<br />

Ef + Vm σ2<br />

Em )<br />

e infine, il valore del modulo di Young nella direzione 2 vale:<br />

E2 =<br />

σ2<br />

Vf Em + Vm Ef<br />

σ2<br />

Ef Em<br />

=<br />

Ef Em<br />

Vf Em + VmEf<br />

Con considerazioni simili si possono ricavare i valori dei coefficienti di Poisson e<br />

del modulo tangenziale:<br />

ν12 = Vf νf + Vm νm ; G12 =<br />

I CARICHI DI ROTTURA<br />

Gm Gf<br />

Vf Gm + Vm Gf<br />

Nel caso più generale, un composito unidirezionale si deforma all'aumentare del<br />

carico secondo quattro fasi, in funzione delle relative fragilità e duttilità di fibre e<br />

matrice.<br />

a) fibre e matrice si deformano elasticamente;<br />

b) le fibre si deformano ancora elasticamente ma la matrice comincia a deformarsi<br />

plasticamente;<br />

c) fibre e matrice si deformano plasticamente;<br />

d) si verifica la rottura delle fibre, seguita dal cedimento di tutto il composito.<br />

Naturalmente, nel caso di comportamento fragile delle fibre, la fase c) non si<br />

90


verifica. Se è la matrice ad essere fragile non avvengono la fase b) e la c). In caso di<br />

fibre e matrice fragili, il cedimento del composito si raggiunge quando le fibre<br />

raggiungono un allungamento pari al loro allungamento a rottura. In tal caso il carico<br />

di rottura del composito è dato da:<br />

Rc = Rf Vf + R (f) m (1-Vf)<br />

Ovviamente lo scopo delle fibre nel composito è quello di incrementarne le proprietà<br />

meccaniche rispetto a quelle della matrice e quindi:<br />

Rc > Rm<br />

Esiste comunque un limite minimo alla percentuale in volume di fibre nel composito<br />

per ottenere un miglioramento nelle proprietà:<br />

da cui<br />

RfVf + R (f) m (1-Vf) > Rm<br />

Vf > Rm - R (f) m<br />

Rf - R (f) m<br />

σ<br />

f<br />

σ<br />

m<br />

σ<br />

MAX<br />

MAX<br />

( σ<br />

m ) ε<br />

fMAX<br />

ε fMAX<br />

FIBRA<br />

ε<br />

MATRICE<br />

m MAX<br />

Andamento schematico delle curve tensione deformazione per fibra e matrice.<br />

ε<br />

91


MACROMECCANICA DEL LAMINATO<br />

Un laminato è costituito da due o più lamine tra loro perfettamente aderenti che<br />

agiscono come un unico elemento strutturale. Le direzioni principali delle lamine<br />

sono orientate in modo da ottenere un elemento strutturale in grado di svolgere<br />

definite funzioni strutturali in definite direzioni. Le rigidezze di una data<br />

configurazione del materiale composito sono valutabili attraverso procedure che<br />

tengono conto del numero, del tipo, dell'orientazione e della mutua posizione delle<br />

lamine che costituiscono il laminato.<br />

h<br />

1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

k<br />

n<br />

Posizione delle lamine in un laminato.<br />

Ai fini della valutazione del comportamento strutturale del laminato, è essenziale<br />

poterlo considerare come se fosse omogeneo e con caratteristiche globali equivalenti.<br />

Per poter effettuare questo passaggio sono necessarie alcune ipotesi<br />

semplificative che vanno sotto il nome di Classica Teoria della Laminazione (CLT).<br />

E' necessario supporre il materiale come costituito da lamine perfettamente aderenti<br />

tra loro con spessore di incollaggio nullo; le lamine inoltre mantengono il loro<br />

comportamento lineare elastico sia isolate che inserite nel laminato.<br />

z 2<br />

z k<br />

z 1<br />

z n-1<br />

z 0<br />

z n<br />

92


Simili ipotesi comportano che, in un laminato sottile, un'asse perpendicolare al<br />

piano medio del laminato, qualora quest'ultimo venga deformato, rimane rettilineo e<br />

perpendicolare allo stesso piano medio e lo spessore del laminato rimane costante<br />

(fig. 3.18); ciò equivale a porre nulle le deformazioni angolari nei piani<br />

perpendicolari al piano medio e la deformazione nella direzione perpendicolare al<br />

piano stesso. Si può notare che questa serie di ipotesi è analoga a quella di Kirchhoff<br />

per le piastre e di Kirchhoff-Love per i gusci e pertanto la trattazione del laminato nel<br />

suo complesso può essere riferita in parte a quella delle piastre e gusci che soddisfano<br />

le suddette ipotesi.<br />

Y<br />

Y<br />

Ny<br />

My<br />

Nyx<br />

Myx<br />

Mxy<br />

Nxy<br />

Forze e momenti su un laminato.<br />

In un laminato si individuano un sistema di riferimento del laminato stesso e i<br />

sistemi di riferimento delle singole lamine. Tali sistemi vengono generalmente riferiti<br />

alle direzioni principali di ortotropia delle rispettive lamine, definite coincidenti con<br />

le direzioni delle fibre, e le loro normali nel piano delle lamine stesse . Con le ipotesi<br />

della CLT si considerano i carichi specifici e i momenti specifici (per unità di<br />

larghezza agenti sul laminato) come gli integrali delle tensioni e dei momenti delle<br />

Mx<br />

Nx<br />

X<br />

X<br />

93


tensioni agenti sulle lamine, valutati sullo spessore totale h delle laminato.<br />

h/2<br />

Ni = ⌡⌠ σi dz<br />

-h/2<br />

h/2<br />

Mi = ⌡⌠ σi z dz<br />

Si può dimostrare che:<br />

⎪⎧<br />

⎨<br />

⎩⎪<br />

⎪⎧<br />

⎨<br />

⎩⎪<br />

Nx<br />

Ny<br />

Nxy<br />

Mx<br />

My<br />

Mxy<br />

⎪⎫<br />

⎬<br />

⎭⎪<br />

⎪⎫<br />

⎬<br />

⎭⎪<br />

=<br />

=<br />

⎪ ⎪<br />

A11<br />

A12<br />

A16<br />

⎪ ⎪<br />

B11<br />

B12<br />

B16<br />

A12<br />

A22<br />

A26<br />

B12<br />

B22<br />

B26<br />

-h/2<br />

A16<br />

A26<br />

A66<br />

⎪<br />

⎪<br />

B16<br />

B26<br />

B66<br />

⎪<br />

⎪<br />

⎪<br />

⎧ ε° x ⎪<br />

⎫<br />

⎨ ε° y ⎬<br />

⎩<br />

⎪γ°<br />

⎭<br />

⎪<br />

xy<br />

⎪<br />

⎧ ε° x ⎪<br />

⎫<br />

⎨ ε° y ⎬<br />

⎩<br />

⎪γ°<br />

⎭<br />

⎪<br />

xy<br />

+<br />

+<br />

⎪ ⎪<br />

B11<br />

B12<br />

B16<br />

⎪ ⎪<br />

D11<br />

D12<br />

D16<br />

B12<br />

B22<br />

B26<br />

(i = x;y;xy)<br />

dove ε° x, ε° y, γ° xy, kx, ky, kxy, sono le deformazioni e le curvature del piano medio del<br />

laminato. La sottomatrice |A| è la matrice di rigidezza per sollecitazioni di trazione<br />

nel laminato, la sottomatrice |D| è quella di rigidezza flessionale e la sottomatrice<br />

|B|è la matrice di rigidezza di accoppiamento e tiene conto sia delle caratteristiche di<br />

trazione che di quelle di flessione del laminato.<br />

I termini di tali matrici si possono ricavare da<br />

Aij = ∑ k=1<br />

Bij = 1<br />

Dij = 1<br />

n<br />

n<br />

2 ∑ k=1<br />

n<br />

3 ∑ k=1<br />

_<br />

(Qij)k<br />

(zk-zk-1)<br />

_<br />

(Qij)k<br />

(zk 2-zk-1 2 )<br />

_<br />

(Qij)k<br />

(zk 3-zk-1 3 )<br />

Nella tabella sottostante sono riportati i valori dei termini della matrice di<br />

D12<br />

D22<br />

D26<br />

B16<br />

B26<br />

B66<br />

⎪<br />

⎪<br />

D16<br />

D26<br />

D66<br />

⎪<br />

⎪<br />

⎪⎧<br />

⎨<br />

⎩⎪<br />

kx<br />

ky<br />

kxy<br />

⎪⎧<br />

⎨<br />

⎩⎪<br />

⎪⎫<br />

⎬<br />

⎭⎪<br />

kx<br />

ky<br />

kxy<br />

⎪⎫<br />

⎬<br />

⎭⎪<br />

94


igidezza di alcuni laminati costituiti dal materiale "A" della tabella precedente.<br />

______________________________________________________________________________________<br />

TERMINE [0/+45/-45]s [0/45/-45/45/-45/0] [0/45/45]s<br />

______________________________________________________________________________________<br />

A11 (MN/m) 58.4 58.4 58.4 A12 (MN/m)<br />

18.0 18.0 18.0<br />

A22 (MN/m) 26.9 26.9 26.9<br />

A66 (MN/m) 20.1 20.1 20.1<br />

A16 (MN/m) 0 0 15.7<br />

A26 (MN/m) 0 0 15.7<br />

B11 (kN) 0 0 0<br />

B12 (kN) 0 0 0<br />

B22 (kN) 0 0 0<br />

B66 (kN) 0 0 0<br />

B16 (kN) 0 1 0<br />

B26 (kN) 0 1 0<br />

D11 (Nm) 4.1 4.1 4.1<br />

D12 (Nm) 0.4 0.4 0.4<br />

D22 (Nm) 0.9 0.9 0.9<br />

D66 (Nm) 0.6 0.6 0.6<br />

D16 (Nm) 0.3 0 0.3<br />

D26 (Nm) 0.3 0 0.3<br />

______________________________________________________________________________________<br />

Matrici di rigidezza di alcuni laminati realizzati con il materiale A.<br />

In forma compatta si può scrivere:<br />

⎧ N ⎫<br />

⎨.<br />

. ⎬<br />

⎩ M ⎭<br />

=<br />

⎪<br />

⎪<br />

⎪<br />

A<br />

. .<br />

B<br />

:<br />

....<br />

:<br />

B ⎪<br />

. . ⎪<br />

D ⎪<br />

⎪⎧ ε°<br />

⎪⎫<br />

⎨.<br />

. ⎬<br />

⎩⎪ k ⎭⎪<br />

che rappresenta una pseudo-equazione costitutiva del laminato.<br />

Per poter conoscere le proprietà elastiche del laminato nella sua globalità è<br />

necessario esprimere la pseudo-equazione costitutiva del laminato in forma inversa:<br />

95


⎪<br />

⎧<br />

⎨<br />

⎩⎪<br />

ε° x<br />

ε° y<br />

γ° xy<br />

kx<br />

ky<br />

kxy<br />

⎪<br />

⎫<br />

⎬<br />

⎭⎪<br />

=<br />

⎡<br />

⎢<br />

⎢<br />

⎣<br />

H11<br />

H12<br />

H13<br />

H14<br />

H15<br />

H16<br />

H12<br />

H22<br />

H23<br />

H24<br />

H25<br />

H26<br />

H13<br />

H23<br />

H33<br />

H34<br />

H35<br />

H36<br />

H14<br />

H24<br />

H34<br />

H44<br />

H45<br />

H46<br />

H15<br />

H25<br />

H35<br />

H45<br />

H55<br />

H56<br />

H16<br />

H26⎤<br />

H36⎥<br />

H46<br />

H56⎥<br />

H66⎦<br />

⎪⎧<br />

⎨<br />

⎩⎪<br />

Nx<br />

Ny<br />

Nxy<br />

Mx<br />

My<br />

Mxy<br />

le proprietà elastiche effettive possono essere espresse quindi in termini delle<br />

cedevolezze Hij e dello spessore del laminato h.<br />

Modulo di Young longitudinale:<br />

Ex = (hH11) -1<br />

Modulo di Young trasversale:<br />

Ey = (hH22) -1<br />

Coefficiente di Poisson longitudinale:<br />

Modulo di taglio:<br />

νxy = - H12<br />

H11<br />

Gxy = (hH33) -1<br />

Le proprietà elastiche per sollecitazioni di flessione; si possono ottenere<br />

considerando la pseudo-equazione costitutiva del laminato nel caso che solo i<br />

momenti Mi siano presenti:<br />

⎪⎫<br />

⎬<br />

⎭⎪<br />

96


Mx ⎪⎧ ⎪⎫<br />

⎨ My ⎬<br />

⎩⎪ Mxy⎭⎪<br />

=<br />

⎡D11<br />

⎢D12<br />

⎢<br />

⎣D16<br />

si possono ottenere le curvature:<br />

con<br />

kx ⎪⎧ ⎪⎫<br />

⎨ ky ⎬<br />

⎩⎪ kxy⎭⎪<br />

=<br />

⎡H44<br />

⎢H45<br />

⎢<br />

⎣H46<br />

D12<br />

D22<br />

D26<br />

H45<br />

H55<br />

H56<br />

D16 ⎤<br />

D26<br />

⎥<br />

⎥<br />

D66 ⎦<br />

H46⎤<br />

H56<br />

⎥<br />

⎥<br />

H66⎦<br />

kx ⎪⎧ ⎪⎫<br />

⎨ ky ⎬<br />

⎩⎪ kxy⎭⎪<br />

Mx ⎪⎧ ⎪⎫<br />

⎨ My ⎬<br />

⎩⎪ Mxy⎭⎪<br />

Nella direzione x, se il laminato è soggetto al solo momento specifico Mx, si ha:<br />

kx = H44 . Mx = H44<br />

. M<br />

b<br />

M = Mx . b momento applicato<br />

dove b è la larghezza della trave o piastra.<br />

La rigidezza flessionale del materiale vale:<br />

EJ = M<br />

kx =<br />

e quindi il modulo flessionale<br />

dove<br />

e analogamente<br />

E (f) x =<br />

M b<br />

H44 M =<br />

b<br />

J H44 =<br />

J * = h3<br />

12<br />

b<br />

H44<br />

1<br />

J * H44<br />

97


E (f) y =<br />

1<br />

J * H55<br />

, G (f) xy =<br />

1<br />

J * H66 , ν(f) xy= - H45<br />

H44<br />

IDENTIFICAZIONE DELLA SUCCESSIONE DELLE LAMINE NEL<br />

LAMINATO<br />

Per permettere una univoca interpretazione delle configurazioni dei laminati,<br />

viene usualmente fatto riferimento al codice di descrizione dell'orientazione delle<br />

lamine definito presso il US. Air Force Materials Laboratory. Esso si basa su alcune<br />

regole fondamentali (fig. 4.1):<br />

a) ogni lamina è definita da un numero che rappresenta l'angolo in gradi che che la<br />

direzione delle sue fibre forma con l'asse X del laminato;<br />

b) lamine adiacenti, con diversa orientazione, sono separate da una barra trasversale<br />

"/";<br />

c) le lamine sono elencate in sequenza a partire da una faccia del laminato e il tutto è<br />

posto tra parentesi quadra;<br />

d) lamine adiacenti orientate dello stesso angolo sono indicate con un numero come<br />

pedice;<br />

e) un pedice T indica che viene descritto tutto il laminato.<br />

Quando lamine adiacenti sono orientate con lo stesso angolo ma di segno opposto,<br />

si fa ricorso ai segni + e -. Ogni segno + o - rappresenta una lamina e sostituisce il<br />

pedice numerico che è usato solo se le direzioni sono identiche.<br />

I laminati simmetrici con un numero pari di lamine sono descritti partendo da una<br />

faccia e fermandosi al piano di simmetria. Un pedice S indica che è stato descritto<br />

solo metà del laminato.<br />

I laminati simmetrici con un numero dispari di lamine sono descritti come i<br />

precedenti solo che la lamina centrale, indicata per ultima, è soprasegnata per<br />

98


indicare che giace sul piano di simmetria del laminato.<br />

Sequenze ripetute di lamine sono comprese in parentesi tonde e ad esse si<br />

applicano le stesse regole delle lamine singole.<br />

Più in generale si ha:<br />

- laminato unidirezionale: laminato nel quale le fibre hanno la stessa<br />

orientazione in tutte le lamine;<br />

- laminato angle-ply: laminato in cui le lamine hanno alternativamente<br />

orientazione: + ө /- ө /+ ө /-ө;<br />

- laminato simmetrico: laminato nel quale per ogni lamina di<br />

orientazione + ө esiste una stessa lamina con la stessa orientazione<br />

disposta simmetricamente rispetto al piano di simmetria del laminato;<br />

- laminato bilanciato: laminato nel quale per ogni lamina con fibre<br />

orientate a + ө esiste un’altra lamina con fibre orientate a - ө, dovunque<br />

disposta nel laminato;<br />

- laminato quasi-isotropo: laminato che possiede proprietà<br />

approssimativamente uguali in tutte le direzioni nel piano, ottenuto<br />

dalla sovrapposizione di lamine che differiscono, nell’orientazione, per<br />

un valore di ө costante. Si considera quasi isotropo un laminato<br />

costituito da almeno tre lamine con direzioni delle fibre sfalsate di 60°.<br />

99


Codice di descrizione dell'orientazione delle lamine definito presso il US. Air Force Materials<br />

Laboratory<br />

100


Per poter evitare inoltre che, sotto l’azione di sforzi normali o di flessione, la<br />

struttura laminata subisca deformazioni non volute nello spazio, vengono realizzati<br />

laminati simmetrici e bilanciati.<br />

Un laminato simmetrico e bilanciato è un laminato che presenta lamine, con la<br />

stessa orientazione, poste al di sotto e al di sopra del piano mediano, e nel quale oqni<br />

lamina con fibre orientate secondo un angolo ө è bilanciato dalla presenza di una<br />

lamina con fibre orientate con un angolo -ө. Ulteriori considerazioni, tese a<br />

semplificare lo stato di deformazione sul laminato, e che portano anche a una<br />

semplificazione dei procedimenti di calcolo delle proprietà elastiche, suggeriscono<br />

poi che le lamine con orientazione opposta siano poste a una distanza quanto più<br />

possibile uguale rispetto al piano mediano.<br />

La condizione di bilanciamento risulta verificata se al laminato si aggiungono<br />

altre due lamine, con orientazione -45°, ottenendo un laminato il cui codice è:<br />

[0/90/±45]s. Anche se l’aggiunta di fibre lunghe ad una matrice polimerica porta a<br />

modificazioni di tutte le sue proprietà (meccaniche, termiche, elettriche..), in genere,<br />

tranne casi particolari, l’obbiettivo della fabbricazione del composito è quello di<br />

ottenere strutture con certe definite proprietà meccaniche, e pertanto è a queste che la<br />

progettazione viene rivolta, anche se la previsione o la determinazione di altre<br />

proprietà possono essere comunque importanti per una più completa definizione del<br />

comportamento del materiale sia in opera che durante la fase di processo.<br />

PROGETTAZIONE<br />

Una prima progettazione delle caratteristiche elastiche e di resistenza di un<br />

laminato simmetrico e bilanciato può essere ottenuta facendo ricorso ad opportuni<br />

grafici del tipo di quelli riportati nelle figure sottostanti: la prima fa riferimento al<br />

modulo elastico di laminati simmetrici e bilanciati, costituiti da resina epossidica e<br />

fibre di carbonio, la seconda alla resistenza tensile di laminati simmetrici e bilanciati,<br />

costituiti da resina epossidica e fibre di carbonio. La procedura completa di calcolo<br />

101


che a partire dalle proprietà delle fibre, dalle proprietà della matrice e dalla rispettiva<br />

frazione volumetrica, consente di passare dalle proprietà della lamina a quella del<br />

laminato è nota come teoria della laminazione, prima esposta.<br />

Nelle applicazioni strutturali con i materiali metallici i criteri di progetto sono<br />

sufficientemente standardizzati, il comportamento dei materiali è schematizzabile<br />

secondo modelli semplici, nel caso elastico, e sono note le loro caratteristiche<br />

meccaniche.<br />

102


Per i materiali <strong>compositi</strong> tali metodologie di approccio risultano inadeguate e<br />

possono portare ad errori di valutazione. Con materiali che possono essere progettati<br />

secondo le esigenze, per i quali il concetto di spessore è generalmente sostituito da<br />

quelli di percentuali di rinforzo e di matrice, di numero di strati del laminato e di<br />

orientazione delle fibre, può risultare necessario ripercorrere dalle origini le strade<br />

della progettazione sia da un punto di vista del calcolo, sia da quello della definizione<br />

e della geometria delle strutture.<br />

La prima fase della progettazione di una struttura in materiale composito, ma<br />

anche per ogni tipo di progettazione, è la definizione dei requisiti del manufatto:<br />

questa fase comprende la valutazione delle proprietà fisiche, meccaniche e chimiche<br />

che il manufatto da progettare deve possedere, tenendo conto di tutti i fattori<br />

ambientali e non che possono intervenire quali il grado di sollecitazione, la<br />

temperatura di esercizio, l'aggressività dell'ambiente, ecc.<br />

Segue l'impostazione iniziale del progetto nel corso della quale si stabiliscono i<br />

primi dati sulla forma geometrica del manufatto. E' opportuno ricordare, a questo<br />

proposito, il vantaggio fondamentale dei <strong>plastici</strong> rinforzati, la possibilità cioè di<br />

svincolarsi dall'impostazione della progettazione riferita a materiali convenzionali,<br />

come ad esempio l'acciaio, e quindi di realizzare forme particolari, strutture resistenti<br />

per forma, incorporare durante la stessa fase di realizzazione costole, profilati e altre<br />

anime di irrigidimento ottenendo, caso per caso, le prestazioni richieste. In questa<br />

fase si possono seguire due vie: l'analisi delle sollecitazioni o il progetto empirico<br />

usando normative già esistenti a seconda dell'importanza del manufatto e della<br />

familiarità del progettista con i <strong>plastici</strong> rinforzati.<br />

L'analisi delle sollecitazioni si avvale delle relazioni tra tensione e deformazione<br />

nelle formulazioni valide per materiali a comportamento anisotropo e tende a<br />

verificare se le scelte di progetto, sulla base delle sollecitazioni ammissibili, risultino<br />

verificate.<br />

Nel corso di tale fase viene effettuata la scelta dei materiali tenendo conto dei<br />

principi fondamentali che governano l'impiego dei <strong>plastici</strong> rinforzati. Si ha infatti che<br />

103


le caratteristiche meccaniche dipendono dall'effetto combinato del contenuto e<br />

dell'orientamento del rinforzo di fibre nel prodotto finito. Le caratteristiche chimiche,<br />

elettriche e termiche nei <strong>plastici</strong> rinforzati risultano in modo più rilevante, dal tipo e<br />

dalla formulazione della resina che ne costituisce la matrice. Le caratteristiche finali<br />

del manufatto dal punto di vista delle prestazioni e del costo, dipendono dal metodo<br />

di lavorazione e dai materiali impiegati.<br />

Il comportamento del materiale può essere controllato con le tecnologie: possono<br />

essere infatti ottenute alcune proprietà come la rigidezza locale, il carico di rottura, la<br />

tenacità e altre proprietà strutturali e non, controllando il tipo delle fibre, il tipo di<br />

matrice e le percentuali in volume tra matrice e rinforzo nel materiale costituente il<br />

componente strutturale. Successivamente, la meccanica dei materiali <strong>compositi</strong><br />

costituisce una teoria strutturata che consente di risalire dalle caratteristiche delle<br />

matrici e dei rinforzi e dalla conoscenza della successione degli strati del laminato<br />

alla risposta strutturale del componente.<br />

Nota la risposta strutturale, è possibile, in funzione delle tecnologie di<br />

realizzazione e delle prestazioni richieste, definire la forma della struttura, intendendo<br />

in modo del tutto generale per forma la geometria, gli eventuali inserti di altri<br />

materiali, etc. Dalla forma e dalla risposta strutturale è possibile ritornare al materiale<br />

per una sua iterativa progettazione su misura innescando così un approccio circolare<br />

di ottimizzazione dell'intero progetto da livello microscopico a quello macroscopico e<br />

viceversa. A ciascuna di queste fasi corrispondono modelli analitici. A livello di<br />

micromeccanica, la teoria delle miscele permette di valutare le caratteristiche<br />

meccaniche delle lamine, note le caratteristiche meccaniche dei singoli componenti; a<br />

livello di macromeccanica la Classica Teoria della Laminazione fornisce gli strumenti<br />

per valutare il comportamento strutturale del materiale (laminato) mentre la<br />

meccanica dei continui ortotropi permette, ad esempio attraverso l'uso di codici di<br />

calcolo, di valutare la risposta globale della struttura.<br />

Noti i carichi cui il laminato è soggetto in ogni sezione, il progetto può essere<br />

schematizzato in due fasi, la prima comprendente la scelta e la caratterizzazione delle<br />

104


lamine, la definizione del loro numero e della loro angolazione rispetto a una<br />

direzione nel laminato, la seconda incentrata sulla determinazione della sequenza di<br />

stratificazione. Il problema dell'ottimizzazione, nel caso di progettazione a rottura per<br />

esempio, si riduce nella sostanza nella ricerca del minimo della sommatoria<br />

sotto le condizioni<br />

t<br />

∑ si<br />

i=1<br />

t<br />

∑ si c(qi) > C<br />

i=1<br />

dove C è funzione dello stato di carico cui è soggetto il laminato nella sezione in<br />

considerazione e del coefficiente di sicurezza, c( i) dipende dalle caratteristiche<br />

meccaniche delle lamine orientate dell'angolo i rispetto alla direzione x del<br />

laminato, si è il numero di tali lamine e i è il numero delle diverse orientazioni delle<br />

lamine. Deve essere inoltre determinata, secondo appropriati criteri, la sequenza di<br />

laminazione.<br />

In termini generali, una metodologia di progetto dovrebbe poter determinare il<br />

numero e l'orientazione delle lamine di un laminato soggetto a carichi noti.<br />

Il problema così posto risulta particolarmente complesso da risolvere perché, non<br />

conoscendo a priori la struttura del laminato, e quindi le matrici |A|,|B|,|D|, non è<br />

possibile risolvere le equazioni costitutive del laminato e, in conseguenza, conoscere<br />

lo stato di deformazione e di tensione del laminato stesso.<br />

Soluzioni al problema del progetto sono però ottenibili ipotizzando successioni di<br />

strati, verificandole e ottimizzandole con approssimazioni successive. Nella pratica<br />

può essere preferibile ricercare, con l'ausilio di un programma di calcolo, tutte le<br />

105


possibili soluzioni che prevedano numeri minimi di strati, non risolvendo quindi il<br />

problema di minimo, ma usufruendo di un processo iterativo per la definizione della<br />

stratificazione e verificare che il laminato abbia caratteristiche tali da soddisfare le<br />

condizioni di progetto.<br />

Invertendo la pseudo-equazione costitutiva del laminato si ha:<br />

⎧<br />

⎨<br />

⎩<br />

e°<br />

. .<br />

k<br />

⎫<br />

⎬<br />

⎭<br />

=<br />

⎪ A'<br />

. .<br />

B'<br />

:<br />

....<br />

:<br />

B'⎪<br />

. .<br />

D'<br />

⎪<br />

⎪<br />

⎧ N<br />

⎪<br />

⎫<br />

⎨.<br />

. ⎬<br />

⎩<br />

⎪M⎭<br />

⎪<br />

Questo sistema di equazioni permette, note le caratteristiche elastiche del laminato e<br />

le condizioni di carico cui è soggetto, di valutare lo stato di deformazione del piano<br />

medio del laminato.<br />

Avendo ipotizzato con la CLT un andamento lineare delle deformazioni attraverso<br />

lo spessore, mediante le<br />

⎧ ex ⎫<br />

⎨ ey ⎬<br />

⎩gxy⎭<br />

=<br />

ex<br />

⎪⎧ ⎪⎫<br />

⎨ ⎬<br />

⎩⎪ ⎭⎪<br />

°<br />

ey °<br />

gxy °<br />

+ z<br />

⎧ kx ⎫<br />

⎨ ky ⎬<br />

⎩kxy⎭<br />

può essere valutato lo stato di deformazione nel laminato ad una distanza z dal piano<br />

medio.<br />

0<br />

ε<br />

Andamento secondo la CLT dello stato di deformazione all'interno del laminato.<br />

106


Noto lo stato di deformazione in una lamina e note le caratteristiche elastiche della<br />

stessa, è possibile valutare il suo stato di tensione risolvendo il sistema di equazioni:<br />

⎧ sx ⎫<br />

⎨ sy ⎬<br />

⎩txy⎭<br />

= |Q _ |<br />

⎧ ex ⎫<br />

⎨ ey ⎬<br />

⎩gxy⎭<br />

0<br />

σ<br />

Andamento dello stato di tensione all'interno del laminato.<br />

La verifica della resistenza del laminato può essere eseguita in modo cautelativo<br />

verificando la resistenza di ciascuna lamina, di cui ora è noto lo stato di tensione, con<br />

una delle ipotesi di rottura applicabili a lamine in composito.<br />

La formulazione del criterio di Tsai-Hill si presta bene per queste esigenze:<br />

s1 2<br />

R1 2 - s1s2<br />

R1 2 +<br />

s2<br />

2<br />

R2 2 +<br />

t1<br />

2<br />

R12 2 ≤ 1<br />

Note quindi le tensioni medie in ogni lamina nelle sue direzioni principali, è<br />

possibile calcolare un "fattore di utilizzazione della lamina" (FUL) che ne indica il<br />

grado di sfruttamento e che se raggiunge l'unità individua la condizione di collasso<br />

della lamina e quindi la non idoneità della scelta del laminato.<br />

Tale fattore ha la seguente espressione:<br />

107


FUL =<br />

s1med 2<br />

R1 2 - s1meds2med<br />

R1 2 +<br />

s2med 2<br />

R2<br />

2 +<br />

t1med 2<br />

R12 2<br />

dove l'indice med indica il valore medio della funzione che agisce sulla lamina.<br />

Qualora il laminato non soddisfacesse le condizioni di resistenza sarebbe<br />

necessario ipotizzare una successione degli strati differente e ripetere il ciclo fino alla<br />

individuazione di uno o più laminati che soddisfino le condizioni di resistenza tra cui<br />

effettuare la scelta.<br />

La procedura descritta appare piuttosto laboriosa, ma impostata sul calcolatore<br />

permette di attuare la verifica e quindi di valutare le proprietà del laminato in breve<br />

tempo e soprattutto può offrire più soluzioni che soddisfino le condizioni di resistenza<br />

in modo da permettere al progettista una scelta del laminato che meglio risponde alle<br />

esigenze funzionali e di sicurezza della struttura.<br />

0 1<br />

FUL<br />

Andamento del FUL all'interno del laminato.<br />

108


CARATTERISTICHE<br />

DELLE LAMINE E<br />

CARICHI DI PROGETTO<br />

SCEGLI LA<br />

SUCCESSIONE DEGLI STRATI<br />

VALUTA LO STATO DI<br />

DEFORMAZIONE DEL<br />

PIANO MEDIO<br />

VALUTA LO STATO DI<br />

DEFORMAZIONE<br />

DELLE SINGOLE LAMINE<br />

VALUTA LO STATO DI<br />

TENSIONE<br />

DELLE SINGOLE LAMINE<br />

VALUTA LE TENSIONI NELLE<br />

DIREZIONI PRINCIPALI<br />

DELLE SINGOLE LAMINE<br />

1<br />

CALCOLA IL<br />

FUL<br />

DI TUTTE LE LAMINE<br />

?<br />

FUL>1<br />

? FUL=1 ?<br />

FUL


IL CEDIMENTO STRUTTURALE DEI COMPOSITI<br />

Il fenomeno della rottura nei <strong>compositi</strong> è da ritenersi piuttosto complesso e risulta<br />

dall'interazione di più tipologie di rottura. Considerando una lamina unidirezionale,<br />

caricata secondo una direzione θ rispetto alla direzione delle fibre, si possono<br />

distinguere angoli di carico per i quali sono più evidenti alcuni tipi di rottura rispetto<br />

ad altri. Per direzioni di carico prossime a quella longitudinale rispetto alle fibre (0° ÷<br />

5°circa), la rottura della lamina avviene prevalentemente per il cedimento delle fibre;<br />

per angoli di carico tra i 5° e i 20° ÷ 25° il fenomeno rottura della lamina è pilotata<br />

dal cedimento per taglio intralaminare; dai 20° ÷ 25° ai 45°, il fenomeno che provoca<br />

il cedimento della lamina è una combinazione tra il taglio intralaminare e la rottura<br />

della matrice, mentre dai 45° ai 90° la rottura è decisamente pilotata dal cedimento<br />

della matrice.<br />

Rmax<br />

a<br />

b<br />

DIREZIONE<br />

DELLE FIBRE<br />

θ ANGOLO<br />

DI CARICO<br />

d c<br />

θ<br />

θ<br />

DIREZIONE<br />

DI CARICO<br />

Tipologie di rottura per diverse orientazioni dei carichi rispetto alla direzione delle fibre.<br />

In un laminato, composto da più lamine, tutte queste tipologie di rottura<br />

interagiscono tra loro e, a posteriori, una volta verificata la rottura del laminato,<br />

110


isulta molto difficile poter individuare il fenomeno primario del cedimento. Solo<br />

seguendo l'evoluzione del cedimento con tecniche di monitoraggio come quella<br />

dell'emissione acustica, è possibile stabilire la successione dei diversi tipi di<br />

cedimento.<br />

Una tipologia di rottura particolarmente pericolosa è la delaminazione ovvero lo<br />

scollamento di lamine costituenti il laminato. Questo è un modo di rottura<br />

particolarmente gravoso principalmente perché avviene anche a carichi bassi rispetto<br />

a quelli previsti di rottura del laminato. La delaminazione è un effetto di bordo: si<br />

innesca perciò in corrispondenza di bordi liberi o fori ed è dovuta a condizioni di<br />

stato di tensione triassiale che si verificano in corrispondenza dei bordi, per una<br />

distanza dal bordo pari allo spessore del laminato.<br />

In questa zona, è stato rilevato sia sperimentalmente che attraverso il calcolo<br />

basato su metodi numerici, raggiungono valori elevati le tensioni di taglio<br />

interlaminare. Le variazioni di sequenza di laminazione, inoltre, provocano la<br />

generazione di una σz di bordo. Alcuni autori hanno ipotizzato una distribuzione della<br />

σz mostrata nella figura sottostante.<br />

Logicamente, nella zona dove è<br />

presente questo effetto di bordo<br />

perde la validità la CLT. Si vede<br />

dalla figura come la σz tenda a<br />

diventare nulla dove la CLT ritorna<br />

a essere applicabile, mentre tende<br />

all'infinito in corrispondenza del<br />

bordo libero; la σz è naturalmente<br />

autoequilibrata.<br />

z<br />

Z<br />

interfacce<br />

Z<br />

bordo<br />

libero<br />

Andamento della σz nella prossimità del bordo libero.<br />

Può essere definito danno, una variazione microstrutturale del materiale che<br />

induce deterioramento nel comportamento strutturale del componente. Il danno nei<br />

Y<br />

TENSIONE<br />

COMPRESSIONE σz<br />

111


<strong>compositi</strong> può verificarsi sia sulle fibre che nella matrice.<br />

Il più comune danno delle fibre è l'interruzione della loro continuità: poiché è<br />

impossibile ottenere lamine costituite da fibre senza alcuna interruzione si assume<br />

che già all'inizio della vita del composito siano presenti interruzioni delle fibre<br />

disposte statisticamente in modo distribuito. Nel corso poi della vita del componente,<br />

altre fibre si possono rompere a causa di sovratensioni molto localizzate dovute<br />

principalmente a differenze tra il tensionamento iniziale di fibre continue.<br />

interruzione casuale<br />

delle fibre<br />

"taglio" nelle fibre<br />

interruzione delle fibre<br />

e mancanza di resina corrispondente<br />

interruzione nelle fibre<br />

più mancanza di resina<br />

più delaminazione intralaminare<br />

Danno dovuto a interruzione delle fibre nella lamina.<br />

112


La non costanza del tensionamento provoca anche una mancanza di allineamento<br />

delle fibre; una volta sottoposte a carico, le fibre tendono a riallinearsi inducendo stati<br />

di tensione di compressione e di trazione sulla matrice che possono provocare, oltre<br />

naturalmente a una diminuzione locale delle proprietà della lamina, la rottura della<br />

fibre stesse e il distacco tra fibra e matrice.<br />

Danno dovuto al non allineamento delle fibre nella lamina.<br />

Le fibre possono essere inoltre distribuite in modo non uniforme nel volume del<br />

composito provocando, una volta sottoposte a carico, sollecitazioni di taglio<br />

intralaminare. Nella matrice si possono invece trovare porosità dovute sia alla<br />

presenza di bolle d'aria rimaste nel corso della stratificazione, sia ai gas che si<br />

sviluppano nel corso della polimerizzazione della resina. Si trovano anche fratture<br />

nella resina dovute sia ai carichi, sia a tensioni residue indotte dal ritiro della resina<br />

nel corso della polimerizzazione, sia da tensioni di origine termica. Per gli stessi<br />

motivi si possono generare anche delaminazioni. Una stratificazione non accurata può<br />

provocare inoltre anche scarsa adesione tra le fibre e la matrice.<br />

113


Danno dovuto alla distribuzione non uniforme delle fibre nella lamina.<br />

Danno dovuto alla porosità della matrice e alle bolle.<br />

Una descrizione schematizzata dello sviluppo del danno in un laminato in<br />

composito è mostrata nella figura seguente dove quattro fasi di danno tra loro<br />

distinguibili sono riportate in ordine di apparizione.<br />

114


Nella prima fase si rompe la matrice lungo le fibre negli strati le cui fibre sono<br />

orientate in direzioni diverse da quella del carico.<br />

DANNO<br />

0<br />

la matrice comincia<br />

a rompersi<br />

CDS<br />

inizia il distacco locali zzato<br />

delle fibre dalla matrice<br />

delaminazione<br />

PERCENTUALE DI VITA DEL LAMINATO<br />

cedimento del laminato<br />

inizia la<br />

rottura delle fibre<br />

Fasi di sviluppo del danno in un laminato composito.<br />

Questo meccanismo è chiamato frattura primaria della matrice ed è evidenziato<br />

da una serie di fratture parallele, sugli strati inclinati rispetto alla direzione del carico,<br />

profonde per tutta la larghezza del provino. Il numero delle fessure aumenta<br />

monotonicamente con il carico e tende a raggiungere un livello di saturazione che<br />

risulta essere una caratteristica del laminato e prende il nome di Stato Caratteristico di<br />

Danno (CDS). Il suo raggiungimento indica la fine della fase di frattura primaria.<br />

Successivamente si verificano fratture trasversali a quelle primarie. Queste<br />

fratture secondarie provocano l'inizio della frattura intralaminare, inizialmente in<br />

zone limitate e distribuite nei piani intralaminari, in seguito in modo più diffuso. Lo<br />

sviluppo successivo del danno è invece fortemente localizzato, ha una crescita<br />

100<br />

115


instabile e coinvolge la rottura delle fibre disposte nella direzione del carico e sfocia<br />

nel collasso del laminato.<br />

Sia per la fase del danno pre-CDS che per la post-CDS, sono stati messi a punto<br />

modelli di descrizione che, facendo riferimento a osservazioni sul laminato,<br />

permettono di valutare l'evoluzione del danno e la vita residua del laminato stesso.<br />

Di questi tipi di danno si deve tenere conto sia nella scelta delle tecnologie che<br />

nella imposizione di opportuni coefficienti di sicurezza.<br />

116


TECNOLOGIE DI FABBRICAZIONE<br />

La progettazione dei composito va fatta affrontando parallelamente il problema<br />

della fabbricazione. Fondamentale per una buona tecnica di fabbricazione è riuscire<br />

ad assicurare una certa ripetibilitá ai processi e costanza nelle proprietà del<br />

manufatto.<br />

Nella maggioranza dei casi di applicazioni strutturali si ha a che fare con sistemi di<br />

carichi non unidirezionali e ciò costringe ad utilizzare fibre posizionate in più<br />

direzioni. Questo si può ottenere:<br />

o con una disposizione casuale delle fibre;<br />

o mediante sovrapposizione di strati, a fibre allineate fra loro i quali sono<br />

sovrapposti con i relativi assi con orientazioni diverse;<br />

o le fibre possono essere usate sotto forma di tessuti in cui esse sono già<br />

posizionate con orientazioni prestabilite.<br />

Il secondo dei sistemi descritti è quello che permette di ottenere le migliori<br />

proprietà meccaniche.<br />

Una classificazione dei sistemi usualmente adoperati per la fabbricazione di<br />

strutture in materiale composito plastico prevede:<br />

o lavorazione a mano-laminazione (hand lay-up e spray-up);<br />

o stampaggio in sacco a vuoto o a pressione (vacuum pressure bag<br />

molding);<br />

o avvolgimento (filament winding);<br />

o produzione continua-pultrusione (continuous production);<br />

o stampaggio per trasferimento.<br />

Molti dei metodi indicati permettono di ottenere fibre orientate, non orientate o<br />

semi-orientate. La differenza dipende dal tipo di fibre adoperate, e dallo stato di<br />

fornitura; ciò sarà meglio chiarito esaminando brevemente i vari sistemi.<br />

117


LAVORAZIONE A MANO-LAMINAZIONE (HAND LAY-UP E SPRAY-UP)<br />

Anche se oggi esistono diversi metodi di produzione che fanno uso di macchine o<br />

impianti automatizzati, la maggior parte delle strutture in materiale composito<br />

adoperate nei settoti di maggior interesse industriale utilizza metodi di produzione<br />

manuali.<br />

Nel metodo di lavorazione proposta la struttura viene realizzata attraverso un<br />

processo di laminazione (sovrapposizione manuale secondo orientazioni prestabilite)<br />

di strati successivi di tessuti di fibra, sotto forma di mat, pre-impregnati o meno,<br />

tessuti oppure lamine. La struttura laminata, supportata da uno stampo corrispondente<br />

alla forma che si vuole riprodurre viene poi inglobata in un sacco, nel quale viene<br />

effettuato il vuoto, ed infine posta in autoclave.<br />

Nel caso di preimpregnato (foglio sottile, flessibile e appiccicoso costituito da<br />

fibre impregnate di matrice) il processo prevede le seguenti fasi:<br />

o taglio del rotolo di fibre preimpregnate;<br />

o sagomatura su stampo;<br />

o rimozione del film distaccante;<br />

o impilamento: la laminazione viene eseguita in stampo aperto di lega leggera<br />

o di materiale composito;<br />

o confezionamento di un “sacco” a tenuta (vedi figura);<br />

118


o consolidamento in autoclave<br />

(mediante ciclo termico):<br />

compattazione;<br />

reticolazione della resina;<br />

consolidamento;<br />

o estrazione e finitura.<br />

Una variante molto usata è la tecnica di spray-up che consiste nello spruzzare<br />

contemporaneamente resina e fibre corte tagliate da una apposita taglierina.<br />

Aria compressa spruzza il miscuglio sullo stampo in genere rotante per uniformare<br />

la deposizione. Questa tecnica è usata per la formatura delle pre-forme, cioè<br />

semilavorati del pezzo finale, che vengono poi posti tra stampo e controstampo ed il<br />

pezzo finale viene formato per pressatura a caldo (hot matched die molding).<br />

STAMPAGGIO SOTTO VUOTO O A PRESSIONE<br />

Per ottenere una più elevata percentuale di fibre nel laminato, è necessario<br />

migliorare la compattazione dello stesso in fase di realizzazione. Uno dei modi di<br />

compattare il laminato è quello di sottoporre il sistema all’azione del vuoto. Con tale<br />

sistema si pressa il composito prima della polimerizzazione (cure) per eliminare la<br />

porosità.<br />

119


La resina viene introdotta non con azione manuale o a spruzzo ma per azione del<br />

vuoto o della pressione in autoclave.<br />

II metodo si presta per mat, tessuti e laminati (cioè lamine orientate), tutti nella<br />

forma di pre-preg (pre-impregnati) preferenzialmente. È fra i sistemi più interessanti<br />

per la produzione di forme particolari in laminati, cioè dalle alte caratteristiche<br />

meccaniche. La tecnologia di fabbricazione per vacuum bag è ovviamente più costosa<br />

delle tecnologie analizzate in precedenza, per cui viene impiegata per la realizzazione<br />

di laminati di buone caratteristiche.<br />

AVVOLGIMENTO-FILAMENT WINDING<br />

Le tecniche basate sull'avvolgimento sono fra le più interessanti ma sono limitate<br />

a forme particolari dei solidi da formare.<br />

Il principio è semplice e permette di avere fibre continue e disposizioni secondo<br />

laminati.<br />

L'uso di roving o di nastri pre-impregnati o asciutti assicura di avere le fibre<br />

continue, e giocando su angolo di avvolgimento e larghezza del nastro è possibile<br />

avere lamine sovrapposte con l’angolazione voluta, cioè dei veri e propri laminati.<br />

Il filament-winding è un tipo di lavorazione interamente automatizzata. Consiste<br />

120


nell'avvolgimento di filamenti continui di materiale di rinforzo su un corpo,<br />

generalmente rotante su un asse, detto mandrino; la forma del mandrino determina la<br />

geometria del pezzo da realizzare. Le fibre sciolte, avvolte in una o più bobine poste<br />

su una rastrelliera, passano attraverso un bagno di resina prima di giungere sul<br />

mandrino, dove, guidate dal braccio di deposizione della macchina avvolgitrice,<br />

vengono posizionate secondo ben precise angolazioni.<br />

Al posto delle fibre sciolte si possono anche usare fili o nastri preimpregnati.<br />

Durante l'avvolgimento le fibre sono tenute tese da opportuni dispositivi meccanici<br />

od elettromeccanici (tensionatori). Al termine dell'avvolgimento lo stratificato viene<br />

sottoposto ad un ciclo di cura in forno.<br />

Se necessario la cura può avvenire in autoclave, ove il composito viene<br />

adeguatamente compattato sotto pressione.<br />

Se il pezzo è aperto il mandrino viene ricoperto da un agente distaccante che serve<br />

ad agevolarne l'estrazione dopo il taglio delle estremità. Se il pezzo è chiuso<br />

l’avvolgimento viene effettuato intorno a forme cave in polistirolo o altro materiale a<br />

perdere che può essere tolto mediante fusione o sciolto con dei solventi.<br />

Per i serbatoi di gas o di liquidi in pressione il mandrino è costituito da una sottile<br />

camicia metallica o in materiale plastico (liner) che viene lasciata a far parte<br />

integrante del serbatoio per evitare eventuali perdite di fluido a causa della<br />

permeabilità del composito.<br />

Un parametro fondamentale è l'angolo d'avvolgimento, definito in ogni punto<br />

come l'angolo compreso tra la direzione delle fibre e la tangente al meridiano del<br />

mandrino. L'angolo d'avvolgimento può variare praticamente tra 0° e 90° a seconda<br />

delle proprietà meccaniche richieste al pezzo. Si parla allora, in modo abbastanza<br />

ovvio, di avvolgimento polare, elicoidale o circonferenziale.<br />

Nell'avvolgimento polare il mandrino e l'occhiello di deposizione possiedono<br />

entrambi moto rotatorio, in modo tale che l'avvolgimento delle fibre avvenga<br />

praticamente secondo i meridiani della struttura.<br />

121


Così facendo le fibre non si sovrappongono<br />

durante l’avvolgimento e si può coprire l'intero<br />

mandrino con una singola lamina<br />

opportunamente orientata rispetto all'asse.<br />

Volendo realizzare laminati con angolazioni<br />

maggiori usando questo metodo è necessario<br />

utilizzare nastri di larghezza opportuna.<br />

Nell'avvolgimento elicoidale il mandrino ha un moto rotatorio, mentre il braccio<br />

di deposizione ha un moto traslatorio alternato. Combinando opportunamente questi<br />

due movimenti si può far seguire alle fibre le traiettorie d'avvolgimento desiderate<br />

ottenendo, tuttavia, non una struttura a lamine, ma una sorta di tessuto a fibre.<br />

Nell'avvolgimento circonferenziale mentre il mandrino ruota il braccio di<br />

deposizione compie una traslazione longitudinale che ad ogni giro del mandrino è<br />

pari alla larghezza del nastro. In questo modo si ottengono delle lamine non<br />

intrecciate che servono a dare resistenza nella sola direzione circonferenziale.<br />

Spesso per poter soddisfare ai requisiti strutturali il composito viene realizzato<br />

sovrapponendo più avvolgimenti polari, circonferenziali ed elicoidali differenti.<br />

È importante notare che il filament winding non è adattabile a sole figure<br />

cilindriche, ma anche ad altri solidi. Può per es. adattarsi alla fabbricazione di più<br />

pezzi, che tenuti insieme formino una struttura cilindrica o quasi.<br />

122


PRODUZIONE CONTINUA (PULTRUSIONE)<br />

La pulstrusione è un processo altamente automatizzato e continuo. Da una<br />

calandra porta roving é tirato il rinforzo che viene fatto passare all'interno di una<br />

vasca contenente la resina, il tutto è indirizzato verso un sistema di preformatura che<br />

ha lo scopo di eliminare la resina in eccesso, l’aria intrappolata e abbozzare la forma<br />

finale del profilato. Ultima stazione del processo é una filiera che ha il duplice scopo<br />

di conferire al profilato la<br />

forma definitiva e se riscaldata<br />

di effettuare la<br />

polimerizzazione.<br />

Fondamentale é poter<br />

controllare il calore presente<br />

all'interno dello stampo per<br />

evitare fratture termiche o<br />

perdite di proprietà meccaniche del pezzo. All'uscita dello stampo vi è un sistema di<br />

presa e trascinamento che provvederà a tirare il profilata fino alla stazione di<br />

tranciatura. Il trascinamento deve avvenire a velocità controllata, per favorire una<br />

adeguata cura della resina; l'impianto deve essere dotato di opportuna potenza per far<br />

fronte all'ulteriore resistenza al trascinamento dovuta alla dilatazione termica<br />

all'interno dello stampo.<br />

Si è già accennato al fatto che uno dei grossi vantaggi di questo processo e<br />

l'automazione che consente di realizzare un elevato numero di pezzi a velocità<br />

altrettanto elevata, tanto che il costo ora-macchina incide pochissimo sul costo del<br />

prodotto.<br />

Si presta bene per le produzione di semilavorati profilati a sezione costante con<br />

fibre principalmente monodirezionali.<br />

123


STAMPAGGIO PER TRASFERIMENTO<br />

Si predispongono le fibre “secche” all’interno di uno stampo avente la forma del<br />

pezzo da realizzare, si effettua quindi un’infiltrazione di resina termoindurente<br />

liquida a bassa velocità. La resina deve aver riempito completamente lo stampo prima<br />

che si inneschi la reazione di reticolazione.<br />

La preforma può essere costituita da strati di fibre pressati e consolidati con un<br />

opportuno "legante" chimico (a), o da tessuti tridimensionali (b) o bidimensionali (c).<br />

È necessario che la preforma abbia una certa resistenza meccanica perché le fibre non<br />

debbono spostarsi durante l’infiltrazione di resina; la trama non deve tuttavia essere<br />

troppo "stretta" per consentire alla resina di permeare agevolmente attraverso il letto di<br />

fibre.<br />

a b c<br />

Fasi del processo:<br />

o Pulitura dello stampo (soffiatura,solventi,raschiatura);<br />

o Applicazione del distaccante (cere sintetiche,opacità);<br />

o Applicazione del gel-coat (rivestimento protettivo in resine<br />

termoindurenti,maggiore resistenza);<br />

o Posizionamento del rinforzo (sovrapposizione di strati di fibra, preforma:<br />

preassemblato);<br />

o Chiusura e bloccaggio dello stampo;<br />

o Iniezione della resina;<br />

124


o Apertura dello stampo ed estrazione del pezzo (dopo il tempo di<br />

polimerizzazione, fori di estrazione);<br />

o Operazioni di rifinitura.<br />

Vantaggi:<br />

o buon controllo sulla disposizione delle fibre;<br />

o elevate frazioni in volume di rinforzo;<br />

o buona finitura superficiale;<br />

o possibilità d’automazione del processo;<br />

o buona tutela dell’ambiente di lavoro grazie all’utilizzo di uno stampo<br />

chiuso.<br />

Svantaggi:<br />

o limiti sulle dimensioni massime dei manufatti;<br />

o stampi relativamente costosi.<br />

125


FABBRICAZIONE DI COMPOSITI A FIBRE CORTE<br />

Uno degli aspetti cruciali della tecnologia dei <strong>compositi</strong> a fibre corte è costituito<br />

dalla scelta di opportune tecniche di produzione.<br />

Normalmente vengono impiegati estrusori monovite o bivite, ulteriori processi<br />

tecnologici sono l’iniezione e la spruzzatura in stampo aperto.<br />

Nel procedimento di estrusione si inizia miscelando fibra e polimero in polvere; la<br />

miscela viene poi avviata, tramite tramoggia, alla camera dell’estrusore monolite. Nei<br />

procedimenti più evoluti si alimenta l’estrusore bivite in due punti diversi, dapprima<br />

col polimero e più avanti con la fibra continua. In tal modo quest’ultima viene rotta,<br />

portata a misura dalle viti in rotazione ed incorporata nel polimero già fuso con la<br />

massima dispersione possibile.<br />

Come intuibile, un aumento della velocità di rotazione delle viti comporta una<br />

diminuzione della lunghezza delle fibre (vedi tab 4.1).<br />

Velocità di rotazione Lunghezza media ponderale Perdita di resistenza<br />

(min -1 ) (mm) (%)<br />

20 1,1 12<br />

40 0,85 16<br />

100 0,65 22<br />

Tabella 4.1 Effetto della velocità di rotazione della vite sulla lunghezza delle fibre<br />

Ad un aumento di temperatura corrisponde invece, a causa della diminuita<br />

viscosità del polimero, un aumento della lunghezza delle fibre.<br />

Nella produzione di manufatti, quando si ricorre alla tecnica dell’iniezione,<br />

occorre considerare attentamente le difficoltà dovute all’orientazione delle fibre.<br />

Anche in casi molto semplici, come ad esempio lo stampaggio di provini per<br />

prove di trazione, il manufatto non ha struttura omogenea. La presenza di una parete<br />

lungo la quale il polimero fuso scorre favorisce l’allineamento delle fibre<br />

126


parallelamente alla parete stessa; al contrario nella parte centrale del fluido le fibre<br />

tendono a disporsi perpendicolarmente alla direzione del flusso. Tuttavia<br />

l’orientazione dipende anche dalla forma delle fibre, dalla temperatura e dalla<br />

velocità del fluido.<br />

In figura la spruzzatura in stampo<br />

aperto: preparazione di un foglio<br />

(semilavorato) contenente fibre<br />

discontinue.<br />

127


APPLICAZIONI<br />

APPLICAZIONI AL CAMPO AEREO SPAZIALE<br />

Un settore nel quale vengono massimamente utilizzati i materiali <strong>compositi</strong> è,<br />

come si è più volte detto, quello aeronautico. Si capisce infatti come la leggerezza<br />

dei materiali e la loro resistenza siano indispensabili per un buon progetto di un<br />

veivolo.<br />

Quando la Boeing stava finalizzando il progetto del 747, che per la prima volta<br />

volò nei primi mesi del 1969, discussioni si sollevarono in Europa intorno al progetto<br />

ed alla costruzione di un aereo i linea europeo a larga capacità ed a breve/medio<br />

range.<br />

Dopo vari tentativi Francia e Germania Occidentale decisero di procedere alla<br />

realizzazione dell’aereo noto come European Airbus. Nel dicembre del 1970 l’Airbus<br />

Industrie, in Francia, finanziò lo sviluppo, la manifattura ed il marketing dell’A300:<br />

per la prima volta si cominciarono ad utilizzare materiali <strong>compositi</strong> nelle strutture<br />

secondarie come pannelli, spoiler e freni, poi, dal 1985 per la realizzazione seriale di<br />

strutture primarie. Fu realizzato in seguito infatti l’A310 con piani stabilizzatori fatti<br />

di plastica rinforzata a fibra di carbonio (CFRP).<br />

Durante la costruzione dell’A300 si dovette tener conto del fatto che il costo del<br />

carburante andava aumentando. Quindi risultò di primaria importanza la questione<br />

legata alla possibilità di ridurre il peso del velivolo per poter ridurre i costi operativi<br />

dello stesso. Il peso diventò un parametro vitale nell’economia operativa del<br />

velivolo.<br />

Sempre restando nell’ottica della riduzione dei costi, particolare attenzione doveva<br />

essere rivolta alle problematiche legate alla minimizzazione dei costi di produzione<br />

ed alla riduzione di quelli di manutenzione per la loro incidenza sui costi operativi del<br />

velivolo.<br />

128


Gli ostacoli che si ponevano sulla strada dello sviluppo, del progetto e<br />

dell’impiego dei materiali nelle strutture aeronautiche erano legati alle seguenti<br />

questioni:<br />

o I livelli di sicurezza e di attendibilità, offerti dall’utilizzo dei materiali<br />

classici, non dovevani essere compromessi, utilizzando materiali <strong>compositi</strong>;<br />

o L’accettazione dell’uso dei materiali <strong>compositi</strong> da parte delle autorità<br />

certificanti non era facile da superare;<br />

o La manifattura dei componenti in un composito doveva essere tale da<br />

assicurare all’Airbus Industrie ed alle autorità certificanti che gli standard di<br />

qualità potessero essere mantenuti;<br />

o L’accettazione delle nuove tecnologie da parte delle compagnie di linea.<br />

Il primo aereo della serie, l’A300, ebbe varie fabbricazioni fatte a “sandwich”,<br />

realizzati con <strong>compositi</strong> a fibra di vetro e con Nomex: per sandwich si intende una<br />

struttura costituita da due pelli di materiale fibro-rinforzato separate da un’apposita<br />

anima (core). In un primo momento le fabbricazioni erano tutte strutture secondarie<br />

come ad esempio i pavimenti: in questo caso a parte il risparmio del peso c’è da<br />

considerare che i pavimenti in metallo sono sempre predisposti alla corrosione,<br />

causata dal rovesciamento di ogni tipo di fluido.<br />

Facciamo adesso riferimento all’A310 ed evidenziamo alcuni particolari costruiti<br />

in materiale composito.<br />

Spoiler<br />

Collocati sull’ala più esternamente sono essenziali a bassa velocità durante il<br />

decollo e le fasi di atterraggio. La struttura a sandwich è costituita da lamine di fibre<br />

di carbonio in matrice plastica. La parte centrale è costituita da una costruzione a nido<br />

d’ape in Nomex, un materiale che appartiene alla famiglia del Kevlar ed è utilizzato,<br />

tra l’altro, per le sue proprietà ignifughe.<br />

129


Freni aerodinamici interni<br />

È necessario che la struttura sia molto leggera e allo stesso tempo molto rigida tale<br />

da sopportare la sperimentata deformazione torsionale e flessionale. I rivestimenti e<br />

le centine sono costituite da <strong>compositi</strong> a fibre unidirezionali in carbonio, variando sia<br />

il numero degli strati che il loro orientamento. Intorno all’attaccamento dell’attuatore<br />

sono allocati fino a 26 strati, mentre il numero varia fino a 8 intorno al bordo<br />

d’uscita, che è protetta da una sezione in titanio, che sopporta alti carichi flessionali;<br />

nella figura sottostante è riportato lo schema di un freno aerodinamico.<br />

130


Carenatura della gamba e sportelli del dispositivo di atterraggio.<br />

Entrambi i componenti sono costituiti con sandwich con rivestimenti epossidici<br />

rinforzati a fibra in carbonio e con nuclei stabilizzanti a nido d’ape di kevlar. Il<br />

progetto di queste parti richiede elevata rigidezza largamente soddisfatta dai<br />

rivestimenti in fibra di carbonio. Il progetto di questi componenti raggiunge<br />

l’obiettivo di ottenere una struttura ad alto rendimento con un livello di tensione<br />

medio di approssimativamente il 17% del suo carico ultimo ed un risparmio di 19 Kg,<br />

circa il 30%. Le ore necessarie per la produzione, adottando questa soluzione, sono<br />

state ridotte del 37% rispetto al recedente progetto in metallo.<br />

Carenature ala/fusoliera<br />

Originariamente manifatturata come unità a sandwich a fibra in vetro, la<br />

carenatura tra l’ala e la fusoliera è cambiata in una struttura a sandwich<br />

Kevlar/Nomex, per ottener un ulteriore guadagno in termini di efficienza. La<br />

carenatura provvede ad un sigillo aerodinamico tra la radice dell’ala e la fusoliera e<br />

deve, pertanto, essere abbastanza forte per resistere alle forze aerodinamiche che su<br />

di essa insistono, ma sufficientemente flessibile per poter seguire la flessione dell’ala.<br />

Si ottiene, attraverso la sostituzione in fibre di Keclar/Nomex , un risparmio di 13 Kg.<br />

Timone<br />

I pannelli laterali del timone sono fatti con una combinazione di prepreg<br />

epossidici a fibra in carbonio e vetro, legati ad un nucleo in Nomex. In questo modo<br />

si ottengono riduzioni di peso e di costo oltre che una diminuzione del numero dei<br />

componenti. In particolar modo il peso è ridotto del 20% rispetto al peso del timone<br />

in metello. La figura sottostante riporta una schema del timone.<br />

Anche i flap sono realizzati in materiale composito. La figura sottostante ne<br />

mostra la struttura<br />

131


132


PROGETTAZIONE PIANALE AUTOMOBILISTICO IN MATERIALE<br />

COMPOSITO AD OPERA DEL CENTRO RICERCHE FIAT<br />

Nell’ambito del progetto “Concept Sportiva Evoluta” il Centro Ricerche Fiat ha<br />

progettato e realizzato un telaio multimateriale ad elevato rapporto efficienza/peso.<br />

Le principali caratteristiche del veicolo sono sintetizzate di seguito:<br />

- motore longitudinale 3200 cc V6<br />

- potenza 400 CV a 6500 rpm<br />

- coppia max 500 Nm a 2500 rpm<br />

- accelerazione 0-100 Km/h 4s<br />

- velocità max 250 Km/h<br />

- peso/potenza 3.54 Kg/Cv<br />

Trattandosi di un veicolo sportivo ad elevate prestazioni, la scelta dei materiali<br />

impiegati per la costruzione del telaio è stata guidata dall’esigenza di minimizzare il<br />

rapporto peso potenza. A seguito delle analisi condotte dai progettisti, dagli esperti di<br />

analisi strutturale e di processo è stato pertanto deciso di realizzare la parte centrale<br />

del telaio, preposta ad assicurare la rigidezza del veicolo, in materiale composito con<br />

fibre di carbonio. Le zone anteriori e posteriori, preposte ad assorbire mediante la<br />

loro deformazioni gli urti sono state invece costruite di materiale metallico: alluminio<br />

e titanio. La figura sottostante mostra un’immagine CAD del telaio con indicati, in<br />

base ai colori, i differenti materiali impiegati.<br />

133


Si è deciso di realizzare la parte centrale del telaio utilizzando le due tecnologie di<br />

maggiore diffusione nel campo dei materiali <strong>compositi</strong> strutturali: la laminazione<br />

manuale con ciclo di cura in autoclave ed il processo di Resin Transfer Molding.<br />

A tal fine la struttura centrale del telaio è stata separata in due componenti: un<br />

pavimento ed un parafiamma uniti tra loro tramite una doppia fila di bulloni, (vedi<br />

fig, sotto).<br />

Il pavimento è stato realizzato con la tecnologia della laminazione manuale. Per<br />

incrementare le caratteristiche strutturali del componente, senza penalizzare il peso, si<br />

è fatto ricorso ad una struttura di tipo sandwich. Questa soluzione prevede di inserire<br />

tra due opposti fogli di fibra di carbonio una struttura reticolare che incrementa la<br />

rigidezza a flessione del pannello. Si noti inoltre che ciascun foglio è a sua volta<br />

costituito da più strati di tessuto preimpregnato di fibra di carbonio sovrapposti l’uno<br />

sull’altro ed orientati in maniera opportuna. Per ottimizzare la rigidezza torsionale e<br />

per assorbire i carichi di urto trasferiti dai puntoni, il tunnel è stato realizzato a<br />

sezione chiusa.<br />

La tecnologia della laminazione manuale si presta ad essere utilizzata per produrre<br />

lotti minimi:una o due vetture al giorno od esemplari unici. Il processo si<br />

contraddistingue infatti per i bassi costi di investimento avendo per contro tempi ciclo<br />

molto elevati e la necessità di disporre di manodopera altamente specializzata. La fig<br />

134


sottostante riporta il componente finito.<br />

Come ricordato sopra, per esplorare le potenzialità del processo applicato ad un<br />

componente di forma complessa, la parte centrale anteriore del telaio denominata<br />

parafiamma è stata realizzata in RTM con fibre rinforzate in carbonio misto vetro. Il<br />

componente viene ottenuto iniettando la matrice di resina all’interno di uno stampo<br />

su cui sono preventivamente disposte le fibre secche di carbonio preformate e cucite<br />

tra loro.<br />

Il processo avviene a temperatura e a<br />

pressione controllata. Per incrementare le<br />

caratteristiche strutturali del componente<br />

sono stati introdotti degli inserti di rinforzo in<br />

Nomex. La figura mostra un particolare del<br />

pezzo finito assemblato con il pavimento.<br />

Le analisi economiche svolte in parallelo alle attività di progettazione, hanno<br />

dimostrato la convenienza di questa tecnologia qualora le esigenze di produzione<br />

richiedano la costruzione di almeno 5/10 vetture al giorno. Rispetto alla laminazione<br />

mauale è necessario tenere in conto dei maggiori vincoli legati ad esigenze di<br />

processo. In particolare bisogna impostare delle forme che, oltre a garantire la<br />

funzionalità del componente, agevolino il riempimento delle fibre a seguito<br />

135


dell’iniezione della resina. Le varie fasi dello sviluppo progetto, che vanno dalla<br />

impostazione architetturale del telaio, ai calcoli di dimensionamento del carbonio alla<br />

realizzazione del modello CAD, sono sintetizzate nella figura sottostante.<br />

L’attività sul telaio ha quindi posto le basi per la costituzione di un team<br />

interfunzionale in grado di governare lo sviluppo prodotto di componenti in materiale<br />

composito dall’idea alla realizzazione.<br />

136


FRENI A DISCO<br />

Attualmente i <strong>compositi</strong> realizzati appositamente per essere applicati ai dischi<br />

freno sono identificabili in: <strong>compositi</strong> a matrice metallica (MMC, metal matrix<br />

compisites), <strong>compositi</strong> a matrice ceramica (C/C-SiC), ed i <strong>compositi</strong> carbon-carbon<br />

(C/C).<br />

I Carbon-Carbon, come è facile intuire, sono costituiti da fibre di carbonio ad alto<br />

modulo, annegate in una matrice epossidica (carbonio). I <strong>compositi</strong> a matrice<br />

metallica sperimentati nella realizzazione di dischi freno (MMC) sono essenzialmente<br />

basati sull’utilizzo di alluminio rinforzato con fibre di carburo di silicio. I <strong>compositi</strong> a<br />

matrice ceramica (C/C-SiC), invece, sono materiali realizzati mediante infiltrazione<br />

di silicio fuso in una percentuale finale di almeno il 20% della massa totale del<br />

composito, in una preforma porosa di fibre di carbonio precedentemente realizzata e<br />

avente già all’incirca la forma finale del disco.<br />

PROPRIETÀ GENERALI<br />

I <strong>compositi</strong> C/C furono introdotti<br />

per la prima volta negli anni settanta<br />

sui veicoli aeronautici militari, e nel<br />

decennio successivo si assistette ad un<br />

trasferimento tecnologico anche agli<br />

aeromobili civili ed al mondo delle<br />

competizioni automobilistiche.<br />

Il carbon-carbon è in grado di garantire parametri estremamente vantaggiosi in<br />

funzione degli scopi che si vogliono raggiungere in un impianto frenante di alta<br />

gamma:<br />

o bassa densità, e quindi la possibilità di avere componenti molto leggeri,<br />

importante nel settore automobilistico soprattutto per garantire alte doti di<br />

tenuta di strada e di handling dei veicolo;<br />

137


o basso coefficiente di espansione termica, alto calore specifico e alta<br />

conducibilità termica, e quindi la capacità di lavorare a temperature molto<br />

elevate e di smaltire velocemente alte quantità di calore;<br />

o alto coefficiente d’attrito alle alte temperature, per cui la possibilità di<br />

raggiungere alte potenze in fase di frenata, riducendo anche le dimensioni del<br />

braccio della forza, e quindi il diametro del disco.<br />

Per tali motivi risulta evidente perchè, in questo campo specifico di applicazione,<br />

il carbon/carbon sia il materiale più prestante disponibile sul mercato: attualmente<br />

vengono infatti installati su aerei e vetture da Formula 1.<br />

Microstruttura<br />

Dal punto di vista microstrutturale, un composito carbon-carbon è costituito da<br />

fibre di carbonio disposte in maniera ordinata tra di loro e inglobate in una matrice<br />

ancora in carbonio. Il composito viene proprio per questo motivo chiamato<br />

carbon/carbon, in quanto sia la matrice che il rinforzo dato dalle fibre è costituito da<br />

solo Carbonio.<br />

In figura si nota la fibratura a maglie di un composito C/C.<br />

In genere il materiale si ottiene per<br />

accrescimento, depositando uno<br />

sull’altro vari strati di fibra intrecciata;<br />

l’intreccio può essere di vario tipo<br />

anche se generalmente si presenta<br />

come una maglia: da ciò si comprende<br />

perché tale materiale sia così compatto<br />

e strutturalmente ordinato.<br />

Le fibre di carbonio utilizzate per i dischi freno hanno lunghezza variabile ma in<br />

genere pari a circa 8mm e presentano un altissimo modulo elastico per sforzi diretti<br />

come il loro asse (circa 5000 Gpa), hanno però un modulo elastico molto ridotto per<br />

sforzi non paralleli all’asse (circa 35 Gpa).<br />

138


ASPETTI PRODUTTIVI E TECNOLOGICI<br />

Il composito carbon-carbon risulta molto oneroso da produrre sia in termini<br />

economici, sia in termini di tempo, in quanto prevede l’unione successiva di singoli<br />

strati di fibre che vengono poi unite fino a realizzare le dimensioni volute, e cioè, nel<br />

nostro caso, lo spessore finale del disco, cosa che in genere viene realizzata mediante<br />

una serie di trattamenti quali impregnamenti e pirolisi. Per ottenere il composito vero<br />

e proprio occorre realizzare la matrice in carbonio attorno alle fibre e ciò è possibile<br />

per mezzo della tecnica del chemical vapor deposition, o mediante l’applicazione di<br />

speciali resine.<br />

La chemical vapor deposition (CVP) è un particolare processo produttivo che<br />

inizia con una preforma realizzata proprio mediante la sovrapposizione degli strati di<br />

fibre di carbonio, che già presenta la forma finale del disco. Questa viene riscaldata in<br />

una fornace pressurizzata con gas organico, come il metano, l’acetilene, o il benzene,<br />

in modo tale che per via delle alte temperature (circa 1200°C) e pressioni alle quali il<br />

materiale è sottoposto, il gas si decomponga e si depositi andando a formare una sorta<br />

di pellicola attorno alle fibre di carbonio. Mano a mano che il gas si deposita, lo<br />

strato si accresce e va a costipare tutte le porosità presenti tra le fibre, per cui alla fine<br />

si ottiene una matrice uniforme che ingloba le fibre precedentemente realizzate. Tale<br />

processo risulta essere molto lungo, per cui, unitamente alle alte temperature<br />

richieste, si può ben capire perchè materiali <strong>compositi</strong> del tipo C/C risultino essere<br />

molto costosi: si pensi per esempio che la realizzazione di una matrice dello spessore<br />

di solo 1 cm richiede tempi di permanenza in temperatura di almeno otto ore.<br />

Il secondo metodo per la realizzazione del composito C/C prevede invece<br />

l’utilizzo di una resina (per esempio, epossidica o fenolica) che viene posta sotto<br />

pressione nella preforma di fibre di carbonio. Successivamente, il tutto subisce un<br />

trattamento di pirolisi ad alta temperatura che permette, tramite la combustione in<br />

atmosfera inerte, di eliminare componenti molecolari quali idrogeno, ossigeno e<br />

azoto, in modo tale che alla fine del processo si abbiano solo lunghe catene di<br />

139


carbonio. In questo modo si riesce a realizzare una matrice stabile dove sono<br />

annegate le fibre di rinforzo.<br />

I dischi freno carbon-carbon vengono quindi realizzati per strati successivi di fibre<br />

di carbonio orientate in modo differente, per ottenere una struttura laminare robusta e<br />

resistente nei confronti di possibili rotture fragili; in effetti, se osserviamo un disco<br />

realizzato con questo materiale, possiamo notare che la parte laterale mostra ancora i<br />

vari strati sovrapposti ed uniti permanentemente tra di loro per poter realizzare il<br />

prodotto finito.<br />

Un problema produttivo dovuto alla microstruttura e non risolvibile è dato dal<br />

fatto che il processo di pirolisi ad alta temperatura apporta notevoli stress termici al<br />

materiale, ed in particolare alla matrice in carbonio.<br />

Questo porta alla formazione, come è<br />

comprensibile, di tensioni interne, che<br />

vengono assorbite dalla matrice di<br />

carbonio, e che risultano altamente<br />

nocive, in quanto possono provocare<br />

la formazione di microfratture e<br />

microcricche interne.<br />

Il pericolo è quindi quello d’avere un materiale danneggiato le cui prestazioni<br />

meccaniche e termodinamiche non risultano all’altezza delle aspettative nella<br />

successiva messa in esercizio, e per tali motivi risulta fondamentale tener sotto<br />

controllo i parametri e le modalità di trattamento termico.<br />

La figura mostra microcricche in una struttura C/C dopo pirolisi a 880°C: cricche<br />

nella matrice (a) e distacco tra matrice e fibre (b).<br />

CARATTERISTICHE FINALI DEL MATERIALE<br />

Piccole variazioni della microstruttura generale del composito portano<br />

all’ottenimento di un materiale con caratteristiche macroscopiche diverse, sia in<br />

termini meccanici che in termini termodinamici, per cui il controllo microscopico<br />

140


isulta essere fondamentale per ottenere le caratteristiche volute. Nello specifico,<br />

l’orientazione delle fibre induce nel materiale delle direzioni privilegiate di resistenza<br />

meccanica e di conducibilità termica come più volte scritto in precedenza. Per questi<br />

motivi, nei dischi C/C, gli strati sono formati singolarmente e poi sovrapposti in<br />

maniera multidirezionale: si riesce così a conferire al disco maggiore resistenza alla<br />

trazione in tutte le direzioni, e non in direzioni privilegiate.<br />

La matrice in carbonio grazie alla<br />

quale vengono agglomerati i diversi<br />

strati fornisce invece un elevato<br />

coefficiente di conduzione trasversale,<br />

e quindi massimizza le caratteristiche<br />

di dispersione del calore, rendendo il<br />

più possibile omogenea la distribuzione<br />

dello stesso all’interno del disco.<br />

A confermare le elevate caratteristiche termodinamiche e di dispersione del calore<br />

di questo materiale, si può osservare che dischi C/C vengono spesso prodotti<br />

addirittura senza un sistema di canalizzazioni interne per favorire la ventilazione. In<br />

genere sono infatti presenti fori radiali sulla parte cilindrica del componente non<br />

tanto con lo scopo di raffreddare il materiale, ma piuttosto per alleggerire<br />

ulteriormente il disco.<br />

Per quel che riguarda le proprietà di frizione bisogna sottolineare l’importanza<br />

dell’accoppiamento rotore-pastiglia: la pastiglia deve essere costituita da un materiale<br />

appositamente scelto. Infatti il carbonio, se accoppiato ad un metallo, è un materiale<br />

lubrificante, ed inoltre sarebbe responsabile di rilevanti fenomeni diffusivi: per questi<br />

motivi le comuni pastiglie non possono essere impiegate.<br />

Dopo una sperimentazione su diversi accoppiamenti si è rilevato un<br />

comportamento ottimale di pastiglie costituite da un materiale affine, sostanzialmente<br />

in carbonio. D’altro canto affinità chimica e durezze confrontabili inducono tassi di<br />

usura del disco vicini a quelli della pastiglia, e quindi molto elevati rispetto ad<br />

141


accoppiamenti con materiali diversi.<br />

Le caratteristiche tribologiche a basse temperature sono piuttosto deludenti e<br />

aumentano sensibilmente all’aumentare della temperatura, quando il coefficiente di<br />

attrito raggiunge valori di 0.55-0.6, non raggiunti da altri materiali a regime.<br />

Durante i decenni scorsi, nel tentativo di utilizzare dischi di tipo C/C sui veicoli<br />

stradali di alta gamma, si sono ottenuti solamente risultati deludenti: il coefficiente<br />

d’attrito offerto dal sistema disco-pastiglia alle temperature usuali d’esercizio su<br />

strada, ed in particolare nella prima fase di utilizzo, risulta nettamente inferiore<br />

rispetto a quello ottenuto alle temperature tipiche di un impiego sportivo, e non<br />

permette quindi di raggiungere le prestazioni di frenata volute. Per un ottimale<br />

utilizzo questo materiale richiede il raggiungimento ed il mantenimento di<br />

temperature elevate, cosa impensabile da ottenere su vetture il cui impiego non è<br />

riservato a competizioni sportive. Inoltre, la particolare fragilità del materiale,<br />

unitamente alle sue particolari caratteristiche, richiede controlli continui e quindi un<br />

monitoraggio periodico del sistema, che risulta essere un altro punto a sfavore<br />

riguardo alla possibilità di trasferire questa tecnologia sulle vetture di serie.<br />

Esiste inoltre un limite di natura puramente tecnologica ed economica: la<br />

realizzazione di un disco carbon-carbon, infatti, risulta lunga e dispendiosa, e richiede<br />

quindi un’ingente quantità di risorse economiche e produttive, cosa ancora una volta<br />

impensabile per una produzione di serie, anche se di altissima gamma.<br />

MATERIALI COMPOSITI A MATRICE CERAMICA (C/C-SIC)<br />

A partire da tali bisogni ha avuto inizio la ricerca e lo sviluppo dei materiali carbo-<br />

ceramici, con l’obiettivo di trasferire, almeno in parte, le alte prestazioni offerte dai<br />

dischi carbon-carbon, pur avendo la garanzia di un prodotto effettivamente<br />

utilizzabile e commerciabile sia dal punto di vista della funzionalità, sia dal punto di<br />

vista economico.<br />

Il materiale carbo-ceramico risulta essere un composito realizzato mediante una<br />

matrice in materiale ceramico rinforzato con fibre di carbonio. I materiali ceramici<br />

142


avanzati mostrano particolari proprietà che li rendono estremamente utili in<br />

applicazioni tribologiche anche ad elevate temperature, quali l’elevata durezza, la<br />

resistenza in compressione, la refrattarietà, l’inerzia chimica, la bassa densità.<br />

Risultano però essere materiali molto fragili, e quindi per poter essere utilizzati per<br />

applicazioni strutturali, quale può essere quella di un disco freno, devono<br />

necessariamente essere resi più tenaci per mezzo di fibre.<br />

Attualmente, il mercato vede come<br />

materiale carbo-ceramico per dischi<br />

freno più diffuso il composito C/C-SiC,<br />

studiato dapprima da Porsche, e<br />

sviluppato successivamente da varie<br />

altre aziende specializzate come<br />

Brembo, che ne produce attualmente<br />

circa 15000 pezzi all’anno.<br />

Da notare, comunque, che tale prodotto non risulta essere l’unico: infatti varie<br />

altre combinazioni nella percentuale di materiale o e nei diversi processi produttivi<br />

sono in fase di studio per la realizzazione di un prodotto sempre più avanzato, ma<br />

anche sempre più spendibile sul mercato, e la stessa ricerca degli ultimi decenni<br />

realizzata in modo autonomo da varie aziende ed istituti ha portato a materiali la cui<br />

idea di base è la stessa, ma dove modifiche nella composizione chimica, nel processo<br />

produttivo, o nei parametri utilizzati per la produzione stessa, hanno reso possibile la<br />

nascita di una famiglia di materiali con caratteristiche finali anche piuttosto differenti.<br />

MICROSTRUTTURA<br />

La microstruttura di questi materiali presenta una matrice ceramica costituita<br />

principalmente di carburo di silicio e in quantità minore di silicio, contenente<br />

come fase dispersa una gran quantità di fibra di carbonio. La lunghezza delle fibre è<br />

di circa 8 mm. Riguardo la disposizione, invece, nulla può essere detto a priori in<br />

143


quanto il materiale può presentare diverse soluzioni: disordinata oppure ordinata<br />

secondo diverse modalità.<br />

Il risultato è un prodotto<br />

carbo-ceramico del tipo<br />

C/C-SiC in cui le<br />

caratteristiche di rigidezza<br />

e durezza sono date dalla<br />

fase ceramica (SiC),<br />

mentre le fibre di carbonio<br />

permettono di contrastare<br />

la fragilità tipica dei<br />

materiali ceramici.<br />

Fin dall’inizio della ricerca su questi <strong>compositi</strong> si è lavorato sulla microstruttura<br />

per massimizzare le potenzialità del materiale. Le prime sperimentazioni su<br />

applicazioni frenanti, considerata la derivazione diretta dei C/C-SiC dai Carbon-<br />

Carbon, presentavano una orientazione delle fibre parallela alla superficie di frizione,<br />

con risultati molto affini agli stessi C/C, ma con una riduzione dell’usura. Purtroppo<br />

però, questa prima generazione di C/C-SiC non era ancora industrializzabile, avendo<br />

costi di produzione vicini ai C/C e caratteristiche tribologiche non abbastanza stabili<br />

in quanto, essendo il coefficiente d’attrito dipendente dalla temperatura, e lavorando<br />

il disco a temperature superficiali molto elevate, non si riusciva ad ottenere la<br />

costanza e la continuità volute nelle prestazioni. Per ovviare a questo, si<br />

individuarono tre possibili strade per ottenere l’incremento della conduttività termica<br />

trasversale, in modo da smaltire il più velocemente possibile il calore presente:<br />

o uso di fibre di carbonio più raffinate, aventi maggiore conducibilità termica;<br />

o incremento dell’angolo tra le fibre e la superficie d’attrito;<br />

o incremento del contenuto di materiale ceramico (SiC) per aumentare la<br />

compattezza del materiale e quindi ridurre le porosità presenti.<br />

144


Da un punto di vista economico, l’incremento di Silicio e Carburo di silicio risulta<br />

la soluzione migliore. Poiché sussiste una forte dipendenza fra il rischio di cedimento<br />

fragile e la porosità, tale soluzione ha un effetto positivo sulle caratteristiche di<br />

resistenza alla frattura fragile del materiale. Tuttavia una seconda conseguenza è<br />

rappresentata da una densità leggermente maggiore (circa 2kg/dm 3 ), che comunque<br />

risulta essere nettamente più contenuta rispetto, per esempio, ai classici dischi in<br />

ghisa grigia. Bisogna sempre tener presente che il risultato a cui si vuole arrivare con<br />

questo tipo di materiali deve essere un buon compromesso tra caratteristiche<br />

meccaniche e termiche.<br />

Una prova della stabilizzazione del coefficiente d’attrito dovuta all’incremento del<br />

coefficiente di conducibilità trasversale, mediante tali soluzioni, è visibile dallo studio<br />

dell’andamento del coefficiente d’attrito in funzione della velocità relativa tra disco e<br />

pastiglia (e quindi, in funzione anche della potenza in gioco e della temperatura delle<br />

superfici) mediante test tribologici che hanno riportato i seguenti risultati:<br />

Type I – standard C/C-SiC;<br />

Type II – C/C-SiC con fibre di carbonio<br />

a conducibilità termica migliorata<br />

Type III – C/C-SiC con rilevante<br />

contenuto di fibre in direzione assiale<br />

Type IV – C/C-SiC con alto contenuto di SiC<br />

145


In base ai risultati rappresentati in figura si può quindi osservare come si sia<br />

riusciti a migliorare la stabilità del coefficiente d’attrito agendo sulla microstruttura<br />

del materiale ed in particolare sulle sue caratteristiche termodinamiche.<br />

Per migliorare la capacità di smaltimento del calore, è possibile ricavare una serie<br />

di condotti interni al disco che permettono di aumentare il flusso d’aria e quindi la<br />

possibilità di raffreddare in tempi rapidi la superficie d’attrito, per evitare<br />

surriscaldamenti del disco stesso, oltre che la possibilità che il calore prodotto si<br />

trasferisca all’intero impianto con notevoli problemi in termini di sicurezza. La<br />

presenza di tale sistema di aerazione permette di ridurre la temperatura della<br />

superficie d’attrito di circa 300° C rispetto ai classici dischi pieni.<br />

Attualmente vengono prodotti dischi carbo-ceramici che presentano variazioni<br />

notevoli nella disposizione delle fibre. Un esempio è rappresentano dai dischi CCM e<br />

CMC: i primi sono prodotti da Brembo, mentre i secondi da Daimler-Mercedes. Il<br />

materiale è sostanzialmente lo stesso, a differenza della disposizione delle fibre di<br />

carbonio. Nei prodotti CCM, infatti, le fibre risultano essere corte (inferiori agli 8<br />

mm di lunghezza) e casualmente orientate nella matrice; nei CMC, invece, le fibre<br />

sono di lunghezza maggiore, orientate in maniera circolare e parallele alla pista di<br />

strisciamento. Questa ultima soluzione permette di ottenere un materiale con<br />

conducibilità termica maggiore, e ciò si riflette nella minor necessità di avere una<br />

ventilazione interna del disco: proprio per questo motivo i CCM sono dischi ventilati<br />

con una geometria piuttosto complessa, mentre i CMC sono costituiti su un corpo<br />

pieno che presenta piccoli fori radiali. A parte lievi differenze, comunque, il processo<br />

produttivo rimane pressoché simile in entrambe le soluzioni: basti pensare che spesso<br />

entrambi i componenti vengono realizzati sulla stessa linea produttiva.<br />

USURA E RIVESTIMENTI<br />

Questo tipo di impianti frenanti lavora sviluppando elevate temperature<br />

superficiali tra rotore e statore, il che comporta l’uso di particolari materiali anche per<br />

le pastiglie che siano in grado di mantenere le caratteristiche desiderate anche in<br />

146


condizioni di lavoro estreme. Infatti il materiale con il quale sono prodotte le pastiglie<br />

è sostanzialmente lo stesso di quello utilizzato per i dischi; questo implica che disco e<br />

pastiglia si usurino all’incirca alla stessa velocità (170 mm 3 /MJ), peraltro troppo<br />

elevata per permettere la realizzazione dei dischi per veicoli stradali. Per evitare<br />

questo fatto, si effettua un rivestimento del solo disco con uno strato duro.<br />

Per realizzare ciò sono stati studiati due metodi: la deposizione chimica a vapore<br />

CVD di Carburo di Silicio puro per uno spessore di 0,1 – 0,2 mm, in grado di<br />

abbassare del 90% il tasso di usura (fino a un valore di 17 mm 3 /MJ), ma anche di<br />

incrementare ulteriormente il costo finale del componente; oppure l’aggiunta in<br />

superficie di Silicio e Carbonio che, reagendo tra di loro, producono Carburo di<br />

silicio e formano uno strato dello spessore compreso fra 0,2 e 2 mm in grado di<br />

aderire in maniera molto forte al substrato. Questa seconda soluzione comporta<br />

naturalmente una rifinitura con utensili al diamante per via della maggiore durezza<br />

superficiale, ma in generale risulta economicamente vantaggiosa rispetto al<br />

trattamento CVD, e permette ugualmente di ottenere tassi di riduzione dell’usura<br />

nell’ordine dell’85% (fino a 21 mm 3 /MJ).<br />

MATERIALI COMPOSITI A MATRICE METALLICA (MMC)<br />

Gli MMC sono materiali che rientrano nella categoria dei <strong>compositi</strong>, pertanto sono<br />

stati presi in considerazione, anche se il progetto di un loro utilizzo in una produzione<br />

seriale di dischi freno risulta essere stato accantonato dopo una prima fase di<br />

sperimentazione, dove non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative.<br />

I Metal Matrix Composites sono quindi materiali costituiti da una matrice<br />

metallica e da una fase dispersa che può essere in forma di particolato, di fibre<br />

continue o discontinue, oppure di whiskers. La tecnologia di questi materiali<br />

sembrava essere vantaggiosa perché consente di impiegare sostanze con<br />

caratteristiche tribologiche o termiche rilevanti se confrontate, ad esempio, alla ghisa,<br />

che presentano tuttavia scarse proprietà meccaniche: esistono infatti metalli e leghe<br />

147


con proprietà specifiche migliori di quelle dell’acciaio, che però in genere sono<br />

teneri, per cui usati come rotore di un freno avrebbero un’usura abrasiva troppo<br />

elevata. Un materiale composito a matrice metallica, invece, possiede sia resistenza<br />

che rigidezza, grazie all’effetto rinforzante svolto dalla fase dispersa, oltre ad una<br />

densità contenuta.<br />

Come applicazione industriale di massa, dall’ottobre 1991 Ford e Toyota provarono<br />

ad installare dischi freno in Al-Si con il 20% di SiC. In seguito altre case<br />

automobilistiche, tra cui Volkswagen e Lotus, testarono questo materiale.<br />

I materiali MMC hanno però un forte<br />

vincolo applicativo sulle temperature di<br />

utilizzo, le quali risultano inferiori a quelle<br />

dei materiali ferrosi. Per questo motivo<br />

l’applicazione migliore sembrava essere<br />

quella su veicoli motociclistici, in quanto è<br />

richiesta leggerezza e il disco lavora in un<br />

ambiente con forte scambio convettivo.<br />

Le ditte Honda, Suzuki e Ducati hanno sperimentato questi freni nel campionato<br />

mondiale di motociclismo.<br />

IL MATERIALE E LA SUA MICROSTRUTTURA<br />

I metalli usati per le matrici di MMC attualmente presente sul mercato sono<br />

molteplici (ad esempio, ferro, rame, alluminio, nickel, titanio) ma per i dispositivi<br />

frenanti quello che si è imposto sugli altri è l’alluminio, che presenta le seguenti<br />

caratteristiche:<br />

o bassa densità (2,7 g/cm 3 );<br />

o alta conducibilità termica (204 W/mK);<br />

o buone caratteristiche tribologiche;<br />

o alto grado di isotropia;<br />

o buona colabilità;<br />

148


o basso costo (costa meno rispetto gli altri metalli impiegati come matrice).<br />

Presenta, putroppo, anche i seguenti svantaggi:<br />

o basso Modulo di Elasticità (70 Gpa);<br />

o bassa resistenza meccanica (60 Mpa);<br />

o bassa temperatura di fusione (627 °C).<br />

Come già detto la fase dispersa ha l’obiettivo di incrementare le proprietà<br />

meccaniche, che aumentano in maniera direttamente proporzionale al contenuto di<br />

fibra. La tecnologia dei materiali <strong>compositi</strong> ha dunque permesso di ovviare ai<br />

problemi relativi alle proprietà meccaniche.<br />

Nulla si può fare invece per quel che riguarda la bassa temperatura di fusione, se<br />

non limitare le temperature di impiego del materiale al di sotto dei 400 °C, cosa che<br />

naturalmente preclude molti campi di applicazione.<br />

La microstruttura del materiale presenta, per i suddetti motivi, una matrice<br />

metallica di alluminio e una fase dispersa costituita da carbonio, o da carburo di<br />

silicio. In figura è riportata la micrografia di un MMC con matrice in Al e fase<br />

dispersa costituita da Si (grigio chiaro) e Si-C (grigio scuro) sviluppato durante gli<br />

studi condotti da Ford all’inizio degli anni Novanta.<br />

E’ importante notare che, contrariamente a<br />

quanto avviene per i CMC, la fase dispersa<br />

aumenta le proprietà meccaniche del<br />

materiale, mentre è la matrice a conferire<br />

tenacità. Per ottenere una buona resistenza<br />

del composito è essenziale ottenere anche<br />

un buon legame tra fibra e matrice, che<br />

eventualmente può essere rinforzato<br />

rivestendo le fibre (con boro ad esempio).<br />

Questa operazione, oltre ad aumentare il legame interfacciale, impedisce eventuali<br />

reazioni tra fibra e matrice quando il materiale viene portato in temperatura.<br />

149


VETRORESINA IN CAMPO NAUTICO<br />

Le imbarcazioni di vetroresina sono costruite impiegando stampi che danno la<br />

forma allo scafo, alla coperta e alle altre parti strutturali che successivamente<br />

dovranno essere assemblate per incollaggio.<br />

Le dimensioni delle imbarcazioni in vetroresina possono variare da pochi metri ad<br />

alcune decine di metri. Le imbarcazioni più grandi costruite in Italia sono quelle<br />

militari che non arrivano a cinquanta metri.<br />

In figura si riporta lo schema del ciclo produttivo, le cui operazioni sono descritte<br />

successivamente.<br />

150


I MATERIALI<br />

I materiali impiegati sono di tipo diverso:<br />

o Stampi<br />

o Tessuti in fibra di vetro e fibre di vetro non tessute<br />

o Tessuti in fibra di carbonio o in fibra di altro tipo<br />

o Resine poliestere<br />

o Resine fenoliche o di altro tipo<br />

o Alcool polivinilico<br />

o Solventi<br />

o Gel-coat<br />

o Cere<br />

o Colle<br />

o Vernici<br />

o Legname, semilavorati e manufatti in legno<br />

o Materiali metallici, semilavorati e manufatti in metallo<br />

o Materiali , apparecchiature elettriche e elettroniche<br />

o Materiali e impianti da istallare<br />

o Dotazione per la navigazione<br />

Il materiale in arrivo è scaricato dai mezzi di trasporto, controllato e stoccato in<br />

magazzino. Nel magazzino generale sono custoditi anche utensili, oli e altre<br />

attrezzature necessarie per l’impiego delle macchine utensili impiegate nelle officine.<br />

Gli spostamenti dei materiali sono i seguenti:<br />

o Gru su rotaie gommate<br />

o Carrelli elevatori a forche<br />

o Furgoni su gomma<br />

COSTRUZIONE DELLO SCAFO E DELLA COPERTA<br />

Lo scafo e la coperta sono prodotti su stampo come già detto. Gli stampi devono<br />

essere preparati stendendo alcool polivinilico e cera sulla loro superficie per facilitare<br />

151


il distacco del manufatto quando l’operazione di formatura è completata. La<br />

successiva operazione è la stesura di gel-coat su tutto lo stampo in modo che la<br />

superficie esposta abbia un grado di finitura superiore a quello ottenibile con la<br />

resina.<br />

Si inizia quindi la stesura dei teli tessuti in fibra di vetro che si impregnano con<br />

resina poliestere multistrato e stirolo. L’operazione consiste nell’alternare la stesura<br />

di un telo e l’impregnazione con resina. La resina può essere somministrata con rulli<br />

orientati a mano o con macchine impegnatrici.<br />

Durante tali operazioni inizia la polimerizzazione dello stirolo con conseguente<br />

indurimento del manufatto che si sta formando. La stesura del telo e la successiva<br />

impregnazione sono ripetute un numero di volte tanto maggiore quanto più alto è lo<br />

spessore che si vuole dare al manufatto.<br />

Per la costruzione di scafi di piccole dimensioni e di non grandi qualità la<br />

formatura si realizza proiettando una sospensione di fibre e resina sullo stampo<br />

preparato come già detto. Con tale tecnica le fibre impregnabili sono di lunghezza<br />

contenuta ed il manufatto ottenuto a parità di spessore avrà una rigidità ed una<br />

resistenza minori di quello fabbricato con l’uso dei teli tessuti impregnati di resina<br />

mediante rulli.<br />

FINITURA<br />

Il manufatto formato può essere distaccato dallo stampo dopo alcune ore affinché<br />

il processo di polimerizzazione sia completato e la rigidità abbia raggiunto il valore<br />

desiderato.<br />

Lo scafo e la coperta devono essere rifiniti con operazioni di taglio, di molatura e<br />

di sagomatura sulle parti che devono essere assemblate con altri componenti per<br />

incollaggio.<br />

152


INCOLLAGGIO<br />

Lo scafo è unito alla tuga (o coperta) per incollaggio; con medesimo sistema sono<br />

assemblati anche altri pezzi minori come il quadro di comando, la torretta, o altre<br />

strutture costruite separatamente.<br />

L’operazione di incollaggio è predisposta preparando le superfici con la finitura<br />

(già vista) ed una preliminare pulizia sia meccanica che con solventi. Le colle sono<br />

stese manualmente ed i pezzi accoppiati con l’ausilio di gru e carro ponti.<br />

COSTRUZIONE DEGLI INTERNI<br />

La costruzione degli interni e la coibentazione antirumore sono operazioni<br />

eseguite con l’imbarcazione a terra sullo scalo. Il caricamento del materiale è<br />

effettuato con l’aiuto di gru o di carroponti.<br />

Gli interni sono realizzati prevalentemente in legno, per limitare il peso e perché è<br />

un materiale isolante; possono tuttavia essere impiegati altri materiali capaci di<br />

conservare le proprie caratteristiche in ambiente marino.<br />

ALLESTIMENTO<br />

L’allestimento di una nave con gli impianti meccanici, igienici, frigoriferi nonché<br />

con il sistema di propulsione è eseguito con l’imbarcazione a terra sullo scalo.<br />

Il caricamento dei componenti degli impianti è effettuato con l’ausilio di gru e di<br />

carroponti.<br />

VERNICIATURA<br />

Le superfici rifinite con gel-coat non hanno bisogno di ulteriore protezione o<br />

finitura con vernici; soltanto la parte sommersa deve essere protetta con pittura<br />

antivegetativa. Gli interni, le parti in legno o altre parti metalliche devono essere<br />

protette con vernici resistenti all’ambiente marino.<br />

153


TAGLIO<br />

In alcune fasi della costruzione è stato citato l’impiego di teli di vetroresina per la<br />

formazione delle strutture dell’imbarcazione e di pannelli di poliuretano (o materiale<br />

equivalente) per la coibentazione degli ambienti. Sia gli uni che gli altri spesso<br />

devono essere tagliati per essere adattati alla forma dello stampo o della parete.<br />

Occorre quindi un attrezzatura specifica per il taglio, che sarà eseguito in un reparto<br />

dedicato.<br />

Il telo o il panello è portato su un tavolo dove, seguendo una sagoma-modello, è<br />

tagliato a mano o con una macchina a tagliare. Gli sfridi sono raccolti ed eliminati<br />

come rifiuti.<br />

154


STRUTTURE A NIDO D'APE<br />

II nido d'ape è costituito essenzialmente da fogli sottili, opportunamente sagomati<br />

e collegati in modo da fornire una struttura formata da tante cellette non dissimile dal<br />

favo delle api (da cui il nome). Per la loro manifattura le tecniche più in uso sono<br />

due: la tecnica dell'espansione e quella del corrugamento.<br />

II metodo dell'espansione è usato<br />

sia per materiali metallici che non<br />

metallici. Consiste nel porre<br />

dell'adesivo lungo delle strisce dei<br />

fogli, ammassarli e curare il blocco,<br />

così ottenuto, sotto pressione e ad<br />

elevata temperatura.<br />

Se si usano fogli in lega di alluminio, prima di apporvi l'adesivo, si procederà ad una<br />

pulitura e ad un trattamento anticorrosione. Dopo la cura il blocco è rimosso dalla<br />

pressa ed è pronto per l’espansione. Per materiali non metallici il discorso é del tutto<br />

analogo e, al contrario dell'alluminio, non ci sarà bisogno di alcun trattamento.<br />

II metodo del corrugamento è usato per materiali di spessore più elevato e<br />

destinati per lo più alle alte temperature di esercizio. Si fa passare il foglio attraverso<br />

dei rulli al fine di sagomarli nella maniera voluta; applicato l'adesivo nei nodi, si<br />

sovrappongono le strisce così trattate in modo da ottenere un blocco dello spessore<br />

desiderato.<br />

Per le temperature di esercizio più elevate, e per core in metallo, al posto<br />

dell'adesivo si può ricorrere alla brasatura o alla saldature per resistenza.<br />

In linea di principio il nido d'ape può essere costruito a partire da fogli di qualsiasi<br />

materiale. In pratica si fa ricorso, per i materiali metallici: all'alluminio, all'acciaio<br />

inossidabile, al titanio, a leghe a base di nichel; mentre per i non metallici si fa<br />

ricorso al Nomex e a tutta una serie di <strong>compositi</strong> <strong>plastici</strong>. In campo aeronautico sono<br />

molto richieste le leghe di alluminio trattate e i <strong>compositi</strong> epossidici con rinforzi in<br />

Kevlar per via del basso coefficiente di dilatazione termica.<br />

155


Generalmente con il nido d’ape si realizzano i così detti pannelli sandwich. Un<br />

tipico pannello sandwich è costituito da due sottili laminati (pelli) in materiale<br />

resistente (lamiere di alluminio o composito) separate dall’anima a bassa densità<br />

(nido d'ape) con spessore da 0.25 mm a 13 mm; sono collegate tramite saldature o<br />

adesivi di vario genere.<br />

L'anima ha la<br />

Si vuole infine ricordare che gli utilizzi<br />

dei pannelli sandwich non sono limitati al<br />

solo campo strutturale; le loro proprietà<br />

isolanti e la caratteristica di assorbire<br />

energia fanno di essi dei prodotti adatti alle<br />

più svariate applicazioni. Ad esempio,<br />

trovano impiego nel settore ferroviario:<br />

- Cabine dei veicoli ferroviari;<br />

- Componenti interni come sedili,<br />

pennellature.<br />

funzione di allontanare dal piano neutro le pelli,<br />

migliorando le proprietà elastiche flessionali del<br />

laminato; in questo modo è possibile ottenere un<br />

manufatto dal peso contenuto. Gli elementi dei<br />

sandwich, presi singolarmente, non presentano grandi<br />

proprietà meccaniche: sono flessibili e poco resistenti;<br />

ma una volta assemblati danno vita ad una struttura<br />

molte rigida, forte e al tempo stesso leggera.<br />

156


157

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!