1. Ottica nel mondo reale - Matematica e fisica
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<strong>1.</strong> <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong><br />
Introduzione<br />
L’alba vinceva l’ora mattutina<br />
che fuggia innanzi, sì che di lontano<br />
conobbi il tremolar della marina.<br />
Purgatorio, canto I<br />
Insegnare ottica è più difficile di altri capitoli della <strong>fisica</strong>. La ragione sta<br />
principalmente <strong>nel</strong> fatto che non si tratta soltanto di <strong>fisica</strong>: <strong>nel</strong>l’ottica si trovano,<br />
inestricabilmente connesse, anche fisiologia e psicologia.<br />
Per intenderci meglio, facciamo un esempio diverso. Nessuno, insegnando<br />
<strong>fisica</strong>, penserebbe di fare termologia con le mani (organo di senso sensibile al<br />
calore): la prima cosa che s’insegna è che le mani sono inaffidabili, e che bisogna<br />
sostituirle con uno strumento: il termometro. Invece parlando di ottica non si<br />
riesce a fare a meno degli occhi. Perché?<br />
Una possibile risposta è che gli occhi sono troppo importanti! Sono l’organo<br />
di senso più complesso e ricco d’informazioni di cui disponiamo, quello dal quale<br />
ricaviamo la maggior parte delle conoscenze sul <strong>mondo</strong> circostante. Perciò è<br />
assai difficile (e non sarebbe neppure giusto) pensare di farne a meno quando<br />
si ragiona di ottica. Ma è proprio questo che causa l’intreccio di cui sopra: gli<br />
occhi non sono soltanto uno strumento fisico.<br />
Però in un insegnamento scientifico occorre saper distinguere ciò che appartiene<br />
alla <strong>fisica</strong> e ciò che va fuori; e insieme non rinchiudersi in una trattazione<br />
ristretta all’aspetto fisico. Occorre tener conto del fatto che abbiamo gli occhi e<br />
li usiamo, <strong>nel</strong> bene e <strong>nel</strong> male. Dobbiamo ad esempio tener conto che il nostro<br />
uso degli occhi, lungo tutta la vita, ci ha prodotto certe abitudini, certi modi<br />
d’interpretare le sensazioni, che si traducono anche in preconcezioni dal punto<br />
di vista scientifico.<br />
Detto in termini più precisi: non si può insegnare l’ottica soltanto a forza di<br />
raggi, immagini, leggi, ignorando tutto quello che c’è dietro (sotto): il peculiare<br />
modo di funzionare dell’occhio, le abitudini e i preconcetti che ne abbiamo tratto,<br />
ecc. Allo stesso tempo, è necessario mostrare che l’ottica che si studia aiuta a<br />
interpretare ciò che si vede. Vedremo che questi saranno temi ricorrenti del corso.<br />
Che cos’è la luce?<br />
Prima di tutto, la luce è un fenomeno fisico. Noi vediamo perché<br />
a) alcuni oggetti emettono luce<br />
b) altri oggetti rimandano (in vario modo) la luce che ricevono<br />
c) parte di questa luce arriva agli occhi, che <strong>nel</strong>la retina contengono rivelatori<br />
i quali trasmettono segnali nervosi al cervello<br />
d) il cervello interpreta questi segnali . . .<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
1–1
Si può ricordare tutto questo con la metafora dei quattro giocatori: la visione è<br />
un gioco complesso, al quale partecipano quattro giocatori: sorgente, oggetto,<br />
occhio, cervello. Solo i primi due, e in parte il terzo, sono di competenza del<br />
fisico, possono essere studiati con gli strumenti concettuali della <strong>fisica</strong>; ma la<br />
partita è sempre giocata da tutti e quattro. . .<br />
Qui ci occuperemo soprattutto di a) e di b). È importante cominciare<br />
l’argomento coi ragazzi chiedendo esempi e controesempi: di sorgenti di luce,<br />
di corpi luminosi e non, dei vari modi in cui i corpi rimandano la luce. A questo<br />
stadio non è necessaria la precisione terminologica: è solo importante la panoramica,<br />
la presa di coscienza con fatti che sono di esperienza comune ma su cui<br />
di solito non ci si sofferma.<br />
Ma di che cosa è fatta la luce? Non è necessario pronunciarsi. Per ora possiamo<br />
pensarla costituita di particelle (corpuscoli). Chiamiamoli pure “fotoni,”<br />
senza pretendere di sapere davvero che cosa sono. Questo potrà essere un punto<br />
d’arrivo <strong>nel</strong>l’insegnamento dell’ottica (non in questo corso); non sarà certo quello<br />
di partenza.<br />
Se la luce (i corpuscoli, i fotoni) viaggia, avrà una velocità. Lasciamo stare<br />
prove e misure; contiamo sul fatto che tutti (?) sanno quanto vale la velocità<br />
della luce <strong>nel</strong> vuoto. Possiamo anche dire che è la stessa velocità di tutti i segnali<br />
elettromagnetici. Il punto interrogativo poco sopra stava a esprimere un dubbio:<br />
è proprio vero che tutti conoscono la velocità della luce? E comunque, quanti<br />
hanno un’idea di che cosa quel numero significhi?<br />
Mi è capitato di leggere tempo fa che la luce viaggia a 300.000 km/h invece<br />
che a 300.000 km/s. Propongo quindi un utile esercizio: se la luce (e i segnali<br />
e.m.) viaggiassero davvero a 300.000 km/h, come potremmo accorgercene?<br />
Quali situazioni, fatti, esperienze della vita quotidiana sarebbero radicalmente<br />
alterati?<br />
Si può anche ricordare che la velocità della luce in un mezzo è (solitamente)<br />
minore di quella <strong>nel</strong> vuoto, ma l’ordine di grandezza è lo stesso. A questo punto<br />
non occorre di più.<br />
Parentesi didattica, che posso chiamare della “<strong>fisica</strong> a scale.” Intendo dire<br />
che molte parti della <strong>fisica</strong> non possono essere affrontate una volta per tutte, e<br />
date per “fatte”: una scala ci porta in alto, avvolgendosi su se stessa, e ripassando<br />
più volte sulla verticale dello stesso punto, ma a un livello superiore. Allo<br />
stesso modo, si dovrebbe insegnare (non solo la <strong>fisica</strong>, in verità) seguendo un<br />
percorso elicoidale: affrontare un argomento a un primo livello, prendere conoscenza<br />
con gli aspetti più semplici, coi fenomeni fondamentali; poi tornarci sopra<br />
con strumenti teorici più sofisticati, interpretando più a fondo i fenomeni, i concetti,<br />
le teorie. Spero che sia chiaro ciò che intendo, senza bisogno che allunghi<br />
troppo il discorso.<br />
1–2<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
La propagazione rettilinea: le ombre<br />
La luce viaggia in linea retta (vedremo una serie di esperimenti che lo provano).<br />
È molto utile il confronto col suono: come mai si può sentire ciò che non<br />
si vede? Altro esercizio utile coi ragazzi: proporre esempi di questa situazione.<br />
La prova più diretta della propagazione rettilinea sono le ombre. Si può<br />
sperimentare con le ombre prodotte dal Sole; anche se il Sole, come pure molte<br />
altre sorgenti luminose, non si prestano tanto bene all’esperimento (perché le<br />
sorgenti sono estese: ne riparleremo). Ecco quindi un caso in cui il fisico costruisce<br />
una situazione artificiale col preciso scopo di semplificare l’indagine sulla<br />
realtà naturale.<br />
Nel nostro caso, si tratta si studiare l’ombra di oggetti illuminati da una<br />
sorgente “puntiforme” (le virgolette stanno a ricordare che una sorgente davvero<br />
puntiforme non esiste, ma si cerca di avvicinarsi quanto meglio si può a questo<br />
ideale). Una normale lavagna luminosa è già una buona approssimazione, se si<br />
mette l’oggetto abbastanza lontano dall’obbiettivo e vicino allo schermo.<br />
Si verifica <strong>nel</strong> caso di sorgente puntiforme vicina (come la lavagna luminosa)<br />
che l’ombra è simile all’oggetto (fig. 1–1). Invece <strong>nel</strong> caso del Sole l’ombra è<br />
uguale all’oggetto (fig. 1–2).<br />
Ho scritto “simile” e poi “uguale”; ma bisogna riflettere un po’. Sul “simile”<br />
torniamo fra poco; ma in che senso ombra e oggetto sono “uguali”? Occorre invitare<br />
i ragazzi a pensarci sopra: che cosa hanno di comune oggetto e ombra?<br />
In che cosa invece differiscono? Che cosa vuol dire “uguale” in questo contesto?<br />
Perché c’è questa differenza fra i due casi? A rigore, in entrambi i raggi di<br />
luce partono da un punto: perciò l’ombra dovrebbe sempre essere più grande<br />
dell’oggetto. Come mai <strong>nel</strong> caso del Sole è uguale? Naturalmente la ragione è<br />
che il Sole è molto distante; ma si può rendere quantitativa questa osservazione?<br />
Confrontiamo due esempi:<br />
Esempio 1: Proietto l’ombra della mano sullo schermo. Se la mano misura 16 cm,<br />
la sua distanza dalla sorgente è 1 metro e quella dallo schermo 50 cm, quanto<br />
sarà grande l’ombra?<br />
Esempio 2: Una chiesa ha due campanili, le cui cime distano 30 metri (fig. 1–3).<br />
Esse proiettano la loro ombra sulla piazza, e la distanza fra le punte dei campanili<br />
e le loro ombre è 80 metri. Quanto distano le due ombre?<br />
Uso della similitudine<br />
Ci sono due diverse applicazioni della similitudine alle ombre:<br />
– L’ombra è simile all’oggetto (<strong>nel</strong>le condizioni giuste).<br />
– La lunghezza dell’ombra di un palo (di una torre . . . ) è proporzionale<br />
all’altezza del palo (della torre . . . ).<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
1–3
Il primo caso è quello dell’esempio <strong>1.</strong> La similitudine si ha se l’oggetto sta<br />
in un piano parallelo allo schermo (fig. 1–1). Allora, presi due punti qualunque<br />
A e B dell’oggetto, e le loro corrispondenti ombre A ′ , B ′ , i triangoli SAB,<br />
SA ′ B ′ (dove S è la sorgente puntiforme) sono simili. In particolare riesce utile<br />
considerare il punto P che sta sulla perpendicolare da S al piano dell’oggetto,<br />
e il corrispondente P ′ sullo schermo: allora tutti i rapporti A ′ B ′ /AB sono uguali<br />
al rapporto k = SP ′ /SP delle distanze dalla sorgente. Il numero k è il fattore di<br />
scala <strong>nel</strong>la proiezione oggetto → ombra.<br />
Nel secondo caso invece stiamo considerando le ombre prodotte dal Sole,<br />
e supponiamo che i raggi siano paralleli (v. esempio 2). Il palo (la torre) è supposto<br />
verticale, su un terreno orizzontale; allora (fig. 1–4) i triangoli ABB ′ , CDD ′<br />
sono simili perché i lati sono a due a due paralleli, e ne segue la proporzione<br />
AB : CD = AB ′ : CD ′<br />
che permette di calcolare CD (altezza della torre) dalla misura degli altri segmenti.<br />
Questo è il metodo attribuito a Talete per la misura dell’altezza della piramide<br />
di Cheope (fig. 1–5). Il problema è come misurare la lunghezza dell’ombra,<br />
visto che il piede della verticale dal vertice della piramide non è accessibile.<br />
La soluzione, semplice quanto ingegnosa, consiste <strong>nel</strong>l’aspettare il momento in<br />
cui il Sole sta perpendicolare a una coppia degli spigoli di base della piramide:<br />
allora alla parte misurabile dell’ombra va semplicemente aggiunta metà del lato.<br />
Il principale problema didattico in questo lavoro con le ombre è che si ragiona<br />
<strong>nel</strong>lo spazio.<br />
Difficoltà con le ombre<br />
Purtroppo le ombre non sono sempre “nitide”: perché? Suggerisco in particolare<br />
i seguenti problemi:<br />
<strong>1.</strong> Perché se un aereo vola basso “fa” l’ombra, e se vola alto no? Quanto basso?<br />
quanto alto?<br />
2. Perché non si vede l’ombra di un oggetto sottile e alto (per es. una croce<br />
alla sommità di una chiesa?<br />
3. Volendo individuare <strong>nel</strong> modo migliore dove termina l’ombra di un palo,<br />
che forma dareste alla cima del palo? (tagliata ortogonalmente? appuntita?<br />
semisferica? oppure?)<br />
Ombra e penombra<br />
Se la sorgente è “puntiforme” un oggetto produce un’ombra netta; altrimenti<br />
l’ombra è “sfumata”: esiste ombra e “penombra” (pæne umbra).<br />
Per capire questo, conviene cominciare da una sorgente fatta di due punti<br />
(A e B): ciascuno produce un’ombra (fig. 1–6), e sullo schermo esistono in generale<br />
4 regioni distinte (fig. 1–7):<br />
1–4<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
1) quella dove arriva luce tanto da A quanto da B: A ∧ B<br />
2) ′′ ′′ ′′ ′′ da A ma non da B: A ∧ (¬B)<br />
3) ′′ ′′ ′′ ′′ da B ma non da A: (¬A) ∧ B<br />
4) ′′ ′′ non arriva ′′ né da A né da B: (¬A) ∧ (¬B).<br />
La regione 1 è più illuminata, 2 e 3 sono illuminate a metà, 4 è al buio (può<br />
accadere che 4 non esista, se le due ombre non hanno punti comuni, il che accade<br />
solo se le sorgenti sono sufficientemente lontane tra loro).<br />
Se le sorgenti sono 3, le cose si complicano un po’: possiamo avere luce<br />
completa, ombra completa, e penombra di due gradazioni, a seconda che arrivi<br />
la luce di una sola sorgente o di due (fig. 1–8).<br />
Passando al caso di una sorgente estesa (e connessa) dobbiamo aspettarci<br />
due casi limite (fig. 1–9):<br />
– luce completa<br />
– ombra completa<br />
separati da una regione in cui arriva luce ma non da tutta la sorgente (penombra).<br />
Si passa con continuità da luce a ombra attraverso sfumature di penombra.<br />
Il caso più semplice è una sorgente circolare, con oggetto anch’esso circolare;<br />
ma bisogna distinguere due casi:<br />
a) Sorgente più piccola dell’oggetto.<br />
Allora l’ombra sullo schermo diventa più grande quando lo schermo si allontana,<br />
ed è circondata da un a<strong>nel</strong>lo di penombra anch’esso progressivamente crescente.<br />
È questo il caso di fig. 1–9.<br />
b) Sorgente più grande dell’oggetto.<br />
Allora esiste il “cono d’ombra” dietro l’oggetto, col vertice a una distanza che<br />
poi calcoleremo. Invece la penombra si allarga sempre. Oltre il vertice del cono,<br />
esiste solo penombra (fig. 1–10).<br />
È istruttivo mettersi “dal punto di vista dello schermo,” ossia chiedersi come<br />
e quanto vede la sorgente una formica che sta sullo schermo (fig. 1–11).<br />
– Se sta <strong>nel</strong>l’ombra, non vede la sorgente: questa è coperta (eclissata o meglio<br />
occultata) dall’oggetto.<br />
– Se sta in luce, vede tutta la sorgente.<br />
– Se sta in penombra, la vede in parte.<br />
Se la sorgente è più grande, da un punto posto <strong>nel</strong>la penombra oltre il vertice si<br />
vede un “a<strong>nel</strong>lo.”<br />
Nota didattica: È importante far vedere queste cose dal vero, e non solo con<br />
figure!<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
1–5
S<br />
A<br />
Fig. 1-1<br />
Fig. 1-2<br />
B<br />
A’<br />
B’<br />
P P’
30 m<br />
Fig. 1-3<br />
B<br />
A<br />
Fig. 1-4<br />
80 m<br />
D<br />
C<br />
B’<br />
?<br />
D’
A<br />
B<br />
1<br />
4<br />
230 m<br />
2<br />
3<br />
147 m<br />
Fig. 1-5<br />
Fig. 1-6<br />
Fig. 1-7 Fig. 1-8
Fig. 1-9<br />
Fig. 1-10<br />
Fig. 1-11
2. Ombre e penombre <strong>nel</strong> cielo<br />
Eclissi e occultazioni<br />
Lo stesso venir meno del sole<br />
e il nascondersi della luna<br />
devi ritenere che possano avvenire<br />
per molteplici cause.<br />
Lucrezio: De rerum natura, libro V<br />
La terminologia in materia è un po’ confusa: si parla indifferentemente di<br />
eclissi di Sole e di Luna, ma si tratta di due fenomeni diversi.<br />
Eclissi di Sole<br />
Noi siamo “sullo schermo,” la Luna è l’oggetto. Dato che la Luna è più<br />
piccola del Sole, esiste un cono d’ombra: a che distanza sta il vertice dalla<br />
Luna? (fig. 2–1).<br />
Indico con RS = 6.96 · 10 5 km il raggio della sorgente (Sole); con<br />
RL = <strong>1.</strong>74 · 10 3 km quello dell’oggetto (Luna), con D la distanza sorgenteoggetto<br />
(Sole-Luna), con D ′ la distanza oggetto-vertice (Luna-vertice). Calcoliamo<br />
la distanza D ′ del vertice V dell’ombra dal centro della Luna. I triangoli<br />
simili in fig. 2–1 danno la relazione<br />
dalla quale si trova subito<br />
RS : (D + D ′ ) = RL : D ′<br />
D ′ =<br />
D RL<br />
RS − RL<br />
Nota: In realtà Sole e Luna sono sfere, non dischi; tuttavia la relazione trovata<br />
è esatta. Studiare perché.<br />
Quanto a D, è variabile: D = r − r ′ dove r è la distanza Sole-Terra, r ′ la distanza<br />
Terra-Luna. La distanza r va da un minimo a (1 − e) a un massimo<br />
a (1 + e), dove a, e sono semiasse ed eccentricità dell’orbita della Terra; r ′ analogamente<br />
va da a ′ (1 − e ′ ) ad a ′ (1 + e ′ ), essendo a ′ , e ′ semiasse ed eccentricità<br />
dell’orbita della Luna.<br />
Dati: a = <strong>1.</strong>496 · 10 8 km, a ′ = 3.84 · 10 5 km, e = 0.0167, e ′ = 0.055.<br />
Per sapere se si avrà eclisse totale o anulare, bisogna trovare la posizione<br />
di V rispetto alla Terra, ossia calcolare D ′ − r ′ . Abbiamo:<br />
D ′ − r ′ =<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
RL<br />
RS − RL (r − r′ ) − r ′ = RL r − RS r ′<br />
RS − RL<br />
2–1<br />
.<br />
.
Tenendo conto degli intervalli di variazione di r e di r ′ , è facile calcolare<br />
min(D ′ − r ′ ) = a RL (1 − e) − a ′ RS (1 + e ′ )<br />
RS − RL<br />
max(D ′ − r ′ ) = a RL (1 + e) − a ′ RS (1 − e ′ )<br />
RS − RL<br />
il che significa che <strong>nel</strong> primo caso il vertice sta al di qua del centro della Terra,<br />
a una distanza di circa 6 volte il raggio della Terra; <strong>nel</strong> secondo caso il vertice<br />
sta al di là del centro, a quasi 3 volte il raggio.<br />
Allora: <strong>nel</strong> primo caso (fig. 2–2) tutti i punti della Terra non passano mai<br />
<strong>nel</strong>l’ombra. Nel caso più favorevole ci sarà un’eclisse anulare. Nel secondo caso<br />
(fig. 2–3) il cono d’ombra può intersecare la Terra, ed è quindi possibile un’eclisse<br />
totale.<br />
Eclissi di Luna<br />
Ora è la Luna lo schermo, la Terra l’oggetto che fa ombra. Il calcolo si fa<br />
come prima, salvo usare RT = 6.38 · 10 3 km (raggio della Terra) al posto di RL;<br />
inoltre ora D = r, ma è poco utile considerare le variazioni di r, per cui si può<br />
fare r = a.<br />
Allora D ′ = a RT/(RS − RT) = <strong>1.</strong>38 · 10 6 km, che è 3.6 volte la distanza<br />
media Terra-Luna. Dunque la Luna è molto più vicina del vertice, e può passare<br />
interamente dentro l’ombra (eclisse totale) attraversando, prima e dopo, le fasi<br />
di penombra (fig. 2–4).<br />
Come mai la Luna si vede anche durante la totalità? La causa è la rifrazione<br />
della luce solare che attraversa l’atmosfera terrestre.<br />
Parentesi sulla rifrazione astronomica<br />
La luce che proviene da una stella, penetrando <strong>nel</strong>l’atmosfera viene deviata,<br />
<strong>nel</strong> senso di avvicinarsi alla verticale (fig. 2–5). L’effetto è piccolo, ma importante<br />
per le misure astronomiche: ad es. a 45 ◦ la deviazione è circa 1 ′ . All’orizzonte<br />
l’effetto è molto maggiore: circa 30 ′ .<br />
Ne segue che quando vediamo il Sole al tramonto “in realtà” è già tramontato.<br />
Da quanto? Se il Sole calasse in verticale (come accade all’equatore)<br />
impiegherebbe 2 minuti a percorrere mezzo grado (che è il suo diametro angolare).<br />
Dato che invece cala obliquo (alle nostre latitudini a circa 45 ◦ ) il tempo<br />
è maggiore, dell’ordine di 3 minuti. Dunque il periodo di luce dura 6 minuti di<br />
più (3 quando il Sole sorge, 3 quando tramonta).<br />
2–2<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Tornando all’eclisse di Luna<br />
La luce solare che passa radente alla Terra viene deviata due volte di 30 ′ ,<br />
in totale di 1 ◦ . Ne segue che il cono d’ombra si accorcia: infatti la sua apertura,<br />
che sarebbe 30 ′ (diametro angolare del Sole) in assenza di rifrazione, diventa<br />
2 ◦ 30 ′ , ossia 5 volte maggiore. Perciò il vertice V (fig. 2–6) si avvicina alla<br />
Terra di un fattore 5: invece di <strong>1.</strong>38 · 10 6 km, dista 2.8 · 10 5 km circa. Si vede<br />
che la Luna è oltre il vertice, quindi in zona di penombra “anulare.”<br />
Però questo accade solo per la luce radente: dunque l’illuminazione è debole,<br />
e prodotta da luce che ha attraversato l’atmosfera. Questa luce è impoverita delle<br />
corte lunghezze d’onda (assorbimento, diffusione: stesso motivo per cui il Sole al<br />
tramonto è rosso). Ecco perché la Luna in eclisse totale ha un colore “ramato.”<br />
Se guardassimo dalla Luna, vedremmo la Terra circondata da un sottile alone<br />
rossastro.<br />
Eclissi e occultazioni di satelliti e pianeti<br />
Il caso più interessante è quello dei satelliti di Giove. In condizioni favorevoli,<br />
un satellite che gira attorno a Giove può attraversare varie fasi (fig. 2–7):<br />
a) piena visibilità<br />
b) occultazione: è coperto alla nostra vista dal pianeta<br />
c) eclisse: sarebbe visibile, ma è <strong>nel</strong>l’ombra di Giove<br />
d) transito: passa davanti al pianeta<br />
e) transito dell’ombra: si vede l’ombra del satellite proiettata sul pianeta.<br />
La Luna può occultare stelle, pianeti, asteroidi. . .<br />
Le occultazioni stellari sono interessanti perché non sono istantanee e questo<br />
permette di determinare le dimensioni di alcune stelle. Le altre occultazioni<br />
forniscono misure molto precise della posizione del corpo occultato.<br />
Transiti<br />
I pianeti interni possono transitare sul disco del Sole. Questo non succede<br />
a ogni giro, come potrebbe sembrare a prima vista, a causa dell’inclinazione dei<br />
piani orbitali. I transiti di Mercurio avvengono in media ogni 7 anni: il prossimo<br />
sarà il 7–5–2003. Quelli di Venere sono molto più rari. Ecco l’ultimo e quelli<br />
futuri: 6–12–1882, 8–6–2004, 6–6–2012, 11–12–2117.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
2–3
R S<br />
D<br />
R L<br />
S L<br />
V<br />
Fig. 2-1<br />
Fig. 2-2<br />
Fig. 2-3<br />
D’<br />
T<br />
T<br />
V<br />
V<br />
L<br />
S<br />
S<br />
L
S<br />
S’<br />
T<br />
1<br />
T<br />
2 30’<br />
L<br />
Fig. 2-4<br />
Terra Terra<br />
L<br />
Fig. 2-5<br />
Fig. 2-6<br />
30’<br />
V<br />
30’<br />
Sole
T<br />
S<br />
Fig. 2-7<br />
d<br />
e<br />
a<br />
G<br />
c<br />
b
3. Le immagini<br />
Ovvero: una tradizione che non funziona<br />
Che cosa potrà sembrare più meraviglioso<br />
che, mediante varie riflessioni, far vedere le immagini<br />
sospese per aria, mentre non si vede né l’oggetto<br />
né lo specchio?<br />
G.B. dalla Porta: Magia naturalis<br />
Si tratta di un argomento delicatissimo, perché insieme alla <strong>fisica</strong> coinvolge<br />
la percezione, ma anche perché fa riemergere antiche concezioni, tuttora vive. . .<br />
Proprio per queste ragioni, l’insegnamento tradizionale — a base di costruzioni<br />
geometriche e di regole su immagini reali e virtuali, dritte e capovolte — non<br />
funziona.<br />
Provate a porre questa domanda, a diverse età: “Perché mi vedo <strong>nel</strong>lo<br />
specchio?” (<strong>nel</strong> cap. seguente commenteremo una risposta significativa).<br />
Ma prima di rispondere occorre approfondire un altro argomento, in parte<br />
già esaminato.<br />
Come si propaga la luce?<br />
Anche la propagazione della luce non è cosa ovvia. Perciò è opportuno<br />
dedicarci un po’ di lavoro sperimentale. Ecco qualche traccia.<br />
Prendo una sorgente luminosa abbastanza ben collimata: un laser He-Ne<br />
oppure un proiettore. Punto il fascio di luce obliquamente verso una parete<br />
lontana o verso il soffitto; a questo punto chiedo: dov’è la luce? Gli alunni,<br />
che sono in posizioni laterali rispetto al fascio, vedono luce in corrispondenza<br />
della sorgente e della macchia luminosa sulla parete; ma c’è luce anche nei punti<br />
intermedi? se c’è, come metterla in evidenza?<br />
– Uno studente cerca la luce con un foglio di carta, spostandosi lungo il fascio.<br />
– Un altro cerca la luce sbattendo <strong>nel</strong> fascio della polvere di gesso, oppure<br />
spruzzandoci acqua.<br />
– Due studenti tendono un filo <strong>nel</strong> cammino del fascio.<br />
ORA possiamo vedere il percorso della luce, mentre prima non lo vedevamo.<br />
Questo lavoro, o altro analogo, ha lo scopo di giustificare le seguenti conclusioni:<br />
1) si vede se e solo se della luce entra negli occhi<br />
2) la luce è presente in tutto lo spazio attorno a una sorgente (non collimata)<br />
3) non si vede la luce che viaggia (come si vedrebbe un getto d’acqua; figura):<br />
la si vede solo se ci arriva direttamente da una sorgente, o se un altro corpo<br />
la riceve e la rimanda all’occhio.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
3–1
Un esempio così evidente da essere ignorato proprio per la sua evidenza è il<br />
seguente. Di notte vediamo il cielo nero, eppure al di là dell’ombra della Terra<br />
lo spazio è riempito dalla luce del Sole, che a noi rimane invisibile (fig. 3–1).<br />
Perché mi vedo <strong>nel</strong>lo specchio?<br />
Per rispondere, comincerei spostando il problema: se davanti a me, invece<br />
di uno specchio, c’è un’altra persona, perché questa mi vede?<br />
La risposta consiste di vari passi (fig. 3–2 e 3–3):<br />
<strong>1.</strong> Occorre qualche sorgente di luce (il Sole, il cielo, una lampada) che mandi<br />
luce in tutte le direzioni; parte di questa luce arriverà sulla mia faccia.<br />
2. La mia faccia non si comporta come uno specchio, ma invece diffonde la<br />
luce. Questo vuol dire che ogni piccola porzione della mia pelle (per es. la<br />
punta del naso) rimanda in tutte le direzioni all’intorno parte della luce che<br />
riceve.<br />
3. La luce si propaga in linea retta; quindi quella che parte dalla punta del<br />
mio naso forma dei raggi (semirette) con origine <strong>nel</strong>la detta punta.<br />
4. Un sottile pen<strong>nel</strong>lo di questi raggi penetra <strong>nel</strong>la pupilla del suo occhio:<br />
il pen<strong>nel</strong>lo ha la forma di un cono.<br />
5. Il pen<strong>nel</strong>lo viene deviato dai mezzi rifrangenti presenti <strong>nel</strong>l’occhio (umor<br />
acqueo, cristallino, corpo vitreo) e ne risulta un pen<strong>nel</strong>lo di forma diversa,<br />
i cui raggi questa volta convergono in un punto sulla retina.<br />
6. Perciò la punta del mio naso va a illuminare un punto della sua retina;<br />
lo stesso accade per tutti gli altri punti del naso, delle guance, ecc. e così si<br />
forma sulla sua retina un’immagine della mia faccia.<br />
7. I recettori della retina trasformano la luce in impulsi nervosi che arrivano<br />
al cervello.<br />
8. Il cervello “elabora” i segnali, e “mi vede.”<br />
Attenzione: i punti 7 e 8 sono sovrasemplificati, ma dobbiamo accontentarci.<br />
Come funziona l’occhio?<br />
Una camera oscura, una macchina fotografica devono essere rivolte verso gli<br />
oggetti, affinché la luce proveniente da questi possa entrarvi. L’occhio funziona<br />
in modo analogo.<br />
È utilissimo a questo punto del lavoro sperimentale:<br />
– Esperimenti con camere oscure con aperture di diverso diametro (per es.<br />
scatole per pellicole fotografiche, con un forellino al centro del fondo della<br />
scatola e un foglio di carta translucida sulla faccia opposta).<br />
– Smontaggio e studio della struttura di una macchina fotografica “usa e getta.”<br />
La funzione della lente è di far convergere la luce sull’elemento fotosensibile<br />
(la pellicola) o sul foglio di carta); lo stesso <strong>nel</strong>l’occhio.<br />
3–2<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Nota: A questo punto non occorre (anzi sarebbe dannoso) pretendere una maggior<br />
precisione, in base a immagini reali e compagnia bella.<br />
La camera oscura<br />
Con la camera oscura si vede che ogni punto della sorgente produce una<br />
macchiolina sullo schermo (fig. 3–4); più il foro è piccolo, più è piccola la macchia,<br />
e di conseguenza l’immagine riesce più nitida (fino a un certo punto, ossia fino<br />
a quando non interviene la diffrazione: v. App. 1).<br />
Con una camera oscura si possono anche fare fotografie (provare!). Ma si<br />
capisce che quanto più piccolo è il foro, tanta meno luce entra, quindi l’immagine<br />
sarà meno luminosa. Si vede dunque che luminosità e nitidezza sono requisiti<br />
contrastanti.<br />
La macchina fotografica<br />
A parte altri componenti, importanti <strong>nel</strong>l’uso pratico ma non essenziali a<br />
questo punto, la differenza fra camera oscura e macchina fotografica sta <strong>nel</strong> fatto<br />
che la seconda al posto di un semplice foro ha una lente.<br />
La cosa che è necessario capire, prima delle solite costruzioni geometriche,<br />
è che la lente ha una funzione: quella di concentrare la luce. Così è possibile usare<br />
un foro grande, e insieme produrre sulla pellicola una macchia molto piccola<br />
(fig. 3–5). Abbiamo quindi insieme nitidezza e luminosità: la lente salva capra<br />
e cavoli.<br />
Osservazione: È bene far notare che quando si fotografa un oggetto esteso (per es.<br />
una faccia) la luce che arriva da ogni punto dell’oggetto attraversa la lente e<br />
viaggia verso la pellicola come se l’altra luce non ci fosse: i vari raggi di luce<br />
non si disturbano a vicenda. Se la luce consistesse di gra<strong>nel</strong>li di sabbia, le cose<br />
non andrebbero così; quindi questa semplice osservazione insegna qualcosa sulla<br />
natura della luce, per es. che i fotoni non si comportano come gra<strong>nel</strong>li di sabbia.<br />
Ma non è necessario soffermarsi troppo su questo punto: basta rilevare il fatto<br />
sperimentale della propagazione indipendente.<br />
Torniamo all’occhio<br />
Ora è facile trasferire ciò che abbiamo visto <strong>nel</strong>la macchina fotografica al<br />
caso dell’occhio: anche l’occhio ha una lente (il cristallino) che ha la stessa<br />
funzione di quella della macchina fotografica. A dire il vero la cosa è un po’ più<br />
complicata, per due ragioni:<br />
a) la convergenza dei raggi sulla retina non dipende solo dal cristallino: anche<br />
la curvatura della cornea è importante<br />
b) la funzione del cristallino è più complessa, in quanto gli è affidato anche il<br />
compito di regolare la messa a fuoco (vedremo fra breve).<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
3–3
Invece comincio subito a sfatare un mito: è proprio esatto ciò che ho scritto<br />
sopra a proposito di raggi che convergono sulla retina? Non proprio, <strong>nel</strong> senso<br />
che i raggi che “convergono” verso la retina non è affatto detto che formino<br />
davvero un cono, ossia che passino per uno stesso punto. Questo sarà vero approssimativamente,<br />
ma non succede mai in modo esatto, in nessun occhio. Sto<br />
dicendo che il sistema ottico dell’occhio umano ha sempre aberrazioni significative<br />
(da non confondere coi difetti della vista). Del resto ciò è vero anche per le<br />
lenti delle macchine fotografiche, specialmente quelle di poco prezzo. . .<br />
Se poi il mio . . . dirimpettaio è miope e non si è messo gli occhiali, i raggi<br />
convergono prima della retina, poi divergono di nuovo (fig. 3–6): così ogni punto<br />
della mia faccia illumina in realtà non un punto ma un dischetto, per quanto<br />
piccolo. Attenzione, perché qui si tocca un punto “focale”: secondo l’usuale<br />
descrizione dovrei dire che l’immagine non si forma sulla retina, ma prima.<br />
La conseguenza è forse che il mio amico non mi vede più, perché l’immagine<br />
non è sulla retina? Niente affatto! Mi vede, ma un po’ . . . confuso, sfocato.<br />
Esattamente lo stesso succede <strong>nel</strong>la macchina fotografica, se dimentico di mettere<br />
a fuoco: la fotografia si vedrà ugualmente, solo non sarà nitida quanto avrebbe<br />
dovuto.<br />
3–4<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Fig. 3-1<br />
io l'altro<br />
Fig. 3-2<br />
Fig. 3-3<br />
?
Fig. 3-4<br />
Fig. 3-5<br />
Fig. 3-6
4. Immagini, idoli, fantasmi. . .<br />
Una figura simile a quella di tuo padre,<br />
armata di tutto punto, apparve dinanzi a loro . . .<br />
Parentesi sui significati del termine “immagine”<br />
W. Shakespeare: Amleto, atto I, scena II.<br />
È questo il momento di riflettere un po’ sul significato di questa parola,<br />
tanto usata e abusata.<br />
Versione dotta: Immagine è quello che tutti sappiamo: i raggi che provengono da<br />
uno stesso punto dell’oggetto (supposto piano e perpendicolare all’asse ottico)<br />
convergono in un certo punto di un certo altro piano. Questo accade per tutti i<br />
punti dell’oggetto, e così si forma l’immagine, <strong>nel</strong> piano coniugato. Inutile che<br />
stia a ricordare le dimensioni, orientamento ecc. di questa immagine, nonché la<br />
definizione di immagine <strong>reale</strong> o virtuale.<br />
Qui occorrono alcuni commenti:<br />
– Si tratta di una costruzione geometrica valida entro certe ipotesi, ossia approssimata<br />
o meglio come caso limite (approssimazione di Gauss). Potrà<br />
essere più o meno ben soddisfatta <strong>nel</strong>la realtà, ma non lo è praticamente<br />
mai con esattezza.<br />
– È utilissima per capire gli strumenti ottici, e questo ne giustifica l’impiego<br />
e lo studio (al livello scolastico opportuno).<br />
– È utile, ma è del tutto insufficiente da sola, per capire ciò che si vede.<br />
– Ha carattere artificiale (o se preferite teorico): questo è particolarmente<br />
evidente <strong>nel</strong>la distinzione fra immagine <strong>reale</strong> e virtuale.<br />
– Non si dice mai cosa accade se l’oggetto non sta in un piano, come una<br />
faccia. . .<br />
– Non esiste nessuna legge <strong>fisica</strong> o di altro genere che ci obblighi a pensare che<br />
le immagini dell’ottica geometrica debbano coincidere con ciò che si vede.<br />
– Anzi: l’identificazione è del tutto arbitraria, e non si verifica quasi mai.<br />
Alcune di queste affermazioni potranno suonare strane e forse sconcertanti, ma<br />
avremo modo di capirle e verificarle più avanti.<br />
Versione corrente: Esiste un diverso significato del termine “immagine,” che<br />
è in uso corrente anche da parte di chi conosce la teoria di cui sopra e lo è<br />
ancor più dai profani: immagine è “ciò che si vede,” comunque abbia origine<br />
e indipendentemente da qualsiasi teoria. O anche, la figura che si forma su un<br />
qualsiasi schermo o pellicola.<br />
Così parliamo di “immagine sfocata” o “aberrata,” che dal punto di vista<br />
dell’ottica gaussiana sono puri non-senso: se l’approssimazione di Gauss<br />
vale, l’immagine sta in un preciso piano, e fuori di quel piano non c’è, e basta;<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
4–1
se l’approssimazione di Gauss non vale, l’immagine <strong>nel</strong> senso di cui sopra non<br />
esiste proprio.<br />
Eppure tutti usiamo queste espressioni!<br />
Immagine come preconcezione: Per quanto possa sembrare strano e forse incredibile,<br />
esiste una “preconcezione” che sopravvive <strong>nel</strong> termine stesso di “immagine”:<br />
il latino imago, insieme con species, sono il paio dei greci ε˜ιδoς (eidos), ε˜ιδωλoν<br />
(eidolon). Tutti insieme portano l’idea (anche questa parola ha la stessa radice<br />
greca . . . ) di immagine, forma, specie, ma anche di fantasma, simulacro.<br />
Perché dico questo? Perché un’antica concezione della visione parla di “immagini”<br />
(eidola) che si staccano dagli oggetti ed entrano <strong>nel</strong>l’occhio. Fantasticherie?<br />
Cose del passato? Vediamo. . .<br />
Ecco che cosa ha risposto Anna (14 anni – 4 a ginnasio) alla domanda “perché<br />
mi vedo <strong>nel</strong>lo specchio?”: “Perché la tua immagine si riflette su quel piano.”<br />
Non ha mica detto che si forma un’immagine virtuale dietro lo specchio: è la<br />
tua immagine (eidolon) che si riflette!<br />
Ed ecco che cosa ha detto il prof. Riccardo Neuschüler, primario della clinica<br />
oculistica al “Fatebenefratelli” di Roma, durante “Elisir” del 20–10–97: per<br />
spiegare in che consiste la cataratta, ha detto che se il cristallino è trasparente,<br />
“le immagini lo attraversano liberamente”; altrimenti ecc. ecc. E la stessa cosa<br />
mi è capitato di risentire in seguito da un altro oculista: evidentemente c’è una<br />
“cultura” che si appoggia su queste idee. . .<br />
Oppure prendiamo questo brano, tratto da una rivista che dovrebbe essere<br />
seria (“Sapere” febbraio 1997, p. 91):<br />
[. . . ] Partiamo dunque dal più semplice e forse dal più antico dispositivo<br />
ottico: la camera oscura. Non c’è bisogno di grosse spiegazioni<br />
per comprendere in che cosa essa consista, è sufficiente considerare una<br />
scatola dotata di un piccolo foro su una parete laterale e priva del soffitto,<br />
per potervi accedere con lo sguardo; il gioco è fatto! Un’immagine<br />
luminosa esterna alla scatola e diretta verso la parete forata tenderà,<br />
dopo essersi ribaltata verticalmente, a proiettarsi sulia parete opposta.<br />
La fig. 4–1 tenta un’interpretazione di quanto sopra. . . Spero di aver provato<br />
che gli “eidola” sono ancora tra noi, e quindi bisogna tenerne conto <strong>nel</strong>l’insegnamento!<br />
La lanterna magica<br />
Ancora dalla stessa rivista:<br />
[. . . ] Il principio di funzionamento della lanterna magica si basa sulla<br />
legge di rifrazione della luce, scoperta separatamente, intorno al 1620,<br />
da Descartes e da S<strong>nel</strong>l; la legge può essere riassunta in quanto segue:<br />
quando un raggio di luce passa da un mezzo ad un altro, il rapporto<br />
4–2<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
tra il seno dell’angolo di incidenza e il seno dell’angolo di rifrazione si<br />
mantiene costante.<br />
Con una serie opportuna di lenti, che appunto rifrangono la luce, si può<br />
ottenere, previo un duplice ribaltamento verticale dell’immagine, il fenomeno<br />
in esame. Nell’ordine è necessario disporre di uno specchio<br />
concavo, che rifletta i raggi di luce provenienti da una candela rendendoli<br />
paralleli, di una lente piano convessa, che focalizzi il fascio<br />
luminoso (primo ribaltamento), di un disegno su vetro ed infine di due<br />
lenti biconvesse che operino il secondo ribaltamento e riportino la figura<br />
all’orientamento di partenza prima che essa compaia sulla parete.<br />
No comment. . . Ma come funziona davvero la lanterna magica? (fig. 4–2).<br />
L’obbiettivo<br />
La cosa più semplice da capire è l’obbiettivo: il suo scopo è di far convergere<br />
i raggi che arrivano da un punto dell’oggetto (diapositiva) in un punto<br />
dello schermo. Nel gergo dell’ottica: formare sullo schermo un’immagine <strong>reale</strong><br />
dell’oggetto (fig. 4–3).<br />
L’obbiettivo può essere composto da una, due o più lenti; la sua funzione<br />
non cambia. Solo che un obbiettivo con due o più lenti è più costoso, ma funziona<br />
meglio: ci sono meno aberrazioni.<br />
La sorgente<br />
In linea di principio può essere qualsiasi: si va dalla candela delle prime<br />
lanterne magiche alle lampade alogene di oggi. Si tratterà in generale di una<br />
sorgente estesa, ma è vantaggioso che lo sia il meno possibile. Quando è estesa,<br />
è bene che abbia luminanza uniforme.<br />
Lo specchio<br />
Lo specchio situato dietro la sorgente non è essenziale: serve solo a non<br />
sprecare la luce che la sorgente manda all’indietro (fig. 4–4). Può anche aiutare<br />
a simulare una sorgente più uniforme, ma non occorre entrare in dettagli. Per<br />
fare in modo che la luce riflessa dallo specchio si comporti come se venisse dalla<br />
sorgente, questa si deve trovare <strong>nel</strong> centro dello specchio, non <strong>nel</strong> fuoco.<br />
Il condensatore<br />
Prende questo nome la lente interposta fra sorgente e diapositiva. È un<br />
componente importantissimo, ma meno facile da spiegare. Che succede se lo<br />
togliamo? Che la diapositiva si vede molto male: illuminata al centro, buia al<br />
bordo. La ragione è mostrata in fig. 4–5: la luce che dalla sorgente arriva in un<br />
punto periferico (A) della diapositiva prosegue oltre e non entra <strong>nel</strong>l’obbiettivo.<br />
Scopo del condensatore è di deviare la luce della sorgente in modo che entri più<br />
o meno tutta <strong>nel</strong>l’obbiettivo (fig. 4–6).<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
4–3
Dunque il condensatore non ha nessun ruolo <strong>nel</strong>la formazione dell’immagine,<br />
ma è fondamentale per una corretta illuminazione dell’oggetto (la stessa cosa<br />
accade ad es. <strong>nel</strong> microscopio). A questo aspetto degli strumenti ottici troppo<br />
spesso non si presta attenzione. . .<br />
La lavagna luminosa<br />
Anch’essa è un’evoluzione della lanterna magica, e si possono riconoscere<br />
gli stessi componenti (fig. 4–7). C’è una complicazione addizionale ma di poca<br />
importanza: la luce parte in direzione verticale, e dopo l’obbiettivo viene deviata<br />
da uno specchio a 45 ◦ , per poter proiettare l’immagine su uno schermo verticale.<br />
Più interessante studiare la particolare forma che assume il condensatore.<br />
Si tratta sempre di una lente, di dimensioni molto grandi (formato A4 o maggiore).<br />
Sarebbe proibitivo (soprattutto per il peso) realizzarla <strong>nel</strong> modo usuale,<br />
per cui si ricorre a una lente di Fres<strong>nel</strong> (v. App. 2).<br />
4–4<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Fig. 4-1<br />
Specchio Sorgente Condensatore Diapositiva Obbiettivo<br />
Fig. 4-2<br />
Fig. 4-3<br />
Fig. 4-4
Schermo<br />
Fig. 4-5<br />
Fig. 4-6<br />
Lente di Fres<strong>nel</strong><br />
Fig. 4-7<br />
Specchio piano
5. Misteri degli specchi<br />
Torniamo allo specchio<br />
Lo specchio inquietava il fondo d’un corridoio . . .<br />
J. L. Borges: Tlön, Uqbar, Orbis Tertius<br />
Dicevo che la punta del mio naso rimanda in tutte le direzioni all’intorno<br />
parte della luce che riceve, formando dei raggi con origine in detta punta. Eccomi<br />
ora davanti a uno specchio: un normalissimo specchio, anche piuttosto grande,<br />
sì che riesco a vedermici tutto. Come mai? Che cosa mi dice la <strong>fisica</strong>? e quello<br />
che mi dice la <strong>fisica</strong> basta?<br />
Il mio naso, indifferente a chi ha davanti, continua a diffondere la luce, e una<br />
parte di questa arriva allo specchio. Che cosa fa lo specchio? Riflette. Ma questa<br />
è solo una parola: che cosa significa esattamente? Si possono fare esperimenti<br />
per vedere che cosa fa uno specchio alla luce, e si scopre che la fa “rimbalzare”<br />
proprio come la sponda fa rimbalzare le palle di un biliardo.<br />
Ci sono delle semplici relazioni geometriche (l’angolo di riflessione è uguale<br />
all’angolo d’incidenza, i due raggi incidente e riflesso stanno in un piano perpendicolare<br />
allo specchio) ma questo è solo il modo per rendere preciso quello che<br />
alla buona ho detto col biliardo.<br />
Abbiamo visto che dal mio naso partiva un intero fascio di raggi, in tutte le<br />
direzioni. Un bel po’ di questi arriva sullo specchio e vengono riflessi. Come si<br />
dispongono questi raggi dopo essere stati riflessi? Una figura (fig. 5–1) mostra<br />
che succede una cosa molto semplice ed elegante: i raggi riflessi si dispongono a<br />
ventaglio, come se venissero tutti da un punto DIETRO lo specchio. Per esser<br />
precisi, questo punto sta giusto alla stessa distanza del mio naso, e in posizione<br />
simmetrica, ossia sulla stessa perpendicolare allo specchio.<br />
Dove andranno questi raggi? Dovunque possano arrivare andando sempre<br />
dritti. Ma davanti allo specchio ci sono io, quindi alcuni di questi raggi mi<br />
verranno addosso; e una piccolissima parte di questi raggi, un sottile fascetto,<br />
trova la strada della mia pupilla (destra, ad es.). A questi raggi succede la stessa<br />
cosa che succedeva quando entravano <strong>nel</strong>la tua pupilla: vanno a formare un cono<br />
che converge sulla mia retina.<br />
Riassumendo: alcuni raggi partiti dalla punta del mio naso hanno incontrato<br />
lo specchio, si sono riflessi, sono arrivati alla mia pupilla destra, e sono<br />
finiti in un punto della retina. Ne consegue che il mio occhio destro manda<br />
al cervello l’informazione “qui davanti c’è una punta di naso.” Ma non solo<br />
quella, perché anche il resto della mia faccia fa lo stesso, e sulla retina si forma<br />
perciò un’immagine della mia faccia. Ma io sono qui: dove vedrò io (ossia il mio<br />
cervello) questa “mia faccia”?<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
5–1
Dove esattamente?<br />
Visto che la luce in realtà è arrivata dallo specchio, non c’è dubbio: la vedrò<br />
dentro lo specchio. Però concludere “la vedrò <strong>nel</strong>la posizione dell’immagine<br />
virtuale” è quanto meno affrettato.<br />
Il cervello è molto intelligente e usa molte informazioni, però “non sa”<br />
l’ottica geometrica e comunque non è tenuto a rispettarla. Userà tutte le informazioni<br />
di cui dispone, e non solo quelle sul percorso dei raggi, che da sole<br />
potrebbero essere insufficienti. Userà il fatto che gli occhi sono due (visione binoculare)<br />
e la possibilità di muovere la testa (cosa che si fa automaticamente,<br />
senza pensarci) per vedere come l’immagine si sposta. Ma userà anche ciò che<br />
“sa” per altra via: che gli esseri umani hanno generalmente certe dimensioni,<br />
che le case hanno pareti solide, ecc.<br />
La prova che le cose stanno così è che a guardare negli specchi s’impara<br />
(v. dopo) come a maggior ragione si deve imparare a usare una lente. Ne riparleremo.<br />
Se io non avessi modo di sapere che davanti a me c’è uno specchio, che<br />
sta appeso a un muro solido, ecc. ecc. (tutte cose che il mio intelligentissimo<br />
cervello sa e usa per interpretare i segnali che l’occhio gli manda) . . . se invece<br />
mi trovassi in una stanza oscura con solo una lampada che m’illumina la faccia,<br />
se non sapessi che c’è il muro e lo specchio appeso . . . insomma se le cose venissero<br />
disposte in modo da sottrarmi qualsiasi informazione che non sia la luce che mi<br />
arriva dallo specchio. . .<br />
Se, se, se . . . allora mi troverei in questa situazione: i raggi di luce arrivano<br />
da punti (ad es. la punta del naso) che stanno al di là dello specchio, in posizione<br />
simmetrica della mia. E il mio povero cervello, messo in questa difficile<br />
situazione, non potrebbe che concludere: “qui davanti, a una certa distanza, c’è<br />
una persona che mi somiglia terribilmente.”<br />
In realtà io mi troverò in una stanza illuminata, vedrò e saprò che lo specchio<br />
è appeso al muro, e perciò non dirò che vedo “un’immagine virtuale situata dietro<br />
lo specchio,” ma più semplicemente che vedo “la mia immagine riflessa <strong>nel</strong>lo<br />
specchio” (frase che dal punto di vista della <strong>fisica</strong> è criticabile per più ragioni,<br />
come abbiamo visto).<br />
Dove mi vedo? a che distanza? Per stimare la distanza il mio cervello<br />
userà tutte le informazioni di cui dispone, come ho già detto. Nelle condizioni<br />
in cui mi sono messo probabilmente il cervello darà la maggiore importanza al<br />
fatto che . . . io sono io, con la mia altezza solita: quindi piazzerà l’immagine<br />
riflessa più o meno un metro dietro lo specchio (come in questo caso vorrebbe<br />
l’ottica geometrica) solo perché a quella distanza troverà accordo fra le dimensioni<br />
di ciò che vede e quello che già sa: che quello sono io, con la mia consueta<br />
altezza.<br />
Questo non crea un trauma mentale (in quanto incompatibile col fatto che<br />
dietro lo specchio c’è un solido muro) solo perché sono allenato fin da piccolo a<br />
5–2<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
vedere gli specchi e quello che riflettono. Non perché so di ottica geometrica e<br />
d’immagini virtuali! Avete mai provato a dare uno specchio in mano a un bambino<br />
da sei mesi a 3–4 anni, e avete osservato attentamente come si comporta?<br />
Quando è molto piccolo . . . lo lecca; semplicemente perché la bocca è il primo<br />
organo di senso con cui ha confidenza. Poi comincia a guardarci dietro. . . Passa<br />
un po’ di tempo prima che accetti che ciò che vede è se stesso, o se preferite la<br />
sua . . . immagine.<br />
Lo specchio cilindrico<br />
Supponiamo ora che lo specchio in questione sia leggermente curvo, per es.<br />
sia una porzione di cilindro circolare ad asse verticale, di raggio piuttosto grande,<br />
per es. 4 metri. Io sto davanti allo specchio, diciamo a un metro. Che cosa cambia<br />
in quello che ho detto sopra? Ben poco.<br />
I raggi dal mio naso si riflettono sullo specchio, e i raggi riflessi si sparpagliano<br />
a ventaglio, come prima. Però non è più vero che provengono tutti da un<br />
unico punto (la famosa “immagine virtuale” del mio naso) come si può verificare<br />
provando a fare un disegno accurato (fig. 5–2). Resta però vero che il solito sottile<br />
pen<strong>nel</strong>lo di raggi attraversa la mia pupilla destra e arriva alla retina. Come<br />
sarà fatto questo pen<strong>nel</strong>lo? Anche se sottile, a rigore è piuttosto complicato. . .<br />
Prendiamo i raggi che partono dal naso in uno stesso piano verticale: questi<br />
incontrano lo specchio lungo una stessa generatrice, e perciò si comportano come<br />
se lo specchio fosse piano. Formano una “immagine virtuale” 1 metro dietro lo<br />
specchio. Prendiamo ora i raggi che partono invece in uno stesso piano orizzontale:<br />
questi incontrano lo specchio lungo una sezione orizzontale, che è una<br />
circonferenza di raggio 4 metri. Perciò si comportano come se lo specchio fosse<br />
sferico, di raggio 4 m e focale 2 m. Formeranno quindi una “immagine virtuale”<br />
situata 2 metri dietro lo specchio (fate il calcoletto!). Gli altri raggi che non ho<br />
considerati si comporteranno in modo intermedio: dunque non c’è nessun punto<br />
preciso da cui provengano tutti i raggi riflessi, il che <strong>nel</strong> gergo ottico si esprime<br />
dicendo che il fascio riflesso è “astigmatico.”<br />
Di conseguenza, anche dopo la rifrazione <strong>nel</strong>l’occhio resterà astigmatico,<br />
e formerà sulla retina una macchiolina che nessuno sforzo del cristallino potrà<br />
“mettere a fuoco.” Vuol dire forse che non vedrò nulla? Basta fare la prova:<br />
quello che si vede fa ridere, ma comunque si vede bene. . . Si vede bene perché lo<br />
sforzo di accomodazione per oggetti a 2 metri o a 3 metri non è molto diverso;<br />
in altre parole, perché l’astigmatismo del fascio è pressoché trascurabile, salvo<br />
per il fatto che impedisce di definire una precisa posizione dell’immagine.<br />
Che c’è da ridere?<br />
Perché quello che vedo fa ridere? Perché mi vedo tremendamente ingrassato<br />
(un fattore 4/3, per l’esattezza). Perché mi vedo ingrassato e non invece<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
5–3
“sbassato” dello stesso fattore? Questa domanda equivale all’altra: vedrò il mio<br />
“io” riflesso a un metro dietro lo specchio, oppure a due metri, o dove?<br />
Vediamo meglio. L’immagine che si forma sulla retina ha proporzioni “sbagliate”<br />
rispetto al mio corpo. Infatti in verticale (specchio piano) ho:<br />
– distanza da me: 2 metri<br />
– altezza: come l’originale, poniamo <strong>1.</strong>7 m.<br />
Invece in orizzontale (specchio sferico) ho:<br />
– distanza da me: 3 metri<br />
– larghezza: doppia dell’originale (lo specchio sferico dà un’immagine ingrandita<br />
2 volte).<br />
Se l’originale è largo 50 cm, avremo larghezza 1, distanza 3.<br />
Il cervello è libero di modificare la distanza a cui pone l’immagine, ma<br />
deve conservare gli angoli, che provengono dall’impressione sulla retina. Se situa<br />
il tutto a 2 metri, si mantiene l’altezza a <strong>1.</strong>7 m, ma la larghezza diventa 2/3<br />
di metro; invece per avere la vera larghezza (0.5 m) dovrebbe porre l’immagine<br />
a <strong>1.</strong>5 m da me, ma allora dovrebbe attribuire a quell’immagine un’altezza che è<br />
solo <strong>1.</strong>7 × (<strong>1.</strong>5/2) = <strong>1.</strong>27 m.<br />
Potrei dunque vedermi:<br />
a) a “larghezza naturale,” e altezza ridotta a 3/4<br />
b) ad altezza naturale ma larghezza aumentata di 4/3<br />
c) con dimensioni intermedie o diverse.<br />
Da che cosa dipende la scelta? Dal fatto che io so che ci sono esseri umani<br />
più o meno grassi, anche molto più di me, ma sono rari quelli tanto più bassi e soprattutto<br />
non potrebbero stare sospesi in aria: infatti io vedo la testa-immagine<br />
alla stessa altezza della mia, so dove sta il pavimento. . . Perciò attribuisco alla<br />
figura <strong>nel</strong>lo specchio la mia stessa altezza, e sono obbligato e vederla più grassa<br />
. . . il che fa ridere.<br />
Ho scelto questo esempio . . . strampalato (che non a caso nessun libro di<br />
ottica considera mai) perché mostra all’evidenza che il cervello . . . ignora <strong>nel</strong><br />
modo più completo ciò che i dogmi dell’ottica geometrica vorrebbero imporgli:<br />
in un modo o <strong>nel</strong>l’altro qualcosa vede sempre!<br />
5–4<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Fig. 5-1<br />
Fig. 5-2
6. Le lenti<br />
La lente d’ingrandimento<br />
Mentre parlava, trasse di tasca un metro<br />
e una grossa lente d’ingrandimento rotonda.<br />
Armato di quei due strumenti . . .<br />
A. Conan Doyle: Uno studio in rosso.<br />
Ecco un altro esempio classico dove le formule sono un conto, e ciò che si<br />
vede può essere tutt’altro: vediamo.<br />
Certi libri danno una formula per l’ingrandimento: G = d/f, dove d è la<br />
“distanza della visione distinta” (circa 25 cm). Ma la formula è assurda, perché<br />
dice che se f > d la lente impiccolisce! Una formula più sensata è G = 1 + d/f,<br />
che dà sempre G > 1; fra poco la giustificheremo (sempre con le dovute cautele).<br />
Parentesi sui segni<br />
La ben nota formula per le immagini reali è 1/p + 1/q = 1/f. Qui p e q<br />
sono positive, ma oggetto e immagine si trovano da lati opposti della lente. Per<br />
l’immagine virtuale invece si scrive di solito 1/p − 1/q = 1/f: ancora p e q sono<br />
positive, ma oggetto e immagine stanno dalla stessa parte.<br />
È questo un classico<br />
esempio di una pessima abitudine, tipica della s.s., di non usare le grandezze<br />
con segno e i segmenti orientati. Per inciso, la pratica non riguarda soltanto<br />
l’ottica: potrei fare esempi in meccanica, termodinamica . . . (ma allora a che<br />
serve insegnare che esistono i numeri negativi?)<br />
Occorrerebbe invece procedere (come si fa <strong>nel</strong>l’ottica “seria”) al modo seguente:<br />
assumiamo come verso positivo dell’asse x quello in cui si propaga la<br />
luce (fig. 6–1). Allora la formula è sempre<br />
1<br />
q<br />
1 1<br />
= + . (6–1)<br />
p f<br />
Per l’oggetto, che sta prima della lente, sarà sempre p < 0; per l’immagine<br />
<strong>reale</strong> q > 0 quindi (fig. 6–2)<br />
ossia<br />
1<br />
q<br />
1 1<br />
= − +<br />
|p| f<br />
1 1<br />
+<br />
|p| q<br />
Per quella virtuale q < 0 e allora (fig. 6–3)<br />
− 1<br />
|q|<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
= 1<br />
f .<br />
1 1<br />
= − +<br />
|p| f<br />
6–1
che equivale a<br />
1 1<br />
−<br />
|p| |q|<br />
= 1<br />
f .<br />
L’ingrandimento<br />
Il ragionamento per l’ingrandimento è questo: si sceglie p in modo che<br />
l’immagine sia alla distanza d della visione distinta dall’occhio. Ma dove mettiamo<br />
l’occhio? Se lo mettiamo <strong>nel</strong> secondo fuoco, allora l’angolo sotto cui<br />
si vede l’immagine (fig. 6–4) è h/f (approssimazione valida per h ≪ f, ossia<br />
per angolo piccolo). Senza lente, con l’oggetto alla distanza d, l’angolo è h/d.<br />
L’ingrandimento è il rapporto di questi angoli, e vale d/f.<br />
Se invece mettiamo l’occhio subito dietro la lente (fig. 6–5), come è più<br />
naturale, l’angolo è h/p = h/q + h/f, dove q = d. L’ingrandimento viene<br />
quindi 1+d/f. Ma spesso la lente si usa in altri modi. In generale, se assumiano<br />
che in assenza di lente l’oggetto venga posto alla distanza d, e che in presenza<br />
di lente si aggiustino le distanze in modo che l’immagine si trovi ancora alla<br />
distanza d, l’ingrandimento è sempre<br />
G = h′<br />
h<br />
= q<br />
p<br />
= 1 + q<br />
f .<br />
Esempio: lente da orologiaio. f = 6 cm, q = d − a, dove d = 25 cm, a = 3 cm.<br />
Come vedete, qui l’occhio non sta <strong>nel</strong> secondo fuoco, ma neppure subito dietro<br />
la lente: sta a metà strada. Applicando la formula generale: G = 1+22/6 = 4.7.<br />
Morale: Non dare mai formule senza chiarirne le condizioni di validità.<br />
Dove sta l’immagine?<br />
Questo è il vero problema, e siamo daccapo: se intendiamo quella dell’ottica<br />
geometrica non c’è dubbio: il conto si fa al solito modo. Ma questo non vuol<br />
dire che noi la vedremo lì! Ricordate sempre: il cervello non conosce l’ottica<br />
geometrica, e non è tenuto ad applicarla.<br />
La prova si fa facilmente con una lente, specialmente di focale lunga (30 cm<br />
o più), guardando un oggetto che sta su un tavolo (fig. 6–6). Comunque si muova<br />
la lente, noi continuiamo a vedere l’oggetto sul tavolo, non in un “pozzo,” anche<br />
quando l’immagine virtuale starebbe a qualche metro dall’occhio.<br />
Peggio: mettete la lente davanti a un occhio, e guardate un oggetto lontano.<br />
Allora l’immagine dell’ottica gaussiana sarà <strong>reale</strong>, capovolta, e posta dietro la<br />
vostra testa (fig. 6–7); ma che cosa vedete in realtà? La risposta è che continuate<br />
a vedere l’oggetto davanti a voi, dritto, anche se più o meno “sfocato.”<br />
È sfocato<br />
perché l’occhio non riesce a far convergere i raggi sulla retina; ma la stima della<br />
distanza è fatta in base ad altre informazioni: le dimensioni dell’oggetto (se sono<br />
note), la posizione di altri oggetti (tavolo, pareti . . . ).<br />
6–2<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
A che serve la lente d’ingrandimento?<br />
Ho già nominato (senza definirla) la “distanza della visione distinta.” Questa<br />
è la distanza minima alla quale si riesce a mettere a fuoco un oggetto senza<br />
sforzo. Il punto <strong>nel</strong> quale si trova l’oggetto si chiama punto prossimo. Per un occhio<br />
“normale” si assume di solito che il punto prossimo sia a 25 cm dall’occhio,<br />
ma ci sono molte variazioni individuali:<br />
– per i bambini d è minore, anche molto<br />
– anche per i miopi è minore (per un motivo diverso)<br />
– per un presbite è maggiore, anche molto<br />
– lo stesso per un ipermetrope, ma anche qui la ragione è diversa.<br />
Ora, se si vogliono vedere piccoli particolari di un oggetto occorre guardarlo<br />
da vicino, quanto più è possibile. A titolo di orientamento, osserviamo che<br />
un’acuità visiva di 1 ′ (piuttosto ideale) permette di risolvere 0.3 mm alla distanza<br />
di un metro, ma 0.03 mm a 10 cm.<br />
Converrebbe quindi portare l’oggetto a 10 cm, ma l’occhio nudo, a meno<br />
che non sia quello di un bambino piccolo, non riesce a mettere a fuoco così<br />
vicino! (fig. 6–8). In questi casi riesce comodo usare le diottrie, ossia l’inverso<br />
della distanza misurata in metri. La distanza della visione distinta equivale a 4<br />
diottrie, mentre un oggetto a 10 cm significa 10 diottrie: ne mancano 6. Occorre<br />
quindi una lente di potenza 6 diottrie, ossia di distanza focale 1/6 di metro, pari<br />
a circa 17 cm.<br />
Perché questa “contabilità” con le diottrie? La giustificazione sta <strong>nel</strong>la<br />
(6–1), che mostra appunto come gli inversi delle distanze si sommino semplicemente.<br />
Allora: qual è la vera funzione di una lente d’ingrandimento? Il modo più<br />
semplice di dirlo è che essa “aiuta” cristallino ecc. a far convergere i raggi sulla<br />
retina anche se l’oggetto è molto vicino all’occhio, dove senza lente non potremmo<br />
vederlo distinto. Che poi lo si veda ingrandito, dipende semplicemente dal fatto<br />
che sta vicino. . .<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
6–3
A<br />
F<br />
A’<br />
F<br />
p 0<br />
f<br />
f >0<br />
F’<br />
A’<br />
q<br />
A’<br />
A<br />
p
Fig. 6-6<br />
A’<br />
A’<br />
h’<br />
h’<br />
?<br />
q<br />
q = d<br />
?<br />
h<br />
h<br />
A<br />
d<br />
A<br />
p<br />
O<br />
Fig. 6-4<br />
p<br />
O<br />
Fig. 6-5<br />
f<br />
f<br />
F’<br />
F’<br />
Fig. 6-7
punto<br />
prossimo<br />
Fig. 6-8
7. Galileo e la Luna<br />
L’ottica nei “Massimi Sistemi”<br />
Che fai tu luna in ciel? dimmi che fai,<br />
silenziosa luna?<br />
G. Leopardi: Canto notturno . . .<br />
Nella prima giornata del Dialogo c’è una lunga discussione sulla Luna, mirante<br />
soprattutto a stabilire che la Luna è di materia solida e opaca, con la superficie<br />
percorsa da montagne e pianure e piuttosto scura. Questa parte del Dialogo<br />
non è molto conosciuta, forse perché è la più genuinamente <strong>fisica</strong>, e quindi difficile<br />
da apprezzare da chi fisico non sia. Vogliamo qui leggerla e commentarla<br />
insieme; il mio scopo è di far vedere quanti spunti se ne possono trarre per della<br />
buona <strong>fisica</strong>: buona <strong>nel</strong> metodo e <strong>nel</strong>la pratica sperimentale.<br />
Le fasi della Luna e quelle della Terra<br />
Stando sulla Luna si vedrebbero le “fasi” della Terra, sempre opposte a<br />
quelle della Luna (fig. 7–1). La differenza più importante è che mentre noi<br />
vediamo una sola faccia della Luna, dalla Luna si vedrebbe tutta la Terra.<br />
Un esempio di quanto sia poco naturale cambiare punto di vista. Va aggiunto,<br />
a ciò che dice Galileo, che stando sulla Luna non si vedrebbe la Terra<br />
sorgere e tramontare.<br />
Parallasse e librazione<br />
La metà della Luna a noi visibile non è sempre la stessa: il fenomeno prende<br />
il nome di librazione e ha due ragioni.<br />
La prima ragione è la parallasse. Da punti diversi della Terra (o in momenti<br />
diversi, dal sorgere al tramonto della Luna) non si vede esattamente la stessa<br />
metà (fig. 7–2). Analogamente, è diverso quello che si vede a seconda della declinazione<br />
della Luna (la sua distanza angolare dal piano dell’equatore terrestre).<br />
La parallasse diurna della Luna (l’angolo α in figura) è circa un grado, quindi<br />
di altrettanto cambia la metà visibile. G. descrive dettagli vicini al bordo, dove<br />
l’effetto è evidente.<br />
Esiste anche un’altra ragione: la cosiddetta librazione dinamica. Mentre<br />
la velocità angolare della rotazione della Luna su se stessa è costante, non lo è<br />
quella del moto di rivoluzione attorno alla Terra. Infatti la distanza Terra–Luna<br />
varia, e insieme varia la velocità angolare (seconda legge di Keplero, fig. 7–3).<br />
L’effetto è di ±8 ◦ . G. ovviamente non conosceva la librazione dinamica.<br />
A essere precisi c’è anche una librazione in latitudine, perché l’asse di rotazione<br />
della Luna non è perpendicolare al piano dell’orbita: l’angolo è di oltre 6 ◦ .<br />
Questa è nota a G.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
7–1
La luce cinerea<br />
Quando della Luna si vede una piccola falce, la parte in ombra non è del<br />
tutto buia. Questo veniva attribuito a una qualche trasparenza della materia<br />
lunare, mentre G. fa vedere che si tratta di luce diffusa dalla Terra (fig. 7–4).<br />
Che la Terra sia “atta a diffondere il lume” è fatto contrario ai principi della<br />
<strong>fisica</strong> aristotelica.<br />
Se la superficie della Luna sia speculare ovvero diffondente<br />
G. afferma che la Luna non è lucida come uno specchio, e lo prova con diversi<br />
esperimenti. La riflessione di uno specchio è direzionale; invece una superficie<br />
diffondente rimanda luce in tutte le direzioni.<br />
G. fa confrontare la luce rimandata da un muro con quella di uno specchio<br />
piano: mentre la prima illumina tutto lo spazio antistante, la seconda è visibile<br />
solo in un punto preciso, dove in compenso è assai più intensa. In conseguenza,<br />
uno specchio posto al sole appare più scuro del muro, a meno che non ci si metta<br />
proprio <strong>nel</strong>la direzione in cui arriva il suo riflesso (fig. 7–5).<br />
Però la Luna non sarebbe un specchio piano, bensì sferico: perciò G. discute<br />
come si dovrebbe comportare uno specchio sferico (fig. 7–6). Conclude che si<br />
vedrebbe sì luce riflessa in qualunque direzione, ma molto debole e praticamente<br />
invisibile. Qui però sbaglia: a conti fatti (App. 3) da una Luna speculare ci<br />
arriverebbe luce con intensità circa doppia di quella che ci arriva in realtà dalla<br />
Luna piena.<br />
Però questa luce verrebbe da un’immagine virtuale del Sole, formata dallo<br />
specchio: questa sarebbe praticamente <strong>nel</strong> fuoco, quindi dentro la Luna, e piccolissima<br />
(diametro 8 km). All’occhio apparirebbe puntiforme.<br />
Anche a questo proposito G. propone una prova sperimentale: uno specchio<br />
convesso appoggiato al muro illuminato dal Sole, produce un aumento inapprezzabile<br />
della luce rinviata sulla parete opposta, mentre l’immagine riflessa del<br />
Sole si vede da una larga zona di osservazione.<br />
Conclusione: solo una Luna scabra può rendere ragione di quello che si vede.<br />
Non si può non sottolineare il commento di Sagredo, che inizia: “Se io fussi <strong>nel</strong>la<br />
Luna stessa . . . ”<br />
Galileo e la legge del coseno<br />
G. riesce a dire anche di più sulla natura della superficie lunare, osservando<br />
che non può essere diffondente ma liscia, come un foglio di carta. Infatti se così<br />
fosse <strong>nel</strong>la luna piena la parte al bordo, che è assai inclinata rispetto ai raggi del<br />
Sole, riceverebbe meno luce (per unità di superficie) quindi ci apparirebbe più<br />
scura (fig. 7–7).<br />
A questo obietta Sagredo: la parte al bordo ci appare anche di area minore,<br />
<strong>nel</strong>la stessa proporzione; quindi la luce che ci rimanda è minore, ma sembra<br />
7–2<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
anche venire da una minore superficie, <strong>nel</strong>la stessa proporzione. I due effetti si<br />
dovrebbero compensare (fig. 7–8).<br />
Replica Salviati: facciamo la prova col foglio di carta, e vediamo che le cose<br />
non vanno così. Questo perché la carta non è un diffusore isotropo (non soddisfa<br />
la legge di Lambert, diciamo oggi; ma questa legge era più di un secolo di là da<br />
venire . . . ) (fig. 7–9).<br />
Il fatto che invece il disco della luna piena ci appaia illuminato uniformemente<br />
è la prova che si tratta di una superficie assai scabra, che in ogni sua parte<br />
contiene porzioni che ci appaiono illuminate frontalmente. Così G.: e di fatto<br />
ha ragione. Oggi sappiamo che la luna piena rimanda circa 7 volte più luce che<br />
se fosse un diffusore isotropo, mentre il primo quarto è 11 volte meno luminoso,<br />
anziché la metà della luna piena.<br />
Insomma: tutto quello che si vede sulla Luna si spiega benissimo supponendola<br />
opaca e coperta di montagne e crateri. Nessun altro modello potrebbe<br />
rendere ragione così bene di tutte le particolarità osservate.<br />
Se la Luna sia chiara o scura<br />
Il fatto che la Luna appaia luminosa in cielo veniva portato come una prova<br />
decisiva a favore di una sua materia “non terrestre.” Si riteneva infatti, dagli aristotelici,<br />
che la Terra non fosse “atta a riflettere i raggi del Sole.” G. argomenta<br />
come segue.<br />
Contro le apparenze, la Luna è scura. Appare chiara solo perché la vediamo<br />
sullo sfondo del cielo notturno. Ma guardata a confronto con un muro illuminato<br />
dal Sole (fig. 7–10), si vede bene che diffonde meno luce del muro. (Infatti oggi<br />
sappiamo bene che è così: l’albedo lunare è intorno al 7%.) Dunque è ragionevole<br />
che la Terra, che è più chiara della Luna e anche più grande, possa illuminare<br />
la Luna <strong>nel</strong>la parte non illuminata dal Sole, specialmente quando la Luna vede<br />
in pieno la metà illuminata della Terra (la questione, già esaminata, della luce<br />
cinerea).<br />
Però le cose non sono così semplici: la Luna è lontana, il muro è vicino; come<br />
possiamo confrontarli? Qui occorre usare la fondamentale legge fotometrica<br />
dell’“inverso del quadrato,” che G. non conosce ma usa inconsciamente.<br />
Consideriamo una porzione del muro, distante d da noi: l’area della sua<br />
immagine sulla retina va come 1/d 2 (almeno se d ≫ f) (fig. 7–11). D’altra parte<br />
la potenza della radiazione che arriva sulla retina è proporzionale all’angolo<br />
solido sotto cui si vede la pupilla da un punto del muro (fig. 7–12): W ∝ 1/d 2 .<br />
Dato che la radiazione si distribuisce su tutta l’immagine, si vede che l’intensità<br />
(potenza per unità di superficie) sulla retina è indipendente da d.<br />
Perciò il confronto muro–Luna è lecito e concludente. . .<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
7–3
I “mari” della Luna<br />
Sulla Luna si vedono macchie più scure: potrebbero essere mari. Come mai<br />
diciamo questo?<br />
G. osserva che la superficie dell’acqua a distanza apparirebbe più scura della<br />
terra, salvo <strong>nel</strong>la direzione in cui riflette la luce del Sole (come lo specchio già<br />
trattato). Suggerisce di verificarlo con un pavimento bagnato: esso appare più<br />
scuro, salvo dove arriva la luce riflessa della finestra. Anzi: è proprio dal fatto<br />
che è più scuro che noi ci accorgiamo che è bagnato, anche senza saper niente di<br />
ottica. Ce lo ha insegnato l’esperienza. . .<br />
G. trova conferma di tutto questo dal fatto che vede più intensa la luce<br />
cinerea sulla Luna qualche giorno prima della luna nuova, quando la Luna sorge<br />
prima del Sole, che non dopo la luna nuova, quando la si vede al tramonto.<br />
Ciò accade perché <strong>nel</strong> primo caso la Luna vede illuminata dal Sole una parte di<br />
Terra occupata da terre emerse (l’Asia); <strong>nel</strong> secondo caso vede prevalentemente<br />
l’Oceano Atlantico.<br />
Notate anche qui la capacità di sfruttare in modo originale conoscenze<br />
geografiche comuni: quanti saprebbero ancor oggi ragionare a questo modo,<br />
su quello che si vedrebbe guardando la Terra dalla Luna?<br />
Quanto alla vera natura dei mari lunari G. non si sbilancia: l’osservazione<br />
appena fatta mostra che potrebbe essere acqua, ma ci sono molte altre possibili<br />
spiegazioni. Certamente la Luna è molto diversa dalla Terra in varie cose, ad es.<br />
<strong>nel</strong> clima, dato che ogni suo punto è esposto al Sole per due settimane e resta in<br />
ombra per altrettanto.<br />
Non è possibile qui dare altri dettagli: solo la lettura diretta può mostrare<br />
come il metodo galileiano — consistente <strong>nel</strong> coniugare argomentazioni teoriche e<br />
osservazioni tratte dall’esperienza comune o da semplici esperimenti — gli permetta<br />
di trarre sulla natura della Luna conclusioni la cui accuratezza potrebbe<br />
apparire incredibile, vista la povertà degli strumenti di cui disponeva.<br />
7–4<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Terra vista<br />
dalla Luna<br />
T<br />
t = 0<br />
L<br />
Fig. 7-3<br />
Est<br />
α ~ 1<br />
Fig. 7-1<br />
Fig. 7-2<br />
T<br />
L<br />
Ovest<br />
A / 4<br />
A / 4<br />
Luna vista<br />
dalla Terra<br />
t = 3 T / 4<br />
t = T / 4<br />
t = T / 2
?<br />
Fig. 7-4<br />
Muro<br />
Fig. 7-5<br />
Specchio<br />
Fig. 7-6
Fig. 7-7<br />
Fig. 7-8 Fig. 7-9<br />
Fig. 7-10
Retina<br />
Retina<br />
Pupilla<br />
Fig. 7-11<br />
Pupilla<br />
Fig. 7-12<br />
Muro<br />
Muro
8. L’arcobaleno<br />
. . . questo sconosciuto. . .<br />
Uno due tre:<br />
sei <strong>nel</strong>l’arcobaleno,<br />
aggrappato ad un ombrello,<br />
e scivoli bel bello<br />
dal verde al rosso al giallo,<br />
e a cavallo del blu<br />
scendi giù, giù, giù. . .<br />
G. Rodari: L’omino dei sogni<br />
Si tratta di un fenomeno naturale ben noto, apparentemente familiare; però<br />
ci sono molte cose da scoprire. . .<br />
Quindi, prima di tutto, bisogna far osservare, e porre opportune domande.<br />
Già arrivare a una descrizione chiara e sufficientemente accurata di ciò che si<br />
vede non sarà semplice, ed è un obbiettivo didattico di non poco valore.<br />
<strong>1.</strong> Com’è fatto esattamente l’arcobaleno? (forma, relazione con l’osservatore,<br />
disposizione dei colori).<br />
2. Quando si vede l’arcobaleno? (presenza della pioggia? dove? sole visibile o<br />
nascosto dalle nuvole? a che altezza? . . . ).<br />
3. Aspetti speciali (arco secondario, archi soprannumerari).<br />
4. Luminosità del cielo dentro e fuori dell’arco.<br />
5. Dove sta l’arcobaleno? si può raggiungere? (leggende, miti).<br />
La teoria<br />
Sui libri o non c’è, o è sbagliata. . . È ovvio che c’entra la rifrazione e la dispersione<br />
(dipendenza dell’indice di rifrazione dalla lunghezza d’onda). Di solito<br />
si trova la figura della rifrazione – riflessione – rifrazione (fig. 8–1); ma perché si<br />
dovrebbe vedere luce solo a un dato angolo?<br />
Per rispondere osserviamo anzitutto che ci sono due aspetti da considerare<br />
separatamente: il primo è la formazione di un arco luminoso, che — come vedremo<br />
fra poco — è un effetto puramente geometrico, e si manifesterebbe anche<br />
se la sorgente fosse monocromatica. C’è poi l’arcobaleno vero e proprio, ossia<br />
i colori dell’iride: questo dipende solo dal fatto che l’arco appena detto si<br />
presenta per tutte le lunghezze d’onda, ma con aperture diverse a causa della<br />
dispersione.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
8–1
Esaminiamo ora la fig. 8–2, dove è rappresentata una singola goccia (sferica)<br />
di pioggia e sono indicati:<br />
– con ○1 il raggio riflesso dalla superficie<br />
– con ○2 il raggio che esce dopo due rifrazioni<br />
– con ○3 quello che esce dopo una successione rifrazione – riflessione – rifrazione<br />
– con ○4 quello che esce dopo una successione rifrazione – due riflessioni –<br />
rifrazione.<br />
I raggi ○1 e ○2 non interessano l’arcobaleno; ○3 produce l’arco primario, ○4 l’arco<br />
secondario. Già si capisce che l’arco primario sarà più intenso, perché a ogni<br />
riflessione l’intensità della luce si riduce, dato che in parte esce rifratta.<br />
Quanto agli archi soprannumerari, sono dovuti a diffrazione e non possono<br />
essere quindi spiegati restando <strong>nel</strong>l’ottica geometrica; non ce ne occuperemo qui,<br />
salvo dare più avanti qualche indicazione circa le condizioni in cui è più facile<br />
che si formino.<br />
L’arco primario<br />
Concentriamoci ora sull’arco primario (raggio ○3 ). Dal triangolo ABC<br />
in fig. 8–3 si vede che α = 2r − i; l’angolo fra raggio incidente e riflesso è 2α.<br />
Usando la legge della rifrazione sin i = n sin r si trova<br />
α = 2 arcsin<br />
sin i<br />
n<br />
− i. (8–1)<br />
A seconda di dove il raggio colpisce la goccia, i varia tra 0 e π/2. L’andamento<br />
di α in funzione di i è mostrato in fig. 8–4. È facile dimostrare che α(i) ha un<br />
solo massimo, quando i soddisfa<br />
sin 2 i =<br />
4 − n2<br />
. (8–2)<br />
3<br />
Questo fatto può essere anche verificato per via numerica, e può essere mostrato<br />
sperimentalmente, con un pallone o cilindro pieno d’acqua e un laser: si<br />
vede che facendo incidere la luce del laser dapprima al centro, poi a distanza progressivamente<br />
crescente, il raggio ○3 comincia ad allontanarsi da quello incidente,<br />
ma da un certo punto in poi si riavvicina.<br />
Dunque se consideriamo la luce riflessa da una goccia, vediamo che essa sta<br />
tutta entro un cono il cui asse è <strong>nel</strong>la direzione del Sole, e di semiapertura 2αmax<br />
(fig. 8–5).<br />
È anche intuitivo (occorrerebbe un calcolo un po’ più complicato per<br />
dimostrarlo) che l’intensità della luce riflessa è massima in prossimità dell’angolo<br />
massimo, tanto che in una grossolana approssimazione non è sbagliato dire che<br />
la luce è riflessa tutta a quell’angolo.<br />
8–2<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Mettiamoci ora dal punto di vista dell’osservatore. Questi ha davanti una<br />
miriade di gocce di pioggia, ognuna delle quali rimanda la luce del Sole secondo<br />
un cono come sopra. Quali gocce manderanno luce <strong>nel</strong>l’occhio dell’osservatore?<br />
Tutte e sole quelle che stanno in un cono di semiapertura 2αmax, con asse <strong>nel</strong>la<br />
direzione del Sole, e ovviamente dalla parte opposta. L’osservatore vedrà quindi<br />
un arco luminoso, un po’ di luce all’interno dell’arco, e niente fuori (fig. 8–6).<br />
Tutto questo vale naturalmente per luce monocromatica, ma è ovvio che<br />
αmax dipende da n, quindi dalla lunghezza d’onda della luce: vediamo come.<br />
Sostituendo <strong>nel</strong>la (8–1) il valore di i dato dalla (8–2) si trova<br />
sin αmax = 1<br />
n 2<br />
4 − n 2<br />
3<br />
3/2<br />
.<br />
In fig. 8–7 è mostrato l’andamento di αmax: si vede che è funzione decrescente<br />
di n. Ma per l’acqua <strong>nel</strong> visibile n è funzione decrescente di λ; quindi 2αmax<br />
cresce con λ. A conti fatti si vede che vale 39.7 ◦ per il violetto, e 42.5 ◦ per il<br />
rosso.<br />
Dunque si vedrà un arco violetto all’interno, poi gli altri colori dello spettro,<br />
fino al rosso all’esterno; il tutto in un’ampiezza di quasi 3 ◦ .<br />
Però la situazione così descritta non è realistica, per almeno due ragioni:<br />
– Il Sole non è puntiforme. Questo ha per effetto di “sfumare” un po’ i colori<br />
uno <strong>nel</strong>l’altro, rendendo meno vivido il contrasto.<br />
– L’aria diffonde la luce solare, e quindi l’arcobaleno appare su uno sfondo<br />
che non è oscuro. Le condizioni più favorevoli sono quando ci sono nuvole<br />
basse e nere (per cui la luce diffusa è poca) e il Sole, vicino al tramonto,<br />
riesce a mandare luce al disotto delle nuvole.<br />
Domanda: Che effetto ha il moto di caduta delle gocce di pioggia?<br />
L’arco secondario<br />
Il calcolo si fa in modo analogo, e si trova che α ha un minimo anziché un<br />
massimo. L’espressione di αmin è la seguente:<br />
sin αmin = 1<br />
8n 3 (n4 + 18 n 2 − 27).<br />
Si può verificare che αmin è maggiore di αmax, ed è funzione crescente di n, quindi<br />
funzione decrescente di λ. Ne segue che la successione dei colori è invertita: dal<br />
rosso al violetto andando verso l’esterno. I valori estremi di αmin sono: 50.1 ◦<br />
per il rosso, 55.2 ◦ per il violetto.<br />
Poiché non c’è luce riflessa tra αmax e αmin, si capisce perché il cielo sia più<br />
scuro fra i due archi.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
8–3
Gli archi soprannumerari<br />
All’interno dell’arco primario si osservano a volte una o più fasce colorate,<br />
più tenui e sfumate. Come abbiamo già detto, queste non si spiegano con l’ottica<br />
geometrica: sono effetti di diffrazione e la spiegazione non è elementare, anche<br />
dal punto di vista matematico. Il fatto che siano più o meno visibili dipende<br />
dalle dimensioni delle gocce: non si vedono se le gocce sono grandi, mentre sono<br />
troppo allargate e quindi deboli se sono molto piccole. L’ottimo si ha per gocce<br />
intorno a 0.2 mm di diametro.<br />
8–4<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
i<br />
4<br />
i<br />
A<br />
3<br />
r i-r<br />
O<br />
i<br />
r r<br />
Fig. 8-1<br />
i<br />
Fig. 8-2<br />
r<br />
r<br />
i<br />
r<br />
r<br />
1<br />
B<br />
Fig. 8-3<br />
r r<br />
i<br />
2<br />
α<br />
α<br />
C
0<br />
α<br />
Fig. 8-4<br />
α max<br />
π / 2<br />
i<br />
Fig. 8-6<br />
Fig. 8-7<br />
n<br />
2α max<br />
Fig. 8-5<br />
2α max<br />
2α max
9. Polveri e mosaici<br />
Asciutto e bagnato<br />
Maria ci pensò sopra, poi chiese ancora:<br />
— Perché è così bianco? —<br />
Anche l’uomo pensò un poco, come se la domanda<br />
gli sembrasse difficile, e poi disse con voce profonda:<br />
— Perché è titanio.<br />
P. Levi: Il sistema periodico<br />
Domande:<br />
1) Perché una strada (sterrata o asfaltata) appare più scura quando è bagnata?<br />
2) Perché un pezzo di vetro chiaro è trasparente, ma se lo riduco in polvere<br />
diffonde luce bianca?<br />
3) Perché la polvere immersa in acqua è quasi invisibile?<br />
4) Perché un vetro da saldatore, praticamente opaco, polverizzato appare bianco,<br />
e se immergo la polvere in acqua torna colorata?<br />
5) Perché la carta è bianca?<br />
6) Perché le nuvole illuminate dal Sole sono bianche?<br />
7) Com’è fatta la vernice bianca?<br />
Tutte queste domande sono strettamente imparentate, e riguardano il comportamento<br />
ottico di materiali finemente suddivisi.<br />
Conviene cominciare dalla 2) e dalla 3), che sono le più semplici. Nella<br />
polvere di vetro, la luce che incide su un gra<strong>nel</strong>lo si riflette, oppure si rifrange<br />
(fig. 9–1). (Ci sono anche le riflessioni multiple, ma contribuiscono poco all’effetto<br />
finale.) Nella massa della polvere queste riflessioni e rifrazioni avvengono più<br />
volte; dato che il vetro è trasparente, non c’è apprezzabile assorbimento. Perciò<br />
prima o poi la luce finisce per riemergere dalla superficie (fig. 9–2) ma in direzione<br />
casuale, senza nessuna correlazione con la direzione da cui è entrata, e la polvere<br />
appare diffondente e bianca.<br />
Se la polvere è immersa in acqua, il fenomeno è simile, ma si riduce di<br />
molto l’intensità della luce riflessa, e così pure la deviazione dovuta alla rifrazione<br />
(fig. 9–3), perché gli indici di rifrazione di acqua e vetro sono piuttosto vicini.<br />
In termini quantitativi, il coefficiente di riflessione a incidenza normale tra due<br />
mezzi di indici di rifrazione n1 e n2 vale<br />
<br />
n1 − n2<br />
R =<br />
n1 + n2<br />
e cambia poco finché l’angolo d’incidenza non diventa piuttosto grande. Nel caso<br />
aria–vetro R = 0.04, mentre per acqua–vetro R < 0.004. Perciò poca luce viene<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
9–1<br />
2
imandata indietro, e in gran parte attraversa la massa della polvere, almeno<br />
finché il suo spessore è dell’ordine di 1 cm. Diventa quindi difficile distinguere i<br />
gra<strong>nel</strong>li dall’acqua.<br />
Anche la carta è bianca per la stessa ragione della polvere di vetro: è fatta<br />
di fibre trasparenti di cellulosa, che si comportano allo stesso modo dei gra<strong>nel</strong>li<br />
di vetro.<br />
Ne segue anche la risposta alla domanda sulle nuvole, che sono microscopiche<br />
goccioline d’acqua sospese in aria (e non vapore, come si sente dire tanto spesso!).<br />
Illuminate dal Sole, rimandano indietro gran parte della luce incidente, mentre<br />
poca riesce a penetrare uno strato spesso. Ecco perché quando il cielo è coperto<br />
da nubi temporalesche, che sono molto sviluppate in altezza, diventa “nero.”<br />
La risposta alla domanda 1) segue dalle precedenti: una strada asciutta è<br />
un ammasso di microcristalli, che diffondono la luce più o meno come il vetro.<br />
Quando la strada è bagnata invece gran parte della luce penetra e non viene<br />
diffusa all’indietro. Dato che il materiale della strada non è trasparente come il<br />
vetro, la luce finisce per essere assorbita e la strada appare scura.<br />
Quanto detto vale finché la strada non è così bagnata che sulla superficie si<br />
forma una pellicola d’acqua: allora la riflessione è all’interfaccia aria–acqua, e la<br />
struttura della strada conta poco. Tra parentesi, è per questo che il miraggio dà<br />
l’impressione di “bagnato.”<br />
Un vetro da saldatore, ridotto in polvere, non si comporta diversamente<br />
da quello trasparente. La ragione è che riflessione e rifrazione sono effetti di<br />
superficie, e quindi dipendono dall’area totale dei gra<strong>nel</strong>li; invece l’assorbimento<br />
è un effetto di volume, che va col volume degli stessi. Mentre il volume totale non<br />
cambia polverizzando il vetro, l’area va come l’inverso della dimensione media dei<br />
gra<strong>nel</strong>li (perché?). Perciò se i gra<strong>nel</strong>li sono abbastanza piccoli l’assorbimento del<br />
vetro scuro conta poco rispetto ai fenomeni superficiali, e il vetro appare quasi<br />
bianco.<br />
Quando la polvere sta <strong>nel</strong>l’acqua il bilancio si altera: gli effetti superficiali<br />
si riducono e l’assorbimento può tornare prevalente, o quanto meno non essere<br />
più trascurabile.<br />
E infine la domanda 7), ossia la curiosità di Maria tradotta in curiosità<br />
del fisico. . . Una vernice non è altro che una sospensione di microcristalli in<br />
un mezzo trasparente, la cui funzione è di essere liquido finché la vernice non<br />
viene esposta all’aria, e poi diventare solido, restando però trasparente. Come<br />
si ottenga questo, è un problema di chimica, che non ci riguarda. Interessa<br />
invece che un sottile strato di vernice sia capace di diffondere fortemente la luce,<br />
mascherando la superficie su cui è stata data: questo si ottiene se i cristallini<br />
hanno indice di rifrazione molto diverso dal mezzo di supporto.<br />
Se si vuole vernice bianca, i cristalli dovranno essere trasparenti <strong>nel</strong> visibile;<br />
se invece si vuole vernice colorata, si sceglieranno cristalli con forte assorbimento<br />
selettivo, in modo da diffondere solo la banda di lunghezze d’onda desiderata<br />
9–2<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
(però il discorso sui colori sarebbe molto molto più complesso, e qui non vogliamo<br />
toccarlo. . . ).<br />
In passato la vernice bianca si faceva con la biacca, che è un carbonato<br />
basico di piombo. Il difetto di tale composto è che in presenza di H2S <strong>nel</strong>l’aria si<br />
trasforma in solfuro, che è nero: ecco perché i dipinti antichi tendono a scurire.<br />
Oggi si usa invece il biossido di titanio (TiO2) che ha un alto indice di rifrazione,<br />
circa 2.9, ed è stabile.<br />
Nota: Tutto questo vale finché gra<strong>nel</strong>li, fibre, gocce hanno dimensioni grandi<br />
rispetto alla lunghezza d’onda. Altrimenti diventa importante la diffrazione,<br />
la trattazione si complica, e compaiono fenomeni nuovi. Un esempio: l’alone<br />
colorato che a volte si vede intorno alla Luna.<br />
Rivelatori e risoluzione<br />
Qualunque strumento usato per “vedere” (occhi inclusi) oltre ai componenti<br />
ottici di cui abbiamo già parlato deve includere un rivelatore. Nel caso<br />
dell’occhio, si tratta della retina coi suoi elementi fotosensibili (coni e bastoncelli);<br />
<strong>nel</strong> caso di una macchina fotografica tradizionale si tratterà della pellicola,<br />
coi microcristalli di bromuro d’argento; <strong>nel</strong> caso delle fotocamere digitali è il CCD<br />
(charge coupled device).<br />
Tralasciando il caso della pellicola tradizionale, che è alquanto più complicato,<br />
abbiamo sempre a che fare con una superficie ricoperta da un mosaico<br />
di elementi sensibili, ciascuno dei quali fornisce un segnale la cui grandezza è<br />
funzione della quantità di luce ricevuta. Abbiamo volutamente usato il termine<br />
“quantità di luce,” piuttosto vago, perché <strong>nel</strong> dettaglio le cose possono essere<br />
diverse da un caso all’altro: <strong>nel</strong>l’occhio il segnale dipende essenzialmente dalla<br />
potenza, <strong>nel</strong> CCD (che è uno strumento integratore) dipende invece dall’energia<br />
ricevuta durante tutto il tempo di esposizione.<br />
Ma ciò che a noi più interessa ora è l’aspetto geometrico: dato che il rivelatore<br />
è un mosaico di elementi di dimensioni finite, già per questo fatto lo<br />
strumento ha una risoluzione finita, ossia non è in grado di distinguere dettagli<br />
troppo piccoli. Infatti due punti della sorgente che formino un’immagine sullo<br />
stesso elemento sensibile sono indistinguibili.<br />
Andando <strong>nel</strong> concreto: <strong>nel</strong>l’occhio umano le dimensioni dei coni sono tali<br />
che la risoluzione angolare limite è di circa 1 ′ . Nelle camere digitali la risoluzione<br />
può variare: macchine del costo di qualche milione hanno rivelatori intorno<br />
a 1600 × 2000 pixel, con dimensioni di circa 10 µm di lato, con focali più o<br />
meno di 40 mm, e ne risulta una risoluzione di circa 50 ′′ , quindi un po’ migliore<br />
dell’occhio. Ma per le fotocamere più economiche la risoluzione (il numero di<br />
pixel) è parecchio minore. . .<br />
Nota: Il termine “pixel” (abbreviazione di picture element) è usato <strong>nel</strong>la tecnologia<br />
delle immagini digitali, per indicare appunto gli elementi discreti di cui<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
9–3
l’immagine è composta. Si applica quindi alle fotocamere, ma anche agli schermi<br />
video, alle stampanti, ecc.<br />
Influenza dell’ottica<br />
Occore notare che i dati che abbiamo fornito sulla risoluzione sono dati limite,<br />
perché tengono conto di un solo fattore: il carattere discreto del rivelatore.<br />
Ad es. <strong>nel</strong> caso dell’occhio sono molto importanti le condizioni d’illuminazione<br />
(senza contare le differenze individuali, dovute a difetti di rifrazione o alle condizioni<br />
generali dell’occhio). Anche per una macchina fotografica, analogica o<br />
digitale che sia, non si può trascurare la qualità dell’ottica, che si traduce in<br />
maggiori o minori aberrazioni. Come caso limite, le macchinette “usa e getta,”<br />
col loro obbiettivo formato da una sola lente di plastica, hanno una risoluzione<br />
che non è certo limitata dalla qualità della pellicola, ma dalle aberrazioni ottiche,<br />
cioè dal fatto che la lente non riesce a concentrare la luce da una sorgente puntiforme<br />
meglio che in una macchia, probabilmente di un centinaio di micron. . .<br />
Per avere una concentrazione migliore occorre impiegare obbiettivi a più<br />
lenti e lavorati accuratamente; e la qualità si paga. . .<br />
Che cos’è una sorgente puntiforme?<br />
Ovviamente una sorgente strettamente puntiforme non esiste. Tuttavia,<br />
come sempre in <strong>fisica</strong>, questo è un caso limite a cui ci si può avvicinare, sì che<br />
in opportune condizioni una sorgente estesa appare indistinguibile da una puntiforme.<br />
Si sarebbe quindi tentati di rispondere: puntiforme (dal punto di vista<br />
del fisico) è una sorgente le cui dimensioni sono trascurabili. Già, ma trascurabili<br />
rispetto a che cosa?<br />
Certo non contano le dimensioni assolute: le stelle sono enormi (alcune<br />
molto più grandi del Sole) eppure ai nostri scopi sono eccellenti esempi di sorgenti<br />
puntiformi. Sicuramente questo accade perché sono molto lontane, quindi quello<br />
che conta è il diametro angolare. Ma resta ancora la domanda: il diametro<br />
angolare dovrà essere piccolo, ma rispetto a che cosa? a quale altro angolo?<br />
La discussione precedente suggerisce però la risposta. Dato che lo strumento<br />
(occhio, telescopio, fotocamera) ha di per sé una determinata risoluzione<br />
angolare, è questo il parametro di confronto. In altre parole: una sorgente va<br />
considerata puntiforme quando con quel dato strumento non è possibile rivelarne<br />
l’estensione.<br />
In particolare sarà certamente puntiforme una sorgente che vada a illuminare<br />
un solo pixel del rivelatore. Ma questa non è una condizione necessaria,<br />
perché abbiamo visto che se ad es. l’ottica è di cattiva qualità la macchia di luce<br />
sul rivelatore può essere anche più estesa.<br />
Si può vedere la cosa da un altro punto di vista. Voglio fotografare un<br />
oggetto lontano e desidero distinguere dettagli di una certa grandezza. Per<br />
esempio, voglio risolvere dettagli grandi 1 mm in un oggetto distante 10 metri.<br />
9–4<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Questo corrisponde a una risoluzione angolare di 10 −4 rad 20 ′′ . Abbiamo<br />
visto che la migliore fotocamera digitale non arriva a questa risoluzione: dunque<br />
l’impresa è impossibile?<br />
La risposta è ovviamente no: la risoluzione è stata calcolata assumendo<br />
una certa distanza focale (40 mm). È facile vedere che se la focale fosse tre<br />
volte più lunga, pur con lo stesso rivelatore avremmo una risoluzione migliore di<br />
quella desiderata. Per fortuna tutte le fotocamere hanno lo “zoom,” che consente<br />
appunto di variare le focale. Se lo zoom non arriva alla focale necessaria, l’unica<br />
soluzione è cambiare obbiettivo: ci si procurerà una fotocamera con ottiche<br />
intercambiabili, e si monterà un teleobbiettivo.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
9–5
Fig. 9-2<br />
Fig. 9-3<br />
Fig. 9-1
10. Appendici<br />
App. 1: Diffrazione <strong>nel</strong>la camera oscura<br />
. . . ogni numero è il raggio di un cerchietto<br />
o la lunghezza di una linea retta<br />
o l’andamento di un’ellisse<br />
o l’angolo di entrata o di uscita<br />
o un indice del tempo . . .<br />
D. Del Giudice: Atlante occidentale<br />
Consideriamo una camera oscura di lunghezza l, con foro di diametro d.<br />
Se la sorgente di luce (puntiforme) è a distanza D ≫ d, la macchia di luce sullo<br />
schermo ha diametro d (fig. 10–1).<br />
Se invece di una sorgente puntiforme abbiamo una sorgente estesa, per es.<br />
circolare di diametro a, trascurando le dimensioni del foro si otterrà sullo schermo<br />
una macchia di diametro a l/D. Il diametro finito del foro causa una penombra<br />
al bordo della macchia, che è appunto trascurabile se d ≪ a l/D. In queste<br />
condizioni l’intensità della luce che arriva sulla macchia (illuminanza E:<br />
v. App. 5) è proporzionale all’area del foro e inversamente al quadrato della<br />
lunghezza l: va quindi come (d/l) 2 . Ricordiamo che d/l prende il nome di apertura<br />
relativa, e si usa di solito il simbolo n = l/d (l’apertura relativa è 1/n):<br />
dunque E ∝ 1/n 2 .<br />
La “nitidezza” dell’immagine prodotta può essere espressa dal diametro d<br />
della macchia, oppure dalla risoluzione angolare. L’angolo minimo tra due<br />
sorgenti puntiformi perché queste producano macchie del tutto separate è<br />
d/l = 1/n, ma anche a distanza metà di questa ci si accorge di aver a che fare<br />
con due sorgenti. Prenderemo quindi come misura della risoluzione ε = d/(2l) =<br />
1/(2n). Si vede che risoluzione e luminosità vanno in senso opposto: alta risoluzione<br />
significa grande n, ossia bassa luminosità, e viceversa.<br />
Tutto questo è vero finché vale l’ottica geometrica, ossia finché si può trascurare<br />
la diffrazione. Nelle condizioni in cui ci siamo posti (sorgente puntiforme<br />
lontana, foro circolare) la diffrazione produce sullo schermo una distribuzione<br />
di luce più complicata, con massimi e minimi che si alternano.<br />
È però impor-<br />
tante la regione del massimo centrale, che è delimitata da una circonferenza dove<br />
l’irradianza si annulla. Se il foro è sufficientemente piccolo (v. dopo) il raggio<br />
di questa circonferenza vale r = <strong>1.</strong>22 nλ, ovviamente per luce monocromatica<br />
di lunghezza d’onda λ. Si assume di solito come limite di risoluzione in queste<br />
condizioni l’angolo ε = r/l = <strong>1.</strong>22 λ/d. Tutto ciò a condizione che sia r ≫ d,<br />
ossia che la risoluzione sia limitata dalla diffrazione.<br />
Supponiamo che <strong>nel</strong>la nostra camera oscura l sia fissata, ma si possa variare<br />
a piacere d: quale sarà il valore migliore agli effetti della risoluzione? Se d<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
10–1
è grande la diffrazione è trascurabile, ma la risoluzione va come d; se invece d<br />
è piccolo la risoluzione va come 1/d (fig. 10–2). È ovvio che la condizione ottima<br />
si ha quando r d/2, ossia per d √ 2.44 lλ; l’angolo di risoluzione ottimo vale<br />
allora 2.44 λ/l.<br />
Come si vede, la risoluzione ottenibile con una camera oscura migliora al<br />
crescere di l, ma richiede un’apertura relativa sempre più piccola, che si riflette<br />
in una sempre peggiore luminosità.<br />
Vediamo un esempio numerico: l = 10 cm, λ = 500 nm. Allora il diametro<br />
ottimo del foro è d = 0.35 mm e la risoluzione angolare è 3.5 · 10 −3 rad = 12 ′<br />
(molto peggiore dell’occhio umano). Se si spinge l fino a 1 metro, d cresce<br />
a <strong>1.</strong>1 mm, e la risoluzione passa a 3.8 ′ .<br />
Si noti che <strong>nel</strong> secondo caso la diffrazione è importante con un foro di<br />
oltre 1 mm, ben 2000 volte la lunghezza d’onda della luce. Questo dovrebbe<br />
sfatare la leggenda, che si trova tanto spesso ripetuta anche sui libri, che la<br />
diffrazione entra in gioco solo quando si ha a che fare con oggetti che hanno<br />
dimensioni confrontabili con la lunghezza d’onda.<br />
App. 2: La lente di Fres<strong>nel</strong><br />
La prima applicazione della lente di Fres<strong>nel</strong> è stata per generare i fasci di<br />
luce dei fari (1822). Quella che a noi interessa è assai più recente. . . Il modo più<br />
semplice per studiarla è di vedere una sezione meridiana della lente come formata<br />
di tanti prismi (fig. 10–3). Consideriamo uno di questi prismi (fig. 10–4) e cerchiamo<br />
la condizione perché un raggio entrante, che proviene dalla sorgente A,<br />
esca passando per B.<br />
Tra gli angoli in figura esistono le relazioni<br />
γ = α ′ + β ′<br />
mentre la legge della rifrazione richiede<br />
sin α = n sin α ′<br />
Sostituendo le (1) <strong>nel</strong>la seconda delle (2):<br />
sin( ¯ β + γ) = n sin(γ − α ′ )<br />
β = ¯ β + γ (1)<br />
sin β = n sin β ′ . (2)<br />
sin ¯ β cos γ + cos ¯ β sin γ = n (sin γ cos α ′ − cos γ sin α ′ )<br />
tg γ = n sin α′ + sin ¯ β<br />
n cos α ′ − cos ¯ β<br />
=<br />
sin α + sin ¯ β<br />
n 2 − sin 2 α − cos ¯ β<br />
10–2<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Se supponiamo che il prisma sia molto sottile possiamo identificare le distanze<br />
dall’asse dei punti P, Q. Allora sin α, cos α, sin ¯ β, cos ¯ β si esprimono in<br />
termini di a, b, r e si trova infine<br />
tg γ =<br />
r √ a2 + r2 + √ b2 + r2 √<br />
b2 + r2 n2a2 + (n2 − 1)r2 − b √ a2 . (3)<br />
+ r2 La (3) fornisce γ in funzione di r, e dice quindi come debbono essere sagomati<br />
i singoli prismi (che <strong>nel</strong>la lente sono in realtà a forma di corone circolari),<br />
a seconda della distanza dall’asse, per avere la focalizzazione cercata. Si noti<br />
che γ dipende in modo complicato da a e da b: però se r ≪ a, b la (3) si approssima<br />
con<br />
tg γ = r<br />
<br />
1 1<br />
+<br />
n − 1 a b<br />
e questa mostra che vale la formula dei punti coniugati, ossia che una stessa lente<br />
funziona bene per tutte le coppie di punti A, B per le quali 1/a + 1/b è costante.<br />
A grande apertura ciò non accade, e la lente va progettata per la precisa<br />
geometria in cui sarà usata. Ciò significa che in generale la lente di Fres<strong>nel</strong><br />
presenta aberrazione sferica, come ogni lente di grande apertura. Ci si può<br />
convincere di questo osservando che cosa accade se si capovolge la lente di una<br />
lavagna luminosa.<br />
App. 3: Se la Luna fosse una sfera riflettente . . .<br />
Ragioniamo in termini energetici. Una sfera riflettente rimanda tutta la<br />
radiazione incidente, e la rimanda in modo isotropo (la dimostrazione sta in<br />
fondo a questa app.). Sia FS la densità di flusso della radiazione solare che<br />
arriva alla Luna, r il raggio della Luna. Allora la potenza ricevuta e riflessa<br />
è πr 2 FS. Dato che la radiazione viene rinviata isotropicamente, la densità di<br />
flusso FL ricevuta alla distanza d della Terra si ottiene dividendo per 4πd 2 :<br />
FL = FS<br />
<br />
r<br />
2 .<br />
2d<br />
Si può calcolare da qui la magnitudine apparente della Luna speculare.<br />
La definizione generale è<br />
FS<br />
mL − mS = 2.5 log10 FL<br />
= 5 log 10<br />
Sostituendo per r il raggio della Luna, per d la distanza media Terra–Luna si<br />
trova<br />
mL = mS + 13.23 = −13.5<strong>1.</strong><br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
10–3<br />
2d<br />
r .
Il risultato va confrontato con la magnitudine visuale della Luna piena, che<br />
è −12.73: ciò significa che se la Luna fosse speculare ci manderebbe una luce<br />
d’intensità doppia di quella della luna piena <strong>reale</strong>.<br />
Isotropia della luce riflessa<br />
Consideriamo un fascio di raggi paralleli incidente sulla Luna, e seguiamo<br />
la riflessione di quelli che si trovano a distanza dall’asse fra s e s + ds (fig. 10–5).<br />
L’area della sezione trasversale (corona circolare) è 2π s ds, e la corrispondente<br />
potenza incidente è quindi<br />
dW = 2π s FS ds.<br />
Dunque<br />
e ne segue<br />
I raggi vengono riflessi ad angoli compresi fra β e β + dβ, dove<br />
β = 2α s = r sin α ds = r cos α dα.<br />
dW = 2π r 2 sin α cos α FS dα.<br />
L’angolo solido descritto da questi raggi è<br />
dΩ = 2π sin β dβ = 8π sin α cos α dα<br />
dW<br />
dΩ<br />
= 1<br />
4 r2 FS<br />
che è costante, e ciò prova l’isotropia.<br />
La potenza totale riflessa si ottiene moltiplicando per 4π, e risulta πr 2 FS,<br />
che coincide con la potenza totale incidente sulla Luna.<br />
App. 4: Riflessi sul mare<br />
Perché, quando il Sole è al tramonto, sul mare si vede una striscia di luce?<br />
Se la superficie del mare fosse piana, ci sarebbe un solo punto di riflessione<br />
(fig. 10–6); oppure, considerato che il Sole è esteso, si vedrebbe un’immagine<br />
virtuale del Sole.<br />
Supponiamo che ci siano onde, e che siano dirette proprio <strong>nel</strong>la direzione<br />
del Sole: allora per la riflessione (sempre supponendo il Sole puntiforme) ci sono<br />
diversi angoli possibili, in un intervallo (−β, +β) che dipende dall’altezza delle<br />
onde (fig. 10–7). Ne segue che ogni tratto della superficie del mare rimanda<br />
luce in un angolo tra α − 2β e α + 2β, se α è l’altezza del Sole. Perciò noi<br />
riceveremo luce da tutti i punti della superficie che vediamo sotto un angolo<br />
(rispetto all’orizzontale) compreso tra quei valori (fig. 10–8). La distanza di<br />
quei punti è h cotg γ, con α − 2β ≤ γ ≤ α + 2β.<br />
10–4<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Esempio: Se siamo ad h = 10 m sul mare, e se α = 5 ◦ , β = 2 ◦ , le distanze<br />
minima e massima sono 63 m, 573 m. Se 2β ≥ α si arriva all’infinito.<br />
Perché di solito si vede una striscia più larga del Sole? Perché le onde non<br />
hanno tutte la stessa direzione, per cui le riflessioni sono possibili anche fuori dal<br />
piano verticale che contiene Sole e occhio. Quanto più il mare è mosso, tanto<br />
più la striscia è larga.<br />
App. 5: Grandezze e unità di misura per la radiazione e.m.<br />
Parlando di luce, o più in generale di radiazione elettromagnetica, è necessario<br />
introdurre un certo numero di grandezze fisiche legate al trasporto di<br />
energia associato alle onde e.m.<br />
Due premesse:<br />
a) In relazione al fatto che le quantità di energia sono sempre legate all’intervallo<br />
di tempo che si considera, è più significativo ragionare in termini<br />
di potenza (generalmente mediata su intervalli, anche piccoli, ma molto<br />
maggiori del periodo di oscillazione dei campi).<br />
b) Con riferimento alla composizione spettrale della radiazione considerata,<br />
ognuna di quelle grandezze — per es. A — è una somma (o meglio un integrale)<br />
dei contributi relativi a ciascuna lunghezza d’onda presente <strong>nel</strong>la<br />
radiazione (o a ciascun intervallo infinitesimo dλ; la corrispondente distribuzione<br />
spettrale della grandezza A si indica di solito con Aλ(λ)); la somma<br />
viene generalmente pesata con un’opportuna funzione f(λ) che può assumere<br />
varie denominazioni (“curva di sensibilità spettrale,” “risposta spettrale,”.<br />
. . ):<br />
∞<br />
A = Aλ(λ) f(λ) dλ<br />
0<br />
Due scelte della funzione f(λ) sono particolarmente usate:<br />
– se la funzione è costante, in particolare f(λ) = 1, si hanno le cosiddette<br />
grandezze radiometriche, che quindi considerano globalmente l’energia in<br />
gioco, sommando i contributi su tutte le lunghezze d’onda presenti;<br />
– se f(λ) rappresenta la curva di sensibilità dell’occhio (medio) si hanno<br />
invece le grandezze fotometriche, per le quali si considerano solo le componenti<br />
visibili della radiazione, con un peso crescente dal rosso al giallo-verde<br />
e decrescente fino al violetto.<br />
A ciascuna delle principali grandezze radiometriche elencate qui sotto potrà<br />
quindi essere associata la corrispondente grandezza fotometrica; si usa designare<br />
le grandezze radiometriche e le corrispondenti fotometriche con lo stesso simbolo,<br />
aggiungendo l’indice “e” per le prime e (talvolta) l’indice “v” per le seconde.<br />
Le grandezze da 1 a 4 fanno riferimento alla sorgente che emette la radiazione,<br />
la 5 alla propagazione, la 6 alla superficie su cui la radiazione incide.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
10–5
Le tabelle finali riportano la corrispondenza, con le rispettive unità di misura.<br />
Nel S.I. la grandezza fotometrica fondamentale è l’intensità luminosa,<br />
la cui unità di misura, la “candela” (cd), è definita in questo modo dal 1979<br />
(16 a CGPM):<br />
Intensità luminosa, in una data direzione, di una sorgente che emette una radiazione<br />
monocromatica alla frequenza di 540·10 12 Hz e che ha un’intensità radiante<br />
in quella direzione di (1/683) W/sr.<br />
<strong>1.</strong> Flusso radiante: Potenza totale emessa da una sorgente.<br />
2. Emittanza radiante: Potenza emessa per unità di area (da un elemento di<br />
superficie della sorgente), in ogni direzione.<br />
3. Intensità radiante: Potenza emessa per unità di angolo solido (in una data<br />
direzione), da tutta la sorgente (si usa in particolare per sorgenti puntiformi,<br />
cioè a grande distanza).<br />
4. Radianza: Potenza emessa per unità di area (da un elemento della superficie<br />
della sorgente) e per unità di angolo solido (in una data direzione) divisa<br />
per cos ϑ, dove ϑ è l’angolo tra la normale alla superficie e la direzione data.<br />
5. Densità di Flusso radiante: Potenza trasmessa per unità di superficie (disposta<br />
normalmente alla direzione di propagazione).<br />
6. Irradianza: Potenza ricevuta per unità di superficie (dipende dall’angolo ϑ<br />
tra la direzione di propagazione e la normale alla superficie).<br />
Tabelle di riepilogo<br />
Grandezza radiometrica Simbolo Unità<br />
Flusso radiante Φe W<br />
Emittanza rad. Me W m −2<br />
Intensità rad. Ie W sr −1<br />
Radianza Le W sr −1 m −2<br />
Dens. Flusso rad. W m −2<br />
Irradianza Ee W m −2<br />
Grandezza fotometrica Simbolo Unità<br />
Flusso luminoso Φ lumen (lm) = cd sr<br />
Emittanza lum. M lm m −2<br />
Intensità lum. I candela (cd)<br />
Luminanza L nit = cd m −2<br />
Dens. Flusso lum. lm m −2<br />
Illuminanza E lux (lx) = lm m −2<br />
10–6<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
ε<br />
Fig. 10-2<br />
α<br />
P<br />
r<br />
γ<br />
α’<br />
Fig. 10-1<br />
d<br />
β’<br />
d<br />
Q<br />
Fig. 10-4<br />
Fig. 10-3<br />
A α a b<br />
β B<br />
β<br />
l
s+ds<br />
s<br />
β=2 α<br />
β<br />
Fig. 10-5<br />
α<br />
α α<br />
Fig. 10-6<br />
Fig. 10-7<br />
Fig. 10-8
s+ds<br />
s<br />
β=2 α<br />
β<br />
Fig. 10-5<br />
α<br />
α α<br />
Fig. 10-6<br />
Fig. 10-7<br />
Fig. 10-8
Dal “Dialogo sui massimi sistemi,” giornata prima<br />
Nota: Quello che segue è un brano della prima giornata, che tratta della Luna.<br />
Sebbene meriti tutto di essere letto, ho stampato in carattere più piccolo le parti<br />
che possono essere tralasciate senza danno. I passi in carattere più grande invece<br />
vanno assolutamente letti. (E.F.)<br />
SAGR. Queste sono delle cose che, generalissimamente parlando, vi possono essere;<br />
ma io sentirei volentieri ricordar di quelle che ella crede che non vi sieno<br />
né possano essere, le quali è forza che più particolarmente si possano nominare.<br />
SAL. Avvertite, signor Sagredo, che questa sarà la terza volta che noi così di passo<br />
in passo, non ce n’accorgendo, ci saremo deviati dal nostro principale instituto,<br />
e che tardi verremo a capo de’ nostri ragionamenti, facendo digressioni; però se<br />
vogliamo differir questo discorso tra gli altri che siam convenuti rimettere ad una<br />
particolar sessione, sarà forse ben fatto.<br />
SAGR. Di grazia, già che siamo <strong>nel</strong>la Luna, spediamoci dalle cose che appartengono<br />
a lei, per non avere a fare un’altra volta un sì lungo cammino.<br />
SAL. Sia come vi piace. E per cominciar dalle cose più generali, io credo che il<br />
globo lunare sia differente assai dal terrestre, ancorché in alcune cose si veggano<br />
delle conformità: dirò le conformità, e poi le diversità. Conforme è sicuramente la<br />
Luna alla Terra <strong>nel</strong>la figura, la quale indubitabilmente è sferica, come di necessità<br />
si conclude dal vedersi il suo disco perfettamente circolare, e dalla maniera del<br />
ricevere il lume del Sole, dal quale, se la superficie sua fusse piana, verrebbe tutta<br />
<strong>nel</strong>l’istesso tempo vestita, e parimente poi tutta, pur in un istesso momento, spogliata<br />
di luce, e non prima le parti che riguardano verso il Sole e successivamente<br />
le seguenti, sì che giunta all’opposizione, e non prima, resta tutto l’apparente<br />
disco illustrato; di che, all’incontro, accaderebbe tutto l’opposito, quando la sua<br />
visibil superficie fusse concava, cioè la illuminazione comincierebbe dalle parti<br />
avverse al Sole. Secondariamente, ella è, come la Terra, per se stessa oscura<br />
ed opaca, per la quale opacità è atta a ricevere ed a ripercuotere il lume del<br />
Sole, il che, quando ella non fusse tale, far non potrebbe. Terzo, io tengo la sua<br />
materia densissima e solidissima non meno della Terra; di che mi è argomento<br />
assai chiaro l’esser la sua superficie per la maggior parte ineguale, per le molte<br />
eminenze e cavità che vi si scorgono mercé del telescopio: delle quali eminenze ve<br />
ne son molte in tutto e per tutto simili alle nostre più aspre e scoscese montagne<br />
e vi se ne scorgono alcune tirate e continuazioni lunghe di centinaia di miglia;<br />
altre sono in gruppi più raccolti, e sonvi ancora molti scogli staccati e solitari,<br />
ripidi assai e dirupati; ma quello di che vi è maggior frequenza, sono alcuni argini<br />
(userò questo nome, per non me ne sovvenir altro che più gli rappresenti)<br />
assai rilevati, li quali racchiudono e circondano pianure di diverse grandezze,<br />
e formano varie figure, ma la maggior parte circolari, molte delle quali hanno<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–1
<strong>nel</strong> mezo un monte rilevato assai, ed alcune poche son ripiene di materia alquanto<br />
oscura, cioè simile a quella delle gran macchie che si veggon con l’occhio<br />
libero, e queste sono delle maggiori piazze; il numero poi delle minori e minori<br />
è grandissimo, e pur quasi tutte circolari. Quarto, sì come la superficie del nostro<br />
globo è distinta in due massime parti, cioè <strong>nel</strong>la terrestre e <strong>nel</strong>l’acquatica,<br />
così <strong>nel</strong> disco lunare veggiamo una distinzion magna di alcuni gran campi più<br />
risplendenti e di altri meno; all’aspetto de i quali credo che sarebbe quello della<br />
Terra assai simigliante, a chi dalla Luna o da altra simile lontananza la potesse<br />
vedere illustrata dal Sole, ed apparirebbe la superficie del mare più oscura, e più<br />
chiara quella della terra. Quinto, sì come noi dalla Terra veggiamo la Luna or<br />
tutta luminosa, or meza, or più, or meno, talor falcata, e talvolta ci resta del<br />
tutto invisibile, cioè quando è sotto i raggi solari, sì che la parte che riguarda la<br />
Terra resta tenebrosa; così appunto si vedrebbe dalla Luna, coll’istesso periodo<br />
a capello e sotto le medesime mutazioni di figure, l’illuminazione fatta dal Sole<br />
sopra la faccia della Terra. Sesto . . .<br />
SAGR. Piano un poco, signor Salviati. Che l’illuminazione della Terra, quanto<br />
alle diverse figure, si rappresentasse, a chi fusse <strong>nel</strong>la Luna, simile in tutto a<br />
quello che noi scorgiamo <strong>nel</strong>la Luna, l’intendo io benissimo; ma non resto già<br />
capace, come ella si mostrasse fatta coll’istesso periodo, avvenga che quello che<br />
fa l’illuminazion del Sole <strong>nel</strong>la superficie lunare in un mese, lo fa <strong>nel</strong>la terrestre<br />
in ventiquattr’ore.<br />
SAL. È vero che l’effetto del Sole, circa l’illuminar questi due corpi e ricercar<br />
col suo splendore tutta la lor superficie, si spedisce <strong>nel</strong>la Terra in un giorno<br />
naturale, e <strong>nel</strong>la Luna in un mese; ma non da questo solo depende la variazione<br />
delle figure, sotto le quali dalla Luna si vedrebbero le parti illuminate della<br />
terrestre superficie, ma da i diversi aspetti che la Luna va mutando col Sole:<br />
sì che quando, verbigrazia, la Luna seguitasse puntualmente il moto del Sole,<br />
e stesse per caso sempre linearmente tra esso e la Terra in quell’aspetto che<br />
noi diciamo di congiunzione, vedendo ella sempre il medesimo emisferio della<br />
Terra che vedrebbe il Sole, lo vedrebbe perpetuamente tutto lucido; come, per<br />
l’opposito, quando ella restasse sempre all’opposizione del Sole, non vedrebbe<br />
mai la Terra, della quale sarebbe continuamente volta verso la Luna la parte<br />
tenebrosa, e perciò invisibile; ma quando la Luna è alla quadratura del Sole,<br />
dell’emisfero terrestre esposto alla vista della Luna, quella metà che è verso il<br />
Sole è luminosa, e l’altra verso l’opposto del Sole è oscura, e però la parte della<br />
Terra illuminata si rappresenterebbe alla Luna sotto figura di mezo cerchio.<br />
SAGR. Resto capacissimo del tutto; ed intendo già benissimo che partendosi la<br />
Luna dall’opposizione del Sole, di dove ella non vedeva niente dell’illuminato della<br />
terrestre superficie, e venendo di giorno in giorno verso il Sole, incomincia a poco<br />
a poco a scoprir qualche particella della faccia della Terra illuminata, e questa<br />
vede ella in figura di sottil falce, per esser la Terra rotonda; ed acquistando pur la<br />
Luna col suo movimento di dì in dì maggior vicinità al Sole, viene scoprendo più<br />
e più sempre dell’emisfero terrestre illuminato, sì che alla quadratura ne scuopre<br />
G–2<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
la metà giusto, sì come noi di lei veggiamo altrettanto; continuando poi di venir<br />
verso la congiunzione, scuopre successivamente parte maggiore della superficie<br />
illuminata, e finalmente <strong>nel</strong>la congiunzione vede l’intero emisferio tutto luminoso.<br />
Ed in somma comprendo benissimo che quello che accade a gli abitatori della<br />
Terra, <strong>nel</strong> veder le varietà della Luna, accaderebbe a chi fusse <strong>nel</strong>la Luna <strong>nel</strong><br />
veder la Terra, ma con ordine contrario: cioè che quando la Luna è a noi piena<br />
ed all’opposizion del Sole, a loro la Terra sarebbe alla congiunzion col Sole e del<br />
tutto oscura ed invisibile; all’incontro, quello stato che a noi è congiunzion della<br />
Luna col Sole, è però Luna silente e non veduta, là sarebbe opposizion della Terra<br />
al Sole, e per così dire Terra piena, cioè tutta luminosa; e finalmente quanta parte<br />
a noi, di tempo in tempo, si mostra della superficie lunare illuminata, tanto dalla<br />
Luna si vedrebbe esser <strong>nel</strong>l’istesso tempo la parte della Terra oscura, e quanto a<br />
noi resta della Luna privo di lume, tanto alla Luna è l’illuminato della Terra; sì che<br />
solo <strong>nel</strong>le quadrature questi veggono mezo cerchio della Luna luminoso, e quelli<br />
altrettanto della Terra. In una cosa mi par che differiscano queste scambievoli<br />
operazioni: ed è che, dato e non concesso che <strong>nel</strong>la Luna fusse chi di là potesse<br />
rimirar la Terra, vedrebbe ogni giorno tutta la superficie terrestre, mediante il<br />
moto di essa Luna intorno alla Terra in ventiquattro o venticinque ore; ma noi<br />
non veggiamo mai altro che la metà della Luna, poiché ella non si rivolge in se<br />
stessa, come bisognerebbe per potercisi tutta mostrare.<br />
SAL. Purché questo non accaggia per il contrario, cioè che il rigirarsi ella in se<br />
stessa sia cagione che noi non veggiamo mai l’altra metà; ché così sarebbe necessario<br />
che fusse, quando ella avesse l’epiciclo. Ma dove lasciate voi un’altra differenza,<br />
in contraccambio di questa avvertita da voi?<br />
SAGR. E qual è? ché altra per ora non mi vien in mente.<br />
SAL. È che, se la Terra (come bene avete notato) non vede altro che la metà della<br />
Luna, dove che dalla Luna vien vista tutta la Terra, all’incontro tutta la Terra<br />
vede la Luna, ma della Luna solo la metà vede la Terra; perché gli abitatori, per<br />
così dire, dell’emisfero superiore della Luna, che a noi è invisibile, son privi della<br />
vista della Terra, e questi son forse gli antictoni.<br />
Ma qui mi sovvien ora d’un particolare accidente, nuovamente osservato dal nostro<br />
Accademico <strong>nel</strong>la Luna, per il quale si raccolgono due conseguenze necessarie:<br />
l’una è, che noi veggiamo qualche cosa di più della metà della Luna, e l’altra è, che<br />
il moto della Luna ha giustamente relazione al centro della Terra: e l’accidente e<br />
l’osservazione è tale. Quando la Luna abbia una corrispondenza e natural simpatia<br />
con la Terra, verso la quale con una tal sua determinata parte ella riguardi,<br />
è necessario che la linea retta che congiugne i lor centri passi sempre per l’istesso<br />
punto della superficie della Luna, tal che quello che dal centro della Terra la rimirasse,<br />
vedrebbe sempre l’istesso disco della Luna, puntualmente terminato da una<br />
medesima circonferenza: ma di uno costituito sopra la superficie terrestre, il raggio<br />
che dall’occhio suo andasse sino al centro del globo lunare non passerebbe per<br />
l’istesso punto della superficie di quella per il quale passa la linea tirata dal centro<br />
della Terra a quel della Luna, se non quando ella gli fusse verticale; ma posta<br />
la Luna in oriente o in occidente, il punto dell’incidenza del raggio visuale resta<br />
superiore a quel della linea che congiugne i centri, e però si scuopre qualche parte<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–3
dell’emisferio lunare verso la circonferenza di sopra, e si nasconde altrettanto dalla<br />
parte di sotto; si scuopre, dico, e si nasconde rispetto all’emisfero che si vedrebbe<br />
dal vero centro della Terra: e perché la parte della circonferenza della Luna che è<br />
superiore <strong>nel</strong> nascere, è inferiore <strong>nel</strong> tramontare, però assai notabile dovrà farsi la<br />
differenza dell’aspetto di esse parti superiore e inferiore, scoprendosi ora, ed ora<br />
ascondendosi, delle macchie o altre cose notabili di esse parti. Una simil variazione<br />
dovrebbe scorgersi ancora verso l’estremità bo<strong>reale</strong> ed australe del medesimo<br />
disco, secondo che la Luna si trova in questo o in quel ventre del suo dragone;<br />
perché, quando ella è settentrionale, alcuna delle sue parti verso settentrione ci si<br />
nasconde, e si scuopre delle australi, e per l’opposito. Ora, che queste conseguenze<br />
si verifichino in fatto, il telescopio ce ne rende certi. Imperocché sono <strong>nel</strong>la Luna<br />
due macchie particolari, una delle quali, quando la Luna è <strong>nel</strong> meridiano, guarda<br />
verso maestro, e l’altra gli è quasi diametralmente opposta, e la prima è visibile<br />
anco senza il telescopio, ma non già l’altra: è la maestrale una macchietta ovata,<br />
divisa dall’altre grandissime; l’opposta è minore, e parimente separata dalle grandissime,<br />
e situata in campo assai chiaro: in amendue queste si osservano molto<br />
manifestamente le variazioni già dette, e veggonsi contrariamente l’una dall’altra,<br />
ora vicine al limbo del disco lunare, ed ora allontanate, con differenza tale, che<br />
l’intervallo tra la maestrale e la circonferenza del disco è più che il doppio maggiore<br />
una volta che l’altra; e quanto all’altra macchia (perché l’è più vicina alla circonferenza),<br />
tal mutazione importa più che il triplo da una volta all’altra. Di qui è<br />
manifesto, la Luna, come allettata da virtù magnetica, constantemente riguardare<br />
con una sua faccia il globo terrestre, né da quello divertir mai.<br />
SAGR. E quando si ha a por termine alle nuove osservazioni e scoprimenti di questo<br />
ammirabile strumento?<br />
SAL. Se i progressi di questa son per andar secondo quelli di altre invenzioni<br />
grandi, è da sperare che col progresso del tempo si sia per arrivar a veder cose a<br />
noi per ora inimmaginabili. Ma tornando al nostro primo discorso, dico, per la<br />
sesta congruenza tra la Luna e la Terra, che, sì come la Luna gran parte del tempo<br />
supplisce al mancamento del lume del Sole e ci rende, con la reflessione del suo,<br />
le notti assai chiare, così la Terra ad essa in ricompensa rende, quando ella n’è più<br />
bisognosa, col refletterle i raggi solari, una molto gagliarda illuminazione, e tanto,<br />
per mio parere, maggior di quella che a noi vien da lei, quanto la superficie della<br />
Terra è più grande di quella della Luna.<br />
SAGR. Non più, non più, signor Salviati; lasciatemi il gusto di mostrarvi come a<br />
questo primo cenno ho penetrato la causa di un accidente al quale mille volte ho<br />
pensato, né mai l’ho potuto penetrare.<br />
Voi volete dire che certa luce abbagliata che si vede <strong>nel</strong>la Luna, massimamente<br />
quando l’è falcata, viene dal reflesso del lume del Sole <strong>nel</strong>la superficie della terra e<br />
del mare: e più si vede tal lume chiaro, quanto la falce è più sottile, perché allora<br />
maggiore è la parte luminosa della Terra che dalla Luna è veduta, conforme a<br />
quello che poco fa si concluse, cioè che sempre tanta è la parte luminosa della<br />
Terra che si mostra alla Luna, quanta l’oscura della Luna che guarda verso la<br />
Terra; onde quando la Luna è sottilmente falcata, ed in conseguenza grande è la<br />
G–4<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
sua parte tenebrosa, grande è la parte illuminata della Terra, veduta dalla Luna,<br />
e tanto più potente la reflession del lume.<br />
SAL. Questo è puntualmente quello ch’io voleva dire. In somma, gran dolcezza<br />
è il parlar con persone giudiziose e di buona apprensiva, e massime quando altri<br />
va passeggiando e discorrendo tra i veri. Io mi son più volte incontrato in<br />
cervelli tanto duri, che, per mille volte che io abbia loro replicato questo che<br />
voi avete subito per voi medesimo penetrato, mai non è stato possibile che e’<br />
l’apprendano.<br />
SIMPL. Se voi volete dire di non averlo potuto persuadere loro sì che e’ l’intendino,<br />
io molto me ne maraviglio, e son sicuro che non l’intendendo dalla vostra esplicazione,<br />
non l’intenderanno forse per quella di altri, parendomi la vostra espressiva<br />
molto chiara; ma se voi intendete di non gli aver persuasi sì che e’ lo credano, di<br />
questo non mi maraviglio punto, perché io stesso confesso di esser un di quelli che<br />
intendono i vostri discorsi, ma non vi si quietano, anzi mi restano, in questa e in<br />
parte dell’altre sei congruenze, molte difficultà, le quali promoverò quando avrete<br />
finito di raccontarle tutte.<br />
SAL. Il desiderio che ho di ritrovar qualche verità, <strong>nel</strong> quale acquisto assai mi<br />
possono aiutare le obbiezioni di uomini intelligenti, qual sete voi, mi farà esser<br />
brevissimo <strong>nel</strong>lo spedirmi da quel che ci resta. Sia dunque la settima congruenza<br />
il rispondersi reciprocamente non meno alle offese che a i favori: onde la Luna, che<br />
bene spesso <strong>nel</strong> colmo della sua illuminazione, per l’interposizion della Terra tra<br />
sé e il Sole, vien privata di luce ed ecclissata, così essa ancora, per suo riscatto,<br />
si interpone tra la Terra e il Sole, e con l’ombra sua oscura la Terra; e se ben<br />
la vendetta non è pari all’offesa, perché bene spesso la Luna rimane, ed anco<br />
per assai lungo tempo, immersa totalmente <strong>nel</strong>l’ombra della Terra, ma non già<br />
mai tutta la Terra, né per lungo spazio di tempo, resta oscurata dalla Luna,<br />
tuttavia, avendosi riguardo alla picciolezza del corpo di questa in comparazion<br />
della grandezza di quello, non si può dir se non che il valore, in un certo modo,<br />
dell’animo sia grandissimo. Questo è quanto alle congruenze. Seguirebbe ora il<br />
discorrer circa le disparità; ma perché il signor Simplicio ci vuol favorire de i dubbi<br />
contro di quelle, sarà bene sentirgli e ponderargli, prima che passare avanti.<br />
SAGR. Sì, perché è credibile che il signor Simplicio non sia per aver repugnanze<br />
intorno alle disparità e differenze tra la Terra e la Luna, già che egli stima le lor<br />
sustanze diversissime.<br />
SIMPL. Delle congruenze recitate da voi <strong>nel</strong> far parallelo tra la Terra e la Luna, non<br />
sento di poter ammetter senza repugnanza se non la prima e due altre. Ammetto<br />
la prima, cioè la figura sferica, se bene anco in questa vi è non so che, stimando<br />
io quella della Luna esser pulitissima e tersa come uno specchio, dove che questa<br />
della Terra tocchiamo con mano esser scabrosissima ed aspra; ma questa, attenente<br />
all’inegualità della superficie, va considerata in un’altra delle congruenze arrecate<br />
da voi; però mi riserbo a dirne quanto mi occorre <strong>nel</strong>la considerazione di quella.<br />
Che la Luna sia poi, come voi dite <strong>nel</strong>la seconda congruenza, opaca ed oscura per<br />
se stessa, come la Terra, io non ammetto se non il primo attributo della opacità,<br />
del che mi assicurano gli eclissi solari; ché quando la Luna fusse trasparente, l’aria<br />
<strong>nel</strong>la totale oscurazione del Sole non resterebbe così tenebrosa come ella resta, ma<br />
per la trasparenza del corpo lunare trapasserebbe una luce refratta, come veggiamo<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–5
farsi per le più dense nugole. Ma quanto all’oscurità, io non credo che la Luna sia<br />
del tutto priva di luce, come la Terra, anzi quella chiarezza che si scorge <strong>nel</strong> resto<br />
del suo disco, oltre alle sottili corna illustrate dal Sole, reputo che sia suo proprio<br />
e natural lume, e non un reflesso della Terra, la quale io stimo impotente, per la<br />
sua somma asprezza ed oscurità, a reflettere i raggi del Sole. Nel terzo parallelo<br />
convengo con voi in una parte, e <strong>nel</strong>l’altra dissento; convengo <strong>nel</strong> giudicar il corpo<br />
della Luna solidissimo e duro, come la Terra, anzi più assai, perché se da Aristotile<br />
noi caviamo che il cielo sia di durezza impenetrabile, e le stelle parti più dense del<br />
cielo, è ben necessario che le siano saldissime ed impenetrabilissime.<br />
SAGR. Che bella materia sarebbe quella del cielo per fabbricar palazzi, chi ne<br />
potesse avere, così dura e tanto trasparente!<br />
SAL. Anzi pessima, perché sendo, per la somma trasparenza, del tutto invisibile,<br />
non si potrebbe, senza gran pericolo di urtar negli stipiti e spezzarsi il capo,<br />
camminar per le stanze.<br />
SAGR. Cotesto pericolo non si correrebbe egli, se è vero, come dicono alcuni Peripatetici,<br />
che la sia intangibile; e se la non si può toccare, molto meno si potrebbe<br />
urtare.<br />
SAL. Di niuno sollevamento sarebbe cotesto; conciosiaché, se ben la materia celeste<br />
non può esser toccata, perché manca delle tangibili qualità, può ben ella toccare i<br />
corpi elementari; e per offenderci, tanto è che ella urti in noi, ed ancor peggio, che<br />
se noi urtassimo in lei. Ma lasciamo star questi palazzi o per dir meglio castelli<br />
in aria, e non impediamo il signor Simplicio.<br />
SIMPL. La quistione che voi avete così incidentemente promossa, è delle difficili<br />
che si trattino in filosofia, ed io ci ho intorno di bellissimi pensieri di un gran<br />
cattedrante di Padova; ma non è tempo di entrarvi adesso. Però, tornando al<br />
nostro proposito replico che stimo la Luna solidissima più della Terra, ma non<br />
l’argomento già, come fate voi, dalla asprezza e scabrosità della sua superficie,<br />
anzi dal contrario, cioè dall’essere atta a ricevere (come veggiamo tra noi <strong>nel</strong>le<br />
gemme più dure) un pulimento e lustro superiore a qual si sia specchio più terso;<br />
ché tale è necessario che sia la sua superficie, per poterci fare sì viva reflessione de’<br />
raggi del Sole. Quelle apparenze poi che voi dite, di monti, di scogli, di argini, di<br />
valli, etc., son tutte illusioni; ed io mi sono ritrovato a sentire in publiche dispute<br />
sostener gagliardamente, contro a questi introduttori di novità, che tali apparenze<br />
non da altro provengono che da parti inegualmente opache e perspicue, delle quali<br />
interiormente ed esteriormente è composta la Luna, come spesso veggiamo accadere<br />
<strong>nel</strong> cristallo, <strong>nel</strong>l’ambra ed in molte pietre preziose perfettamente lustrate,<br />
dove, per la opacità di alcune parti e per la trasparenza di altre, appariscono<br />
in quelle varie concavità e prominenze. Nella quarta congruenza concedo che la<br />
superficie del globo terrestre, veduto di lontano, farebbe due diverse apparenze,<br />
cioè una più chiara e l’altra più oscura, ma stimo che tali diversità accaderebbono<br />
al contrario di quel che dite voi; cioè credo che la superficie dell’acqua apparirebbe<br />
lucida, perché è liscia e trasparente, e quella della terra resterebbe oscura<br />
per la sua opacità e scabrosità, male accomodata a riverberare il lume del Sole.<br />
Circa il quinto riscontro, lo ammetto tutto, e resto capace che quando la Terra<br />
risplendesse come la Luna si mostrerebbe, a chi di lassù la rimirasse, sotto figure<br />
conformi a quelle che noi veggiamo <strong>nel</strong>la Luna; comprendo anco come il periodo<br />
G–6<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
della sua illuminazione e variazione di figure sarebbe di un mese, benché il Sole<br />
la ricerchi tutta in ventiquattr’ore; e finalmente non ho difficultà <strong>nel</strong>l’ammettere<br />
che la metà sola della Luna vede tutta la Terra, e che tutta la Terra vede solo la<br />
metà della Luna. Nel sesto, reputo falsissimo che la Luna possa ricever lume dalla<br />
Terra, che è oscurissima, opaca ed inettissima a reflettere il lume del Sole, come<br />
ben lo reflette la Luna a noi; e, come ho detto, stimo che quel lume che si vede<br />
<strong>nel</strong> resto della faccia della Luna, oltre alle corna splendidissime per l’illuminazion<br />
del Sole, sia proprio e naturale della Luna, e gran cosa ci vorrebbe a farmi credere<br />
altrimenti. Il settimo, de gli eclissi scambievoli, si può anco ammettere, se ben<br />
propriamente si costuma chiamare eclisse del Sole questo che voi volete chiamare<br />
eclisse della Terra. E questo è quanto per ora mi occorre dirvi in contradizione<br />
alle sette congruenze; alle quali instanze se vi piacerà di replicare alcuna cosa,<br />
l’ascolterò volentieri.<br />
SAL. Se io ho bene appreso quanto avete risposto, parmi che tra voi e noi restino<br />
ancora controverse alcune condizioni, le quali io faceva comuni alla Luna ed<br />
alla Terra; e son queste. Voi stimate la Luna tersa e liscia com’uno specchio,<br />
e, come tale, atta a refletterci il lume del Sole, ed all’incontro la Terra, per la<br />
sua asprezza, non potente a far simile reflessione. Concedete la Luna solida e<br />
dura, e ciò argumentate dall’esser ella pulita e tersa, e non dall’esser montuosa;<br />
e dell’apparir montuosa ne assegnate per causa l’essere di parti più e meno<br />
opache e perspicue. E finalmente stimate, quella luce secondaria esser propria<br />
della Luna, e non per reflession della Terra; se ben par che al mare, per esser di<br />
superficie pulita, voi non neghiate qualche reflessione.<br />
Quanto al torvi di errore, che la reflession della Luna non si faccia come da uno<br />
specchio, ci ho poca speranza, mentre veggo che quello che in tal proposito si legge<br />
<strong>nel</strong> Saggiatore e <strong>nel</strong>le Lettere Solari del nostro amico comune non ha profittato<br />
nulla <strong>nel</strong> vostro concetto, se però voi avete attentamente letto quanto vi è scritto<br />
in tal materia.<br />
SIMPL. Io l’ho trascorso così superficialmente, conforme al poco tempo che mi vien<br />
lasciato ozioso da studi più sodi: però, se col replicare alcune di quelle ragioni o<br />
coll’addurne altre voi pensate risolvermi le difficultà, le ascolterò più attentamente.<br />
SAL. Io dirò quello che mi viene in mente al presente, e potrebb’essere che fusse<br />
una mistione di concetti miei propri e di quelli che già lessi ne i detti libri, da i<br />
quali mi sovvien bene ch’io restai interamente persuaso, ancorché le conclusioni<br />
<strong>nel</strong> primo aspetto mi paresser gran paradossi.<br />
Noi cerchiamo, signor Simplicio, se per fare una reflession di lume simile a quello<br />
che ci vien dalla Luna, sia necessario che la superficie da cui vien la reflessione<br />
sia così tersa e liscia come di uno specchio, o pur sia più accomodata una superficie<br />
non tersa e non liscia, ma aspra e mal pulita. Ora, quando a noi venisser<br />
due reflessioni, una più lucida e l’altra meno, da due superficie opposteci, io vi<br />
domando, qual delle due superficie voi credete che si rappresentasse a gli occhi<br />
nostri più chiara e qual più oscura.<br />
SIMPL. Credo senza dubbio che quella che più vivamente mi reflettesse il lume,<br />
mi si mostrerebbe in aspetto più chiara, e l’altra più oscura.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–7
SAL. Pigliate ora in cortesia quello specchio che è attaccato a quel muro, ed<br />
usciamo qua <strong>nel</strong>la corte. Venite, signor Sagredo. Attaccate lo specchio là a<br />
quel muro, dove batte il Sole; discostiamoci e ritiriamoci qua all’ombra. Ecco<br />
là due superficie percosse dal Sole, cioè il muro e lo specchio. Ditemi ora qual<br />
vi si rappresenta più chiara: quella del muro o quella dello specchio? voi non<br />
rispondete?<br />
SAGR. Io lascio rispondere al signor Simplicio, che ha la difficultà; ché io, quanto<br />
a me, da questo poco principio di esperienza son persuaso che bisogni per necessità<br />
che la Luna sia di superficie molto mal pulita.<br />
SAL. Dite, signor Simplicio: se voi aveste a ritrar quel muro, con quello specchio<br />
attaccatovi, dove adoprereste voi colori più oscuri, <strong>nel</strong> dipignere il muro o pur<br />
<strong>nel</strong> dipigner lo specchio?<br />
SIMPL. Assai più scuri <strong>nel</strong> dipigner lo specchio.<br />
SAL. Or se dalla superficie che si rappresenta più chiara vien la reflession del<br />
lume più potente, più vivamente ci refletterà i raggi del Sole il muro che lo<br />
specchio.<br />
SIMPL. Benissimo, signor mio; avete voi migliori esperienze di queste? Voi ci<br />
avete posti in luogo dove non batte il reverbero dello specchio; ma venite meco<br />
un poco più in qua: no, venite pure.<br />
SAGR. Cercate voi forse il luogo della reflessione che fa lo specchio?<br />
SIMPL. Signor sì.<br />
SAGR. Oh vedetela là <strong>nel</strong> muro opposto, grande giusto quanto lo specchio,<br />
e chiara poco meno che se vi battesse il Sole direttamente.<br />
SIMPL. Venite dunque qua, e guardate di lì la superficie dello specchio, e sappiatemi<br />
dire se l’è più scura di quella del muro.<br />
SAGR. Guardatela pur voi, ché io per ancora non voglio acceccare; e so benissimo,<br />
senza guardarla, che la si mostra vivace e chiara quanto il Sole istesso, o poco<br />
meno.<br />
SIMPL. Che dite voi dunque che la reflession di uno specchio sia men potente<br />
di quella di un muro? io veggo che in questo muro opposto, dove arriva il<br />
reflesso dell’altra parete illuminata insieme con quel dello specchio, questo dello<br />
specchio è assai più chiaro; e veggio parimente che di qui lo specchio medesimo<br />
mi apparisce più chiaro assai che il muro.<br />
SAL. Voi con la vostra accortezza mi avete prevenuto, perché di questa medesima<br />
osservazione avevo bisogno per dichiarar quel che resta. Voi vedete dunque la<br />
differenza che cade tra le due reflessioni, fatte dalle due superficie del muro e<br />
dello specchio, percosse <strong>nel</strong>l’istesso modo per l’appunto da i raggi solari; e vedete<br />
come la reflession che vien dal muro si diffonde verso tutte le parti opposteli,<br />
ma quella dello specchio va verso una parte sola, non punto maggiore dello<br />
specchio medesimo; vedete parimente come la superficie del muro, riguardata<br />
da qualsivoglia luogo, si mostra chiara sempre egualmente a se stessa, e per<br />
G–8<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
tutto assai più chiara che quella dello specchio, eccettuatone quel piccolo luogo<br />
solamente dove batte il reflesso dello specchio, ché di lì apparisce lo specchio<br />
molto più chiaro del muro. Da queste così sensate e palpabili esperienze mi par<br />
che molto speditamente si possa venire in cognizione, se la reflessione che ci vien<br />
dalla Luna venga come da uno specchio, o pur come da un muro, cioè se da una<br />
superficie liscia o pure aspra.<br />
SAGR. Se io fussi <strong>nel</strong>la Luna stessa, non credo che io potessi con mano toccar<br />
più chiaramente l’asprezza della sua superficie di quel ch’io me la scorga ora con<br />
l’apprensione del discorso. La Luna, veduta in qualsivoglia positura, rispetto al<br />
Sole e a noi, ci mostra la sua superficie tocca dal Sole sempre egualmente chiara;<br />
effetto che risponde a capello a quel del muro, che, riguardato da qualsivoglia<br />
luogo, apparisce egualmente chiaro, e discorda dallo specchio, che da un luogo<br />
solo si mostra luminoso e da tutti gli altri oscuro. In oltre, la luce che mi<br />
vien dalla reflession del muro è tollerabile e debile, in comparazion di quella<br />
dello specchio gagliardissima ed offensiva alla vista poco meno della primaria e<br />
diretta del Sole: e così con suavità riguardiamo la faccia della Luna; che quando<br />
ella fusse come uno specchio, mostrandocisi anco, per la vicinità, grande quanto<br />
l’istesso Sole, sarebbe il suo fulgore assolutamente intollerabile, e ci parrebbe di<br />
riguardare quasi un altro Sole.<br />
SAL. Non attribuite di grazia, signor Sagredo, alla mia dimostrazione più di quello<br />
che le si perviene. Io voglio muovervi contro un’instanza, che non so quanto sia<br />
di agevole scioglimento. Voi portate per gran diversità tra la Luna e lo specchio,<br />
che ella rimandi la reflessione verso tutte le parti egualmente, come fa il muro,<br />
dove che lo specchio la manda in un luogo solo determinato; e di qui concludete,<br />
la Luna esser simile al muro, e non allo specchio.<br />
Ma io vi dico che quello specchio manda la reflessione in un luogo solo, perché la<br />
sua superficie è piana, e dovendo i raggi reflessi partirsi ad angoli eguali a quelli<br />
de’ raggi incidenti, è forza che da una superficie piana si partano unitamente<br />
verso il medesimo luogo; ma essendo che la superficie della Luna è non piana,<br />
ma sferica, ed i raggi incidenti sopra una tal superficie trovano da reflettersi ad<br />
angoli eguali a quelli dell’incidenza verso tutte le parti, mediante la infinità delle<br />
inclinazioni che compongono la superficie sferica, adunque la Luna può mandar<br />
la reflessione per tutto, e non è necessitata a mandarla in un luogo solo, come<br />
quello specchio che è piano.<br />
SIMPL. Questa è appunto una delle obbiezioni che io volevo fargli contro.<br />
SAGR. Se questa è una, è forza che voi ne abbiate delle altre; però ditele, ché<br />
quanto a questa prima mi par che ella sia per riuscire più contro di voi che in<br />
favore.<br />
SIMPL. Voi avete pronunziato come cosa manifesta, che la reflession fatta da quel<br />
muro sia così chiara ed illuminante come quella che ci vien dalla Luna, ed io<br />
la stimo come nulla in comparazion di quella: imperocché “in questo negozio<br />
dell’illuminazione bisogna aver riguardo e distinguere la sfera di attività; e chi<br />
dubita che i corpi celesti abbiano maggiore sfera di attività che questi nostri<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–9
elementari, caduchi e mortali? e quel muro, finalmente, che è egli altro che un<br />
poco di terra, oscura ed inetta all’illuminare?”<br />
SAGR. E qui ancora credo che voi vi inganniate di assai. Ma vengo alla prima<br />
instanza mossa dal signor Salviati: e considero che per far che un oggetto ci apparisca<br />
luminoso, non basta che sopra esso caschino i raggi del corpo illuminante,<br />
ma ci bisogna che i raggi reflessi vengano all’occhio nostro; come apertamente si<br />
vede <strong>nel</strong>l’esempio di quello specchio, sopra il quale non ha dubbio che vengono<br />
i raggi luminosi del Sole, con tutto ciò ei non ci si mostra chiaro ed illustrato<br />
se non quando noi mettiamo l’occhio in quel luogo particulare dove va la reflessione.<br />
Consideriamo adesso quel che accaderebbe quando lo specchio fusse di<br />
superficie sferica: ché senz’altro noi troveremo che della reflessione che si fa da<br />
tutta la superficie illuminata, piccolissima parte è quella che perviene all’occhio<br />
di un particolar riguardante, per esser una minimissima particella di tutta la<br />
superficie sferica quella l’inclinazion della quale ripercuote il raggio al luogo particolare<br />
dell’occhio; onde minima convien che sia la parte della superficie sferica<br />
che all’occhio si mostra splendente, rappresentandosi tutto il rimanente oscuro.<br />
Quando dunque la Luna fusse tersa come uno specchio, piccolissima parte si<br />
mostrerebbe a gli occhi di un particulare illustrata dal Sole, ancorché tutto un<br />
emisferio fusse esposto a’ raggi solari, ed il resto rimarrebbe all’occhio del riguardante<br />
come non illuminato e perciò invisibile, e finalmente invisibile ancora del<br />
tutto la Luna, avvengaché quella particella onde venisse la riflessione, per la sua<br />
piccolezza e gran lontananza si perderebbe; e sì come all’occhio ella resterebbe<br />
invisibile, così la sua illuminazione resterebbe nulla, ché bene è impossibile che<br />
un corpo luminoso togliesse via le nostre tenebre col suo splendore e che noi non<br />
lo vedessimo.<br />
SAL. Fermate in grazia, signor Sagredo, perché io veggo alcuni movimenti <strong>nel</strong> viso<br />
e <strong>nel</strong>la persona del signor Simplicio, che mi sono indizi ch’ei non resti o ben capace<br />
o soddisfatto di questo che voi con somma evidenza ed assoluta verità avete detto;<br />
e pur ora mi è sovvenuto di potergli con altra esperienza rimuovere ogni scrupolo.<br />
Io ho veduto in una camera di sopra un grande specchio sferico: facciamolo portar<br />
qua, e mentre che si conduce, torni il signor Simplicio a considerare quanta è<br />
grande la chiarezza che vien <strong>nel</strong>la parete qui sotto la loggia dal reflesso dello<br />
specchio piano.<br />
SIMPL. Io veggo che l’è chiara poco meno che se vi percotesse direttamente il<br />
Sole.<br />
SAL. Così è veramente. Or ditemi: se, levando via quel piccolo specchio piano,<br />
metteremo <strong>nel</strong>l’istesso luogo quel grande sferico, qual effetto credete voi che sia<br />
per far la sua reflessione <strong>nel</strong>la medesima parete?<br />
SIMPL. Credo che gli arrecherà lume molto maggiore e molto più amplo.<br />
SAL. Ma se l’illuminazione sarà nulla, o così piccola che appena ve ne accorgiate,<br />
che direte allora?<br />
SIMPL. Quando avrò visto l’effetto, penserò alla risposta.<br />
G–10<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
SAL. Ecco lo specchio, il quale voglio che sia posto accanto all’altro. Ma prima<br />
andiamo là vicino al reflesso di quel piano, e rimirate attentamente la sua chiarezza:<br />
vedete come è chiaro qui dove e’ batte, e come distintamente si veggono<br />
tutte queste minuzie del muro.<br />
SIMPL. Ho visto e osservato benissimo: fate metter l’altro specchio a canto al<br />
primo.<br />
SAL. Eccolo là. Vi fu messo subito che cominciaste a guardare le minuzie, e non<br />
ve ne sete accorto, sì grande è stato l’accrescimento del lume <strong>nel</strong> resto della<br />
parete. Or tolgasi via lo specchio piano. Eccovi levata via ogni reflessione,<br />
ancorché vi sia rimasto il grande specchio convesso. Rimuovasi questo ancora,<br />
e poi vi si riponga quanto vi piace: voi non vedrete mutazione alcuna di luce in<br />
tutto il muro. Eccovi dunque mostrato al senso come la reflessione del Sole fatta<br />
in ispecchio sferico convesso non illumina sensibilmente i luoghi circonvicini. Ora<br />
che risponderete voi a questa esperienza?<br />
SIMPL. lo ho paura che qui non entri qualche giuoco di mano. Io veggo pure<br />
<strong>nel</strong> riguardar quello specchio, uscire un grande splendore, che quasi mi toglie la<br />
vista, e, quel che più importa, ve lo veggo sempre da qualsivoglia luogo ch’io lo<br />
rimiri, e veggolo andar mutando sito sopra la superficie dello specchio, secondo<br />
ch’io mi pongo a rimirarlo in questo o in quel luogo: argomento necessario, che<br />
il lume si reflette vivo assai verso tutte le bande, ed in conseguenza così potente<br />
sopra tutta quella parete come sopra il mio occhio.<br />
SAL. Or vedete quanto bisogni andar cauto e riservato <strong>nel</strong> prestare assenso a<br />
quello che il solo discorso ci rappresenta. Non ha dubbio che questo che voi<br />
dite ha assai dell’apparente; tuttavia potete vedere come la sensata esperienza<br />
mostra in contrario.<br />
SIMPL. Come dunque cammina questo negozio?<br />
SAL. Io vi dirò quel che ne sento, che non so quanto vi sia per appagare. E prima,<br />
quello splendore così vivo che voi vedete sopra lo specchio, e che vi par che ne<br />
occupi assai buona parte, non è così grande a gran pezzo, anzi è piccolo assai<br />
assai; ma la sua vivezza cagiona <strong>nel</strong>l’occhio vostro, mediante la reflessione fatta<br />
<strong>nel</strong>l’umido de gli orli delle palpebre, Ia quale si distende sopra la pupilla, una<br />
irradiazione avventizia, simile a quel capillizio che ci par di vedere intorno alla<br />
fiammella di una candela posta alquanto lontana, o vogliate assimigliarla allo<br />
splendore avventizio di una stella; che se voi paragonerete il piccolo corpicello,<br />
verbigrazia, della Canicola, veduto di giorno col telescopio, quando si vede senza<br />
irradiazione, col medesimo veduto di notte coll’occhio libero, voi fuor di ogni<br />
dubbio comprenderete che l’irraggiato si mostra più di mille volte maggior del<br />
nudo e real corpicello: ed un simile o maggior ricrescimento fa l’immagine del Sole<br />
che voi vedete in quello specchio; dico maggiore, per esser ella più viva della stella,<br />
come è manifesto dal potersi rimirar la stella con assai minor offesa alla vista, che<br />
questa reflession dello specchio. Il reverbero dunque, che si ha da participare sopra<br />
tutta questa parete, viene da piccola parte di quello specchio; e quello che pur ora<br />
veniva da tutto lo specchio piano, si participava e ristrigneva a piccolissima parte<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–11
della medesima parete: qual meraviglia è dunque che la reflessione prima illumini<br />
molto vivamente, e che quest’altra resti quasi impercettibile?<br />
SIMPL. Io mi trovo più inviluppato che mai, e mi sopraggiugne l’altra difficultà,<br />
come possa essere che quel muro, essendo di materia così oscura e di superficie<br />
così mal pulita, abbia a ripercuoter lume più potente e vivace che uno specchio<br />
ben terso e pulito.<br />
SAL. Più vivace no, ma ben più universale, ché, quanto alla vivezza, voi vedete<br />
che la reflessione di quello specchietto piano, dove ella ferisce là sotto la loggia,<br />
illumina gagliardamente, ed il restante della parete, che riceve la reflession<br />
del muro, dove è attaccato lo specchio, non è a gran segno illuminato come la<br />
piccola parte dove arriva il reflesso dello specchio. E se voi desiderate intender<br />
l’intero di questo negozio, considerate come l’esser la superficie di quel muro<br />
aspra, è l’istesso che l’esser composta di innumerabili superficie piccolissime, disposte<br />
secondo innumerabili diversità di inclinazioni, tra le quali di necessità<br />
accade che ne sieno molte disposte a mandare i raggi, reflessi da loro, in un tal<br />
luogo, molte altre in altro; ed in somma non è luogo alcuno al quale non arrivino<br />
moltissimi raggi reflessi da moltissime superficiette sparse per tutta l’intera superficie<br />
del corpo scabroso, sopra il quale cascano i raggi luminosi: dal che segue<br />
di necessità che sopra qualsivoglia parte di qualunque superficie opposta a quella<br />
che riceve i raggi primarii incidenti, pervengano raggi reflessi, ed in conseguenza<br />
l’illuminazione. Seguene ancora, che il medesimo corpo sul quale vengono i raggi<br />
illuminanti, rimirato da qualsivoglia luogo, si mostri tutto illuminato e chiaro:<br />
e però la Luna, per esser di superficie aspra e non tersa, rimanda la luce del<br />
Sole verso tutte le bande, ed a tutti i riguardanti si mostra egualmente lucida.<br />
Che se la superficie sua, essendo sferica, fusse ancora liscia come uno specchio,<br />
resterebbe del tutto invisibile, atteso che quella piccolissima parte dalla quale<br />
potesse venir reflessa l’immagine del Sole, all’occhio di un particolare, per la<br />
gran lontananza, resterebbe invisibile, come già abbiam detto.<br />
SIMPL. Resto assai ben capace del vostro discorso; tuttavia mi par di poter risolverlo<br />
con pochissima fatica, e mantener benissimo che la Luna sia rotonda e<br />
pulitissima e che refletta il lume del Sole a noi al modo di uno specchio: né perciò<br />
l’immagine del Sole si deve veder <strong>nel</strong> suo mezo; avvengaché “non per le spezie<br />
dell’istesso Sole possa vedersi in sì gran distanza la piccola figura del Sole, ma<br />
sia compresa da noi per il lume prodotto dal Sole l’illuminazione di tutto il corpo<br />
lunare. Una tal cosa possiamo noi vedere in una piastra dorata e ben brunita,<br />
che, percossa da un corpo luminoso, si mostra, a chi la guarda da lontano, tutta<br />
risplendente; e solo da vicino si scorge <strong>nel</strong> mezo di essa la piccola immagine del<br />
corpo luminoso.”<br />
SAL. Confessando ingenuamente la mia incapacità, dico che non intendo di questo<br />
vostro discorso altro che di quella piastra dorata; e se voi mi concedete<br />
il parlar liberamente, ho grande opinione che voi ancora non l’intendiate, ma<br />
abbiate imparate a mente quelle parole scritte da qualcuno per desiderio di contraddire<br />
e mostrarsi più intelligente dell’avversario, mostrarsi, però, a quelli che,<br />
G–12<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
per apparir eglino ancora intelligenti, applaudono a quello che e’ non intendono,<br />
e maggior concetto si formano delle persone secondo che da loro son manco intese;<br />
e pur che lo scrittore stesso non sia (come molti ce ne sono) di quelli che<br />
scrivono quel che non intendono, e che però non s’intende quel che essi scrivono.<br />
Però, lasciando il resto, vi rispondo, quanto alla piastra dorata, che quando ella sia<br />
piana e non molto grande, potrà apparir da lontano tutta risplendente, mentre sia<br />
ferita da un lume gagliardo, ma però si vedrà tale quando l’occhio sia in una linea<br />
determinata, cioè in quella de i raggi reflessi; e vedrassi più fiammeggiante che<br />
se fusse, verbigrazia, d’argento, mediante l’esser colorata ed atta, per la somma<br />
densità del metallo, a ricevere brunimento perfettissimo: e quando la sua superficie,<br />
essendo benissimo lustrata, non fusse poi esattamente piana, ma avesse varie<br />
inclinazioni, allora anco da più luoghi si vedrebbe il suo splendore, cioè da tanti<br />
a quanti pervenissero le varie reflessioni fatte dalle diverse superficie; che però si<br />
lavorano i diamanti a molte facce, acciò il lor dilettevol fulgore si scorga da molti<br />
luoghi: ma quando la piastra fusse molto grande, non però da lontano, ancorché<br />
ella fusse tutta piana, si vedrebbe tutta risplendente. E per meglio dichiararmi,<br />
intendasi una piastra dorata piana e grandissima esposta al Sole: mostrerassi a un<br />
occhio lontano l’immagine del Sole occupare una parte di tal piastra solamente,<br />
cioè quella donde viene la reflessione de i raggi solari incidenti; ma è vero che per la<br />
vivacità del lume tal immagine apparirà inghirlandata di molti raggi, e però sembrerà<br />
occupare maggior parte assai della piastra che veramente ella non occuperà.<br />
E che ciò sia vero, notato il luogo particolare della piastra donde viene la reflessione,<br />
e figurato parimente quanto grande mi si rappresenta lo spazio risplendente,<br />
cuoprasi di esso spazio la maggior parte, lasciando solamente scoperto intorno al<br />
mezo: non però si diminuirà punto la grandezza dell’apparente splendore a quello<br />
che di lontano lo rimira, anzi si vedrà egli largamente sparso sopra il panno o<br />
altro con che si ricoperse. Se dunque alcuno col vedere una piccola piastra dorata<br />
da lontano tutta risplendente, si sarà immaginato che l’istesso dovesse accadere<br />
anco di piastre grandi quanto la Luna, si è ingannato non meno che se credesse,<br />
la Luna non esser maggiore di un fondo di tino. Quando poi la piastra fusse di superficie<br />
sferica, vedrebbesi in una sola sua particella il reflesso gagliardo, ma ben,<br />
mediante la vivezza, si mostrerebbe inghirlandato di molti raggi assai vibranti:<br />
il resto della palla si vedrebbe come colorato, e questo anco solamente quando<br />
e’ non fusse in sommo grado pulito; ché quando e’ fusse brunito perfettamente,<br />
apparirebbe oscuro.<br />
Esempio di questo aviamo giornalmente avanti gli occhi ne i vasi d’argento,<br />
li quali, mentre sono solamente bolliti <strong>nel</strong> bianchimento, son tutti candidi come la<br />
neve, né punto rendono l’immagini; ma se in alcuna parte si bruniscono, in quella<br />
subito diventano oscuri, e di lì rendono l’immagini come specchi: e quel divenire<br />
oscuro non procede da altro che dall’essersi spianata una finissima grana che<br />
faceva la superficie dell’argento scabrosa, e però tale che rifletteva il lume verso<br />
tutte le parti, per lo che da tutti i luoghi si mostrava egualmente illuminata;<br />
quando poi, col brunirla, si spianano esquisitamente quelle minime inegualità, sì<br />
che la reflessione de i raggi incidenti si drizza tutta in luogo determinato, allora da<br />
quel tal luogo si mostra la parte brunita assai più chiara e lucida del restante, che<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–13
è solamente bianchito, ma da tutti gli altri luoghi si vede molto oscura. È noto<br />
che la diversità delle vedute, <strong>nel</strong> rimirar superficie brunite, cagiona differenze<br />
tali di apparenze, che per imitare e rappresentare in pittura, verbigrazia, una<br />
corazza brunita, bisogna accoppiare neri schietti e bianchi, l’uno a canto all’altro,<br />
in parti di essa arme dove il lume cade egualmente.<br />
SAGR. Adunque, quando questi Signori filosofi si contentassero di conceder che la<br />
Luna, Venere e gli altri pianeti fussero di superficie non così lustra e tersa come<br />
uno specchio, ma un capello manco, cioè quale è una piastra di argento bianchita<br />
solamente, ma non brunita, questo basterebbe a poterla far visibile ed accomodata<br />
a ripercuoterci il lume del Sole?<br />
SAL. Basterebbe in parte; ma non renderebbe un lume così potente, come fa<br />
essendo montuosa ed in somma piena di eminenze e cavità grandi. Ma questi<br />
Signori filosofi non la concederanno mai pulita meno di uno specchio, ma bene assai<br />
più, se più si può immaginare, perché stimando eglino che a corpi perfettissimi<br />
si convengano figure perfettissime, bisogna che la sfericità di quei globi celesti sia<br />
assolutissima; oltre che, quando e’ mi concedessero qualche inegualità, ancorché<br />
minima, io me ne prenderei senza scrupolo alcuno altra assai maggiore, perché<br />
consistendo tal perfezione in indivisibili, tanto la guasta un capello quanto una<br />
montagna.<br />
SAGR. Qui mi nascono due dubbi: l’uno è l’intendere, perché la maggior inegualità<br />
di superficie abbia a far più potente reflession di lume; l’altro è, perché questi<br />
Signori Peripatetici voglian questa esatta figura.<br />
SAL. Al primo risponderò io, ed al signor Simplicio lascerò la cura di rispondere<br />
al secondo.<br />
Devesi dunque avvertire che le medesime superficie vengono dal medesimo lume<br />
più e meno illuminate, secondoché i raggi illuminanti vi cascano sopra più o meno<br />
obliquamente, sì che la massima illuminazione è dove i raggi son perpendicolari.<br />
Ed ecco ch’io ve lo mostro al senso. Io piego questo foglio tanto che una parte<br />
faccia angolo sopra l’altra; ed esponendole alla reflession del lume di quel muro<br />
opposto, vedete come questa faccia, che riceve i raggi obliquamente, è manco<br />
chiara di quest’altra, dove la reflessione viene ad angoli retti; e notate come<br />
secondo che io gli vo ricevendo più e più obliquamente, l’illuminazione si fa più<br />
debole.<br />
SAGR. Veggo l’effetto, ma non comprendo la causa.<br />
SAL. Se voi ci pensaste un centesimo d’ora, la trovereste; ma per non consumare<br />
il tempo, eccovene un poco di dimostrazione in questa figura.<br />
SAGR. La sola vista della figura mi ha chiarito il tutto, però seguite.<br />
SIMPL. Dite in grazia il resto a me, che non sono di sì veloce apprensiva.<br />
SAL. Fate conto che tutte le linee parallele che voi vedete partirsi da i termini<br />
A, B, sieno i raggi che sopra la linea CD vengono ad angoli retti: inclinate ora<br />
la medesima CD, sì che penda come DO; non vedete voi che buona parte di<br />
quei raggi che ferivano la CD, passano senza toccar la DO? Adunque se la DO<br />
è illuminata da manco raggi, è ben ragionevole che il lume ricevuto da lei sia più<br />
G–14<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
debole. Torniamo ora alla Luna, la quale, essendo di figura sferica, quando la sua<br />
superficie fusse pulita quanto questa carta, le parti del suo emisferio illuminato<br />
dal Sole che sono verso l’estremità, riceverebbero minor lume assaissimo che le<br />
parti di mezo, cadendo sopra quelle i raggi obliquissimi, e sopra queste ad angoli<br />
retti; per lo che <strong>nel</strong> plenilunio, quando noi veggiamo quasi tutto l’emisferio<br />
illuminato, le parti verso il mezo ci si dovrebbero mostrare più risplendenti, che<br />
l’altre verso la circonferenza: il che non si vede. Figuratevi ora la faccia della<br />
Luna piena di montagne ben alte: non vedete voi come le piagge e i dorsi loro,<br />
elevandosi sopra la convessità della perfetta superficie sferica, vengono esposti<br />
alla vista del Sole, ed accomodati a ricevere i raggi, assai meno obliquamente,<br />
e perciò a mostrarsi illuminati quanto il resto?<br />
SAGR. Tutto bene: ma se vi sono tali montagne, è vero che il Sole le ferirà assai<br />
più direttamente che non farebbe l’inclinazione di una superficie pulita, ma è<br />
anco vero che tra esse montagne resterebbero tutte le valli oscure, mediante<br />
l’ombre grandissime che in quel tempo verrebber da i monti; dove che le parti di<br />
mezo, benché piene di valli e monti, mediante l’avere il Sole elevato, rimarrebbero<br />
senz’ombre, e però più lucide assai che le parti estreme, sparse non men di ombre<br />
che di lume: e pur tuttavia non si vede tal differenza.<br />
SIMPL. Una simil difficultà mi si andava avvolgendo per la fantasia.<br />
SAL. Quanto è più pronto il signor Simplicio a penetrar le difficultà che favoriscono<br />
le opinioni d’Aristotile, che le soluzioni! Ma io ho qualche sospetto che a bello<br />
studio e’ voglia anco talvolta tacerle; e <strong>nel</strong> presente particulare, avendo da per<br />
sé potuto veder l’obbiezione, che pure è assai ingegnosa, non posso credere che e’<br />
non abbia ancora avvertita la risposta, ond’io voglio tentar di cavargliela (come si<br />
dice) di bocca. Però ditemi, signor Simplicio: credete voi che possa essere ombra<br />
dove feriscono i raggi del Sole?<br />
SIMPL. Credo, anzi son sicuro, che no, perché essendo egli il massimo luminare,<br />
che scaccia con i suoi raggi le tenebre, è impossibile che dove egli arriva resti<br />
tenebroso; e poi aviamo la definizione che “tenebræ sunt privatio luminis.”<br />
SAL. Adunque il Sole, rimirando la Terra o la Luna o altro corpo opaco, non<br />
vede mai alcuna delle sue parti ombrose, non avendo altri occhi da vedere che i<br />
suoi raggi apportatori del lume; ed in conseguenza uno che fusse <strong>nel</strong> Sole, non<br />
vedrebbe mai niente di adombrato, imperocché i raggi suoi visivi andrebbero<br />
sempre in compagnia de i solari illuminanti.<br />
SIMPL. Questo è verissimo, senza contradizione alcuna.<br />
SAL. Ma quando la Luna è all’opposizion del Sole, qual differenza è tra il viaggio<br />
che fanno i raggi della vostra vista, e quello che fanno i raggi del Sole?<br />
SIMPL. Ora ho inteso; voi volete dire che camminando i raggi della vista e quelli<br />
del Sole per le medesime linee, noi non possiamo scoprir alcuna delle valli ombrose<br />
della Luna. Di grazia, toglietevi giù di questa opinione, ch’io sia simulatore<br />
o dissimulatore; e vi giuro da gentiluomo che non avevo penetrata cotal risposta,<br />
né forse l’avrei ritrovata senza l’aiuto vostro o senza lungo pensarvi.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–15
SAGR. La soluzione che fra tutti due avete addotta circa quest’ultima difficultà, ha<br />
veramente soddisfatto a me ancora; ma <strong>nel</strong> medesimo tempo questa considerazione<br />
del camminare i raggi della vista con quelli del Sole, mi ha destato un altro scrupolo<br />
circa l’altra parte: ma non so se io lo saprò spiegare, perché, essendomi nato di<br />
presente, non l’ho per ancora ordinato a modo mio; ma vedremo fra tutti di ridurlo<br />
a chiarezza.<br />
E’ non è dubbio alcuno che le parti verso la circonferenza dell’emisferio pulito,<br />
ma non brunito, che sia illuminato dal Sole, ricevendo i raggi obliquamente, ne<br />
ricevono assai meno che le parti di mezo, le quali direttamente gli ricevono; e può<br />
essere che una striscia larga, verbigrazia, venti gradi, che sia verso l’estremità<br />
dell’emisferio, non riceva più raggi che un’altra verso le parti di mezo, larga non<br />
più di quattro gradi; onde quella veramente sarà assai più oscura di questa, e tale<br />
apparirà a chiunque le rimirasse amendue in faccia o vogliam dire in maestà. Ma<br />
quando l’occhio del riguardante fusse costituito in luogo tale che la larghezza de<br />
i venti gradi della striscia oscura se gli rappresentasse non più lunga d’una di<br />
quattro gradi posta sul mezo dell’emisferio, io non ho per impossibile che se gli<br />
potesse mostrare egualmente chiara e luminosa come l’altra, perché finalmente<br />
dentro a due angoli eguali, cioè di quattro gradi l’uno, vengono all’occhio le<br />
reflessioni di due eguali moltitudini di raggi, di quelli, cioè, che si reflettono<br />
dalla striscia di mezo, larga gradi quattro, e de i reflessi dall’altra di venti gradi,<br />
ma veduta in iscorcio sotto la quantità di gradi quattro: ed un sito tale otterrà<br />
l’occhio, quando e’ sia collocato tra ’l detto emisfero e ’l corpo che l’illumina,<br />
perché allora la vista e i raggi vanno per le medesime linee. Par dunque che non<br />
sia impossibile che la Luna possa esser di superficie assai bene eguale, e che non<br />
dimeno <strong>nel</strong> plenilunio si mostri non men luminosa <strong>nel</strong>l’estremità che <strong>nel</strong>le parti<br />
di mezo.<br />
SAL. La dubitazione è ingegnosa e degna d’esser considerata: e comeché ella vi è<br />
nata pur ora improvisamente, io parimente risponderò quello che improvisamente<br />
mi cade in mente, e forse potrebb’essere che col pensarvi più mi sovvenisse miglior<br />
risposta. Ma prima che io produca altro in mezo, sarà bene che noi ci assicuriamo<br />
con l’esperienza se la vostra opposizione risponde così in fatto, come par che<br />
concluda in apparenza. E però, ripigliando la medesima carta, inclinandone, col<br />
piegarla, una piccola parte sopra il rimanente, proviamo se esponendola al lume,<br />
sì che sopra la minor parte caschino i raggi del lume direttamente, e sopra l’altra<br />
obliquamente, questa che riceve i raggi diretti si mostri più chiara; ed ecco già<br />
l’esperienza manifesta, che l’è notabilmente più luminosa. Ora, quando la vostra<br />
opposizione sia concludente, bisognerà che, abbassando noi l’occhio tanto che,<br />
rimirando l’altra maggior parte, meno illuminata, in iscorcio, ella ci apparisca<br />
non più larga dell’altra più illuminata, e che in conseguenza non sia veduta sotto<br />
maggior angolo che quella, bisognerà, dico, che il suo lume si accresca sì, che ci<br />
sembri così lucida come l’altra. Ecco che io la guardo, e la veggo sì obliquamente<br />
che la mi apparisce più stretta dell’altra; ma con tutto ciò la sua oscurità non<br />
mi si rischiara punto. Guardate ora se l’istesso accade a voi.<br />
G–16<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
SAGR. Ho visto, né, perché io abbassi l’occhio, veggo punto illuminarsi o rischiararsi<br />
davvantaggio la detta superficie; anzi mi par più tosto che ella si imbrunisca.<br />
SAL. Siamo dunque sin ora sicuri dell’inefficacia dell’opposizione. Quanto poi<br />
alla soluzione, credo che, per esser la superficie di questa carta poco meno che<br />
tersa, pochi sieno i raggi che si reflettano verso gl’incidenti, in comparazione<br />
della moltitudine che si reflette verso le parti opposte, e che di quei pochi se ne<br />
perdano sempre più quanto più si accostano i raggi visivi a essi raggi luminosi<br />
incidenti; e perché non i raggi incidenti, ma quelli che si reflettono all’occhio,<br />
fanno apparir l’oggetto luminoso, però, <strong>nel</strong>l’abbassar l’occhio, più è quello che si<br />
perde che quello che si acquista, come anco voi stesso dite apparirvi <strong>nel</strong> vedere<br />
il foglio più oscuro.<br />
SAGR. Io dell’esperienza e della ragione mi appago. Resta ora che ’l signor Simplicio<br />
risponda all’altro mio quesito, dichiarandomi quali cose muovano i Peripatetici<br />
a voler questa rotondità ne i corpi celesti tanto esatta.<br />
SIMPL. L’essere i corpi celesti ingenerabili, incorruttibili, inalterabili, impassibili,<br />
immortali, etc., fa che e’ sieno assolutamente perfetti; e l’essere assolutamente<br />
perfetti si tira in conseguenza che in loro sia ogni genere di perfezione, e però che<br />
la figura ancora sia perfetta, cioè sferica, e assolutamente e perfettamente sferica,<br />
e non aspera ed irregolare.<br />
SAL. E questa incorruttibilità da che la cavate voi?<br />
SIMPL. Dal mancar di contrari immediatamente, e mediatamente dal moto semplice<br />
circolare.<br />
SAL. Talché, per quanto io raccolgo dal vostro discorso, <strong>nel</strong> costituir l’essenza de<br />
i corpi celesti incorruttibile, inalterabile etc., non v’entra come causa o requisito<br />
necessario, la rotondità; che quando questa cagionasse l’inalterabilità, noi potremo<br />
ad arbitrio nostro far incorruttibile il legno, la cera, ed altre materie elementari,<br />
col ridurle in figura sferica.<br />
SIMPL. E non è egli manifesto che una palla di legno meglio e più lungo tempo si<br />
conserverà che una guglia o altra forma angolare, fatta di altrettanto del medesimo<br />
legno?<br />
SAL. Cotesto è verissimo, ma non però di corruttibile diverrà ella incorruttibile;<br />
anzi resterà pur corruttibile, ma ben di più lunga durata. Però è da notarsi che<br />
il corruttibile è capace di più e di meno tale, potendo noi dire: “Questo è men<br />
corruttibile di quello,” come, per esempio, il diaspro è men corruttibile della pietra<br />
serena; ma l’incorruttibile non riceve il più e ’l meno, sì che si possa dire: “Questo<br />
è più incorruttibile di quell’altro,” se amendue sono incorruttibili ed eterni. La<br />
diversità dunque di figura non può operare se non <strong>nel</strong>le materie che son capaci del<br />
più o del meno durare; ma <strong>nel</strong>le eterne, che non posson essere se non egualmente<br />
eterne, cessa l’operazione della figura. E per tanto, già che la materia celeste<br />
non per la figura è incorruttibile, ma per altro, non occorre esser così ansioso di<br />
questa perfetta sfericità, perché, quando la materia sarà incorruttibile, abbia pur<br />
che figura si voglia, ella sarà sempre tale.<br />
SAGR. Ma io vo considerando qualche cosa di più, e dico che, conceduto che la<br />
figura sferica avesse facultà di conferire l’incorruttibilità, tutti i corpi, di qualsivo-<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–17
glia figura, sarebbero eterni e incorruttibili. Imperocché essendo il corpo rotondo<br />
incorruttibile, la corruttibilità verrebbe a consistere in quelle parti che alterano<br />
la perfetta rotondità: come, per esempio, in un dado vi è dentro una palla perfettamente<br />
rotonda, e come tale incorruttibile; resta dunque che corruttibili sieno<br />
quelli angoli che ricuoprono ed ascondono la rotondità; al più dunque che potesse<br />
accadere, sarebbe che tali angoli e (per così dire) escrescenze si corrompessero.<br />
Ma se più internamente andremo considerando, in quelle parti ancora verso gli<br />
angoli vi son dentro altre minori palle della medesima materia, e però esse ancora,<br />
per esser rotonde, incorruttibili; e così ne’ residui che circondano queste otto<br />
minori sferette, vi se ne possono intendere altre: talché finalmente, risolvendo<br />
tutto il dado in palle innumerabili, bisognerà confessarlo incorruttibile. E questo<br />
medesimo discorso ed una simile resoluzione si può far di tutte le altre figure.<br />
SAL. Il progresso cammina benissimo: sì che quando, verbigrazia, un cristallo<br />
sferico avesse dalla figura l’esser incorruttibile, cioè la facultà di resistere a tutte<br />
le alterazioni interne ed esterne, non si vede che l’aggiugnerli altro cristallo e ridurlo,<br />
verbigrazia, in cubo l’avesse ad alterar dentro, né anco di fuori, sì che ne<br />
divenisse meno atto a resistere al nuovo ambiente, fatto dell’istessa materia, che<br />
non era all’altro di materia diversa, e massime se è vero che la corruzione si faccia<br />
da i contrari, come dice Aristotile; e di qual cosa si può circondare quella palla<br />
di cristallo, che gli sia manco contraria del cristallo medesimo? Ma noi non ci<br />
accorgiamo del fuggir dell’ore, e tardi verremo a capo de’ nostri ragionamenti, se<br />
sopra ogni particulare si hanno da fare sì lunghi discorsi; oltre che la memoria<br />
si confonde talmente <strong>nel</strong>la multiplicità delle cose, che difficilmente posso ricordarmi<br />
delle proposizioni che ordinatamente aveva proposte il signor Simplicio da<br />
considerarsi.<br />
SIMPL. Io me ne ricordo benissimo; e circa questo particulare della montuosità<br />
della Luna, resta ancora in piede la causa che io addussi di tale apparenza, potendosi<br />
benissimo salvare con dir ch’ella sia un’illusione procedente dall’esser le parti<br />
della Luna inegualmente opache e perspicue.<br />
SAGR. Poco fa, quando il signor Simplicio attribuiva le apparenti inegualità della<br />
Luna, conforme all’opinione di certo Peripatetico amico suo, alle parti di essa<br />
Luna diversamente opache e perspicue, conforme a che simili illusioni si veggono<br />
in cristalli e gemme di più sorti, mi sovvenne una materia molto più accomodata<br />
per rappresentar cotali effetti, e tale che credo certo che quel filosofo la pagherebbe<br />
qualsivoglia prezo; e queste sono le madreperle, le quali si lavorano in varie figure,<br />
e benché ridotte ad una estrema liscezza, sembrano all’occhio tanto variamente in<br />
diverse parti cave e colme, che appena al tatto stesso si può dar fede della loro<br />
egualità.<br />
SAL. Bellissimo è veramente questo pensiero; e quel che non è stato fatto sin ora,<br />
potrebbe esser fatto un’altra volta, e se sono state prodotte altre gemme e cristalli,<br />
che non han che fare con l’illusioni delle madreperle, saran ben prodotte queste<br />
ancora. Intanto, per non tagliar l’occasione ad alcuno, tacerò la risposta che ci<br />
andrebbe, e solo procurerò per ora di sodisfare alle obbiezioni portate dal signor<br />
Simplicio. Dico per tanto che questa vostra è una ragion troppo generale, e come<br />
voi non l’applicate a tutte le apparenze ad una ad una che si veggono <strong>nel</strong>la Luna,<br />
e per le quali io ed altri si son mossi a tenerla montuosa, non credo che voi siate<br />
G–18<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
per trovare chi si soddisfaccia di tal dottrina; né credo che voi stesso né l’autor<br />
medesimo trovi in essa maggior quiete, che in qualsivoglia altra cosa remota dal<br />
proposito.<br />
Delle molte e molte apparenze varie che si scorgono di sera in sera in un corso<br />
lunare, voi pur una sola non ne potrete imitare col fabbricare una palla a vostro<br />
arbitrio di parti più e meno opache e perspicue e che sia di superficie pulita;<br />
dove che, all’incontro, di qualsivoglia materia solida e non trasparente si fabbricheranno<br />
palle le quali, solo con eminenze e cavità e col ricevere variamente<br />
l’illuminazione, rappresenteranno l’istesse viste e mutazioni a capello, che d’ora<br />
in ora si scorgono <strong>nel</strong>la Luna. In esse vedrete i dorsi dell’eminenze esposte al<br />
lume del Sole chiari assai, e doppo di loro le proiezioni dell’ombre oscurissime;<br />
vedutele maggiori e minori, secondo che esse eminenze si troveranno più o meno<br />
distanti dal confine che distingue la parte della Luna illuminata dalla tenebrosa;<br />
vedrete l’istesso termine e confine, non egualmente disteso, qual sarebbe se la<br />
palla fusse pulita, ma anfrattuoso e merlato; vedrete, oltre al detto termine, <strong>nel</strong>la<br />
parte tenebrosa, molte sommità illuminate e staccate dal resto già luminoso;<br />
vedrete l’ombre sopradette secondoché l’illuminazione si va alzando, andarsi elleno<br />
diminuendo, sinché del tutto svaniscono, né più vedersene alcuna quando<br />
tutto l’emisferio sia illuminato; all’incontro poi <strong>nel</strong> passare il lume verso l’altro<br />
emisfero lunare, riconoscerete l’istesse eminenze osservate prima, e vedrete le<br />
proiezioni dell’ombre loro farsi al contrario ed andar crescendo; delle quali cose<br />
torno a replicarvi che voi pur una ne potrete rappresentarmi col vostro opaco e<br />
perspicuo.<br />
SAGR. Anzi pur se ne imiterà una, cioè quella del plenilunio, quando, per esser il<br />
tutto illuminato, non si scorge più né ombre né altro che dalle eminenze e cavità<br />
riceva alcuna variazione. Ma di grazia, signor Salviati, non perdete più tempo in<br />
questo particolare, perché uno che avesse avuto pazienza di far l’osservazioni di<br />
una o due lunazioni e non restasse capace di questa sensatissima verità, si potrebbe<br />
ben sentenziare per privo del tutto di giudizio; e con simili a che consumar tempo<br />
e parole indarno?<br />
SIMPL. Io veramente non ho fatte tali osservazioni, perché non ho avuta questa<br />
curiosità, né meno strumento atto a poterle fare; ma voglio per ogni modo farle: e<br />
intanto possiamo lasciar questa questione in pendente e passare a quel punto che<br />
segue, producendo i motivi per i quali voi stimate che la Terra possa reflettere il<br />
lume del Sole non men gagliardamente che la Luna, perché a me par ella tanto<br />
oscura ed opaca, che un tale effetto mi si rappresenta del tutto impossibile.<br />
SAL. La causa per la quale voi reputate la Terra inetta all’illuminazione, non è<br />
altramente cotesta, signor Simplicio. E non sarebbe bella cosa che io penetrassi i<br />
vostri discorsi meglio che voi medesimo?<br />
SIMPL. Se io mi discorra bene o male, potrebb’esser che voi meglio di me lo<br />
conosceste; ma, o bene o mal ch’io mi discorra, che voi possiate meglio di me<br />
penetrar il mio discorso, questo non crederò io mai.<br />
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G–19
SAL. Anzi vel farò io creder pur ora. Ditemi un poco: quando la Luna è presso<br />
che piena, sì che ella si può veder di giorno ed anco a meza notte, quando vi par<br />
ella più splendente, il giorno o la notte?<br />
SIMPL. La notte, senza comparazione, e parmi che la Luna imiti quella colonna<br />
di nugole e di fuoco che fu scorta a i figliuoli di Isdraele, che alla presenza del<br />
Sole si mostrava come una nugoletta, ma la notte poi era splendidissima. Così<br />
ho io osservato alcune volte di giorno tra certe nugolette la Luna non altramente<br />
che una di esse biancheggiante; ma la notte poi si mostra splendentissima.<br />
SAL. Talché quando voi non vi foste mai abbattuto a veder la Luna se non di<br />
giorno, voi non l’avreste giudicata più splendida di una di quelle nugolette.<br />
SIMPL. Così credo fermamente.<br />
SAL. Ditemi ora: credete voi che la Luna sia realmente più lucente la notte che<br />
’l giorno, o pur che per qualche accidente ella si mostri tale?<br />
SIMPL. Credo che realmente ella risplenda in se stessa tanto di giorno quanto<br />
di notte, ma che ’l suo lume si mostri maggiore di notte perché noi la vediamo<br />
<strong>nel</strong> campo oscuro del cielo; ed il giorno, per esser tutto l’ambiente assai chiaro,<br />
sì che ella di poco lo avanza di luce, ci si rappresenta assai men lucida.<br />
SAL. Or ditemi; avete voi veduto mai in su la meza notte il globo terrestre<br />
illuminato dal Sole?<br />
SIMPL. Questa mi pare una domanda da non farsi se non per burla, o vero a<br />
qualche persona conosciuta per insensata affatto.<br />
SAL. No, no, io v’ho per uomo sensatissimo, e fo la domanda sul saldo: e però<br />
rispondete pure, e poi se vi parrà che io parli a sproposito, mi contento d’esser io<br />
l’insensato; ché bene è più sciocco quello che interroga scioccamente, che quello<br />
a chi si fa interrogazione.<br />
SIMPL. Se dunque voi non mi avete per semplice affatto, fate conto ch’io v’abbia<br />
risposto, e detto che è impossibile che uno che sia in Terra, come siamo noi,<br />
vegga di notte quella parte della Terra, dove è giorno, cioè che è percossa dal<br />
Sole.<br />
SAL. Adunque non vi è toccato mai a veder la Terra illuminata se non di giorno;<br />
ma la Luna la vedete anco <strong>nel</strong>la più profonda notte risplendere in cielo: e questa,<br />
signor Simplicio, è la cagione che vi fa credere che la Terra non risplenda come la<br />
Luna; che se voi poteste veder la Terra illuminata mentreché voi fuste in luogo<br />
tenebroso come la nostra notte, la vedreste splendida più che la Luna. Ora,<br />
se voi volete che la comparazione proceda bene, bisogna far parallelo del lume<br />
della Terra con quel della Luna veduta di giorno, e non con la Luna notturna,<br />
poiché non ci tocca a veder la Terra illuminata se non di giorno. Non sta così?<br />
SIMPL. Così è dovere.<br />
SAL. E perché voi medesimo avete già confessato d’aver veduta la Luna di giorno<br />
tra nugolette biancheggianti e similissima, quanto all’aspetto, ad una di esse, già<br />
G–20<br />
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primamente venite a confessare che quelle nugolette, che pur son materie elementari,<br />
son atte a ricever l’illuminazione quanto la Luna, ed ancor più, se voi vi<br />
ridurrete in fantasia d’aver vedute talvolta alcune nugole grandissime, e candidissime<br />
come la neve; e non si può dubitare che se una tale si potesse conservar così<br />
luminosa <strong>nel</strong>la più profonda notte, ella illuminerebbe i luoghi circonvicini più che<br />
cento Lune. Quando dunque noi fussimo sicuri che la Terra si illuminasse dal Sole<br />
al pari di una di quelle nugolette, non resterebbe dubbio che ella fusse non meno<br />
risplendente della Luna. Ma di questo cessa ogni dubbio, mentre noi veggiamo le<br />
medesime nugole, <strong>nel</strong>l’assenza del Sole, restar la notte così oscure come la Terra;<br />
e, quel che è più, non è alcuno di noi al quale non sia accaduto di veder più<br />
volte alcune tali nugole basse e lontane, e stare in dubbio se le fussero nugole o<br />
montagne: segno evidente, le montagne non esser men luminose di quelle nugole.<br />
SAGR. Ma che più altri discorsi? Eccovi là su la Luna, che è più di meza;<br />
eccovi là quel muro alto, dove batte il Sole; ritiratevi in qua, sì che la Luna si<br />
vegga accanto al muro; guardate ora: che vi par più chiaro? non vedete voi che,<br />
se vantaggio vi è, l’ha il muro? Il Sole percuote in quella parete; di lì si reverbera<br />
<strong>nel</strong>le pareti della sala; da quelle si reflette in quella camera, sì che in essa arriva<br />
con la terza reflessione: e ad ogni modo son sicuro che vi è più lume, che se<br />
direttamente vi arrivasse il lume della Luna.<br />
SIMPL. Oh questo non credo io, perché quel della Luna, e massime quando ell’è<br />
piena, è un grande illuminare.<br />
SAGR. Par grande per l’oscurità de i luoghi circonvicini ombrosi, ma assolutamente<br />
non è molto, ed è minore che quel del crepuscolo di mez’ora doppo il tramontar<br />
del Sole; il che è manifesto, perché non prima che allora vedrete cominciare a<br />
distinguersi in Terra le ombre de i corpi illuminati dalla Luna. Se poi quella terza<br />
reflessione in quella camera illumini più che la prima della Luna, si potrà conoscere<br />
andando là, col legger quivi un libro, e provar poi stasera al lume della Luna se si<br />
legge più agevolmente o meno, che credo senz’altro che si leggerà meno.<br />
SAL. Ora, signor Simplicio (se però voi sete stato appagato), potete comprender<br />
come voi medesimo sapevi veramente che la Terra risplendeva non meno che la<br />
Luna, e che il ricordarvi solamente alcune cose sapute da per voi, e non insegnate<br />
da me, ve n’ha reso certo: perché io non vi ho insegnato che la Luna si mostra più<br />
risplendente la notte che ’l giorno, ma già lo sapevi da per voi, come anco sapevi<br />
che tanto si mostra chiara una nugoletta quanto la Luna; sapevi parimente che<br />
l’illuminazion della Terra non si vede di notte, ed in somma sapevi il tutto, senza<br />
saper di saperlo. Di qui non doverà di ragione esservi difficile il conceder che la<br />
reflessione della Terra possa illuminar la parte tenebrosa della Luna, con luce non<br />
minor di quella con la quale la Luna illustra le tenebre della notte, anzi tanto più,<br />
quanto che la Terra è quaranta volte maggior della Luna.<br />
SIMPL. Veramente lo credeva che quel lume secondario fosse proprio della Luna.<br />
SAL. E questo ancora sapete da per voi, e non v’accorgete di saperlo. Ditemi: non<br />
avete voi per voi stesso saputo che la Luna si mostra più luminosa assai la notte<br />
che il giorno, rispetto all’oscurità del campo ambiente? ed in conseguenza non<br />
venite voi a sapere in genere, che ogni corpo lucido si mostra più chiaro quanto<br />
l’ambiente è più oscuro?<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–21
SIMPL. Questo so io benissimo.<br />
SAL. Quando la Luna è falcata e vi mostra assai chiaro quel lume secondario, non<br />
è ella sempre vicina al Sole, ed in conseguenza <strong>nel</strong> lume del crepuscolo?<br />
SIMPL. Evvi; e molte volte ho desiderato che l’aria si facesse più fosca per poter<br />
veder quel tal lume più chiaro, ma l’è tramontata avanti notte oscura.<br />
SAL. Voi dunque sapete benissimo che <strong>nel</strong>la profonda notte quel lume apparirebbe<br />
più?<br />
SIMPL. Signor sì, ed ancor più se si potesse tor via il gran lume delle corna tocche<br />
dal Sole, la presenza del quale offusca assai l’altro minore.<br />
SAL. Oh non accad’egli talvolta di poter vedere dentro ad oscurissima notte tutto<br />
il disco della Luna, senza punto essere illuminato dal Sole?<br />
SIMPL. Io non so che questo avvenga mai, se non ne gli eclissi totali della Luna.<br />
SAL. Adunque allora dovrebbe questa sua luce mostrarsi vivissima, essendo in un<br />
campo oscurissimo e non offuscata dalla chiarezza delle corna luminose: ma voi<br />
in quello stato come l’avete veduta lucida?<br />
SIMPL. Holla veduta talvolta del color del rame ed un poco albicante; ma altre<br />
volte è rimasta tanto oscura, che l’ho del tutto persa di vista.<br />
SAL. Come dunque può esser sua propria quella luce, che voi così chiara vedete<br />
<strong>nel</strong>l’albor del crepuscolo, non ostante l’impedimento dello splendor grande e contiguo<br />
delle corna, e che poi <strong>nel</strong>la più oscura notte, rimossa ogni altra luce, non<br />
apparisce punto?<br />
SIMPL. Intendo esserci stato chi ha creduto cotal lume venirle participato dall’altre<br />
stelle, ed in particolare da Venere, sua vicina.<br />
SAL. E cotesta parimente è una vanità, perché <strong>nel</strong> tempo della sua totale oscurazione<br />
dovrebbe pur mostrarsi più lucida che mai, ché non si può dire che l’ombra<br />
della Terra gli asconda la vista di Venere né dell’altre stelle; ma ben ne riman<br />
ella del tutto priva allora, perché l’emisferio terrestre che in quel tempo riguarda<br />
verso la Luna, è quello dove è notte, cioè un’intera privazion del lume del Sole.<br />
E se voi diligentemente andrete osservando, vedrete sensatamente che, sì come la<br />
Luna, quando è sottilmente falcata, pochissimo illumina la Terra, e secondoché<br />
in lei vien crescendo la parte illuminata dal Sole, cresce parimente lo splendore a<br />
noi, che da quella vienci reflesso; così la Luna, mentre è sottilmente falcata e che,<br />
per esser tra ’l Sole e la Terra, scuopre grandissima parte dell’emisferio terreno<br />
illuminato, si mostra assai chiara, e discostandosi dal Sole e venendo verso la quadratura,<br />
si vede tal lume andar languendo, ed oltre la quadratura si vede assai<br />
debile, perché sempre va perdendo della vista della parte luminosa della Terra: e<br />
pur dovrebbe accadere il contrario quando tal lume fusse suo o comunicatole dalle<br />
stelle, perché allora la possiamo vedere <strong>nel</strong>la profonda notte e <strong>nel</strong>l’ambiente molto<br />
tenebroso.<br />
SIMPL. Fermate, di grazia, che pur ora mi sovviene aver letto in un libretto moderno<br />
di conclusioni, pieno di molte novità, “che questo lume secondario non è<br />
cagionato dalle stelle né è proprio della Luna e men di tutti comunicatogli dalla<br />
Terra, ma che deriva dalla medesima illuminazion del Sole, la quale, per esser la<br />
sustanza del globo lunare alquanto trasparente, penetra per tutto il suo corpo, ma<br />
più vivamente illumina la superficie dell’emisfero esposto a i raggi del Sole, e la<br />
G–22<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
profondità, imbevendo e, per così dire inzuppandosi di tal luce a guisa di una nugola<br />
o di un cristallo, la trasmette e si rende visibilmente lucida. E questo (se ben<br />
mi ricorda) prova egli con l’autorità, con l’esperienza e con la ragione, adducendo<br />
Cleomede, Vitellione, Macrobio e qualch’a1tro autor moderno, e soggiugnendo,<br />
vedersi per esperienza ch’ella si mostra molto lucida ne i giorni prossimi alla congiunzione,<br />
cioè quando è falcata, e massimamente risplende intorno al suo limbo;<br />
e di più scrive che negli eclissi solari, quando ella è sotto il disco del Sole, si vede<br />
tralucere, e massime intorno all’estremo cerchio: quanto poi alle ragioni, parmi<br />
ch’e’ dica che non potendo ciò derivare né dalla Terra né dalle stelle né da se stessa,<br />
resta necessariamente ch’ e’ venga dal Sole; oltreché, fatta questa supposizione,<br />
benissimo si rendono accomodate ragioni di tutti i particulari che accascano. Imperocché<br />
del mostrarsi tal luce secondaria più vivace intorno all’estremo limbo ne<br />
è cagione la brevità dello spazio da esser penetrato da i raggi del Sole, essendoché<br />
delle linee che traversano un cerchio, la massima è quella che passa per il centro,<br />
e delle altre le più lontane da questa son sempre minori delle più vicine. Dal<br />
medesimo principio dice egli derivare che tal lume poco diminuisce. E finalmente,<br />
per questa via si assegna la causa onde avvenga che quel cerchio più lucido intorno<br />
all’estremo margine della Luna si scorga <strong>nel</strong>l’eclisse solare in quella parte che sta<br />
sotto il disco del Sole, ma non in quella che è fuor del disco; provenendo ciò,<br />
perché i raggi del Sole trapassano a dirittura al nostro occhio per le parti della<br />
Luna sottoposte, ma per le parti che son fuori, cascano fuori dell’occhio.”<br />
SAL. Se questo filosofo fusse stato il primo autore di tale opinione, io non mi<br />
maraviglierei che e’ vi fusse talmente affezionato, che e’ l’avesse ricevuta per vera;<br />
ma ricevendola da altri, non saprei addur ragione bastante per iscusarlo dal non<br />
aver comprese le sue fallacie, e massime doppo l’aver egli sentita la vera causa di<br />
tale effetto, ed aver potuto con mille esperienze e manifesti riscontri assicurarsi,<br />
ciò dal reflesso della Terra, e non da altro, procedere; e quanto questa cognizione<br />
fa desiderar qualche cosa <strong>nel</strong>l’accorgimento di questo autore e di tutti gli altri che<br />
non le prestano l’assenso, tanto il non l’avere intesa e non esser loro sovvenuta mi<br />
rende scusabili quei più antichi, i quali son ben sicuro che se adesso l’intendessero,<br />
senza una minima repugnanza l’ammetterebbero. E se io vi devo schiettamente<br />
dire il mio concetto, non posso creder che quest’autor moderno internamente non<br />
la creda, ma dubito che il non potersen’egli fare il primo autore, lo stimoli un poco<br />
a tentare di supprimerla o smaccarla almanco appresso a i semplici, il numero de i<br />
quali sappiamo esser grandissimo; e molti sono che godono assai più dell’applauso<br />
numeroso del popolo che dell’assenso de i pochi non vulgari.<br />
SAGR. Fermate un poco, signor Salviati, ché mi par di vedere che voi non andiate<br />
drittamente al vero punto <strong>nel</strong> vostro parlare; perché questi, che tendono le pareti<br />
al comune, si sanno anco fare autori dell’invenzioni di altri, purché non sieno tanto<br />
antiche e fatte pubbliche per le cattedre e per le piazze, che sieno più che notorie<br />
a tutti.<br />
SAL. Oh io son più cattivo di voi. Che dite voi di pubbliche o di notorie? non<br />
è egli l’istesso l’esser l’opinioni e l’invenzioni nuove a gli uomini, che l’esser gli<br />
uomini nuovi a loro? se voi vi contentaste della stima de’ principianti <strong>nel</strong>le scienze,<br />
che vengon su di tempo in tempo, potreste farvi anco inventore sin dell’alfabeto,<br />
e così rendervi ad essi ammirando; e se ben poi col progresso del tempo si scoprisse<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–23
la vostra sagacità, ciò poco pregiudica al vostro fine, perché altri sottentrano a<br />
mantenere il numero de i fautori. Ma torniamo a mostrare al signor Simplicio la<br />
inefficacia de i discorsi del suo moderno autore, ne i quali ci sono falsità e cose<br />
non concludenti ed inopinabili. E prima, è falso che questa luce secondaria sia più<br />
chiara intorno all’estremo margine che <strong>nel</strong>le parti di mezo, sì che si formi quasi un<br />
a<strong>nel</strong>lo o cerchio più risplendente del resto del campo. Ben è vero che guardando la<br />
Luna posta <strong>nel</strong> crepuscolo, si mostra, <strong>nel</strong> primo apparire, un tal cerchio, ma con<br />
inganno che nasce dalla diversità de i confini con i quali termina il disco lunare,<br />
sparso di questa luce secondaria: imperocché dalla parte verso il Sole confina con<br />
le corna lucidissime della Luna, e dall’altra ha per termine confinante il campo<br />
oscuro del crepuscolo, la relazion del quale ci fa parere più chiaro l’albore del disco<br />
lunare, il quale <strong>nel</strong>la parte opposta viene offuscato dallo splendor maggiore delle<br />
corna. Che se l’autor moderno avesse provato a farsi ostacolo tra l’occhio e lo<br />
splendor primario col tetto di qualche casa o con altro tramezzo, sì che visibile<br />
restasse solamente la piazza della Luna fuori delle corna, l’avrebbe veduta tutta<br />
egualmente luminosa.<br />
SIMPL. Mi par pur ricordare che egli scriva d’essersi servito di un simile artifizio<br />
per nascondersi la falce lucida.<br />
SAL. Oh come questo è, la sua, che io stimava inavvertenza, diventa bugia; la quale<br />
pizzica anco di temerità, poiché ciascheduno ne può far frequentemente la riprova.<br />
Che poi <strong>nel</strong>l’eclisse del Sole si vegga il disco della Luna in altro modo che per<br />
privazione, io ne dubito assai, e massime quando l’eclisse non sia totale, come<br />
necessariamente bisogna che siano state le osservate dall’autore; ma quando anco<br />
e’ si scorgesse come lucido, questo non contraria, anzi favorisce l’opinion nostra,<br />
avvengaché allora si oppone alla Luna tutto l’emisferio terrestre illuminato dal<br />
Sole, ché se bene l’ombra della Luna ne oscura una parte, questa è pochissima in<br />
comparazione di quella che rimane illuminata. Quello che aggiugne di più, che in<br />
questo caso la parte del margine che soggiace al Sole si mostri assai lucida, ma<br />
non così quella che resta fuori, e ciò derivare dal venirci direttamente per quella<br />
parte i raggi solari all’occhio, ma non per questa, è bene una di quelle favole che<br />
manifestano le altre finzioni di colui che le racconta; perché, se per farci visibile di<br />
luce secondaria il disco lunare bisogna che i raggi del Sole vengano direttamente al<br />
nostro occhio, non vede il poverino che noi mai non vedremmo tal luce secondaria<br />
se non <strong>nel</strong>l’eclisse del Sole? E se l’esser una parte della Luna remota dal disco<br />
solare solamente manco assai di mezo grado può deviare i raggi del Sole, sì che non<br />
arrivino al nostro occhio, che sarà quando ella se ne trovi lontana venti e trenta,<br />
quale ella ne è <strong>nel</strong>la sua prima apparizione? e come verranno i raggi del Sole, che<br />
hanno a trapassar per il corpo della Luna, a trovar l’occhio nostro? Quest’uomo<br />
si va di mano in mano figurando le cose quali bisognerebbe ch’elle fussero per<br />
servire al suo proposito, e non va accomodando i suoi propositi di mano in mano<br />
alle cose quali elle sono. Ecco: per far che lo splendor del Sole possa penetrar la<br />
sustanza della Luna, ei la fa in parte diafana, quale è, verbigrazia, la trasparenza<br />
di una nugola o di un cristallo; ma non so poi quello ch’ei si giudicasse, circa<br />
una tal trasparenza, quando i raggi solari avessero a penetrare una profondità di<br />
nugola di più di dua mila miglia. Ma ammettasi che egli arditamente rispondesse,<br />
ciò potere esser benissimo ne i corpi celesti, che sono altre faccende che questi<br />
nostri elementari, impuri e fecciosi, e convinchiamo l’error suo con mezi che non<br />
G–24<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
ammettono risposta o, per dir meglio, sutterfugii. Quando ei voglia mantenere<br />
che la sustanza della Luna sia diafana, bisogna ch’ei dica che ella è tale mentreché<br />
i raggi del Sole abbiano a penetrar tutta la sua profondità, cioè ne abbiano a<br />
penetrar più di dua mila miglia, ma che opponendosigliene solo un miglio ed anco<br />
meno, non la penetreranno più che e’ si penetrino una delle nostre montagne.<br />
SAGR. Voi mi fate sovvenire di uno che mi voleva vendere un segreto di poter<br />
parlare, per via di certa simpatia di aghi calamitati, a uno che fusse stato lontano<br />
due o tre mila miglia; e dicendogli io che volentieri l’avrei comprato, ma che<br />
volevo vederne l’esperienza, e che mi bastava farla stando io in una delle mie<br />
camere ed egli in un’altra, mi rispose che in sì piccola distanza non si poteva<br />
veder ben l’operazione: onde io lo licenziai, con dire che non mi sentivo per allora<br />
di andare <strong>nel</strong> Cairo o in Moscovia per veder tale esperienza; ma se pure voleva<br />
andare esso, che io arei fatto l’altra parte, restando in Venezia. Ma sentiamo come<br />
va la conseguenza dell’autore, e come bisogni ch’egli ammetta, la materia della<br />
Luna esser permeabilissima da i raggi solari <strong>nel</strong>la profondità di dua mila miglia,<br />
ma opacissima più di una montagna delle nostre <strong>nel</strong>la grossezza di un miglio solo.<br />
SAL. L’istesse montagne appunto della Luna ce ne fanno testimonianza, le quali,<br />
ferite da una parte dal Sole, gettano dall’opposta ombre negrissime, terminate e<br />
taglienti più assai dell’ombre delle nostre; che quando elle fussero diafane, mai<br />
non avremmo potuto conoscere asprezza veruna <strong>nel</strong>la superficie della Luna, né<br />
veder quelle cuspidi luminose staccate dal termine che distingue la parte illuminata<br />
dalla tenebrosa; anzi né meno vedremmo noi questo medesimo termine così<br />
distinto, se fusse vero che ’l lume del Sole penetrasse la profondità della Luna;<br />
anzi, per il detto medesimo dell’autore, bisognerebbe vedere il passaggio e confine<br />
tra la parte vista e la non vista dal Sole assai confuso e misto di luce e tenebre,<br />
ché bene è necessario che quella materia che dà il transito a i raggi solari <strong>nel</strong>la<br />
profondità di dua mila miglia, sia tanto trasparente che pochissimo gli contrasti<br />
<strong>nel</strong>la centesima o minor parte di tal grossezza: tuttavia il termine che separa la<br />
parte illuminata dalla oscura è tagliente e così distinto quanto è distinto il bianco<br />
dal nero, e massime dove il taglio passa sopra la parte della Luna naturalmente<br />
più chiara e più aspra; ma dove sega le macchie antiche, le quali sono pianure,<br />
per andare elle sfericamente inclinandosi, sì che ricevono i raggi del Sole obliquissimi,<br />
quivi il termine non è così tagliente, mediante la illuminazione più languida.<br />
Quello finalmente ch’ei dice del non si diminuire ed abbacinare la luce secondaria<br />
secondo che la Luna va crescendo, ma conservarsi continuamente della medesima<br />
efficacia, è falsissimo; anzi, poco si vede <strong>nel</strong>la quadratura, quando, per l’opposito,<br />
ella dovrebbe vedersi più viva, potendosi vedere fuor del crepuscolo, <strong>nel</strong>la notte<br />
più profonda. Concludiamo per tanto, esser la reflession della Terra potentissima<br />
<strong>nel</strong>la Luna; e, quello di che dovrete far maggiore stima, cavatene un’altra congruenza<br />
bellissima: cioè, che se è vero che i pianeti operino sopra la Terra col<br />
moto e col lume, forse la Terra non meno sarà potente a operar reciprocamente in<br />
loro col medesimo lume e per avventura col moto ancora; e quando anco ella non si<br />
movesse, pur gli può restare la medesima operazione, perché già, come si è veduto,<br />
l’azione del lume è la medesima appunto, cioè del lume del Sole reflesso, e ’l moto<br />
non fa altro che la variazione de gli aspetti, la quale segue <strong>nel</strong> modo medesimo<br />
facendo muover la Terra e star fermo il Sole, che se si faccia per l’opposito.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–25
SIMPL. Non si troverà alcuno de i filosofi che abbia detto che questi corpi inferiori<br />
operino ne i celesti, ed Aristotile dice chiaro il contrario.<br />
SAL. Aristotile e gli altri che non han saputo che la Terra e la Luna si illuminino<br />
scambievolmente, son degni di scusa; ma sarebber ben degni di riprensione se,<br />
mentre vogliono che noi concediamo e crediamo a loro che la Luna operi in Terra<br />
col lume, e’ volessin poi a noi, che gli aviamo insegnato che la Terra illumina la<br />
Luna, negare l’azione della Terra <strong>nel</strong>la Luna.<br />
SIMPL. In somma io sento in me un’estrema repugnanza <strong>nel</strong> potere ammettere<br />
questa società che voi vorreste persuadermi tra la Terra e la Luna, ponendola,<br />
come si dice, in ischiera con le stelle; ché, quando altro non ci fusse, la gran<br />
separazione e lontananza tra essa e i corpi celesti mi par che necessariamente<br />
concluda una grandissima dissimilitudine tra di loro.<br />
SAL. Vedete, signor Simplicio, quanto può un inveterato affetto ed una radicata<br />
opinione; poiché è tanto gagliarda, che vi fa parer favorevoli quelle cose medesime<br />
che voi stesso producete contro di voi. Che se la separazione e lontananza<br />
sono accidenti validi per persuadervi una gran diversità di nature, convien che per<br />
l’opposito la vicinanza e contiguità importino similitudine: ma quanto è più vicina<br />
la Luna alla Terra che a qualsivoglia altro de i globi celesti? Confessate dunque,<br />
per la vostra medesima concessione (ed averete anco altri filosofi per compagni),<br />
grandissima affinità esser tra la Terra e la Luna. Or seguitiamo avanti, e proponete<br />
se altro ci resta da considerare circa le difficultà che voi moveste contro le<br />
congruenze tra questi due corpi.<br />
SIMPL. Ci resterebbe non so che in proposito della solidità della Luna, la quale io<br />
argumentava dall’esser ella sommamente pulita e liscia, e voi dall’esser montuosa.<br />
Un’altra difficultà mi nasceva per il credere io che la reflession del mare dovesse<br />
esser, per l’egualità della sua superficie, più gagliarda che quella della Terra, la cui<br />
superficie è tanto scabrosa ed opaca.<br />
SAL. Quanto al primo dubbio, dico che, sì come <strong>nel</strong>le parti della Terra, che tutte<br />
per la lor gravità conspirano ad approssimarsi quanto più possono al centro, alcune<br />
tuttavia ne rimangono più remote che l’altre, cioè le montagne più delle<br />
pianure, e questo per la lor solidità e durezza (ché se fusser di materia fluida si<br />
spianerebbero), così il veder noi alcune parti della Luna restare elevate sopra la<br />
sfericità delle parti più basse arguisce la loro durezza, perché è credibile che la<br />
materia della Luna si figuri in forma sferica per la concorde conspirazione di tutte<br />
le sue parti al medesimo centro.<br />
Circa l’altro dubbio, parmi che per le cose che aviamo considerate accader negli<br />
specchi, possiamo intender benissimo che la reflession del lume che vien dal<br />
mare sia inferiore assai a quella che vien dalla terra, intendendo però della reflessione<br />
universale; perché quanto alla particolare che la superficie dell’acqua quieta<br />
manda in un luogo determinato, non ha dubbio che chi si costituirà in tal luogo,<br />
vedrà <strong>nel</strong>l’acqua un reflesso potentissimo, ma da tutti gli altri luoghi si vedrà la<br />
superficie dell’acqua più oscura di quella della terra. E per mostrarlo al senso,<br />
andiamo qua in sala e versiamo un poco di acqua sul pavimento: ditemi ora, non<br />
si mostr’egli questo mattone bagnato più oscuro assai degli altri asciutti? Certo<br />
sì, e tale si mostrerà egli rimirato da qualsivoglia Iuogo, eccettuatone un solo,<br />
G–26<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
e questo è quello dove arriva il reflesso del lume che entra per quella finestra:<br />
tiratevi adunque indietro pian piano.<br />
SIMPL. Di qui veggo io la parte bagnata più lucida del resto del pavimento,<br />
e veggo che ciò avviene perché il reflesso del lume, che entra per la finestra,<br />
viene verso di me.<br />
SAL. Quel bagnare non ha fatto altro che riempir quelle piccole cavità che sono<br />
<strong>nel</strong> mattone e ridur la sua superficie a un piano esquisito, onde poi i raggi<br />
reflessi vanno uniti verso un medesimo luogo: ma il resto del pavimento asciutto<br />
ha la sua asprezza, cioè una innumerabil varietà di inclinazioni <strong>nel</strong>le sue minime<br />
particelle, onde le reflessioni del lume vanno verso tutte le parti, ma più debili che<br />
se andasser tutte unite insieme; e però poco o niente si varia il suo aspetto per<br />
riguardarlo da diverse bande, ma da tutti i luoghi si mostra l’istesso, ma ben men<br />
chiaro assai che quella reflession della parte bagnata. Concludo per tanto che la<br />
superficie del mare, veduta dalla Luna, sì come apparirebbe egualissima (trattone<br />
le isole e gli scogli), così apparirebbe men chiara che quella della Terra, montuosa<br />
e ineguale. E se non fusse ch’io non vorrei parer, come si dice, di volerne troppo,<br />
vi direi d’aver osservato <strong>nel</strong>la Luna quel lume secondario, ch’io dico venirle dalla<br />
reflession del globo terrestre, esser notabilmente più chiaro due o tre giorni avanti<br />
la congiunzione che doppo, cioè quando noi la veggiamo avanti l’alba in oriente<br />
che quando si vede la sera, doppo il tramontar del Sole, in occidente; della qual<br />
differenza ne è causa che l’emisferio terrestre che si oppone alla Luna orientale<br />
ha poco mare ed assaissima terra, avendo tutta l’Asia, doveché, quando ella è<br />
in occidente, riguarda grandissimi mari, cioè tutto l’Oceano Atlantico sino alle<br />
Americhe: argomento assai probabile del mostrarsi meno splendida la superficie<br />
dell’acqua che quella della terra.<br />
SIMPL. Adunque, per vostro credere, ella farebbe un aspetto simile a quello che<br />
noi veggiamo <strong>nel</strong>la Luna, delle 2 parti massime. Ma credete voi forse che quelle<br />
gran macchie che si veggono <strong>nel</strong>la faccia della Luna, siano mari, e il resto più<br />
chiaro, Terra o cosa tale?<br />
SAL. Questo che voi domandate è il principio delle incongruenze ch’io stimo esser<br />
tra la Luna e la Terra, dalle quali sarà tempo che noi ci sbrighiamo, ché pur troppo<br />
siamo dimorati in questa Luna.<br />
Dico dunque che quando in natura non fusse altro che un modo solo per far<br />
apparir due superficie, illustrate dal Sole, una più chiara dell’altra, e che questo<br />
fosse per esser una di terra e l’altra di acqua, bisognerebbe necessariamente<br />
dire che la superficie della Luna fosse parte terrea e parte aquea; ma perché<br />
vi sono più modi conosciuti da noi, che posson cagionare il medesimo effetto,<br />
ed altri per avventura ne posson essere incogniti a noi, però io non ardirei di<br />
affermare, questo più che quello esser <strong>nel</strong>la Luna. Già si è veduto di sopra<br />
come una piastra d’argento bianchito, col toccarlo col brunitoio, di candido si<br />
rappresenta oscuro; la parte umida della Terra si mostra più oscura della arida;<br />
ne i dorsi delle montagne, le parti silvose appariscono assai più fosche delle nude<br />
e sterili; ciò accade, perché tra le piante casca gran quantità di ombra, ed i luoghi<br />
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G–27
aprici son tutti illuminati dal Sole; e questa mistione di ombre opera tanto, che<br />
voi vedete ne i velluti a opera il color della seta tagliata mostrarsi molto più<br />
oscuro che quel della non tagliata, mediante le ombre disseminate tra pelo e<br />
pelo, ed il velluto piano parimente assai più fosco che un ermisino fatto della<br />
medesima seta; sì che quando <strong>nel</strong>la Luna fossero cose che imitassero grandissime<br />
selve, l’aspetto loro potrebbe rappresentarci le macchie che noi veggiamo; una<br />
tal differenza farebbero s’elle fusser mari; e finalmente non repugna che potesse<br />
esser che quelle macchie fosser realmente di color più oscuro del rimanente, ché<br />
in questa guisa la neve fa comparir le montagne più chiare. Quello che si vede<br />
manifestamente <strong>nel</strong>la Luna è che le parti più oscure son tutte pianure, con pochi<br />
scogli e argini dentrovi, ma pur ve ne son alcuni: il restante più chiaro è tutto<br />
pieno di scogli, montagne, arginetti rotondi e di altre figure; ed in particolare<br />
intorno alle macchie sono grandissime tirate di montagne. Dell’esser le macchie<br />
superficie piane, ce ne assicura il veder come il termine che distingue la parte<br />
illuminata dall’oscura, <strong>nel</strong> traversar le macchie fa il taglio eguale, ma <strong>nel</strong>le parti<br />
chiare si mostra per tutto anfrattuoso e merlato. Ma non so già se questa egualità<br />
di superficie possa esser bastante per sé sola a far apparir l’oscurità, e credo più<br />
tosto di no.<br />
Reputo, oltre a questo, la Luna differentissima dalla Terra, perché, se bene io<br />
mi immagino che quelli non sien paesi oziosi e morti, non affermo però che vi<br />
sieno movimenti e vita, e molto meno che vi si generino piante, animali o altre<br />
cose simili alle nostre, ma, se pur ve n’è, fussero diversissime, e remote da ogni<br />
nostra immaginazione: e muovomi a così credere, perché, primamente, stimo che<br />
la materia del globo lunare non sia di terra e di acqua, e questo solo basta a tor<br />
via le generazioni e alterazioni simili alle nostre; ma, posto anco che lassù fosse<br />
acqua e terra, ad ogni modo non vi nascerebbero piante ed animali simili a i nostri,<br />
e questo per due ragioni principali. La prima è, che per le nostre generazioni son<br />
tanto necessarii gli aspetti variabili del Sole, che senza essi il tutto mancherebbe:<br />
ora le abitudini del Sole verso la Terra son molto differenti da quelle verso la Luna.<br />
Noi, quanto all’illuminazion diurna, abbiamo <strong>nel</strong>la maggior parte della Terra ogni<br />
ventiquattr’ore parte di giorno e parte di notte, il quale effetto <strong>nel</strong>la Luna si fa in<br />
un mese; e quello abbassamento ed alzamento annuo per il quale il Sole ci apporta<br />
le diverse stagioni e la disegualità de i giorni e delle notti, <strong>nel</strong>la Luna si finisce<br />
pur in un mese; e dove il Sole a noi si alza ed abbassa tanto, che dalla massima<br />
alla minima altezza vi corre circa quarantasette gradi di differenza, cioè quanta<br />
è la distanza dall’uno all’altro tropico, <strong>nel</strong>la Luna non importa altro che gradi<br />
dieci o poco più, ché tanto importano le massime latitudini del dragone di qua e<br />
di là dall’eclittica. Considerisi ora qual sarebbe l’azion del Sole dentro alla zona<br />
torrida quando e’ durasse quindici giorni continui a ferirla con i suoi raggi, che<br />
senz’altro s’intenderà che tutte le piante le erbe e gli animali si dispergerebbero;<br />
e se pur vi si facessero generazioni, sarebber di erbe piante ed animali diversissimi<br />
da i presenti. Secondariamente, io tengo per fermo che <strong>nel</strong>la Luna non siano<br />
piogge, perché quando in qualche parte vi si congregassero nugole, come intorno<br />
alla Terra, ci verrebbero ad ascondere alcuna di quelle cose che noi col telescopio<br />
veggiamo <strong>nel</strong>la Luna, ed in somma in qualche particella ci varierebber la vista;<br />
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E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
effetto che io per lunghe e diligenti osservazioni non ho veduto mai, ma sempre vi<br />
ho scorto una uniforme serenità purissima.<br />
SAGR. A questo si potrebbe rispondere, o che vi fossero grandissime rugiade, o che<br />
vi piovesse ne i tempi della lor notte, cioè quando il Sole non la illumina.<br />
SAL. Se per altri riscontri noi avessimo indizii che in essa si facesser generazioni<br />
simili alle nostre, e solo ci mancasse il concorso delle piogge, potremmo<br />
trovarci questo o altro temperamento che supplisse in vece di quelle, come accade<br />
<strong>nel</strong>l’Egitto dell’inondazione del Nilo; ma non incontrando accidente alcuno che<br />
concordi co i nostri, de’ molti che si ricercherebbero per produrvi gli effetti simili,<br />
non occorre affaticarsi per introdurne un solo, e quello anco non perché se n’abbia<br />
sicura osservazione, ma per una semplice non repugnanza. Oltre che, quando mi<br />
fosse domandato quello che la prima apprensione ed il puro naturale discorso mi<br />
detta circa il prodursi là cose simili o pur differenti dalle nostre, io direi sempre,<br />
differentissime ed a noi del tutto inimmaginabili, che così mi pare che ricerchi la<br />
ricchezza della natura e l’onnipotenza del Creatore e Governatore.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
G–29
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SCHEDE degli ESPERIMENTI<br />
<strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong><br />
Scuola Estiva A.I.F.<br />
Assergi, 30 luglio – 4 agosto 2001<br />
Presentiamo qui di seguito delle brevi schede, intese come guida agli esperimenti<br />
proposti. Per tutti gli esperimenti il materiale a disposizione rientra in<br />
questo insieme:<br />
– Basetta con lampade di vario tipo (e relativa alimentazione): lampada a filamento<br />
(LF); lampada dicroica (LD); lampada “da bicicletta” (LB); lampada<br />
smerigliata (LS).<br />
– Telaio scuro (T), verticale, con ampia finestra, per sostenere oggetti opachi<br />
piani o diaframmi di varie forme e dimensioni.<br />
– Camera oscura allungabile, con porta-diaframmi (o lenti) anteriore e schermo<br />
translucido posteriore (CO). Base, asta e morsetti per il montaggio.<br />
– Schermo (S) chiaro con supporti.<br />
– Cubo costruito con bacchette di legno; gnomoni, sagome di cartone.<br />
– Metro e carta millimetrata. Materiale di cancelleria.<br />
Senza dichiararlo di volta in volta, sono considerati prerequisiti: il modello<br />
fisico della propagazione rettilinea della luce; le nozioni geometriche relative alla<br />
similitudine.<br />
Per ogni esperimento, oltre alla sigla identificativa viene indicato lo scopo<br />
immediato e una sintetica procedura operativa. Considerazioni didattiche generali<br />
o specifiche, e osservazioni “tecniche,” vengono lasciate alla presentazione e<br />
alla discussione successiva all’esecuzione degli esperimenti.<br />
All’ideazione e alla realizzazione degli esperimenti hanno contribuito: R. Bagnolesi,<br />
M. Coluccini, E. Fabri, C. Madella, U. Penco. La prima stesura delle<br />
schede è di RB; la forma definitiva è stata data da EF.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
E–1
Sez. <strong>1.</strong>A: OMBRE DA SORGENTI PUNTIFORMI<br />
Esperimento <strong>1.</strong>A.1<br />
Elementi caratterizzanti: Sorgente puntiforme; ostacolo piano opaco, o diaframma;<br />
forma e dimensioni dell’ombra o della macchia luminosa sullo schermo;<br />
similitudini.<br />
Materiale essenziale: Sorgente puntiforme (LB oppure LD). Telaio su cui fissare<br />
un cartoncino opaco con un diaframma (foro), oppure il foglio di acetato sul<br />
quale è fissato uno dei cartoncini opachi a disposizione. Schermo chiaro sul<br />
quale può essere fissato un foglio quadrettato o un foglio di carta millimetrata.<br />
Procedimento: Variando la distanza fra lampada e telaio, e quella fra telaio e<br />
schermo, fare previsioni sulle dimensioni e la forma dell’ombra o della macchia<br />
luminosa sullo schermo. telaio e schermo devono essere tenuti paralleli fra loro.<br />
Verificare le previsioni.<br />
Si notano differenze usando LB oppure LD?<br />
C’è un “orientamento” di LD che rende i contorni più netti sullo schermo?<br />
Esperimento <strong>1.</strong>A.2<br />
Elementi caratterizzanti: Ricerca della posizione di una sorgente puntiforme dalle<br />
ombre prodotte su un piano da gnomoni verticali (versione bidimensionale).<br />
Materiale essenziale: Sorgente puntiforme (LB oppure LD); sagome di cartone<br />
(o piccoli gnomoni) poste su un foglio grande appoggiato sul tavolo, allineate<br />
con la sorgente.<br />
Procedimento: Segnare sul foglio l’inizio e la fine dell’ombra di ciascuna sagoma;<br />
misurare la lunghezza delle ombre e l’altezza delle sagome. Riprodurre, su un<br />
foglio a parte, le posizioni delle ombre e le altezze delle sagome (eventualmente<br />
in scala). Con opportuno procedimento geometrico, ricostruire la posizione della<br />
sorgente.<br />
Esperimento <strong>1.</strong>A.3<br />
Elementi caratterizzanti: Ricerca della posizione di una sorgente puntiforme dalle<br />
ombre prodotte su un piano da gnomoni verticali (versione tridimensionale).<br />
Materiale essenziale: Sorgente puntiforme (LB oppure LD); sagome di cartone<br />
(o piccoli gnomoni) poste su un foglio grande appoggiato sul tavolo, in posizioni<br />
arbitrarie.<br />
Procedimento: Segnare sul foglio l’inizio e la fine dell’ombra di ciascuna sagoma.<br />
Congiungendo le tracce delle ombre, determinare il piede della perpendicolare<br />
dalla sorgente al foglio. Misurare la lunghezza delle ombre e l’altezza delle sagome.<br />
Riprodurre, su un foglio a parte, le posizioni delle ombre e le altezze delle<br />
E–2<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
sagome (eventualmente in scala). Con opportuno procedimento geometrico, ricostruire<br />
la posizione della sorgente.<br />
In particolare, per ciascuna sagoma calcolare il rapporto altezza/ombra. Che<br />
cosa accade di questi rapporti se si ripete l’esperimento con sorgente sempre più<br />
lontana?<br />
Esperimento <strong>1.</strong>A.4<br />
Elementi caratterizzanti: Tracciatura dell’ombra di un oggetto posato su un piano<br />
simulando, con un filo teso, la propagazione rettilinea della luce.<br />
Materiale essenziale: Sorgente puntiforme (LB oppure LD); “mattoncini” LEGO;<br />
filo di lenza o cotone; fogli quadrettati.<br />
Procedimento: Costruire un “oggetto” con i mattoncini e appoggiarlo su un foglio<br />
davanti alla lampada puntiforme. Tolta la lampada, agganciare il filo al supporto<br />
(che va posizionato il più possibile in coincidenza col filamento della lampada).<br />
Tenendo il filo teso e facendo in modo che sfiori l’oggetto, farne scorrere l’altra<br />
estremità sul foglio, marcandovi la linea descritta.<br />
Accendere la lampada e segnare il profilo dell’ombra che si vede. Confrontare<br />
il contorno tracciato col filo con quello dell’ombra <strong>reale</strong>, stimando l’entità degli<br />
scostamenti.<br />
Elencare le cause che limitano la bontà della previsione.<br />
Esperimento <strong>1.</strong>A.5<br />
Elementi caratterizzanti: Scheletro di un cubo illuminato da una sorgente puntiforme.<br />
Previsioni delle caratteristiche dell’ombra.<br />
Materiale essenziale: Sorgente puntiforme (LB o LD). Schermo chiaro sul quale<br />
è stato fisssato un foglio di carta quadrettata o un foglio di carta millimetrata.<br />
Telaio che sostiene lo scheletro del cubo.<br />
Procedimento: Con la lampada spenta, posizionare il telaio in modo che il centro<br />
del cubo si trovi sulla normale condotta dalla lampada allo schermo; il cubo<br />
dovrà avere due facce orizzontali e due parallele allo schermo stesso. Note le<br />
dimensioni del cubo e le distanze fra gli oggetti in gioco, fare previsioni sulla<br />
forma e sulle dimensioni che avrà l’ombra del cubo. Accendere la lampada e<br />
verificare.<br />
Ripetere il tutto dopo aver ruotato il cubo di 45 ◦ attorno a un asse verticale.<br />
Ripetere disponendo il cubo in altre posizioni ritenute significative.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
E–3
Sez. <strong>1.</strong>B: OMBRE E PENOMBRE DA SORGENTI DI VARIO TIPO<br />
Esperimento <strong>1.</strong>B.1<br />
Elementi caratterizzanti: Più sorgenti puntiformi che illuminano ostacoli o diaframmi<br />
circolari. Caratteristiche delle immagini sullo schermo.<br />
Materiale essenziale: Due o tre sorgenti puntiformi (LB). Schermo chiaro sul quale<br />
è stato fisssato un foglio di carta quadrettata o millimetrata. Telaio che sostiene<br />
o un cartoncino opaco circolare o un diaframma circolare. Di entrambi sono a<br />
disposizione due esemplari, il cui diametro in un caso è inferiore alla distanza<br />
fra le due LB, mentre <strong>nel</strong>l’altro è superiore.<br />
Procedimento: L’esperimento dev’essere ripetuto per ogni “oggetto” posto sul<br />
telaio situato fra le lampade e lo schermo. La posizione del telaio varierà da<br />
molto vicino alle lampade, fino a trovarsi a ridosso dello schermo, passando per<br />
le posizioni intermedie. Spostando il telaio, se ad es. usiamo uno dei cartoncini:<br />
a) Come variano le dimensioni dell’ombra?<br />
b) E la sua forma?<br />
È connessa?<br />
c) E le sue gradazioni di grigio?<br />
d) Se hai a disposizione anche uno specchietto piano da usare al posto del<br />
diaframma o del cartoncino, che cosa potrai osservare sullo schermo (opportunamente<br />
collocato)?<br />
(Chiaramente se si lavora con un diaframma si parlerà non di ombra ma di<br />
macchia di luce o “immagine.”)<br />
Esperimento <strong>1.</strong>B.2<br />
Elementi caratterizzanti: Sorgente estesa che illumina sia ostacoli che diaframmi<br />
di dimensioni maggiori o minori di quelle della sorgente, ma di forma differente.<br />
Caratteristiche delle immagini ottenute sullo schermo.<br />
Materiale essenziale: Oltre al telaio e allo schermo come negli esperimenti precedenti,<br />
verranno usate due lampade smerigliate. I cartoncini e i diaframmi<br />
avranno una forma notevolmente differente rispetto a quella delle sorgenti (per<br />
esempio saranno quadrati) e ce ne saranno due versioni, rispettivamente più<br />
grande e più piccola della sorgente.<br />
Procedimento: Il telaio verrà spostato come <strong>nel</strong> caso precedente; dovranno essere<br />
osservate le dimensioni e le caratteristiche dell’immagine sullo schermo (ombra<br />
o “macchia chiara”). In particolare, per ogni caso considerato:<br />
a) L’immagine ha la forma della sorgente o quella del diaframma-ostacolo?<br />
b) La zona di penombra (o la zona con luminosità sfumata) che estensione ha?<br />
In dipendenza di che cosa?<br />
E–4<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
c) Alla produzione dell’immagine contribuisce ogni porzione della superficie<br />
della sorgente?<br />
d) Se hai a disposizione anche uno specchietto piano da usare al posto del<br />
diaframma o del cartoncino, che cosa potresti osservare sullo schermo (opportunamente<br />
collocato)?<br />
Esperimento <strong>1.</strong>B.3<br />
Elementi caratterizzanti: Sorgente estesa (o LB) che illumina un cartoncino di<br />
dimensioni e forma assegnata. Analogie e differenze <strong>nel</strong>la descrizione di uno<br />
stesso fenomeno osservato da “differenti punti di vista.”<br />
Materiale essenziale: Una sorgente estesa; il telaio con un cartoncino opaco;<br />
schermo con un piccolo foro.<br />
Procedimento: Osservare ombra e penombra sulla schermo; prevedere che cosa<br />
si vedrà mettendo l’occhio dietro il foro, a seconda della posizoine in cui esso si<br />
trova (se in luce, <strong>nel</strong>l’ombra, <strong>nel</strong>la penombra). Verificare.<br />
Esperimento <strong>1.</strong>B.4<br />
Elementi caratterizzanti: Ombra di uno gnomone illuminato da una sorgente<br />
estesa.<br />
Materiale essenziale: Una LS; più gnomoni della stessa lunghezza, aventi forme<br />
diverse <strong>nel</strong>la loro parte terminale; foglio bianco sul tavolo.<br />
Procedimento: Osservare la parte terminale dell’ombra dei vari gnomoni illuminati<br />
dalla LS, variandone la distanza e l’altezza sul piano dell’ombra. Esprimere<br />
pareri motivati, e valutazioni, sull’incertezza <strong>nel</strong>la lunghezza dell’ombra dello<br />
gnomone in funzione della forma della sua punta.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
E–5
Sez. 2.A: OTTICA ALL’APERTO (Osservazioni diurne e notturne)<br />
Esperimento 2.A.1<br />
Elementi caratterizzanti: Uno gnomone verticale illuminato dal Sole: influenza<br />
della forma della punta e dell’altezza sull’ombra prodotta; modo migliore di<br />
realizzare uno gnomone (montaggio, scelta del tipo di “piano” su cui osservare<br />
l’ombra).<br />
Materiale essenziale: Pali di diverse altezze e forme.<br />
Procedimento: Stimate con quale accuratezza si può determinare la posizione e la<br />
lunghezza dell’ombra. La lunghezza del palo e la forma della punta influenzano<br />
la precisione della misura? E la natura (il materiale) del piano su cui si proietta<br />
l’ombra?<br />
Considerate due versioni di gnomone: una “sul campo,” ossia su terreno aperto<br />
(naturale o pavimentato) e una “controllata,” realizzata su piccola scala, con<br />
piano scelto <strong>nel</strong> modo migliore.<br />
Misurate l’altezza del Sole utilizzando uno gnomone “controllato.”<br />
Esperimento 2.A.2<br />
Elementi caratterizzanti: Specchi piani di varia forma posti alla luce del Sole:<br />
osservazione del fascio.<br />
Materiale essenziale: Specchio piano, diaframmi di varia forma da sovrapporre.<br />
Una parete lontana (oltre 100 volte le dimensioni dello specchio).<br />
Procedimento: Osservate che sulla parete, qualunque sia la forma del diaframma,<br />
si forma un’immagine circolare del Sole; stimate il diametro angolare del Sole.<br />
Ci sono collegamenti o analogie con esperimenti presenti in altre sezioni?<br />
Esperimento 2.A.3<br />
Elementi caratterizzanti: Galileo e la Luna: confronto tra specchio piano e convesso<br />
esposti al Sole.<br />
Materiale essenziale: Specchio piano. Specchio convesso di tipo “stradale.”<br />
Procedimento: Mandare la luce del Sole, riflessa da ciascuno degli specchi, su un<br />
muro non esposto direttamente al Sole. Confrontare le due macchie di luce<br />
direttamente fra loro e col muro.<br />
Confrontare il risultato delle osservazioni con quanto letto <strong>nel</strong> Dialogo sui Massimi<br />
Sistemi.<br />
E–6<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Esperimento 2.A.4<br />
Elementi caratterizzanti: Galileo e la Luna: aspetto dei materiali, superfici asciutte<br />
o bagnate.<br />
Materiale essenziale: Matto<strong>nel</strong>le, filtri polarizzatori, acqua.<br />
Procedimento: Si confrontano alcune matto<strong>nel</strong>le asciutte, altre appena bagnate<br />
e altre molto bagnate. Quali sono più chiare? Che differenza si può osservare tra<br />
le matto<strong>nel</strong>le appena bagnate e quelle molto bagnate riguardo alla luce riflessa?<br />
Osservare la polarizzazione della luce riflessa o diffusa dalle matto<strong>nel</strong>le.<br />
Passeggiando sulla spiaggia si può osservare sabbia asciutta, sabbia appena<br />
umida e sabbia continuamente bagnata dalle onde: anche in questo caso si possono<br />
trarre le stesse conclusioni?<br />
Esperimento 2.A.5<br />
Elementi caratterizzanti: Galileo e la Luna: polverizzazione del vetro nero.<br />
Materiale essenziale: Vetro nero, mortai e provette, acqua.<br />
Procedimento: Si polverizza <strong>nel</strong> mortaio un pezzetto di vetro nero. Che colore<br />
ha la polvere?<br />
S’introduce la polvere in una provetta e si aggiunge acqua, fino a coprire e<br />
bagnare completamente la polvere. Come cambia il colore della polvere?<br />
Esperimento 2.A.6<br />
Elementi caratterizzanti: Galileo e la Luna: legge dell’inverso del quadrato.<br />
Materiale essenziale: Parete regolare, illuminata in modo uniforme (o telo chiaro<br />
e relativo supporto). Macchina fotografica. (Materiale per il trattamento di una<br />
pellicola in B-N.)<br />
Procedimento: Si eseguono fotografie a diverse distanze dalla parete. Una prima<br />
foto viene scattata da una distanza fissata, usando un certo diaframma e un certo<br />
tempo di esposizione. Si varia la distanza (ad esempio raddoppiando quella iniziale)<br />
e si eseguono altre foto, mantenendo il tempo di esposizione e utilizzando<br />
diverse aperture di diaframma attorno a quella iniziale. Si può ripetere modificando<br />
ancora la distanza.<br />
Dopo lo sviluppo si confrontano i livelli di grigio dei negativi. Quale combinazione<br />
diaframma-distanza dà lo stesso livello di grigio della foto iniziale?<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
E–7
Esperimento 2.A.7<br />
Elementi caratterizzanti: Il foglio piegato: effetto dell’angolo d’incidenza della<br />
luce.<br />
Materiale essenziale: Un foglio di carta o cartoncino.<br />
Procedimento: Piegare il foglio secondo una parallela al lato corto, a 1/3 del<br />
lato lungo, e disporlo in modo che le due parti formino un angolo di circa 60 ◦ .<br />
Orientare la parte più piccola perpendicolare al Sole, in modo che la parte piegata<br />
resti dal lato opposto al Sole.<br />
È verificata l’affermazione di Galileo: “vedete come questa faccia, che riceve i<br />
raggi obliquamente, è manco chiara di quest’altra, dove la reflessione viene ad<br />
angoli retti”?<br />
Che accade se si fa crescere l’angolo fin verso 90 ◦ ?<br />
Osservate da diverse direzioni il foglio, tenuto fermo da un’altra persona: cambia<br />
qualcosa?<br />
Esperimento 2.A.8<br />
Elementi caratterizzanti: Arcobaleno con annaffiatore.<br />
Materiale essenziale: Annaffiatore (vari tipi), filtri colorati, rotella metrica, spago,<br />
filtri polarizzatori.<br />
Procedimento: Per mezzo della nube di gocce prodotta dall’annaffiatore, si debbono<br />
creare le condizioni più favorevoli per vedere un arcobaleno (una piccola<br />
porzione dell’arco).<br />
Come cambia la posizione dell’arco se si muove la testa? Che cosa se ne deduce<br />
sulla localizzazione dell’immagine? Viceversa, dove si “vede” l’arco?<br />
Cercare l’arco secondario (sarà difficile vederlo) e gli archi soprannumerari.<br />
Osservare l’arcobaleno in luce “quasi” monocromatica, usando i filtri. Si riesce<br />
a vederlo? Perché è più difficile?<br />
Verificare che la luce rinviata dalle gocce è polarizzata.<br />
Trovare un metodo per misurare l’angolo di apertura dell’arco.<br />
Esperimento 2.A.9<br />
Elementi caratterizzanti: Galileo e la Luna: osservazione della Luna e di un telo<br />
bianco, illuminati dal Sole.<br />
Materiale essenziale: Telo e relativo supporto, macchina fotografica.<br />
Procedimento: Dopo la lettura dei brani tratti dal Dialogo sui Massimi Sistemi<br />
si possono verificare le affermazioni di Galileo confrontando la luce diffusa dal<br />
E–8<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
muro (o dal telo) con quella diffusa dalla Luna. Si possono fare foto, che verranno<br />
analizzate durante la discussione degli esperimenti.<br />
Esperimento 2.A.10<br />
Elementi caratterizzanti: Osservazione della Luna in uno specchio rettangolare<br />
(l’esperimento verrà fatto dopo cena).<br />
Materiale essenziale: Specchietto rettangolare piano; schermo o parete.<br />
Procedimento: Si osserva l’immagine della Luna <strong>nel</strong>lo specchio, ponendosi a varie<br />
distanze da esso. Cosa si vede quando siamo vicini allo specchio? E quando ci<br />
allontaniamo? Confrontate le conclusioni con quanto osservato <strong>nel</strong>l’esperimento<br />
2.A.2.<br />
Esperimento 2.A.11<br />
Elementi caratterizzanti: Il binocolo: uso diurno e notturno (diaframmi e pupille).<br />
Materiale essenziale: Un binocolo. Dispositivo di cartoncino che consente di<br />
diaframmare con due o tre passaggi l’obbiettivo del binocolo.<br />
Procedimento: Dopo aver puntato il binocolo su un certo soggetto, mettere davanti<br />
all’obbiettivo i diaframmi a disposizione, di diametro via via più piccolo.<br />
Osservare se e quando si percepisce una riduzione di luminosità del soggetto,<br />
e mettere in relazione questa percezione con le dimensioni della pupilla.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
E–9
Sez. 3.A: CAMERA OSCURA<br />
Esperimento 3.A.1<br />
Elementi caratterizzanti: Camera oscura con diaframmi (fori) di vario diametro.<br />
Materiale essenziale: Tre LB o LF. Camera oscura (tubo di cartone) allungabile<br />
con possibilità d’inserire diaframmi di diametro vario all’estremità esposta alla<br />
sorgente. L’estremità opposta della CO è di carta translucida (pergamena da<br />
disegnatori) e consente di osservare, per trasparenza, l’immagine che vi si forma.<br />
Procedimento: Disporre la CO a circa 30 cm dalle tre LB (o dalla LF). Usare il<br />
diaframma più aperto fra quelli disponibili. Descrivere le caratteristiche dell’immagine<br />
che si forma sullo schermo: dipendenza dalla distanza diaframma–sorgente<br />
e dalla lunghezza della CO; corrispondenza tra forma e posizione spaziale<br />
della sorgente e dell’immagine, luminosità dell’immagine.<br />
Ripetere le osservazioni per ciascuno dei diaframmi a disposizione e confrontare<br />
le immagini al variare del diaframma:<br />
Come cambia la luminosità?<br />
Come cambia la risoluzione dei particolari?<br />
Esperimento 3.A.2<br />
Elementi caratterizzanti: Camera oscura con diaframma a tre fori.<br />
Materiale essenziale: LB e LF. Camera oscura allungabile. Questa volta il cartoncino<br />
che chiude la CO dal lato della sorgente ha, come diaframma, tre forellini<br />
di piccolo diametro.<br />
Procedimento: Si cominci usando una sola LB. Senza accenderla, fare previsioni<br />
su quello che si vedrà sullo schermo translucido. Accendere la lampada, osservare<br />
e interpretare.<br />
Si ripeta l’osservazione usando la LF: prevedere, osservare, interpretare.<br />
Esperimento 3.A.3<br />
Elementi caratterizzanti: Camera oscura con diaframma e lente. Si vuole mostrare<br />
l’effetto di una lente sulla propagazione della luce.<br />
Materiale essenziale: Oltre agli oggetti usati nei due esperimenti precedenti, viene<br />
fornita una lente convergente la cui lunghezza focale è circa metà della lunghezza<br />
della CO.<br />
Procedimento: Sovrapporre la lente al diaframma a tre fori. Usando la LB come<br />
<strong>nel</strong>l’esperimento 3.A.2, che cosa si vede?<br />
Modificare la lunghezza della CO e osservare come varia la distanza fra le tre<br />
macchioline luminose. Interpretare.<br />
E–10<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Cercare la lunghezza della CO per la quale le tre macchioline si fondono in una.<br />
Che accade se si va oltre questa posizione?<br />
Togliere il diaframma a tre fori, lasciando comeunico diaframma il supporto della<br />
lente. Ripetere le prove appena fatte: che cosa si vede?<br />
Sintetizzare tutte le osservazioni e descrivere l’effetto della lente convergente sul<br />
percorso dei raggi.<br />
Esperimento 3.A.4<br />
Elementi caratterizzanti: Inversione dell’immagine sulla retina.<br />
Materiale essenziale: Un cartoncino <strong>nel</strong> quale sia stato praticato un forellino di<br />
diametro ≤ 1 mm, un’intensa sorgente di luce estesa, una graffetta fermacarte<br />
“raddrizzata.”<br />
Procedimento: Tenere il cartoncino davanti agli occhi, a una distanza alla quale<br />
non è possibile mettere a fuoco gli oggetti, in modo che il forellino sia contro uno<br />
sfondo chiaro o una sorgente estesa di luce. Far scorrere, lentamente, in senso<br />
destra-sinistra il fermaglio tenuto verticale e posto fra gli occhi e il cartoncino<br />
forato, molto vicino a un occhio. Fare attenzione al passaggio del fermaglio in<br />
corrispondenza del forellino.<br />
Descrivere ciò che si vede. In particolare, se si vede “qualcosa che si muove,”<br />
in che verso si muove? dove si vede? Proporre un’interpretazione.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
E–11
Sez. 3.B: LENTI<br />
Esperimento 3.B.1<br />
Elementi caratterizzanti: La lente d’ingrandimento.<br />
Materiale essenziale: Una lente convergente di 2 ÷ 3 diottrie. Fogli scritti, fogli<br />
quadrettati.<br />
Procedimento: Si posa il foglio sul tavolo e ci si mette a distanza tale da vedere<br />
distintamente la scritta o i quadretti. La lente viene usata come “lente<br />
d’ingrandimento” (microscopio semplice), ponendola tra il foglio e l’occhio.<br />
Con un po’ d’esercizio è possibile osservare insieme il foglio sia direttamente<br />
sia attraverso la lente. In questo modo con la carta quadrettata si può stimare<br />
l’ingrandimento ottenuto.<br />
Studiare come cambia l’ingrandimento al variare della posizione della lente.<br />
Esperimento 3.B.2<br />
Elementi caratterizzanti: Posizione dell’immagine data da una lente convergente.<br />
Materiale essenziale: Una lente convergente di 2 ÷ 3 diottrie. Fogli scritti, fogli<br />
quadrettati.<br />
Procedimento: Usando la lente come <strong>nel</strong>l’esperimento 3.B.1, stimare “dove” viene<br />
percepita l’immagine dell’oggetto. Ripetere variando la posizione della lente.<br />
Con quali accorgimenti si potrebbe localizzare l’immagine definita <strong>nel</strong> senso<br />
dell’ottica geometrica? La stima precedente concorda con la teoria?<br />
Esperimento 3.B.3<br />
Elementi caratterizzanti: La lente di Fres<strong>nel</strong>.<br />
Materiale essenziale: Una lente di Fres<strong>nel</strong> realizzata in materiale plastico.<br />
Procedimento: Osservate la lente nei suoi particolari costruttivi. Usatela come<br />
lente d’ingrandimento. Notate qualche differenza a seconda che la parte liscia<br />
sia rivolta verso l’occhio o verso l’oggetto?<br />
Come potreste valutarne la lunghezza focale?<br />
Esperimento 3.B.4<br />
Elementi caratterizzanti: La lente convergente spezzata.<br />
Materiale essenziale: Una lente convergente, senza supporti, tagliata in due parti<br />
che possono essere fatte combaciare a mano.<br />
Procedimento: Tenendo unite le due parti, focalizzare su uno schermo l’immagine<br />
di qualche oggetto abbastanza luminoso. Fare previsioni e, soltanto dopo, fare<br />
E–12<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
la verifica sperimentale, sulle caratteristiche dell’immagine prodotta in queste<br />
diverse situazioni:<br />
a) ruotando la lente attorno a un asse verticale passante per il suo centro<br />
b) utilizzando metà lente<br />
c) distanziando fra loro i due spezzoni senza modificarne l’orientamento.<br />
In ogni caso fornire una spiegazione delle osservazioni.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
E–13
Sez. 3.C: SPECCHIO CILINDRICO<br />
Esperimento 3.C.1<br />
Elementi caratterizzanti: Specchio cilindrico concavo (unico esemplare).<br />
Materiale essenziale: Specchio cilindrico concavo, realizzato con materiale di recupero.<br />
Il raggio di curvatura è modificabile; lo specchio può anche essere trasformato<br />
da concavo a convesso.<br />
Procedimento: Guardatevi <strong>nel</strong>lo specchio e stimate la posizione della vostra immagine.<br />
Guardate l’immagine riflessa di una matita tenuta verticale davanti allo specchio.<br />
Dove si trova? quanto è grande?<br />
Che cosa cambia se si fa ruotare la matita di 90 ◦ intorno alla linea di vista?<br />
Ripetete tutto l’esperimento con l’asse dello specchio disposto orizzontalmente.<br />
E–14<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Sez. 4.A: LA MACCHINA FOTOGRAFICA E ALTRI STRUMENTI<br />
OTTICI<br />
Esperimento 4.A.1<br />
Elementi caratterizzanti: Macchina fotografica “usa e getta” smontata.<br />
Materiale essenziale: Varie macchine fotografiche del tipo “usa e getta”:<br />
a) 2 “Kodak fun” (dotazione di base);<br />
b) 1 “Kodak flash” (fun o ultra);<br />
c) 3 macchine di altro tipo (con e senza flash).<br />
Nota: queste macchine fotografiche non devono essere riconsegnate.<br />
Procedimento: Separate le due parti della carcassa, posteriore e anteriore, che<br />
sono già allentate.<br />
Provate a ricaricare l’otturatore e a farlo scattare (così potete vedere quale levettina<br />
permette di tenerlo bloccato sulla posizione di aperto).<br />
Individuate quanti sono i “sistemi ottici,” di che tipo sono e che funzione hanno.<br />
Se non sono semplici ma “composti” analizzateli ulteriormente.<br />
Procedete il più possibile <strong>nel</strong>lo smontaggio: in particolare, individuato l’a<strong>nel</strong>lo<br />
grigio che tiene l’obbiettivo, smontate anche quello per togliere la lente.<br />
Nota: Se per caso invece di smontare la MF l’avete sfasciata, potete ripartire<br />
con la seconda MF, identica alla prima.<br />
Se avanza tempo, o quando sarete a casa, provate a smontare le altre, per confrontare<br />
quelle senza flash e quelle col flash.<br />
Esperimento 4.A.2<br />
Elementi caratterizzanti: Macchina fotografica “usa e getta,” (con e senza obbiettivo).<br />
Materiale essenziale: Macchina fotografica “usa e getta,” smontata. Scatola da<br />
gelati. Trincetto. Carta translucida.<br />
Procedimento: Ritagliate un rettangolino di carta translucida e fissatelo al corpo<br />
macchina della MF, al posto della pellicola. Praticate un foro al centro del<br />
lato più piccolo della scatola e appoggiatevi, all’interno, la MF in modo che<br />
l’obbiettivo corrisponda al foro. Togliete il lato opposto della scatola e sagomate<br />
gli spigoli delle facce laterali in modo da potervi appoggiare il viso senza avere<br />
infiltrazioni di luce.<br />
Puntate questa “camera oscura improvvisata” contro qualche oggetto ben illuminato<br />
e descrivete ciò che si vede.<br />
Potete ripetere l’osservazione togliendo la lente obbiettivo dalla MF: confrontate<br />
la luminosità con il caso precedente.<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
E–15
Nota: Prima di fissare la MF alla scatola dovrete bloccare l’otturatore (osservato<br />
<strong>nel</strong>l’esperimento precedente) sulla posizione di “aperto.”<br />
Esperimento 4.A.3<br />
Elementi caratterizzanti: Osservazione di un proiettore per diapositive: composizione<br />
del sistema e funzione delle varie parti.<br />
Materiale essenziale: Un proiettore per diapositive. Qualche diapositiva.<br />
Procedimento: Si smonta il proiettore lasciando solo la lampada (meglio se senza<br />
specchio, o coprendolo per breve tempo), la diapositiva e l’obbiettivo. Questa<br />
disposizione è quella “tradizionale” dei libri di testo, ma . . . non si vede quasi<br />
nulla! Descrivere che cosa si vede sullo schermo.<br />
Se si scopre lo specchio cosa cambia?<br />
Cercare se <strong>nel</strong>lo spazio fra obbiettivo e schermo è visibile un’immagine <strong>reale</strong> della<br />
sorgente: situata dove? quanto grande?<br />
Cosa cambia se si aggiunge il condensatore?<br />
Sapreste proporre un metodo per determinare la focale del condensatore?<br />
Esperimento 4.A.4<br />
Elementi caratterizzanti: Osservazione di una lavagna luminosa (funzionamento<br />
e smontaggio).<br />
Procedimento: L’osservazione di questo strumento verrà eseguita “dalla cattedra,”<br />
dato che è disponibile un solo esemplare. Si riconosceranno gli stessi componenti<br />
del proiettore, con le seguenti varianti:<br />
– il condensatore è realizzato con una lente di Fres<strong>nel</strong> (perché?)<br />
– dopo l’obbiettivo (<strong>nel</strong> senso del cammino della luce) è presente uno specchio<br />
a 45 ◦ , la cui funzione è ovvia.<br />
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E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001
Sez. 5.A: ARCOBALENO IN LABORATORIO<br />
Esperimento 5.A.1<br />
Elementi caratterizzanti: Riproduzione della rifrazione da una “goccia.” Ricerca<br />
dell’angolo di rifrazione massimo (arcobaleno primario) ed eventualmente<br />
dell’arco secondario.<br />
Materiale essenziale: Palloncino di vetro pieno d’acqua. Laser a stato solido<br />
montato su morsa. Schermo bianco. Metro a nastro.<br />
Procedimento: Disporre il laser e lo schermo in modo che il fascio rifratto–riflesso–<br />
rifratto dal palloncino formi una macchia visibile sullo schermo. Spostando<br />
trasversalmente il laser osservare lo spostamento della macchia sullo schermo,<br />
e cercare la posizione che corrisponde all’angolo massimo.<br />
Verificare che uno stesso spostamento del laser produce variazioni angolari molto<br />
diverse a seconda che ci si trovi o no in vicinanza del massimo.<br />
Se invece di un laser si fosse usato un largo fascio di raggi paralleli, che distribuzione<br />
angolare ci si sarebbe aspettati per la luce rinviata dalla “goccia”?<br />
Trovare il modo di misurare l’angolo corrispondente alla deviazione massima.<br />
Ripetere il procedimento per individuare l’arco secondario (rifr.–rifl.–rifl.–rifr.)<br />
e per misurare l’angolo (che in questo caso è minimo).<br />
E. Fabri, U Penco: <strong>Ottica</strong> <strong>nel</strong> <strong>mondo</strong> <strong>reale</strong> – 2001<br />
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