TFO - Tesi Filosofiche Online - Online Philosophical Theses SWIF ...
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA<br />
Facoltà di Lettere e Filosofia<br />
Corso di laurea in Filosofia<br />
TESI DI LAUREA<br />
Jean Hyppolite interprete di Hegel<br />
relatore:<br />
prof. Franco Chiereghin<br />
Anno accademico 1994-95<br />
1<br />
Laureando: Loris Viezzer
Ringrazio:<br />
il professor Chiereghin, per la pazienza avuta nella correzione ed anche in<br />
altre precedenti occasioni...; il personale dell’Istituto di Filosofia (e, in<br />
particolare, la signora Gallo), per la solerzia e la gentilezza dimostrate in<br />
tutti questi tanti (!) anni di università; don Italo, per la stoica prova di<br />
avermi ospite (stocca)fisso per quasi tre mesi ad occupare il computer;<br />
Roberta, per gli eroici turni serali come ausiliatrice-dattilografa; Ettore e<br />
Alessandro, per l’ospitalità concessami nelle trasferte padovane; Enrico (e<br />
anche Piero), per le consulenze tecnico-informatiche; Ernesto ed Eleonora<br />
per l’amicizia che si fa continuità e concretezza di gesti d’aiuto; la mamma,<br />
per la cristiana rassegnazione di avere la testa del figlio “persa dietro alla<br />
sua tesi”; papà e Fabrizio, per non essersi un momento dimenticati del loro<br />
Loris; il buon Dio, per la fiducia accordatami nel mio aver voluto,<br />
ostinatamente, far filosofia.<br />
2
Introduzione<br />
1. “Se vogliamo riflettere sull’idea di fenomenologia di Hegel,<br />
dobbiamo concepire il suo pensiero come un itinerario di pensiero, un<br />
pensiero che ricomincia sempre daccapo e talvolta si stanca anche e<br />
abbandona il problema. In questo itinerario di pensiero [...] Hegel lotta con<br />
la questione relativa al modo in cui, all’``elemento`` in cui sono possibili le<br />
domande ``metafisiche`` o più che metafisiche, vale a dire le domande<br />
prime e ultime della filosofia. E poiché anche dopo Hegel, il pensiero è<br />
agitato da questa questione come dalla sua questione fondamentale, e<br />
pensatori creativi tornano sempre di nuovo a rivolgersi alla Fenomenologia,<br />
anche la storia dell’interpretazione di quest’opera conserva una stimolante<br />
attualità” 1.<br />
Trentacinque anni sono passati da quando Otto Poeggeler scriveva<br />
queste parole a conclusione di un suo famoso saggio sull’interpretazione<br />
della Fenomenologia hegeliana; ma si tratta di un’osservazione che<br />
conserva tutto il suo valore anche oggi: un’indicazione di lavoro che invita a<br />
riproporsi le “domande prime e ultime”, le domande fondamentali della<br />
filosofia, attraverso l’esame dell’opera di quei “pensatori creativi” che nella<br />
Fenomenologia di Hegel hanno trovato lo stimolo e i mezzi per filosofare.<br />
1O. Poeggeler, Hegel. L’idea di una fenomenologia dello spirito, trad. it. di Antonella De Cieri, NA,<br />
1986, p. 229. In particolare, all’interno di questa raccolta di saggi, si tratta di un brano della<br />
traduzione italiana del saggio Zur Deutung der Phänomenologie des Geistes, apparso per la prima<br />
volta in “Hegel-Studien”, I, (1961), pp. 255-294.<br />
3
Io ho concentrato la mia attenzione su Jean Hyppolite 2 e sulla sua<br />
interpretazione di Hegel condotta, come è noto e come avrò modo di<br />
mostrare, ponendo in primo piano, fra tutte le opere del filosofo tedesco,<br />
proprio la Fenomenologia dello spirito. Con questo mio lavoro, quindi, ho<br />
inteso, nei limiti delle mie possibilità, contribuire alla scrittura di almeno<br />
un capitolo di quella “storia delle interpretazioni” della Fenomenologia che<br />
già Poeggeler auspicava.<br />
Come sarà mia cura mostrare, l’operazione interpretativa<br />
hyppolitiana, considerata nel suo insieme e nella sua complessità (letta,<br />
cioè, tramite tutti gli scritti che all’argomento lo studioso francese ha<br />
dedicato nel corso di un trentennio, dal 1935 al 1967), verifica in sé le<br />
caratteristiche indicate sopra: la radicalità dell’interrogare e la creatività del<br />
pensiero. E’ un’interpretazione, insomma, che dalla Fenomenologia ricava<br />
una domanda fondamentale - quale il senso del sapere assoluto? - alla<br />
quale si attiene in modo creativo; inaugurando, cioè, una dimensione<br />
teoretica nuova nella fedeltà all’ispirazione problematica di fondo.<br />
Tutto ciò, naturalmente, risulterà molto più chiaro alla fine; qui<br />
preferisco soffermarmi su un’altra questione preliminare.<br />
2Hyppolite nasce a Jonzac (Charente-Maritime), da una famiglia di ufficiali di marina. Entrato<br />
all’Ecole Normale nel 1925, consegue l’agrégation nel 1929. Inizia ad insegnare - lo farà per 16<br />
anni - nelle scuole secondarie: prima a Limoges, e poi a Tulle, a Bourges, a Lens, a Nancy (unica<br />
parentesi il servizio militare svolto nel 1930-1).<br />
Quando, nel 1939, finalmente giunge ad insegnare a Parigi, subito è richiamato alle armi. Rimane<br />
nell’esercito per due anni.<br />
Il grande avvenimento della sua vita di studioso è l’incontro con l’opera di Hegel; l’idea di un<br />
lavoro sulla Fenomenologia, suggeritagli da Bréhier, era maturata in lui fin dal 1932, dopo<br />
l’iniziale approccio con l’Estetica.<br />
A partire dal 1941 insegna nella prima classe superiore preparatoria alla Ecole Normale (la<br />
cosiddetta “cagne”) nei licei parigini Lakanal, Henri-IV, Louis-le-Grand.<br />
Come “Maître de conférences” insegna all’Università di Strasburgo per quattro anni, dal 1945 al<br />
1948.<br />
Il 18 gennaio 1947 discute in Sorbona, come tesi di “doctorat”, il frutto complessivo del suo<br />
annoso lavoro hegeliano: la traduzione francese della Fenomenologia (Paris, 2 voll., I, 1939; II,<br />
1941) e il relativo lavoro di commento e interpretazione, il celebre Genèse et structure de la<br />
Phénoménologie de l’esprit de Hegel (Paris, 1946).<br />
Ottiene in tal modo una cattedra in Sorbona (1949-54), poi è direttore dell’ENS (1955-64) e quindi<br />
(dal 1963), professore di Storia del Pensiero Filosofico al Collège de France. Per le PUF (Presses<br />
Universitaires de France), intanto, dirige la collana “Epiméthée”.<br />
Muore a Parigi incipiente l’anno 1968.<br />
4
2. Solitamente Jean Hyppolite viene considerato come l’autore di<br />
una interpretazione esistenzialistica di Hegel 3. Come sempre succede<br />
quando si deve far uso di espressioni massimamente sintetiche per<br />
designare con comodità una dottrina filosofica o una sua interpretazione, si<br />
tratterà di intendersi sulle parole. Ma, in generale, come vedremo,<br />
l’aggettivo “esistenzialistico” non potrà essere usato con ragione nei<br />
riguardi dell’opera hyppolitiana.<br />
Che si sia soliti introdurre un discorso sull’esistenzialismo<br />
allorché si discute di Hyppolite sta, però, ad indicare qualcosa di assai<br />
significativo.<br />
Gli anni `30, durante i quali l’interpretazione hyppolitiana compie<br />
i primi passi, sono, in Francia, gli anni della diffusione dell’esistenzialismo.<br />
Un clima culturale ben preciso, dunque - quello che prepara la filosofia<br />
dell’esistenza -, è quello che contrassegna la formazione filosofica del<br />
nostro e, più in generale, ogni speculazione che prende l’abbrivo in quel<br />
momento.<br />
Come documenterò nel primo capitolo del mio lavoro, anche la<br />
inedita fioritura degli studi hegeliani in Francia, avvenuta a partire dagli<br />
anni `30 e che vede Jean Hyppolite elemento di spicco nel rinnovato fervore<br />
di studi, nel bene e nel male, è marcata da quella temperie culturale,<br />
attenta alle novità filosofiche provenienti da oltre-Reno e tutta orientata al<br />
“concreto” 4. In altre parole: nel delineare la propria personale lettura<br />
3Nicola Abbagnano, nella sua diffusissima Storia della filosofia (cfr. in particolare il vol. III, pp.<br />
878-80, dell’edizione Torino, 1974), parla di Hyppolite nel capitolo su L’esistenzialismo. Egli<br />
innanzitutto precisa che “l’esistenzialismo costituisce la crisi dell’ottimismo romantico in tutti i<br />
suoi aspetti ma soprattutto in quello che vede nella struttura dell’uomo e nel movimento della<br />
storia la presenza e l’azione di un principio che ne garantisca l’equilibrio, l’ordine e il progresso”;<br />
ma continua poi dicendo che “l’esistenzialismo non fa d’altronde che incentrarsi sul problema che<br />
è fondamentale della filosofia di Hegel, quello del rapporto tra la verità e l’essere: come possa, cioè,<br />
una verità essere l’opera degli uomini, calata nel cuore stesso dell’esistenza, e nello stesso tempo<br />
superare l’esistenza stessa”. Questo gli permette di derivare la conclusione che l’opera<br />
hyppolitiana possa essere qualificata nemmeno come una interpretazione esistenzialistica di<br />
Hegel, ma, addirittura, come un “tentativo di interpretazione hegelianizzante dell’esistenzialismo”.<br />
Lo stesso F. Valentini, nel suo libro su La filosofia francese contemporanea, MI, 1958, alla fine del<br />
capitolo che egli dedica a Hyppolite, pur avendo parlato della sua speculazione in termini di<br />
“ontologismo”, arriva a concludere: “Il suo ontologismo [...] è [...] ancora esistenzialista” (p. 300).<br />
4J. Heckman, nel suo Hyppolite and the Hegel revival in France, in “Telos”, n. 16, 1973, cit. in<br />
Salvadori 1974, p. 29, ricorda l’incontro di studi filosofici avvenuto a Davos nel 1929 tra Cassirer,<br />
5
hegeliana, Hyppolite non può esimersi dal fare i conti con le influenze, gli<br />
orientamenti teoretici, gli schemi ermeneutici che gli provengono da un<br />
ambiente filosofico tutto pervaso da quell’appello al concret che costituirà il<br />
punto di partenza dell’esistenzialismo francese. Detto in maniera ancora<br />
più precisa: l’impresa hyppolitiana non può fare a meno di confrontarsi con<br />
l’opera di Jean Wahl.<br />
E’ questa singolare figura di studioso, infatti, che riassume in sé,<br />
esemplarmente, da un lato le tendenze animatrici della filosofia francese<br />
d’inizio anni `30 e che stanno alla base dell’affermazione<br />
dell’esistenzialismo, dall’altro lo studio e l’interesse per Hegel che<br />
costituiscono una vera novità nel panorama filosofico d’oltralpe.<br />
Difatti è di Jean Wahl sia quel Vers le concret che nel 1932<br />
costituirà il manifesto dell’esistenzialismo francese, sia quel Le malheur de<br />
la conscience dans la philosophie de Hegel che, nel 1929, apre con<br />
decisione una stagione nuova riguardo alla presenza del filosofo di<br />
Stoccarda nel “mondo chiuso” della filosofia francese.<br />
Con queste credenziali - il primo esistenzialista e il primo studioso<br />
“importante” di Hegel - Jean Wahl si impone all’attenzione di Hyppolite, e,<br />
di conseguenza, anche alla nostra. Ecco, allora, il capitolo introduttivo, nel<br />
quale mi premurerò di precisare il significato dell’opera di Wahl in<br />
riferimento al mio tema principale. Solo sulla scorta di un preliminare<br />
esame della lettura di Hegel compiuta da quest’ultimo è possibile situare<br />
storicamente e teoreticamente l’opera hyppolitiana.<br />
3. Questo necessario sguardo preliminare su Jean Wahl,<br />
sull’autore, cioè, il cui percorso intellettuale offre il punto di vista migliore<br />
per la ricostruzione storiografica delle vicende che han portato alla<br />
“rinascita” hegeliana degli anni `30, e quindi hanno reso possibile il lavoro<br />
Heidegger, Brunschvicg, Spaier e altri normaliens e che costituì il punto d’inizio per<br />
l’interessamento in Francia dei nuovi indirizzi di pensiero - fenomenologia e filosofia dell’esistenza<br />
- che dalla Germania portavano una grossa spinta nella direzione di un ritorno al “concreto” e alle<br />
“cose stesse”.<br />
6
di Hyppolite, sarà seguito dalla vera e propria indagine diretta sui testi<br />
hyppolitiani.<br />
Si tratterà di mettere in chiaro innanzitutto la domanda<br />
fondamentale, l’interrogazione essenziale con la quale Hyppolite affronta<br />
l’opera di Hegel. Capire che cosa lo studioso francese chieda al suo autore,<br />
quale contributo si aspetti da lui e in ordine a quali esigenze, questo, è<br />
quanto mi permetterà di evitare di procedere al buio nella delineazione<br />
della prima grande prova interpretativa hyppolitiana, contenuta nello<br />
studio del `46 sulla Genesi e struttura della “Fenomenologia dello spirito” di<br />
Hegel.<br />
La ricerca del problema di fondo che ha guidato Hyppolite nel suo<br />
studio hegeliano e nella stesura di Genesi e struttura è il contenuto dei<br />
capitoli secondo e terzo del mio lavoro. Nei successivi due capitoli, quarto e<br />
quinto, ho preso in considerazione gli scritti hyppolitiani degli anni `50 e<br />
`60 5.<br />
Si tratta in generale di scritti di minor mole e di minore impegno<br />
rispetto al lavoro maggiore che rimane lo studio del 1946. La critica, in<br />
generale, li ha o trascurati o letti come opere a sé stanti, senza cercare di<br />
rinvenire i legami che li stringono a Genesi e struttura. Io, invece, ho<br />
cercato di mostrare il duplice aspetto per cui questi scritti non possono<br />
essere lasciati da parte o trattati con superficialità: da un lato contengono<br />
elementi di indiscutibile novità nell’interpretazione di Hegel quale Hyppolite<br />
ha tracciato a partire dalla sua opera maggiore (e penso soprattutto al<br />
confronto con Heidegger - documentabile a partire dai primissimi anni `50 -<br />
e alla conseguente problematizzazione del rapporto tra assolutezza,<br />
finitudine e totalità), dall’altro si tratta di elementi strettamente collegati<br />
con la investigazione sviluppata in Genesi e struttura e che vengono a<br />
5 In questi due ultimi capitoli (specialmente nell’ultimo) mi sono mosso con la sola compagnia di<br />
Hyppolite; non esiste, infatti, un solo saggio critico che si sia finora occupato dello studio<br />
dell’ultima produzione hegeliana dello studioso francese. Eppure è proprio qui, se la mia<br />
impostazione critica ha una qualche ragione da vendere, che si decide il senso dell’intera parabola<br />
speculativa dell’interpretazione hyppolitiana.<br />
7
configurare con essa un’unica, coerente, ispirazione problematica<br />
fondamentale.<br />
Se dovessi esprimere in sintesi l’intento da cui è mosso questo mio<br />
lavoro, mi parrebbe, dunque, conveniente dire che esso è duplice: la<br />
necessità di comprendere la profonda unità teoretica e di ispirazione la<br />
quale anima tutti gli scritti che Hyppolite dedica alla sua interpretazione di<br />
Hegel; e il riconoscimento dell’originalità di uno scavo ermeneutico che,<br />
nelle sue espressioni finali (i saggi degli anni `60), ma coerentemente con<br />
una impostazione elaborata in tutta una vita di studio, attraverso<br />
l’interrogarsi sulla filosofia hegeliana propone, secondo un bisogno vivo più<br />
che mai anche oggi, di pensare di nuovo e in modo nuovo il senso della<br />
totalità.<br />
8
Capitolo primo<br />
E’ interessante ripercorrere le varie tappe del cammino di<br />
formazione intellettuale di Jean Wahl perché da esso è possibile, vista la<br />
sua linearità e la sua particolare posizione all’interno dell’istituzione<br />
accademica (quella, appunto, che fa di Wahl un “apri-pista”) 6, esaminare<br />
l’atmosfera culturale generale nella quale è maturato il “ritorno a Hegel”<br />
che ha segnato la Francia dagli anni `30.<br />
Prima, però, di entrare nel merito della disamina, credo sia<br />
opportuno gettare uno sguardo preliminare sugli esiti definitivi, sui risultati<br />
maturi della teoresi wahliana, così da apprezzare con maggiore cognizione<br />
gli spunti, le tendenze, gli orientamenti di pensiero che risulteranno dallo<br />
studio intorno ai primi scritti - quelli degli anni `20 e `30 - dello studioso<br />
francese.<br />
Nel 1953 Wahl pubblica una delle sue opere maggiori, il Traité de<br />
Métaphysique. E’ l’occasione che stimola la critica a fare il punto sulla<br />
6Nato a Marsiglia nel 1888, Wahl studia, a partire dal 1907, alla Ecole Normale Supérieure e poi<br />
alla Sorbona. Segue anche i corsi di Bergson al Collège de France. Dopo il dottorato in lettere del<br />
1920 è “directeur d’études” all’Università di Lione. Nel 1937 ottiene una cattedra in Sorbona, dove,<br />
dopo la parentesi della guerra, riprende l’insegnamento a partire dal 1945. Fondatore e animatore<br />
del Collège Philosophique, direttore, a partire dal 1956, della Revue de Métaphysique et de Morale,<br />
muore nel 1974, a conclusione di una vita interamente dedicata agli studi, all’insegnamento,<br />
all’animazione culturale e alla stesura di una messe davvero imponente di scritti di teoresi e di<br />
dossografia filosofica (V. al proposito la nota bibliografica nella quale ho cercato di presentare una<br />
bibliografia wahliana il più completa possibile).<br />
9
personale posizione filosofica dell’autore 7. Ne emerge un’immagine nel<br />
complesso chiara.<br />
Innanzitutto la specificità del proprio pensiero non è mai espressa<br />
direttamente da Wahl, ma viene in risalto dal confronto che egli compie nel<br />
porsi come interlocutore e interprete nello studio dell’altrui speculazione<br />
filosofica 8. Nondimeno, non si può dire che egli sia uno storico della<br />
filosofia nel senso proprio del termine. Se della scienza in generale, e quindi<br />
anche della scienza storiografica, è proprio il postulato dell’oggettività,<br />
allora è giusto questo che manca nel metodo wahliano. Se non c’è,<br />
comunque, in Wahl, il piglio severo dello storiografo che vuol mantenersi<br />
neutrale nei confronti dell’oggetto studiato, vano, d’altra parte, sarebbe<br />
cercarvi una qualche precisa presa di posizione. Non che egli rinunci a fare<br />
degli apprezzamenti o delle valutazioni. Piuttosto il contrario. Ma è appunto<br />
l’assommarsi di approcci e di considerazioni sempre diversi e, al limite,<br />
contraddittori, che non permette di stringere con precisione il senso<br />
complessivo del discorso wahliano.<br />
D’altronde questo continuo movimento dell’intelligenza che<br />
rinuncia, per partito preso, al soffermarsi e procede più per sommazione<br />
che per approfondimento, è la consapevole caratteristica del metodo<br />
wahliano. Utile la testimonianza di F. Alquié in un saggio commemorativo<br />
scritto in occasione della morte: “Chi ha avuto il privilegio di incontrare e<br />
ascoltare Jean Wahl, ha potuto verificarlo: i suoi argomenti,<br />
meravigliosamente intelligenti, ma spesso profferiti nel tono dell’esitazione<br />
7A partire dal 1953, infatti, vengono scritti i più importanti saggi critici sulla filosofia wahliana<br />
considerata nel suo complesso: negli Stati Uniti N. P. Stallknecht, in Italia I. Mancini, in Francia V.<br />
Jankélévitch, F. Alquié e E. Lévinas ci danno, nel giro del biennio 1953-1955, gli strumenti più<br />
utilizzabili per una simile considerazione globale dell’opera wahliana. In precedenza si segnala<br />
soltanto il saggio del 1946 di G. Blin. Solo nel 1990, a quanto mi consta, e ad opera di uno<br />
studioso italiano, S. Pieri, è apparsa la prima monografia organica su J. Wahl.<br />
Riassumendo, si tratta dei seguenti lavori: Blin 1946, Jankélévitch 1953, Mancini 1954,<br />
Stallknecht 1954, Alquié 1954, Lévinas 1955, Pieri 1990.<br />
8Le opere maggiori dello studioso francese (e, in massima parte, anche i lavori di minor mole e<br />
impegno) sono tutte dedicate alla riflessione sull’opera di altri filosofi: il Malheur, del 1929, è uno<br />
studio su Hegel, Vers le Concret, del 1932, è una raccolta di saggi circa James, Whitehead e<br />
Marcel, le Etudes Kierkegaardiennes, del 1938, si confrontano, appunto, con il filosofo danese, La<br />
Pensée de l’Existence, del 1952, studia Kierkegaard e Jaspers, il Traité del 1953 è, si può dire<br />
esprimendosi superficialmente, una storia della filosofia presentata non secondo l’ordine<br />
cronologico, ma secondo quello dei problemi.<br />
10
e temperati da qualche sorriso ironico e trattenuto, non parevano<br />
esprimere una dottrina e neanche un’opinione da tempo consolidata.<br />
Sembravano risultare da una costante scoperta, non obbedire ad alcuna<br />
legge. Non si chiudevano mai in un quadro, non si prestavano ad alcuna<br />
definizione. Piuttosto, si correggevano gli uni gli altri, si modificavano,<br />
rivelavano senza requie un punto di vista nuovo. E se l’ascoltatore,<br />
desideroso di gettare l’ancora, tentava di imporre loro dei limiti esatti,<br />
rischiava davvero di scoprirvi presto qualche contraddizione [...].<br />
Contraddizioni, invero, puramente apparenti, poiché risultanti dalla<br />
fissazione in concetti stabili di un pensiero che si voleva puro movimento”.<br />
E ancora: “Il suo metodo era precisamente quello di non averne. Esso era<br />
pura apertura. Si potrebbe dire che, senza accettare l’incoerenza che,<br />
anch’essa, è limitazione, Wahl tendeva a un al di là della coerenza. Il suo<br />
spirito sembrava liberarsi dalle costrizioni della ragione e questo, nello<br />
stesso tempo, per non perdere nulla della sua agilità e non rinunciare alla<br />
possibilità di alcuna presa” 9.<br />
Nel caratterizzare il modo di procedere di Wahl nel suo<br />
personalissimo stile di studioso della storia della filosofia, i critici si sono<br />
sbizzarriti nel creare le più gustose formulette: Jankélévitch parla di<br />
“dialettica delle certezze successive”, Alquié di “accoglimento imperfetto”<br />
che si fa “dongiovannismo delle idee” e di “filosofia dell’ ``e``”, Lacroix di<br />
“dialettica, non della sintesi, ma della tensione”... 10: tutti tentativi per<br />
9Alquié 1975, pp. 79 e 81. Che cosa poi possa intendersi quando Alquié parla di “pensiero che è<br />
puro movimento” e che tende “verso un al di là della coerenza”, non è proprio facile - lo confesso -<br />
indovinarlo...<br />
10Jankélévitch 1953: “La filosofia dell’Opzione sceglie o l’uno o l’altro [...]. Né l’uno né l’altro,<br />
sentenzierà la dialettica delle Antinomie [...]; e la sintesi hegeliana, al contrario, ci offre e l’uno e<br />
l’altro. Disgiunzione, congiunzione negativa, congiunzione positiva: delle tre soluzioni, Jean Wahl<br />
preferirebbe senza dubbio la terza. Ma ancora bisognerebbe intendersi sulla esatta portata della<br />
congiunzione E: giacché, se Wahl rifiuta il sincretismo cumulativo [...] non ammette senza riserve<br />
la conciliazione dialettica... [...]. Jean Wahl, che non ammette né lo strappo definitivo, né l’avvento<br />
definitivo dello Spirito assoluto, crederebbe piuttosto al gioco senza fine del mediato e<br />
dell’immediato [...] e la dialettica è precisamente questo dibattito infinito [...], dialettica delle<br />
certezze successive” (p. 425).<br />
Alquié 1954: “La filosofia di Wahl si presenta innanzitutto come una filosofia dell’accoglimento.<br />
Jean Wahl non dice quasi mai di no. Se questo gli capita, ben presto se ne pente [...]. Wahl è, in<br />
tutti i sensi che può avere questa parola, ``affetto`` per il pensiero altrui [...]. Tuttavia, bisogna<br />
convenire che, se ogni filosofo si vede accolto in Jean Wahl, nessun filosofo può mostrarsi del<br />
11
descrivere ciò che, più che una posizione teoretica, è un atteggiamento<br />
pratico, una decisione della volontà. Se infatti nei suoi scritti Wahl percorre<br />
continuamente la storia del pensiero raccogliendo, si può dire, da ogni<br />
autore un aspetto da valorizzare per l’edificazione del suo proprio edificio<br />
filosofico, e se questa raccolta risulta, al limite, contenere elementi che<br />
cozzano fra loro, ciò è dovuto a una precisa scelta; al fatto, cioè, che egli “si<br />
rifiuta di rinunciare a qualche cosa” 11 nella “preoccupazione di non lasciar<br />
perdere niente, di recuperare le ideologie anche più opposte fra loro, per la<br />
costruzione di una filosofia concreta” 12.<br />
Il particolare stile wahliano, sempre giocato sul filo dell’esitazione<br />
e del dubbio, teso alla leggerezza del perpetuo movimento, adombrato<br />
dall’incertezza della perplessità e insieme illuminato dal sorriso dell’ironia,<br />
scaturisce dunque dalla decisione di voler cogliere il concreto.<br />
Decisivo, quindi, per comprendere la peculiarità del discorso<br />
wahliano è avere chiaro che cosa sia, per il nostro, il concreto e come egli<br />
ritiene lo si possa cogliere.<br />
Sicuramente l’orientamento verso il concreto è per lui innanzitutto<br />
critica dell’intellettualismo filosofico, in polemica contro la tendenza dei<br />
filosofi a trasformare la vita in idea che la trascende e le fa perdere<br />
quell’immediatezza di palpiti e di contenuti che non può essere attinta<br />
dall’astratto, arido intelletto raziocinante. Scrive bene Lévinas: “sotto<br />
l’influsso di Bergson, ma soprattutto della fenomenologia, si trova nella<br />
sensibilità una profondità e una saggezza sua propria. Ogni costruzione<br />
intellettuale riceverebbe dall’esperienza sensibile - che essa pretende di<br />
oltrepassare - lo stile e le dimensioni stesse della sua architettura.<br />
tutto soddisfatto dell’accoglienza ricevuta. Se pure ama tutto ciò che legge, Wahl non si<br />
accontenta di niente di ciò che legge: ogni pensiero gli pare valido e non soddisfacente [...]: il suo<br />
accoglimento, affettuoso e largo, rimane imperfetto perché privo di adesione [...]. Questo<br />
accoglimento imperfetto si presenta come un don-giovannismo delle idee” (pp. 519-20).<br />
Lacroix 1966: “Invece di superare le antinomie in una sintesi, lo si può fare tramite una sorta di<br />
coincidenza degli opposti. In ciò Jean Wahl rivela il tipo di famiglia spirituale cui appartiene. Egli<br />
è un dialettico, non della sintesi, ma della tensione” (p. 174).<br />
11Alquié 1954, p. 523.<br />
12Jankélévitch 1953, p. 424.<br />
12
Bisognerebbe ritornare a questa esperienza originaria, a questa<br />
infrastruttura ``pre-predicativa``” 13. Contro l’intelletto che separa per poi<br />
tentare una impossibile riunificazione, contro anche un linguaggio<br />
ingabbiato in una struttura logica che produce separazione, definizione,<br />
esclusione, Wahl intende andare oltre. Oltre il movimento di trascendenza,<br />
di universalizzazione (di orientamento all’uno dove i molti si snaturano), di<br />
sistematicità che caratterizza il pensiero intellettualistico, per ritrovare<br />
l’immediatezza del sentimento, il quale solo ci mette in contatto con la vita<br />
concreta delle cose; oltre il linguaggio della logica formale - per cui “dopo<br />
aver parlato, bisogna parlare ancora, contraddirsi, aggiungere la poesia alla<br />
riflessione critica” 14, in una giustapposizione indefinita di affermazioni - per<br />
dire tutta la ricchezza del reale che sfugge alla fredda razionalità. Se,<br />
dunque, “il cogito è riflessione, Wahl tende al pre-riflessivo. Il cogito scopre,<br />
nella sua stessa struttura, delle relazioni: Wahl vuole ritornare al sub-<br />
razionale, cioè al sub-relazionale. Il cogito appercepisce se stesso e coglie le<br />
cose come attributi di sostanze: Wahl, preoccupato di spogliare il mondo di<br />
tutto ciò che il pensiero gli impone, sottolinea che il rapporto sostanza-<br />
attributo è una categoria del nostro giudicare, e si sforza di attingere il pre-<br />
predicativo” 15.<br />
Non si tratta, dunque, con ogni evidenza, di una riproposizione<br />
della critica bergsoniana all’intelletto matematizzante: Wahl va molto oltre.<br />
Se polemizzare contro una filosofia che si è ridotta al matematismo può<br />
essere un punto di partenza per un discorso filosofico diverso, in Wahl è<br />
proprio la filosofia ad essere messa in questione.<br />
Allo studioso francese interessa la direzione del concreto. A ciò si<br />
accompagna un rifiuto dell’intellettualismo. Ma se un rigetto di tal sorta<br />
non è nuovo nella storia del pensiero, in Wahl esso non è indirizzato verso<br />
la costruzione di una nuova logica non intellettualistica, verso la<br />
13Lévinas 1976 (= 1955), p. 165.<br />
14Alquié 1954, p. 524.<br />
15Ivi, p. 529.<br />
13
formulazione di un nuovo concetto di verità; al contrario, esso si trasforma<br />
in un rifiuto (meglio sarebbe dire: in un fastidio) della logicità tout-court.<br />
Che cosa, infatti, è per lui il concreto? Quando ne parla, Wahl<br />
evoca sempre ciò che è materiale-massivo; presente con immediatezza in<br />
maniera effettiva e affettiva alla nostra sensibilità; la densità fisica e<br />
carnale con tutto il suo carico di opacità, oscurità, “selvaticità”; ciò che si<br />
manifesta, da un certo punto di vista, più al tatto che alla vista 16. Potrebbe<br />
sembrare che, allora, non è poi così vero che il metodo wahliano tratti allo<br />
stesso modo tutti i rappresentanti e tutti i filoni speculativi della storia del<br />
pensiero. In effetti, è un dato manifesto che le sue simpatie dichiarate<br />
vanno a certi autori, propugnatori di un certo intuizionismo, di un certo<br />
realismo; nondimeno, è vero anche che giusto quando si prova a dare una<br />
definizione della propria filosofia, allora parla di “realismo magico”, o di<br />
“materialismo mistico”, o invoca una “intuizione alchemica della natura”, o<br />
dichiara di voler rivolgersi a una magia fisica affine alla Naturphilosophie di<br />
Novalis 17, o afferma di voler sostituire all’idea di sostanza la tendenza<br />
“verso una densità sempre più opaca”, all’idea di essere il “sentimento<br />
dell’essere” 18. In tutti questi casi, di che cos’altro si tratta se non di una<br />
dichiarazione di insufficienza della filosofia, del pensiero razionale?<br />
Il concreto non può essere colto razionalmente. La filosofia non<br />
raggiunge quello che, dopotutto, sarebbe il fine del suo tendere. Il<br />
linguaggio razionale non è sufficiente ad esprimere ciò che, in effetti, può<br />
solo essere sentito 19. Il metodo wahliano, allora, questa “dialettica<br />
dell’indecisione”, trascorrere dell’intelligenza su determinazioni di pensiero<br />
16Cfr. Jankélévitch 1953, p. 430: “L’origine ottica dei pregiudizi razionalisti è una delle idee sulle<br />
quali la metafisica di Wahl ritorna più di frequente: la vista ci fabbrica un atlante di immagini<br />
piatte e superficiali che è lo spazio speculativo dell’irrealismo; ora, l’oggetto non è spettacolo<br />
visivo, ma ostacolo tangibile; letteralmente, l’oggetto è obiezione, resistenza palpabile, non tanto<br />
problema teorico, quanto problema drammatico”.<br />
17Cfr. Ivi, p. 430.<br />
18Cfr. Alquié 1954, p. 531.<br />
19In tal senso il concreto wahliano sfugge ad ogni classificazione filosofica; a ragione, allora,<br />
Stallknecht intitola il suo saggio “Oltre il concreto”: “Il rivolgersi di Wahl all’immediato [...] lo<br />
porta, se possiamo fare eco al titolo di uno dei suoi primi scritti, ``oltre il concreto`` di entrambe le<br />
tradizioni empiristica e razionalistica [...]. Esso non può essere registrato verbalmente [...], ma<br />
solo sentito e sentito con vivezza” (Stallknecht 1954, p. 147).<br />
14
contrapposte, tensione dello spirito “dall’unione al conflitto e dal conflitto<br />
all’unione” degli opposti, a che cos’altro può condurre se non a un tentativo<br />
di “risolvere irrazionalmente e in qualche modo all’infinito l’intolleranza dei<br />
contraddittori” 20? Dove altrimenti può concludere un’impostazione<br />
metodologica come questa se non in una filosofia, come con eleganza dice<br />
Jankélévitch, “del cuore”?<br />
Wahl vuole ritrovare “il paradiso perduto dell’immediato” 21, ciò che<br />
è assolutamente semplice, inesprimibile a parole: non resta altro che le<br />
lacune del pensiero razionale, indicate, piuttosto che dette, dalla voce dei<br />
poeti 22, siano colmate dal silenzio dell’intuizione. “``Silenzio`` è l’ultima<br />
parola del Traité de Métaphysique: la ``dialettica`` che, dopo tutto, suppone<br />
il dialogo e il discorso e la discussione, sbocca alla fine nell’oceano pacifico<br />
del silenzio. O meglio: la filosofia del logos dialogato e della tensione del Pro<br />
e Contro [...] si compie nell’estasi. Non è la filosofia che esita, ignora ciò che<br />
vuole, sceglie insieme il pro e il contro: è la confusione della realtà<br />
originaria che è più vasta e più concreta di tutte le nostre preferenze e si<br />
rivela a un’anima attenta nel profondo silenzio della notte” 23.<br />
20Jankélévitch 1953, p. 426. E’, se vogliamo, l’accettazione consapevole e, anzi, la scelta meditata<br />
di ciò che Hegel poteva chiamare “cattivo infinito”.<br />
21Wahl, Traité de métaphysique, Paris, 1954, p. 24. Traggo la citazione da Alquié 1954, p. 530.<br />
22Non si deve trascurare il fatto che Wahl, oltre a rifarsi spesso ai versi dei poeti, è lui stesso<br />
autore di poesia; una poesia, si potrebbe dire, “filosofica”, nel senso che ad essa egli affida sovente<br />
l’espressione di ciò che vuol dire a proposito di un qualche problema filosofico. D’altronde, anche<br />
in opere di teoresi Wahl usa spesso uno stile “poetico” (In Existence humaine et Transcendance -p.<br />
63; prendo la citazione da Alquié 1975, p. 85 -, per esempio, allorquando vuol prendere posizione<br />
contro una concezione dello spazio come quella cartesiana, scrive che bisogna ritrovare “lo spazio<br />
vibrante dei nostri organi, lo spazio palpitante delle nubi, lo spazio scavato dal barocco veneziano<br />
che ovunque fa levarsi colonne e ruote di luce”).<br />
23Jankélévitch 1953, p. 431. Alla fine di questo breve esame, condotto più che altro sui testi<br />
critici, credo opportuno riportare almeno alcuni stralci da quello che è certamente uno degli scritti<br />
più emblematici della speculazione wahliana, il saggio Vers le concret, apparso nel 1931, che<br />
confluirà poi, l’anno successivo, a costituire la prefazione al volume omonimo: “Verso il concreto.<br />
Esso, per il filosofo, non sarà mai il dato. Sarà piuttosto ciò che è perseguito. Non è che<br />
nell’assenza di pensiero che il concreto ci si può rivelare. E’ ciò di cui il giovane Hegel ha avuto il<br />
sentimento, allo stesso modo che certi poeti. C’è una dialettica necessaria precisamente perché c’è<br />
un realismo. Il reale è il limite della dialettica; è la sua origine; è la sua fine, la sua esplicazione e<br />
la sua distruzione [...]. La dialettica come saremmo portati a concepirla, non sarebbe la dialettica<br />
hegeliana; il movimento non è qui immanente all’idea, o, se le è immanente, ciò accade perché<br />
essa si sforza verso qualche cos’altro che se stessa [...]. E’ piuttosto una oscillazione che una<br />
dialettica, una oscillazione attiva e tesa di idee. E condurrebbe non all’idea, ma a un agnosticismo<br />
mistico” (Wahl 1931-32, pp. 18-9).<br />
15
Un rapido schizzo della personalità filosofica di Jean Wahl può<br />
fermarsi qui. Non si tratta che di un’occhiata preliminare, necessariamente<br />
sintetica, che ci può rendere più accorti nell’esame, che ora intendo<br />
sviluppare, del percorso di studi dello studioso francese fino agli anni `30;<br />
esame che ci aiuterà a ricostruire l’ambiente e le circostanze della<br />
Hegelrenaissance hegeliana in Francia.<br />
1. Verso Hegel<br />
All’interno del mondo universitario dove compie i suoi studi, Wahl<br />
si muove in un ambiente culturale abbastanza omogeneo: suoi docenti<br />
diretti sono, fra gli altri, Lévy-Bruhl e Lalande, Brunschvicg e Bergson. A<br />
parte il primo di costoro, quel Lévy-Bruhl la cui sociologia non entusiasmò<br />
mai particolarmente Wahl 24, dagli altri “maestri” egli acquisì una<br />
formazione filosofica impostata, genericamente parlando, sulla “critica di<br />
un intellettualismo troppo stretto” sul quale si era basato, nella seconda<br />
metà dell’ottocento, la filosofia positivista 25.<br />
Attraverso questi docenti Wahl entra in contatto con la tradizione<br />
spiritualista della filosofia francese. Dopo l’epoca dei Lumi, durante la<br />
quale si mise a rimorchio dell’empirismo di matrice anglosassone, è noto<br />
che la filosofia francese, nella sua versione “ufficiale”, quella, cioè, che<br />
passa nella struttura dell’accademia, si è poi mossa, con l’importante<br />
eccezione dei vari Comte, Littré e Taine, dentro gli argini dello<br />
spiritualismo. Riflessione sulla propria vita intima, scoperta del “dato<br />
indubitabile” della coscienza intesa come sentimento identico e permanente<br />
della propria esistenza particolare, caratterizzazione della coscienza<br />
innanzitutto come attività, sforzo creativo e libero di contro ad ogni<br />
automaticità dell’abitudine, polemica serrata verso ogni filosofare (nello<br />
specifico, il positivismo) che non distingue fra ambito della scienza, il cui<br />
24Nel 1938 egli dirà che della sociologia “non fui mai un adepto molto fervente” (Cfr. J. Wahl, Au<br />
collège de sociologie, in “NRF”, febbraio, 1938, p. 345).<br />
25Cfr. Chaix-Ruy 1958, p. 540.<br />
16
postulato essenziale è quello della necessità, e ambito della coscienza, il cui<br />
postulato è invece quello della libertà, insistenza sull’individuazione di un<br />
“senso intimo”, un “appello della coscienza” che richiama l’uomo a<br />
riconoscere dentro di sé la presenza di Dio, da Maine de Biran fino a<br />
Lequier e Ravaisson, questi i temi fondamentali dibattuti dal principale<br />
filone della filosofia francese nella seconda metà dell’ottocento. Con<br />
Renouvier e Lachelier e poi specialmente con i più giovani Lalande e<br />
Brunschvicg si inserisce, ad approfondire il campo teoretico del rapporto<br />
tra scienza e coscienza, l’apporto del neocriticismo di matrice tedesca; ma,<br />
ancora una volta, l’indirizzo epistemologico, lo stimolo a centrare<br />
l’attenzione sulla formulazione di una teoria/metodologia della conoscenza,<br />
pur presente, non rimane che una componente accessoria di un discorso<br />
cui sta a cuore soprattutto precisare l’autonomia della sfera spirituale di<br />
fronte a qualunque riflessione sulla scienza che rischi di condurre a un<br />
determinismo nelle cose dello spirito che riproponga quello propugnato<br />
dalla filosofia positiva. In effetti, le due figure di maggiore spicco, nei primi<br />
anni del novecento, all’interno del mondo accademico francese, Boutroux e<br />
Bergson, si può dire non facciano altro che inserire la critica della scienza<br />
all’interno di un discorso che mira a confermare i risultati dello<br />
spiritualismo tradizionale 26.<br />
Con queste premesse risulta chiaro che “dalla mente di tutti<br />
questi professori che presiedono alla formazione di Wahl, Hegel è<br />
astronomicamente lontano[...]. E’ perfino da dubitare che Wahl, non dico<br />
abbia letto le sue opere o lo abbia comunque studiato, ma abbia mai<br />
26Può essere utile ricordare qui come Lavelle, nel 1934, ricostruiva la portata speculativa del<br />
neocriticismo francese: “Allorché la filosofia francese poteva scegliere solo fra un positivismo che<br />
escludeva dall’universo lo spirito e uno spiritualismo che lo convertiva in una cosa in mezzo alle<br />
altre, è a Kant che si rivolsero Lachelier e Boutroux per restituirle iniziativa, attività e dignità, per<br />
insegnarci nuovamente che la verità, la moralità e la stessa persona non sono oggetti già fatti [...]<br />
ma azioni interiori [...] le quali scomparirebbero dal mondo se il nostro coraggio cessasse per un<br />
solo istante di sorreggerle” (Panorama des doctrines philosophiques, Paris, 1967, pp. 98-9).<br />
17
sentito pronunciare il nome di Hegel nelle aule dell’Ecole o della<br />
Sorbona” 27.<br />
Come metterà in rilievo lo stesso Wahl 28, ad orientare<br />
l’insegnamento universitario francese negli anni in cui il nostro compie i<br />
suoi studi è già da molti anni una tradizione decisamente antihegeliana 29.<br />
Quali le cause di questa ostilità?<br />
Il primo tentativo per determinare i motivi della Hegellosigkeit<br />
francese è contenuto nella allocuzione che A. Koyré tenne al I Congresso<br />
hegeliano de L’Aia, nell’aprile del 1930. Constatato che “ contrariamente a<br />
quel che è avvenuto in Germania, Inghilterra e Italia, in Francia non si è<br />
mai potuta formare una scuola hegeliana” 30, egli prosegue enumerando<br />
quelle che gli paiono essere le ragioni fondamentali della “disaffezione del<br />
pensiero filosofico francese per il sistema hegeliano”.<br />
Prima di tutto egli ricorda le “difficoltà di comprensione” dovute<br />
anche alla scorrettezza delle traduzioni francesi che di alcuni testi hegeliani<br />
erano state portate a compimento nella seconda metà dell’ottocento.<br />
Inoltre, “per quanto riguarda la quasi completa inesistenza di un<br />
neohegelismo francese” la spiegazione che Koyré offre è quanto mai<br />
27Salvadori 1974, p. 125. Il libro di R. Salvadori rimane ancora il contributo più circostanziato per<br />
un’informazione documentata intorno alla lettura hegeliana di Wahl. Mi è servito come riferimento<br />
per un orientamento di fondo nella ricostruzione dell’evoluzione del suo pensiero negli anni `20 e<br />
`30.<br />
28V. Wahl 1965 (= 1946): “La filosofia di Renouvier si spiega in gran parte, dopo un momento in<br />
cui fu sotto il dominio dello hegelismo, con la meditazione su Hume e su Kant” (p. 101); “Lequier<br />
si oppose al divenire hegeliano” (p. 102); “Accanto a Lequier e Renouvier, dobbiamo menzionare<br />
come un grande antihegeliano Emile Boutroux” (p. 105); “Se noi consideriamo la filosofia del XIX<br />
secolo come una grande lotta fra lo hegelismo e l’antihegelismo, vediamo che un Lequier e un<br />
Renouvier si collocano accanto a Kierkegaard [...] e a William James” (p. 104).<br />
29Per uno studio sufficientemente approfondito della presenza/assenza di Hegel negli anni a<br />
cavallo fra `800 e `900 fino alla prima guerra mondiale, v. il cap. II di Salvadori 1974. L’autore<br />
mette a disposizione una completa disamina storiografica degli studi hegeliani (che furono limitati<br />
a due soli episodi: il breve articolo su Hegel che Lucien Herr scrisse nel 1890 per la Grande<br />
Encyclopedie, e la riunione-dibattito che alla filosofia hegeliana dedicò la Societé française de<br />
Philosophie il 31 gennaio del 1907, partecipanti E. Boutroux, V. Delbos e R. Berthelot, il cui<br />
resoconto è riassunto in R. Berthelot, Evolutionnisme et Platonisme, Paris, 1908) di questo periodo.<br />
Succintamente qui posso dire che i contributi di Herr e di Berthelot, pur non riuscendo per nulla<br />
a scalfire l’ostilità del mondo universitario nei confronti di Hegel, tuttavia costituirono degli onesti<br />
tentativi e di dare una corretta informazione sul pensiero del filosofo tedesco, e di mostrare come<br />
le etichette di determinismo assoluto e di ottimismo integrale, nonché quella di panlogismo<br />
attaccate a questo pensiero dalla tradizione dello spiritualismo, non colgono nel segno e ne offrono<br />
un’interpretazione distorta.<br />
30Koyré 1980 (= 1931), p. 3. Per le citazioni che seguono v. Ivi, pp. 4 e sgg.<br />
18
persuasiva: “In Francia l’appello al ritorno a Kant fu molto più oltranzistico<br />
che non in Germania; e la generazione filosofica che lo realizzò accodandosi<br />
a Renouvier e a Cournot, quella dei Lachelier e dei Boutroux - che aveva<br />
rimpiazzato la generazione degli eclettici, consapevole di riannodare<br />
un’antica tradizione del pensiero filosofico francese, quella cartesiana -, si<br />
orientò verso un riavvicinamento sempre più stretto al pensiero scientifico.<br />
Ciò che in Francia significa soprattutto e anzitutto: al pensiero matematico.<br />
Quella generazione - con tutti i suoi epigoni - volse decisamente le spalle a<br />
Hegel e, più in generale, all’idealismo speculativo. L’avversione di Hegel per<br />
la matematica era motivo di stupore e di condanna”. A questo Koyré<br />
aggiunge altre due motivazioni: una di carattere religioso, il protestantesimo<br />
di Hegel, per cui nella cattolica Francia la sua filosofia fu accusata di<br />
ateismo, immoralità, fatalismo, ecc. 31; l’altra di natura politica,<br />
manifestatasi dopo la fine della prima guerra mondiale: “Fra gli altri<br />
misfatti, la guerra comportò una violenta reazione contro il pensiero, l’arte<br />
e, più in generale, la civiltà tedeschi. Si videro degli uomini illustri...ma de<br />
mortuis nil nisi bonum... Non turbiamo il riposo delle loro ombre evocando<br />
gli errori passeggeri della loro vecchiaia” 32. Naturalmente Koyré si riferisce<br />
al fatto che gli intellettuali dall’accademia, in occasione della guerra, si<br />
31In una nota del suo saggio - Koyré 1980 (= 1931), p. 5, n. 7 -, Koyré riporta due esempi di<br />
questo tipo di giudizi. Il primo, di Mignet, tratto dalle “Séances de l’Académie des sciences<br />
morales”, agosto 1858: “Questa filosofia sottraeva al mondo il suo autore, alla creazione la sua<br />
saggezza, alla vita la sua ragione divina e il suo fine morale, all’anima umana la sua immortalità.<br />
Prendendo le mosse dal nulla dell’essere, essa passava attraverso il nulla del divenire e approdava<br />
al nulla della morte, attraversando fatalisticamente un progresso senza motivo e un’esistenza<br />
senza scopo”; il secondo di Foucher de Careil: “Hegel, che è il capofila dei moderni panteisti, va<br />
più lontano [di Schopenhauer]: erige l’abuso a legge, pretende che l’errore sia un momento della<br />
verità, come il male un momento del bene [...]. Questa medicina panteistica è pericolosa. Produce<br />
immediatamente il torpore, l’insensibilità, la morte: ripercuote il male, che è la morbosa tolleranza<br />
per l’errore, applicandolo come rimedio e lo rende più profondo” (Foucher de Careil, Hegel et<br />
Schopenhauer, Paris, 1862, p. XXXVII).<br />
Altre testimonianze in questo senso si leggono in Forest 1932, pp. 90 e sgg. V. per es. Il giudizio<br />
di Gratry (Id. Logique, Paris, 1855, t. I, p. 124; cit. in Forest 1932, p. 90) sull’assoluto come lo<br />
concepisce Hegel: “Allora, tutto è la stessa cosa, non c’è che un’unica sostanza, tutto è Dio, niente<br />
è Dio. Il panteismo è stabilito e, con ciò stesso, l’ateismo”.<br />
32Koyré 1980 (=1931), p. 13. Poco più avanti (p. 19) egli riprende brevemente il discorso: “La<br />
reazione verificatasi in Francia al tempo della guerra contro la filosofia hegeliana [...] sembrava<br />
dover fare dimenticare la già acquisita interpretazione dello hegelismo come filosofia dello spirito e<br />
della libertà. In commovente sincronia con i reazionari tedeschi, ci veniva riproposta la filosofia<br />
hegeliana - soprattutto la sua dottrina sociale - come una divinizzazione dello Stato-Moloch, cui<br />
erano inesorabilmente sacrificati i diritti dell’individuo”.<br />
19
allinearono alla propaganda nazionalistica dipingendo la filosofia classica<br />
tedesca come la matrice delle ideologie pangermanistiche e imperialistiche<br />
del Reich tedesco 33.<br />
In ogni caso, ciò che importa notare è che gli anni del primo<br />
dopoguerra, per parlare in generale, furono ancora anni di chiusura del<br />
mondo accademico francese nei riguardi di Hegel.<br />
A suggellare il suo discorso, Koyré richiama il giudizio che del<br />
pensiero hegeliano diede Brunschvicg nel 1927: “Dal punto di vista logico,<br />
sembra che la loro [dei neohegeliani] ambizione di sintesi si sia concentrata<br />
intorno alla nozione di universale concreto. Questa nozione esprime il<br />
desiderio di rompere con le astratte classificazioni della vecchia logica [...].<br />
Ma, quale che sia la seduzione dell’universale concreto, con la ricchezza di<br />
risonanze che l’accompagnano, dubito che vi si possa vedere altro che una<br />
“scappatoia”, un mezzo, per la filosofia contemporanea, di eludere o<br />
rimandare il contatto con la vera intelligenza del reale. Ed è qui senza<br />
dubbio che lo hegelismo espia, e fa espiare ai suoi discepoli, l’assurdo<br />
disprezzo del romanticismo tedesco verso il sapere scientifico [...]. Dal fatto<br />
che la scienza cartesiana permette la razionalizzazione completa<br />
dell’individuale, il problema dell’universale concreto oggi non può più porsi<br />
[...]. Si può concepire che la filosofia abbia dovuto un tempo scegliere tra<br />
universale astratto e universale concreto [...]. Ma sono presto trecento anni<br />
da che l’antitesi dell’universale concreto non può più essere l’universale<br />
astratto della logica scolastica, bensì quell’universale concreto della scienza<br />
positiva concepito e realizzato da Cartesio e Spinoza, Newton e Einstein. Lo<br />
33Salvadori riporta, a questo riguardo, due significative testimonianze, quella di E. Meyerson (in<br />
De l’explication dans les sciences, Paris, 1921, 1972 2, p. 726) e quella di V. Basch (Cfr. Il suo Les<br />
doctrines politiques des philosophes classiques de l’Allemagne, Paris, 1927, pp. V e VII). “``In<br />
questo momento la filosofia hegeliana - scriveva nel 1921 Emile Meyerson - non ha una buona<br />
stampa in Francia``. E constatava che l’idea dell’alleanza fra Hegel e lo Stato prussiano si era così<br />
diffusa nel dopoguerra, ``che la si vede rispuntare nei luoghi e sotto le forme più inaspettati``. Gli<br />
faceva eco cinque anni dopo Victor Basch, presentando il suo libro sulla filosofia politica dei<br />
``classici`` tedeschi, che aveva iniziato durante la guerra. Tutta la Prefazione (datata dicembre<br />
1926) era percorsa da un’accorata deplorazione della ``miseria patriottica`` cui avevano ceduto i<br />
``maestri`` idealisti allo scoppio delle ostilità, e sottesa dall’acuta sofferenza dell’autore che,<br />
essendo un profondo estimatore della cultura d’oltre-Reno, insorgeva contro il linciaggio morale di<br />
pensatori ``che tutt’a un tratto ci venivano presentati come una specie di malfattori intellettuali``”<br />
(Salvadori 1974, pp. 41-2).<br />
20
hegelismo ha dunque sofferto della peggiore disgrazia che possa capitare a<br />
una dottrina in cui il verdetto della storia è eretto a norma suprema di<br />
giudizio. Non avendo saputo considerare l’``albero`` del cartesianesimo tale<br />
quale si è sviluppato a partire dalle sue radici scientifiche, esso ha<br />
costruito una metafisica della natura che era anacronistica ancor prima di<br />
nascere, condannata a non far presa sulla realtà” 34.<br />
Duro riguardo alla filosofia della natura, Brunschvicg lo è<br />
altrettanto verso la filosofia della storia: “L’assenza di un metodo<br />
appropriato alla conoscenza del reale rende la filosofia hegeliana della<br />
storia inconsistente e debole tanto quanto la sua filosofia della natura [...].<br />
storico che si compiace di raddrizzare la linea troppo<br />
sinuosa dei dati contingenti per adattarli alle necessità di un sistema, [...]<br />
un logico che forza i quadri della dimostrazione razionale per incorporare<br />
nella sintesi totale del tutto o dello spirito ogni formula di mediazione che<br />
certi aspetti o certe epoche della civiltà gli hanno suggerito” 35.<br />
In questa clima così avverso per esso, è chiaro che la presenza del<br />
pensiero hegeliano in Francia negli anni `20 dovrà essere cercata altrove<br />
che negli ambienti dell’Università, ossia, specificamente, in un certo “giro”<br />
34L. Brunschvicg, Le progrès de la conscience dans la philosophie occidentale, Paris, 1927, 1953 2,<br />
pp. 379-80. Citato anche in Koyré 1980 (= 1931), p. 6. L’ultima frase del passo citato,<br />
nell’originale francese, suona: “Faute d’avoir su envisager l’ ``arbre`` du cartésianisme, tel qu’il<br />
s’est développé à partir de ses racines scientifiques, il a constitué une métaphysique de la nature<br />
qui était anachronique avant même que de naître, condamnée à manquer la réalité”. Nella sua<br />
traduzione italiana del saggio di Koyré, R. Salvadori traduce: “Non avendo saputo considerare l’<br />
``albero`` del cristianesimo sviluppatosi prima ancora di nascere, ha creato una metafisica della<br />
natura [...] condannata a esser priva di realtà”. Una traduzione non proprio corretta...<br />
35Ivi, pp. 381 e 383. Ancora “nel 1933 - ricorda M. De Gandillac - in molti di noi il pregiudizio<br />
anti-hegeliano conservava tutta la sua forza. La critica sdegnosa di un Léon Brunschvicg<br />
sembrava aver fatto piazza pulita per sempre dei prestigi del ``sistema``” (De Gandillac 1948, p.<br />
126).<br />
A sua volta il critico “di sinistra” R. Caillois nota che su Hegel era stato propagandato il<br />
“grossolano mito” di un sistema hegeliano che “voleva ricostruire il mondo con delle idee”:<br />
“L’idealismo di Kant (la Francia dei professori era kantiana) sembrava ragionevole, quello di Hegel<br />
era reputato arbitrario. Hegel, era il dogmatismo e tutte le sue vane pretese”. (Caillois 1948, p.<br />
1898).<br />
Queneau, da parte sua, riferisce una sua “impressione”: “Dopo la guerra del `14-`18, si potevano<br />
fare degli studi relativamente abbastanza avanzati di filosofia (cioè conseguire il diploma di laurea)<br />
non avendo di Hegel che una conoscenza delle più superficiali, peggio ancora una semplice<br />
``idea``” (Queneau 1963, p. 694). Anche Bergson - come ricorda Benedetto Croce (V. la sua nota<br />
L’odierno “rinascimento esistenzialistico” di Hegel, in “Quaderni della Critica”, 1949, n. 15, pp. 14-<br />
20, in particolare p. 19) - non aveva mai letto Hegel.<br />
21
di intellettuali, specialmente di origine non francese 36, nel gruppo dei<br />
surrealisti 37, in Alain 38.<br />
36Il polacco Meyerson e i tedeschi Gröthuysen, Basch e Andler trovarono nella Francia una<br />
seconda patria. Ed è singolare che sia spettato ad essi, negli anni `20 fino al 1929, produrre gli<br />
unici saggi su Hegel di questo periodo. Per un’informazione sufficientemente esauriente sui lavori<br />
hegeliani di questi autori v. Koyré 1980 (= 1931), pp. 13-20 e 25-26, Forest 1932, pp. 100-102 e<br />
Salvadori 1974, pp. 71-83.<br />
Condividendo il giudizio di Salvadori, dico qui che sfondo comune degli studi hegeliani di<br />
Meyerson e soprattutto di Gröthuysen e Basch è un tentativo di “riabilitazione” (per lo meno<br />
teoretica) dello Hegel etico-politico, un’operazione di smentita dalle accuse mosse a Hegel di essere<br />
l’ispiratore dell’ideologia pangermanistica.<br />
La cosa più interessante nelle opere di questi ultimi due autori è, però, certamente la conoscenza<br />
e l’utilizzo dei moduli diltheyiani per la ricostruzione “genetica” della parabola evolutiva del<br />
pensiero politico di Hegel. Di più: nella contrapposizione fra Gröthuysen, il quale, con Dilthey,<br />
riconosce la necessità di risalire dal sistema all’origine e alla formazione delle idee hegeliane, per<br />
coglierle là dove ``ognuna di esse viveva ancora [...] di vita propria senza aver subito le costrizioni<br />
dell’ordine sistematico`` (Gröthuysen, La Conception de l’Etat chez Hegel et la Philosophie politique<br />
en Allemagne, in “RPFE”, n. 1-2, 1924; cit. In Salvadori 1974, p. 74), e Basch, il quale non accetta<br />
l’impostazione diltheyiana ed è orientato, invece, a privilegiare lo Hegel “storico-politico [...], del<br />
quale sarebbe a suo avviso illegittimo esagerare la componente mistica” (Salvadori 1974, p. 82), si<br />
può vedere prefigurata la diversità di atteggiamento nei confronti delle tesi diltheyiane su Hegel<br />
che caratterizzerà rispettivamente Wahl e Hyppolite; ma su ciò v. infra cap. II, par. I.<br />
37Certamente le tendenze animatrici del movimento surrealista hanno poco a che spartire con<br />
Hegel. La propensione dei surrealisti per tutto ciò che è vicino all’irrazionale e al demoniaco, la<br />
loro polemica contro la società borghese, la loro ricerca poetica ed esperienziale nell’ambito<br />
dell’istintualità, dell’automaticità, il loro sforzo di liberazione delle energie del desiderio e<br />
dell’inconscio, hanno le loro radici più prossime, piuttosto, nella scoperta delle teorie<br />
psicoanalitiche.<br />
Da questo punto di vista Hegel, col suo razionalismo intransigente, non poteva che apparire come<br />
fumo negli occhi (In un articolo scritto a più mani, intitolato “La rivoluzione prima e sempre”<br />
apparso su “La Révolution Surréaliste”, n. 5, 1925, il nome di Hegel, in una nota, è citato insieme<br />
ad altri per esemplificare i fautori del “disastro” della cultura europea. Ed è noto l’apprezzamento<br />
di Breton sul “secondo manifesto del surrealismo”, quello del 1930: “Partito dall’ ``aborto<br />
colossale`` del sistema hegeliano, il surrealismo non tende ad altro che al limite in cui le<br />
contraddizioni cessano di essere percepite”).<br />
Tuttavia, come opportunamente ricorda M. Roth, “alla fine degli anni `20 i surrealisti si<br />
chiedevano come poter incanalare le acque del desiderio così da modificare le forze che avevano<br />
operato per reprimere il desiderio stesso”; e, poiché si trattava evidentemente di forze di origine<br />
sociale, cercavano una risposta a “come cambiare la realtà sociale”. Ed è, appunto, per trovare<br />
delle basi teoretiche atte a pensare le dinamiche sociali e storiche che “Breton si rivolse a Hegel”<br />
nella speranza “che la potenza della dialettica hegeliana [...] avrebbe permesso ai surrealisti di<br />
riconnettersi alla vita politica, di spingere il desiderio all’interno della storia-ancora-da-fare” (Roth<br />
1988, p. 11). In questo senso si può capire come fosse possibile, nel 1925, che in uno dei loro<br />
volantini il gruppo dei surrealisti scrivesse: “``Non ci si può aspettare nulla di troppo grande dalla<br />
forza e dal potere dello spirito``. Hegel” (Riportato nella meritoria opera di M. Nadeau, Histoire du<br />
Surréalisme suivi de Documents surréalistes, Paris, 1964; trad. it. col titolo Storia e antologia del<br />
surrealismo, MI, 1972). In ogni caso, come si vede, non si tratta di un vero e proprio studio di<br />
Hegel, quanto piuttosto di un interessamento, peraltro momentaneo e destinato a rimanere<br />
marginale. Presto, quando vorranno trovare strumenti teorici per pensare la politica e la storia, i<br />
surrealisti o, meglio, coloro che passarono attraverso l’esperienza del surrealismo, si rivolgeranno<br />
al marxismo (V. Su ciò la citata opera di Nadeau. Di sfuggita faccio notare che, ormai nel 1935, in<br />
un breve passo [citato da Nadeau a p. 387 del suo libro] dei Quaderni di “Contre-Attaque”,<br />
effimera pubblicazione surrealista della metà degli anni `30, si trova un riferimento a Hegel,<br />
intitolato “La dialettica hegeliana del padrone e dello schiavo chiave di volta della ``Fenomenologia<br />
dello spirito`` e della dottrina marxista”, che è di chiara ispirazione kojèviana: se ancora a Hegel si<br />
vollero riferire, lo fecero rifacendosi a quello Hegel “marxiano” che prendeva forma nelle lezioni -<br />
alle quali accenno più avanti, in nota, a p. 30 - di Kojève. Breton, d’altronde, figura nell’elenco<br />
22
Quanto a Wahl, il 1920 vede la pubblicazione della sua<br />
dissertazione di doctorat, dedicata ad illustrare Les philosophies pluralistes<br />
d’Angleterre et d’Amérique, ossia la speculazione dei pluralisti (=<br />
pragmatisti) anglosassoni, specialmente James. Due anni dopo esce un suo<br />
articolo proprio su questo filosofo: William James d’après sa<br />
correspondance; e, nel 1923, un secondo articolo sullo stesso tema della<br />
dissertazione del `20: Néo-Réalistes d’Angleterre et d’Amérique 39.<br />
Come è evidente, Wahl vede nel “pluralismo” anglo-americano una<br />
filosofia che, prospettando lo scenario di un Pluralistic Universe e<br />
insistendo “di preferenza sulla diversità dei principi”, è “in contrasto col<br />
monismo”, ossia con “quella dottrina puramente intellettualistica”, quel<br />
degli uditori del celebre seminario). Certamente, da questo punto di vista, nell’aver, cioè,<br />
contribuito ad orientare gli studi verso Hegel e poi Marx, l’opera del gruppo surrealista, come<br />
ricorda il marxista Henri Lefebvre - il quale, lo ricordo, nel 1935, fu l’autore e l’editore della<br />
traduzione francese dei Cahiers sur la dialectique de Hegel di Lenin -, non fu irrilevante; racconta,<br />
infatti Lefebvre: “ indicandomi un libro sul suo tavolo, la Logica di Hegel nella<br />
mediocre traduzione di Vera, pronunciò una frase del tipo: ``Non avete letto neanche quello?``.<br />
Qualche giorno dopo mi misi a leggere Hegel e di lì approdai a Marx” (H. Lefebvre, Le temps des<br />
méprises, Paris, 1975, p. 49; cit. in Salvadori 1980, p. XI).<br />
38Alain, insegnante al Lycée Henri-IV, nella prima classe superiore di Khâgne, del corso di studi,<br />
cioè, che prepara alla Ecole Normale Supérieure, contribuirà al risveglio degli studi hegeliani in<br />
Francia attraverso i tre corsi che, a partire dal 1923, egli dedicò a Hegel. Il risultato di questo<br />
studio confluirà nel capitolo su Hegel che Alain redigerà per il suo volume Idées, del 1932 (V.<br />
Alain, Idées, Paris, Paul Hartmann, 1939 2, pp. 203-288). “Studio diretto, senza erudizione, senza<br />
apparato critico, quasi una recensione della lettura fatta da un filosofo per nulla preparato dalla<br />
sua formazione al metodo hegeliano, ma che la sua intelligenza superiore trascinava fuori dalla vie<br />
universitarie tradizionali” (Canguilhem 1948-9, p. 284), il saggio di Idées “espone essenzialmente<br />
[a partire dalle traduzioni del Vera] l’Enciclopedia - il compendio pubblicato da Hegel e le<br />
``aggiunte`` - e lo sviluppo che di essa contengono le Lezioni sull’estetica, sulla filosofia della<br />
religione, ecc.” (B. Bourgeois, Alain, lecteur de Hegel, in “RMM”, 1987, (92), p. 240, nota 14).<br />
Rimandando a questo bel saggio di Bourgeois per una visione più analitica e completa della<br />
singolarissima lettura hegeliana di Alain, qui mi interessa far notare che essa si distingue<br />
anzitutto per la critica che muove all’interpretazione degli spiritualisti, critica che certamente<br />
contribuì a far sì che anche in Francia fosse aperto di nuovo il capitolo “Hegel”: “E’ vero che Hegel<br />
ha edificato un Panlogismo (per parlare in gergo); ma ciò vuol solamente dire che è lo stesso<br />
movimento sia che ha rivelato l’insufficienza della logica, sia che ci condurrà alla contemplazione<br />
della natura, nella sua varietà, e poi all’azione [...]. Non c’è al mondo, questo è il postulato<br />
hegeliano, nient’altro che i rivolgimenti dello spirito su se medesimo, per l’impossibilità di restare<br />
mai su un pensiero. Ora, concludere che questi rivolgimenti o movimenti di tutto lo spirito siano<br />
assimilabili a ciò che noi chiamiamo ragionamenti logici, ossia tautologici, è un grossolano<br />
equivoco. La logica di Hegel è la vera logica, cioè il pensiero formale, o separato, ma che tale non<br />
può restare e che si muove verso la sua propria negazione, scoprendo, tramite questo stesso<br />
movimento, il segreto della natura e il segreto dell’azione” (Idées, pp. 209-10).<br />
39Questi due saggi saranno raccolti in volume nel 1932, a costituire, insieme ad altri, Vers le<br />
Concret.<br />
23
“monismo astratto e vuoto” che aveva per maggiori rappresentanti i<br />
neohegeliani 40.<br />
Nel pragmatismo Wahl ritrova dei motivi molto consoni al suo<br />
temperamento speculativo. Come felicemente riassume Salvadori, “i valori<br />
del pragmatismo cui Wahl dichiara di aderire sono un realismo attento al<br />
concreto e al particolare, innanzi tutto, e poi l’empirismo, il volontarismo e il<br />
misticismo. Ma quel che soprattutto lo affascina è il fatto che questa è ``una<br />
filosofia al di fuori delle tradizioni, in cui però, al tempo stesso, vengono a<br />
incontrarsi tutte le tradizioni e tutte le concezioni``” 41.<br />
Attraverso i pragmatisti, però, di riflesso, il nostro è condotto alla<br />
conoscenza del neohegelismo anglosassone e, quindi, è indotto a<br />
confrontarsi con la filosofia di Hegel. Nell’articolo del `22, infatti, quella che<br />
nella dissertazione di due anni prima era una condanna senza appello, si<br />
trasforma in un dubbio: riconosciuto che con James siamo di fronte a una<br />
filosofia “romantica, umana, individualistica”, la quale, aperta a ogni<br />
esperienza, non può che essere in contrasto con lo sterile hegelismo,<br />
tuttavia - si domanda Wahl - il monismo hegeliano non conterrà in sé “dei<br />
preziosi elementi di misticismo?” 42. Sarà proprio in questa direzione che lo<br />
studioso francese indirizzerà la sua indagine: alla ricerca di un prezioso<br />
contenuto mistico misconosciuto dal neohegelismo e, celato sotto le<br />
armature logicistiche del sistema hegeliano, rintracciabile in quelle opere<br />
della giovinezza che, in Germania, erano state portate a conoscenza degli<br />
studiosi dai lavori di Dilthey e della sua scuola. Se, infatti, il primo stimolo<br />
per un avvicinamento all’opera di Hegel venne a Wahl dallo studio,<br />
condotto sulla scia di quello dei pragmatisti angloamericani, del<br />
neohegelismo anglosassone, non meno importante, in questa direzione, fu<br />
40Cfr. Wahl 1920, pp. 241 e 242. Traggo le citazioni da Salvadori 1974, pp. 128-9.<br />
41Salvadori 1974, p. 129. La citazione è da Wahl 1920, p. 254. Si noti come, in effetti, “una<br />
filosofia in cui vengono a incontrarsi tutte le tradizioni e tutte le concezioni” potrebbe benissimo<br />
servire come espressione definitoria della filosofia di Wahl stesso, tale quale ho cercato di<br />
delinearla all’inizio di questo capitolo.<br />
42Wahl 1922, pp. 31, 50 e 53, e 66. Cfr. Salvadori 1974, p. 132.<br />
24
il contributo che gli venne dalla lettura e dall’assimilazione delle tesi sul<br />
“giovane Hegel” formulate vent’anni prima da Dilthey.<br />
2. Uno Hegel “concreto”<br />
E’ noto come Dilthey fin dal 1900 aspirasse a una ricostruzione<br />
genetica della filosofia hegeliana da condursi datando e utilizzando i<br />
manoscritti, contenenti i risultati dei primi studi di Hegel, che giacevano<br />
nella biblioteca di Berlino. E’ noto anche come il progetto si concretizzò nel<br />
1905, con la conferenza sul “giovane Hegel” tenuta alla prussiana<br />
Akademie der Wissenschaften e pubblicata l’anno successivo col titolo<br />
Hegel Jugendjahre. Nel 1921 questo testo fu ripubblicato nel IV volume<br />
delle Dilthey’s Gesammelte Schriften, insieme a un certo numero di<br />
frammenti inediti, e definitivamente intitolato Die Jugendgeschichte Hegels.<br />
Di questa seconda e accresciuta edizione del testo diltheyiano, e<br />
dell’edizione dei frammenti giovanili di Hegel, intitolata Hegels Theologische<br />
Jugendschriften e curata, nel 1907, dal discepolo di Dilthey, H. Nohl, si<br />
servirà Wahl per l’impostazione del suo studio sul filosofo tedesco.<br />
Come sottolinea Salvadori, “il primo atteggiamento del giovane<br />
Dilthey di fronte a Hegel sembra essere stato in parte simile a quello<br />
assunto da Wahl nel periodo della sua formazione. Influenzato dalle<br />
critiche trendelenburghiane dell’astrattezza speculativa e da un ambiente<br />
filosofico generalmente ostile a Hegel, anche Dilthey aveva considerato il<br />
sistema dialettico come una macchina che ``lavora nel vuoto``, e si era<br />
interessato delle teorie ``concrete`` di Bergson e di James.<br />
Anche a lui, insomma, lo hegelismo era apparso un ``monismo<br />
astratto e vuoto``, incapace di comprendere la varia e pluralistica ricchezza<br />
dell’esperienza e della vita storica.<br />
Ma non gli era, però, sfuggito quel prepotente impulso realistico<br />
che, benché soffocato dall’impianto sistematico, costituiva, a suo avviso, il<br />
nucleo positivo della riflessione hegeliana, proponendola come un originale<br />
25
e ponderoso tentativo di sintesi fra concretezza storica e razionalità<br />
sistematica” 43.<br />
Convinzione di Dilthey era che dagli inediti giovanili potesse essere<br />
ricavata un’immagine di Hegel del tutto nuova rispetto a quella conosciuta<br />
fino ad allora e basata, in definitiva, sui risultati sistematici della sua<br />
filosofia. Di contro ad uno Hegel maestro di logica e di dialettica, ordinatore<br />
enciclopedico della scienza speculativa, dallo studio delle opere giovanili<br />
risultava invece la fisionomia di uno Hegel interessato ai fenomeni della<br />
vita storica, lontano da schematismi, attento osservatore delle<br />
contraddizioni della vita umana. Uno Hegel, insomma, da contrapporre a<br />
quello proposto dal movimento neohegeliano, uno Hegel il cui valore non<br />
risiedeva tanto nella dialettica come processo assoluto più o meno da<br />
riformare in sede logica, quanto piuttosto nell’ambito della genesi della<br />
dialettica stessa., genesi legata all’esperienza vissuta di una persona (Hegel<br />
stesso) e al suo collocarsi all’interno di una complessa atmosfera culturale<br />
(quella dell’illuminismo e del protoromanticismo tedesco).<br />
La ricostruzione della storia e dell’evoluzione di pensiero del<br />
“giovane Hegel” in sostanza portava Dilthey a riconoscere che la formazione<br />
filosofica del filosofo di Stoccarda rispecchiava tutta l’evoluzione storica<br />
della cultura tedesca nel decennio decisivo tra il 1790 e il 1800, ossia la<br />
storia interna dello “spirito romantico” 44, da Kant, Lessing, Herder e<br />
Schiller, fino a Goethe, Hoelderlin, Fichte e Schelling. Ne scaturiva, quindi,<br />
la figura di uno Hegel prima kantiano, poi influenzato dall’irrazionalismo<br />
romantico fino al punto da dare, nel periodo francofortese,<br />
un’interpretazione “panteistica” e “mistica” del tutto, infine, a Jena,<br />
impegnato nel riconquistare, sulla via del razionalismo e della dialettica, la<br />
propria autonomia speculativa 45.<br />
43Salvadori 1974, pp. 155-6.<br />
44Cfr. Vasoli 1961, pp. 27-8.<br />
45Per una informazione più dettagliata e documentata sia sulla metodologia storiografica di<br />
Dilthey, sia sulla sua interpretazione di Hegel, si possono vedere, in lingua italiana: Lacorte 1956,<br />
pp. 118-21, Vasoli 1961, pp. 25-8, Salvadori 1974, pp. 155-63 e, soprattutto, Marini 1970.<br />
26
Su queste basi si capisce come Nohl, pubblicando i frammenti<br />
giovanili di Hegel, non solo compisse una ben precisa scelta, tralasciando<br />
sia i diari ginnasiali, sia gli scritti politici, ma anche potesse intitolare la<br />
sua edizione utilizzando l’aggettivo “teologici”: era naturale se si voleva<br />
avallare un’interpretazione hegeliana fondata sulla tesi di un irrazionalismo<br />
o di un “panteismo mistico”.<br />
E’ con questa immagine di Hegel che Wahl, deciso a “regolare i<br />
conti” col filosofo tedesco, si trova ad avere a che fare.<br />
Dati alle stampe, nel corso di tre anni, dal 1926 al 1928, quattro<br />
saggi, risultato del suo studio di Hegel, riunitili in volume, senza<br />
significativi cambiamenti, con l’aggiunta di una succinta prefazione e di<br />
un’appendice contenente la traduzione francese delle pagine della<br />
Fenomenologia hegeliana sulla “coscienza infelice”, ecco che nel 1929 Wahl<br />
può pubblicare il libro che lo ha reso famoso: Le Malheur de la Conscience<br />
dans la Philosophie de Hegel 46.<br />
Il libro di Wahl, pur inserendosi in un contesto, quale quello degli<br />
studi hegeliani in Europa, pervaso “da un grande fervore di<br />
rinnovamento” 47, ha una sua ben precisa peculiarità di metodo e di<br />
46Il primo saggio, destinato a diventare il I capitolo del libro del `29, era apparso, col titolo Note sur<br />
les démarches de la pensée de Hegel, in “RPFE’, n. 1, 1926. Le due parti del futuro capitolo II<br />
erano uscite rispettivamente nei nn. 11-12, 1926 e 7-8, 1927 della “RPFE”, col titolo La place de<br />
l’idée du malheur de la conscience dans la formation des théories de Hegel. Quello che sarebbe<br />
diventato il capitolo III era stato pubblicato, col titolo Commentaire d’un passage de la<br />
``Phénoménologie de l’Esprit`` de Hegel, in “RMM”, n. 4, 1927. Del futuro capitolo IV, la prima<br />
parte era stata edita in “RHP”, n. 4, 1927, e la seconda nel n. 1, 1928 della medesima rivista, col<br />
titolo Sur la formation de la théorie hégélienne du Begriff.<br />
Fin da subito fu riconosciuta la vicinanza speculativa tra il libro di Wahl e quello di Dilthey (da<br />
parte, però, di chi poteva avere una certa conoscenza delle cose hegeliane: nessuna tra le<br />
primissime recensioni al Malheur, quelle uscite nel 1929 o nel 1930, opera questo accostamento:<br />
solo A. Koyré, nel suo Rapport del 1930 (v. Koyré 1980 - = 1931 -, p. 25), dopo aver riassunto il<br />
contenuto del Malheur, scrive: “Questa è la nuova immagine, singolarmente attraente ed anche<br />
inquietante, che, proseguendo i lavori di Dilthey, Jean Wahl ci offre di Hegel”).<br />
47L’espressione è in Salvadori 1974, p. 140. Qui lo studioso italiano elenca gli studi su Hegel<br />
apparsi in Europa nel 1929. Oltre al libro di Wahl, sono da ricordare altri sei testi: G. Della Volpe,<br />
Le origini e la formazione della dialettica hegeliana. I: Hegel romantico e mistico, Firenze; Th.<br />
Häring, Hegel. Sein Wollen und sein Werk, Leipzig, vol. I; G. Glockner, Hegel, Stuttgart, vol. I; N.<br />
Hartmann, Die Philosophie des deutschen Idealismus, vol. II: Hegel, Berlin u. Leipzig; K. Schilling-<br />
Wollny, Hegels Wissenschaft von der Wirklichkeit und ihre Quellen, vol. I: Begriffliche Vorgeschichte<br />
der Hegelschen Methode, München; E. De Negri, La nascita della dialettica hegeliana in “Civiltà<br />
moderna”.<br />
27
contenuto. Esso, infatti, è centrato attorno a due questioni principali, “la<br />
problematica della coscienza infelice e la dottrina hegeliana del concetto”,<br />
di cui cerca di mostrare “la gestazione a partire dalle Jugendschriften” 48.<br />
In conformità, quindi, allo stile interpretativo diltheyiano, Wahl<br />
considera Hegel quale risulterebbe dalla lettura esclusiva dei suoi scritti<br />
della giovinezza, uno Hegel che, alieno ancora dalle preoccupazioni<br />
sistematiche degli anni della sua maturità, rimane vicino a quell’elemento<br />
“tragico, romantico, religioso”, a quella “intuizione mistica” e a quel “calore<br />
affettivo” 49 che costituiscono ciò che a Wahl, evidentemente, di Hegel può<br />
interessare.<br />
Ma se questa ne è l’eredità diltheyiana, il libro di Wahl conserva<br />
un suo “taglio” assolutamente originale. Dal punto di vista metodologico,<br />
anzitutto. Wahl, diversamente, da una “canonica” procedura operativa, non<br />
è più di tanto interessato a riconoscere, con acribia storiografica, la<br />
peculiare fisionomia dei singoli scritti raccolti nell’edizione del Nohl, ma se<br />
ne serve prendendoli “come un corpus omogeneo da cui disinvoltamente<br />
attingere spunti e suggestioni” in ordine alla formulazione di un giudizio<br />
complessivo della filosofia di Hegel 50. Ma la maggiore originalità del libro<br />
wahliano risiede soprattutto nel fatto che esso, per la prima volta, mette in<br />
primo piano, per una considerazione globale della filosofia hegeliana, la<br />
tematica della “coscienza infelice” 51.<br />
48Lacorte 1956, p. 133.<br />
49Wahl 1972 (= 1929), p. 1.<br />
50V. Salvadori 1974, p. 153. E’ questo modo di procedere che ha ispirato, ad esempio, la critica di<br />
C. Lacorte nei confronti del lavoro wahliano: “Vano sarebbe cercarvi, al di là di pochi spunti e di<br />
alcuni interessanti accostamenti, un inquadramento unitario o completo dei testi giovanili,<br />
essendo questi sempre considerati solo in funzione di formulazioni posteriori o addirittura di altri<br />
autori. Nuoce infatti al lavoro il continuo interferire di testi e di argomenti spesso assai distanti fra<br />
loro e il gusto per i raccostamenti a ripetizione, da Hegel a Feuerbach, a Nietzsche, a<br />
Schopenhauer, a... Wagner. Ne risulta una sorta di zibaldone di testi e di autori troppo pieno e<br />
troppo poco elaborato” (Lacorte 1956, p. 133).<br />
51E’ soprattutto l’aver privilegiato (all’interno di una Francia che - come vedremo, sia pur<br />
succintamente, più avanti - si prepara a vivere l’irrompere delle suggestioni filosofiche provenienti<br />
dalla fenomenologia e dall’esistenzialismo) una tematica - quella della “coscienza infelice” - che,<br />
nella speculazione hegeliana, ha trovato, sì, una sua precisa gestazione negli scritti della<br />
giovinezza, ma che nella Fenomenologia dello spirito ha ricevuto una netta formulazione e<br />
trattazione, ciò che ha davvero provocato quell’interesse per l’opera del 1807 che sfocerà - come<br />
vedremo - negli studi di Kojève e di Hyppolite. In tal senso è pienamente condivisibile il giudizio di<br />
Lacorte: “E’ stato proprio negli stessi anni in cui si manifestava una costante attenzione per le<br />
28
Uno studio approfondito della struttura e del contenuto del<br />
Malheur quale quello che ci è stato offerto da R. Salvadori, ha voluto<br />
mostrare che questo saggio wahliano non è affatto una interpretazione di<br />
Hegel condotta “alla luce di Kierkegaard” 52; che, cioè, non è legittimo vedere<br />
in questo libro una polemica contro il sistema hegeliano portata avanti in<br />
base ad una lettura delle Jugendschriften delle quali si sottolinea il<br />
carattere “concreto ed esistenziale”, vicino a quello della filosofia<br />
kierkegaardiana.<br />
Questa, che Salvadori chiama “lettura teleologica”, ossia orientata<br />
a vedere già nel Malheur quel “kierkegaardismo” che invece si manifesterà<br />
in Wahl solo più tardi, viene dichiarata insostenibile anche per la ragione<br />
che, nel libro del `29, Wahl non respinge ancora e non dichiara -<br />
kierkegaardianamente - insostenibile la concezione hegeliana del Begriff,<br />
dell’universale concreto. Wahl, cioè, in questo momento, ritiene in un certo<br />
modo accettabile e sostenibile la teoria hegeliana della conciliazione<br />
dialettica.<br />
Scrive lo studioso italiano: “La contrapposizione fra il vécu<br />
hegeliano (con tutta la sua ``tragica`` dimensione psicologica ed<br />
esperienziale) e il ``sistema`` (nel quale i ``concetti perderanno qualcosa<br />
della loro vita, si irrigidiranno``) non è in Wahl una pura e semplice<br />
contrapposizione dell’irrazionale al razionale, ma passa attraverso la<br />
consapevolezza che in Hegel - dopo l’irrazionalismo mistico di Francoforte -<br />
vi è una progressiva e positiva ``integrazione`` dell’irrazionale nel razionale<br />
culminante nell’``universale concreto``. Non è dunque il ``concetto`` che egli<br />
Jugendschriften che si è andato sempre più delineando ed accentuando un generale interesse per<br />
la Fenomenologia, e si è ripetutamente mostrata la tendenza a spostare sull’opera del 1807 il<br />
centro di gravità del sistema hegeliano”.<br />
52V. a questo proposito Salvadori 1974, pp. 142-52. Lo studioso italiano insiste sul fatto che il<br />
riferimento al pensatore danese incomincia a precisarsi - pur non mancando e, come vedremo più<br />
avanti, essendo presente in maniera significativa nel Malheur - soltanto con il saggio su Hegel et<br />
Kierkegaard apparso sulla Revue Philosophique nel 1931 in occasione del centenario hegeliano. E’<br />
in questo saggio che la “coscienza infelice” hegeliana viene identificata con lo stato d’animo<br />
caratteristico del pensare kierkegaardiano: “Il fatto è che con Kierkegaard sono proprio il cattivo<br />
infinito, la coscienza infelice e il romanticismo a rivendicare i propri diritti [...]. Il suo pensiero è<br />
una protesta di quella coscienza infelice, che Hegel considerava un momento superato dello<br />
sviluppo, contro l’idea stessa di sviluppo” (Wahl 1980 - =1931 -, p. 98).<br />
29
espinge; quel che rifiuta è il ``sistema``, per la contrazione del ``concetto``<br />
in ``una sorta di entelechia aristotelica`` che in esso si verifica” 53.<br />
E ancora, più chiaramente: “L’intento wahliano [...] è, da una<br />
parte, quello di ricostruire la démarche creativa per la quale Hegel - dai testi<br />
``teologici`` sino alla Fenomenologia - si approssima alla notion<br />
(determinando il momento in cui egli ``intravede [nell’ ``amore``] un<br />
``concept`` ben diverso da quello contro cui ha fin qui combattuto`` 54), e,<br />
dall’altra, quello di delimitare la démarche degenerativa in cui il Begriff sarà<br />
implicato una volta bloccato dentro ``l’armatura del sistema``” 55; questo<br />
significa che la lettura dei frammenti giovanili spinge a focalizzare<br />
l’attenzione sulla Fenomenologia, la quale, in tal modo, assume “un diverso<br />
peso specifico nell’economia del pensiero hegeliano, di cui diventa il<br />
baricentro [...]: non più soltanto un’introduzione al “sistema”, ma nel<br />
contempo punto d’arrivo” 56.<br />
Tutto ciò sta a significare che quella di Wahl non è “polemica<br />
contro la razionalità tout court dal punto di vista dell’irrazionalità degli<br />
inediti giovanili, ma bensì critica della Logica e di qualunque altro testo<br />
della maturità situato al di là della coupure segnata dalla Fenomenologia,<br />
ossia al di là della prospettiva coscienziale e ``gnoseologica`` [...]. La<br />
caratteristica di Wahl è proprio quella di non erigere la “coscienza infelice” a<br />
53Salvadori 1974, p. 166. Le citazioni sono da Wahl 1972 (= 1929), pp. 4 e 249. Una succinta ma<br />
pregevole presentazione dell’aspetto antisistematico della teoresi wahliana si può leggere in R.<br />
Mimoune, La philosophie comme système del l’idéalisme absolu dans l’oeuvre de Jean Wahl, in<br />
“Hegel-Jahrb.”, 1990, pp. 47-54).<br />
54Citazione da Wahl 1972 (= 1929), p. 225. Salvadori fa qui riferimento al fatto che Wahl traduce<br />
Begriff ora con concept (quando ha il significato peggiorativo di nozione astratta) ora, quando sta<br />
ad indicare l’universale concreto, con notion. Lo evidenzia lo stesso Salvadori nell’appendice che<br />
egli dedica alla “terminologia degli hegelisti francesi”: “Concept e malheur sono dei sinonimi, i quali<br />
denotano una concezione non razionale (speculativa), ma intellettualistica (“astratta”, in senso<br />
hegeliano) dell’oggettivo dato finito o reale - inteso “nel senso peggiorativo” di Realität, e non<br />
nell’accezione “concreta” di Wirklichkeit (che dev’essere evidentemente espressa dalla coppia<br />
sinonimica notion/bonheur)” (Salvadori 1974, p. 251).<br />
Questa trasformazione del concept in notion, cioè il percorso teoretico di Hegel verso la<br />
teorizzazione dell’universale concreto, è studiato da Wahl nel quarto capitolo del Malheur. Qui egli<br />
individua, in successione, quelli che furono i vari concetti che, segnando il percorso formativo di<br />
Hegel, incarnarono di volta in volta il luogo speculativo di fusione e di conciliazione degli opposti<br />
che lottano nell’esperienza dell’uomo. Questo capitolo, quindi, è scandito dal susseguirsi di vari<br />
paragrafi dedicati all’amore, all’essere, alla vita, alla religione, al destino e infine allo spirito, tutti i<br />
concetti, cioè, nei quali via via Hegel aveva individuato l’universale concreto.<br />
55Salvadori 1974, p. 169.<br />
56Ibidem.<br />
30
momento insuperabile e definitivo, ma di erigere la “coscienza” a momento<br />
necessario dello sviluppo dialettico (pur senza sposare integralmente la<br />
prospettiva fenomenologica)” 57.<br />
Ho abbondato nel soffermarmi su questo aspetto del lavoro critico<br />
di Salvadori per due ragioni.<br />
Innanzitutto perché, se si capisce che il Malheur è primariamente<br />
un porre la “coscienza”, come elemento irrinunciabile di dinamicità e di<br />
“vitalità” che andrà poi perduto nel sistema della maturità, al culmine del<br />
discorso hegeliano, allora si può incominciare a comprendere da dove derivi<br />
allo hegelismo francese e, in particolare, come cercherò di documentare nel<br />
mio lavoro, a Jean Hyppolite, il costante privilegiamento per lo Hegel quale<br />
risulta dalla Fenomenologia, testo in cui, appunto, Hegel ha affrontato “di<br />
petto” la problematica della coscienza (con la sostanziale differenza, però,<br />
che Hyppolite lotterà per tutta la sua vita allo scopo di sganciarsi dalla<br />
visione, wahliana, per cui l’opera del 1807 è il “sistema ove la coscienza è il<br />
termine supremo”, cercando, cioè, in questo modo, di render ragione del<br />
suo culminare nel “sapere assoluto”).<br />
Secondariamente, perché a partire da esso si può iniziare a capire<br />
quale sia stato l’impatto, nel milieu degli studiosi hegeliani, di uno studio che<br />
pone al centro dell’interpretazione di Hegel il particolare tema della coscienza<br />
infelice.<br />
Infatti: se è accettabile (ed apprezzabile dal punto di vista<br />
storiografico) l’argomentazione di Salvadori per cui Kierkegaard non è il<br />
57Salvadori 1974, p. 177. Attraverso questa caratterizzazione del lavoro wahliano - per cui,<br />
appunto, è messo in luce che esso non assolutizza la contrapposizione concept/notion e non esalta<br />
il misticismo-irrazionalismo di Francoforte come se esso non costituisse una fase destinata<br />
necessariamente a essere superata nel “sistema” della Fenomenologia - Salvadori può dare<br />
un’agevole interpretazione dei passi in cui Wahl parla della scienza hegeliana: “C’è un’unica<br />
scienza, quella che mostra il progresso dello svolgimento o della edificazione di sé dall’identità alla<br />
totalità, all’assoluto oggettivantesi nella totalità compiuta, e di questa scienza la Fenomenologia ci<br />
darà l’esempio, mentre nei suoi studi anteriori Hegel ne presenta gli abbozzi” (Wahl 1972 - = 1929<br />
-, p. 232); “L’evoluzione di Hegel, in questi primi scritti [gli scritti giovanili], appare diretta da una<br />
legge di contrasto che lo fa procedere dall’Aufklärung ad una filosofia vicina allo Sturm und Drang,<br />
quindi ritornare all’Aufklärung interpretata con l’aiuto del kantismo, per approdare a una critica<br />
radicale del kantismo e a una filosofia mistica. E solo dopo essersi spinto fino a una sorta di<br />
divinizzazione dell’inconscio, Hegel abbozza il suo sistema ove la coscienza è il termine supremo”<br />
(Wahl 1972 - = 1929 -, p. 3). E’ da notare, appunto, che il sistema della Fenomenologia è qui<br />
caratterizzato dal primato della “coscienza” e non, come invece in realtà, del “sapere assoluto”.<br />
31
“genio ispiratore” della lettura hegeliana che Wahl presenta nel Malheur,<br />
nondimeno è altrettanto innegabile che l’esito “kierkegaardiano”<br />
dell’insieme dell’interpretazione wahliana, quale si esplicita, come si è<br />
veduto, già nel saggio del 1931, non a caso è quello che maggiormente si è<br />
imposto nel “pubblico” 58. Ma vediamo più da vicino questo aspetto, dato<br />
che è quello che meglio può introdurci alla comprensione dell’”atmosfera”<br />
creata dal libro wahliano in quella cultura francese degli anni `30<br />
all’interno della quale incomincerà ad introdursi Jean Hyppolite.<br />
Il Malheur non solo riporta (rispettivamente in appendice e al<br />
capitolo III) il primo saggio di traduzione e il primo commentario, apparsi in<br />
Francia, delle pagine della Fenomenologia che Hegel consacra alla coscienza<br />
infelice, ma anche (avendo seguito le indicazioni diltheyiane 59 ed esplicitato<br />
così la lettura “generica” della coscienza infelice - ossia una lettura che<br />
individua in essa un asse tematico “largo” capace di sintetizzare in sé tutti<br />
gli spunti, le riflessioni, le formulazioni della vicenda umana, storica e<br />
teoretica del giovane Hegel), per la prima volta, opera un preciso<br />
accostamento fra, da una parte, l’ambito semantico individuato nella<br />
58Come ricorda lo stesso Salvadori, è proprio Hyppolite, nell’immediato secondo dopoguerra, uno<br />
dei maggiori fautori dell’interpretazione del Malheur in chiave kierkegaardiana: “Ciò che ci<br />
interessa è mostrare, nello Hegel degli Scritti giovanili e della Fenomenologia, un filosofo che è<br />
meno distante da Kierkegaard di quanto si potrebbe credere. Jean Wahl ha mirabilmente messo in<br />
evidenza, nell’opera Le Malheur de la Conscience dans la Philosophie hégélienne, il carattere<br />
concreto ed esistenziale delle opere giovanili di Hegel. Tutte preparano il capitolo della<br />
Fenomenologia sulla ``coscienza infelice``” (Hyppolite 1946B, p. 93); e ancora, due anni dopo:<br />
“Jean Wahl, nel suo libro su Le Malheur de la Conscience dans la Philosophie de Hegel ci aveva<br />
mostrato tutta l’importanza e tutta la ricchezza di questi Scritti giovanili, apparentemente così<br />
diversi dal sistema hegeliano, il solo conosciuto allora in Francia e, confessiamolo, molto mal<br />
conosciuto nel nostro paese a quel tempo [...]. E’ un po’ Kierkegaard che Jean Wahl ha ritrovato<br />
negli Scritti giovanili di Hegel. Nella scissione della coscienza, l’infelicità del popolo ebreo, egli ha<br />
saputo farci intravedere una dialettica assai vicina a quella del pensatore danese” (Hyppolite<br />
1948A, p. V); infine, nel 1957: “Nel 1929, Jean Wahl pubblica Le Malheur de la Conscience dans la<br />
Philosophie de Hegel. Questo studio fu per noi sconvolgente. Esso ci rivelava uno Hegel romantico<br />
- quando noi immaginavamo Hegel come un fabbricante di sistemi - lo Hegel della coscienza<br />
infelice e non quello della Chiesa trionfante. Tramite Jean Wahl, abbiamo imparato a conoscere<br />
assieme Hegel e Kierkegaard [...]. Jean Wahl ci iniziava a uno Hegel scisso, impegnato a descrivere<br />
una coscienza infelice che non era poi così lontana da quella di Kierkegaard” (Hyppolite 1957A, p.<br />
233).<br />
Questo, a dimostrazione del fatto che la “ricezione” del discorso wahliano fu ben precisamente<br />
orientata: era inevitabile che fosse l’immagine di uno Hegel giovane “kierkegaardiano” quella<br />
destinata a “passare”. Come mostrerò appena più avanti, non era possibile non sovrapporre il<br />
Wahl interprete di Hegel e quello interprete di Kierkegaard.<br />
59Cfr. Wahl 1972 (= 1929), p. 22, nota 6.<br />
32
filosofia hegeliana dalla coscienza infelice e, dall’altra, la figura e l’opera di<br />
Kierkegaard.<br />
La coscienza infelice, nella caratterizzazione wahliana, è<br />
quell’aspetto della speculazione di Hegel che precipuamente ne rivela<br />
l’intima connotazione religiosa. Scrive lo studioso francese: “All’inizio della<br />
sua vita, come alla fine, Hegel si rivela teologo. Da un capo all’altro della<br />
sua opera corre un motivo, quello della divisione, del peccato, del dolore, e<br />
gradualmente si trasforma in quello della riconciliazione e della<br />
beatitudine. La sua logica stessa appare da questo punto di vista come un<br />
tentativo di interpretare, alla luce della sua esperienza della teologia, i<br />
tentativi della coscienza umana di guadagnare quell’assoluzione che è<br />
l’assoluto, quell’approdo che è la nozione. La sua mistica e il suo sistema<br />
concettuale scaturiscono, come ha visto Dilthey, da una stessa volontà, da<br />
una stessa intuizione. E’ accaduto, potremmo dire a nostra volta, che<br />
questo mistico, questo poeta, anziché avere a disposizione l’espressione<br />
essenzialmente artistica della propria esperienza, era dotato d’una<br />
straordinaria facilità a maneggiare i più difficili concetti logici.<br />
Un’intuizione affine è al fondo del misticismo cristiano di Novalis, del<br />
misticismo pagano di Hoelderlin, e della logica hegeliana”. E, poco oltre,<br />
continua: “La dialettica stessa, presa nel suo insieme e soprattutto<br />
considerata fenomenologicamente, che altro è se non il racconto delle<br />
afflizioni della coscienza, mai appagata, poiché mai completa? Solo quando<br />
avrà preso coscienza del suo svolgimento, di questo lungo vagabondaggio,<br />
quando Ulisse potrà, reincarnandosi in Omero, cantare la propria Odissea,<br />
essa conseguirà la felicità” 60.<br />
Che cosa notare a questo riguardo? Che per Wahl “l’esperienza”<br />
personale di Hegel, innanzitutto quella che lo ha portato ad incontrarsi con<br />
gli studi teologici e dunque a meditare sull’essenza della religione cristiana<br />
60Wahl 1972 (= 1929), pp. 24-5. Mi pare che, tra l’altro, questo passo possa ben essere letto a<br />
conferma della tesi salvadoriana per cui, al tempo della stesura del Malheur, Wahl non rigetta in<br />
toto l’andamento della démarche hegeliana che conduce dall’infelicità della scissione alla felicità<br />
della riconciliazione.<br />
33
e, in particolare, sul ruolo che in essa gioca il dolore, il negativo, il peccato,<br />
è estremamente importante per la comprensione autentica dell’intima<br />
ispirazione della filosofia di Hegel. Ma questo non ci direbbe molto di più di<br />
quanto già sappiamo, se proprio intorno a questo giro di pensieri non si<br />
coagulasse, nel lavoro wahliano, il riferimento a Kierkegaard.<br />
Approfondendo il discorso sul cristianesimo speculativo di Hegel,<br />
Wahl affronta la questione dell’interpretazione filosofica che il pensatore<br />
tedesco dà della “morte di Dio” nella religione cristiana 61. Lo studioso<br />
francese riconosce (e apprezza la perspicacia di questa visione) che per<br />
Hegel la morte del Cristo, nel quale la divinità immanente all’umanità è<br />
principio della resurrezione, non è nient’altro che una rappresentazione<br />
simbolica della dialettica per cui dalla negazione del finito (momento,<br />
questo, della croce, della passione, dell’infelicità della coscienza), per<br />
l’immanenza in esso dell’assoluto, si genera la conciliazione finale<br />
realizzante la vita piena del Begriff, dell’universale concreto 62.<br />
Ma proprio qui Wahl inserisce la seguente nota: ”Benché sia<br />
proprio questo [l’interpretazione hegeliana del cristianesimo come simbolo<br />
del superamento del finito nell’infinito] il punto scelto da uno dei suoi<br />
maggiori avversari, Kierkegaard, per combattere Hegel” 63. Il paragrafo che<br />
si apre immediatamente dopo questa nota, intitolato “Il duplice significato<br />
della morte di Dio”, affronta il nodo essenziale del pensiero giovanile di<br />
Hegel, il problema della positività. Wahl nota le difficoltà e le esitazioni di<br />
Hegel quando, a Berna e poi a Francoforte, si trova ad affrontare la fatica<br />
speculativa attraverso la quale dovrà sforzarsi per perfezionare gli<br />
strumenti logici atti a pensare l’Aufhebung del finito (= positivo)<br />
nell’infinito. Egli osserva a questo proposito che il problema del<br />
61Si tratta dei paragrafi I e II (intitolati rispettivamente “La morte di Dio” e “Il duplice significato<br />
della morte di Dio”) della parte II del II capitolo del Malheur.<br />
62E’ da notare, appunto, che a questo livello Wahl giudica positivamente l’interpretazione<br />
hegeliana del dogma cristiano. Cfr. Wahl 1972 (= 1929), p. 106: “Cogliamo al centro della teologia<br />
e della logica hegeliane la stessa intuizione. Raramente l’essenza del cristianesimo in quanto<br />
congiunzione del questo e dell’al di là, raramente l’essenza di ogni religione positiva in quanto<br />
l’individuo nella sua finitezza, nella sua unicità, nel suo carattere empirico e temporale, vi entri in<br />
contatto con l’infinito, è stata più saldamente afferrata che dalla filosofia hegeliana”.<br />
63Wahl 1972 (= 1929), p. 106, nota 20.<br />
34
“superamento” del finito, del positivo, del contingente, oltre ad essere “al<br />
fondo della filosofia religiosa di Hegel” 64, è anche uno delle questioni che<br />
“dominerà più tardi tutto il pensiero teologico di Kierkegaard” 65.<br />
Come ha ben messo in luce Salvadori: “L’introduzione di questi<br />
accenni al filosofo danese - ignoto a Wahl fino all’anno precedente - non è<br />
che la spia di un nuovo atteggiamento verso il giovane Hegel che sta<br />
appena nascendo [...]. E le radici profonde di quest’atteggiamento non<br />
possono che affondare nel latente equivoco che sta alla base dell’adesione<br />
(almeno intenzionalmente completa) data da Wahl alla dialettica (giovane-)<br />
hegeliana. E’ tutta la sua formazione spiritualistico-pragmatistica che<br />
condanna all’effimerità il suo legame d’interesse e di simpatia per lo<br />
hegelismo. Se, infatti, Wahl - nella seconda metà degli anni `20 - accetta<br />
l’”universale concreto”, l’Aufhebung, la “negazione dialettica”, il<br />
rovesciamento dell’ “infelicità” in “felicità”, è perché ne fraintende<br />
sostanzialmente il significato vero e proprio; è perché quel che lo attrae, di<br />
Hegel, è il misticismo, la concretezza la religiosità. Ma adesso, nel 1929, nel<br />
licenziare la propria opera, comincia a insinuarsi in lui il sospetto di aver<br />
chiesto a Hegel quel che non poteva dargli. Se, perciò, sul Wahl iniziatore<br />
della Hegelrenaissance francese quelle citazioni kierkegaardiane sono prive<br />
di incidenza, per il Wahl promotore della Kierkegaardrenaissance francese<br />
significano molto - costituendo un primo embrione di esistenzialismo” 66.<br />
Nel 1931, come si è visto, con il suo saggio su Hegel et<br />
Kierkegaard, Wahl approfondisce il confronto tra questi due pensatori che<br />
nel Malheur era stato solo abbozzato 67. La cosa assolutamente nuova e<br />
64Ivi, p. 111.<br />
65Ivi, p. 113.<br />
66Salvadori 1974, pp. 230-1. In nota lo studioso italiano ricorda che, dopo i vecchi studi di<br />
Delacroix (1900), Basch (1903) e Bellesort (1914), Wahl è uno dei promotori della nascita<br />
dell’influenza di Kierkegaard in Francia.<br />
67Il 1931, è l’anno del centenario hegeliano. Dopo la pubblicazione del Malheur, che aveva<br />
dischiuso il campo degli studi hegeliani francesi, sono diminuite le resistenze e i pregiudizi nei<br />
confronti del pensatore tedesco. I primi anni `30, perciò, sono l’occasione propizia per cercare di<br />
fare il punto: come si è visto, sia il saggio di Koyré (letto a L’Aia nel 1930 e pubblicato l’anno<br />
successivo) sia quello di Forest (che, scritto nel `31, uscì nel 1932), che costituiscono i primi<br />
35
tentativi di scrivere la storia dell’influenza del pensiero di Hegel in Francia, risalgono a questo<br />
periodo. L’occasione del centenario è colta anche da due delle maggiori riviste filosofiche: sia la<br />
Revue Philosophique, sia la Revue de Métaphysique et de Morale dedicano, nel 1931, dei numeri<br />
speciali a Hegel. Si segnala, soprattutto, la traduzione francese di un saggio di N. Hartmann<br />
(intitolato Hegel et le problème de la dialectique du réel) apparso su RMM. Anche grazie ad esso fu<br />
rilanciata un’immagine “nuova” di Hegel, un’immagine consapevolmente distanziantesi da quella<br />
restituita da coloro (i neohegeliani) che si basavano soprattutto sullo Hegel “sistematico”. Anche<br />
Hartmann, infatti, ricorda che il pensiero hegeliano fu “fin dagli inizi teologico, storico, sociologico<br />
(in senso ampio)” e che esso va letto in modo da “apprezzare come tali i problemi che vi si agitano<br />
e non accettare che con prudenza le soluzioni” che esso offre (v. Hartmann 1931, p. 287). Bisogna<br />
dunque affrontare lo studio di questo filosofo attendendo soprattutto a quella “ricchezza di<br />
problemi di una ricchezza quasi incomparabile” (tralasciando, invece, le “idee speculative” e i<br />
“fondamenti del sistema”) nei quali Hegel ha dato prova di saper penetrare nei “domini della vita<br />
concreta dello spirito”. Naturalmente, a questo scopo, “né la Filosofia della Religione, né la Logica<br />
[...] possono esserci utili [...]: la sua prima opera capitale, la Fenomenologia dello spirito, è rimasta,<br />
in questo senso, l’opera fondamentale” (Ivi, p. 288).<br />
I primi anni `30, però, rimangono un periodo fondamentale per lo hegelismo francese soprattutto<br />
perché è in questo lasso di tempo che prendono corpo le maggiori letture hegeliane che la Francia<br />
ci abbia restituito. Hyppolite incomincerà nel 1935, ma prima di lui avevano iniziato Alexandre<br />
Koyré (prima di passare ad occuparsi di storia della scienza l’illustre studioso di origine russa è<br />
stato, come abbiamo visto, uno dei più acuti critici di Hegel in Francia. A testimonianza di questo<br />
studio hegeliano, condotto come directeur d’études alla V sezione della Ecole Pratique di Parigi, ci<br />
rimangono, oltre al già esaminato Rapport sugli studi hegeliani in Francia - e ad altri due scritti di<br />
minore rilevanza come la recensione al Malheur wahliano apparsa in “Revue Philosophique”, n. 7-<br />
8, 1930, p. 136 e un saggio su Hegel en Russie pubblicato in “Le Monde Slave”, 1936, pp. 215-48<br />
e 321-64 - altri due importanti saggi: Note sur la langue et la terminologie hégéliennes, pubblicato<br />
in occasione del centenario in “Revue Philosophique”, n. 11-12, 1931, pp. 409-39, e Hegel à Iéna<br />
(à propos de publications récentes), edito in “Revue d’histoire et de philosophie religieuses”, 1934,<br />
pp. 274-83, e 1935, pp. 420-58) e Alexandre Kojève. Kojève, insieme a Hyppolite, è il maggior<br />
rappresentante dello hegelismo francese. La sua opera più conosciuta, la Introduction à la lecture<br />
de Hegel, Paris, 1947, è il risultato delle sue lezioni sulla Fenomenologia di Hegel tenute alla Ecole<br />
Pratique, in sostituzione di Koyré, a partire dall’anno accademico 1933-34 fino alla vigilia della<br />
seconda guerra mondiale. Non mi soffermo qui sull’opera di questo eccezionale studioso, l’esame<br />
della quale richiederebbe da sola l’impegno di uno studio a sé stante. In Hyppolite 1957A,<br />
Hyppolite riassume così l’interpretazione kojèviana: “Kojève ha considerato la Fenomenologia<br />
isolandola dal contesto del sistema hegeliano. Vi ha veduto una sorta di enigma (storico e<br />
speculativo) che si è sforzato di decifrare. Per lui Hegel, senza dubbio volontariamente, avrebbe<br />
dissimulato il senso esplicito del proprio pensiero, del proprio progetto storico. Nel 1806, Hegel<br />
avrebbe visto in Napoleone l’uomo che poneva termine alla storia inaugurando l’impero universale<br />
(di diritto, almeno) ed omogeneo (i cittadini sono riconosciuti in loro stessi, staccati dal loro<br />
substrato sociale). Questa forma di impero universale, al quale Hegel invitava i tedeschi a<br />
sottomettersi, mentre Fichte si indignava dell’occupazione, annunciava la fine della storia umana<br />
come storia. La Fenomenologia sarebbe l’epopea che lo spirito umano compie per giungere in<br />
questa fine della storia, l’operazione della negatività umana. La filosofia di Hegel, prendendo<br />
coscienza di questa storia, ora terminata, sarebbe il sapere assoluto. Hegel sarebbe il filosofo che<br />
permette a Napoleone, l’uomo d’azione, di riconciliarsi col sapere e l’autocoscienza assoluta [...].<br />
La Fenomenologia mostra bene come l’autocoscienza - l’uomo - si eleva al di sopra della natura e<br />
della vita biologica; chiusa nei suoi cicli senza storia, dalla nascita alla morte, essa si crea essa<br />
stessa una storia attraverso la negatività. La Fenomenologia racconta questa storia dello spirito,<br />
nella quale l’uomo non può trovarsi come negatività che affrontando gli altri uomini in una lotta di<br />
puro prestigio, una lotta per il riconoscimento con la quale comincia la storia. Questa lotta diviene<br />
storia perché nella dialettica del padrone e del servo, così come nella dialettica del lavoro, il<br />
riconoscimento può diventare effettuale, invece di spegnersi con la morte. Kojève, che metteva in<br />
luce questa definizione hegeliana dell’uomo attraverso il niente e la negatività, mostrava poi come<br />
la Fenomenologia conducesse alla nuova società di cui Napoleone era l’ostetrico, una società che il<br />
marxismo doveva presentare ulteriormente come la società senza classi. Kojève, infine, insisteva<br />
molto sull’ateismo hegeliano. Per lui, Hegel diceva - quasi esplicitamente - che Dio è morto, che<br />
l’uomo che ha agito sul mondo ed edificato le culture, ha dapprima pensato queste culture sotto<br />
la forma alienata della religione, ma che l’ultima parola della religione è anche la sua propria<br />
36
davvero causa di una svolta nell’atteggiamento wahliano di fronte a Hegel,<br />
è, oltre alla già rilevata identificazione Kierkegaard-coscienza infelice 68, il<br />
fatto che qui Wahl non si limita più, come nel libro del `29, a dire che il<br />
sistema imprigiona e irrigidisce dentro la sua armatura gli elementi<br />
originari, le esperienze viventi del giovane Hegel, ma aggiunge che ciò che<br />
vale la pena di essere posto in esame è lo Hegel giovanile in quanto precorre<br />
le tesi difese dal suo futuro avversario danese: “Non sempre Hegel è stato il<br />
filosofo razionalista che ci immaginiamo quando pensiamo al suo nome; e<br />
forse non lo è mai stato. Perciò siamo portati a chiederci se la sintesi tra<br />
finito e infinito, presentataci dalla comparsa di Dio in terra, non rivestisse,<br />
nelle prime forme della sua filosofia, un aspetto che l’avvicinerebbe molto<br />
alle concezioni di Kierkegaard. Siamo indotti a ricercare se nei ``frammenti<br />
teologici`` di Hegel non siano abbozzate con una certa frequenza idee che<br />
troveranno il loro autentico sviluppo non nel successivo sistema di Hegel,<br />
ma nel pensiero del suo avversario” 69.<br />
Non è più, allora, Hegel che interessa a Wahl, ma solo quegli<br />
aspetti della sua meditazione giovanile che possono servire ad introdurre il<br />
concreto pensiero kierkegaardiano. Così, infatti, si conclude il saggio<br />
wahliano: “Mentre il pensiero hegeliano, di natura mirabilmente concreta,<br />
approda però assai spesso a una concezione astratta delle cose, l’astrazione<br />
kierkegaardiana sembra sia servita per lo più, acuendo i termini dei<br />
problemi, a porre l’individuo in quella posizione estrema da cui scaturisce il<br />
concreto” 70. L’astratto Hegel deve essere abbandonato: al suo posto<br />
subentra Kierkegaard, e, assieme a lui, l’autentico concreto.<br />
distruzione come religione, la riduzione di tutta la sostanzialità divina all’umano. La<br />
Fenomenologia di Hegel sarebbe una antropologia assoluta” (Hyppolite 1957A, pp. 237-9). Per una<br />
visione più articolata e completa rimando allo studio che più mi pare stimolante per una messa a<br />
fuoco della complessità della parabola speculativa kojèviana: D. Auffret, Alexandre Kojève. La<br />
philosophie, l’Etat, la fin de l’histoire, Paris, 1990. Si leggeranno con profitto anche le pagine<br />
dedicate a Kojève in Roth 1988.<br />
68V. supra, p. 22, nota 47.<br />
69Wahl 1980 (= 1931), pp. 110-1.<br />
70Ivi, p. 117. Cfr. su ciò Salvadori 1974, pp. 98-9.<br />
37
Del 1932 è Vers le concret, la raccolta di saggi che segna<br />
definitivamente e senza possibilità di equivoci la strada su cui si muoverà<br />
la speculazione wahliana. Non solo. Questo libro marca anche un preciso e<br />
più ampio orientamento della cultura francese degli anni `30. La prefazione<br />
di questo testo, edita alcuni mesi prima del volume, è un documento assai<br />
significativo 71. In essa lo studioso francese si schiera decisamente dalla<br />
parte di quei filosofi (James, Marcel, Whitehead, sui quali saranno centrati<br />
i saggi contenuti nel volume) i quali fanno vedere “l’inanità della critica<br />
hegeliana” dell’immediato e del concreto, “mettendo l’accento sul mio, sul<br />
qui, sull’ora, su tutti questi elementi di designazione di cui il pensiero può<br />
impadronirsi solo con lo snaturarli”. Wahl, insomma, vuole “rivendicare i<br />
diritti dell’immediato”, “restituire all’immediato il suo valore e il suo<br />
ruolo” 72.<br />
Non mi dilungo oltre sul senso di questo ritorno verso l’immediato,<br />
il concreto, il reale. Mi ci sono già soffermato all’inizio del capitolo.<br />
Ciò che mi importa mettere in risalto è la problematicità, a questo<br />
punto, dell’immagine di Hegel nella Francia della metà degli anni `30.<br />
Wahl aveva aperto una direzione di ricerca, ma ben presto l’aveva<br />
lui stesso abbandonata. Era stato mostrato il volto di uno Hegel<br />
“romantico”, “sentimentale”, vicino al misticismo. Ma di fronte ad<br />
un’immagine del genere, perfino chi aveva contribuito a crearla si era poi<br />
rivolto a chi - Kierkegaard e altri... - quell’immagine poteva rispecchiarla in<br />
pieno, senza la “tara” di un esito “spiacevolmente” sistematico.<br />
71Essa fu pubblicata sul primo numero rivista “Recherches philosophiques” fondata nel 1931 da<br />
Koyré, Puech e Spaier. E’ significativo che lo scritto wahliano sia l’articolo di apertura di questa<br />
nuova rivista la quale, di orientamento husserliano, nei suoi sette anni di vita, fu il più qualificato<br />
veicolo di diffusione, in Francia, della fenomenologia e dell’esistenzialismo tedeschi.<br />
Mi sembra emblematico, poi, che Wahl apra con una diretta polemica antihegeliana. Dopo aver<br />
ricordato che “Hegel, all’inizio della Fenomenologia, ci dice che ciò che si ritiene essere il<br />
particolare e il concreto è in realtà il più astratto e il più generale, che ciò a cui l’empirista e il<br />
realista attribuiscono la più grande ricchezza è in realtà ciò che al mondo vi è di più povero”, e che<br />
l’argomentazione hegeliana “si fonda essenzialmente sul linguaggio”, il quale rivelerebbe agli occhi<br />
di Hegel “la non-realtà del concreto”, egli conclude: “Non bisogna piuttosto dire che il linguaggio,<br />
lungi dal rivelare il reale, s’è rivelato lui stesso, ma come impotente?” (Wahl 1931-32, p. 1).<br />
72Wahl 1931-32, p. 3.<br />
38
Si trattava di porsi nuovamente di fronte a Hegel. Ormai l’opera<br />
wahliana aveva rotto quella totale chiusura e ostilità del mondo culturale<br />
francese nei riguardi del filosofo tedesco. Aveva dato anche delle indicazioni<br />
di lavoro. A partire da esse, nella ricerca di una riconsiderazione di quell’<br />
“ambiguo” Hegel che era giunto alla conoscenza del pubblico francese,<br />
occorreva continuare lo studio. E’ ciò che farà Jean Hyppolite.<br />
39
Capitolo secondo<br />
In una pagina dal tono memorialistico inserita in un suo breve<br />
saggio su Husserl 73, Hyppolite traccia quasi un bilancio della sua attività di<br />
interprete della filosofia hegeliana: ”In Francia [...] noi abbiamo scoperto<br />
l’opera più concreta e più ricca di Hegel, la Fenomenologia, in un tempo in<br />
cui lo hegelismo era trascurato; ma ciò che abbiamo apprezzato in questo<br />
viaggio di scoperta del filosofo tedesco fu precisamente questa riflessione<br />
sull’esperienza concreta 74 [...]. Ciò che noi abbiamo rifiutato in Hegel era la<br />
73Si tratta di un manoscritto non datato, pubblicato postumo dai curatori della bella raccolta di<br />
saggi hyppolitiani Hyppolite 1971; lo scritto, riportato alle pp. 499-512, è intitolato:<br />
“L’intersubjectivité chez Husserl”. Cito qui dalle pp. 500-1.<br />
74Poco sopra Hyppolite delineando il suo proprio modo di porsi di fronte alla filosofia, scrive :”<<br />
Questa è > la duplice esigenza che si vuole rispettata da ogni ricerca filosofica: il rigore e il senso<br />
del concreto. Noi non ci fidiamo delle costruzioni metafisiche e cerchiamo una filosofia concreta<br />
che non abbandoni l’esperienza, che ci sveli ciò che viviamo nell’esistenza quotidiana così come<br />
nell’esistenza scientifica, ciò che, sebbene vivendolo, purtuttavia ignoriamo, ciò che deve essere<br />
fatto passare dal piano non tematico al piano tematico. Si tratta proprio di rifare l’esperienza e,<br />
insieme, di renderci esplicita questa stessa esperienza [...]; si tratta così di non disperdersi o<br />
dissolversi per il piacere in descrizioni senza fine, che non siano davvero necessarie; noi vogliamo,<br />
ritornando alle cose stesse, conservare il rigore delle deduzioni matematiche”. Mi piace leggere<br />
queste affermazioni meno come una professione di fede husserliana - i richiami lessicali e<br />
concettuali a Husserl così evidenti, di certo, sono dovuti al contesto che è, appunto, quello di un<br />
discorso intorno alla speculazione husserliana - che come una presa di posizione di fronte<br />
all’eredità speculativa wahliana. Non è da dimenticare, infatti, che Hyppolite è soprattutto uno<br />
storico della filosofia e della filosofia hegeliana in particolare e che fin da subito egli ha sentito il<br />
bisogno - come vedremo meglio in seguito - di distinguersi precisando la sua posizione riguardo al<br />
suo immediato predecessore negli studi hegeliani, Jean Wahl. Una “filosofia concreta” senza “il<br />
rigore delle deduzioni matematiche” non era forse l’ideale filosofico di quest’ultimo? Anche in un<br />
libro precedente si trova un preciso richiamo a Husserl (v. Hyppolite 1980 - =1948 -, p. 314): qui<br />
Hyppolite, argomentando che “gli scritti giovanili di Hegel hanno il merito di rivelarci il punto di<br />
partenza originale della speculazione hegeliana”, ricorda quanto segue: “Nella nostra epoca, sotto<br />
l’influenza di Husserl, la scuola fenomenologica tedesca ha voluto sostituire agli studi di seconda<br />
mano [...] degli studi diretti. La nuova parola d’ordine è stata ``ritorno alla cose stesse``. Ma è<br />
proprio questa la caratteristica degli scritti giovanili di Hegel che forse un po’ a torto sono stati<br />
chiamati teologici. In essi Hegel si occupa più di storia che di filosofia; e anche il termine storia è<br />
40
dialettica in quanto processo costruttivo; ciò che nella Fenomenologia del<br />
1807 abbiamo ammirato, era la dialettica “in quanto esperienza della<br />
coscienza stessa”. Abbiamo visto nella Fenomenologia un tentativo filosofico<br />
per innalzare all’autocoscienza la coscienza immersa nell’esperienza; che la<br />
stessa coscienza che vive l’esperienza si rigiri, per così dire, su se stessa e<br />
si obblighi essa stessa a comprendersi, che essa tematizzi la propria<br />
ingenuità, ecco l’impresa più difficoltosa”.<br />
Sono abbozzati qui i principali temi che sarà necessario sviluppare<br />
per cominciare a intendere il senso della Hegelforschung hyppolitiana.<br />
Innanzitutto il concreto assunto come metro di cernita nei confronti<br />
dell’opus hegeliano: l’attenzione è rivolta alla Fenomenologia in quanto è<br />
vista come “l’opera più concreta e più ricca di Hegel”. In secondo luogo<br />
l’autocoscienza intesa come “riflessione sull’esperienza concreta”; in terzo<br />
luogo una certa presa di posizione contro “la dialettica in quanto processo<br />
costruttivo” 75, ossia un atteggiamento critico nei confronti del sistema<br />
hegeliano della maturità. Infine la consapevolezza di essersi posto come<br />
interprete di Hegel, in un momento storico peculiare, per cui la propria<br />
opera assume un significato culturale nuovo, in una Francia che fino ad<br />
allora era rimasta pressoché sorda alla voce del filosofo tedesco.<br />
1. Oltre Wahl<br />
inadatto a caratterizzare questo tipo di speculazione! Quel che interessa il nostro pensatore è<br />
scoprire lo spirito di una religione o di un popolo, e creare nuovi concetti idonei ad esprimere la<br />
vita storica dell’uomo, la sua esistenza in un popolo o in una storia. In questo Hegel è<br />
impareggiabile, e gli scritti giovanili ci mostrano il suo sforzo schietto e genuino per pensare la vita<br />
umana”. Il riferimento a Husserl, anche qui, serve come introduzione a una indiretta polemica<br />
anti-wahliana: come mi ingegnerò a mostrare nel seguito di queste pagine, il dire che gli scritti<br />
giovanili di Hegel non sono tanto “teologici” quanto piuttosto “storici” è il crinale che<br />
consapevolmente divide Hyppolite dal suo predecessore negli studi hegeliani.<br />
75Può stupire che si critichi Hegel accusandolo di adottare un metodo come quella costruzione che,<br />
invero, Hegel ha sempre duramente rifiutato per la sua estrinsecità. In effetti, a parte l’infelice<br />
formulazione, Hyppolite non ha certo in mente qui un’accusa di questo genere; volendo essere un<br />
po’ spicci, si potrebbe dire che avrebbe dovuto dire - ad onore della chiarezza - processo<br />
”necessario “ e non “costruttivo”.<br />
41
Il primo saggio dedicato da Hyppolite a Hegel 76potrebbe essere<br />
definito un’opera di colta divulgazione: informare il pubblico francese dei<br />
più recenti sviluppi intorno al lavoro storiografico ed interpretativo di area<br />
tedesca - soprattutto Theodor Haering 77 - relativo al pensiero giovanile di<br />
Hegel. Ma non si tratta di una scelta neutrale. Ponendosi nell’umile<br />
posizione del divulgatore, Hyppolite - che non è certamente ancora uno<br />
studioso conosciuto nella Francia di quegli anni -, si fa forte delle<br />
conclusioni di una autorità negli studi hegeliani per iniziare a porre un suo<br />
proprio punto di vista nel panorama dello hegelismo francese.<br />
Anche ad una sommaria scorsa all’apparato di note del saggio,<br />
risulta che l’unico connazionale preso in una certa considerazione da<br />
Hyppolite è Jean Wahl. D’altronde anche la stessa scelta dell’argomento - i<br />
lavori dello Hegel giovane - indica la precisa volontà, da parte di Hyppolite,<br />
di inserirsi nell’atmosfera della Hegelrenaissance diltheyiana e wahliana in<br />
particolare. Certo, in quel momento in Francia, era quella quasi l’unica aria<br />
respirabile nel microcosmo-Hegel; ma Hyppolite vi si inserisce in maniera<br />
innovativa.<br />
Le prime righe del saggio, invero, non danno adito ad eccessive<br />
speranze: ”per molto tempo la filosofia hegeliana è stata giudicata un<br />
“panlogismo”. Oggi più nessuno sostiene questa tesi [...].Nessuno oggi<br />
pensa più ad adottare integralmente il sistema hegeliano. Tuttavia lo<br />
hegelismo è ancora vivo. Ci sono in esso tendenze che si sono sviluppate<br />
dopo la morte di Hegel e che si sviluppano ancora oggi” 78. Difficile pensare<br />
a qualcosa di più wahliano: il sistema dello Hegel “maturo” preso nella sua<br />
integralità non contiene nulla di vivo giacché soffoca nella sua armatura<br />
concettuale quelle “tendenze” che, invece, restituiscono delle analisi<br />
concrete ancora estremamente attuali; sono queste che riscattano Hegel<br />
dall’accusa di essere un panlogista, ma possono essere scoperte solo alla<br />
76Si tratta di Hyppolite 1935.<br />
77Il saggio hyppolitiano è interamente basato sul lavoro di questo studioso tedesco. Si tratta di Th.<br />
Haering, Hegel, sein Wollen und sein Werk, Teubner, Leipzig, 1929.<br />
78Hyppolite 1935, pp. 399 - 400.<br />
42
luce degli scritti giovanili. “L’evoluzione giovanile di Hegel rivela le<br />
preoccupazioni concrete e pratiche del suo pensiero, il suo interesse quasi<br />
esclusivo per il problema religioso. Prima di creare un sistema filosofico<br />
fortemente strutturato, nel quale tutte le idee del suo tempo trovano la loro<br />
collocazione, Hegel ha studiato la storia del cristianesimo, delle sue origini<br />
e delle sue trasformazioni” 79. E qui, davvero, col riferimento al “problema<br />
religioso”, per cui ciò che di buono c’è in Hegel è solo il “romantico” e il “<br />
mistico” che ancora sfugge alle costrizioni logicistiche della strutturazione<br />
del sistema, Hyppolite pare proprio ripetere Wahl. Che cosa c’è di nuovo,<br />
allora, nel suo discorso? Innanzitutto, egli prende le distanze, sulla scorta<br />
di Haering, dalla tesi diltheyiana di un “panteismo mistico” di Hegel: a<br />
Hyppolite piace rilevare che, proprio a partire dall’analisi dei testi dello<br />
Hegel giovane, è possibile riscontrare una continuità di fondo<br />
nell’evoluzione speculativa del filosofo di Stoccarda, continuità che<br />
evidenzia la profonda originalità di questo pensiero, centrato fin da subito<br />
non sulle influenze che, di volta in volta, gli potevano provenire da Kant, da<br />
Fichte, da Hoelderlin, da Schelling o da altri pensatori romantici o pre-<br />
romantici, ma, invece, su un corpo di problemi che è specificamente suo.<br />
Hyppolite è risoluto e, parlando dei frammenti tubinghesi, afferma a chiare<br />
lettere che se qui Hegel sottolinea il valore della religione nella vita degli<br />
uomini, ciò, “non deve d’altronde per niente voler dire che per Hegel, ora o<br />
più tardi essa costituisca un misticismo” 80. Ciò che interessa a Hyppolite -<br />
e che fa la novità, in Francia, del suo discorso - è mettere a fuoco che<br />
79Ivi, pp. 403 - 4.<br />
80Ivi, p. 407. Chiaramente il discorso di Hyppolite è più circostanziato e si inserisce in maniera<br />
precisa nella distinzione hegeliana fra religione soggettiva e religione oggettiva; questo non<br />
esclude, tuttavia, il senso generale della sua affermazione. D’altronde questo giudizio rimarrà<br />
definitivo. Una citazione :”Il pensiero originale di Hegel si forma proprio in questo riflettere sulla<br />
religione - una riflessione che in lui non ha nulla di particolarmente mistico”, Hyppolite 1989<br />
(=1946), p. 655. A conclusione dell’ “avertissement du traducteur” posto in testa alla sua<br />
traduzione francese della Fenomenologia Hyppolite, in implicita polemica con Wahl, scrive: “La<br />
Fenomenologia vale per il suo contenuto, e deve immergersi in esso. Essa è una conquista del<br />
concreto che il nostro tempo, come tutti i tempi senza dubbio, cerca di ritrovare in filosofia. Per<br />
Hegel il concreto non è il sentimento o l’intuizione del concreto opposti al pensiero discorsivo: esso<br />
è il risultato di una elaborazione, di una riconquista riflessiva di un contenuto che la coscienza<br />
sensibile, che si crede così ricca e così piena, in effetti lascia sempre scappare”.<br />
43
l’originalità e la concretezza della speculazione hegeliana sta nel suo essere<br />
orientata verso la storia e i suoi problemi.<br />
Hyppolite ritiene della lezione wahliana il privilegiamento del<br />
concreto; ma, ora, questo non è più riconosciuto nella extra-razionalità<br />
dell’esperienza religiosa, bensì nell’attenzione ai fenomeni storici. “Il<br />
problema di Hegel sarà precisamente quello del valore spirituale di una<br />
religione positiva o storica. Il ``positivo`` di una religione coincidendo<br />
effettivamente col dato specificamente storico, è verso la storia che si<br />
orienterà la riflessione di Hegel, storia della religione giudaica, storia di<br />
Gesù, dell’avvento e dello sviluppo del cristianesimo. Come in tutta la sua<br />
filosofia, Hegel cerca fin d’ora di stabilire un legame tra il pensiero e la<br />
storia” 81.<br />
Come è evidente da questo passo del primo saggio hyppolitiano,<br />
allo studioso francese preme evidenziare che fin dal primo momento il genio<br />
di Hegel è orientato decisamente verso i problemi storici e che questo sforzo<br />
di pensare la storia non è episodico, ma caratterizzante ab imo il filosofare<br />
hegeliano nella sua interezza.<br />
In conclusione, se è legittimo- e, anzi, doveroso - leggere nei lavori<br />
giovanili di Hegel un interessamento alla questione del valore e del peso<br />
dell’esperienza religiosa, ciò per Hyppolite, non va interpretato nella<br />
direzione di una religiosità hegeliana che costituirebbe la vera anima del<br />
suo pensare, ma, invece, deve essere compreso alla luce dell’esigenza<br />
hegeliana di dare un senso ai fenomeni spirituali quali si danno nella<br />
concretezza della storia.<br />
Questo pensiero viene articolato da Hyppolite anche ponendo a<br />
confronto le attitudini speculative di Hegel e di Schelling. Si è già visto<br />
come Hyppolite, sulla scia dello Haering, si preoccupi di mettere in rilievo<br />
l’originalità del genio hegeliano; questa operazione è condotta, appunto,<br />
soprattutto nel mostrare come Hegel si mantenga fin dall’inizio<br />
81Hyppolite 1935, p. 411. Corsivo mio.<br />
44
indipendente dalle suggestioni che gli provenivano dal suo più giovane e<br />
precoce compagno di studi. La comparazione tra i due è, anzi, quasi il filo<br />
conduttore del saggio hyppolitiano, soprattutto della seconda parte di esso.<br />
Seguire, anche solo brevemente, Hyppolite in questa disamina è<br />
particolarmente utile per cogliere nel suo nascere il peculiare atteggiamento<br />
dello studioso francese sia riguardo alla concezione della dialettica<br />
hegeliana, sia, più in particolare e in maniera direttamente attinente allo<br />
scopo del mio lavoro, in riferimento al costituirsi in Hegel dell’idea di una<br />
Fenomenologia dello Spirito.<br />
La differenza tra Hegel e Schelling è, per Hyppolite, una differenza<br />
di impostazione problematica :”Hegel, al contrario di Schelling è partito da<br />
riflessioni sulla storia, da analisi concrete sulla coscienza religiosa” 82;<br />
mentre, dunque, Hegel aveva focalizzato la sua attenzione intorno a<br />
“problemi concreti ed empirici, a questioni di storia religiosa”, Schelling era<br />
preoccupato “di metafisica e di filosofia della natura” 83. Se, allora, Schelling<br />
può considerarsi un pensatore la cui intuizione originale è una intuizione<br />
della natura, Hegel, al contrario, “ha meditato unicamente sui fenomeni<br />
spirituali: egli ha studiato, nella storia religiosa, le opposizioni e i conflitti<br />
propri di ogni vita spirituale” 84. Ecco precisarsi la peculiarità del ricercare<br />
hegeliano: le opposizioni e i conflitti interni ai fenomeni storici spirituali.<br />
“Fin dalle origini del suo pensiero, Hegel si applica a questo problema<br />
concreto: quale relazione vivente può esistere tra l’uomo e Dio[...], tra<br />
l’uomo e l’uomo, tra l’uomo e la sua città, tra l’amante e l’amato. Pensando<br />
queste relazioni spirituali, Hegel determina con precisione la loro struttura,<br />
il movimento attraverso il quale i termini si oppongono o si uniscono nella<br />
totalità” 85. E’ in questo movimento che, per Hyppolite, Hegel ha iniziato a<br />
scorgere una struttura dialettica nei fenomeni spirituali, struttura nella<br />
quale “le opposizioni concrete sono conciliate in una totalità vivente” che,<br />
82Ivi p. 420.<br />
83Ivi, p. 402.<br />
84Ivi, p.574.<br />
85Ivi, pp. 568 - 9.<br />
45
per lui, è :”una realtà empirica, un popolo per esempio o un gruppo sociale<br />
in generale” 86.Qui Hyppolite nota un più profondo livello di differenziazione<br />
tra Hegel e Schelling. Il primo concepisce nella dialetticità dei fenomeni<br />
spirituali una totalità vivente intesa come assoluto conciliatore di<br />
opposizioni concrete; il secondo, cui interessa il problema ontologico,<br />
prendendola a prestito da una intuizione della natura, “giunge a una<br />
concezione dell’assoluto in cui vengono ad inabissarsi insieme il soggetto e<br />
l’oggetto” 87. Tra i due il divario più autentico sta nel come, partendo da due<br />
differenti ambiti problematici, essi sono arrivati a pensare e caratterizzare<br />
l’assoluto: “in Schelling, prima è l’identità; essa è come l’armonia colta<br />
intuitivamente nelle cose; in Hegel, l’esperienza fondamentale è quella della<br />
opposizione, della coscienza infelice” 88.<br />
Ed ecco che, quasi inaspettatamente, si fa presente, nella<br />
caratterizzazione dell’assoluto hegeliano, il riferimento al Leitmotiv<br />
dell’interpretazione wahliana, alla coscienza infelice. D’altronde Hyppolite è<br />
esplicito: “come così nettamente è stato marcato da Jean Wahl, la<br />
coscienza infelice è al cuore del sistema hegeliano; lo stato d’animo di un<br />
Kierkegaard è stato previsto da Hegel e assorbito, senza essere negato, nel<br />
suo sistema” 89. Siamo qui, in verità, di fronte al secondo importante<br />
aspetto della ricezione hyppolitiana della lezione di Wahl: quando si<br />
tratterà di parlare del ruolo del negativo all’interno della dialettica<br />
hegeliana, Hyppolite non cesserà - come avremo modo di verificare - di<br />
riferirsi al topos wahliano della coscienza infelice come “cifra” di ciò che è il<br />
negativo nel discorso hegeliano. Certamente, questa è una conseguenza,<br />
anche in Hyppolite, della tendenza tipica di tutto lo hegelismo francese di<br />
questo periodo - e, d’altra parte, questo è molto “francese” in generale 90 -,<br />
86Ivi, p. 550.<br />
87Ibidem.<br />
88Ivi, p. 577.<br />
89Ivi, p. 570. Il riferimento preciso, essendo qui menzionato Kierkegaard, è, per i motivi<br />
suaccennati (cfr. supra p. 22, nota 47), a Wahl 1931.<br />
90Interessante, a questo proposito, la noterella che Hyppolite inserisce in Hyppolite 1957A, p.<br />
235): “In Francia, amiamo legare la filosofia alla letteratura...”.<br />
46
di ricercare un volto “concreto” ai talvolta scabri passaggi dialettici del<br />
procedere (e dello scrivere) hegeliano.<br />
Il ruolo della negatività nell’assoluto, dunque. Hyppolite insiste nel<br />
rilevare che è a questo proposito che si manifestano, tra Schelling e Hegel,<br />
le differenze essenziali. “Per Hegel, la totalità dialettica lascia sussistere in<br />
sé la diversità” 91, e sarà proprio “di non aver preso abbastanza sul serio la<br />
negazione” che “nella Fenomenologia, Hegel accuserà Schelling” 92. Come si<br />
vede, dal confronto tra i due filosofi tedeschi, Hyppolite non può non<br />
giungere a tematizzare il luogo topico del loro divergere teoretico, la<br />
Fenomenologia dello Spirito e, in particolare, la prefazione all’opera:<br />
“prendendo poi coscienza delle profonde differenze delle loro concezioni,<br />
egli [Hegel] riprenderà la propria libertà e opporrà, nella prefazione alla<br />
Fenomenologia, all’assoluto di Schelling la propria idea di una sintesi<br />
vivente, a una filosofia la cui origine è una intuizione della natura, una<br />
filosofia la cui introduzione non può essere che una Fenomenologia dello<br />
Spirito” 93. Intorno a questo giro di pensieri può essere colto il senso<br />
autentico del primo saggio hyppolitiano. In esso Hyppolite ha centrato la<br />
sua attenzione sulla formazione del pensiero di Hegel, mirando in<br />
particolare a farne risaltare l’autonomia nei riguardi della speculazione<br />
schellinghiana; dal “paragone” dei due ingegni, a Hyppolite è interessato<br />
evidenziare, in definitiva, che “preoccupato di marcare l’originalità del<br />
proprio pensiero in rapporto a Schelling, Hegel, nel pubblicare la<br />
Fenomenologia, ha indicato le tappe della propria formazione, il ``cammino<br />
dell’anima`` prima di raggiungere la scienza. Questo cammino è stato per<br />
lui lo studio dei fenomeni spirituali e non quello dei fenomeni della<br />
natura” 94. Lo studio del periodo giovanile di Hegel è, allora, per Hyppolite,<br />
91Hyppolite 1935, p. 576.<br />
92Ivi, p. 570.<br />
93Ivi, p. 404.<br />
94Ivi, pp. 577-8. Tutto quest’insieme di argomentazioni sarà ripreso e approfondito in maniera<br />
autonoma da Hyppolite nel suo lavoro sulla filosofia della storia di Hegel (Hyppolite 1948), a<br />
conferma dell’atteggiamento ermeneutico hyppolitiano che ho iniziato a mostrare. Anche qui lo<br />
studioso francese insiste sul fatto che “Hegel resta vicinissimo al concreto; e il concreto è per lui<br />
[...] la vita umana quale gli si presenta nella storia” (Hyppolite 1980 - =1948 -, p. 314). Anche qui<br />
47
una preparazione allo studio della Fenomenologia: si tratta, qui, del terzo e<br />
decisivo aspetto dell’accoglimento dell’eredità wahliana. Hyppolite fu<br />
sensibile a quanto era stato auspicato dallo studioso francese nella<br />
prefazione alla sua opera principale: “La nozione capitale [...] è quella di<br />
coscienza infelice. Queste considerazioni, mentre ci sospingono alla lettura<br />
delle opere della maturità di Hegel [...], ci riconducono ai suoi scritti<br />
giovanili. Il problema [...] della trasformazione dell’infelicità in felicità è la<br />
radice comune della Filosofia della Storia, della Filosofia della Religione,<br />
dell’Estetica, della Logica” 95. Wahl non ha davvero compiuto questa verifica,<br />
alla luce della problematica della coscienza infelice quale si evince dalle<br />
Jugendschriften, sugli scritti della maturità di Hegel. Nemmeno Hyppolite,<br />
d’altronde: egli, rispetto a questo virtuale progetto di lavoro, compie una<br />
ben precisa duplice delimitazione di campo, funzionale alla specificità dei<br />
suoi interessi. Da un lato - lo abbiamo visto - gli preme lumeggiare la<br />
fondamentalità, per la comprensione della filosofia hegeliana,<br />
dell’attenzione all’aspetto per cui essa fin da principio si è indirizzata al<br />
tentativo di comprendere i fenomeni storici; e lo studio dei frammenti<br />
giovanili di Hegel gli serve, da questo punto di vista, non, come invece<br />
aveva fatto Wahl, per evidenziare la problematica della coscienza infelice,<br />
ma per scoprire il volto di uno Hegel studioso dei fenomeni spirituali;<br />
dall’altro lato lo scavo critico sugli scritti giovanili gli è funzionale per<br />
introdurre non alle opere della maturità, ma solo alla Fenomenologia dello<br />
Spirito 96. Attenzione, però: non si tratta, per Hyppolite, semplicemente di<br />
documentare attraverso le Jugendschriften le tappe della formazione<br />
spirituale di Hegel quali verranno poi organizzate nella Fenomenologia. Per<br />
lo studioso francese “tutti i problemi storici posti da Hegel durante il<br />
periodo della sua formazione diventeranno nella Fenomenologia momenti<br />
rileva che “l’esperienza delle totalità storiche è indubbiamente l’esperienza fondamentale di Hegel,<br />
quella che egli tenterà di inserire nell’idealismo tedesco”.<br />
95Wahl 1972 (=1929), p. 3.<br />
96Hyppolite 1948 costituisce una parziale eccezione. Eccezione perché in questo libro Hyppolite<br />
utilizza l’esame degli scritti giovanili come introduzione alla filosofia hegeliana della storia quale si<br />
trova sviluppata nel sistema della maturità. Parziale perché - come vedremo - la lettura<br />
hyppolitiana della Fenomenologia ha molto a che fare con questa filosofia della storia.<br />
48
della coscienza, tappe sulla grande ruota dell’esperienza umana. Hegel [...]<br />
è partito col riflettere sulla storia, con analisi concrete sulla coscienza<br />
religiosa. Tuttavia egli non si arresta all’avvenimento storico. L’avvenimento<br />
è un esempio, il segno di uno stato di coscienza ch’egli vuole<br />
esprimere” 97.Lo studio della storia è funzionale, in Hegel,<br />
all’approfondimento di “una analisi antropologica della coscienza” 98.<br />
Qui termina la parabola interpretativa del primo saggio<br />
hyppolitiano, importante soprattutto per capire in che maniera Hyppolite si<br />
sia inserito nel campo degli studi hegeliani in Francia e in quale direzione<br />
abbia cominciato a ri-orientarli.<br />
Già in questo primo lavoro Hyppolite accenna a un procedimento<br />
di pensiero di Hegel per cui la problematica storica assurge al ruolo di<br />
exemplum di uno stato di coscienza. Ma è nella seconda pubblicazione dello<br />
studioso francese che si incomincia a tematizzare la questione del legame<br />
fra storia e coscienza 99.<br />
2. La presa di coscienza: verso la Fenomenologia<br />
Mi sembra esatto dire che il tema specifico del saggio è<br />
approfondire il pieno significato di ciascuno di questi due concetti - storia e<br />
coscienza - e della relazione che intercorre tra loro, a partire dalla<br />
97Hyppolite 1935, p. 420.<br />
98Ivi, p. 414. Questo particolare problema - la relazione tra itinerario di formazione di Hegel da un<br />
lato e, dall’altro, cammino dialettico della coscienza nella Fenomenologia - sarà ripreso e risolto<br />
compiutamente da Hyppolite solo nella sua opera maggiore, Genesi e struttura della<br />
“Fenomenologia dello spirito” di Hegel. V. più avanti (cap. III, pp. 107 e sgg., in partic. p. 110) la<br />
mia esposizione.<br />
99Si tratta di Hyppolite 1938. In Hyppolite 1957A, pp. 231-41, scrive: “il mio articolo più<br />
significativo su Hegel è stato Vita e Coscienza della Vita del 1937 [fu pubblicato l’anno seguente]<br />
nel quale mostravo come la vita umana si interpreti essa stessa e come questa interpretazione di<br />
sé [...] sia la storia stessa”. L’articolo più significativo: ciò significa che nella consapevolezza di<br />
Hyppolite il nesso storia - (auto) coscienza è decisivo per comprendere Hegel. Più avanti (tutto il<br />
cap. III della mia tesi ne sarà l’illustrazione) mostrerò come questa tesi hyppolitiana sia uno dei<br />
motivi conduttori del suo commento e della sua interpretazione della Fenomenologia.<br />
49
considerazione dell’ambito di questioni che si agitano nella speculazione<br />
jenese di Hegel 100.<br />
Già uno sguardo molto esteriore - si passa dallo studio del periodo<br />
di Tubinga, Berna e Francoforte allo studio del periodo jenese - induce a<br />
pensare che Hyppolite stringa i tempi 101 per arrivare all’analisi dell’opera<br />
hegeliana che veramente gli interessa, la Fenomenologia dello spirito.<br />
Il titolo del saggio non deve trarre in inganno: trattando di “vita e<br />
presa di coscienza della vita” a Hyppolite non preme prendere in esame un<br />
nuovo aspetto - quello della filosofia della natura - della filosofia di Hegel;<br />
di nuovo il riferimento è al paragone con Schelling: “la speculazione<br />
hegeliana sulla vita è diversa da quella di Schelling. Per lui si tratta meno<br />
della vita nel senso biologico del termine che della vita dello spirito” 102.<br />
L’intento hyppolitiano è sempre quello di rimarcare che la chiave<br />
interpretativa della filosofia hegeliana è il tener conto che essa vuole<br />
originariamente e principalmente essere un pensiero della vita umana nella<br />
sua integralità.<br />
Negli scritti jenesi, però, Hyppolite riscontra una novità rispetto ai<br />
primi scritti hegeliani: se lì si trattava di una “descrizione della condizione<br />
umana” 103, a Jena Hegel vuole “pensare questa vita che egli aveva solo<br />
descritta” 104. Se, dunque, Hyppolite vuole mettere in luce lo sforzo<br />
hegeliano di stabilire un legame tra il pensiero e la storia, si tratta ora per<br />
lui di esplicitare la costituzione d’essere del primo dei due termini in<br />
100Hyppolite si serve: 1) della Jenenser Logik, Metaphisik und Naturphilosophie avendo sotto mano<br />
sia la prima edizione curata da H. Ehrenberg e H. Link, Hegel’s Erstes System, Heidelberg, 1915,<br />
sia l’edizione curata da G. Lasson, G. W. F. Hegel, Jenenser Logik, Metaphisik und<br />
Naturphilosophie, Leipzig 1923; 2) della Jenenser Realphilosophie nell’edizione curata da J.<br />
Hoffmeister, Leipzig 1931-32; 3) della Phaenomenologie des Geistes nell’edizione del Lasson.<br />
101In Hyppolite 1967, egli confessa che la sua attenzione per gli scritti jenesi anteriori alla<br />
Fenomenologia non fu così approfondita come - trent’anni dopo - egli si rendeva conto avrebbe<br />
dovuto essere. Scrive (p. 312): “Se rifacessi - e come lo vorrei! - Genesi e Struttura della<br />
Fenomenologia dello Spirito, lo rifarei di sicuro sotto una forma assai diversa e terrei conto di tutta<br />
questa filosofia di Jena, e forse allora arriverei a risolvere certi problemi che questo testo pone,<br />
particolarmente quello dei rapporti che esso ha con la storia”.<br />
102Hyppolite 1938, p. 46.<br />
103L’espressione è ardita, in riferimento a Hegel. Ma forse Hyppolite si lascia un po’ andare ad<br />
un’implicita citazione: La Condizione Umana di Malraux fu pubblicata nel 1933.<br />
104Hyppolite 1938, p. 46.<br />
50
questione. A questo compito Hyppolite non si accinge in maniera astratta,<br />
ma seguendo l’effettivo procedere di Hegel.<br />
A Jena, allora, Hyppolite vede emergere in primo piano lo sforzo<br />
intellettuale di Hegel per pensare la vita, quella vita dello spirito la cui<br />
caratteristica peculiare è di presentarsi come insieme di relazioni viventi.<br />
Lo studioso francese individua nel concetto hegeliano di infinità il termine<br />
medio che rende comprensibile la relazione che sussiste fra vita e pensiero:<br />
“l’infinità è dunque il termine medio che rende la vita pensabile e la<br />
relazione vivente, ciò in cui si identificano problema della conoscenza e<br />
problema della vita” 105. L’infinità, “non separazione, immanenza vivente del<br />
tutto e delle parti” 106 è l’autentica essenza della vita. Pensare la vita è<br />
pensare l’infinità, questa “attività interiore che suppone in sé, per negarla,<br />
la divisione e l’opposizione” 107. Nell’impegno hegeliano per pensare la vita,<br />
Hyppolite riconosce il nascere della dialettica, di ciò che è peculiare, cioè,<br />
del pensiero hegeliano: “ogni determinato si nega nel suo altro, ma anche si<br />
ritrova in lui, giacché il suo altro si nega in lui. E l’infinito, il tutto di questo<br />
duplice movimento, non deve essere posto lui stesso come un al di là mai<br />
raggiunto. L’unità della relazione suppone la distinzione dei termini che<br />
essa riunifica. Poiché questa unità è l’atto di trascendere, non la<br />
trascendenza, dove i termini distinti sparirebbero. Così, nella relazione in<br />
quanto infinita, tutto è vita e movimento. Questa vita della relazione è la<br />
dialettica” 108.<br />
In tutto questo Hyppolite vede una immagine mistica, quella di un<br />
assoluto che, per esser tale, accoglie in sé la divisione e la scissione. Ma:<br />
“questa immagine mistica si traduce in Hegel nell’invenzione di un pensiero<br />
dialettico, e questo pensiero vale per l’intensità dello sforzo intellettuale che<br />
esso realizza in effetti. L’originalità di Hegel non è tanto nell’immagine<br />
mistica, quanto piuttosto nella traduzione concettuale che egli ne dà” 109.<br />
105Ivi, p. 51.<br />
106Ivi, p. 48.<br />
107Ivi, p. 50.<br />
108Ivi, p. 51.<br />
109Ivi, p. 50.<br />
51
Ritorna qui la critica hyppolitiana alla dipintura “romantica e mistica” che<br />
di Hegel aveva dato, alla scuola di Dilthey, Jean Wahl. Ma ciò che è più<br />
interessante è che qui il tono della critica è quello che per primo in Francia<br />
aveva usato Alexandre Koyré 110. A me sembra che il peso teoretico del<br />
contributo di Koyré sia qui molto più rilevante di quanto possa giudicarsi<br />
dal fuggevole accenno che Hyppolite gli dedica in una nota del suo saggio.<br />
Si tratta proprio della impostazione problematica dello scritto hyppolitiano:<br />
saggiare, nella dialetticità della sua struttura, il rapporto tra pensiero e vita<br />
dello spirito, è, infatti, per Hyppolite, cogliere “il ruolo essenziale di una<br />
presa di coscienza della vita tramite il pensiero” 111;se, dunque per<br />
Hyppolite, “la presa di coscienza ha nella dialettica hegeliana un ruolo<br />
creatore e motore” 112, è proprio in Koyré che troviamo impostata la<br />
questione della dialettica in termini di “presa di coscienza”: “sulla strada<br />
che dal Systemfragment francofortese conduce alla Fenomenologia dello<br />
spirito, noi osserviamo, concretamente realizzata, la tecnica della ``presa di<br />
coscienza``, che costituirà il motore dialettico della Fenomenologia” 113.<br />
Hyppolite, perciò, lavora su uno spunto che gli viene da Koyré e,<br />
su questa strada esplicita la relazione tra coscienza e storia nella<br />
Fenomenologia che, - come abbiamo visto sopra - nel saggio del 1935 è solo<br />
accennata.<br />
Come il rapporto tra vita e presa di coscienza della vita si<br />
approfondisca in quello tra storia e coscienza è visto da Hyppolite nella<br />
quarta parte del saggio.<br />
110V. le pagine iniziali del suo saggio sullo Hegel jenese. Hyppolite mostra di conoscere il lavoro del<br />
filosofo russo e in una nota del suo saggio (nota 1 p. 47) riconosce che, nell’interpretare la<br />
fondamentale ispirazione del pensiero hegeliano “Koyré arriva ad una conclusione simile alla<br />
nostra, prendendo in considerazione la concezione hegeliana del tempo e `` la prevalenza<br />
fondamentale dell’avvenire`` nel tempo hegeliano”. Ancora nel 1966, nelle note poste in appendice<br />
alla sua rinnovata traduzione della prefazione della Fenomenologia (G.W.F. Hegel, Préface de la<br />
Phénoménologie de l’esprit, Paris, 1966, cur. J. Hyppolite) il saggio Hegel à Iéna sarà l’unico studio<br />
citato espressamente da Hyppolite. Egli riconoscerà qui che il saggio di Koyré “ha molto ispirato<br />
gli hegelisti francesi” e che “esso contiene un notevole commento dei testi hegeliani di Jena” (Ivi, p.<br />
203).<br />
111Hyppolite 1938, p. 47. Corsivo mio.<br />
112Ibidem.<br />
113Koyré 1980 (=1934), p. 137.<br />
52
Egli mette subito in evidenza che il movimento dialettico della vita<br />
è un processo “che si sparpaglia e si dissolve nella falsa infinità numerica<br />
degli esseri viventi”: la vita nel singolo è semplicemente nella forma<br />
dell’universalità, come processo generativo in cui vita e morte non sono<br />
tenute insieme.” La presa di coscienza della vita è invece tutt’altra cosa che<br />
la vita stessa” 114.In essa il genere che essa è, è per lei stessa; singolarità e<br />
universalità coesistono nella medesima coscienza, la quale, proprio per<br />
questo, è autocoscienza. Che Hyppolite non ponga differenze concettuali tra<br />
le espressioni ”presa di coscienza della vita“ e “autocoscienza” è chiaro: fin<br />
da principio 115la duplice formulazione vuole solo illustrare il movimento<br />
concettuale hegeliano per cui il fenomeno della coscienza di sé o<br />
autocoscienza si compie distaccandosi dal processo della vita. Ma quello<br />
che interessa a Hyppolite è mettere in luce che in Hegel l’autocoscienza,<br />
pur procedendo a partire dalla vita, è in quella totale discontinuità con essa<br />
quale è marcato dalla sua esclusiva capacità di integrare in sé la totalità di<br />
quei momenti che nel processo della vita erano invece dispersi nella<br />
pluralità, risultato del movimento generativo. In altre parole,<br />
l’autocoscienza assume in sé la negatività della morte. Hyppolite non si<br />
sofferma qui ad approfondire le modalità ed il senso complessivo di questa<br />
integrazione, ma si premura di mostrarne la principale conseguenza:<br />
”l’autentica infinità è all’interno della presa di coscienza dell’immanenza del<br />
tutto all’interno di ogni momento individuale. Ora, questo sviluppo<br />
concreto di sé attraverso di sé, che solo la vita dello spirito realizza, è la<br />
storia” 116.La capacità da parte dell’autocoscienza di sopportare la<br />
negatività, di mantenersi nella morte, apre il campo dell’esperienza umana<br />
che si sviluppa in storia, integrazione autocosciente di tutti i momenti della<br />
vita. La storia, come “tempo concreto”, :”tempo della [auto-] coscienza” è la<br />
vera vita dello spirito 117, l’elemento autentico dell’esperienza umana. In<br />
114Hyppolite 1938, p.55.<br />
115Il saggio inizia con le parole :”il capitolo della Fenomenologia: l’autocoscienza....”.<br />
116Hyppolite 1938, p. 56.<br />
117Tutte queste espressioni, compresa quella per cui si dice che ”la storia è d’altronde sempre<br />
orientata verso il futuro” (cfr. Hyppolite 1938, p.56), non fanno altro che echeggiare le analoghe<br />
53
quest’etere la vita si precisa come storia e il movimento di presa di<br />
coscienza come autocoscienza 118. Se, dunque, per Hyppolite “l’esperienza<br />
fondamentale dello hegelismo è l’esperienza delle relazioni spirituali e del<br />
loro divenire” 119 come storia, questo divenire dialettico è reso possibile,<br />
nella lettura hyppolitiana, solo sul terreno dischiuso dalla coscienza che si<br />
fa autocoscienza, nell’esperienza umana della presa di coscienza. Da un<br />
lato, allora,. Hyppolite vuole mostrare che Hegel, teso alla comprensione<br />
della storia e della vita umana, ha avuto bisogno di una struttura<br />
concettuale dialettica proprio perché la dimensione della storia è tenuta<br />
aperta solo dall’autocoscienza, la quale soltanto compie in sé quel<br />
movimento della relazione infinita che costituisce l’anima della dialettica 120;<br />
dall’altro questo movimento dell’autocoscienza è letto da Hyppolite nel<br />
modo in cui la questione era stata impostata da Koyré: ”il movimento dei<br />
termini [di una relazione spirituale] all’interno di un tutto non è possibile<br />
che tramite la presa di coscienza che solleva l’immediatezza ed effettua la<br />
mediazione” 121; ossia: è secondo i modi del fenomeno specificamente<br />
umano della presa di coscienza che, specialmente, va letto il capitolo<br />
“autocoscienza” della Fenomenologia.<br />
Da tutto questo Hyppolite può ricavare, come frutto più maturo<br />
del percorso interpretativo all’interno del suo secondo saggio, una chiave di<br />
accesso alla lettura della Fenomenologia dello spirito: egli va accostandosi<br />
all’opera hegeliana del 1807 con la duplice convinzione: che lo spirito di cui<br />
vi si fa questione è, nella sua intima essenza, storia 122 e che il “soggetto<br />
espressioni contenute nel saggio di Koyré che, come abbiamo già visto, è il vero riferimento<br />
teoretico del secondo saggio hyppolitiano. Cfr. supra p. 47 e nota 38.<br />
118Quando (cfr. supra p. 48) scrivevo che “il rapporto tra vita e presa di coscienza della vita si<br />
approfondisce in quello tra storia e coscienza”, evidentemente, qui, “coscienza”, come opposta a<br />
“presa di coscienza”, è da prendere nel senso preciso di “autocoscienza” quale è venuto<br />
precisandosi nel prosieguo del discorso.<br />
119Hyppolite 1938, p. 60. Corsivo mio.<br />
120Cfr. ivi, p. 61 :”noi siamo nella storia umana ed è per la comprensione di questa storia e di<br />
questa vita umana che la dialettica hegeliana è stata inventata”.<br />
121Ivi, p. 60. Corsivo mio.<br />
122Cfr. ivi, p. 57: “Il compimento di tutta la filosofia dello spirito di Hegel durante il periodo di Jena<br />
è la concezione dello spirito come storia nella Fenomenologia”.<br />
54
assoluto” della storia non è altro che la “coscienza umana” nel suo<br />
movimento di presa di coscienza 123.<br />
Ho cercato fin qui di incominciare a chiarire che cosa potesse voler<br />
dire Hyppolite quando nel suo primo saggio parlava di una stretta<br />
associazione, nella Fenomenologia, tra analisi della storia e analisi<br />
antropologica della coscienza 124.<br />
Rimane ancora da esaminare, in questo capitolo, quale sia stato il<br />
significato culturale, nella Francia di quegli anni, dell’operazione<br />
interpretativa hyppolitiana. In questa indagine, per la quale mi soffermerò<br />
soprattutto sui rimanenti due scritti hyppolitiani apparsi prima della fine<br />
della II guerra mondiale 125, si tratterà di capire a quale urgenza storica<br />
Hyppolite abbia inteso rispondere con il suo lavoro di studioso.<br />
3. La libertà nella storia<br />
La Fenomenologia, a giudizio di Hyppolite, fu scritta in un periodo<br />
nel quale “il dogmatismo classico della verità eterna, insieme alla nozione<br />
di una coscienza trascendentale erano squassati dal divenire storico” 126.<br />
Un’epoca di transizione; quindi un momento che richiede un particolare<br />
sforzo di pensiero per cercare un senso nuovo da dare a quello che, in ciò<br />
che accade, va preparandosi. L’ultimo scorcio degli anni ‘30 è un tempo<br />
anch’esso di grossissimi sconvolgimenti e Hyppolite si sente chiamato in<br />
123Cfr. ivi, pp. 55-6. La parte finale del saggio è la prima messa in opera di questa modalità<br />
ermeneutica. Vi è, infatti, delineato uno schizzo di interpretazione del capitolo “autocoscienza”<br />
della Fenomenologia che vale la pena riportare per intero: “Nel capitolo della Fenomenologia<br />
sull’autocoscienza, noi vediamo trasporsi tramite la presa di coscienza la relazione immediata dei<br />
viventi in una relazione spirituale di due autocoscienze. E’ la dialettica universalmente ammirata<br />
del padrone e del servo. La relazione immediata di signoria e servitù diviene altro da ciò che era<br />
immediatamente. Il padrone esiste al suo proprio asservimento, mentre il servo, formando le cose,<br />
forma se stesso; egli diviene il padrone del padrone. La coscienza del servo ``fa in se stessa<br />
l’esperienza della potenza del negativo``; essa ha provato angoscia [...], ha provato la paura della<br />
morte, padrone assoluto. Presa di coscienza della paura e servizio reale sono le operazioni effettive<br />
che introducono la mediazione nella relazione immediata e ne fanno una relazione spirituale. La<br />
presa di coscienza di una tale relazione da parte di un Epitteto costituisce l’esperienza dello<br />
stoicismo”. Superfluo far rilevare l’insistenza sulla “presa di coscienza”.<br />
124Cfr. supra, nota 24.<br />
125Si tratta di Hyppolite 1939 e di Hyppolite 1940.<br />
126Hyppolite 1947A, p. 121.<br />
55
causa. Subito dopo la fine della guerra scriverà: “quando la storia invade<br />
tutto il campo del pensiero e dell’azione umana, bisogna andare fino alla<br />
radice di tale storia, fino all’esistenza dell’uomo che rende possibile questa<br />
storia stessa, e domandarsi, come ha fatto Hegel nella sua Fenomenologia,<br />
quali siano le condizioni dell’autocoscienza, cioè dell’esistenza stessa<br />
dell’uomo” 127. E’ una dichiarazione di estrema importanza. Anzitutto si<br />
scopre un Hyppolite che sente se stesso, per così dire, in sintonia spirituale<br />
con lo Hegel del 1807, affratellato quasi dalla simile esperienza della<br />
guerra. Ma la cosa più rilevante è il riconoscimento che l’esperienza<br />
filosofica dello Hegel della Fenomenologia ha il valore di un esempio da<br />
imitare nella direzione del conferimento di un senso alla storia 128.<br />
E’ significativo, da questo punto di vista, che i due scritti, quello<br />
del 1939 e quello del 1940, siano entrambi dedicati a segmenti dell’opus<br />
hegeliano nei quali il filosofo tedesco si cimenta con questioni in qualche<br />
modo concernenti l’oggettività dello spirito.<br />
Abbiamo già visto come Hyppolite consideri la riflessione sulla<br />
storia umana e sul suo senso spirituale il punto di partenza e il fulcro<br />
speculativo dell’intera parabola di formazione del pensiero di Hegel fino alla<br />
Fenomenologia 129. Ebbene, Hyppolite intende, col suo lavoro di meditazione<br />
sulla lezione hegeliana, ridare alla filosofia francese i mezzi per pensare la<br />
storia: “nelle ultime pagine della Fenomenologia Hegel rimarca che il<br />
problema nuovo che si pone alla filosofia non è più, come nel XVII secolo, la<br />
127Ivi, p. 107.<br />
128Ancora nel 1949 Hyppolite dirà: “Ci interessiamo alla filosofia di Hegel perché c’è, in questo<br />
pensiero, una filosofia della storia, uno sforzo per rivelare il senso ultimo della storia umana”<br />
(Hyppolite 1949, p. 147). In questo sforzo di trovare un senso per ciò che accade a partire dalla<br />
filosofia della storia di Hegel vede la maggiore originalità dello hegelismo francese uno dei critici<br />
che più si sono interessati all’argomento che affronto nella mia tesi, Michael Roth. V. il suo<br />
capitale studio da me citato come Roth 1988. Qui (p. 23) scrive: “lo hegelismo francese assurge a<br />
una straordinaria importanza culturale perché focalizza la sua attenzione sopra questo processo<br />
[quello attraverso il quale noi traiamo un senso dall’esperienza personale e collettiva] in un<br />
momento di crisi per la moderna capacità di trarre fuori un senso dallo sviluppo storico stretto in<br />
una spirale di intensa violenza”.<br />
129E anche oltre. Ma Hyppolite non si è quasi mai spinto - se non per la fondamentale eccezione<br />
della Wissenschaft der Logik - a studiare approfonditamente le opere hegeliane posteriori alla<br />
Fenomenologia. Ciò non toglie che sia sua convinzione - retaggio wahliano, come abbiamo visto<br />
(cfr. supra, pp. 37-8) - che la dialettica vivente delle opere giovanili sia la chiave per restituire al<br />
pensiero cristallizzato delle opere della maturità, il suo significato concreto.<br />
56
iconciliazione dello spirito e dell’estensione, ma quello dello spirito e del<br />
tempo. Questa riconciliazione si effettua attraverso la storia. Pensare la<br />
libertà dell’uomo nella storia, superando l’individuo separato, lo spirito<br />
solamente soggettivo, è dare al termine libertà un senso ben diverso da<br />
quello che la filosofia francese gli conferisce sforzandosi, al contrario, di<br />
rifiutare la storia, di pensare lo spirito al di fuori da essa per mezzo di un<br />
certo dualismo” 130. L’attualità spinge Hyppolite ad organizzare attorno al<br />
concetto di storia uno scavo speculativo alla ricerca del senso da (ri-)dare<br />
all’esistenza, alla libertà, alla socialità dell’uomo messe così brutalmente in<br />
gioco dagli avvenimenti bellici; una ricerca che ricava dallo Hegel rivelato<br />
dagli scritti giovanili che hanno preceduto il sistema - “uno Hegel che non<br />
cerca ancora di piegare la realtà alle esigenze di una idea preconcetta” 131 -<br />
una strumentazione concettuale che Hyppolite non teme di fornire al<br />
dibattito filosofico francese, perché affronti con migliori possibilità di<br />
successo le questioni sollevate dall’urgere degli accadimenti.<br />
Più precisamente, abbiamo cominciato a vederlo, il contributo di<br />
novità che Hyppolite vuole fornire, tramite Hegel, alla filosofia della sua<br />
nazione è quell’insieme di categorie che consentono di concepire<br />
storicamente la libertà, ossia di dare un senso umano alla storia. “Nei<br />
lavori hegeliani di quell’epoca (Tubinga e Berna) ci sembra di poter<br />
intravedere i germi di due concezioni molto diverse della libertà. Usando<br />
una terminologia moderna, parleremmo volentieri di una libertà al di fuori<br />
dello Stato e di una libertà nello Stato [...]. Nell’esitazione dello Hegel<br />
giovane, nell’ambiguità di certe sue formulazioni, scopriamo due concezioni<br />
che forse sono inconciliabili. Per una di queste, l’individuo è veramente<br />
libero quando si realizza in uno stato che è il suo proprio Stato. Non c’è più<br />
al di là, lo spirito è immanente alla propria opera terrestre, la volontà<br />
singola è realizzata nella volontà generale, in una nazione [...]. Oppure,<br />
130Hyppolite 1940, p. 80. Corsivo mio.<br />
131Hyppolite 1939, p. 45. Il giudizio di matrice wahliana per cui lo Hegel del sistema è uno Hegel<br />
deteriore rimane una costante in tutta la produzione hyppolitiana. Altrettanto l’idea per cui alla<br />
produzione “giovanile” - e, quindi, à la page - si può assegnare si può assegnare la produzione<br />
hegeliana fino alla Fenomenologia compresa. Ma cfr. infra, cap. III, nota 116.<br />
57
secondo l’altra concezione, lo Stato non è la realizzazione completa<br />
dell’uomo che deve riservarsi una libertà particolare al di fuori di esso [...].<br />
Queste due concezioni della libertà, l’una comunitaria, l’altra<br />
individualista, non arrivano ad assumere, in quei saggi di Hegel, una<br />
fisionomia precisamente individuata, e potremmo venire accusati di voler<br />
ritrovare in quegli abbozzi i più ossessionanti problemi contemporanei” 132.<br />
A proposito delle ultime parole di questo brano citato si potrebbe<br />
ben commentare: excusatio non petita... Ma è patente che il problema<br />
hegeliano di una sintesi che sia conciliazione di questi due aspetti (che<br />
sono l’espressione dei due momenti fondamentali della storia del mondo -<br />
città antica e mondo moderno) della libertà è altresì il problema che<br />
Hyppolite scorge per il proprio tempo. D’altronde egli è sincero ed esplicito:<br />
“Se noi dubitiamo della realtà della sintesi che Hegel ha voluto pensare, per<br />
contro non possiamo non essere sensibili alle opposizioni che egli si è<br />
sforzato di conciliare. Queste opposizioni, quella del cristianesimo e della<br />
città terrestre, quella dell’uomo privato e del cittadino, del mondo<br />
economico e dello Stato politico, sono ancora le nostre opposizioni” 133.<br />
Che Hyppolite veda in questa duplice interpretazione della libertà<br />
quale si dà nella storia non solo la questione filosofica che ha interessato<br />
Hegel, ma pure il problema cruciale del proprio momento storico, ha un<br />
significato speculativo generale; però ha anche un preciso e circostanziato<br />
valore culturale nella Francia di quegli anni. Infatti, alle due concezioni di<br />
libertà storica distinte sulla base del discorso hegeliano, Hyppolite fa<br />
corrispondere le due correnti filosofiche che in quel momento si<br />
132Hyppolite 1939, pp. 46-7. Corsivo mio.<br />
133Hyppolite 1940, p. 91. A queste parole fanno eco alcuni anni dopo quelle, assolutamente<br />
fondamentali per capire il milieu storico-culturale in cui si situa Hyppolite, di M. Merleau-Ponty:<br />
“Se non rinunciamo alla speranza di una verità al di là delle prese di posizione divergenti, e se, col<br />
sentimento più vivo della soggettività, soddisfiamo il voto di un nuovo classicismo e di una civiltà<br />
organica, non c’è, nell’ordine della cultura, compito più urgente che di ricondurre alla loro origine<br />
hegeliana le dottrine ingrate che cercano di dimenticarla. E’ di là che potrà essere trovato per esse<br />
un linguaggio comune e che potrà compiersi un confronto decisivo. Non che Hegel sia lui stesso la<br />
verità che noi cerchiamo [...], ma giustamente perché solo in questa vita e in quest’opera troviamo<br />
tutte le nostre opposizioni. Si potrebbe dire senza essere paradossali che dare una interpretazione<br />
di Hegel prendere posizione su tutti i problemi filosofici, politici e religiosi del nostro secolo”<br />
(Merleau-Ponty 1946, pp. 1311-2). Le “dottrine ingrate” di cui si fa qui menzione sono,<br />
evidentemente il marxismo e l’esistenzialismo.<br />
58
disputavano la scena culturale francese: l’esistenzialismo e il marxismo 134.<br />
Ed è proprio in questo confronto tra le due principali tendenze di pensiero<br />
allora vive in Francia da una parte, e le suggestioni hegeliane dall’altra, che<br />
Hyppolite legge la caratteristica peculiare del suo approccio a Hegel:<br />
“l’originalità dello hegelismo francese fu precisamente che, essendo tardivo,<br />
veniva in un’epoca in cui incontrava dei movimenti nuovi che si erano<br />
inizialmente presentati come anti-hegeliani e in cui, dunque, poteva<br />
ricondurre questi movimenti alla loro origine e interpretarli in rapporto ad<br />
essa. Questi due movimenti furono l’esistenzialismo (ateo o cristiano) e il<br />
marxismo” 135.<br />
In gioco, dunque, è l’interpretazione da dare alla storia e al suo<br />
senso, alla libertà storicamente dantesi. Nella speculazione della filosofia<br />
dell’esistenza, Hyppolite trovava il concetto di storicità. Jaspers l’aveva<br />
pensata come quella dimensione temporale dell’esistenza umana di cui ci si<br />
impossessa conferendo un senso al passato allorché ci si confronta col<br />
futuro come possibilità progettuale; e l’aveva connessa strettamente alla<br />
particolarità dell’individuo che, nelle sue esperienze e nei suoi progetti, è<br />
134”Le due più importanti influenze intellettuali sull’interpretazione di Hegel che Hyppolite iniziò a<br />
formulare a partire dalla metà degli anni ‘30 furono l’esistenzialismo e il marxismo. La sua<br />
personale lettura non fu né esistenzialista né marxista, comunque. Piuttosto che tentare di<br />
sintetizzare queste influenze in un neo-hegelismo modernizzato, Hyppolite si sforzò di creare il<br />
terreno per un dialogo reciproco” (Roth 1988, p. 29). In questo senso si può comprendere una<br />
ammissione di questo tenore: “Noi vediamo oggi nello hegelismo un centro di interesse perché è in<br />
rapporto ad esso che noi tentiamo di comprendere i movimenti filosofici contemporanei, da<br />
Kierkegaard a Marx fino ai loro discepoli ancora più vicini a noi” (Hyppolite 1949, p. 147).<br />
135Hyppolite 1957A, p. 234. Si noti la consonanza col giudizio di Merleau-Ponty: cfr. supra, nota<br />
61.<br />
Hyppolite incominciò subito dopo la guerra ad interessarsi in modo attivo di Marx e di filosofia<br />
dell’esistenza. Ne sono testimonianza i saggi su Jaspers, in Dieu Vivant, n. 3 (1945); su Marxisme<br />
et philosophie, in Revue Socialiste, n. 5 (1946) e su La conception hégélienne de l’Etat et sa critique<br />
par Karl Marx, in Cahiers internationaux de Sociologie, n. 2 (1946).<br />
E’ interessante notare che questa valutazione è maturata molto presto in Hyppolite. Già in<br />
Hyppolite 1948A si legge: “noi abbiamo subito in Francia l’influenza di Hegel in un momento in<br />
cui la Germania e poi gli altri paesi europei avevano non solo cessato di subirla, ma avevano pure<br />
fortemente reagito contro di essa, così che - e questo è il paradosso - noi abbiamo potuto leggere<br />
Hegel alla luce di quanti pretendevano di superarlo e rifiutarlo”. Qui Hyppolite richiama, in nota,<br />
il contributo di un altro studioso francese, Georges Canguilhem. Si tratta di Canguilhem 1948-49.<br />
Qui, infatti, si legge: “Il fenomeno essenziale e originale [...] della situazione francese è la scoperta<br />
di Hegel. Hegel è entrato in Francia un secolo dopo la sua morte. Attualmente, i filosofi francesi<br />
sono tutti in grado, per la prima volta, di leggere seriamente, di studiare Hegel e dunque di risalire<br />
alla sorgente di quelle dottrine, marxismo ed esistenzialismo, di cui sono abbondantemente<br />
imbevuti” (p. 283).<br />
59
impegnato nel dare una continuità temporale sensata alla sua essenziale<br />
datità contingente. Una libertà, quindi, che si fa storica all’interno della<br />
storicità dell’esistenza radicalmente finita dell’uomo, che rimane un<br />
momento della situazione particolare (insulare) dell’individuo. In quest’idea<br />
della storicità della libertà, Hyppolite apprezza una capitale ricognizione<br />
della radicale finitezza della libertà umana ma anche un punto di vista da<br />
superare, da integrare: ”la storicità di ogni esistenza deve poter condurre<br />
alla storicità del dramma umano considerato nella sua interezza; alla storia<br />
che ci appartiene e ci è comune. Sarebbe necessario passare dalla storicità<br />
alla storia [...] senza ricadere nella banalità dell’idealismo filosofico o del<br />
positivismo; conservando, cioè, ciò che è autentico<br />
nell’esistenzialismo” 136.C’è, dunque, una lezione irrinunciabile nella<br />
filosofia dell’esistenza ed è il suo richiamo alla finitudine essenziale della<br />
libertà sempre in situazione, sempre particolarmente determinata, sempre<br />
irriducibile ad ogni situazione totalizzante e, al limite, totalitaria; ciò non<br />
toglie che, per Hyppolite oltre l’insistenza sulla storicità delle esistenze, ci si<br />
debba preoccupare anche del senso di tutta la storia umana, anche di una<br />
libertà che nasce e cresce sul terreno di una esperienza storica<br />
comunitaria.<br />
E nella Francia di quegli anni della conclusione del conflitto e<br />
dell’immediato dopoguerra - soprattutto per ragioni politiche, legate al<br />
ruolo preminente giocato dai comunisti durante la Resistenza - il testimone<br />
di un pensiero che metteva al centro il valore di una libertà non slegata<br />
dalla storia, ma, anzi, intessuta costitutivamente dei fili delle relazioni<br />
comunitarie, era passato decisamente nelle mani del marxismo. Hyppolite<br />
non fu insensibile al possibile proporsi del marxismo come “ponte tra<br />
136Hyppolite 1945, p. 585. Il passo è citato anche in Roth 1988: seguo quest’autore nel giudicare<br />
che qui Hyppolite valuta la filosofia dell’esistenza sulla base di una questione - la connessione tra<br />
individuo e comunità - che gli giunge tramite Hegel da Rousseau: ”come si può essere liberi se si è<br />
da soli? Come si può conservare la propria autentica libertà dandosi a una comunità?”; cfr. Roth<br />
1988, p. 31.<br />
60
storicità e storia” 137, teoria da cui attingere per integrare, dove necessario,<br />
la filosofia dell’esistenza.<br />
Se la questione è quella di una libertà storica, di una libertà che<br />
non si neghi alla dimensione dell’intersoggettività, Hyppolite nella filosofia<br />
marxista la trova tradotta nei termini del superamento nella società<br />
comunista dell’opposizione tra società borghese (dimensione della libertà<br />
privata come la concepisce il liberalismo economico) e stato politico:<br />
superamento che coincide da una parte con la soppressione della<br />
dimensione del politico, concepito come caduca soprastruttura<br />
dell’economico, dall’altra con l’assegnazione a quest’ultimo del compito<br />
politico di liberazione dagli egoismi individuali (caratteristici del<br />
liberalismo) che non possono più essere svolti dal soppresso stato<br />
borghese.<br />
Hyppolite non manca di notare che l’impostazione marxiana<br />
prende le mosse dalle analisi hegeliane intorno a stato e società borghese e<br />
che Hegel per primo si era reso conto dei problemi sollevati da questo<br />
dualismo. Ed è proprio a questo livello che si appunta la critica<br />
hyppolitiana alla soluzione marxista: “abbiamo il diritto di chiederci oggi se<br />
il dualismo del politico e dell’economico che Hegel aveva creduto in un<br />
primo momento di poter superare e che poi dovette riammettere, non si<br />
ritrovi sempre nel mondo moderno a dispetto della critica marxista.<br />
Sarebbe una curiosa rivincita di Hegel su Marx. Tutto ciò che Marx critica<br />
così giudiziosamente e profondamente nello Stato hegeliano, la borghesia,<br />
la separazione dell’uomo privato e del cittadino, sparirebbe allorché<br />
scomparissero le lotte di classe? Il conflitto dell’uomo contro l’uomo, le<br />
opposizioni delle nazioni, il movimento tragico della storia in generale, così<br />
bene messo in luce da Hegel come il tragico del destino umano, sono<br />
soltanto delle sovrastrutture o non sono piuttosto, più profondamente,<br />
137Ricavo l’espressione da Roth 1988, p. 34.<br />
61
caratteristiche della situazione umana?” 138. Hyppolite non crede che la<br />
struttura tragica della storia possa essere soppressa da una qualsiasi<br />
prassi rivoluzionaria. La sua distanza dal marxismo si misura, perciò,<br />
proprio su quella sottolineatura hegeliana - la necessità insormontabile del<br />
negativo quale anima motrice della storia - che maggiormente poteva fare<br />
breccia in un ambiente culturale sensibile alla lezione dell’esistenzialismo.<br />
Se, dunque, è nell’ottica del “tragico esistenziale” che, secondo<br />
l’insegnamento hegeliano, bisogna leggere la storia e non vale la<br />
convinzione marxista di una “pace e riconciliazione permanente”, allora, a<br />
questo riguardo, “un fenomeno filosofico come l’esistenzialismo [...] non è<br />
solo una moda passeggera”, ma il risultato di una autentica meditazione<br />
sulla storia 139.<br />
Risulta chiaro, a questo punto, l’intento culturale che ha mosso<br />
Hyppolite nel rivolgersi allo Hegel della Fenomenologia. Tenendo per fermo<br />
che “il problema centrale della filosofia francese negli anni ‘40” era “come<br />
creare una libertà che né degenerasse nel solipsismo di un esistente<br />
isolato, né collassasse ad opera di una anonima e potente collettività” 140,<br />
Hyppolite innesta il suo contributo nella ricerca di un terreno speculativo<br />
comune che consenta di far dialogare marxisti ed esistenzialisti; questo è<br />
trovato nello Hegel della Fenomenologia, la cui sostanza teoretica viene<br />
individuata in un processo di elevazione dell’individuo privato verso il livello<br />
universale dello spirito.<br />
Ma ciò ci conduce ad esaminare più da vicino le opere di Hyppolite<br />
direttamente collegate al lavoro di interpretazione della Fenomenologia dello<br />
138Hyppolite 1945A, p. 55. Questo breve scritto presenta in sintesi i temi essenziali<br />
dell’interpretazione hyppolitiana di Marx quale si dispiegherà nei due saggi del 1946 (cfr. supra,<br />
nota 63).<br />
139Cfr. Hyppolite 1945A, p. 55. Ancora in Hyppolite 1940, p. 79, lo studioso francese rimarca che<br />
la speculazione hegeliana sulla storia, anche quella più matura della Filosofia del Diritto del ‘21,<br />
può essere messa in consonanza con le tematiche della Existenzphilosophie: “la Filosofia del Diritto<br />
comincia con una capitale introduzione sul significato della libertà - introduzione generale ma che<br />
condensa tutta la filosofia hegeliana su l’universale concreto, sul rapporto che oggi potremmo dire<br />
esistenziale tra la libertà che trascende ogni situazione e la situazione particolare che sempre è<br />
quella dell’uomo e della storia”.<br />
140Roth 1988, p. 31.<br />
62
spirito. Tale indagine ci porterà nel cuore della Hegelforschung<br />
hyppolitiana.<br />
63
Capitolo terzo<br />
“Nel 1939 pubblicavo la traduzione di una prima metà della<br />
Fenomenologia, sulla quale stavo lavorando da dieci anni nell’ambiente di<br />
oscuri licei della provincia francese. La seconda parte sarebbe apparsa<br />
qualche anno più tardi, nel 1941. Nel 1946, infine, presentavo come tesi<br />
alla Sorbona un commentario della Fenomenologia dal titolo: Genesi e<br />
struttura della Fenomenologia dello spirito [...]. E’ nello stesso periodo che<br />
appaiono e si diffondono le grandi opere dell’esistenzialismo: L’essere e il<br />
nulla, La Fenomenologia della percezione [...]. I marxisti, dal canto loro,<br />
riscoprirono i lavori giovanili di Marx, in particolare i Manoscritti economico-<br />
filosofici. La filosofia hegeliana diventava il luogo d’incontro di fratelli<br />
nemici, gli esistenzialisti e i marxisti, e come questo luogo era loro comune,<br />
ben bisognava che gli uni e gli altri adattassero le loro posizioni<br />
attenuandone, senza confessarlo formalmente, la rigidità. Gli esistenzialisti<br />
dovevano uscire dalla loro libertà senza radici e senza storia, dovevano<br />
riconciliare il per-sé con la storia, reintrodurre la continuità e la<br />
determinazione della storia [...]. I marxisti, a loro volta, erano obbligati a<br />
riconoscere che nella storia c’erano l’esistenza e la storicità, che<br />
l’eliminazione delle classi sociali e la fine della storia non sarebbero<br />
avvenute necessariamente e fatalmente, e che la storia può deteriorarsi [...].<br />
Essi trovavano nella Fenomenologia di Hegel sia la necessità del divenire,<br />
sia la descrizione dell’esistenza umana, della sua esistenza storica, il che li<br />
avvicinava all’esistenzialismo. La lettura della Fenomenologia di Hegel fu<br />
64
dunque, per questa generazione, una lettura essenziale, un riferimento<br />
basilare” 1. L’indicazione è chiara: consapevolmente Hyppolite situa la sua<br />
lettura di Hegel al livello di una possibile mediazione fra esistenzialismo e<br />
marxismo; ed è uno sforzo imperniato proprio sul concetto di una libertà<br />
storica che sfugga agli opposti estremismi del singolarismo esistenzialista<br />
(che toglie il terreno sotto i piedi alla necessaria mediazione storica con cui,<br />
nel confronto intersoggettivo, deve fare i conti la libertà del singolo) e del<br />
collettivismo marxista (il quale, all’opposto, rischia di soffocare il ruolo della<br />
singolarità). Si fa palese, a questo punto, ed è mio intendimento mostrarlo<br />
qui con dovizia di particolari, che l’interesse hyppolitiano verso la<br />
Fenomenologia è guidato proprio dal punto di vista secondo cui quest’opera<br />
può leggersi come l’itinerario di formazione del singolo all’universale<br />
riconoscimento (= libertà storica).<br />
E’ ora possibile affrontare l’esame dell’opera maggiore di<br />
Hyppolite, il suo commentario alla Fenomenologia. Condurrò l’operazione<br />
secondo due prospettive complementari: anzitutto dal punto di vista per il<br />
quale esso si presenta, appunto, come un commento-parafrasi del testo<br />
hegeliano; poi da quello della posizione fondamentale (il problema<br />
dell’educazione al sapere assoluto) a partire dalla quale tale commento è<br />
sviluppato. La prima prospettiva dovrà evidenziare non tanto la bontà (od<br />
esattezza) o meno del commento, quanto piuttosto quali siano stati gli<br />
strumenti ermeneutici impiegati in relazione al testo; la seconda,<br />
all’incontro, focalizzare quella che è stata davvero la crux desperationis<br />
dell’interpretazione hyppolitiana: la problematica del sapere assoluto.<br />
Questa impostazione del lavoro richiede però una giustificazione<br />
preliminare. Essa, infatti, presuppone che l’opera hyppolitiana sia più di<br />
un semplice commentario e questo non è qualcosa di unanimemente<br />
ammesso dalla critica. Ecco, allora, un breve ragguaglio della questione.<br />
1 Hyppolite 1957A, pp. 236-7.<br />
65
Come appare dalle cronache della discussione della tesi di<br />
dottorato in Sorbona - comprendente come tesi complementare la<br />
traduzione francese della Fenomenologia di Hegel e come tesi principale lo<br />
studio Genesi e struttura della Fenomenologia dello spirito di Hegel - 2, è<br />
Hyppolite stesso ad insistere sul fatto che la sua tesi principale è<br />
semplicemente un commentario. Come tale essa “si è rifiutata ad ogni<br />
interpretazione” e “ha rispettato le ambiguità del pensiero [hegeliano] senza<br />
avanzare a questo riguardo alcuna soluzione”; in tal senso essa è “opera<br />
universitaria nel senso buono del termine”, lavoro previo a qualsiasi tipo di<br />
interpretazione più o meno partigiana. Queste precisazioni sono fornite da<br />
Hyppolite in risposta, guarda caso, alle sollecitazioni di Jean Wahl -<br />
membro della commissione esaminatrice - il quale faceva notare che<br />
l’estrema fedeltà, usata da Hyppolite, al movimento e alla struttura della<br />
Fenomenologia non aveva probabilmente permesso quel distacco dall’opera<br />
che, solo, avrebbe potuto restituire una visione d’insieme e una<br />
comprensione globale dei procedimenti hegeliani.<br />
Della critica successiva, alcuni 3 riprendono la critica di Wahl<br />
insistendo sul fatto che il commentatore sarebbe rimasto prigioniero del<br />
testo commentato senza saperne fornire le chiavi di lettura. In ogni caso<br />
non si esce dal presupposto che l’opera hyppolitiana non sia nient’altro che<br />
2 V. quelle apparse su “La Nef”, 1947 (4), n. 2, pp. 137-9 e su RMM, 1947, n. 2, pp. 188-9.<br />
3 Caillois 1948: “Hyppolite ha scelto di seguire il testo hegeliano da molto vicino, spesso paragrafo<br />
per paragrafo, sottolineando costantemente l’immanenza del tutto ad ogni tappa. Questo metodo<br />
presenta indubbiamente inconvenienti gravi, il commentario non permettendo molto di evadere<br />
dal vocabolario e da tutto un sistema di simboli che sarebbe stato necessario chiarire” (p. 1899); e<br />
ancora: “il rimprovero che si potrebbe fare a Hyppolite è la sua mancanza di ambizione [...].<br />
Scegliendo quest’opera ingrata di commentare scrupolosamente un testo difficile [...] egli non<br />
poteva fermarsi molto a lungo ai problemi-chiave della Fenomenologia - il suo compito essendo<br />
quello di ricondurre i dettagli all’insieme - né, tanto meno, trovar loro una soluzione” (p. 1903).<br />
Bobbio 1965 (= 1950): “Se mai un rimprovero si può muovere a Hyppolite è di aver peccato per<br />
eccesso [...]. Hyppolite, per il desiderio di essere completo, il più completo dei commentatori della<br />
Fenomenologia, si è messo troppo vicino alla sua opera, tanto da non riuscire ad emergere di sotto<br />
all’impalcatura sistematica, entro la quale si muove, sì, con perizia e con sicurezza, ma di cui non<br />
vede (o, per lo meno, non riesce a far vedere al lettore anch’esso rinchiuso nel sistema) il<br />
movimento interno e segreto [...]. Per Hyppolite la Fenomenologia è semplicemente un’opera<br />
astrusa, da commentare spiegandone i nessi oscuri e i riferimenti storici poco scoperti. Così egli<br />
ripercorre il cammino già percorso da Hegel, ma non squarcia il velame. E il lettore si trova dentro<br />
all’opera dello Hyppolite come un fanciullo bendato e portato per mano [...], ma arrivato alla fine il<br />
lettore è stanco per aver troppo camminato e non sa neppure con precisione dove sia arrivato” (pp.<br />
187-8).<br />
66
un semplice commentario. Chi inaugura un nuovo modo di vedere le cose è<br />
Georges Canguilhem 4.<br />
Negli anni immediatamente successivi alla guerra e, quindi,<br />
contemporaneamente alla pubblicazione dello scritto hyppolitiano che<br />
stiamo considerando, l’esegesi francese di Hegel fu arricchita da una serie<br />
di altri contributi. Si tratta di volumi e di saggi 5 che, da prospettive diverse<br />
e contrapposte - approssimando: cattolici contro comunisti - proponevano<br />
interpretazioni di Hegel altrettanto opposte dandogli un volto,<br />
rispettivamente, cristiano e ateo. Per Canguilhem si tratta di operazioni<br />
posticce che, andando alla ricerca del “contenuto reale dello hegelismo”,<br />
hanno di mira solo di “catturare [Hegel] nella loro rete per vantare poi la<br />
solidità della maglia” 6. “Quando - nota Canguilhem - in questi scritti si<br />
rimprovera a Hyppolite il suo rifiuto del rischio 7, si dimentica<br />
semplicemente che egli ha voluto correre il rischio - ché è tale oggigiorno -<br />
di vedersi rimproverare [...] il proprio sforzo di oggettività” 8. Per<br />
Canguilhem, dunque, il lavoro hyppolitiano ha il pregio di fornire anzitutto<br />
una presentazione imparziale dell’opera di Hegel. Su questa base, però, per<br />
Canguilhem, Hyppolite non si sottrae dal dare anche una interpretazione e<br />
una determinazione del senso del pensiero del filosofo tedesco nella<br />
Fenomenologia 9. Non solo un commentario, allora, ma anche<br />
interpretazione. Meglio: un lavoro di invito e di introduzione imparziale alla<br />
lettura di Hegel che diventa, con ciò stesso, “apertura di una ridda di<br />
problemi filosofici concreti” primo fra tutti, visto il preciso taglio<br />
4 Canguilhem 1948-9. Si tratta di un saggio tra i più intelligenti scritti su questo tema e, in<br />
generale, sulla ricezione di Hegel in Francia. Eco precisa della sua impostazione critica si trova in<br />
Ouy 1953 e, soprattutto, in Roth 1988.<br />
5 Da citare soprattutto i volumi: H. Niel, De la médiation dans la philosophie de Hegel, Paris, 1946<br />
e A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel, Paris, 1947 e i saggi: G. Fessard, Deux interprètes<br />
de la phénoménologie de Hegel: Jean Hyppolite et Alexandre Kojève, in “EP”, (255), 1947, A.<br />
Kojève, Christianisme et communisme, in “Critique”, n. 3-4, 1946, H. Niel, L’interprétation de<br />
Hegel, in “Critique”, n. 18, 1947 e Tran-Duc-Thao, La Phénoménologie de l’esprit et son contenu<br />
réel, in “TM”, (4), 1948.<br />
6 Canguilhem 1948-9, p. 287.<br />
7 Alle pp. 287-8 del suo lavoro Canguilhem riporta le critiche di parte cattolica; ma non si tratta<br />
che di una rimasticatura della critica wahliana.<br />
8 Canguilhem 1948-9, p. 293.<br />
9 Cfr. ivi, p. 286.<br />
67
interpretativo dell’opera hyppolitiana, “il confronto che non è stato ancora<br />
realmente tentato, fra la Ragione e la Storia” 10.<br />
Su questa scia si inserisce un filone della critica per il quale “ciò<br />
che Hyppolite sembrerebbe aver soprattutto voluto compiere è una<br />
interpretazione d’insieme equilibrata della filosofia di Hegel” 11. E’<br />
soprattutto la critica più recente. Da un lato, riprendendo l’intuizione di<br />
Canguilhem, si sottolinea che in Hyppolite l’opera di “serio commentatore”<br />
si unisce al “cosciente sforzo di trovare nella Fenomenologia un linguaggio<br />
con cui rivolgersi a quello che egli giudicava il problema che maggiormente<br />
si poneva alla filosofia francese negli anni ‘40” 12; dall’altro si evidenzia che<br />
“l’opera di Hyppolite non costituisce affatto un commento esplicativo<br />
letterale” giacché l’illustrazione del contenuto della Fenomenologia riceve il<br />
suo significato dalla “prospettiva ontologica generale consegnata nei due<br />
finali capitoli di commento su religione e sapere assoluto” in cui il tutto è<br />
inquadrato. 13.<br />
Mi sembra la posizione migliore: Hyppolite vuole fornire un<br />
commentario della Fenomenologia, il quale, però, riceve tutto il suo<br />
significato alla luce dei capitoli finali, in cui si mostra che è il sapere<br />
assoluto, come punto di arrivo dell’itinerario coscienziale nella<br />
Fenomenologia, che Hyppolite anzitutto problematizza 14. In questo senso si<br />
10 Ivi, pp. 294 e 295.<br />
11 Gardeil 1950, p. 592.<br />
12 Roth 1988, p. 36. Abbiamo già visto che l’autore individua - anche qui, possiamo ora dirlo,<br />
seguendo Canguilhem - questo problema nella questione della conciliazione di Ragione e Storia,<br />
ovvero nel concepimento di un senso storico della libertà.<br />
13 Cfr. Bonacina 1991, p. 74.<br />
14 In Hyppolite 1946A, Hyppolite fornisce delle precisazioni importanti. Effettivamente, durante la<br />
discussione della sua tesi di dottorato - lo abbiamo visto - Hyppolite marca fortemente che il suo<br />
lavoro ha inteso essere un commento che non si azzarda a cercare soluzioni per le ambiguità<br />
hegeliane. In questa recensione - documento a mio avviso molto probante ma, per quanto ne so,<br />
finora trascurato dalla critica - Hyppolite, parlando della messa a fuoco del senso dell’assoluto<br />
hegeliano, scrive: “Noi crediamo che la soluzione di Hegel sia consistita nel mettere al fondo delle<br />
cose il problema stesso al posto di una soluzione già pronta. ``L’assoluto è soggetto``, il che<br />
significa che esso è sé essendo sempre più che sé, che esso è sempre per se stesso la questione di<br />
se stesso. Così, ponendo il soggetto o il problema al fondo delle cose, Hegel si dava la possibilità di<br />
aprire la storia e, nel contempo, di giustificarla sempre. Non facciamo altro qui che indicare quello<br />
che ci pare essere il centro della filosofia hegeliana: mettere il problema al posto della soluzione”.<br />
Come dunque rinfacciare al lavoro di Hyppolite la mancanza di prese di posizione nette di fronte<br />
al pensiero hegeliano se egli lo interpreta in questo modo? Se l’assoluto in quanto soggetto è<br />
interpretato come la problematicità stessa, come pretendere da Hyppolite ciò che non vuol dare?<br />
68
può parlare di interpretazione, giacché la lettura di Hegel è inserita fin dal<br />
principio all’interno del preciso progetto teoretico di contribuire con<br />
originalità di linguaggio al dibattito in corso in quel momento in Francia<br />
sulla questione di una verità e di una libertà che facciano i conti con la<br />
storia.<br />
Genesi e struttura della “Fenomenologia dello spirito” di Hegel è un<br />
libro composto di sette parti. La prima e la settima parte e l’ultimo capitolo<br />
della sesta parte trattano di questioni generali (la struttura interna<br />
dell’opera, il suo senso generale in rapporto alla storia e al sistema, il<br />
metodo seguito nella sua composizione...). Il resto - più di 500 pagine - è<br />
dedicato alla presentazione e al commento della Fenomenologia.<br />
E’ possibile per noi entrare nell’officina dello Hyppolite<br />
commentatore? Quali sono le caratteristiche del suo commento? In che<br />
modo sono legate all’impostazione generale del suo approccio a Hegel?<br />
Sono questioni che non hanno interessato molto la critica, attenta<br />
più che altro al senso generale del lavoro di Hyppolite 15. In ogni caso<br />
mostrare le caratteristiche del commento hyppolitiano non è così semplice:<br />
o ci si limita - e questa è la strada più seguita - ad enumerarle in abstracto,<br />
oppure - e qui ci si condanna all’elefantiasi - si segue passo passo il testo<br />
hyppolitiano cercando poi di trarre della conclusioni generali. Io seguirò<br />
una via mediana: prima prenderò in esame le “introduzioni” che Hyppolite<br />
ha preposto alla seconda, terza, quarta e quinta parte del suo lavoro -<br />
corrispondenti ai capitoli della Fenomenologia su coscienza, autocoscienza,<br />
ragione e spirito - cercando così di avere una prima panoramica sullo<br />
Hyppolite commentatore alle prese coi vari temi della Fenomenologia; poi mi<br />
soffermerò su alcuni luoghi “notevoli” del commento in ordine alla<br />
precisazione e alla migliore illustrazione del modus operandi hyppolitiano.<br />
Si noti, intanto - svilupperò più avanti questo punto (cfr. infra cap. IV, particolarmente le pp. 146-<br />
48)-, come anche qui Hyppolite metta in relazione problematicità e storia.<br />
15 Si possono trovare delle indicazioni utili in Marcoux 1948-9, Bobbio 1965 (= 1950) e soprattutto<br />
in Bonacina 1991.<br />
69
1. Il commentatore Hyppolite<br />
La brevissima introduzione alla parte II mette subito in evidenza<br />
un primo carattere del commentare hyppolitiano. Essa inizia con queste<br />
parole: “la dialettica che Hegel presenta nella prima parte dell’opera sulla<br />
coscienza non è poi molto diversa da quella di Fichte o Schelling. Si tratta<br />
di partire dalla coscienza ingenua, che sa immediatamente il suo oggetto -<br />
o meglio crede di saperlo - e di mostrare che nel sapere l’oggetto essa è in<br />
realtà autocoscienza, sapere sé [...]. La differenza rispetto a Fichte o a<br />
Schelling dipende dal fatto che Hegel non parte dall’autocoscienza, dall’io =<br />
io, ma vi arriva con l’intento di non far altro che seguire i passi della stessa<br />
coscienza non filosofica [...]. Nel complesso il movimento generale della<br />
filosofia dei secoli XVII e XVIII corrisponde a questo sviluppo. E’ una<br />
filosofia che giustifica o fonda una scienza della natura ma sfocia nella<br />
riflessione critica di Kant” 16. Di fronte al pubblico colto francese, a cui<br />
vuole far conoscere Hegel, ma che conosce bene la filosofia moderna,<br />
Hyppolite adotta anzitutto il più semplice modulo esplicativo: alle cose più<br />
oscure attraverso quelle più chiare. Ad ogni figura della coscienza affianca,<br />
in un accostamento analogico, un momento della storia della filosofia: “il<br />
primo movimento dialettico, quello della certezza sensibile, fa pensare ai<br />
temi della filosofia greca, in particolare a quelli della filosofia platonica o<br />
dello scetticismo antico che Hegel aveva studiato”; “il secondo capitolo sulla<br />
percezione [...] sembra spesso ispirarsi a una filosofia ancora ferma al<br />
livello della percezione comune, ma già in procinto di criticarla, come fa per<br />
esempio la filosofia lockiana”; “nel capitolo sull’intelletto [...] si può pensare<br />
al dinamismo di Leibniz o alla filosofia-della-natura di Newton” 17.<br />
Invero, per Hyppolite, non si tratta di accostamenti estrinseci ed<br />
estranei alle intenzioni hegeliane. Per lo studioso francese “Hegel studia la<br />
16 Hyppolite 1989 (=1946), pp. 95-6.<br />
17 Ivi, p. 96.<br />
70
coscienza comune, non una coscienza filosofica, e tuttavia - benché non citi<br />
alcun filosofo - per precisare e sviluppare l’analisi egli si serve della storia<br />
della filosofia” 18. Cercare di leggere fra le righe del testo hegeliano in vista di<br />
restituirne i riferimenti nascosti alla storia della filosofia maggiormente<br />
nota al suo pubblico: ecco il primo importante procedimento adottato dal<br />
commentatore Hyppolite.<br />
Nella introduzione alla parte III emergono per lo meno altri due<br />
modi di sviluppare il commento. Il primo si può cogliere leggendo le prime<br />
pagine dell’introduzione. Qui Hyppolite schizza brevemente lo “sviluppo del<br />
pensiero kantiano dal punto di vista di Hegel” 19 seguendo, in filigrana, le<br />
osservazioni hegeliane sviluppate negli articoli jenesi Fede e Sapere e<br />
Differenza dei Sistemi Filosofici di Fichte e di Schelling. Per introdurre alla<br />
concezione hegeliana dell’autocoscienza come verità della coscienza e come<br />
coscienza pratica, Hyppolite trova necessario ripercorrere il retroterra<br />
speculativo sul quale cresce l’originale posizione del filosofo tedesco. Il<br />
rimando all’insieme delle questioni teoretiche agitantisi nella filosofia<br />
tedesca post-kantiana, la ricostruzione del milieu filosofico prossimo nel<br />
quale si erge la speculazione di Hegel è senz’altro una costante del<br />
commento hyppolitiano.<br />
In secondo luogo, è dalla terza sezione dell’introduzione alla parte<br />
III, che può individuarsi una terza modalità di commento. Qui Hyppolite<br />
riprende, a volte anche testualmente, il suo studio su Vita e presa di<br />
coscienza della vita nella filosofia hegeliana di Jena; suo intendimento,<br />
infatti, è chiarire il motivo per cui, nel capitolo dedicato all’autocoscienza,<br />
sia delineata da Hegel anche una “ontologia della vita”, una “filosofia<br />
generale della vita”. L’impostazione del problema è la stessa che nel saggio<br />
del 1938: la vita che a Hegel interessa pensare è anzitutto quella che si<br />
manifesta nei fenomeni spirituali, è la vita dello spirito quale si esplicita<br />
18 Ivi, p. 97. A conferma di questo atteggiamento hyppolitiano basti, come esempio, seguire il suo<br />
commento alla figura della certezza sensibile (pp. 104-23). Hyppolite non ha dubbi - come è<br />
giusto, del resto - sul fatto che effettivamente nella mente di Hegel c’era un continuo rifarsi ai temi<br />
della filosofia greca da Parmenide a Protagora a Platone.<br />
19 Ivi, p. 178.<br />
71
nella storia di un popolo; l’ambizione speculativa di Hegel lo porta a cercare<br />
di dare una forma logica a quel “coglimento del no nel sì e del sì nel no”, a<br />
quella non separazione del tutto e delle parti insieme con la loro<br />
separazione (= infinità), che costituisce la vera struttura della vita e che<br />
fino ad allora eran stati oggetto soltanto di una intuizione mistica; il valore<br />
dell’operazione hegeliana sta proprio nel fatto che “tale immagine mistica si<br />
traduce nell’invenzione di un pensiero dialettico e questo pensiero vale per<br />
l’intensità dello sforzo intellettuale che attua di fatto” 20. A conferma che la<br />
concezione matura del Begriff è il risultato di una “traduzione” speculativa<br />
da un’immagine mistica, Hyppolite richiama qui la Wissenschaft der Logik<br />
confrontandola con gli scritti giovanili: “il concetto assoluto si esprimerà<br />
più tardi nella Logica in tre momenti dialettici: l’universale, il particolare, il<br />
singolare (o individuale). Ma se in tale logica Hegel riesce a esprimere in<br />
forma razionale un’intuizione dell’essere stesso della vita o del Sé che negli<br />
scritti giovanili aveva dichiarato impensabile [...], non si dovrebbe<br />
concludere che di tale intuizione non resti più nulla. Quando nella Logica<br />
egli vuol fare intendere che cosa significhi siffatto Begriff si serve di<br />
immagini significative. Il concetto è l’onnipotenza, che è potenza solo<br />
manifestandosi e affermandosi nel proprio Altro; è l’Universale che appare<br />
come l’anima del Particolare e vi si determina completamente come<br />
negazione della negazione o singolarità autentica; o, ancora, l’amore il<br />
quale presuppone una dualità per superarla incessantemente” 21; “il<br />
pantragismo degli scritti giovanili trova la sua espressione adeguata in<br />
questo panlogismo che, grazie allo svilupparsi della differenza in<br />
opposizione e della opposizione in contraddizione diviene il logos dell’Essere<br />
e del Sé” 22. A proposito di quel nodo essenziale del pensiero hegeliano che<br />
è, per Hyppolite, il rapporto tra vita e autocoscienza delineato nel capitolo<br />
autocoscienza della Fenomenologia, viene in luce, dunque, la terza<br />
20 Hyppolite 1989 (=1946), p. 184. Qui Hyppolite riprende testualmente un passo di Hyppolite<br />
1938, p. 50. Vale qui, dunque, il medesimo discorso fatto in precedenza (cfr. supra, pp. 47-8) sulla<br />
ricezione della lezione di Koyré.<br />
21 Hyppolite 1989 (=1946), pp. 179-80.<br />
22 Ivi, p. 184.<br />
72
coordinata fondamentale del commento: l’utilizzo della distinzione<br />
pantragismo-panlogismo per distinguere due momenti della produzione<br />
filosofica hegeliana - gli scritti giovanili e il sistema della maturità - che,<br />
però, trovano negli anni di Jena e specialmente nella Fenomenologia il<br />
luogo del loro dinamico intersecarsi. Parlando dei due diversi modi di<br />
studiare Hegel da parte delle due tendenze interpretative che si erano<br />
sviluppate negli anni ‘20 e ‘30 Hyppolite scrive: “mentre Kroner o<br />
Hartmann [...] trascurano gli scritti giovanili e cercano di comprendere<br />
Hegel collocandolo nella grande corrente filosofica del suo tempo, Haering<br />
in Germania o Wahl in Francia si interessano più specificamente della<br />
genesi fenomenologica del sistema [...]. Noi non vogliamo assolutamente<br />
scegliere fra queste due vie. E’ la Fenomenologia che ci ha particolarmente<br />
interessato nei nostri scritti hegeliani, e quest’opera si colloca proprio fra<br />
gli scritti giovanili, che rielabora, e il futuro sistema, che preannuncia. In<br />
essa troviamo tutto l’``itinerario culturale`` percorso da Hegel prima di<br />
giungere alla filosofia, e lo sforzo prodigioso del logico per far rientrare<br />
questa viva esperienza nel quadro di una rigorosa riflessione. Non spetta a<br />
noi giudicare se la logica ha sclerotizzato questa vita o se al contrario, come<br />
volle Hegel, questa vita ha pervaso la logica stessa. Avremo comunque<br />
occasione di confrontare quel che Glockner chiama pantragismo hegeliano<br />
col suo panlogismo” 23. Troviamo qui lo specifico “stato d’animo” 24 col quale<br />
Hyppolite si pone di fronte alla Fenomenologia.<br />
Ulteriori indicazioni per determinare gli strumenti esplicativi con<br />
cui è affrontato il commento alla Fenomenologia sono dati dall’esame delle<br />
pagine introduttive alla IV parte di Genesi e Struttura. Qui Hyppolite,<br />
23 Hyppolite 1980 (= 1948), pp. 315-6. In nota Hyppolite aggiunge: “nei due volumi da lui dedicati<br />
alla filosofia hegeliana (Hegel, Frommans, Stuttgart, vol. I, 1929; vol. II, 1940), H. Glockner<br />
contrappone l’originaria visione tragica del mondo di Hegel al panlogismo che ne costituisce il<br />
``destino filosofico`` [...]. Ci siamo richiamati a questa distinzione”. Riprenderò più avanti,<br />
esaminando il commento hyppolitiano alla figura della “coscienza infelice”, le ulteriori implicazioni<br />
contenute in questo modulo ermeneutico che Hyppolite prende a prestito dal Glockner.<br />
24 In effetti, a questo proposito, sarebbe forse più giusto parlare di modo generale di porsi di fronte<br />
all’opera che di caratteristica specifica del commento. Mi posso giustificare parlando, come ho<br />
fatto, di “coordinata fondamentale” dello stesso.<br />
73
volendo chiarire il movimento dialettico che si esprime nei tre momenti<br />
coscienza-autocoscienza-ragione, fa notare che esso è considerato da Hegel<br />
sia nella Fenomenologia del 1807, sia nella Propedeutica di qualche anno<br />
dopo, sia nella Enciclopedia. Se nella Fenomenologia - fa notare Hyppolite -<br />
Hegel si diffonde con ampiezza, nelle altre due opere “il movimento<br />
dialettico è indicato invece in modo molto più schematico e condensato”.<br />
Ma questa stringatezza non è giudicata in maniera negativa; proprio<br />
questa, infatti, fa sì che di questa dialettica “qui ne abbiamo una<br />
comprensione più diretta”; ragion per cui “prima di studiare la ragione<br />
nella Fenomenologia dello spirito” Hyppolite si propone di considerare “in<br />
breve il passaggio dalla autocoscienza alla ragione quale si delinea in<br />
queste altre due opere” 25.<br />
Il procedimento è chiaro: servirsi anche delle opere hegeliane<br />
posteriori alla Fenomenologia per illustrarne i passaggi particolarmente<br />
complessi. Certo, Hyppolite non è uno sprovveduto e sa bene che nella<br />
Propedeutica e nella Enciclopedia “la ragione è la verità in sé e per sé,<br />
cosicché con essa termina la Fenomenologia e nasce un nuovo elemento,<br />
quello del concetto” e che “invece nella Fenomenologia dello spirito le cose<br />
stanno diversamente” in quanto “in quest’opera la ragione viene<br />
considerata quale si manifesta nella storia del sapere”, di modo che “la<br />
conciliazione dell’Universale e del Singolare qui si compirà veramente solo<br />
molto più tardi” 26. Hyppolite, insomma, è cosciente che nell’impianto<br />
sistematico delle opere della maturità e proprio a causa di esso anche i<br />
momenti che trovano una analoga trattazione nella Fenomenologia non<br />
possono essere trattati alla stregua di momenti fenomenologici,<br />
sviluppandosi, questi ultimi, in un altro elemento. Ma è proprio nel<br />
sottolineare questa differenza che Hyppolite trasforma quella che poteva<br />
apparire una difficoltà in un efficace mezzo di commento. Vediamo da<br />
vicino.<br />
25 Hyppolite 1989 (=1946), p. 264.<br />
26 Ibidem, nota 1.<br />
74
Nella Propedeutica Hyppolite vede presentati entrambi i caratteri<br />
distintivi della ragione: il primo aspetto per cui essa è “la certezza che le<br />
sue determinazioni sono tanto oggettive determinazioni dell’essenza delle<br />
cose, quanto nostri propri pensieri” 27 ovvero “verità (oggettiva) e certezza<br />
(soggettiva) nello stesso tempo, una verità che è soggetto, divenire di sé”; il<br />
secondo aspetto per cui la ragione appare “come il primo risultato di una<br />
mediazione reciproca delle autocoscienze che costituisce l’universalità<br />
dell’autocoscienza” ossia come “verità non separabile dall’idea di una<br />
pluralità di io singoli e di una comunicazione fra loro [...] che innalza<br />
l’uomo chiuso in se stesso alla coscienza della sua universalità” 28.<br />
Nella Enciclopedia, invece, - nota Hyppolite - va perso il<br />
riferimento al secondo aspetto presentato nella Propedeutica, per cui “la<br />
ragione sembra non considerare più la pluralità degli io ma soltanto<br />
l’identità della verità e della certezza, dell’essere-in-sé e dell’essere-per-la-<br />
coscienza” per cui “si passa da uno sviluppo concreto - per esempio la<br />
relazione signore-servo - a una tesi metafisica, quella appunto<br />
dell’idealismo o dell’identità” 29.<br />
Hyppolite ora confronta queste trattazioni della ragione con quella<br />
redatta nella Fenomenologia. Proprio la consapevolezza che si tratta di<br />
esposizioni ponentisi su livelli differenti 30 consente a Hyppolite di rimarcare<br />
la specificità dell’opera jenese. Chiaramente - primo rilievo - “nella<br />
Fenomenologia [...] la ragione è considerata un momento particolare nello<br />
sviluppo della coscienza nel senso ampio del termine”. Ma questo fa sì che<br />
qui - secondo rilievo - la ragione come identità dell’oggettività e della<br />
soggettività “appare come il risultato di un cammino culturale, di uno<br />
sviluppo della coscienza e dell’autocoscienza, cosicché la verità non è senza<br />
27 Hyppolite 1989 (=1946), p. 265. Qui Hyppolite sta citando dalla Propedeutica filosofica di Hegel;<br />
v. la trad. it. cur. G. Radetti, FI, 1951. In questo caso v. in particolare p. 172.<br />
28 Hyppolite 1989 (=1946), p. 265.<br />
29 Ivi, p. 266.<br />
30 “Che differenza intercorre fra la ragione della Fenomenologia del 1807 e la ragione quale figura<br />
del sistema? Nel sistema la ragione è veramente l’identità dell’in sé e del per sé, così che a partire<br />
da essa la coscienza fenomenica è superata. Nella Fenomenologia del 1807 invece è la comparsa<br />
fenomenica della ragione, così che l’unità dell’in sé e del per sé vi è considerata quale appare<br />
ancora per sé alla coscienza umana”: Hyppolite 1989 (=1946), p. 267, nota 7.<br />
75
il riconoscimento reciproco delle autocoscienze e il loro elevarsi<br />
all’universalità del pensiero, e a sua volta questa verità non è un essere-in-<br />
sé, un al di là della presa di coscienza, un sapere sé, certezza soggettiva al<br />
tempo stesso che realtà oggettiva” 31. In tal senso Hyppolite può<br />
concluderne: “la Fenomenologia dello spirito del 1807, molto più della<br />
Propedeutica o della Fenomenologia dell’Enciclopedia, è una vera storia<br />
concreta della coscienza umana. Questa storia della coscienza che ha il<br />
proprio esserci oggettivo come storia del mondo (Weltgeschichte), è molto<br />
più sviluppata dello schema che Hegel ne conserverà nel sistema, e che<br />
perderà sempre di più i suoi legami con la storia dello spirito-del-mondo.<br />
Nel 1807 Hegel considera il passaggio dalla coscienza infelice alla ragione<br />
come il passaggio dalla Chiesa del Medioevo al Rinascimento e all’età<br />
moderna” 32. E’ questo davvero il punto cruciale nel discorso che qui<br />
intendo fare. Hyppolite si serve di citazioni da opere hegeliane posteriori<br />
alla Fenomenologia in ordine a una migliore illustrazione di particolari<br />
passaggi dialettici di quest’ultima; fin qui nihil novum sub sole giacché<br />
spiegare Hegel con Hegel non differisce formalmente dal procedimento<br />
codificato dagli Alessandrini che spiegavano Omero con Omero... Ma qui la<br />
particolare costituzione delle opere hegeliane, per cui alcune si muovono<br />
“nell’elemento del concetto” e altre in quello della scissione coscienziale,<br />
permette a Hyppolite di mettere in rilievo quell’aspetto di concretezza<br />
dell’opera del 1807 che, sotto l’influsso dell’interpretazione wahliana, come<br />
abbiamo visto, è, per lui, il pregio suo maggiore. A questa altezza si<br />
comprende, allora, lo sforzo del commento hyppolitiano di esplicitare i<br />
riferimenti che Hegel compie alle varie epoche storiche: è la concretezza dei<br />
fenomeni storici, infatti, quella che Hyppolite ha fin da subito ritrovato<br />
nell’opera filosofica hegeliana.<br />
31 Ivi, p. 266..<br />
32 Ivi, pp. 267-8.<br />
76
L’introduzione alla parte V del lavoro hyppolitiano mi permette di<br />
approfondire quest’ultimo aspetto del commento e di evidenziarne un altro.<br />
Partiamo da questo.<br />
Hyppolite sottolinea che, giunti al capitolo sullo spirito, il cammino<br />
fenomenologico della coscienza ingenua al sapere filosofico si mostra<br />
sempre meglio come un movimento, da parte della coscienza singola, di<br />
uscita dal suo preteso isolamento verso la scoperta del suo essere<br />
necessariamente e costitutivamente in rapporto con altre coscienze singole.<br />
Si tratta dunque anzitutto di mostrare che lo spirito, come lo intende Hegel,<br />
è l’elemento che mantiene in unità l’opposizione tra le diverse<br />
autocoscienze nel gioco della loro libertà e indipendenza. Detto in termini<br />
più sciatti: si tratta di commentare le irte frasi hegeliane che “definiscono”<br />
lo spirito. Che cosa fa Hyppolite? Da un lato, secondo un procedimento che<br />
abbiamo già esaminato, situa storicamente (meglio si dovrebbe dire storico-<br />
filosoficamente) la questione: “il problema della pluralità delle<br />
autocoscienze è sempre stato il grande inciampo dei filosofi. Secondo il<br />
realista, sulle prime io conosco l’altro solo dal suo corpo o dal suo essere-<br />
per-un-altro, il solo essere che si dia nella mia esperienza sensibile. Per un<br />
idealista come Kant, nella Critica della ragion pura il problema della<br />
coscienza dell’altro non sembra neanche posto. Kant s’è preoccupato delle<br />
condizioni universali di ogni esperienza e ha cercato di fissare le leggi<br />
generali della soggettività, le quali sono in pari tempo le leggi di tutto ciò<br />
che si può presentare come oggetto per me. Ma come è possibile che un<br />
oggetto della mia esperienza sia d’altro canto un soggetto? L’io penso è<br />
senza dubbio il vertice dell’architettura kantiana, ma questo cogito è un<br />
cogitare in generale, l’essenza comune delle coscienze singole: la questione<br />
dell’intersoggettività trascendentale non è veramente posta” 33. Ad obscurum<br />
per notius; e finché il riferimento è a Kant, ossia a un filosofo che è stato<br />
per Hegel stesso un costante metro di confronto, l’operazione è<br />
pacificamente da considerarsi legittima. Ma Hyppolite va oltre. Egli non<br />
33 Ivi, pp. 391-2.<br />
77
teme che gli venga rimproverato di sovrapporre al testo hegeliano<br />
suggestioni e concetti offerti da altre e più recenti filosofie 34, perciò, per<br />
risultare il più possibile chiarificatore, continua: “Viceversa ai nostri giorni<br />
è nota l’importanza che a questo problema della pluralità delle<br />
autocoscienze ha attribuito un filosofo come Husserl. Egli ha voluto<br />
mostrare come il mondo - in quanto mondo oggettivo per me - rinvii a<br />
soggettività estranee. Tale nozione dell’oggettività del mondo sarebbe resa<br />
possibile solo dalla complementarità dei punti di vista sul mondo. Sempre<br />
nella nostra epoca tale intersoggettività è stata parimenti considerata come<br />
un “fenomeno” originario della nostra esperienza, e Heidegger l’ha descritta<br />
sotto il nome di Mitsein: questo con-essere sarebbe costitutivo della realtà<br />
umana, e le apparterrebbe allo stesso titolo del suo essere-nel-mondo” 35.<br />
Non è certo il massimo dell’ortodossia, all’interno della chiesa dei<br />
compilatori di apparati critici “scientifici”... In ogni caso, se mi è consentito<br />
entrare nell’agone, non me la sento di considerare questa una imperfezione<br />
nel commento hyppolitiano: far interagire un testo con documenti di<br />
pensiero anche di molto posteriori, se può essere criticabile dal punto di<br />
vista dell’acribia storiografica, è invece un pregio sotto l’aspetto per cui<br />
stimola a filosofare!<br />
Il secondo tema che risalta in questa introduzione alla V parte è,<br />
di nuovo, il tema della storia. L’innalzarsi dell’autocoscienza singola alla<br />
realtà dell’autocoscienza universale avviene nella Fenomenologia “attraverso<br />
una serie di figure” che “sono figure di un mondo” 36. Questo per Hyppolite<br />
significa che l’incontro delle autocoscienze nel reciproco riconoscimento,<br />
costituendo quell’elemento universale che è l’opera umana di tutti e di<br />
ciascuno, dà luogo a quell’essenza spirituale che è “il mondo della storia<br />
umana” 37. Su questa base Hyppolite non ha difficoltà a riconoscere nelle tre<br />
tappe dello svolgimento dialettico indicate da Hegel - lo spirito vero, lo<br />
34 Proprio in questi termini si esprime un critico recente denunciando in ciò un limite del<br />
commento hyppolitiano. V. Bonacina 1991, p. 99.<br />
35 Hyppolite 1989 (=1946), p. 392.<br />
36 Hegel 1973 (=1807), vol. II, p. 4.<br />
37 Hyppolite 1989 (=1946), p. 395.<br />
78
spirito che si è reso estraneo a sé, lo spirito certo di se stesso - tre<br />
corrispondenti periodi della storia universale: il mondo antico (la Grecia e<br />
Roma), il mondo moderno (dal feudalesimo alla Rivoluzione francese) e il<br />
mondo contemporaneo (quello di Napoleone e della Germania al tempo di<br />
Hegel). A questo proposito Hyppolite imposta un problema che sarà utile<br />
esaminare per comprendere ancora meglio l’impostazione del commento<br />
dello studioso francese. Egli si chiede: “perché mai Hegel inizia tale<br />
sviluppo dello spirito proprio dalla Città antica? Vi si deve vedere per<br />
davvero uno sviluppo storico oppure solo un’esposizione dei vari momenti<br />
dello spirito?” 38. Abbiamo visto che Hyppolite nel suo commentare è attento<br />
alla concretezza dei riferimenti storici presenti nella Fenomenologia. Ma qui<br />
sembra sfiorato da un dubbio: è davvero legittimo ritenere che Hegel abbia<br />
voluto riferirsi alla storia concreta? In alcune pagine veramente esemplari<br />
per chiarezza, equilibrio e capacità di penetrazione, Hyppolite dipana<br />
questo dubbio.<br />
Una prima certezza Hyppolite la trova nel fatto che lo sviluppo dei<br />
diversi all’interno del capitolo sullo spirito, sviluppo che è passaggio dallo<br />
spirito vero allo spirito certo di sé, ha un senso e “tale senso corrisponde a<br />
una evoluzione storica”. Se è vero che la tesi di fondo della Fenomenologia,<br />
quale la esprime epigrammaticamente lo stesso Hegel, è che l’assoluto è<br />
soggetto, altrettanto lo è il fatto che, nel capitolo sullo spirito, questo,<br />
“considerato dapprima come sostanza, alla fine del suo sviluppo [...] è visto<br />
come soggetto, e anzi come soggetto creatore della propria storia”. Ora,<br />
prosegue Hyppolite, “la Città antica [...] ha ignorato tale soggettività, tale<br />
autoriflessione dello spirito. Viceversa il mondo moderno, vuoi nella sua<br />
cultura borghese [...], vuoi nella sua religione [...], ha scoperto tale<br />
soggettività. Lo spirito doveva riflettersi su di sé per divenire veramente ciò<br />
che esso era soltanto in sé, per assumere il proprio essere e scoprirsene<br />
l’autore. Ma questo riflettersi si è compiuto in una storia, è il passaggio dal<br />
38 Ibidem.<br />
79
mondo antico al mondo moderno e contemporaneo di Hegel” 39. Per Hyppolite,<br />
nel capitolo sullo spirito della Fenomenologia, Hegel svolge il passaggio dallo<br />
spirito immediato, sostanziale, allo spirito soggetto, ma qui le figure di tale<br />
svolgimento hanno un significato storico: “mondo antico (a), mondo<br />
moderno (b), mondo contemporaneo (c), non corrispondono arbitrariamente<br />
ai momenti dialettici della presa-di-coscienza dello spirito - mondo etico (a),<br />
mondo dilacerato in un al di là e un al di qua (b) e concezione morale del<br />
mondo (c) - ma qui il senso dialettico è il senso stesso della storia. La presa<br />
di coscienza è una storia” 40<br />
Ritorna, ancora una volta, la tematica della presa di coscienza<br />
quale trait-d’union fra autocoscienza e storia, fra svolgimento dialettico<br />
all’interno della Fenomenologia e svilupparsi della storia reale 41. Le parole<br />
più significative di Hyppolite sono proprio quelle che lui stesso sottolinea:<br />
la presa di coscienza è una storia. Da un lato, quindi, è vero in generale<br />
che “ciò che l’Enciclopedia delle scienza filosofiche presenta come lo<br />
sviluppo in sé e per sé del concetto, la Fenomenologia lo presenta come una<br />
presa di coscienza di tale concetto” 42; e quindi è proprio il fatto che la presa<br />
di coscienza è il “motore della dialettica” fenomenologica a far sì che nella<br />
Fenomenologia, a differenza che nel sistema, tutti i momenti dello spirito si<br />
presentino emergendo “via via in rapporto al sapere che lo spirito acquista<br />
di sé, vale a dire in rapporto alla presa-di-coscienza” 43; dall’altro,<br />
particolarmente nel capitolo sullo spirito, l’evoluzione secondo la presa di<br />
coscienza coincide con l’evoluzione storica; e questo proprio perché la presa<br />
di coscienza è una storia 44.<br />
39 Ivi, pp. 398-9. Corsivo mio.<br />
40 Ivi, p. 401. Anche a questo livello è possibile richiamare il precedente wahliano; non era stato<br />
forse Wahl a scrivere: “Hegel non teme affatto di prendere la storia a punto d’appoggio e<br />
d’applicazione, e come a regola mnemonica delle sue idee” (Wahl 1972 - =1929 -, p. 167)?<br />
41 Si rivedano (cfr. supra, cap. II, par. 2) le considerazioni che svolgevo a proposito della presa di<br />
coscienza nel saggio hyppolitiano del 1938.<br />
42 Hyppolite 1989 (=1946), p. 400.<br />
43 Ibidem.<br />
44 Certo, l’equazione presa-di-coscienza = storia che qui presenta Hyppolite farebbe pensare che<br />
non solo nel capitolo sullo spirito, ma per lo meno anche in quelli precedenti, l’evoluzione<br />
dialettica - che per Hyppolite coincide con una evoluzione secondo la presa-di-coscienza - segua<br />
l’evoluzione della storia. E’ una questione di cui Hyppolite è consapevole e che, come mostrerò più<br />
80
A questo punto Hyppolite inserisce un giro di pensieri che ci<br />
illumina su un altro procedimento tipico del suo commento: la<br />
ricostruzione genetica delle posizioni hegeliane nella Fenomenologia a<br />
partire dal riferimento alle Jugendschriften e agli scritti jenesi anteriori<br />
all’opera del 1807. Qui in particolare gli interessa mostrare come, di pari<br />
passo con la comprensione della necessità della presa di coscienza, cresca<br />
in Hegel - specialmente negli anni jenesi - la persuasione che lo spirito è<br />
inseparabile dalla storia, essendo esso stesso, nella sua essenza, storia.<br />
Infatti, se “all’inizio del periodo di Jena Hegel si era provato a presentare<br />
l’Idea assoluta come [...] ideale-della-città aleggiante al di sopra della storia<br />
perché indipendente dalle sue vicissitudini”, tuttavia “via via che egli<br />
scopre la propria originalità in rapporto a Schelling” e “ afferra la necessità<br />
della presa di coscienza”, da quel momento in poi “la storia non appare più<br />
estranea all’Idea assoluta” 45. Hyppolite evidenzia che il luogo di<br />
codificazione della concezione dello spirito come storia e come presa di<br />
coscienza di sé sono i corsi jenesi di filosofia dello spirito del 1803-04 e<br />
specialmente del 1805-06. Qui Hegel mostra di aver compreso il significato<br />
epocale del passaggio dal mondo antico al mondo moderno ad opera del<br />
cristianesimo: il nuovo principio della soggettività infinita, della libertà del<br />
sé che i greci non avevano conosciuto rende impossibile ritornare all’ideale<br />
della città antica. A questo livello Hyppolite interpone una notazione che<br />
restituisce bene il senso del suo commentare “genetico”: “se si accosta lo<br />
studio di tale evoluzione, manifestata nelle opere di Jena, all’analisi da noi<br />
avanzata del testo della Fenomenologia dello spirito, si comprenderà meglio<br />
perché Hegel abbia iniziato la sua dialettica dello spirito dalla<br />
presentazione della Città antica e perché il senso di tale dialettica -<br />
passaggio dalla sostanza al soggetto, dallo spirito vero allo spirito certo di<br />
sé - corrisponda per lui a una vera e propria evoluzione storica. Lo spirito<br />
avanti (cfr. infra, pp. 107-110), risolve basandosi sulla precisa convinzione che la Fenomenologia<br />
sia soprattutto cammino di formazione ed educazione storica.<br />
45 Hyppolite 1989 (= 1946), pp. 401 e 402.<br />
81
infatti si è affermato come soggetto della propria storia [...] appunto nel<br />
corso di tale evoluzione” 46.<br />
Fin qui l’esame delle introduzioni che Hyppolite prepone alle varie<br />
parti del suo lavoro. Mi propongo ora di analizzare alcuni “luoghi notevoli”<br />
di Genesi e struttura: si tratterà di una scelta arbitraria ma guidata<br />
dall’intento da una parte di approfondire ulteriormente le caratteristiche<br />
del commento messe in luce finora e, dall’altra, di mostrarne di nuove, alla<br />
ricerca di una certa completezza. Sarà un’indagine forse più interessante di<br />
quella svolta fin qui, giacché mi introdurrò nella vera e propria “officina”<br />
del commentatore Hyppolite, là dove egli opera sulla cosa stessa.<br />
La prima sezione che scelgo è quella che Hyppolite dedica al<br />
commento delle pagine hegeliane sul Gewissen 47.Con ciò intendo<br />
specialmente far vedere più da vicino quale sia l’atteggiamento hyppolitiano<br />
verso un confronto e una interazione fra il testo hegeliano e i procedimenti<br />
di pensiero propri di (certa) filosofia del novecento.<br />
Hyppolite, di fronte alla presentazione hegeliana del Gewissen, si<br />
trova davanti ad una analisi della coscienza morale concreta che non può<br />
non suggerirgli il confronto con quella condotta da Jaspers. Lo studioso<br />
francese è cosciente della “macroscopicità” delle differenze che dividono<br />
Hegel da Jaspers; si premura, anzi, di sottolineare che la Existenzerhellung<br />
cui mira Jaspers è centrata sulla sottolineatura della finitezza della<br />
coscienza la quale, se pur tende ad “uscire dalla propria verità per<br />
confrontarla con altre” alla ricerca di una “verità assoluta che sia una<br />
verità unica per tutti gli esistenti”, tuttavia non riesce ad attuare questo<br />
trascendimento “ e perciò la sua dialettica resta una antinomia”. E questo -<br />
come nota Hyppolite - è l’esatto opposto dell’esito hegeliano: Hegel,<br />
collocandosi “(spinozianamente) al di fuori degli esistenti di cui ha<br />
46 Ivi, p. 403.<br />
47 Cfr. Hyppolite 1989 (= 1946), pp. 609-23. Qui lo studioso francese commenta il passo che Hegel<br />
dedica allo “spirito coscenzioso come effettualità del dovere”: v. Hegel 1973 (= 1807), vol. II, pp.<br />
164-8.<br />
82
icostruito le esperienze”, tende ad andare oltre l’esistente e a raggiungere<br />
la costituzione di quella trascendenza, di quella totalità infinita, di quella<br />
verità assoluta che ogni esistente particolare esige e che si attua “in un<br />
universale concreto, in una autocoscienza universale che non è più<br />
semplicemente storicità esistenziale, ma Storia” 48. Hyppolite, quindi, sa<br />
quale distanza allontani i due filosofi; ma questo non gli impedisce di<br />
valutare possibile “paragonare il Gewissen di cui parla Hegel con ciò che<br />
Jaspers chiama la storicità dell’esistenza” 49. Traspare chiaramente dal testo<br />
hyppolitiano che l’inclinazione dello studioso francese a confrontare Hegel<br />
con la filosofia dell’esistenza fa parte dell’eredità che Wahl ha lasciato allo<br />
hegelismo francese 50.<br />
In questa scia, anzi, Hyppolite giunge ad affermare che “senza<br />
tentare il paragone” fra Hegel e Jaspers, è “impossibile commentare<br />
seriamente” la sezione della Fenomenologia dedicata al Gewissen 51.<br />
Nel determinare i caratteri essenziali del Gewissen, Hyppolite<br />
segue innanzitutto lo stesso Hegel che insiste molto sulla contrapposizione<br />
dialettica al moralisches Bewußtsein: se questo “contrapponeva sempre il<br />
puro dovere e la realtà” e in tal modo si condannava a non agire, il<br />
Gewissen (che Hyppolite traduce bonne conscience), invece, è la “coscienza<br />
agente che sa e compie immediatamente ciò che è giusto in concreto, senza<br />
stare a distinguere quanto le sembra giusto da quanto lo sia in sé” 52;<br />
48 V. Hyppolite 1989 (= 1946), p. 611.<br />
49 Ivi, pp. 610-1.<br />
50 Scrive, infatti, Hyppolite che il paragone Hegel-Jaspers non può risultare troppo bizzarro se “si<br />
è potuto dimostrare come lo Hegel delle Jugendschriften non fosse poi tanto lontano da<br />
Kierkegaard quanto aveva potuto ritenere quest’ultimo nel suo fronteggiare il sistema hegeliano<br />
codificato in un’opera quale l’Enciclopedeia delle scienze filosofiche”. Cfr. Hyppolite 1989 (= 1946),<br />
p. 610. In nota Hyppolite fa esplicito riferimento alle Etudes kierkegaardiennes di J. Wahl; non si<br />
dimentichi poi che, nel suo saggio su Hegel et Kierkegaard del 1933, era stato lo stesso Wahl ad<br />
istituire un primo confronto tra Hegel e Jaspers.<br />
51 V. Hyppolite 1989 (= 1946), p. 620.<br />
52 Ivi, p. 612. E’ interessante notare fin da adesso che a questo punto Hyppolite utilizza una<br />
procedura di commento che non ho ancora evidenziato (lo farò più avanti). Il fatto che Hegel<br />
caratterizzi il Gewissen come quel semplice agire conforme al dovere che non compie questo o<br />
quel dovere, ma sa e fa ciò che è concretamente giusto, induce lo studioso francese a notare: “con<br />
ciò l’individualità umana [...] sembra ritornare all’immediatezza del mondo etico [...]. Anche<br />
Creonte ed Antigone sapevano entrambi quel che dovevano fare. L’uno aderiva pienamente alla<br />
legge umana, l’altro alla legge divina [...]. In loro la natura coincideva con la decisione. Dunque, a<br />
quanto sembra, ora ritroviamo l’immediatezza che faceva del mondo etico una specie di natura”<br />
83
descritto il Gewissen come quell’ “agire secondo la propria convinzione,<br />
determinarsi di per se stesso, essere libero - insomma - ma nel concreto,<br />
nel Dasein, non in una essenzialità astratta e ineffettuale com’era il puro<br />
dovere” 53, Hyppolite arriva ad istituire il confronto con Jaspers. Ed è un<br />
confronto - non lo si dimentichi - funzionale al commento del testo<br />
hegeliano. In particolare Hyppolite si riferisce a questo passo della<br />
Fenomenologia: “sia dato un caso dell’agire; esso è un’effettualità oggettiva<br />
per la coscienza che sa. Questa, in quanto spirito coscenzioso, sa quel caso<br />
in una guisa immediata e concreta e, in pari tempo, esso è soltanto come la<br />
coscienza lo sa [...]. Il caso è immediatamente nella certezza sensibile del<br />
sapere com’è in sé, ed è in sé solo com’è in questo sapere. L’agire quindi, in<br />
quanto è l’attuazione, è la pura forma del volere; è la mera inversione<br />
dell’effettualità, come caso nell’elemento dell’essere, in una effettualità<br />
operata; l’inversione della mera guisa del sapere oggettivo, nella guisa in<br />
cui l’effettualità è saputa come un prodotto della coscienza” 54. Sopra questo<br />
passo della Fenomenologia, Hyppolite sviluppa una serie di considerazioni<br />
ispirate alla Existenzerhellung jaspersiana. In particolare egli istituisce una<br />
corrispondenza fra quello che per Hegel è “caso dell’agire”, il quale “è solo<br />
come la coscienza lo sa” e ciò che Jaspers indica nel nesso situazione-<br />
possibilità. Più precisamente: cosa può voler dire “caso nell’elemento<br />
dell’essere”? Hyppolite lo spiega chiamando in causa il concetto jaspersiano<br />
di situazione - il mio essere di una particolare razza, il mio appartenere a<br />
una data famiglia e ambiente sociale, le circostanze più o meno precise<br />
della mia vita passata e presente. E che cosa significa l’espressione “caso<br />
dell’agire”? Hyppolite ricorre al rilievo di Jaspers per cui la mia situazione è<br />
(cfr. Hyppolite 1989 - =1946 -, pp. 614-5). Certo, subito Hyppolite mette in chiaro l’abissale<br />
differenza per cui, mentre lo spirito etico era solo lo spirito vero, sostanziale - e in esso<br />
individualità e dovere coincidevano solo per il fatto che l’individuo vi esprimeva una legge<br />
immanente in lui -, qui, dopo il movimento della Bildung, il fatto originario, la fonte di ogni<br />
decisione non è il dovere-natura, ma la libertà del Sé per cui il Sé effettuale non riconosce più<br />
nulla che possa valere indipendentemente dalla propria certezza interiore. Ma ciò che mi interessa<br />
marcare è come Hyppolite si serva dei riferimenti interni come di un efficace mezzo di commento.<br />
Più avanti discuterò la problematicità di questo procedimento esplicativo.<br />
53 Hyppolite 1989 (= 1946), p. 616.<br />
54 Hegel 1973 (= 1807), vol. II, pp. 164-5<br />
84
sempre un punto di partenza di un mio volere, di un mio tendere ad agire.<br />
Che cosa, ancora, che “il caso è solo come la coscienza lo sa”? Di nuovo<br />
Hyppolite, dando voce a Jaspers, risponde: una situazione non è oggettiva<br />
“nel senso in cui lo sarebbe per una coscienza impersonale capace di<br />
sorvolarvi sopra in qualche modo (come uno spettatore imparziale). Il mio<br />
io libero si trova dunque legato alla fatticità di un essere determinato, che a<br />
sua volta è intimamente congiunto alle mie possibilità, è saputo e insieme<br />
voluto, perché non si tratta di starlo a guardare per il solo piacere di<br />
contemplarlo, sibbene di impegnarlo nello slancio della coscienza agente. Si<br />
deve invertire la situazione che io prendo su di me o assumo, si deve<br />
trasformare un sapere oggettivo [il caso nell’elemento dell’essere] in una<br />
realtà prodotta dalla coscienza [l’effettualità operata, saputa come un<br />
prodotto della coscienza]” 55.<br />
Qui abita tutta l’originalità hyppolitiana: di fronte a una lettura<br />
genericamente esistenzialista di Hegel - quella che poteva far risentire<br />
Benedetto Croce (si pensi al suo saggio sul “rinascimento esistenzialistico<br />
di Hegel”) -, volta a dare un’immagine complessiva del filosofo tedesco in<br />
chiave di Existenzphilosophie, Hyppolite bada ai particolari e sul terreno dei<br />
singoli temi, in ambiti con meticolosità circoscritti, arrischia l’accostamento<br />
con i temi dell’esistenzialismo.<br />
Come secondo esempio del “repertorio” del commento hyppolitiano<br />
scelgo il capitoletto dedicato al linguaggio dell’adulazione 56.<br />
L’adulazione: i protagonisti di questa figura fenomenologica sono,<br />
nel linguaggio di Hegel, la coscienza nobile e il potere universale (o potere<br />
statale), uniti in relazione da un medio che è il linguaggio dell’adulazione.<br />
Hyppolite nota subito che “dietro le formule dialettiche” appaiono qui Luigi<br />
XIV e i nobili della sua corte e che “la dialettica di Hegel è il commento del<br />
celebre detto attribuito a Luigi XIV, ``L’état c’est moi``”; ciò che Hegel ha in<br />
55 Hyppolite 1989 (=1946), p. 619. Corsivo mio.<br />
56 V. ivi, pp. 495-502. E’ il commento a Hegel 1973 (=1807), vol. II, pp. 63-8.<br />
85
mente è, dunque, quella “trasformazione del nobile nel cortigiano” che<br />
sconvolse “la struttura dello Stato” moderno.<br />
Nell’insieme Hyppolite segue passo passo il procedere hegeliano e<br />
il suo commento ne assume il caratteristico andamento. Riassumendo il<br />
discorso hyppolitiano: l’adulazione del cortigiano trasforma il potere statale<br />
da universale astratto - lo stato come il bene comune - a pura singolarità -<br />
lo stato come monarca assoluto; con ciò la coscienza nobile si è alienata del<br />
“puro in sé del suo pensare”, ha cioè rinunciato a porre il proprio valore<br />
nell’onore - al nobile cortigiano non interessa più l’onore, ma, attraverso<br />
l’adulazione del re, cerca la ricchezza, pensioni e vantaggi materiali. Proprio<br />
per questo al re, che sembrava - come monarca assoluto - esser divenuto<br />
universalità intimamente concretata, rimane invece solo il vuoto nome,<br />
essendo la possibilità di ricevere benefici ciò che vale nella considerazione<br />
dei suoi cortigiani. Da ultimo la ricchezza, dapprima vissuta come beneficio<br />
di cui esser grati al monarca, diventa, cinicamente, fine consapevole,<br />
oggetto di bramosia; e la gratitudine si trasforma in odio verso il re che<br />
detiene, a suo arbitrio, la facoltà di concedere o meno quella ricchezza in<br />
cui il cortigiano ha alienato la sua essenza.<br />
Due osservazioni possono restituire il tono di questo commento.<br />
Anzitutto Hyppolite vede in tutta questa dialettica, attraverso “allusioni<br />
molto precise”, quello sviluppo storico-sociale che condusse alla “situazione<br />
rivoluzionaria della Francia del secolo XVIII” 57; in secondo luogo, parlando<br />
dell’alienazione dell’autocoscienza nella ricchezza, Hyppolite nota che “ora<br />
si può pensare a La Bruyère che di questa evoluzione prendeva atto alla<br />
fine del seicento: ``tipi del genere non sono né parenti né amici né cittadini<br />
né cristiani, forse neppure uomini: hanno soldi, ecco tutto``” 58. Mi sembra<br />
sia ben in evidenza qui una caratteristica peculiare del commentare<br />
hyppolitiano: per lui si tratta innanzitutto di render chiaro, di esplicitare<br />
57 Hyppolite 1989 (= 1946), p. 501.<br />
58 Ivi, p. 498.<br />
86
l’elemento di concretezza che si cela “dietro le formule dialettiche” 59 del<br />
testo hegeliano. Il commento, da questo punto di vista, è opera di<br />
“concretizzazione” di un dettato che, di per sé, si presenta astratto,<br />
bisognoso di essere riportato a quei riferimenti che Hegel in buona parte ha<br />
tenuto nella penna. E se - lo abbiamo visto - per Hyppolite concreto è<br />
anzitutto il mondo dei fenomeni storici, ciò che gli interessa ritrovare dietro<br />
le formule dialettiche è proprio il mondo storico, con le sue testimonianze e<br />
i suoi documenti, che per primo ha animato l’interesse di Hegel.<br />
Il terzo passo nella mia operazione di cernita, lo compio portando<br />
la mia attenzione sulle pagine di Genesi e struttura che Hyppolite dedica<br />
all’analisi della coscienza onesta 60. Si tratterà più che altro di un breve<br />
accenno, funzionale alla messa in evidenza di un particolare principio<br />
ermeneutico hyppolitiano che, forse, è una delle chiavi di lettura più<br />
significative per capire l’approccio di Hyppolite all’opera oggetto del suo<br />
commento.<br />
Egli si appresta a considerare la dialettica della coscienza (onesta)<br />
che si trova a rapportare il proprio agire con la Cosa stessa (die Sache<br />
selbst). Nelle pagine precedenti lo studioso francese ha già chiarito il senso<br />
conferito da Hegel a questa espressione - die Sache selbst: la Cosa stessa è<br />
la realtà (Wirklichkeit) come opera dell’autocoscienza, l’effettuale “a livello<br />
del soggetto creatore”; quando lo spirito sarà giunto all’assolutezza, allora<br />
la Cosa stessa sarà lo spirito stesso come “opera comune delle individualità<br />
superantisi ciascuna in un suo modo particolare che nella loro comunanza<br />
realizzano un mondo”, sarà “il soggetto spirituale ovvero la storia” per<br />
59 Ivi, p. 497. Questo carattere del commentare hyppolitiano è evidente fin dal primo saggio<br />
pubblicato a commento della Fenomenologia (o, volendo essere precisi, a una sua sezione),<br />
Hyppolite 1939. Anche qui si riscontrano espressioni del tipo: “traduciamo in termini concreti<br />
questa dialettica”; “dietro le formule dialettiche”; “abbiamo insistito su questa descrizione tanto<br />
precisa per mostrare il realismo concreto di Hegel che la descrizione, in apparenza astratta, della<br />
Fenomenologia, ha forse potuto far dimenticare”.<br />
60 Hyppolite 1989 (= 1946), pp. 376-81. La sezione corrispondente della Fenomenologia è in Hegel<br />
1973 (= 1807), vol. I, pp. 341-8.<br />
87
aggiungere la quale è necessario “un gioco delle individualità che riprenda<br />
il movimento di mediazione delle autocoscienze” 61.<br />
Per la coscienza onesta, la quale è solo il primo passo nella serie di<br />
questi movimenti di mediazione, la Cosa stessa è solo quella onestà, quella<br />
dignità umana, che la coscienza attribuisce via via ai momenti del suo<br />
agire, quali che siano. Per Hyppolite la dialettica che si va ad instaurare a<br />
partire dalla coscienza onesta riprenderà il movimento, “già incontrato<br />
all’emergere dell’autocoscienza”, strutturato sulle “due categorie dell’essere-<br />
per-sé e dell’essere-per-un-altro” 62. Qui Hyppolite richiama la dialettica<br />
della lotta per il riconoscimento in cui “ogni autocoscienza è per sé e nello<br />
stesso tempo è un oggetto per un’altra autocoscienza”, e il riconoscimento<br />
avviene appunto attraverso la negazione di questa oggettività. Ma il<br />
riferimento è spinto anche più all’indietro: “la Cosa stessa mediante cui si<br />
nega il dileguare dell’opera e grazie al quale l’autocoscienza come operare<br />
necessario supera l’oggettività naturale, sarà insieme la Cosa di un<br />
individuo e la Cosa degli altri individui, differenza di forma corrispondente a<br />
quella che a un livello inferiore del movimento dialettico già si presentava<br />
per la forza”. Prendendo spunto dalla dialettica della Cosa stessa, Hyppolite<br />
ritorna indietro e fa notare la corrispondenza di struttura con movimenti<br />
precedenti; questo gli dà lo spunto per enunciare un principio esplicativo<br />
generale: “noi siamo dell’avviso che la dialettica superiore chiarisca sempre<br />
l’inferiore e che, parlando dell’essere-per-sé della forza e del suo essere-per-<br />
un-altro, Hegel pensasse già ai rapporti fra le autocoscienze” 63. Hyppolite<br />
giustifica qui un modo del commento: illuminare un testo mediante<br />
l’esplicitazione dei nessi che lo legano ad altre sezioni interne dell’opera. Di<br />
fronte alla possibile obiezione per cui ad ogni passo successivo della<br />
dialettica corrispondono momenti più ricchi e quindi imparagonabili ai<br />
precedenti, ogni nozione impiegata assumendo un’accezione particolare<br />
all’interno del proprio contesto, Hyppolite si premura di mostrare come<br />
61 Hyppolite 1989 (= 1946), p. 375.<br />
62 Ivi, p. 377.<br />
63 Ivi, p. 378.<br />
88
l’andamento “a spirale” della Fenomenologia consenta di assumere come<br />
principio di spiegazione una lettura, per così dire, a ritroso: a partire dagli<br />
sviluppi finali e più ricchi è possibile cogliere meglio il senso di quelli<br />
precedenti e più astratti; e questo, per Hyppolite, è entrare nel modo stesso<br />
di pensare di Hegel, il quale avrebbe concepito i momenti più astratti,<br />
iniziali, proprio compiendo uno sforzo di astrazione in riferimento a quei<br />
concreti fenomeni spirituali che, tutto sommato, sono gli unici ad averlo<br />
veramente interessato 64. Lo sappiamo: per Hyppolite è la storia, in quanto<br />
luogo della riunificazione di universalità e particolarità, come terreno di<br />
crescita della autentica libertà, il vero centro della speculazione hegeliana<br />
ed è a partire da questo centro che diventa comprensibile tutto il resto.<br />
Certo, si apre qui il problema del rapporto tra sviluppo fenomenologico e<br />
sviluppo storico, ma non è ancora il momento che io entri in questa<br />
disamina. A questo proposito può invece essere adesso utile risolvere una<br />
questione che avevo lasciato in sospeso 65.<br />
Abbiamo visto che per Hyppolite efficace mezzo di commento è<br />
l’esplicitare i riferimenti alla storia di cui è disseminata l’opera hegeliana.<br />
Questo è pacifico - per lui - nel capitolo dedicato all’analisi del momento<br />
spirito della Fenomenologia 66 , ma è una procedura di cui egli si serve anche<br />
nel commento ai precedenti momenti dell’opera. Risulta chiaro, alla luce di<br />
un principio per cui “la dialettica superiore chiarisce sempre l’inferiore”,<br />
come per Hyppolite sia lecito ed utile ricorrere alla storia (o alla storia della<br />
filosofia) per commentare anche gli sviluppi dialettici iniziali. D’altronde è<br />
una modalità sempre rispondente a quella tendenza alla “concretizzazione”<br />
che - lo si è visto - è l’anima del commentare hyppolitiano.<br />
64 “La Fenomenologia va dall’astratto al concreto, si innalza a sviluppi sempre più ricchi, i quali<br />
però riproducono sempre in sé gli sviluppi precedenti prestando loro un significato nuovo.<br />
Ognuno dei concetti impiegati da Hegel viene ripreso, rifuso e, per così dire, ripensato a uno<br />
stadio superiore dello sviluppo. Questa ripresa di tutti i momenti astratti arricchentisi<br />
progressivamente è caratteristica del modo stesso di pensare del nostro filosofo, a tal punto che<br />
egli stesso sente il bisogno di ritornare incessantemente indietro e riassumere le tappe già<br />
superate per mostrare che ora si ritrovano con un senso nuovo” (Hyppolite 1989 - =1946 -, p. 80).<br />
65 Cfr. supra, nota 44.<br />
66 Anche questo fatto, certamente, apre il problema del rapporto tra Fenomenologia e storia; ma,<br />
ripeto, non è il momento di approfondire.<br />
89
A conclusione di questo itinerario “antologico” all’interno di Genesi<br />
e struttura è doveroso che io mi soffermi, a questo punto, sulle pagine che<br />
Hyppolite dedica al commento della figura fenomenologica della coscienza<br />
infelice.<br />
Le prime parole, quelle con cui Hyppolite apre il capitolo - “La<br />
coscienza infelice è il tema fondamentale della Fenomenologia” 67 - sono già<br />
un omaggio a Jean Wahl. Raccogliendo perciò l’implicita indicazione<br />
hyppolitiana, mi soffermerò su queste pagine cercando, oltre che di mettere<br />
in evidenza le caratteristiche del commento secondo il metodo seguito<br />
finora, soprattutto di confrontarle con quelle che Wahl dedica<br />
specificamente al commentario della figura fenomenologica 68.<br />
E’ importante mettere fin da subito in evidenza la differenza di<br />
rilievo all’interno dell’ambito della totalità dell’opera che Hyppolite e Wahl<br />
danno al capitolo sulla coscienza infelice. E’ una differenza che sulle prime<br />
può sembrare formale: Hyppolite ha la preoccupazione di inserire il suo<br />
commento all’interno dell’architettura più ampia di Genesi e struttura; Wahl<br />
è invece più disinvolto nell’isolare la figura fenomenologica e nel giudicarne<br />
il senso in generale. Ovvero, mentre Hyppolite vede nella coscienza infelice<br />
quella tappa dello sviluppo fenomenologico per cui “l’autocoscienza<br />
oltrepasserà la sua soggettività, consentirà ad alienarla e a porla come<br />
essere” in modo tale che “l’essere stesso sarà divenuto l’autocoscienza e<br />
l’autocoscienza sarà essere” 141, il che è il significato speculativo della<br />
ragione, Wahl, invece, sottolinea che il carattere di “relativismo teologico” in<br />
cui consiste in ultima analisi la dialettica della coscienza infelice ha in sé la<br />
preformazione per cui alla fine (e qui Wahl intende alla fine della<br />
Fenomenologia) esso apparirà “come un monismo mistico” 142.<br />
67 Hyppolite 1989 (= 1946), p. 231.<br />
68 L’analisi comparativa riguarderà perciò Hyppolite 1989 (= 1946), pp. 231-60 e Wahl 1972 (=<br />
1929), pp. 155-89.<br />
141Hyppolite 1989 (= 1946), pp. 237-8.<br />
142Wahl 1972 (=1929), p. 177.<br />
90
La maggiore spregiudicatezza di Wahl rivela in fondo una<br />
differenza sostanziale del suo commento rispetto a quello hyppolitiano: a<br />
Wahl interessa, a partire dalla coscienza infelice considerata più come<br />
categoria spirituale che come luogo specifico della Fenomenologia, dare un<br />
giudizio complessivo dell’opera hegeliana in chiave di “misticismo”;<br />
Hyppolite, pur ammettendo che “la coscienza come tale [...], nel suo<br />
fondamento, è sempre coscienza infelice (in senso ampio)” 143, tuttavia si<br />
attiene più fedelmente al testo hegeliano, impedendogli ciò di affrettare<br />
giudizi generali soprattutto nel senso di un presunto misticismo hegeliano.<br />
Una seconda rilevante differenza tra i due commenti è la presenza,<br />
solo nel lavoro di Hyppolite, di una introduzione storica che, passando<br />
velocemente in rassegna la meditazione hegeliana nelle Jugendschriften,<br />
individua il luogo “natale” del concetto di coscienza infelice: Hyppolite,<br />
contrariamente a Wahl il quale in tutto il suo libro non ne fa menzione,<br />
individua nello scritto bernese Unterschied zwischen griechischer Phantasie-<br />
und christlicher positiver Religion il primo abbozzo di quello che sarà il<br />
capitolo fenomenologico. Hyppolite fa notare che questo scritto considera<br />
espressamente quel fenomeno storico che fu il passaggio dalla Città antica<br />
(e dalla sua religione pagana) all’impero romano in cui si afferma il<br />
cristianesimo. Vale riportare per intero la considerazione dello studioso<br />
francese: “è interessante rilevare che prima di presentare in forma astratta<br />
la scissione dell’io in se stesso, Hegel ha scoperto la coscienza infelice in un<br />
fenomeno storico. Le due analisi che nella Fenomenologia compaiono<br />
separate - quella della coscienza infelice propriamente detta nel capitolo<br />
sulla autocoscienza, e quella dell’alienazione dello spirito nel capitolo sullo<br />
stato-di-diritto - sono state elaborate insieme e la prima fu senza dubbio<br />
quella che nella Fenomenologia viene per seconda. Hegel ha scoperto<br />
dapprima ciò che più tardi sarà la coscienza infelice in generale, in una<br />
certa trasformazione dello spirito del mondo dalla quale è uscito il mondo<br />
143Hyppolite 1989 (= 1946), p. 231.<br />
91
moderno” 144. Hyppolite, ancora una volta, è preoccupato di far notare che<br />
Hegel non ha cominciato a pensare la coscienza infelice in forma generale<br />
come coscienza della scissione tra infinito e finito, ma, al contrario, ha<br />
presentato originariamente questa condizione dilacerata della coscienza<br />
analizzando un’evoluzione storica: nel disfarsi della città antica sotto<br />
l’azione delle guerre che condussero all’imperialismo romano, scompare<br />
anche l’universo spirituale in cui aveva prosperato la libertà del cittadino<br />
antico; libertà senza contrapposizioni fra vita privata e vita pubblica.<br />
L’individuo si ripiega su se stesso, sorge l’interesse limitato per<br />
l’autoconservazione che viene contrapposto alla dominazione di uno stato<br />
che si è reso straniero. Hyppolite mostra che per Hegel il decadere della<br />
religione pagana è dipeso “da una trasformazione sociale e spirituale del<br />
mondo umano” e che è da una condizione politica nella quale si realizza un<br />
atomismo sociale e lo Stato è meramente il garante della proprietà privata,<br />
che si sviluppa una religione come il cristianesimo: segnata dal dualismo<br />
fra l’al di qua e l’al di là, dalla scissione tra finito e infinito.<br />
Anche Wahl, nella introduzione al suo commento, accenna ad un<br />
riferimento storico: mostrando il movimento che nella Fenomenologia porta<br />
alla coscienza infelice, egli è condotto a parlare di stoicismo e scetticismo. Il<br />
richiamo obbligato è all’impero romano, nel seno del quale “lo stoicismo era<br />
l’espressione sublimata di un certo stato di fatto, l’imperium, composto di<br />
personalità separate”, mentre lo scetticismo era “l’esperienza reale che<br />
l’uomo fa e della contraddizione e della libertà del pensiero”. Insomma:<br />
“Epitteto e Marc’Aurelio avevano il concetto della libertà. Sesto Empirico<br />
vive questa libertà stessa” 145. E’ chiaro che si tratta di un commento che si<br />
serve solo en passant del riferimento alla storia e meno ancora si cura di<br />
approfondire quale sia il peso della riflessione storica che sta alla base del<br />
procedere hegeliano. A Wahl preme insistere sul fatto che “non si tratta di<br />
una dialettica puramente logica, ma d’una dialettica storica e affettiva” 146,<br />
144Hyppolite 1989 (=1946), p. 446. Cfr. anche Hyppolite 1980 (= 1948), pp. 326-7.<br />
145Wahl 1972 (= 1929), p. 156 e p. 157.<br />
146Ivi, p. 155.<br />
92
nel che però il valore del primo aspetto - dialettica “storica” - è come<br />
assorbito nel secondo - dialettica “affettiva”. Con evidenza questa<br />
caratteristica del commento wahliano risalta per la prima volta proprio alla<br />
fine della introduzione. Trattandosi di chiarire il significato dello scetticismo<br />
come figura fenomenologica, Wahl punta a colpire l’immaginazione del<br />
lettore e scrive: “lo scettico, quale Hegel se lo rappresenta, è più un Pascal<br />
che un Montaigne; ed è l’Ecclesiaste, che stabilisce sul nulla della creatura<br />
l’essenza infinita di Dio e non giunge a riconciliare queste due idee” 147.<br />
Tutto ciò mostra nei due commentatori una profonda diversità di<br />
atteggiamento. Hyppolite, attento a ciò che in Hegel è scavo storico,<br />
tramuta questa sua attenzione in un impegno storiografico; Wahl, invece,<br />
sensibile alle movenze che nel procedimento hegeliano possono essere<br />
“valorizzate” come affettive, non ha ambizioni di sistematicità, ma si<br />
comporta in maniera molto libera realizzando un commento che ama<br />
procedere per accostamenti intuitivi. Vediamo, infatti, come sono<br />
strutturati i due commenti.<br />
Il testo hegeliano della Fenomenologia dedicato alla coscienza<br />
infelice, conformemente all’andamento generale della dialettica<br />
fenomenologica, ha una struttura sostanzialmente tripartita: dopo un<br />
paragrafo introduttivo c’è una prima parte (due paragrafi) dedicati alla<br />
coscienza trasmutabile, una seconda parte (tre paragrafi) alla figura<br />
dell’intrasmutabile, una terza parte che presenta l’unificazione<br />
dell’effettualità e dell’autocoscienza; questa terza parte, a sua volta, ha una<br />
struttura complessa: una introduzione e poi tre sezioni che rispettivamente<br />
considerano la coscienza pura (o devozione), l’operare di tale coscienza, la<br />
mortificazione di sé come approdo dall’autocoscienza alla ragione.<br />
Il commento di Hyppolite segue in modo fedele il testo hegeliano:<br />
dopo una brevissima premessa, una introduzione storica, un paragrafo<br />
dedicato al passaggio alla coscienza infelice a partire dalle precedenti figure<br />
fenomenologiche, il capitolo hyppolitiano è anch’esso diviso in tre parti che<br />
147Ivi, p. 160.<br />
93
icalcano, anche nell’intitolazione, il dettato hegeliano: la coscienza<br />
trasmutabile, la figura dell’intrasmutabile, l’unificazione dell’effettualità e<br />
dell’autocoscienza, ognuna dedicata al commento dei rispettivi paragrafi<br />
hegeliani.<br />
Il commento di Wahl ha invece una configurazione essenzialmente<br />
quadripartita: ad una introduzione in cui si considera la genesi della<br />
coscienza infelice a partire dalle figure immediatamente precedenti, fanno<br />
seguito quattro sezioni. La prima, intitolata la coscienza infelice nel<br />
giudaismo, è il commento dei paragrafi che Hegel dedica alla coscienza<br />
trasmutabile; la seconda, che porta per titolo il cristianesimo, commenta le<br />
pagine sulla figura dell’intrasmutabile; la terza, la coscienza infelice nel<br />
cristianesimo, si sofferma sulla terza parte del capitolo hegeliano<br />
limitatamente ai paragrafi introduttivi, a quelli dedicati alla devozione e al<br />
primo dei cinque paragrafi che Hegel scrive sull’operare della coscienza<br />
pura; la quarta parte, intitolata la coscienza infelice e lo spirito, è un rapido<br />
riassunto del prosieguo del discorso hegeliano fino alla fine del capitolo e<br />
una serie di considerazioni sul rapporto, nella Fenomenologia, tra la<br />
religione e lo spirito assoluto.<br />
Di fronte all’estrema fedeltà hyppolitiana, Wahl compie<br />
un’operazione interpretativa molto più netta: in primo luogo le intitolazioni,<br />
che già restituiscono un preciso senso speculativo; intitolando “giudaismo”<br />
e “cristianesimo” si vuole mettere bene in evidenza che il discorso hegeliano<br />
è anzitutto un discorso sulla religione. In secondo luogo la struttura<br />
quadripartita che mette in rilievo la sezione finale, la coscienza infelice e lo<br />
spirito; accostando queste due nozioni in maniera così diretta, si suggerisce<br />
che, ridotto ai minimi termini, questi sono i concetti-chiave del<br />
ragionamento di Hegel e che la coscienza infelice, semanticamente<br />
equivalente alla religione, prelude direttamente allo spirito. Ho già parlato<br />
della portata generale di un tale approccio ermeneutico in ordine alla<br />
valutazione globale della filosofia hegeliana da parte di Wahl 148. Qui voglio<br />
148Cfr. supra, p. 21.<br />
94
dare ancora qualche ragguaglio su qualcuna delle caratteristiche specifiche<br />
dei due commenti.<br />
Commentando le pagine hegeliane sulla coscienza trasmutabile,<br />
Wahl introduce il riferimento concreto all’ebraismo. La stessa cosa fa<br />
Hyppolite. Ma la differenza di tono è notevole. Per Wahl (conformemente<br />
alla sua convinzione per cui si equivalgono coscienza infelice e religione)<br />
qui Hegel parlerebbe espressamente del giudaismo (tant’è vero che, come<br />
s’è detto, egli intitola “la coscienza infelice nel giudaismo” questa parte del<br />
suo commento); per Hyppolite il riferimento alla religione ebraica è lecito,<br />
sì, sulla base della testimonianza delle Jugendschriften, ma esso, da fare<br />
proprio “qualora si voglia un esempio concreto” 149 della opposizione fra<br />
trasmutabile e intrasmutabile, non è l’unico possibile (infatti Hyppolite<br />
richiama a questo riguardo anche la “interpretazione che nella<br />
Wissenschaftlehre Fichte dà della critica kantiana come primato della<br />
ragion pratica”). Questo perché per lo studioso francese nella<br />
Fenomenologia in generale e anche, quindi, nel capitolo sulla coscienza<br />
infelice, i risultati degli studi giovanili di Hegel, compresa la modalità della<br />
coscienza infelice come infelicità del popolo ebraico, sono “trasposti su un<br />
piano propriamente filosofico” 150. Se, dunque, è giusto in sede di commento<br />
riferirsi agli svolgimenti più concreti delle Jugendschriften è chiaro, per<br />
Hyppolite, che non può essere operata alcuna riduzione: la dialettica<br />
fenomenologica ha un senso filosofico trascendente rispetto a singole<br />
analisi storiche concrete. E’ venuto bene alla luce qui, in contrasto con<br />
l’atteggiamento wahliano, un carattere fondamentale dell’approccio<br />
interpretativo hyppolitiano, sul quale dovrò ritornare più avanti.<br />
Esaminare il paragrafo redatto da Hyppolite a commento delle<br />
pagine hegeliane sulla figura dell’intrasmutabile - egli qui non cita<br />
149Hyppolite 1989 (= 1946), p. 239.<br />
150Ivi, p. 235. A questo proposito Hyppolite scrive anche: “Dagli scritti giovanili di Hegel sappiamo<br />
che nella sua origine la coscienza infelice si fonde coll’ebraismo e poi si estende al cristianesimo<br />
del Medioevo. Ma le pagine della Fenomenologia sulla coscienza infelice non contengono alcuna<br />
menzione esplicita dell’ebraismo; dunque si tratta sempre di elucidazioni storiche che servono a<br />
uno sviluppo necessario dell’autocoscienza (quando Hegel ritiene che servano)” (Hyppolite 1989 -<br />
= 1946 -, pp. 46-7).<br />
95
espressamente Wahl, ma dissemina il suo discorso di rimandi, a volte<br />
anche testuali, al lavoro del suo predecessore -, mettendolo a confronto con<br />
l’analoga sezione del commento wahliano è, forse, una delle maniere<br />
migliori per misurare la vicinanza e, insieme, la distanza, fra i due.<br />
Questa parte della figura fenomenologica segue, per Hyppolite, il<br />
passaggio da quell’aspetto per cui la coscienza infelice è “coscienza della<br />
vanità della vita, che non avendo in sé la propria essenza la doveva cercare<br />
al di là di sé”, a quell’altro aspetto per cui essa diventa “quella soggettività<br />
che non sarà più priva d’essenza ma la cui essenza sfuggirà sempre alla<br />
coscienza che vuole impossessarsene” 151. Si va, cioè, dal riferimento<br />
all’esperienza ebraica, a quello all’incarnazione di Dio nel Cristo: “la<br />
saggezza di Salomone dovrà dunque incarnarsi in un essere concreto, nel<br />
figlio di Davide” 152. Proprio a livello di questo giro di pensieri è possibile<br />
dare un primo esempio della distanza che avvicina e separa Hyppolite e<br />
Wahl. Il trascorrere della dialettica hegeliana dal momento, per così dire,<br />
dell’ebraismo, a quello del cristianesimo è caratterizzato da Hyppolite in<br />
questo modo: “Il progresso qui indicato da Hegel e corrispondente ai profeti<br />
ebraici ci sembra questo: da prima la coscienza trasmutabile si oppone alla<br />
propria essenza; essa è il rapporto di entrambe per noi; - poi è per se stessa<br />
questo movimento della soggettività, questa ascesa. Da quel momento i due<br />
termini si devono unire nella figura dell’intrasmutabile, ma questa figura le<br />
rimane estranea” 153. Quindi: un primo accenno concreto ai “profeti ebraici”<br />
e poi una descrizione riassuntiva che rimane aderente, anche nel lessico, al<br />
dettato hegeliano. Wahl, invece, a questo stesso proposito, scrive: “In<br />
questo inizio di capitolo, ciò che noi seguiamo è la storia del popolo ebraico<br />
dal tempo di Abramo e di Mosè, quando esso si oppone a un Dio<br />
immutabile, fino al tempo in cui questo immutabile discende nella<br />
coscienza con Cristo [...]. Abramo, Mosè, Davide, Cristo possono essere<br />
151Hyppolite 1989 (= 1946), p. 242.<br />
152Ivi, pp. 243-4. Qui Hyppolite riprende alla lettera una notazione che Wahl, anch’egli, pone<br />
all’inizio del suo commento per ridare il senso del procedere hegeliano. V. Wahl 1972 (= 1929), p.<br />
166.<br />
153Hyppolite 1989 (= 1946), p. 243, nota 20.<br />
96
assunti a simboli della relazione fra il generale e il particolare” 154. E’<br />
evidente che Hyppolite si è servito della caratterizzazione wahliana, ma ha<br />
preferito restituirla in un linguaggio diverso, maggiormente fedele a Hegel,<br />
mantenendo il generico riferimento ai profeti ebraici solo a titolo di<br />
esempio. Wahl, invece, si potrebbe dire, fa nomi e cognomi, spingendo al<br />
limite la concretizzazione del testo hegeliano, non preoccupandosi di<br />
eccedere nell’accumulazione di rimandi simbolici.<br />
Voglio mettere in risalto ancora un altro luogo del commento dove<br />
si mostra questa diversità di atteggiamenti. Si tratta della parte finale del<br />
paragrafo hyppolitiano, in cui lo studioso francese tira le somme e<br />
riassume il senso di questo stadio della dialettica fenomenologica 155.<br />
Commentando la posizione hegeliana la quale riconosce nell’incarnazione<br />
un elemento di radicale contingenza e fatticità che ne marca l’insufficienza<br />
speculativa, Hyppolite scrive: “Dio s’è fatto uomo: in ciò vi è una storicità<br />
irriducibile che tuttavia lo spirito deve superare [...]. Occorrerà mantenere<br />
tutto il romanticismo, tutta la storicità, ma legarlo all’elemento razionale e<br />
fonderli l’uno nell’altro. In tutte le Jugendschriften - intorno alla positività<br />
di una religione, al destino del cristianesimo - Hegel ha meditato su tale<br />
elemento storico e sullo sforzo dell’autocoscienza per assimilarlo” 156. A<br />
questo medesimo riguardo, come è diverso il commento di Wahl!: “Quanto<br />
154Wahl 1972 (= 1929), p. 167.<br />
155Per scrupolo di completezza mi pare giusto segnalare gli altri due passi in cui è evidente<br />
l’utilizzo, da parte di Hyppolite, del lavoro wahliano. A proposito dell’affermazione hegeliana per<br />
cui “la coscienza intrasmutabile è quindi in pari tempo anche coscienza singola e il movimento è<br />
altrettanto movimento della coscienza intrasmutabile” (Hegel 1973 - = 1807 -, vol. I. p. 177), Wahl<br />
commenta: “affermazione fondamentale dal punto di vista fenomenologico il quale non può fare a<br />
meno d’una noumenologia, almeno a titolo d’ipotesi” (Wahl 1972 - = 1929 -, p. 171). Qualche riga<br />
dopo Hegel commenta: “ma tale considerazione, in quanto essa appartiene a noi, qui è<br />
intempestiva”. Wahl nota: “una teoria fenomenologica è l’analogo di una teoria della grazia, per la<br />
quale non si può separare ciò che deriva da Dio e ciò che deriva dal libero arbitrio” (Wahl 1972 - =<br />
1929 -, p. 172). Hyppolite, a sua volta, scrive: “La prospettiva in cui ci troviamo collocati è quella<br />
di una fenomenologia, non di una noumenologia. Non si può separare ciò che viene da Dio e ciò<br />
che viene dall’uomo, distinguere grazia e libero arbitrio: nella prospettiva in cui siamo si prende in<br />
considerazione soltanto l’esperienza unilaterale della coscienza, non il movimento in sé e per sé<br />
dello spirito assoluto” (Hyppolite 1989 - = 1946 -, p. 245).<br />
Un’altra corrispondenza, stavolta testuale, è poco più avanti, a commento dell’affermazione<br />
hegeliana per cui l’intrasmutabile che ha assunto una figura ha non solo non cancellato ma<br />
addirittura rafforzato il momento dell’al di là (cfr. Hegel 1973 - = 1807 -, vol. I, p. 178); Hyppolite,<br />
riprendendo Wahl 1972 (= 1929), p. 175, scrive: “Quel Dio che è morto non risulta poi più facile<br />
da possedere del Dio che non conosce la vita” (Hyppolite 1989 - = 1946 -, p. 246).<br />
156Hyppolite 1989 (= 1946), pp. 245-6.<br />
97
alla riconciliazione finale, essa si troverà nello spirito in quanto esso ha<br />
coscienza insieme dell’immutabilità e dell’individualità come tale, cioè in<br />
quanto conserva un elemento individualistico e romantico. Ciò che Hegel<br />
vuole è, dunque, conservare l’elemento individuale, cristiano e romantico:<br />
ma, nello stesso tempo, egli cerca di elevarlo a un modo superiore per<br />
giungere nella religione all’universale concreto, per pervenire a una sorta di<br />
razionalizzazione del romanticismo e del cristianesimo insieme a una<br />
cristianizzazione o romanticizzazione del razionale” 157.<br />
Dove Hyppolite scrive “elemento storico”, Wahl scrive “elemento<br />
individuale, cristiano e romantico”; se Hyppolite - contestualmente al<br />
disegno hegeliano - parla di uno “sforzo dell’autocoscienza” per superare<br />
l’opposizione all’elemento oggettivo, sforzo che, evidentemente, terminerà<br />
momentaneamente nella ragione, Wahl, al contrario, brucia a suo modo le<br />
tappe e parla di “universale concreto” realizzato nella “religione” 158.<br />
Mi sembra inutile insistere oltre: questo confronto ha mostrato<br />
bene, credo, la distanza, in termini di intendimenti e di risultati, fra<br />
Hyppolite e Wahl alle prese col testo e il pensiero hegeliani.<br />
Ciò che mi interessa fare a questo punto è, partendo da un’ultima<br />
considerazione sul commento di Hyppolite al capitolo sulla coscienza<br />
infelice, concludere l’esame del commentare hyppolitiano e introdurmi poi a<br />
studiare le questioni generali che egli solleva a proposito di una<br />
considerazione globale della Fenomenologia e del suo significato<br />
speculativo.<br />
Procedendo nel caratterizzare la coscienza infelice Hegel se ne<br />
esce, quasi all’improvviso in una frase del genere: “la coscienza della vita, la<br />
coscienza dell’esistere e dell’operare della vita stessa, è soltanto il dolore<br />
per questo esistere e questo operare; quivi infatti come consapevolezza<br />
dell’essenza ha soltanto la consapevolezza del suo contrario ed è quindi<br />
157Wahl 1972 (= 1929), pp. 169-70.<br />
158Anche più avanti - v. Wahl 1972 (= 1929), p. 188 - lo studioso francese parla della “religione<br />
assoluta” come “punto d’arrivo” della dialettica fenomenologica.<br />
98
conscia della propria nullità” 159. Abbiamo visto - come testimonia il suo<br />
saggio del 1938 - che fin da subito Hyppolite fu colpito dalla tematica della<br />
vita e della coscienza della vita. In queste pagine di Genesi e struttura lo<br />
studioso francese non rinuncia a tornare sull’argomento. La “coscienza<br />
della vita di cui parla Hegel è caratterizzata dapprima come “un riflettersi<br />
che contrappone”, come “riflessione ci separa dalla vita”, come<br />
“separazione dalla vita”, come “autocoscienza-riflessione della vita” 160.<br />
Hyppolite rimarca che “prendere coscienza della vita è sapere che la vera<br />
vita è assente e trovarsi come respinti sul lato del nulla”; prendere<br />
coscienza della vita è scoprire che “la vita così come si dà non è la vita vera<br />
ma solo un’accidentalità”. Nella riflessione come presa di coscienza della<br />
vita, dunque, è impossibile una coincidenza di sé con sé, ma questa<br />
disparità - nota Hyppolite - “è appunto il fondo della soggettività”. Alla<br />
soggettività è essenziale l’inquietudine, “l’impossibilità di uscire dalla<br />
duplicità”. L’io è “scisso in sé medesimo” e cosciente di una tale<br />
contraddizione a lui interiore. In questo consiste “propriamente l’infelicità<br />
della coscienza”. Hyppolite giunge, quindi, a identificare da un lato presa di<br />
coscienza della vita e infelicità della coscienza, dall’altro infelicità della<br />
coscienza e contraddizione, “anima della dialettica” 161. Proponendosi di<br />
approfondire il senso dell’intima scissione dell’io Hyppolite nota che<br />
l’autocoscienza - come è caratterizzata da Hegel - è elevazione<br />
all’indipendenza; ma, altrettanto, che “tale indipendenza nell’ordine della<br />
vita si traduce in libertà verso la vita”. L’autocoscienza “appare quindi come<br />
l’elevarsi alla libertà”. E questo è il senso di un’espressione alquanto<br />
singolare che Hyppolite aveva scritto nelle prime pagine del suo commento<br />
al capitolo autocoscienza della Fenomenologia: “la presa-di-coscienza della<br />
vita universale mediante l’uomo è una riflessione creatrice” 162, ossia<br />
159Hegel 1973 (= 1807), vol. I, pp. 175-6. Citato in Hyppolite 1989 (= 1946), pp. 231-2.<br />
160Cfr. Hyppolite 1989 (= 1946), p. 232 e pp. 236-7. Traggo da qui anche le citazioni che seguono.<br />
161In questo senso egli può ritornare all’antitesi glockneriana e scrivere: “ecco allora come il<br />
pantragismo hegeliano, così caratteristico delle Jugendschriften, si identifica col panlogismo del<br />
filosofo” (Hyppolite 1989 - = 1946 -, p. 236).<br />
162Hyppolite 1989 (= 1946), p. 181.<br />
99
l’autocoscienza crea l’elemento della libertà umana. Già sappiamo che è il<br />
problema della libertà quello con cui lo studioso francese si accosta a<br />
Hegel, una libertà umana, che abbia insieme il respiro del singolo e quello<br />
della collettività. Conviene già qui ricordare che cosa scriveva Hyppolite<br />
proprio nel 1946 - l’anno di pubblicazione di Genesi e struttura - quasi a<br />
marcarne e a suggellarne il significato globale: “Problema fondamentale di<br />
ogni filosofia contemporanea. Tra la vita in generale e la coscienza che<br />
l’uomo prende della vita, tra l’essere assoluto e il sapere quale rapporto può<br />
mai esserci che rende possibile questa perpetua invenzione costituita dalla<br />
presa di coscienza? come il sapere della vita può essere negazione di questa<br />
vita (la coscienza infelice) e creatore di una vita nuova, in una dimensione<br />
originale, che nella sua profondità non è null’altro che il niente della<br />
soggettività? ``noi siamo il niente`` scrive Hegel a Jena. Come questa<br />
negatività può infine essere creatrice se il meno non può generare il più?<br />
Noi crediamo che la soluzione di Hegel sia stata quella di porre al fondo<br />
delle cose il problema stesso al posto di una soluzione già bell’e pronta.<br />
``L’assoluto è soggetto``, ciò significa che esso è sé essendo sempre più di<br />
sé, che esso è sempre per se stesso il problema di se stesso. Così, mettendo<br />
il soggetto o il problema al fondo delle cose, Hegel si dava la possibilità di<br />
aprire la storia e di sempre giustificarla nello stesso tempo. Noi non<br />
facciamo altro che indicare qui ciò che ci sembra essere il centro della<br />
filosofia hegeliana - mettere il problema al posto della soluzione,<br />
giustificando in tal modo la fecondità di tutte le mediazioni, senza tuttavia<br />
avere come risultato un assoluto insondabile, non rivelabile” 163.<br />
Coscienza della vita, negatività creatrice, soggettività, assoluto,<br />
storia... Una serie di questioni che si aprono una dietro l’altra. E’ davvero,<br />
questa, una tra le pagine hyppolitiane - solitamente così limpide nella loro<br />
chiarezza francese - più tormentate. Non per questo meno significativa e<br />
meritevole d’attenzione. Per afferrarne il senso, però, è opportuno affrontare<br />
la seconda tappa di questo itinerario attraverso l’opera maggiore di<br />
163Hyppolite 1946A, p. 144.<br />
100
Hyppolite, quella che ci condurrà a indagare l’aspetto per cui essa può<br />
essere letta non solo come commento, ma anche come interpretazione<br />
globale della Fenomenologia dello spirito e, tramite essa, della filosofia<br />
hegeliana.<br />
2. l’interpretazione della Fenomenologia dello spirito<br />
Il capitolo finale sul sapere assoluto e la prefazione all’intera<br />
Fenomenologia sono i due luoghi privilegiati per una considerazione globale<br />
della filosofia di Hegel a partire dall’opera del 1807. Questa è la limpida<br />
persuasione di Hyppolite, il quale dedica all’esame di queste pagine<br />
hegeliane la prima e la settima parte (e, in più, l’introduzione e la<br />
conclusione al III capitolo della parte sesta) del suo Genesi e struttura.<br />
Si tratta, in generale, di interpretare il senso del sapere assoluto<br />
quale momento culminante e, insieme, risultato della dialettica<br />
fenomenologica. E’ questione, per Hyppolite, di comprendere e far<br />
comprendere che cosa possa significare che il sapere assoluto, inteso come<br />
autocoscienza dello spirito assoluto, è nel contempo apertura della<br />
dimensione della scienza (che, come tale, è priva di presupposti) e punto di<br />
arrivo di un itinerario coscienziale. Da un punto di vista un po’ diverso, si<br />
può dire che siamo di fronte al problema della relazione tra Fenomenologia<br />
e storia: il sapere assoluto inaugura l’ingresso nella dimensione della<br />
filosofia come scienza indipendente dal tempo; tuttavia ha delle condizioni<br />
temporali. Se, dunque, il problema generale è capire che cosa possa voler<br />
dire che il sapere assoluto ha dei presupposti temporali (o storici),<br />
Hyppolite, con molta perspicacia, individua due direzioni della questione:<br />
da una parte la considerazione del sapere assoluto come capitolo finale<br />
della Fenomenologia conduce a guardare all’indietro e a discernere il ruolo<br />
della storia nella Fenomenologia; dall’altra la costituzione d’essere del<br />
sapere assoluto come autocoscienza universale dello spirito stimola a<br />
spingere lo sguardo in avanti per determinare la configurazione del<br />
101
apporto Fenomenologia-Logica (il quale coinvolge, a sua volta, due aspetti<br />
complementari: da un lato la questione dell’autocoscienza dello spirito<br />
assoluto chiama in causa una interpretazione della religione; dall’altro è la<br />
problematica filosofica del senso da conferire all’autocoscienza universale).<br />
E’ un fitto groviglio di interrogativi da dipanare. Si capisce come<br />
anche i critici del lavoro hyppolitiano abbiano focalizzato soprattutto qui la<br />
loro discussione: “qui si parrà la tua nobilitate”, sembrano aver voluto dire<br />
allo studioso francese.<br />
E’ tempo, dunque, di entrare nel dettaglio della disamina<br />
hyppolitiana. Il primo grappolo di questioni che si presentano a chi, come<br />
Hyppolite, vuole gettare uno sguardo retrospettivo a tutta la Fenomenologia<br />
partendo dal suo esito finale, il sapere assoluto, mettono di fronte alla<br />
considerazione del metodo dell’opera hegeliana e, in particolare, al ruolo<br />
che in esso è giocato dalla storia.<br />
Hyppolite richiama, a questo proposito, il fatto che l’idea di un<br />
“itinerario dell’anima elevantesi a spirito attraverso la mediazione della<br />
coscienza” poteva esser venuta a Hegel dall’influenza del Bildungsroman<br />
dell’epoca: l’Emile di Rousseau, il Wilhelm Meister di Goethe, lo Heinrich von<br />
Ofterdingen di Novalis erano tutti modelli in tal senso. Se, allora, la<br />
Fenomenologia può esser vista come il Bildungsroman filosofico,<br />
“ciononpertanto secondo Hegel una simile storia della coscienza non è un<br />
romanzo ma un’opera scientifica”; “lo sviluppo della coscienza presenta in<br />
sé una sua necessità” 164. La considerazione della scientificità dello sviluppo<br />
fenomenologico conduce necessariamente Hyppolite a discutere le<br />
affermazioni della introduzione alla Fenomenologia a riguardo della<br />
negazione determinata e del metodo del sapere.<br />
Sono note le affermazioni di Hegel per cui l’esperienza della<br />
coscienza, in quanto riconoscimento della disparità esistente tra ciò che<br />
essa aveva posto come vero e ciò che le risulta come certo, “non è un<br />
164Hyppolite 1989 (= 1946), p. 17.<br />
102
movimento meramente negativo”, poiché il risultato di ogni esperienza deve<br />
essere inteso “come negazione determinata”, un nulla che “ha un<br />
contenuto” in quanto “nulla di ciò da cui resulta”, nulla, quindi, da cui “è<br />
immediatamente sbocciata una nuova forma” 165. Hyppolite preferisce<br />
parlare, più che di negazione determinata, di “negazione creatrice”, effetto<br />
della immanenza del tutto nella coscienza 166. E’ l’assoluto medesimo a<br />
porsi, nell’esperienza della coscienza, in guisa determinata, ed è proprio per<br />
questo che esso, nella coscienza, si oppone a se stesso e dunque si nega e<br />
si supera. Questo - nota Hyppolite - è “quanto fa sì che la coscienza non sia<br />
un esserci determinato o, se si vuole, un essere naturale”. Il fatto che<br />
l’assoluto le sia immanente e, in tal modo, la obblighi a una trascendenza<br />
continua delle sue determinazioni, del suo limite, questo è il motivo<br />
profondo per cui la coscienza, diversamente da un qualsiasi ente naturale,<br />
è “per sé la negazione delle proprie forme limitate o, se si vuole, della<br />
propria morte” 167.<br />
E’ a questo livello che la considerazione retrospettiva della<br />
Fenomenologia alla luce del sapere assoluto - considerazione che ha portato<br />
a riconoscere la presenza dell’assoluto come fondamento e anima della<br />
coscienza stessa - conduce Hyppolite a confrontare l’idea hegeliana di<br />
dialettica fenomenologica con la speculazione a lui contemporanea della<br />
filosofia esistenzialista.<br />
Hegel stesso - mette in risalto lo studioso francese - ha concepito<br />
“il morire presente nella coscienza” come “momento necessario con cui essa<br />
sopravvive a se medesima elevandosi a una forma nuova”.<br />
Quest’immanenza della morte è “angoscia che possiede la coscienza stessa<br />
165Cfr. Hegel 1973 (= 1807), vol. I, p. 71.<br />
166”Simile funzione della negazione che in quanto negazione determinata genera un nuovo<br />
contenuto, di primo acchito non si vede. Posto un certo termine A, può forse la sua negazione<br />
non-A generare un termine B veramente nuovo? Non pare. Qui a nostro avviso per comprendere il<br />
testo hegeliano si deve già ammettere che il Tutto sia sempre immanente nello sviluppo della<br />
coscienza. La negazione è creatrice perché il termine posto era esso stesso una certa negazione,<br />
era stato isolato. Di conseguenza si intende che la sua negazione (negazione della negazione)<br />
permette di ritrovare nella sua particolarità questo tutto” (Hyppolite 1989 - = 1946 -, p. 21).<br />
167Hyppolite 1989 (= 1946), p. 24. Addirittura Hyppolite scrive: “Tutta la Fenomenologia sarà una<br />
meditazione su questa morte che, portata alla coscienza, lungi dall’essere esclusivamente<br />
negativa, la fine nel nulla astratto, è al contrario una Aufhebung, un ascendere”.<br />
103
e la spinge sempre oltre se stessa - finché essa non sia più una coscienza<br />
umana [...] bensì raggiunga quel sapere assoluto che è<br />
contemporaneamente sapere l’oggetto e sapere sé”; e questa angoscia “non<br />
è soltanto [...] un’angoscia nell’ambito della conoscenza, ma un’angoscia<br />
esistenziale, come tende a dimostrare tutta la Fenomenologia” 168.<br />
L’angoscia esistenziale della coscienza è ciò che sulla scorta di Glockner<br />
Hyppolite chiama il pantragismo, ossia il saldarsi di tragico esistenziale e di<br />
negatività dell’assoluto. Certamente qui Hyppolite è vicinissimo a quanto<br />
intendeva esprimere Wahl col suo porre in rilievo la centralità della<br />
coscienza infelice nella filosofia di Hegel. Ed è proprio a partire da questo<br />
giro di pensieri che molti critici hanno definito quella di Hyppolite una<br />
interpretazione esistenzialista di Hegel 169. Ritengo che l’osservazione più<br />
acuta al riguardo sia stata fatta da uno dei primissimi recensori di Genesi e<br />
struttura, Mikel Dufrenne; egli, implicitamente ironizzando sulla tesi<br />
interpretativa di Merleau-Ponty, scrive: “Senza dubbio il progetto iniziale di<br />
168Hyppolite 1989 (= 1946), p. 25. In un saggio contemporaneo a Genesi e struttura - Hyppolite<br />
1946B - lo studioso francese si è diffuso con maggiori particolari nell’esame della “parentela” fra<br />
certi temi hegeliani e certi temi dell’esistenzialismo. Egli nota, ad esempio, che nel capitolo<br />
autocoscienza della Fenomenologia la presa di coscienza della vita è un momento tragico, di presa<br />
di coscienza della morte come limite che custodisce la totalità della vita - e qui si può pensare ad<br />
Heidegger (cfr. Hyppolite 1946B, p. 95); oppure che la lotta a morte descritta da Hegel può essere<br />
ben compresa nella sua necessità alla luce delle considerazioni sartriane sulla insopportabilità<br />
dell’altrui sguardo cosificante (cfr. Hyppolite 1946B, p. 99).<br />
169Il primo fondamentale contributo in questo senso si legge in Merleau-Ponty 1946, pp. 1313-4:<br />
“Si può parlare di un esistenzialismo di Hegel perché anzitutto egli non si propone di incatenare<br />
concetti, ma di rivelare la logica immanente dell’esperienza umana in tutta la sua ampiezza [...].<br />
L’esperienza non è più come in Kant il nostro contatto affatto contemplativo col mondo sensibile;<br />
qui la parola riprende la risonanza tragica che essa ha nel linguaggio comune [...]. C’è un<br />
esistenzialismo di Hegel nel senso che per lui l’uomo non è subito una coscienza che possiede<br />
nella chiarezza i suoi pensieri, ma una vita data a se stessa che cerca essa stessa di<br />
comprendersi. Tutta la Fenomenologia dello spirito descrive questo sforzo che l’uomo fa per<br />
riconquistarsi”.<br />
Gli si fa eco in Vuillemin 1950: “Questa interpretazione di Hegel dà un senso più concreto, più<br />
vitale alla dialettica [...]. Hyppolite mette in rilievo l’aspetto esistenziale della démarche dialettica”<br />
(p. 193).<br />
In D’Hondt 1969 si ricorda che: “Hyppolite è ben il figlio e il testimone del suo tempo [...]. In una<br />
fraterna intimità con Sartre e Merleau-Ponty egli ha vissuto l’avventura esistenzialista”.<br />
Altri critici sottolineano la portata antimarxista della vicinanza di Hyppolite all’esistenzialismo. V.<br />
per es. Pompeo Faracovi 1972: questa studiosa insiste sul fatto che, per Hyppolite, la scissione<br />
interna della coscienza “non deriva soltanto da certi conflitti economici, che possono un giorno o<br />
l’altro sparire: deriva, invece, dal movimento stesso della Vita, dell’Idea, della Storia” (p. 24. Qui la<br />
studiosa italiana cita dal saggio hyppolitiano La conception hégélienne de l’Etat et sa critique par<br />
Karl Marx, in Cahiers Internationaux de Sociologie, 1946, II, pp. 142-61). Anche in Roth 1988 si<br />
nota che “Hyppolite utilizza la sua comprensione della permanenza della coscienza infelice [...]<br />
contro l’ideale marxista che la rivoluzione possa risolvere il problema dell’alienazione” (p. 39).<br />
104
Hegel è opposto a quello dell’esistenzialismo: esso pretende di cogliere<br />
l’essere, giacché il reale è razionale e la dialettica uno strumento di<br />
intelligibilità; essa riproduce il movimento stesso dell’essere [...].<br />
Introducendo la negazione nel cuore dell’essere, la tragedia nel seno<br />
dell’assoluto, Hegel è più esistenzialista degli esistenzialismo. Per<br />
l’esistenzialismo solo la coscienza è negatività [...]. Per Hegel l’infelicità della<br />
coscienza è l’infelicità dell’essere” 170. D’altronde è lo stesso Hyppolite a<br />
riconoscere che, se si vuole istituire un paragone fra alcuni temi hegeliani e<br />
certi altri temi dell’esistenzialismo, è necessario “lasciare da parte il fatto<br />
che la Fenomenologia [...] conduce al sapere assoluto” 171.<br />
Insomma: da una lettura spassionata di Genesi e struttura risalta<br />
con evidenza che l’immagine che Hyppolite ci restituisce di Hegel non può<br />
essere seriamente etichettata con l’aggettivo di “esistenzialista”; egli è<br />
troppo attento alla complessità e alla globalità del lavoro hegeliano per<br />
tranciare giudizi affrettati e parziali. La negatività dell’assoluto e la sua<br />
immanenza nella coscienza a costituire la tragicità dell’esperienza sono<br />
sottolineate, sì, da Hyppolite, ma non in modo tale da indurlo a soffermarsi<br />
sull’aspetto per cui l’infelicità della coscienza sarebbe la sorgente più o<br />
meno celata dell’ispirazione hegeliana; questo evidenziare il “pantragismo”<br />
hegeliano gli serve, piuttosto, per cercare di interpretare le affermazioni<br />
hegeliane - lo abbiamo visto - intorno alla necessità del procedere<br />
fenomenologico.<br />
Non bisogna dimenticare che Hyppolite sta compiendo una lettura<br />
retrospettiva della Fenomenologia a partire dal guadagno del sapere<br />
assoluto. Perciò gli interessa verificare la necessità del cammino<br />
fenomenologico. Per fare questo, già l’ho anticipato, Hyppolite guarda al<br />
ruolo che nel metodo della Fenomenologia gioca la storia. Scrive, infatti, lo<br />
studioso francese: “Il succedersi delle esperienze della coscienza nella<br />
Fenomenologia è [...] accidentale soltanto per la coscienza fenomenica. Per<br />
170Dufrenne 1947, p. 470.<br />
171Hyppolite 1946B, p. 93.<br />
105
noi che raccogliamo tali esperienze, si scopre [...] la necessità della<br />
progressione [...]. D’altro canto si deve riconoscere che questa necessità<br />
(sintetica) non è sempre facile da cogliere, e al lettore moderno talvolta il<br />
passaggio suona arbitrario. Tale passaggio d’altra parte pone il problema<br />
dei rapporti tra la Fenomenologia e la storia” 172.<br />
E’ la presenza del riferimento alla storia che introduce nella<br />
Fenomenologia un elemento di accidentalità: chiarire i rapporti tra<br />
Fenomenologia e storia è, per Hyppolite, basilare sia per dare il giusto peso<br />
alla componente “tragica” dell’assoluto hegeliano, sia per valutare la<br />
scientificità del processo fenomenologico. Da un lato, infatti, quando<br />
Hyppolite accenna al “pantragismo” non lo fa per limitarsi a descrivere la<br />
scissione inerente all’intimità della coscienza, ma piuttosto per evidenziare<br />
che la visione hegeliana della storia è tragica 173; dall’altro, se la medesima<br />
lacerazione inerente alla coscienza è motore sia dell’esperienza storica, sia<br />
dell’esperienza descritta nella Fenomenologia, è chiaro che per Hyppolite si<br />
presenta ineludibile l’interrogativo sul ruolo della storia nell’opera del 1807.<br />
Che cos’è, dunque, la Fenomenologia? “E’ essa una storia<br />
dell’umanità o vuole essere per lo meno una filosofia di tale storia?” 174. Una<br />
prima risposta dello studioso francese è decisa: la Fenomenologia non è la<br />
storia del mondo (Weltgeschichte) né una filosofia della storia del mondo 175.<br />
Ciò tuttavia non risolve il problema. E’ innegabile, infatti, che nella<br />
Fenomenologia la storia ha gran parte. Hyppolite adotta una duplice<br />
misura: la Fenomenologia, anche da questo punto di vista, può essere<br />
divisa in due parti 176. Per ognuna di queste vale un criterio di giudizio<br />
172Hyppolite 1989 (= 1946), p. 34, nota 59.<br />
173Cfr. Hyppolite 1989 (= 1946), pp. 39-40: “La visione che Hegel prende della storia è tragica.<br />
L’astuzia della ragione non vi figura da semplice mezzo per congiungere l’inconscio al conscio, ma<br />
da tragico conflitto, sempre superato e sempre rinnovato, fra l’uomo e il suo destino. Questo<br />
conflitto Hegel ha cercato di pensare, e di pensarlo in seno all’Assoluto stesso [...]. Il pantragismo<br />
della storia e il panlogismo della logica non sono che una sola e medesima cosa”.<br />
174Ivi, p. 35.<br />
175Cfr. ivi, p. 44.<br />
176Hyppolite è convinto che la Fenomenologia sia un’opera unitaria passibile di una interpretazione<br />
unitaria. Nonostante ciò mette in rilievo il fatto che tra la prima parte di essa (“corrispondente a<br />
una fenomenologia della coscienza in senso ristretto”) e la seconda parte (“corrispondente a una<br />
fenomenologia dello spirito nel senso hegeliano della parola, cioè da un lato spirito finito come<br />
106
diverso. Nella prima parte, fino al momento ragione, la funzione della storia<br />
è, per Hyppolite, meramente esemplificatrice. Hegel, cioè, si serve di<br />
elucidazioni storiche “per illustrare e precisare la sua descrizione” 177 degli<br />
sviluppi originali della coscienza. A questo livello il problema è capire se<br />
questi esempi concreti sono da Hegel scelti arbitrariamente oppure si<br />
impongono assolutamente.<br />
Sulla seconda parte dell’opera il giudizio di Hyppolite è più cauto:<br />
qui “il problema è [...] molto più complesso. A volte si ha l’impressione di<br />
essere di fronte a una vera filosofia della storia” 178. In ogni caso lo studioso<br />
francese non ammette nemmeno per questa seconda parte dell’opera - il<br />
cui sviluppo sembra coincidere con lo sviluppo storico reale, dalla Città<br />
antica alla rivoluzione francese - che si possa dire di essere davanti a una<br />
filosofia della storia del mondo.<br />
Due ragioni lo inducono a questa valutazione. Da una parte “non<br />
si può dire che lo spirito preceda la religione nel tempo: la precede solo per<br />
noi che per comprendere il senso della religione abbiamo bisogno d’aver<br />
esaurito lo sviluppo dello spirito come esistenza ed essere arrivati al<br />
pensiero della conciliazione”. Dall’altra i vari riferimenti storici scelti da<br />
Hegel “non abbracciano affatto la storia universale, ma coincidono soltanto<br />
spirito oggettivo, dall’altro lo spirito assoluto come religione [...] e come filosofia”), cioè tra i primi<br />
tre momenti - coscienza, autocoscienza, ragione - e i secondi tre - spirito, religione e sapere<br />
assoluto -, esiste una “grande frattura” (cfr. Hyppolite 1989 - = 1946 -, pp. 78-9).<br />
Hyppolite, in verità, non segue pedissequamente Haering, il primo a ritenere che l’opera di Hegel,<br />
in base al progetto originario, doveva estendersi soltanto fino alla ragione e che proseguì fino al<br />
capitolo sul sapere assoluto solo durante i mesi della stesura e della pubblicazione, segnando così<br />
al suo interno il determinarsi di una frattura; lo studioso francese, anche se in alcuni punti segue<br />
lo Haering (ad es. là dove mostra di ritenere che Hegel abbia iniziato a lavorare alla Fenomenologia<br />
solo a partire dal 1806, o che i titoli dell’indice “C.(AA) Ragione”, “(BB) Spirito”, ecc. siano<br />
un’aggiunta degli editori e non opera di Hegel) in generale non si ferma alle conclusioni del critico<br />
tedesco ma, in base a considerazioni non tecniche ma teoretiche, riguadagna la convinzione di<br />
un’unità di ispirazione dell’opera ben precisa.<br />
Per una discussione critica della tesi haeringhiana (contenuta nel saggio Die<br />
Entstehungsgeschichte der Phaenomenologie des Geistes, in “Verhandlungen des 3. Hegelkongress,<br />
hrsg. v. B. Wigersma, Tuebingen/Haarlem, 1934, pp. 118-38) e anche della posizione hyppolitiana<br />
rispetto ad essa, v. O. Poeggeler, Zur Deutung der Phaenomenologie des Geistes, in “Hegel-<br />
Studien”, 1 (1961), pp. 255-94; trad. it. in Id. Hegel, l’Idea di una fenomenologia dello spirito, NA,<br />
1986, pp. 181-229; v. in particolare le pp. 199-212.<br />
177Hyppolite 1989 (= 1946), p. 46.<br />
178Ivi, p. 48.<br />
107
con certi fenomeni storici che Hegel giudica particolarmente<br />
significativi” 179.<br />
Quale, allora, il significato dello sviluppo fenomenologico rispetto<br />
allo sviluppo della storia? Hyppolite trova nella prefazione della<br />
Fenomenologia un passo in cui Hegel stesso ha tematizzato questo<br />
problema: “il singolo deve ripercorrere i gradi di formazione dello spirito<br />
universale, anche secondo il contenuto, ma come figure dello spirito già<br />
deposte, come gradi di una via già tracciata e spianata. Similmente noi,<br />
osservando come nel campo conoscitivo ciò che in precedenti età teneva<br />
all’erta lo spirito degli adulti è ora abbassato a cognizioni, esercitazioni e fin<br />
giochi da ragazzi, riconosceremo nel processo pedagogico, quasi in<br />
proiezione, la storia della civiltà” 180. Hyppolite non manca di far notare che<br />
“storia della civiltà” (histoire de la culture universelle) è, nell’originale<br />
tedesco Geschichte der Bildung der Welt: se Hegel parla di storia, lo fa per<br />
evidenziare un percorso educativo. L’universale formazione (Bildung) dello<br />
spirito va evocata nella coscienza del singolo affinché questa se ne appropri<br />
divenendone consapevole. “Vi è dunque un certo rapporto fra la filosofia<br />
della storia e la fenomenologia. Quest’ultima è lo sviluppo concreto ed<br />
esplicito della cultura dell’individuo, l’elevazione del suo io finito fino all’io<br />
assoluto, ma questa elevazione è possibile solo utilizzando i momenti della<br />
storia del mondo che sono immanenti alla coscienza individuale” 181.<br />
Hyppolite sta guardando alla Fenomenologia nel suo insieme alla<br />
luce di una considerazione retrospettiva a partire dal sapere assoluto. Da<br />
questa posizione valuta il ruolo della storia nell’opera hegeliana. E’ la<br />
storia, infatti, col suo carico d’accidentalità, che può inficiare la necessità<br />
del procedere fenomenologico e del suo esito finale, il sapere assoluto<br />
stesso. E’ per questa strada che lo studioso francese arriva ad accostare,<br />
seguendo la prefazione alla Fenomenologia, storia e cultura. La<br />
Fenomenologia da questo punto di vista può essere giudicata così: un’opera<br />
179Ivi, p. 50.<br />
180Hegel 1973 (= 1807), vol. I, pp. 22-3; cit. in Hyppolite 1989 (= 1946), pp. 51-2.<br />
181Hyppolite 1989 (= 1946), p. 52.<br />
108
di descrizione della formazione non soltanto della coscienza naturale al<br />
sapere assoluto, ma anche dell’io finito, individuale, “all’io umano [...] che<br />
abbraccia in sé tutto lo spirito del suo tempo” 182. Hyppolite utilizza questa<br />
curiosa espressione - “io umano” - per indicare che l’io assoluto cui vuole<br />
giungere Hegel con la sua opera è il risultato di un’esperienza che sorpassa<br />
di molto la semplice sfera teoretica comprendendo in sé i modi di vivere, le<br />
Weltanschauungen estetiche e religiose, la morale. Tutti quegli elementi,<br />
insomma, che Hyppolite fin dal primo momento ha valutato come la parte<br />
più concreta e ricca della Fenomenologia. E’ in questo concetto ampio di<br />
esperienza che il nostro individua lo spazio in cui Hegel ha potuto inserire -<br />
allargando così “il suo progetto iniziale [si sente il discepolo di Haering]<br />
d’introduzione della coscienza non scientifica alla scienza” -, nell’opera del<br />
1807, “tutti gli sviluppi più propriamente storici sullo spirito oggettivo e<br />
sulla religione” 183.<br />
Insomma: che la Fenomenologia possa interpretarsi in generale<br />
come una storia della cultura, della formazione del singolo all’universale, è,<br />
per Hyppolite, la conseguenza del fatto che Hegel ha voluto concepire<br />
l’esperienza nella sua integralità. Questo, a sua volta, non è che un aspetto<br />
della convinzione hegeliana più generale che il sapere assoluto è il risultato<br />
non solo di un processo teoretico ma anche storico: “il sapere assoluto ha<br />
dei presupposti storici”, nota Hyppolite; “già nel 1807 Hegel sa che la<br />
filosofia, il sapere assoluto, è un risultato coincidente con la riflessione<br />
dello spirito in una certa epoca”.<br />
Ecco perché nella nozione di Bildung Hyppolite vede compendiati i<br />
due aspetti del percorso fenomenologico (quello del passaggio dalla<br />
coscienza empirica alla scienza e quello dell’elevazione del singolo alla<br />
coscienza dello spirito del suo tempo, dell’umanità in lui) e,<br />
secondariamente, ritrovata dal punto di vista teoretico quell’unitarietà della<br />
Fenomenologia che certe considerazioni storiografiche sembravano<br />
182Ivi, p. 53.<br />
183Ivi, p. 55.<br />
109
minacciare: “quando si innalza al sapere assoluto, la coscienza empirica<br />
deve in pari tempo rendersi consapevole di una certa storia dello spirito<br />
senza la quale il sapere assoluto sarebbe inconcepibile; e tale presa di<br />
coscienza non è ritorno puro e semplice al passato, ma, nel suo apprendere<br />
retrospettivo, ciò che giustifica quel passato e ne determina il senso” 184.<br />
Storia e Fenomenologia si saldano nella Bildung: l’opera hegeliana non è un<br />
compendio della storia universale né una filosofia della storia ma, più<br />
propriamente, “la reminiscenza di tale storia in una coscienza individuale<br />
innalzantesi al sapere” 185.<br />
Il problema adesso è, perciò, capire con quale criterio e in quale<br />
ordinamento questa reminiscenza coscienziale della storia inserisca nel<br />
procedere fenomenologico gli spunti e gli esempi che le vengono dalla storia<br />
stessa.<br />
Abbiamo visto 186 che, secondo Hyppolite, Hegel ha rifuso nella<br />
Fenomenologia i risultati del suo particolare itinerario giovanile di<br />
formazione. Le sue meditazioni sulla storia, sulla religione e<br />
sull’organizzarsi della vita di un popolo consegnate a quaderni non<br />
destinati alla pubblicazione sono, per lo studioso francese, riorganizzati<br />
nella Fenomenologia: quello che qui è cammino di formazione della<br />
coscienza non filosofica coincide col personale itinerario formativo del<br />
filosofo tedesco 187.<br />
Hyppolite, però, non deduce da ciò l’arbitrarietà ovvero la non<br />
scientificità della Fenomenologia. Il fatto che il cammino del formarsi della<br />
coscienza alla scienza nell’opera jenese sia condizionato storicamente e<br />
individualmente non è per lui una ragione sufficiente per concluderne alla<br />
184Ivi, pp. 55 e 56. Cfr. anche p. 86: “era impossibile che Hegel arrestasse lo sviluppo<br />
fenomenologico dopo la ragione individuale, poiché tutto il movimento della coscienza individuale<br />
- che ha la ragione - era orientato verso un mondo soggettivo e oggettivo insieme, verso la<br />
comunità spirituale [...]. La fenomenologia della coscienza doveva ampliarsi a fenomenologia dello<br />
spirito affinché la coscienza potesse divenire coscienza dello spirito. Essa infatti può essere sapere<br />
assoluto solo se è autocoscienza dello spirito”.<br />
185Ivi, pp. 58-9.<br />
186Cfr. supra, cap. II, p. 44 e nota 26.<br />
187Cfr. Hyppolite 1989 (= 1946), p. 66: “La Fenomenologia era per Hegel il modo di dare al pubblico<br />
[...] la storia del proprio sviluppo filosofico”.<br />
110
non scientificità - in senso hegeliano - dell’opera: Hegel - nota Hyppolite - si<br />
è sempre sforzato, fin dai primi lavori giovanili, di pensare l’unità di<br />
particolarità e universalità. Tutto il discorso hegeliano vuole dimostrare che<br />
“l’universalità umana trova il suo compimento solo nell’esperienza vissuta<br />
di una coscienza particolare” e che, “per converso, tale esperienza vissuta<br />
trova il suo senso soltanto in un pensiero universale”. Hyppolite, insomma,<br />
ritiene che dall’itinerario giovanile, ripensato e organizzato nella<br />
Fenomenologia, Hegel abbia tratto ciò che poteva valere universalmente e<br />
quindi avere i crismi della necessità. Approfondire il particolare per<br />
ritrovarvi l’universale, pensare così “la dialettica dell’individualità<br />
universale”, è trovare, in Hegel stesso, la chiave “per comprendere il senso<br />
dello sviluppo fenomenologico, il suo rapporto con la storia del mondo”.<br />
Hyppolite è sensibile a questa concezione hegeliana e confessa che<br />
“questo sforzo per riunire particolare ed universale nell’individualità<br />
spirituale è quanto costituisce l’interesse dello hegelismo e, nello<br />
hegelismo, della Fenomenologia” 188.<br />
188Hyppolite 1989 (= 1946), p. 63. Non concordo del tutto, perciò, con quanto è affermato in<br />
Bonacina 1991, p. 87: “per Hyppolite la necessità interna dell’opera [la Fenomenologia] è in<br />
qualche modo inficiata dal carattere di biografia intellettuale”. Ritengo di aver mostrato che,<br />
se è vero che Hyppolite non nasconde la parvenza di arbitrio inerente a taluni sviluppi<br />
fenomenologici (cfr. Hyppolite 1989 - = 1946 -, p. 34, nota 59), tuttavia egli non critica Hegel per il<br />
suo sforzo di integrare l’accidentale (storico-biografico) nell’universale necessario: quest’operazione<br />
hegeliana, anzi, è oggetto della sua ammirazione.<br />
E’ palese che una critica di Hyppolite al sistema hegeliano esiste: già nel suo primo saggio lo<br />
studioso francese aveva affermato chiaramente che “nessuno pensa più oggi ad adottare<br />
integralmente il sistema hegeliano” (Hyppolite 1935, pp. 399-400); ma quando (cfr. Hyppolite<br />
1957A, p. 233) Hyppolite, tracciando un resoconto della sua attività di hegelista, si trova a<br />
caratterizzare il suo atteggiamento nei confronti del sistema, scrive: “lo hegelismo ortodosso aveva<br />
conosciuto soprattutto il sistema hegeliano dell’Enciclopedia, come sistema della sintesi e della<br />
riconciliazione; il nostro hegelismo si adoperava a ritrovare in Hegel ``il travaglio, il dolore e la<br />
pazienza del negativo``”. Non si nega quindi il sistema tout court, ma un’immagine sclerotizzata di<br />
esso. D’altronde egli arriva a scrivere (Hyppolite 1946B, p. 103): “attraverso il tragico<br />
dell’opposizione sempre necessaria appare dunque la rivelazione di un universale concreto [...].<br />
Questa unità della trascendenza e dell’immanenza, questo Dio che muore nell’uomo mentre<br />
l’uomo s’eleva al divino [...], questo superamento delle esistenze che appare alla fine della<br />
Fenomenologia, è forse il contrario di una filosofia esistenzialista, come invece ha creduto<br />
Kierkegaard?”. Hyppolite non ripudia la necessità (“il tragico dell’opposizione sempre necessaria”),<br />
anche se sottolinea di più l’aspetto per cui si tratta di necessità della contraddizione e meno<br />
quello della necessità della sintesi. Il difficile equilibrio hegeliano non è completamente<br />
mantenuto, ma nemmeno ripudiato. A volte Hyppolite si spinge anche più in là nell’avvicinarsi,<br />
dal suo peculiare punto di vista, al sistema: “Da parte nostra non crediamo ci sia un’autentica<br />
discontinuità (almeno nel pensiero, poiché la presentazione è ben diversa) tra gli scritti giovanili di<br />
Hegel, la Fenomenologia e le opere della maturità. Si tratta [...] del problema dell’alienazione<br />
dell’uomo” (Hyppolite 1948A, p. VI).<br />
111
La formazione dell’individuo all’universale, la Bildung che stringe<br />
indissolubilmente scienza e storia è, quindi, la prima grande chiave<br />
ermeneutica che risulta dalla considerazione del sapere assoluto in quanto<br />
luogo che consente di guardare all’indietro alla totalità del cammino<br />
fenomenologico 189.<br />
189Hyppolite intende la Bildung principalmente come formazione del singolo, o, almeno, è questo<br />
l’aspetto che maggiormente gli interessa mettere in luce. Abbiamo visto che già nel saggio del<br />
1938 Hyppolite poneva la coscienza umana come “soggetto assoluto” della storia (cfr. supra, cap.<br />
II, p. 50). Tuttavia lo studioso francese è sempre molto attento e non gli sfugge l’aspetto del<br />
discorso hegeliano per cui la Bildung “non è soltanto quella dell’individuo” ma “è anche un<br />
momento essenziale del tutto, dell’Assoluto”. Infatti “se l’Assoluto è davvero soggetto e non solo<br />
sostanza, allora è il proprio riflettersi in sé, il suo divenire cosciente<br />
di sé come coscienza dello spirito, cosicché, quando la coscienza progredisce da esperienza a<br />
esperienza ed estende in tal modo il proprio orizzonte, l’individuo si innalza all’umanità, ma in<br />
pari tempo l’umanità diviene cosciente di sé. Lo spirito diviene l’autocoscienza dello spirito”<br />
(Hyppolite 1989 - = 1946 -, p. 54). Quando, allora, Hyppolite dice che Hegel, nella Fenomenologia<br />
e in particolare nel capitolo autocoscienza, andando alla ricerca delle “condizioni generali<br />
dell’esistenza umana” e trovandole nelle “condizioni stesse dell’autocoscienza” (ossia nella lotta a<br />
morte, nel lavoro, nel riconoscimento fra le autocoscienze, nei fenomeni, cioè, che descrivono<br />
l’ambito dell’intersoggettività), ha inteso “fondare il fatto storico” (Hyppolite 1947A, p. 105), in tal<br />
caso non mi sembra questo un buon motivo per dire che Hyppolite ha disegnato<br />
un’interpretazione di Hegel complessivamente definibile “umanistica”.<br />
E’ questa la tesi che, invece, si legge in Rossi 1960, pp. 365 e sgg. (E poi anche in Bedeschi 1967,<br />
pp. 593-6, il quale, però, soltanto riassume il discorso di Rossi). Rossi ritiene che Hyppolite,<br />
essendosi limitato, in Genesi e struttura, a un mero lavoro esplicativo, abbia consegnato solo in<br />
alcuni saggi minori la sua interpretazione di Hegel. Ponendo a fondamento del suo argomentare<br />
questa cesura nella produzione hyppolitiana Rossi prende in esame Hyppolite 1947A.<br />
Di questo saggio Rossi mette soprattutto in rilievo come Hyppolite giudichi Hegel aver posto a<br />
tema nella Fenomenologia “quali siano le condizioni dell’autocoscienza cioè dell’esistenza stessa<br />
dell’uomo” (Hyppolite 1947A, p. 107). Ciò che Rossi contesta è quel “cioè”: Hyppolite, per il critico<br />
italiano, ha compiuto l’inaccettabile operazione di identificare senz’altro “autocoscienza” e<br />
“esistenza umana”. Rossi si rifà alla critica marxiana a Hegel per cui ciò che si muove nella<br />
dialettica fenomenologica non è affatto il particolare concreto (l’uomo determinato) ma<br />
un’astrazione di esso, una determinazione transitoria e inessenziale dell’assoluto che, solo, per<br />
Hegel è vero. Per Rossi, quindi, non si può vedere nella dialettica dell’autocoscienza un punto di<br />
partenza reale per giungere a porre a tema la vera intersoggettività umana, la storia reale; infatti,<br />
per lo studioso italiano, quest’ultima sarebbe il risultato di un autentico processo di mediazione<br />
che non si trova, però, nella Fenomenologia; in quest’opera si trova invece una dialettica che non<br />
si fonda su termini autenticamente opposti, ma su “simboli già in anticipo trascesi”.<br />
Poiché, allora, la fondazione hegeliana della storia fa leva, per Rossi, non sull’uomo concreto e<br />
reale, ma sull’autocoscienza che è un momento dell’assoluto e non qualcosa di stabile e di<br />
autosufficiente (e, in tal senso, non è nemmeno una autentica fondazione), viene perciò da<br />
concludere che il vizio dell’interpretazione hyppolitiana sarebbe, in fin dei conti, quello di aver<br />
ricercato una concretizzazione (“umanistica”) della dialettica hegeliana che fa il gravissimo errore<br />
di non passare prima per il capovolgimento, operato da Feuerbach e da Marx, della astratta<br />
dialettica hegeliana! Il torto di Hyppolite, insomma, sarebbe quello di non essere marxista...<br />
Senza dover entrare nel merito della validità o meno della critica marxiana a Hegel, credo sia<br />
sufficiente rilevare che il discorso di Rossi è traballante su ognuna delle due gambe su cui si<br />
regge. Da un lato non è giustificato parcellizzare l’opus di un autore in vista di una migliore<br />
comprensione di esso. Anzi, è solo dall’insieme degli scritti che si può cogliere l’autentico senso di<br />
espressioni isolate. Da questo punto di vista non considero accettabile la riduzione dell’esame,<br />
operata da Rossi, al solo saggio del 1947. Dall’altro lato non giudico corretto definire “umanistica”<br />
l’interpretazione hyppolitiana di Hegel. A questo punto, però, il discorso si fa troppo impegnativo<br />
per affrontarlo in una annotazione al mio discorso principale. Qui mi limito solo a un accenno.<br />
112
Del trampolino del sapere assoluto Hyppolite si serve anche per<br />
una considerazione prospettiva. Se, infatti, la Bildung è il processo tramite<br />
il quale “condurre la coscienza individuale a rendersi conto dello spirito del<br />
suo tempo”, nello stesso tempo si tratta, con ciò stesso, di “innalzarsi a un<br />
sapere assoluto che mira a travalicare ogni sviluppo nel tempo, a superare<br />
il tempo stesso” 190.<br />
Il primo aspetto, quello in cui gioca un ruolo centrale la nozione di<br />
Bildung, è, ancora una volta, la dimostrazione di quanto ho già messo in<br />
rilievo: Hyppolite affronta il testo della Fenomenologia con l’intento di<br />
ricavarne indicazioni utili alla risoluzione del problema di una libertà<br />
storica lontana nel contempo e da un singolarismo esasperato, e da un<br />
collettivismo spersonalizzante 191.<br />
Il secondo aspetto della considerazione del sapere assoluto solleva<br />
il complesso di questioni che concernono quello che è stato chiamato<br />
l’umanismo hyppolitiano. Come va interpretato il sapere assoluto? Che<br />
cosa significa un’autocoscienza assoluta dello spirito che ha delle<br />
condizioni temporali nell’esistenza e nel divenire dell’umanità? In quale<br />
direzione interpretare la conciliazione tra finitezza e infinitezza che si<br />
celebra nel capitolo finale della Fenomenologia? Se nella filosofia cade<br />
l’ultimo velo, quello della rappresentazione, che divideva coscienza e<br />
autocoscienza dello spirito, quale significato speculativo dare alla religione?<br />
E, guardando in avanti, quale rapporto si viene ad instaurare tra<br />
Fenomenologia dello spirito e Scienza della logica in base al guadagno del<br />
sapere assoluto?<br />
Rossi scrive: “la dialettica di signoria e servitù è stata assunta da Hyppolite come documento<br />
fondamentale per un’interpretazione ``umanistica`` di Hegel”. Questo serve, inoltre, a Rossi anche<br />
per accomunare in un unico giudizio - “lettura umanistica di Hegel” - entrambi i lavori di<br />
Hyppolite e di Kojève. Ebbene, ecco che cosa scrive lo stesso Hyppolite a proposito della differenza<br />
tra la sua interpretazione e quella di Kojève: “di fronte a questa interpretazione così ricca e<br />
personale, spesso così esatta, la mia voleva essere più modesta [...]. Non ho messo in particolare<br />
rilievo la dialettica del padrone e del servo, pur riconoscendone l’importanza” (Hyppolite 1957A, p.<br />
239). Ma la questione dell’umanismo hyppolitiano va approfondita.<br />
190Hyppolite 1989 (= 1946), p. 58.<br />
191V. supra, cap. II, par. 3.<br />
113
Tutte queste domande, in verità, non sono disgiunte dal problema<br />
della libertà storica. Ne costituiscono, in fondo, l’approfondimento<br />
speculativo. Se, infatti, fin dalle prime pagine di Genesi e struttura<br />
Hyppolite ha descritto il procedere hegeliano come una storicizzazione<br />
dell’esigenza kantiana 192, ovvero come una ricerca nella storia delle<br />
condizioni di possibilità della libera esistenza storica dell’uomo, è evidente<br />
che con ciò si pone pure la questione della storicità o meno (sopra-storicità)<br />
di tali condizioni di possibilità. Hyppolite si esprime anche così: “un senso<br />
della storia umana è possibile [...] e questo senso appare sia come posto<br />
dall’operare dell’autocoscienza umana, sia come capace di razionalità, di<br />
giustificazione nel mutuo riconoscimento [...]. Se noi aggiungiamo che<br />
questa cosa umana, a partire dalla quale la Fenomenologia comincia a<br />
diventare una storia stricto sensu, è chiamata da Hegel la verità [...],<br />
comprenderemo quale sia il problema hegeliano - che è anche il nostro -,<br />
quello dei rapporti tra la verità e l’esistenza. Come una verità può essere<br />
opera umana, posta al cuore stesso dell’esistenza, tramite la mediazione<br />
dell’esistenza, e superare, nello stesso tempo, questa esistenza?” 193.<br />
Si apre qui il discorso sull’umanismo (ne facevo accenno poco<br />
sopra): il passaggio al sapere assoluto è passaggio dal tempo all’eternità?<br />
192V. Hyppolite 1989 (= 1946), p. 15. Cfr. Anche le pp. 392-3.<br />
193Hyppolite 1947A, pp. 120-1. Che anche questo secondo aspetto, per così dire prospettivo, della<br />
considerazione del sapere assoluto sia legato alla problematica della libertà storica ha una<br />
riconferma anche testuale. Subito dopo aver detto questo, infatti, Hyppolite aggiunge: “Questo<br />
problema non è stato risolto con chiarezza da Hegel, ma era possibile? E’ lo stesso problema che si<br />
pone oggigiorno così nell’esistenzialismo come nel marxismo o nel cristianesimo” (Hyppolite<br />
1947A, p. 121).<br />
Che il sapere assoluto ponga, nel suo porsi, il problema del rapporto tra verità ed esistenza storica<br />
è fortemente ribadito da Hyppolite. V. Anche Hyppolite 1948A, p. VII: “Questo problema è quello di<br />
un senso possibile della storia, d’una Idea nella storia che insieme sia immanente alla storia e la<br />
giudichi, le conferisca una Verità senza sorpassarla al punto d’essere una Trascendenza al di là<br />
della storia [...]. Questo problema, quello di un senso della storia che non si riferisca a un al di là<br />
inaccessibile, è il problema fondamentale di una ragione della storia. Verità e esistenza storica<br />
sono i due momenti dell’antinomia”. Questo modo di impostare il problema è ben sottolineato in<br />
D’Hondt 1969, p. 90: “Hyppolite ha insistito sulla necessità di comprendere tramite il radicamento in una storia che a sua volta reclama un<br />
senso [...]. Libri, articoli, conferenze oppongono quasi sempre due termini, uno esistenziale o<br />
storico, l’altro intellettuale, e si sforzano febbrilmente di ridurre questa opposizione: verità e<br />
esistenza, logica e esistenza, struttura e genesi”. Lo stesso in Foucault 1969: “L’opera di J.<br />
Hyppolite è sempre stata, fin dall’inizio, quella di dare un nome e far apparire - in un discorso nel<br />
contempo filosofico e storico - il punto in cui il tragico della vita prende senso in un Logos, la<br />
genesi di un pensiero diviene struttura di un sistema, l’esistenza stessa si trova articolata in una<br />
Logica” (p. 134).<br />
114
Oppure il sapere assoluto è la perfetta trasparenza dell’uomo alla propria<br />
essenza, così che rimanga escluso ogni riferimento alla trascendenza? Si<br />
tratta di una questione che ha molto impegnato Hyppolite: a ragione si può<br />
dire che costituisca il fulcro speculativo sia di Genesi e struttura sia di<br />
pressoché tutti i saggi e gli articoli che lo studioso francese produrrà fino<br />
alla metà degli anni `60. E’ anche una questione che Hyppolite articola a<br />
diversi livelli; tutti, comunque, centrati sull’interpretazione da dare al<br />
sapere assoluto e, quindi, sul senso da pensare in primis per la<br />
Fenomenologia e poi per l’intera speculazione hegeliana.<br />
Esaminerò in questo scorcio di capitolo come il problema è<br />
discusso da Hyppolite soprattutto in Genesi e struttura. Nel capitolo<br />
successivo presenterò l’approfondimento hyppolitiano del tema negli scritti<br />
degli anni `50 e `60.<br />
3. Pensare la trascendenza<br />
Il tema dell’umanismo è messo a fuoco per la prima volta nel<br />
capitolo finale della parte VI di Genesi e struttura 194. Qui Hyppolite<br />
introduce la discussione intorno al sapere assoluto e lo fa partendo<br />
dall’interpretare il capitolo che la Fenomenologia dedica alla religione.<br />
La religione, infatti, “ormai è questo sapere sé che costituisce lo<br />
spirito assoluto”. Certo, Hyppolite non manca di rilevare che nella religione<br />
la manifestazione dell’assolutezza dello spirito “è ancora imperfetta” in<br />
quanto in essa lo spirito “appare a sé sotto il velo di una forma ancora<br />
inadeguata [...] cioè rappresentandosi a sé come oggetto” 195. Hyppolite,<br />
anzi, si sofferma a discutere e ad evidenziare la nozione di Vorstellung come<br />
ciò che ancora distingue la religione dal sapere assoluto della filosofia.<br />
194Il capitolo è intitolato: “La religione: Misticismo o umanismo?”. Conservo qui la traduzione di De<br />
Toni. In effetti forse sarebbe meglio tradurre “umanesimo” essendo “umanismo” niente più che<br />
uno sgraziato calco del francese humanisme. A dire il vero, indicando qui “umanismo” qualcosa di<br />
concettualmente diverso dall’ “umanesimo” rinascimentale questa diversa traduzione ha un suo<br />
senso.<br />
195Hyppolite 1989 (= 1946), pp. 661 e 662.<br />
115
Però, quanto specialmente sta a cuore allo studioso francese è far vedere<br />
che anche a proposito della religione si pone, pure se in maniera ancora<br />
imperfetta, quello stesso dilemma che caratterizza l’interpretazione del<br />
sapere assoluto.<br />
Hyppolite prende le mosse da una definizione: “la religione è<br />
l’autocoscienza dello spirito assoluto così come questa viene rappresentata<br />
dallo spirito finito” 196. Egli commenta: “tale rappresentazione dello spirito<br />
assoluto da parte di un popolo o di una comunità nella storia è l’aspetto<br />
fenomenico della religione - quanto fa sì che essa possa entrare in una<br />
fenomenologia [...]; ma il fatto che d’altro canto essa sia una autocoscienza<br />
dello spirito assoluto ne farebbe piuttosto una noumenologia” 197.<br />
Nella religione danza una ambiguità fondamentale: è, essa, la<br />
rappresentazione che uno spirito finito, l’uomo nella sua storia, si fa di Dio,<br />
oppure è il sapere che Dio acquista di sé? La risposta che Hyppolite dà a<br />
questo interrogativo è netta: “Per Hegel [...] la religione è<br />
contemporaneamente l’una e l’altra cosa [...]. Lo spirito finito, fenomenico<br />
non è esso stesso null’altro che lo spirito assoluto nel proprio divenire<br />
consapevole di sé [...]. Prima del sapere assoluto, già la religione è il<br />
momento in cui la fenomenologia, in cui lo spirito assoluto si rivela come<br />
tale, si manifesta a sé nel suo manifestarsi all’uomo. Dio, lo spirito assoluto,<br />
non è al di là del sapere che ne ha la religione, un traguardo già pronto,<br />
una verità priva di vita, collocata al di fuori del suo manifestarsi: no, il<br />
manifestarsi nel tempo e, così facendo, manifestarsi a sé nella propria<br />
eternità, è sua essenza stessa. Esso è sapere sé nell’uomo e mediante<br />
l’uomo, che così partecipa della vita divina” 198.<br />
Per Hyppolite, dunque, Hegel ha concepito la religione in modo<br />
tale che l’autocoscienza in Dio presuppone la finitezza dello spirito umano,<br />
ma in maniera che quest’ultimo così si superi e si riconcili con l’infinito.<br />
196Ivi, p. 659. Hyppolite ricava questa espressione da R. Kroner, Von Kant bis Hegel, Tuebingen,<br />
vol. II, 1924, p. 403.<br />
197Hyppolite 1989 (= 1946), p. 667.<br />
198Ivi, p. 668.<br />
116
Hyppolite è sicuro che qui non ci si trova di fronte ad una qualche forma di<br />
misticismo, neppure a una forma di misticismo speculativo quale può<br />
essersi data in Eckhart o Boehme. In ogni caso, se pur si può dire che<br />
Hegel abbia pensato anche attraverso le forme speculative del misticismo<br />
tedesco, tuttavia per Hyppolite non si può proprio ammettere che la<br />
filosofia hegeliana sia assimilabile a un misticismo in cui la vita<br />
dell’umanità è un momento della vita e dell’autocoscienza divina, destinata<br />
ad essere assorbita nella vita divina. E questo soprattutto per la ragione<br />
che in Hegel non può essere trascurata la polemica - a volte feroce - contro<br />
qualsivoglia guisa di pensiero che indulga all’ammissione della<br />
trascendenza: se questo è un tratto che appare, per così dire, a prima vista<br />
in Hegel, figuriamoci se un lettore attento come Hyppolite poteva negligere<br />
un tale elemento proprio in sede di interpretazione globale della filosofia<br />
hegeliana!<br />
D’altra parte, escluso il misticismo, le formulazioni hegeliane<br />
possono condurre il lettore a richiamare una concezione umanistica e<br />
antropologica della religione. Hyppolite pensa a Feuerbach e alla sua critica<br />
della religione la quale “invece di assorbire l’uomo in Dio assorbe Dio<br />
nell’uomo” 199 e stima la coscienza che l’uomo ha di Dio come la coscienza<br />
che l’uomo ha di sé e della propria essenza. Hyppolite ritiene che, in<br />
generale, il pensiero hegeliano sia “molto lontano dalla religione” in quanto<br />
“tutta la Fenomenologia appare come uno sforzo eroico per ridurre la<br />
``trascendenza verticale`` a una ``trascendenza orizzontale``” 200. Tuttavia<br />
“se pare inclinare verso questo umanismo, Hegel si rifiuta di ridurre<br />
completamente Dio all’uomo. Egli mantiene sempre un certo necessario<br />
superamento dell’uomo. La grande sofferenza dell’uomo - una forma della<br />
coscienza infelice - sta proprio nell’essere egli ridotto a sé solo, nell’aver<br />
assorbito a sé il divino. Se Dio stesso è morto, che cosa resta?” 201.<br />
199Ivi, p. 670.<br />
200Ivi, p. 671, nota 31.<br />
201Ivi, p. 671.<br />
117
Quest’ultimo passo è assai significativo per comprendere come<br />
Hyppolite si muove a queste altezze. Egli sta discutendo il capitolo della<br />
Fenomenologia sulla religione. A proposito di essa è possibile iniziare a<br />
parlare del sapere assoluto e dei problemi che sono connessi alla sua<br />
interpretazione. A questo livello si tratta soprattutto di capire se in Hegel<br />
c’è un qualche spazio per tematizzare in maniera positiva la trascendenza.<br />
Se non è possibile parlare di trascendenza nel senso corrente del termine,<br />
né nel senso di un’esperienza mistica, tuttavia ad Hyppolite pare non si<br />
possa nemmeno fermarsi al troppo umano di una lettura immanentistica.<br />
Secondo lo studioso francese è anzitutto da questa lettura che è necessario<br />
guardarsi, giacché Hegel stesso dà degli spunti interpretabili in questo<br />
senso, senza tuttavia che questa sia la sua autentica posizione.<br />
Caratteristica di una lettura immanentistica (o umanistica o antropologica<br />
che dir si voglia) è non dare spazio che all’uomo: nella religione, come, a<br />
maggior ragione, nel sapere assoluto della filosofia, l’autocoscienza<br />
universale dello spirito è l’assoluta immanenza dell’autocoscienza dell’uomo<br />
a se stesso. Per Hyppolite, con Hegel, è giusto parlare di immanenza, di<br />
conciliazione, di assolutezza, ma questo non basta per escludere un<br />
riferimento alla trascendenza, sia pure “orizzontale” 202.<br />
Questo modo di impostare il problema significa per Hyppolite<br />
mantenere la propria originalità nel panorama filosofico francese. Infatti,<br />
rifiutarsi di parlare di misticismo è sconfessare la lettura di matrice<br />
wahliana; non indulgere all’antropologismo feuerbachiano-marxiano vuol<br />
dire allontanarsi da quell’interpretazione umanistica che in Francia era<br />
stata introdotta da Koyré e sviluppata da Kojève.<br />
202Hyppolite dice la stessa cosa quando afferma che “se è vero che lo spirito è storia e che la presa<br />
di coscienza è essenziale al divenire dello spirito, disfarsi completamente della fenomenologia<br />
suona impossibile” (Hyppolite 1989 - = 1946 -, p. 78). Qui la “fenomenologia” è proprio<br />
quell’elemento di “trascendenza” che, per Hyppolite, bisogna mantenere all’interno di una corretta<br />
interpretazione del pensiero di Hegel. E’ lo stesso giro di pensieri che lo studioso francese esprime<br />
quando - lo abbiamo visto - commenta la nota affermazione hegeliana per cui “l’assoluto è<br />
soggetto” dicendo che in tal modo esso “è sé essendo sempre più di sé”(V. supra, pp. 99-100, la<br />
mia citazione da Hyppolite 1946A, p. 144).<br />
118
Ma in quali termini Hyppolite prende le distanze da queste due<br />
opposte letture? L’ho mostrato negli ultimi passi che ho citati:<br />
introducendo un discorso sulla trascendenza orizzontale e proponendo un<br />
uso polemico della nozione di coscienza infelice. Ciò significa che anche in<br />
sede di interpretazione globale della Fenomenologia egli è interessato alla<br />
questione di garantire filosoficamente la possibilità di una autentica libertà<br />
nella storia. Da un lato, infatti, il cercare di dare un senso alla libertà nella<br />
storia, fa sì che lo studioso francese non si sente troppo preoccupato di<br />
controbattere alla lettura wahliana: Hyppolite sa che la battaglia hegeliana<br />
contro il trascendente basta da sola ad escluderla; dall’altro lato questo gli<br />
permette di usare polemicamente un concetto cardinale dell’interpretazione<br />
wahliana - quello di coscienza infelice - proprio contro la lettura<br />
umanistica: non si può ridurre tutto l’ambito della trascendenza all’uomo<br />
perché quest’esperienza dell’immanenza totale è proprio la coscienza<br />
infelice che Hegel ha criticato.<br />
Se non è esperienza di trascendimento mistico né di alienazione<br />
antropologica, che cos’è, allora, la trascendenza orizzontale che, per<br />
Hyppolite, costituisce la vera via hegeliana? Bisogna che essa sia collegata<br />
in qualche modo all’autentica libertà storica che, nell’ottica dello studioso<br />
francese, è il frutto più maturo della filosofia di Hegel.<br />
Ma a questo punto è necessario studiare quanto Hyppolite dice<br />
intorno all’interpretazione del sapere assoluto come punto di appoggio per<br />
un giudizio globale sullo hegelismo.<br />
Il sapere assoluto e la sua interpretazione costituiscono il vero<br />
interesse di Hyppolite nella Fenomenologia.<br />
Egli - come abbiamo visto - parla, in una nota davvero sintetica, di<br />
trascendenza orizzontale. Quest’espressione ci dice per lo meno due cose:<br />
che al sapere assoluto è coessenziale un elemento di trascendenza; che<br />
quest’ultima non può concepirsi nel senso di una trascendenza “verticale”<br />
che comporti una qualsiasi forma di alterità. La Fenomenologia, dunque,<br />
per Hyppolite dimostra, col suo culminare nel sapere assoluto, che lo sforzo<br />
119
di Hegel è stato rivolto a pensare in modo nuovo la trascendenza, al di là (o<br />
al di qua, se si preferisce) di ogni misticismo o umanismo 203.<br />
Pensare la trascendenza in termini rinnovati: in Genesi e struttura<br />
Hyppolite mette chiaramente in luce che questo è il vero nocciolo<br />
speculativo del sapere assoluto e, con esso, della Fenomenologia. Con<br />
questa sua opera Hegel ha inteso “condurre la coscienza individuale a<br />
rendersi conto dello spirito del suo tempo [...] e, insieme, con ciò stesso, a<br />
innalzarsi a un sapere assoluto che mira a travalicare ogni sviluppo nel<br />
tempo, a superare il tempo stesso”; ma, si chiede Hyppolite, “non alligna in<br />
ciò una sorta di contraddizione? Come può la coscienza superare<br />
quell’incessante appello a trascendersi che le è essenziale [...] ed essere<br />
contemporaneamente la coscienza di una certa epoca della storia dello<br />
spirito? Si deve forse pensare che tale epoca sia essa stessa la fine del<br />
tempo? Che Hegel abbia ingenuamente creduto che la storia finisse col suo<br />
sistema?” 204. Per l’immanenza in essa dell’assoluto la coscienza contiene in<br />
sé (anzi: è) la spinta a una continua trascendenza di sé; ma questo<br />
movimento progressivo ha in sé un germe di compimento che arriva a<br />
203L’espressione “trascendenza orizzontale” sembra avere, per Hyppolite, una certa importanza.<br />
Se, infatti, essa in Genesi e struttura è confinata in una breve nota, dalle cronache della<br />
discussone in Sorbona risulta che lo studioso francese se ne è servito per caratterizzare<br />
globalmente la Fenomenologia in sede di esposizione preliminare.<br />
Egli parla di trascendenza orizzontale come di quella operazione della coscienza per cui essa “si fa<br />
riconoscere da un universale che è la sua propria opera”; in questo senso è “la trascendenza<br />
orizzontale della storia” (Cfr. RMM, 1947, n. 2, p. 189 e La Nef, 1947 (4), n. 2, p. 139). Il discorso<br />
sulla trascendenza orizzontale è, quindi, tale che si sviluppa intorno al concetto di<br />
“riconoscimento universale delle autocoscienze” ovvero di “opera umana comune” che è “storia”.<br />
Anche nella nota in Genesi e struttura (V. Hyppolite 1989 - = 1946 -, p. 671, nota 31) si dice che<br />
“allora non si dà più alcuna trascendenza fuori dal divenire storico”.<br />
Caillois 1948 commenta in tono “kojèviano”: la trascendenza orizzontale non è “nient’altro che il<br />
divenire storico stesso nella misura in cui implica l’azione negativa dell’uomo” (p. 1903). De<br />
Gandillac 1948, invece, introducendo la distinzione tra Historie - come susseguirsi inarrestabile di<br />
accadimenti - e Geschichte - come totalità che comprende il compimento di un τελοs - scrive: “la<br />
trascendenza orizzontale [...] sembra implicare un movimento indefinito dell’umanità nel quadro<br />
illimitato della Historie, movimento che non esclude la compiutezza (come τελοs) della Geschichte”<br />
(p. 131).<br />
E’ apprezzabile lo sforzo di De Gandillac per trovare degli strumenti teoretici atti a pensare la<br />
coesistenza di trascendimento e di compiutezza. Da questo punto di vista mi sembra più aderente<br />
alle formulazioni hyppolitiane l’indicazione di Roth 1988 quando dice che nella trascendenza<br />
orizzontale “la storia non è solo divenire [change over time, un po’ quello che intendeva De<br />
Gandillac con Historie], è la comprensione del senso di quel divenire” (p. 44). In Hyppolite, infatti,<br />
parlare di storia è sempre anche parlare di presa di coscienza di un senso.<br />
204Hyppolite 1989 (= 1946), p. 58.<br />
120
maturazione allorché la coscienza, esaurito il corso delle sue esperienze,<br />
matura a spirito e diventa cosciente che la sua storia è la stessa storia dello<br />
spirito. In tal modo si apre alla coscienza, che ormai non è più tale,<br />
l’elemento dell’assolutezza. A questo livello si presenta a Hyppolite,<br />
ineludibilmente, la pagina hegeliana del capitolo sul sapere assoluto nella<br />
Fenomenologia, nella quale il filosofo tedesco mette a tema il discorso sul<br />
tempo.<br />
Un discorso sul sapere assoluto coinvolge necessariamente un<br />
discorso sul tempo e sulla storia: è nel tempo e dal tempo, infatti, che, nella<br />
visione hegeliana, si genera l’assolutezza. Seguiamo brevemente Hyppolite<br />
nel suo esame.<br />
A partire da sapere assoluto è possibile una riconsiderazione<br />
dell’intera Fenomenologia. Da questo punto di vista “la storia della<br />
coscienza - la Fenomenologia dello spirito - è [...] il progressivo rivelarsi della<br />
sostanza spirituale al Sé”. “Nella Fenomenologia lo spirito si dà in<br />
spettacolo a sé medesimo, conquista la propria ricchezza, la pone fuori di<br />
sé come sua sostanza per ricondurla a se stesso [...]. Qui è in causa tutta<br />
l’esperienza umana e in tutti i campi [...]. Tale esperienza avviene<br />
necessariamente nel tempo, poiché nella coscienza ``l’intiero, ma non<br />
concepito, è prima dei momenti``, e il concetto appare dunque alla<br />
coscienza come una esigenza non soddisfatta [...]. Vogliamo dire che la<br />
sostanza presentantesi come l’oggetto della coscienza ``non è ancora<br />
concepita``, cioè non appartiene al Sé: essa deve svilupparsi in una<br />
esperienza che la leghi all’autocoscienza, al concetto, ma allora il concetto è<br />
presente come un’esperienza possibile [...]. Il tempo è dunque<br />
l’inquietudine della coscienza che non ha raggiunto se stessa, della<br />
coscienza che vede il suo Sé come fuori di sé” 205. L’esperienza della<br />
coscienza, attraverso la serie completa delle figure della Fenomenologia,<br />
giunge a porre la piena eguaglianza tra il Sé e la sostanza, tra<br />
l’autocoscienza e il contenuto di ogni esperienza umana possibile. In<br />
205Ivi, pp. 714-5. La citazione è da Hegel 1973 (= 1807), vol. II, p. 298.<br />
121
termini generali si può parlare di eguaglianza, di conciliazione tra spirito<br />
finito e spirito infinito, tra umanità nella sua storia e pensiero<br />
autocosciente universale. Per Hyppolite “questo incontro nell’io = io dello<br />
spirito infinito fuori dal tempo e dall’umanità nel tempo - incontro che solo<br />
costituisce lo spirito assoluto - è il problema supremo della Fenomenologia<br />
dello spirito. Esso è in sé il problema dei rapporti fra religione e filosofia e<br />
quello del legame tra la Fenomenologia e la Logica nella forma seguente:<br />
come può un sapere, in sé intemporale, assoluto, avere condizioni<br />
temporali nell’esistenza e nel divenire dell’umanità?” 206.<br />
La Fenomenologia ha come scopo quello di far maturare l’elemento<br />
del concetto, in cui solo può vivere la filosofia 207 e di rivelare, nel contempo,<br />
che questo elemento è frutto dell’esperienza umana. Hyppolite marca con<br />
decisione questa dualità intrinseca al sapere assoluto: esso è insieme<br />
singolare e universale, “l’autocoscienza come questa autocoscienza singola<br />
e nello stesso tempo universale”; e, inoltre, è per forza di cose, il risultato di<br />
una lunga storia: “per arrivarvi è occorso che la coscienza singola, chiusa<br />
in sé, divenisse il medium del ``riconoscimento universale`` o - in altre<br />
parole - che l’individuo si rendesse conto che il proprio essere dipendeva<br />
dal riconoscimento altrui [...], dal riconoscimento di tutti gli altri, cioè di<br />
tutta la storia” 208.<br />
Nel sapere assoluto è quindi contenuta la dualità di singolare e<br />
universale e di risultato e divenire: l’autocoscienza singolare finita e<br />
temporale diviene, si trasforma fino a che genera l’autocoscienza dello<br />
spirito assoluto, la filosofia come risultato della mediazione storica. “Il<br />
concetto è l’autogenerarsi. Pertanto la ragione infinita si conosce<br />
nell’autocoscienza umana ed è infinita solo in tale conoscenza finita di sé;<br />
per converso l’autocoscienza umana si raggiunge soltanto in quel sapere sé<br />
e in quella riconciliazione effettiva. Lo spirito non è assoluto se non quando<br />
206Hyppolite 1989 (= 1946), pp. 734-5.<br />
207Da questo punto di vista Hyppolite è categorico: “Hegel scrive la Fenomenologia per introdurre il<br />
sapere assoluto” (Hyppolite 1952A, p. 156).<br />
208Hyppolite 1989 (= 1946), p. 737.<br />
122
lo diviene, e lo diviene solo nell’operazione con cui si trascende come spirito<br />
finito” 209.<br />
Hyppolite non manca inoltre di notare che, nell’economia<br />
dell’opera jenese, lo spirito assoluto è specificamente il risultato<br />
dell’incontro fra contenuto assoluto, maturato nella religione, il cui culmine<br />
speculativo è dato dal fatto che la verità divina non appare più estranea al<br />
Sé della comunità dei credenti che la pone, e forma assoluta del concetto,<br />
presentatasi nella sua perfezione già nell’agire riconciliativo dell’anima bella<br />
che rinuncia alla durezza della propria soggettività unilaterale. In tal modo<br />
quella riconciliazione che “era in sé nella religione, diviene per la coscienza<br />
e diviene infine il suo proprio operare”; così è aperto lo spazio all’assolutezza<br />
del sapere e “l’autocoscienza universale esiste e conosce se stessa in questa<br />
autocoscienza singola e storica che attua tale vita assoluta e a sua volta si<br />
riconosce in tale universalità dell’io = io” 210.<br />
Ma, certo, ciò che Hyppolite mette soprattutto in evidenza non è<br />
tanto la struttura logica - contenuto assoluto, forma assoluta - di questa<br />
riconciliazione: a lui preme evidenziarne l’elemento di tragicità. Infatti: lo<br />
spirito infinito esiste solo attraverso lo spirito finito e per converso<br />
quest’ultimo è solo in quel perpetuo superamento di sé; ciò significa, per<br />
Hyppolite, che “l’ottimismo hegeliano non è quello di Leibniz per il cui il<br />
male è solo un punto di vista parziale che dilegua nel Tutto. E’ lo stesso<br />
spirito infinito ad aver bisogno di tale finitezza e negatività: l’infinito,<br />
scriveva Hegel a Jena, è altrettanto inquieto quanto il finito e senza il<br />
calvario della storia lo spirito sarebbe das leblose Einsame, la solitudine<br />
senza vita” 211.<br />
Una prima considerazione: Hyppolite, a partire dal sapere<br />
assoluto, ha svolto una duplice indagine. La prima, retrospettiva, ha<br />
evidenziato l’aspetto per il quale la Fenomenologia può esser letta come<br />
Bildung del singolo all’universale. La seconda, prospettiva, conduce a<br />
209Ivi, p. 738.<br />
210Ivi, p. 740.<br />
211Ivi, p. 651. Il riferimento è, evidentemente, alle parole conclusive della Fenomenologia.<br />
123
posare la propria attenzione sul lato per cui, aprendo il sapere assoluto lo<br />
spazio della scienza, non può essere trascurato l’elemento di negatività<br />
(“pantragismo”) che è proprio dell’assoluto stesso: nell’assoluto è<br />
insopprimibile un tratto di trascendenza, per cui esso “è sé essendo sempre<br />
più di sé” 212. Per cui, seconda considerazione, nel seno dell’assoluto come<br />
lo concepisce Hegel, Hyppolite vede il perdurare di una certa<br />
problematicità, la quale deriva proprio dal fatto che l’assoluto non è<br />
estraneo al “calvario” della storia. Al cuore dell’assoluto pulsa una<br />
problematicità che è necessariamente fonte di ambiguità: “come momento<br />
della storia del mondo il sapere assoluto che riconcilia il momento<br />
temporale con una verità in sé fuori del tempo, ci viene presentato in una<br />
forma troppo vaga per non aprire la via a interpretazioni diverse, senza che<br />
noi si possa indicare esattamente quella che costituisca l’eredità autentica<br />
dello hegelismo” 213.<br />
Qui Hyppolite non pensa direttamente al dissidio interpretativo<br />
che si è verificato fin da subito nella storia della ricezione dello hegelismo,<br />
quello, per intendersi, tra destra e sinistra hegeliana. Lo studioso francese<br />
non ha preoccupazioni politiche che lo spingano a porsi immediatamente il<br />
problema se Hegel sia stato conservatore o rivoluzionario. Egli, piuttosto, è<br />
interessato a capire quale sia il vero senso del sapere assoluto in relazione<br />
alla sua particolare posizione sistematica, alla conclusione del cammino<br />
fenomenologico e, insieme, sulle soglie della scienza quale si svilupperà<br />
nella Logica.<br />
Se, infatti, per Hyppolite sussiste una “ambiguità di fondo nella<br />
interpretazione dello hegelismo”, questa conduce a chiedersi “quale<br />
rapporto sussiste tra la Fenomenologia dello spirito e la Logica ontologica<br />
(della Scienza della Logica e dell’Enciclopedia)” e “se la filosofia hegeliana<br />
sia una Fenomenologia o una Ontologia”: qual è, insomma, la démarche<br />
autentica, “la fonte prima dello hegelismo? La logica hegeliana è veramente<br />
212Ancora una volta rimando al passo tratto da Hyppolite 1946A, p. 144. Cfr. supra pp. 99-100.<br />
213Hyppolite 1989 (= 1946), p. 739.<br />
124
indipendente da ogni fenomenologia?” 214. Interrogativi che possono venire<br />
riformulati anche così: posto che la Fenomenologia è lo spazio filosofico<br />
della coscienza, con il suo carico di dinamicità esistenziale e storica, è<br />
possibile una scienza, la filosofia nella dimensione del sapere assoluto,<br />
totalmente aliena dalla coscienzialità?<br />
Da un lato, è vero, Hyppolite ricorda che “se è vero che lo spirito è<br />
storia e che la presa di coscienza è essenziale al divenire dello spirito,<br />
disfarsi completamente della fenomenologia suona impossibile” 215; D’altro<br />
canto, è vero anche che questa identificazione, operata da Hyppolite, tra<br />
dimensione della coscienza e dinamicità dell’assoluto (come se, cioè, solo<br />
nella sfera della scissione coscienziale ci sia spazio per un assoluto<br />
autenticamente vivente, per una scienza davvero tale, costituentesi<br />
attraverso l’automovimento del concetto) non vuole portare a una<br />
interpretazione esistenzialistica - di tipo wahliano - della filosofia di Hegel:<br />
“Hegel non ha alcuna intenzione di scegliere fra un universalismo che<br />
escluderebbe l’esperienza vissuta, e un esistenzialismo - di fatto<br />
rappresentato dopo di lui da Kierkegaard - in cui l’individualità è<br />
singolarità irriducibile e si rifiuta di trascrivere la propria situazione<br />
d’esistenza nella cifra dell’universalità [...]. Al contrario, la verità, quella<br />
verità che è anche la vita come la vita dello spirito è verità, sta nella loro<br />
unità [...]. Occorre dunque pensare questa dialettica dell’individualità<br />
universale, che è poi pensare l’universalità attraverso la particolarità e la<br />
particolarità attraverso l’universalità. La coscienza non è forse l’unità di<br />
questi due momenti?” 216.<br />
Ancora una volta si evidenzia la caratteristica specifica della<br />
lettura e dell’approccio hyppolitiani: la ricerca di una strada alternativa sia<br />
214Ivi, p. 71.<br />
215Ivi, p. 78.<br />
216Ivi, p. 63. Anche a questo livello ritorna il richiamo al pantragismo. Infatti, in nota, Hyppolite<br />
aggiunge: “quello dell’individualità è il problema centrale dello hegelismo. Lo spirito non è<br />
l’universale astratto, è individuale - spirito di un grande personaggio storico, di un popolo, di una<br />
religione, eccetera. Ma Hegel si sforza di cogliere l’individualità come negazione della negazione,<br />
come movimento volto a superare la propria particolarità; per questa via il suo pantragismo della<br />
giovinezza (Positività - Destino) diviene un panlogismo”.<br />
125
ad uno hegelismo, per così dire, “troppo ortodosso” (che, cioè, sia un<br />
“universalismo che esclude l’esperienza vissuta”, un tentativo filosofico di<br />
fondare una universalità, una scienza che faccia a meno dell’elemento<br />
coscienziale), sia a una lettura tutta basata sul “tragico” della situazione<br />
fenomenologica; di nuovo la via mediana tra marxismo ed esistenzialismo<br />
nella cultura francese di quegli anni.<br />
Ma se si prova a stringere più da vicino il contenuto effettivo di<br />
questa “terza via”, se si cerca di capire nel dettaglio che cosa per Hyppolite<br />
sia l’assoluto che è, insieme, scienza e problematicità, sapere effettuale e<br />
coscienza, intemporalità e storia, Ontologia e Fenomenologia, logos ed<br />
esistenza, allora si può rimanere perplessi e concluderne che lo studioso<br />
francese o non aveva le idee ben chiare 217 o non considerava più di tanto<br />
importante la questione 218.<br />
Ma non è così. Se in Genesi e struttura essa è solo impostata<br />
(ossia, il sapere assoluto è interpretato come problematicità essenziale,<br />
come equilibrio costitutivamente instabile tra infinitezza e finitudine, come<br />
ambiguità per sé di storia della coscienza e di irrequietezza dell’assoluto), è<br />
negli scritti degli anni `50 e `60 - a testimonianza dell’impegno e<br />
dell’interesse teoretico di Hyppolite a proposito di questo problema - che la<br />
questione del sapere assoluto, ossia di una nuova trascendenza, riceve<br />
continui approfondimenti.<br />
217E’ la critica che gli muove N. Bobbio; cfr. Bobbio 1965 (= 1950), specialmente p. 188.<br />
218E’ quanto sembra suggerire J. Wahl in Wahl 1965 (= 1946), p. 178.<br />
126
1. Umanismo e sapere assoluto<br />
Capitolo quarto<br />
“Hegel è [...] un filosofo della storia, si potrebbe dire quasi della<br />
storicità. Il suo problema fondamentale è quello della relazione dell’uomo<br />
con l’Assoluto e, in particolare, del posto e della situazione dell’uomo<br />
all’interno di questo Assoluto stesso. Ora, questo rapporto è, in sé, il tema<br />
della metafisica e la metafisica non è una riflessione esteriore all’Assoluto<br />
[...], essa è la riflessione dello stesso Assoluto. Ma questa riflessione<br />
avviene storicamente. C’è in Hegel una storicità di questo rapporto la quale<br />
riguarda sia l’Assoluto sia l’uomo” 219. Così Hyppolite nel 1953; ma già nel<br />
1946 scriveva: “Che lo spirito effettuale, quello della storia, divenga il<br />
219Hyppolite 1953-54, p. 176.<br />
127
proprio sapere sé e che tale sapere sé si presenti alla sua coscienza nella<br />
storia, implica senza dubbio a) la riconciliazione dialettica dell’esistenza<br />
umana finita e dell’essenza, ma se b) tale riconciliazione va colta come<br />
opera nostra, questa duplice esigenza conduce a una Umanità divina che<br />
pone nel tempo una verità eterna. Così le difficoltà del sistema hegeliano<br />
finiscono per raccogliersi tutte in quest’ultima relazione tra finito e infinito,<br />
singolare e universale, nella forma del tempo e dell’eternità. La<br />
Fenomenologia presenta le condizioni temporali di quell’assoluto sapere il<br />
Sé. Ma come concepire il sapere assoluto?” 220.<br />
Nell’arco temporale che da Genesi e struttura arriva fino ai primi<br />
anni `50 è, dunque, documentabile la persistenza, nella speculazione<br />
hyppolitiana, dell’interrogativo intorno al senso da dare al sapere assoluto,<br />
al come pensare insieme storia e assolutezza.<br />
Hyppolite individua, all’interno di quest’ultimo ambito, due<br />
direzioni di indagine. Si potrebbe dire: una pars construens e una pars<br />
destruens. Da un lato egli è condotto a polemizzare contro ogni umanismo,<br />
ogni interpretazione umanistica del sapere assoluto; dall’altro va alla<br />
ricerca di una interpretazione che, il più rispettosa possibile delle<br />
intenzioni teoretiche hegeliane, faccia luce su quel nuovo modo di<br />
concepire la trascendenza che il sapere assoluto impone di pensare.<br />
Vorrei fin d’ora sottolineare la coerenza e la continuità<br />
dell’impostazione problematica hyppolitiana. Abbiamo già visto 221 come lo<br />
studio di Hegel sia funzionale, in Hyppolite, al reperimento di quelle<br />
categorie di pensiero che consentono di dare un senso umano alla storia, di<br />
concepire negli accadimenti - anche nella brutalità e nella violenza degli<br />
accadimenti - uno spazio dove riluca l’assoluto della libertà. Nel problema<br />
del sapere assoluto è impostato proprio questo stesso dilemma, come<br />
conciliare assoluto e storia, senso ed esistenza.<br />
220Hyppolite 1989 (= 1946), p. 702.<br />
221V. supra, cap. II, par. 3.<br />
128
Ma questo modo di impostare la questione è anche assai originale.<br />
Si confrontino, infatti, a questo proposito, Merleau-Ponty e Hyppolite. Il<br />
primo, commentando lo sforzo hegeliano per superare la singolarità<br />
esclusiva dell’individuo isolato - sforzo che permette di passare<br />
dall’individuo alla storia e che è compiuto pienamente nella conciliazione<br />
finale del sapere assoluto -, afferma che “in questo senso si potrebbe dire<br />
che la Fenomenologia dello spirito rende possibile una filosofia comunista<br />
del Partito o una filosofia della Chiesa” 222. Hyppolite invece scrive: “E’<br />
possibile prolungare la filosofia hegeliana in due diverse direzioni: una<br />
filosofia della storia che si compie in un umanismo, nel senso di Feuerbach<br />
o di Marx, una filosofia del sapere assoluto; ma in questo caso, che cosa<br />
significa ancora la storia dell’umanità?” 223.<br />
In Merleau-Ponty l’ambiguità interpretativa è tutta interna ad una<br />
scelta, si può dire, tra destra e sinistra hegeliana: comunismo o<br />
cristianesimo? Umanismo o misticismo? Ma è appunto da tale dilemma che<br />
Hyppolite vuole uscire impostando diversamente il problema. La duplice<br />
direzione che egli scorge nell’interpretazione hegeliana è, infatti, tra una<br />
filosofia dell’immanenza (umanismo) e una filosofia della trascendenza<br />
pensata in maniera nuova (così, appunto, da non poter essere qualificata<br />
come “misticismo”). Hyppolite, lo vedremo, considera spuria<br />
l’interpretazione umanistica e percorribile solo l’altra, anche se al prezzo di<br />
rinnovate difficoltà speculative. Ma andiamo con ordine.<br />
Nel settembre del 1949 si tiene a Roma il Congresso<br />
Internazionale di Studi Umanistici. Hyppolite vi partecipa con una relazione<br />
222Merleau-Ponty 1946, p. 1318.<br />
223Hyppolite 1952A, p. 150. Stesso giro di pensieri in Hyppolite 1952: “Lo storico della filosofia<br />
scopre due direzioni possibili nello hegelismo. Una indica una filosofia della storia che, più o<br />
meno, sfocia in un umanismo (è il retaggio più frequente dello hegelismo). L’altra indica questo<br />
sapere assoluto [...] in cui il pensiero non ritiene del tempo che l’eterna temporalità della<br />
mediazione e si eleva al di sopra di ogni storia. Come riconciliare la filosofia hegeliana della storia<br />
[...] e il sapere assoluto della logica?” (p. 174). V. anche l’inizio del capitolo finale di Hyppolite<br />
1953: “Si può prolungare la filosofia di Hegel in due direzioni differenti. Una conduce alla<br />
deificazione dell’Umanità, l’altra [...] conduce al sapere di sé dell’Assoluto attraverso l’uomo” (p.<br />
231).<br />
129
sui rapporti fra umanismo e hegelismo 224. Di nuovo il contributo<br />
hyppolitiano è volto ad esplicitare il ruolo giocato dalla speculazione<br />
hegeliana nell’ambito delle questioni più fortemente dibattute in quel<br />
momento in Francia. Tra queste vi è certamente la problematica<br />
dell’umanismo 225. Tutta l’originalità di Hyppolite sta nell’avvicinare e nel far<br />
224Si tratta di Hyppolite 1949.<br />
225Seguendo Roth 1988 possono individuarsi per lo meno tre opere di capitale importanza per la<br />
comprensione dei termini in cui il dibattito filosofico (all’interno del quale campeggia il problema<br />
dell’umanismo) si muoveva nella Francia dell’immediato dopoguerra.<br />
La prima è il libro Humanisme et Terreur di M. Merleau-Ponty, pubblicato nel 1946; la seconda è<br />
la conferenza, poi, nel 1946, pubblicata in volume, pronunciata da J.-P. Sartre il 29 aprile 1945<br />
sul tema L’existentialisme est un humanisme; la terza è quella Lettre à Jean Beaufret di M.<br />
Heidegger pubblicata nel 1947 sul n. 63 della rivista Fontaine che poi, rielaborata dall’autore,<br />
diventerà la celeberrima Brief ueber den “Humanismus”.<br />
Certamente la questione dell’umanismo era d’attualità non solo in Francia, ma nell’intera Europa.<br />
Era stata riproposta in chiave di bruciante novità dalla retorica nazista del mito tedesco: la<br />
Germania erede del primato culturale della grecità in opposizione alla romanità e all’umanesimo<br />
rinascimentale che a partire da quest’ultima si sarebbe sviluppato. In opposizione al nazismo,<br />
quindi, si andava alla ricerca dello spazio per un nuovo umanismo che rinnovasse lo sforzo fatto<br />
dai pensatori rinascimentali di esaltare la dignità dell’uomo.<br />
Roth si sofferma ad analizzare le tre succitate opere diffondendosi soprattutto nell’esame di<br />
Humanisme et Terreur (V. Roth 1988, pp. 46-65). Io preferisco soffermarmi piuttosto sul saggio<br />
heideggeriano visto che, come constateremo, è a Heidegger che Hyppolite si rivolgerà per il<br />
reperimento di quegli strumenti teoretici atti a pensare in modo nuovo la trascendenza e a dare,<br />
così, una interpretazione decisiva del sapere assoluto.<br />
E’, però, sicuramente utile un accenno anche ai contributi di Merleau-Ponty e di Sartre. Roth<br />
mette bene in evidenza che il problema generale con cui Merleau-Ponty si confronta nel suo libro è<br />
quello del senso della violenza nella storia: “Come si può trovare il senso di una storia così piena<br />
di dolore e di sofferenza?” (Roth 1988, p. 49). E’ facile notare come questo sia anche, mutatis<br />
mutandis, l’interrogativo di fondo di Hyppolite: in che modo dare un senso alla storia? Quale il<br />
ruolo in essa della negatività? Merleau-Ponty, vicino, allora al marxismo, era propenso a dare una<br />
giustificazione alla violenza (considerata come inevitabile, coessenziale all’azione storica) in ordine<br />
ad una sua forma rivoluzionaria. La violenza rivoluzionaria aveva una giustificazione; anzi,<br />
l’avrebbe ricevuta a posteriori, dopo e grazie al trionfo del proletariato. Il compimento della storia<br />
con l’avvento della società socialista è per Merleau-Ponty quel “non ancora” in nome del quale è<br />
possibile giudicare la positività (“rivoluzionarietà”, si potrebbe dire) o meno di una azione storica e<br />
della violenza che essa porta con sé. Certo, si tratta di una giustificazione teorica dello Stalinismo<br />
(Cfr. Roth 1988, p. 54: “è difficile leggere oggi Humanisme et Terreur senza pensare che esso è [...]<br />
la giustificazione degli omicidi di massa dello stalinismo”), ma è comunque un documento<br />
interessante che mostra come nel marxismo si andasse alla ricerca di un pensiero che conferisse<br />
una razionalità alla storia, un senso alle relazioni fra gli uomini, una logica all’umana coesistenza.<br />
Il contributo di Sartre, in questo senso, è di ricollocare al centro la questione di quale posto spetti<br />
al singolo all’interno di questa invocata logica della storia. Anche questo aspetto è presente, lo<br />
abbiamo visto, a Hyppolite, il quale ritiene che problema cruciale dello hegelismo (e, anche, della<br />
filosofia del suo tempo) sia quale relazione debba essere pensata fra individualità e universalità,<br />
fra spirito finito e spirito assoluto. Certo, Hyppolite, parlando di spirito finito è, hegelianamente,<br />
già oltre la singolarità dell’individuo, già nella dimensione “spirituale” della storia oltre<br />
l’esistenzialismo; ma anche la storia, alla luce dell’assolutezza del sapere, è spirito finito,<br />
bisognoso di integrazione, di ricevere un senso.<br />
Sartre, nel suo breve saggio del 1946, difendeva la tesi che, dopo la barbarie nazista, era proprio<br />
l’esistenzialismo a rappresentare l’autentico umanesimo; respingendo ogni accusa - che giungeva<br />
alla filosofia dell’esistenza sia da parte cattolica sia da parte marxista - di disimpegno, relativismo<br />
e nichilismo, egli affermava che, dopo la caduta e il fallimento della metafisica, “i valori<br />
dell’umanesimo potevano essere salvati solo se l’esistenza umana, anziché pretendere di ancorarli<br />
130
interagire due ambiti teoretici - discussione sull’umanismo e problematica<br />
del sapere assoluto in Hegel - apparentemente lontani fra loro, in vista di<br />
una sintesi speculativa soddisfacente per entrambi. E’ quanto dice con<br />
chiarezza lo stesso studioso francese: l’interesse nel mettere a confronto<br />
umanismo ed hegelismo consiste nel “cogliere l’ambiguità della posizione di<br />
Hegel e scorgere in essa le direzioni [...] dei nostri problemi<br />
contemporanei” 226.<br />
Ho già avuto modo di citare da questo saggio proprio per indicare<br />
quali siano i “problemi contemporanei” cui accenna Hyppolite, e quale<br />
“l’ambiguità della posizione di Hegel”: “Noi vediamo oggi nello hegelismo un<br />
centro di interessi perché è in rapporto ad esso che tentiamo di<br />
comprendere i movimenti filosofici contemporanei, da Kierkegaard a Marx e<br />
ai loro discepoli ancora più vicini a noi. Ma il nostro interesse si porta<br />
ancora sullo hegelismo perché c’è, in questo pensiero, una filosofia della<br />
storia, uno sforzo per rivelare il senso ultimo della storia umana e perché il<br />
pensiero francese - abbastanza ostile alla storia - tenta oggi di misurarsi<br />
con dei filosofi che hanno voluto pensare la storia” 227.<br />
Ora possiamo comprendere meglio queste affermazioni dello<br />
studioso francese: nella problematicità del sapere assoluto,<br />
dall’interpretazione del quale dipende la decifrazione della possibilità o<br />
meno di conferire un senso alla storia, si può far rispecchiare la<br />
problematica dell’umanismo, sulla quale convergono le direzioni di ricerca<br />
sia degli esistenzialisti, sia dei marxisti francesi. In questo modo<br />
l’operazione interpretativa della Fenomenologia, ridotta all’essenziale<br />
all’ormai tramontato firmamento delle stelle fisse, fosse stata in grado di reinventarli unicamente<br />
in base a se stessa, con il proprio impegno, nell’azione e nella decisione”. Sartre difendeva una<br />
disincantata comprensione dell’esistenza: un’esistenza che “non ha radici, né alcuna essenza che<br />
la preceda e la orienti, ma, immersa nel nulla, si riconosce nuda di fronte al suo nudo destino e si<br />
definisce unicamente in base alla fatticità del suo esistere”. <strong>Tesi</strong> che nell’Europa postbellica<br />
trovava un terreno favorevole per attecchire e che contribuì alla riflessione hyppolitiana intorno<br />
all’umanismo (Per questa sintesi della posizione sartriana, v. F. Volpi, introduzione a: M.<br />
Heidegger, Lettera sull’ “Umanismo”, MI, Adelphi, 1995, pp. 17-8).<br />
226Hyppolite 1949, p. 149.<br />
227Ivi, p. 147. V. supra , cap. II, note 56 e 62.<br />
131
nell’ermeneutica del sapere assoluto, si viene ad innestare nel cuore del<br />
dibattito filosofico del momento.<br />
Per Hyppolite è fuor di dubbio che il significato del termine<br />
umanismo quale appare nell’uso che se ne fa all’interno della discussione e<br />
delle polemiche a lui contemporanee, essendo divenuto “molto lontano da<br />
quello che ne facevano gli umanisti del XV e XVI secolo”, è ormai quello di<br />
“una filosofia dell’immanenza in opposizione a una filosofia della<br />
trascendenza, una filosofia dell’uomo e dell’umanità, in opposizione sia a<br />
una filosofia della sola natura, che inghiotte l’uomo, sia a una filosofia<br />
religiosa, che riferisce la vita umana a un al di là e, per l’esperienza del<br />
peccato, la condanna in quanto vita soltanto umana” 228.<br />
Hyppolite riconosce che è sicuramente innegabile l’evidenza dello<br />
sforzo hegeliano per ridurre all’immanenza ogni contenuto della vita e del<br />
pensiero religiosi e che è proprio la Fenomenologia dello spirito il primo<br />
grande luogo speculativo nel quale Hegel ha portato a compimento questa<br />
operazione. Ma, nota lo studioso francese, - in implicita ma decisa polemica<br />
con Kojève (che, come ho avuto modo di accennare, per primo in Francia<br />
ha sostenuto con ampiezza e stile tagliente l’insostenibilità di ogni altra<br />
lettura hegeliana diversa da quella umanistica) - “è tuttavia difficile dire<br />
che Hegel sia ateo [...]. Hegel sente continuamente che la completa<br />
riduzione della trascendenza all’immanenza, del divino all’umano,<br />
porterebbe a una devalorizzazione della stessa umanità. Se Dio è morto,<br />
bisogna che l’uomo si elevi a Dio e realizzi in sé il divino. Ma questo divino<br />
che l’uomo realizza, che passa per l’uomo, è soprattutto nella storia che<br />
Hegel ne vede la vera manifestazione [...]. Cosa ne consegue per l’umanità<br />
da questa divinizzazione della storia?” 229. Come si vede, il problema<br />
228Hyppolite 1949, p. 148.<br />
229Ivi, p. 149. La lettura “umanistica” di Hegel ricorre a moduli feuerbachiani e marxiani. Ecco<br />
perché la critica, in Hyppolite, di tale lettura ha come suo motivo caratterizzante una presa di<br />
posizione contro Feuerbach-Marx; Hyppolite 1952A, p. 155: “Si conoscono le critiche di<br />
Feuerbach, poi di Marx, contro Hegel. Lo spirito assoluto, dice il primo, è l’uomo e l’uomo<br />
soltanto; è l’umanità storica che realizza necessariamente il suo progetto fondamentale attraverso<br />
132
dell’umanismo coincide teoreticamente, per Hyppolite, con quello del<br />
sapere assoluto: un equilibrio da decifrare tra spirito assoluto e umanità.<br />
E in ogni caso lo studioso francese esclude che sia sostenibile una<br />
lettura umanistica del sapere assoluto e della Fenomenologia (la quale è<br />
una lettura che stacca il cammino fenomenologico dal suo risultato, il<br />
sapere assolto, avvertito come esito o da ignorare - Wahl - o da esorcizzare -<br />
Kojève): “la conseguenza di una Fenomenologia che si rifiuta di diventare<br />
sapere assoluto, logica hegeliana, è una sorta di filosofia della cultura che,<br />
certo, fa l’inventario di tutta la ricchezza dell’esperienza e dei modi<br />
d’espressione di questa esperienza, ma non supera l’umanismo [...]. Allora<br />
il fantasma della cosa in sé sorge sempre e rinvia l’umanismo a una fede al<br />
di là di ogni sapere [...]. Umanismo o fede in una trascendenza<br />
inaccessibile: è entro questi due termini [...] che oscilla il più delle volte il<br />
pensiero contemporaneo. Esso resta una filosofia della coscienza [...],<br />
diviene una antropologia, un umanismo o come si vorrà dire, ma non vera<br />
filosofia” 230. Ecco dunque perché Hyppolite rifiuta l’umanismo: non è per<br />
lui solo un discorso di correttezza nell’interpretazione di Hegel, ma è<br />
addirittura questione di autenticità nel filosofare. Non ci si può fermare<br />
all’umanismo, pena rinunciare alla filosofia stessa. E si badi: la maggior<br />
parte della filosofia a lui contemporanea (e certamente le due correnti<br />
maggiormente à la page in quel momento in Francia) è coinvolta in questo<br />
rifiuto. Qui davvero emerge, più che mai, la netta personalità dello studioso<br />
francese, il quale intende la propria opera di interprete e di storico della<br />
filosofia ben più che come un semplice lavoro di informazione e di studio<br />
critico. Hyppolite legge il proprio sforzo intellettuale come un’operazione<br />
ben più importante di ciò che si vien producendo intorno a lui in termini di<br />
riflessione filosofica sull’uomo.<br />
i meandri della dialettica storica del reale, dimostra il secondo. Ma Hegel ha sempre sentito che<br />
l’umanità ridotta a sé sola, prendendosi essa stessa per fine, era la sua propria rovina”.<br />
230Hyppolite 1952, p. 164.<br />
133
Ma quali le ragioni di un simile deciso rigetto dell’umanismo? A<br />
Hyppolite interessa interpretare il senso del sapere assoluto hegeliano,<br />
capire quale sia il rapporto tra storia e assolutezza. Nel suo intervento al<br />
secondo Congresso di Studi Umanistici (che si tenne, rispetto al primo,<br />
l’anno successivo) egli centra la propria attenzione sulla nozione hegeliana<br />
di astuzia della ragione: “Gli individui, perseguendo i loro propri interessi,<br />
mettendo in atto i loro progetti individuali, finiscono a loro insaputa per<br />
mettere in atto un progetto totale, un interesse collettivo il cui senso è oltre<br />
il senso che essi avevano di mira”. Da questa premessa, è altrettanto<br />
interessante la conseguenza che, seguendo lo stesso Hegel ne tira<br />
Hyppolite: “ma allora questo senso nascosto che appare solo alla fine e che<br />
gli individui realizzano a loro insaputa (astuzia della ragione), si mostra ad<br />
essi come il loro scacco. La storia da questo punto di vista non è il luogo<br />
della felicità dell’individuo [...] e in essa l’individuo, come individuo, non si<br />
riconosce, non mette in atto la propria libertà” 231.<br />
Siamo qui davvero ad un crinale nella parabola interpretativa<br />
hyppolitiana. Abbiamo visto che fin dall’inizio Hyppolite ha cercato in Hegel<br />
una strumentazione teorica e concettuale per pensare la libertà nella storia<br />
e che questa ricerca conduceva necessariamente ad una ermeneutica del<br />
sapere assoluto. Ora, arrivato a stringere da vicino il suo problema<br />
fondamentale, vediamo che lo studioso francese sembra retrocedere e<br />
riconoscere che nella storia non c’è posto per la libertà: “L’autocoscienza<br />
universale preparata dalla Fenomenologia non è necessariamente la<br />
coscienza dell’umanità storica, del progetto umano come tale. Senza dubbio<br />
le categorie dell’assoluto si svelano anche nell’erranza della storia, ma il<br />
discorso legato di queste categorie, la logica hegeliana, il Logos<br />
dell’Assoluto, non è la storia. La storia, come la natura, non è fuori<br />
dall’Assoluto, ne è pure una rivelazione, ma la storia è ancora spirito finito<br />
231Hyppolite 1952A, p. 153. Corsivo mio.<br />
134
(spirito oggettivo) e l’errore sarebbe credere che, poiché l’idea assoluta si<br />
manifesta nella storia, l’assoluto sarebbe storico, una fine della storia” 232.<br />
Il precisarsi in Hyppolite della polemica contro l’umanismo<br />
conduce lo studioso francese a ricalibrare anche la direzione del suo<br />
progetto teoretico. Il rifiuto dell’umanismo marxista che legge nello Stato<br />
l’autentica opera umana dove si realizza l’autentica libertà dell’uomo è, per<br />
lui, il punto di partenza per percorrere l’altra direzione possibile dello<br />
hegelismo, quella del sapere assoluto.<br />
E’ di basilare importanza mettere in rilievo che, per Hyppolite, “le<br />
questioni fondamentali che si pongono quando ci si rifiuta di seguire la<br />
prima direzione dello hegelismo, quella che sfocia nell’umanismo marxista”<br />
sono: “Che ne è allora dell’uomo e quali rapporti esistono tra l’antropologia<br />
e l’ontologia? Che cosa diviene la storia nella prospettiva del sapere<br />
assoluto?” 233. Cioè: anche se si abbandona la più facile prospettiva<br />
umanistica, la domanda fondamentale rimane sempre quella intorno alla<br />
storia e al suo senso. Tutto il percorso teoretico del nostro studioso, anche<br />
in questo momento di maturazione, rimane fedele alla medesima questione<br />
di fondo.<br />
Si capisce bene, allora, quale sia il motivo che porta Hyppolite a<br />
respingere ogni interpretazione umanistica. Proprio per dare soddisfazione<br />
all’interrogativo principale che lo muove nella ricerca - quale il senso della<br />
libertà e della storia nella prospettiva hegeliana - egli, persuaso della<br />
insufficienza dell’umanismo, il quale si arresta allo spirito finito e retrocede<br />
impotente davanti all’interpretazione del sapere assoluto, vuole spingersi<br />
fino al cuore dello hegelismo e cercare lì quel nuovo modo di pensare la<br />
trascendenza che solo può esaurire la sua esigenza speculativa.<br />
Ma con quali mezzi affrontare questo decisivo approfondimento<br />
teoretico? Se quelli che metteva a disposizione la prima possibile direzione<br />
232Ivi, p. 157. Corsivo mio.<br />
233Ibidem. Corsivo mio.<br />
135
ermeneutica, l’umanismo, si sono dimostrati insufficienti, allora, scrive<br />
Hyppolite, è “l’ontologia di Heidegger potrebbe forse contribuire a<br />
gettare luce sulla seconda direzione possibile dello hegelismo” 234, quella del<br />
sapere assoluto, quella che lo studioso francese vuole percorrere.<br />
Egli è, infatti, convinto che “la Fenomenologia [...] vuole descrivere,<br />
attraverso tutte le esperienze vissute da delle coscienze particolari, le<br />
essenze che strutturano l’esperienza umana nella sua interezza e che, in<br />
quanto dette, traducono nel milieu del Logos il singolare nell’universale [...].<br />
La fenomenologia hegeliana non si propone di restare fenomenologia, ma è<br />
tesa a superarsi, a compiersi in una genesi ideale di queste essenze svelate<br />
attraverso l’esperienza - e talora nella contingenza della storia - e a<br />
mostrare che queste essenze sono concatenate in una necessità dialettica a<br />
partire da una identità assoluta dell’Essere e del pensiero, Essere che si<br />
mostra suscettibile di pensarsi, di comprendersi. Questo Logos dell’Essere,<br />
è l’Essere stesso che si pensa [...]. Non è l’uomo che fa la filosofia, ma<br />
attraverso l’uomo la filosofia stessa si fa” 235.<br />
2. Hegel e Heidegger<br />
Si presenta qui la difficoltà forse maggiore nella delineazione<br />
dell’itinerario teoretico ed interpretativo di Hyppolite. Il ricorso, da parte<br />
sua, alla ontologia heideggeriana ha sovente provocato, in molta parte della<br />
critica, un giudizio, in negativo o in positivo non importa, sempre però<br />
234Hyppolite 1952A, p. 157. E’ importante sottolineare che la critica all’umanismo comprende la<br />
critica sia al marxismo sia all’esistenzialismo. Anche quest’ultimo, infatti, per Hyppolite, si limita<br />
alla considerazione dell’uomo solamente. In una conferenza letta all’Università di Upsal nel 1955,<br />
egli si esprime così: “L’esistenzialismo francese è un umanismo [...]; si tratta dell’esistenza nella<br />
storia, ma questa storia è solo la storia dell’uomo, degli uomini, non la storia stessa dell’essere. Lo<br />
svelamento di senso che la nostra libertà opera concerne il senso della vita umana, non il senso<br />
stesso dell’essere. E’ su questo punto che converrebbe opporre alla filosofia umanista francese<br />
dell’esistenza, la filosofia heideggeriana dell’esistenza. Si dà una storia della metafisica e come<br />
una storia dell’essere? Introducendo la storia (attraverso la temporalità) nella realtà umana, si<br />
deve allargare anche il problema, il quale non concerne più solamente la storia degli uomini, ma<br />
lo svelamento stesso dell’essere che si opera attraverso di loro in una certa temporalità. La parola<br />
libertà cambierebbe ancora una volta di significato: libertà per svelare, e non libertà per fare<br />
l’uomo. La libertà dell’uomo sarebbe meno la sua avventura che l’avventura stessa dell’essere<br />
attraverso di lui” (Histoire et Existence, in Hyppolite 1971, p. 986).<br />
235Hyppolite 1952, pp. 164-5.<br />
136
orientato a leggere in ciò una frattura all’interno della riflessione<br />
hyppolitiana.<br />
Ho già anticipato il mio disaccordo a proposito di una simile<br />
lettura: si tratta ora di darne dimostrazione. A questo scopo credo sia<br />
opportuno chiarire preliminarmente una serie di questioni: anzitutto<br />
vedere, attraverso una veloce analisi della Lettera sull’ “Umanismo” di<br />
Heidegger e della ricezione hyppolitiana della lezione ivi contenuta, quale<br />
sia il peso e il significato della presenza, in Hyppolite, dei moduli teoretici<br />
heideggeriani; (accennerò anche alla critica all’umanismo che su queste<br />
basi lo studioso francese sviluppa); in secondo luogo illustrare i contenuti<br />
delle varie critiche che a questo proposito gli sono state mosse. Solo a<br />
questo punto potrò mostrare quello che mi appare essere l’autentico valore<br />
della posizione hyppolitiana.<br />
Sollecitato da Jean Beaufret su quale senso dare all’espressione<br />
“umanismo”, Heidegger risponde con uno scritto di ampio respiro, che<br />
riprende i temi dell’attualità postbellica - come ridare, dopo la notte del<br />
nazismo, un senso e un valore all’uomo? Come valutare a questo riguardo<br />
l’immagine classica dell’uomo e gli ideali della tradizione umanistica? -<br />
ricollocandoli nel quadro della sua propria ricerca teoretica volta a una<br />
comprensione originaria della vita dell’uomo.<br />
La sua impostazione del discorso è molto netta: “le interpretazioni<br />
umanistiche dell’uomo come animal rationale, come “persona”, come essere<br />
composto di spirito, anima e corpo [...] non esperiscono ancora l’autentica<br />
dignità dell’uomo” 236; in tal senso Heidegger sta “contro l’umanismo perché<br />
esso non pone l’humanitas dell’uomo a un livello abbastanza elevato” 237.<br />
Per il pensatore tedesco l’essenza dell’uomo va pensata in modo<br />
diverso da come si fa quando lo si intende come un essere vivente dotato di<br />
ragione: “l’uomo è più che animal rationale proprio in quanto è meno<br />
236M. Heidegger, Lettera sull’”Umanismo”, MI, 1995, p. 55. Per un inquadramento storico e<br />
concettuale più particolareggiato rimando alla Nota introduttiva curata da F. Volpi.<br />
237Ivi, p. 56.<br />
137
ispetto all’uomo che si concepisce a partire dalla soggettività. L’uomo non<br />
è il padrone dell’ente. L’uomo è il pastore dell’essere” 238. L’attenzione va<br />
spostata: non si deve mettere al centro l’uomo, ma l’essere.<br />
Se, dunque, è necessario, per Heidegger, pensare l’essenza<br />
dell’uomo, questo non lo è per sé, ma, piuttosto, “per la verità dell’essere,<br />
così che, di conseguenza, ciò che importa non è più appunto l’uomo,<br />
semplicemente come tale” 239. Contro ogni impostazione metafisica,<br />
Heidegger vuole richiamare “al semplice fatto essenziale che l’uomo è<br />
essenzialmente nella sua essenza solo in quanto è chiamato dall’essere”:<br />
l’uomo, unico in ciò, “è destinato a pensare l’essenza del suo essere” 240.<br />
E’ quanto egli esprime anche dicendo che l’uomo è esistenza<br />
(Dasein):”l’uomo è essenzialmente (west) in modo da essere il ``ci`` (Da),<br />
cioè la radura dell’essere. Questo ``essere`` del ``ci``, e solo questo ha il<br />
carattere fondamentale dell’e-sistenza, cioè dell’e-statico stare dentro (das<br />
ek-statische Innestehen) nella verità dell’essere” 241.<br />
Bisogna dunque uscire dalle categorie di pensiero di ogni<br />
umanismo giacché questo è l’erede di quella metafisica della soggettività<br />
che pensa l’uomo dopo averlo ”definitivamente cacciato nell’ambito<br />
essenziale dell’animalitas, anche quando non lo si assimila all’animale, ma<br />
gli si attribuisce una differenza specifica”: tale modo di concepire è per<br />
Heidegger troppo modesto perché pensando “sempre all’homo animalis<br />
anche quando l’anima è posta come animus sive mens e quest’ultima più<br />
tardi come soggetto, come persona, come spirito” 242, trascura la<br />
provenienza essenziale dell’uomo.<br />
Questa negligenza va di pari passo per Heidegger con la<br />
dimenticanza, l’oblio dell’essere come destino della metafisica occidentale<br />
238Ivi, p. 73.<br />
239Ivi, p. 78.<br />
240Ivi, p. 46.<br />
241Ivi, p. 48.<br />
242Ivi, pp. 45-6.<br />
138
:”l’oblio dell’essere si manifesta indirettamente nel fatto che l’uomo osserva<br />
e lavora sempre e solo l’ente. Poiché nel fare questo l’uomo non può evitare<br />
di avere una rappresentazione dell’essere, anche l’essere viene spiegato<br />
soltanto o come ciò che è più generale” e quindi che abbraccia l’ente o come<br />
una creazione dell’ente infinito, o come il prodotto di un soggetto finito.<br />
Nello stesso tempo, fin dai tempi antichi, ``l’essere`` è preso per ``l’ente``, e<br />
viceversa l’ente per l’essere, l’uno e l’altro come mescolati in una strana<br />
confusione ancora impensata. Come destino che destina la verità, l’essere<br />
rimane velato” 243.<br />
La confusione tra essere ed ente, il pensare della metafisica che<br />
pensa l’essere sempre e solo a partire dall’ente, sono alla base, per<br />
Heidegger, della “spaesatezza (Heimatlosigkeit) dell’uomo moderno” 244: a<br />
questa spaesatezza che è un esilio dalla verità dell’essere, può essere<br />
riportata qualsiasi metafisica, sia essa idealistica, materialistica o cristiana.<br />
Il compito che Heidegger, allora, riconosce per il pensiero è quello di<br />
pensare determinando l’essenza dell’humanitas come e-sistenza in base alla<br />
sua appartenenza all’essere, la verità dell’essere stesso.<br />
A questo livello si fa essenziale nel discorso heideggeriano, la<br />
rilevanza del linguaggio. Scrive il filosofo tedesco: ”il pensiero porta a<br />
compimento il riferimento (Bezug) dell’essere all’essenza dell’uomo non che<br />
esso produca o provochi questo riferimento. Il pensiero lo offre all’essere<br />
soltanto come ciò che gli è stato consegnato dall’essere. Questa offerta<br />
consiste nel fatto che nel pensiero l’essere perviene al linguaggio. Il<br />
linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo. I pensatori e<br />
i poeti sono i custodi di questa dimora. Il loro vegliare è il portare a<br />
compimento la manifestatività dell’essere; essi, infatti, mediante il loro dire,<br />
243Ivi, p. 69.<br />
244Ivi, p. 67. Interessante notare che Heidegger riconduce a ciò quello che Hegel e Marx avevano<br />
pensato come alienazione ciò che Marx, partendo da Hegel ha riconosciuto in un senso essenziale<br />
e significativo come alienazione dell’uomo affonda le sue radici nella spaesatezza dell’uomo<br />
moderno” (ivi, p.70).<br />
139
lo conducono al linguaggio e nel linguaggio lo custodiscono” 245. Ogni<br />
umanismo, per Heidegger, “pensa metafisicamente” cioè non risale<br />
all’essere, non si fa reclamare da esso, non porta a compimento il<br />
riferimento dell’essere all’essenza dell’uomo: se va alla ricerca di “valori”<br />
nell’ humanitas della tradizione non lo fa entrando in un dialogo fecondo<br />
con i “pensatori essenziali” i quali pensano” entrando nella verità<br />
dell’essere” 246.<br />
L’umanismo, di matrice marxista o no, era in quel momento<br />
comunque permeato dall’insistenza sulla necessità dell’engagement, in<br />
vista di un agire anche politico, che, dimostrando un impegno volto contro<br />
il fascismo, facesse rilucere una ritrovata dignità dell’uomo. Di contro a un<br />
tale umanismo Heidegger rileva: ”Il pensare è un fare. Ma è un fare che<br />
supera ogni prassi. Il pensare, infatti, è superiore all’agire e al produrre<br />
non per la grandezza delle sue prestazioni e neppure per gli effetti che<br />
causa, ma per quel poco (das Geringe) che è proprio del suo portare a<br />
compimento [...]. il pensiero si limita a portare al linguaggio la parola<br />
inespressa dell’essere [...]. l’essere, aprendosi nella radura, viene al<br />
linguaggio. Esso è sempre in cammino verso il linguaggio” 247. E ancora: ”Il<br />
pensiero agisce in quanto pensa. Questo agire è probabilmente il più<br />
semplice e nello stesso tempo il più alto perché riguarda il riferimento<br />
dell’essere all’uomo. Ma ogni operare riposa nell’essere e mira all’ente. Il<br />
pensiero, invece, si lascia reclamare dall’essere per dire la verità dell’essere.<br />
Il pensiero porta a compimento questo lasciare. Pensare è l’engagement par<br />
l’Etre pour l’Etre” 248.<br />
Il contenuto della Lettera sull’ “Umanismo” è certamente assai più<br />
ricco di quanto non sia potuto risultare dal riassunto che ho cercato di<br />
245ivi, p. 31.<br />
246Ivi, p. 63. Più avanti Heidegger nota (p. 102): ”In quanto pensiero dell’essere, il pensiero è<br />
reclamato nella sua essenza dall’essere [...]. L’essere si è già destinato al pensiero. L’essere è come<br />
destino del pensiero. Ma il destino è in sé storico. La sua storia è già venuta al linguaggio nel dire<br />
dei pensatori. Portare di volta in volta al linguaggio questo avvento dell’essere [...] è l’unica cosa<br />
del pensiero”.<br />
247Ivi, p.100.<br />
248ivi, p. 32.<br />
140
darne. Una comprensione autentica di questo testo coinvolgerebbe uno<br />
studio approfondito dell’intero discorso teoretico heideggeriano. Ma quanto<br />
ho detto credo sia sufficiente per affrontare la questione dell’utilizzo<br />
hyppolitiano delle categorie dell’ontologia di Heidegger.<br />
Il punto di partenza comune ad entrambi i pensatori, quello che<br />
rende possibile l’avvicinamento alla filosofia heideggeriana da parte di<br />
Hyppolite, è sicuramente la polemica antiumanistica. Lo abbiamo già<br />
veduto: l’umanismo, in quel suo aspetto che interessa ad Hyppolite,<br />
conduce ad una interpretazione incompleta della speculazione hegeliana,<br />
ad una fenomenologia che rimane priva del suo essenziale riferirsi al sapere<br />
assoluto, ad una filosofia della storia che brancola nel buio, essendo spenta<br />
la luce di un possibile senso di essa 31 . E’ il problema, già ampiamente<br />
esaminato nella sua struttura, dell’interpretazione del sapere assoluto.<br />
31 Il luogo privilegiato per un esame preciso della ricezione, da parte di Hyppolite, della<br />
speculazione heideggeriana è Hyppolite 1953. E’ possibile compiere una lettura di questo testo<br />
che metta in evidenza la continua sottolineatura, da parte dello studioso francese, della necessità<br />
di prendere le distanze da una interpretazione umanistica di Hegel. Continuamente lo studioso<br />
francese ribadisce la sua persuasione: “L’Assoluto è [...] sapere assoluto nel quale la sostanza si<br />
presenta come soggetto, l’essere integralmente come senso e il senso come l’essere. Ma questo non<br />
significa che l’Assoluto sparisca e che non resti che un Umanismo, come si dice. Nella<br />
Fenomenologia Hegel non parla dell’uomo, ma dell’autocoscienza, e gli interpreti moderni che<br />
hanno tradotto immediatamente questo termine con ``l’uomo`` hanno un poco falsato il pensiero<br />
hegeliano [...]. Senza dubbio è nel sapere umano che il Logos appare, si interpreta e si dice, ma<br />
l’uomo qui non è che il crocevia di questo sapere e di questo senso. L’uomo, nello stesso tempo<br />
che esser-ci naturale, è coscienza e autocoscienza, ma la coscienza e l’autocoscienza non sono<br />
l’uomo, esse dicono nell’uomo l’essere come senso, esse sono l’essere stesso che si sa e si dice”<br />
(Hyppolite 1953, p. 25).<br />
E ancora: “Se ci si tenesse alla Fenomenologia, facendo astrazione dalla sua conclusione e dalla<br />
sua prefazione, ci si fermerebbe a un umanismo, a una antropologia filosofica, e la Logica, il Logos<br />
dell’Essere, al quale Hegel attribuisce così tanta importanza, sarebbero incomprensibili” (Ivi, p.<br />
42).<br />
Oppure: “La filosofia speculativa, tale qual essa appare nel sapere assoluto, sarà ben la sparizione<br />
di ogni trascendenza, il ritorno ``nella certezza di se stesso``, ma di sé come sé universale, sé del<br />
contenuto e non sé solamente umano. Essa non sarà pertanto un antropomorfismo, o un<br />
umanismo. Essa sarà una filosofia dell’Assoluto che esiste come Logos solo nel linguaggio. Essa<br />
penserà e dirà la vera unità dell’essere di cui si parla e di colui che parla, della verità e della<br />
certezza, ma dopo un superamento dell’umano [...]. Il discorso dialettico della Logica sarà il<br />
discorso stesso dell’Essere, la Fenomenologia avendo mostrato la possibilità della messa tra<br />
parentesi dell’uomo come esser-ci naturale” (p. 50).<br />
Ancora più avanti, scrive: “Dire che l’Assoluto è soggetto non vuol dire (a dispetto di certe<br />
interpretazioni post-hegeliane) che l’Assoluto è l’uomo, ma che l’uomo è l’esser-ci naturale nel<br />
quale la contraddizione non risolta della natura (quella di essere insieme Logos e non-Logos) si<br />
esplicita e si supera. L’uomo è la dimora del Logos, dell’essere che si riflette e si pensa. L’uomo,<br />
come uomo, si riflette anche come uomo, e l’umanità della Fenomenologia genera l’autocoscienza<br />
universale che è questa dimora, attraverso un itinerario antropologico, ma la riflessione alla quale<br />
141
E per la prima volta il ricorso ai moduli teoretici heideggeriani si<br />
ha nella relazione che lo studioso francese tenne al già ricordato secondo<br />
Congresso internazionale di studi umanistici. Hyppolite, riprendendo la<br />
questione dell’ambiguità possibile dell’interpretazione del sapere assoluto,<br />
ambiguità che si gioca tra lettura umanistica e lettura che affronta lo<br />
scoglio speculativo di una assolutezza che fa i conti con la storia, riformula,<br />
per la prima volta, appunto, questa seconda via ermeneutica in termini<br />
heideggeriani: “Hegel afferma che la storia è il divenire della ragione<br />
assoluta, della vera libertà dello spirito [...].L’idea assoluta è la sostanza<br />
della storia universale, ma essa non esiste che attraverso le coscienze<br />
singolari che divengono allora gli strumenti dell’Idea. Qui si manifesta<br />
l’ambiguità dello hegelismo. Questa idea infatti, che è immanente alla<br />
storia [...] è una fine della storia nella quale l’uomo si realizzerebbe in<br />
quanto uomo [prima direzione interpretativa: umanismo], oppure è il Logos<br />
di cui l’uomo è solamente il supporto o il guardiano, ciò che si dice<br />
all’interno dell’erranza della storia [seconda direzione interpretativa:<br />
ontologismo heideggeriano]?” 32 . Ancora in questa medesima relazione<br />
Hyppolite inizia ad approfondire la seconda di queste due direzioni: mentre<br />
l’umanismo ritiene che “l’assoluto, l’autocoscienza universale dell’essere, si<br />
confonda col progetto fondamentale dell’uomo in quanto uomo”, al contrario<br />
Hegel giudica che la storia sia “un momento subordinato al Logos, al<br />
linguaggio dell’Essere”. Per lo studioso francese in Hegel “ciò che appare<br />
attraverso l’uomo, o piuttosto nell’autocoscienza universale, di cui l’uomo è<br />
soltanto il portatore, è il discorso ontologico, il sapere assoluto dell’essere, e<br />
questo sapere non è l’uomo, sebbene esso non esista altrimenti che nel<br />
essa perviene è la riflessione stessa dell’Assoluto che come essere si fonde nel suo proprio Logos”<br />
(pp. 91-2).<br />
Ancora: “Il pensiero hegeliano trascende la distinzione tra umanismo puro (che svilupperanno i<br />
suoi discepoli infedeli) e vita speculativa assoluta. Noi crediamo [...] che Hegel abbia scelto la<br />
concezione speculativa, il sé dell’essere piuttosto che il sé umano” (p. 137).<br />
Tutto il capitolo finale dell’opera, inoltre, è un riprendere organicamente tutte queste critiche<br />
disseminate nel corso del libro e una discussione serrata contro l’umanismo.<br />
32 Hyppolite 1952A, pp. 151-2.<br />
142
linguaggio umano e possieda così incontestabilmente una storicità” 33 .<br />
Comprendere a fondo il significato teoretico della Fenomenologia vuol dire,<br />
per Hyppolite, capire che essa è tutta e solo funzionale all’introduzione del<br />
sapere assoluto, cioè che in essa si compie la distruzione di quella pretesa<br />
antifilosofica di potersi fermare al gradino del progetto umano come tale,<br />
dell’umanità storica come tale: “l’uomo è coscienza e autocoscienza<br />
universale [...]. La manifestazione di questa autocoscienza universale non è<br />
lo Stato [come invece pretenderebbe di interpretare una lettura<br />
umanistica], ma il linguaggio autentico, il quale è la dimora dell’Essere.<br />
Non è l’uomo che interpreta l’Essere, è l’Essere che si dice nell’uomo, e<br />
questa svelatezza [dévoilement] dell’Essere, questa logica assoluta -<br />
sostituita a una metafisica (che sarebbe più o meno teologia) - passa<br />
attraverso l’uomo [...]. L’uomo non è l’Assoluto o la fine suprema, egli è un<br />
crocevia, esiste autenticamente solo in quanto attraverso di lui l’Essere si<br />
comprende e si manifesta” 34<br />
Ciò che Hyppolite trova in Heidegger è proprio quell’insieme di<br />
strumenti speculativi che gli consentono di pensare in modo nuovo la<br />
trascendenza così da interpretare in maniera corretta il discorso hegeliano<br />
sul sapere assoluto. L’utilizzo del pensiero heideggeriano - ci tengo a<br />
ribadirlo - è completamente funzionale a questo compito ermeneutico.<br />
La cosa risulterà più chiara dopo l’esame delle pagine che<br />
Hyppolite dedica ulteriormente a questo problema. Scrive, infatti, anche:<br />
“La filosofia hegeliana è il rifiuto di ogni trascendenza [...]. Non c’è<br />
trascendenza, e tuttavia il pensiero finito dell’uomo non è condannato a<br />
restar prigioniero della sua finitezza, esso si supera esso stesso, e ciò che<br />
rivela o manifesta è l’Essere stesso. Non è allora l’uomo che dice più o<br />
meno esattamente l’Essere, ma l’Essere che nell’uomo si dice e si esprime.<br />
La Filosofia come sapere assoluto è questa espressione medesima” 35 .<br />
33 Ivi, p. 156.<br />
34 Ivi, p. 157.<br />
35 Hyppolite 1952, p. 159.<br />
143
Propriamente il guadagno hegeliano del sapere assoluto è, per<br />
Hyppolite, il raggiungimento di quel luogo speculativo nel quale la<br />
coscienza dell’uomo si rivela in quanto autocoscienza universale dell’essere.<br />
Che l’essere si dica nel linguaggio della filosofia, che, heideggerianamente,<br />
il linguaggio dell’uomo esprima il dirsi dell’essere, tutto ciò, secondo il<br />
nostro studioso, non è nient’altro che ciò che Hegel aveva pensato<br />
scrivendo la Wissenschaft der Logik. Ecco perché non si fa alcuno scrupolo<br />
nell’utilizzare gli spunti che gli venivano da Heidegger: “la Logica hegeliana<br />
[...] è in senso stretto il poema rigoroso dell’Essere svelantesi attraverso<br />
l’uomo, la manifestazione dell’autocoscienza universale nell’autocoscienza<br />
singolare del filosofo” 36 . Ed ecco in che senso una considerazione<br />
prospettiva del sapere assoluto conduce Hyppolite a guardare alla Logica<br />
hegeliana: è in quest’opera che si dispiegano tutte le implicazioni contenute<br />
nell’ambito della scienza assoluta dischiuso dalla Fenomenologia 37 .<br />
Pensare la trascendenza quale si può riconoscere nel sapere<br />
assoluto rispettando la coordinata fondamentale dello hegelismo che è il<br />
rigetto di ogni trascendenza: questa la difficoltà principe contro cui<br />
combatte Hyppolite. Detto altrimenti: riconoscere la problematica unità in<br />
cui Hegel fonde insieme assolutezza dell’Idea e processo storico, libertà e<br />
storia. Nelle pagine finali di Logica e esistenza Hyppolite ci dà una delle<br />
analisi più stringenti a questo riguardo. Scrive: “L’esistenza [...] definisce<br />
l’uomo tramite la libertà dell’essere-per-sé che è insieme sempre opposta<br />
all’essere-in-sé, e sempre vi si rapporta [e come si vede qui egli caratterizza<br />
l’esistenza umana negli stessi termini con cui Hegel descrive la coscienza<br />
naturale, protagonista della Fenomenologia, nell’introduzione all’opera del<br />
1807]. La libertà che permette all’uomo di errare di determinazione in<br />
determinazione, o di dissolversi nel nulla astratto, non è l’uomo a<br />
possederla, ma è lei che possiede l’uomo. Il nulla allora non è tra l’in-sé e il<br />
36 Hyppolite 1952, p. 158.<br />
37 Questo il motivo che spinge Hyppolite a scrivere un libro come Logique et existence, nel quale si<br />
studia “come l’essere può dirsi nell’uomo e l’uomo diventare tramite il linguaggio coscienza<br />
universale dell’essere” (Hyppolite 1953, p. 6), e che è concepito come, conformemente a quanto<br />
recita il sottotitolo, un “saggio sulla Logica di Hegel”.<br />
144
per-sé, esso è il nulla stesso dell’essere o l’essere del nulla. Esso apre<br />
all’uomo non la sola negatività reale che fa oggettiva la storia, ma la<br />
dimensione dell’universale in seno al quale si determina e si genera ogni<br />
senso. Tramite questa libertà, che Hegel dice essere immanente alla storia<br />
intera, esserne l’Idea assoluta (e certo, in Hegel l’equivoco si presenta nella<br />
relazione tra filosofia della storia e Logos, e in questo stesso termine di<br />
libertà), l’uomo non si conquista come uomo, ma diviene la dimora<br />
dell’Universale, del Logos dell’Essere, e diviene capace di Verità. In questa<br />
apertura che permette agli esistenti della Natura e alla storia medesima di<br />
chiarirsi, di concepirsi, l’Essere si comprende come questa generazione<br />
eterna di se stesso; è la Logica nel senso hegeliano, il sapere assoluto” 38 .<br />
Fermiamo l’attenzione sulle parole che ho riportato in corsivo: già<br />
Heidegger, nella Lettera sull’ ”Umanismo”, aveva scritto: “Il nientificare è<br />
essenzialmente nell’essere stesso e non nell’esserci dell’uomo pensato come<br />
soggettività dell’ego cogito. L’esserci non nientifica affatto in quanto l’uomo,<br />
inteso come soggetto, attua la nientificazione nel senso del rifiuto, ma<br />
l’esser-ci nientifica in quanto, come essenza in cui l’uomo e-siste,<br />
appartiene esso stesso all’essenza dell’essere” 39 . Se è vero, come scrive<br />
Hyppolite, che è la libertà a possedere l’uomo e non viceversa, giacché la<br />
negatività che le è essenziale è il nulla stesso dell’essere e non solo il nulla<br />
che “fa oggettiva la storia” (ossia la negatività propria dell’azione negatrice<br />
dell’uomo storico), allora, se è vero questo, si capisce come Hyppolite,<br />
essendosi appropriato delle lezioni hegeliana e heideggeriana sul negativo<br />
della libertà umana, e, anzi, avendole sovrapposte fino a farle sfumare l’una<br />
nell’altra, possa dire che dall’esistenza stessa dell’uomo sboccia “la<br />
dimensione dell’universale in seno al quale si determina e si genera ogni<br />
senso”. Se si pensa, poi, che l’esistenza viene caratterizzata dal nostro nei<br />
medesimi termini in cui Hegel parla della coscienza protagonista della<br />
38 Hyppolite 1953, pp. 244-5. Corsivo mio.<br />
39 M. Heidegger, Lettera sull’”Umanismo”, MI, 1995, p. 98. Che queste parole possano essere<br />
accostate a un discorso su Hegel è quanto conferma lo stesso Heidegger che, infatti, continua<br />
subito dopo: “Per questo nell’idealismo assoluto di Hegel e di Schelling il ``non`` appare come la<br />
negatività della negazione nell’essenza dell’essere”.<br />
145
Fenomenologia, ecco che ci si accorge di essere qui davvero alla presenza di<br />
uno dei culmini dello sforzo teoretico hyppolitiano per pensare il sapere<br />
assoluto. Il sapere assoluto è l’esplicitazione del significato più profondo<br />
dell’immanenza dell’assoluto nella coscienza fenomenologica: era proprio<br />
questa presenza immanente a determinare la dinamicità essenziale della<br />
coscienza, il suo continuo trascendersi 40 . Ma ora questo trascendimento<br />
può essere riconosciuto, proprio nella sua storicità, come l’intemporale<br />
sempre attuale generarsi della dimensione dell’universale in seno alla<br />
coscienza: il suo dinamismo coincide con l’opera nientificante della libertà,<br />
“apertura [ouverture nell’originale francese, e credo proprio che qui<br />
Hyppolite avesse in mente la Lichtung heideggeriana] che permette [...] alla<br />
storia medesima di chiarirsi, di concepirsi” e all’uomo di divenire “la dimora<br />
dell’Universale, del Logos dell’Essere”.<br />
Immediatamente più avanti Hyppolite continua: “L’uomo allora<br />
esiste come l’esser-ci naturale nel quale appare l’autocoscienza universale<br />
dell’essere. Egli è la traccia di questa autocoscienza, ma una traccia<br />
indispensabile senza la quale essa non sarebbe. Logica ed Esistenza si<br />
congiungono qui, se l’Esistenza è questa libertà dell’uomo che è<br />
l’universale, la luce del senso” 41 . E’ la conferma di quanto ho appena detto:<br />
nel sapere assoluto quale si dà nella Fenomenologia, può essere<br />
rintracciata una chiave di lettura per interpretare il senso possibile di una<br />
libertà storica; utilizzando, infatti, le indicazioni teoretiche di Heidegger e<br />
confrontandole colla nozione hegeliana di Logica, Hyppolite può riuscire a<br />
pensare in modo nuovo la trascendenza, proprio come richiedeva<br />
l’interpretazione del capitolo finale della Fenomenologia: in tal modo “il<br />
40 V. supra, cap. III, nota 94.<br />
41 Da notare (cfr. Hyppolite 1953, p. 228: “Hegel chiama concetto che noi potremmo tradurre<br />
senso [Hegel nomme le concept que nous pourrions traduire par le sens]”) che “senso” in questo<br />
contesto traduce per Hyppolite lo hegeliano Begriff. Dire, quindi, che l’esistenza e la libertà sono la<br />
luce del senso significa fare un’affermazione ermeneuticamente impegnativa entrando nel merito<br />
del significato speculativo dello hegeliano Begriff e del sapere assoluto nel quale esso riceve la<br />
maturazione più piena.<br />
A conferma di ciò, lo si è visto, qui Hyppolite scrive Logica e Esistenza con la maiuscola, a mettere<br />
in guardia il lettore perché intenda di essere in presenza di un punto nevralgico del libro<br />
intitolato, appunto, Logica e esistenza.<br />
146
senso non sarà più soggettivo, opposto all’Essere oggettivo, ma sarà lo<br />
stesso senso dell’Essere, e se si potrà parlare ancora di soggettività, sarà di<br />
una soggettività che è l’Essere stesso; ciò che vuol dire Hegel medesimo<br />
quando dice che tutta la sua filosofia si riassume in questa frase:<br />
``l’Assoluto è soggetto e non sostanza``” 42 .<br />
E’ d’obbligo, a questo punto, un richiamo. Giunto, nei suoi lavori<br />
dei primi anni ‘50, a determinare da vicino il significato compiuto del<br />
sapere assoluto nell’economia della Fenomenologia di Hegel, Hyppolite<br />
ritorna sulla celeberrima affermazione della prefazione per cui “l’assoluto è<br />
soggetto”. Come ho già evidenziato 43 , già in uno scritto del 1946 lo studioso<br />
francese aveva insistito su questa frase: “``l’assoluto è soggetto``, ciò<br />
significa che esso è sé essendo sempre più di sé, che esso è sempre per se<br />
stesso il problema di se stesso. Così, mettendo il soggetto o il problema al<br />
fondo delle cose, Hegel si dava la possibilità di aprire la storia e di sempre<br />
giustificarla nello stesso tempo” 44 . Alla luce di quanto detto finora risulta<br />
chiaro che il ricorso al concetto heideggeriano di linguaggio come dimora<br />
dell’essere nella quale viene alla luce la verità dell’essere non è nient’altro<br />
che l’approfondimento della stessa ricerca che, nell’ambito<br />
dell’interpretazione di Hegel, tentava già negli anni immediatamente<br />
posteriori alla guerra di comprendere come fosse possibile “aprire la storia<br />
e sempre giustificarla nello stesso tempo”.<br />
Anche l’insistenza di questo scritto sulla problematicità intrinseca<br />
del sapere assoluto si ritrova nei saggi dei primi anni ‘50. Le ultimissime<br />
pagine di Logica e esistenza, ad esempio, sono un continuo ribadire la<br />
difficoltà speculativa del congiungimento di Logica ed Esistenza: “Il sapere<br />
assoluto è il fondo del sapere che appare nella storia, e la storia apre<br />
questa dimensione; la storia è il luogo di passaggio dallo spirito oggettivo<br />
temporale allo spirito assoluto e al Logos. La storia è l’apparizione della<br />
libertà, ossia del concetto tramite il quale l’uomo accede al senso eterno<br />
42 Hyppolite 1952, p. 163.<br />
43 Cfr. supra, cap. III, par. I; v. in particolare le pp. 99-100.<br />
44 Hyppolite 1946A, p. 144.<br />
147
[...]. Questo passaggio dalla storia al sapere assoluto, passaggio dal tempo<br />
all’eterno, è la sintesi dialettica più oscura dello hegelismo” 45 . Oppure,<br />
ancora, nel saggio del 1952: “Come riconciliare la filosofia hegeliana della<br />
storia (che è propriamente filosofia della storia umana) e il sapere assoluto<br />
della logica? Forse bisogna prendere sul serio la Fenomenologia quando<br />
non vede nella storia altra cosa che la preparazione del sapere assoluto [...].<br />
Ma questo supporrebbe [...] l’apparizione nella storia umana di una fase<br />
assolutamente nuova; questo sapere assoluto supererebbe sia l’umanismo,<br />
poiché l’autocoscienza esprime solamente l’avventura dell’Essere, sia una<br />
filosofia dell’Assoluto che sarebbe, essa, al di là di ogni storia. L’identità<br />
posta del Senso e dell’Essere (o la morte di Dio) inaugurerebbe un’apertura<br />
pura che non si potrebbe più chiamare storia” 46 . Il significato è chiaro: la<br />
problematicità del sapere assoluto sta tutta nel fatto che in esso si pensa<br />
una trascendenza dopo che è stata negata la possibilità di pensare la<br />
trascendenza stessa nei termini tradizionali (Hyppolite dice qui dopo la<br />
“morte di Dio”). In tal senso una interpretazione della Fenomenologia che<br />
prende sul serio il suo capitolo finale non può sfociare né in un qualche<br />
umanismo, né in una filosofia dell’assoluto che non prende in<br />
considerazione la storia: per Hyppolite si tratta proprio di una filosofia della<br />
trascendenza “orizzontale” che inaugura in seno alla storia stessa una<br />
“apertura pura” dove riluce la luminosità del senso. Come per Heidegger<br />
nel linguaggio dei pensatori e dei poeti risuona storicamente il richiamo<br />
dell’essere, analogamente per Hyppolite nel sapere assoluto hegeliano si<br />
apre lo spazio per l’universalità di una libertà che riposa nell’intimo<br />
dell’esistenza storica stessa dell’uomo.<br />
Sulla base di quanto finora detto, posso adesso introdurmi a<br />
discutere i numerosi rilievi che a questo proposito sono stati mossi a<br />
Hyppolite nel corso degli anni. Come ho già avuto modo di ricordare, è<br />
45 Hyppolite 1953, pp. 245-6.<br />
46 Hyppolite 1952, p. 174.<br />
148
soprattutto sulla interpretazione hyppolitiana (e non tanto sul suo<br />
commento) della Fenomenologia e dei problemi che essa pone che si è<br />
posata l’attenzione della critica.<br />
Suddividerò la mia disamina in due parti. Anzitutto discuterò le<br />
osservazioni che furono fatte dai critici francesi e italiani negli anni `50 e<br />
`60 e fino ai primissimi anni `70. Poi mi soffermerò sul già ricordato recente<br />
lavoro di Michael Roth.<br />
Un primo problema è sollevato da alcuni critici italiani. Per primo<br />
Bobbio, che scrive nel 1950, nota che Hyppolite con i suoi lavori “tende a<br />
spostare l’interesse della critica da un Hegel romantico e mistico ad un<br />
Hegel romantico e politico, e dà l’avvio ad una interpretazione storicistica e<br />
umanistica del pensiero hegeliano” 47 . Gli fanno eco G. Bedeschi e M. Dal<br />
Pra sulla scia del già discusso lavoro di M. Rossi 48 . Per Bedeschi la lettura<br />
hyppolitiana può essere qualificata come “esistenzialistica” ed “umanistica”<br />
giacché sarebbe convinzione dello studioso francese “che la filosofia di<br />
Hegel sia essenzialmente un’antropologia, cioè una filosofia dell’uomo nella<br />
sua finitezza, nella sua concretezza esistenziale e storica” 49 . Altrettanto<br />
dice M. Dal Pra nella sua presentazione alla traduzione italiana di Genesi e<br />
struttura: l’interpretazione hyppolitiana può essere qualificata come<br />
47 Bobbio 1965 (= 1950), p. 192. Riprende lo spunto di Bobbio anche A. Negri in una sua rassegna<br />
di studi hegeliani francesi. Considerato che “Hyppolite scardina il mito del misticismo di Hegel,<br />
anche del giovane Hegel, rintracciando già nelle Jugendschriften il senso hegeliano dell’uomo e<br />
della sua storia”, Negri può concluderne che Hyppolite “propone una interpretazione umanistica<br />
di Hegel” (Negri 1966, p. 160).<br />
48 V. supra, cap. III, nota 117. In Bedeschi 1973, lo studioso italiano riprende esattamente la<br />
critica di Rossi accusando Hyppolite di aver confuso e identificato l’uomo con ciò che Hegel nella<br />
Fenomenologia” chiama “autocoscienza” e di avere con ciò ingiustificatamente messo al centro<br />
della sua interpretazione di Hegel la dialettica fenomenologica di “signoria e servitù” traducendola<br />
immediatamente in termini esistenziali. Su queste basi egli continua (e per una critica a queste<br />
affermazioni rimando a quanto ho già scritto contro l’interpretazione di M. Rossi) dicendo che “se<br />
si tiene presente [...] che la dialettica di signoria e servitù non è che una tappa dell’opposizione<br />
soggetto-oggetto, coscienza-autocoscienza, e al tempo stesso un momento del superamento di<br />
questa opposizione, si vede subito quale consistenza abbia la tesi di Hyppolite, secondo cui Hegel<br />
ha voluto fondare il fatto storico stesso, nel senso di ricercare le condizioni generali dell’esistenza<br />
dell’uomo {...]. In realtà, l’interpretazione “umanistica” di Hyppolite, che nella dialettica di signoria<br />
e servitù vede il problema dei rapporti tra la verità e l’esistenza, non tiene conto del fatto che in<br />
quella dialettica non ha luogo un processo di mediazione autentico, reale, storico, perché i termini<br />
da mediare sono trascesi fin dall’inizio nella loro specificità materiale o reale, e assunti come<br />
simboli di una opposizione interna al pensiero e come tale destinata a risolversi” (pp. 146-7).<br />
49 Bedeschi 1973, p. 149.<br />
149
“umanistica” giacché è tutta orientata “a porre al centro della<br />
Fenomenologia hegeliana l’uomo come criterio e principio del mondo<br />
storico, come elemento di esplicazione e di coordinamento del contesto dei<br />
fatti storici nella loro complessa datità” 50 .<br />
Personalmente, essendo doveroso presupporre la buona fede,<br />
ritengo che giudizi del genere siano frutto semplicemente di una lettura<br />
frettolosa e superficiale dei lavori di Hyppolite. Già nel 1954 un critico per<br />
lo meno attento alla lettera hyppolitiana, F. Valentini, aveva riconosciuto<br />
l’inammissibilità della qualifica di “umanistica” per l’interpretazione di<br />
Hegel contenuta in Genesi e struttura. Si badi: in Genesi e struttura, cioè in<br />
quel lavoro che più si presta ad essere letto in chiave di umanismo.<br />
Rilevando che il problema di Hyppolite “è il problema interpretativo della<br />
Fenomenologia e quello più in generale della filosofia di Hegel”, trattandosi<br />
di capire se ci si trova di fronte a un umanismo oppure se “il piano<br />
puramente umano è solo un aspetto o piuttosto un momento di un piano<br />
più elevato”, Valentini sottolinea come lo studioso francese non manchi di<br />
evidenziare “la polemica di Hegel contro il ``troppo umano``, contro le<br />
concezioni che riducono l’umanità a se stessa senza possibilità di<br />
trascendersi”. Se - nota il critico italiano - maggiori concessioni<br />
all’umanismo Hyppolite sembra fare nel suo studio del capitolo religione<br />
della Fenomenologia, concludendo che nell’insieme la lettura di queste<br />
pagine hegeliane suggerisce più un’interpretazione umana della religione<br />
che un assorbimento della vita umana nella vita divina, “tuttavia un<br />
umanismo assoluto è inammissibile”. Infatti, in Genesi e struttura non si<br />
manca di rilevare due motivi che impediscono di pensare a un umanismo<br />
hegeliano. Il primo è che Hegel “considera come forma di coscienza infelice<br />
l’assorbimento del divino nell’umano, la solitudine metafisica dell’uomo”; il<br />
secondo che “nella Fenomenologia vi è un per-noi, ossia il filosofo che<br />
descrive le esperienze della coscienza e che si pone da un punto di vista<br />
50 Dal Pra 1989, p. XIII.<br />
150
trans-fenomenologico, il punto di vista cioè della filosofia speculativa, del<br />
sapere assoluto” 51 .<br />
Giudico molto preziose queste indicazioni di Valentini. Si<br />
potrebbero, infatti, portare a sostegno della dimostrazione<br />
dell’antiumanismo hyppolitiano le parole di Logique et existence nelle quali<br />
è espresso a chiare lettere che la hegeliana autocoscienza, quale si presenta<br />
nella Fenomenologia “non è l’autocoscienza umana, bensì l’autocoscienza<br />
dell’Essere attraverso la realtà umana. Il sapere assoluto non è<br />
un’antropologia” 52 . Mostrare, però, come fa Valentini, che la polemica<br />
antiumanistica è documentabile a partire fin da Genesi e struttura,<br />
permette di evidenziare la continuità fondamentale dell’impegno<br />
ermeneutico di Hyppolite di fronte a certe impostazioni storiografiche - in<br />
particolare, come vedremo, quella di M. Roth - che insistono su una<br />
frattura speculativa avvenuta nel pensiero hyppolitiano a partire dai primi<br />
anni `50. Ma su ciò avrò modo di ritornare.<br />
Una seconda problematica suscitata dall’interpretazione<br />
hyppolitiana e soprattutto dal suo ricorso all’ontologia di Heidegger è,<br />
appunto, quella che porta a discutere il senso di un tale utilizzo.<br />
Inaugurano questo filone critico due studiosi francesi, G. Deleuze<br />
e P. Ricoeur, in altrettante loro recensioni a Logique et existence.<br />
Il primo marca con energia essere persuasione profonda di<br />
Hyppolite che la filosofia deve essere ontologia, null’altro; ed è su questo<br />
fondamento che egli ricorre al discorso heideggeriano per interpretare il<br />
pensiero di Hegel. Dire, infatti, che la filosofia dev’essere ontologia significa<br />
sottolineare l’insufficienza dell’umanismo: una corretta interpretazione di<br />
Hegel non può prescindere dal fatto che il filosofo tedesco non ha mai<br />
inteso fermarsi a un’antropologia filosofica, ma ha voluto sviluppare una<br />
scienza dell’assoluto, una ontologia.<br />
51 Valentini 1954, pp. 20 e 21.<br />
52 Hyppolite 1953, p. 233. Questo passo hyppolitiano, a supporto appunto della esibizione<br />
dell’antiumanismo dello studioso francese, è citato in Pompeo Faracovi 1972, p. 25.<br />
151
Deleuze nota anche, però, che per Hyppolite “non si dà una<br />
ontologia dell’essenza, c’è solo ontologia del senso” 53 ; ciò vuol dire che<br />
“l’Essere, secondo Hyppolite, non è l’essenza, ma il senso [...]. Questo<br />
mondo [...] basta a se stesso e rinvia all’essere non come all’essenza al di là<br />
dell’apparenza, non come a un secondo mondo che sarebbe l’Intelligibile,<br />
ma come al senso di questo mondo” 54 . L’ontologia hegeliana come ci è<br />
restituita da Hyppolite permette, secondo Deleuze, di determinare bene la<br />
relazione tra sapere ontologico e sapere empirico: “nell’empirico e<br />
nell’assoluto è lo stesso essere e lo stesso pensiero; ma la differenza<br />
empirica esterna del pensiero e dell’essere ha fatto posto alla differenza<br />
identica all’Essere, alla differenza interna dell’Essere che si pensa [...]. Nella<br />
logica non c’è dunque più, come nell’empirico, da una parte ciò che dico e<br />
dall’altra il senso di ciò che dico - il rincorrersi dell’uno e dell’altro essendo<br />
la dialettica della Fenomenologia. Il mio discorso è logico o propriamente<br />
filosofico, al contrario, quando dico il senso di ciò che dico, e quando così<br />
l’Essere si dice” 55 . Il ricorso all’ontologia heideggeriana per determinare<br />
meglio il significato del sapere assoluto e della Logica hegeliani è, quindi,<br />
per Deleuze, utile alla determinazione del rapporto tra sapere empirico<br />
sviluppantesi nella Fenomenologia e sapere assoluto dispiegantesi nella<br />
Logica; dove, però, secondo il critico francese, l’operazione hyppolitiana è<br />
deficitaria è nella chiarificazione del ruolo della storia all’interno<br />
dell’assoluto; proprio là, cioè, dove Hyppolite voleva fosse efficace:<br />
“Hyppolite lo dice: l’Assoluto come senso è divenire; e senza dubbio non si<br />
tratta di un divenire storico, ma qual è il rapporto del divenire della Logica<br />
con la storia [...]? Il rapporto dell’ontologia e dell’uomo empirico è<br />
perfettamente determinato, ma non il rapporto dell’ontologia e dell’uomo<br />
storico. E, se Hyppolite suggerisce che bisogna reintrodurre nell’Assoluto la<br />
finitezza medesima, non si rischia di tornare, sotto nuove specie,<br />
53 Deleuze 1954, p. 457.<br />
54 Ivi, p. 458.<br />
55 Ivi, p. 459.<br />
152
all’antropologismo? La conclusione di Hyppolite resta aperta; essa crea il<br />
cammino di una ontologia” 56 .<br />
A simile conclusione perviene anche Ricoeur. Pure per lui il sapere<br />
assoluto come trascendimento ad evitare la caduta nel “troppo umano” non<br />
riesce poi “a recuperare lo storico, l’umano, l’esistenziale come il luogo, il<br />
sito, la traccia di questa dialettica assoluta”. Per Ricoeur, parlare,<br />
heideggerianamente, di “uomo dimora del Logos” non aiuta a comprendere<br />
il rapporto che Hegel vuole instaurare tra Logica e storia: “L’uomo dimora<br />
del Logos. Ma cosa vuol dire? Comprendiamo forse meglio il passaggio del<br />
Logos al suo ``luogo`` umano che l’elevazione della storia alla Logica?” 57 .<br />
Su questo stesso filone si muove anche F. Valentini, e, anzi,<br />
proprio dalla lettura dello studioso italiano possiamo capire meglio<br />
l’ispirazione che muove questo tipo di critica.<br />
Per Valentini “il superamento del punto di vista umano che<br />
rappresenta il sapere assoluto, che apre quindi alla Logica, come logica<br />
dell’essere e non del semplice pensiero umano che pensa l’essere, non<br />
significa più soltanto il superamento di certe filosofie (delle filosofie della<br />
riflessione), di certe concezioni dell’uomo, ma piuttosto la conquista di una<br />
nuova dimensione dell’uomo” 58 . Ma Hyppolite ha fatto ricorso all’ontologia<br />
heideggeriana per esprimere la costituzione d’essere di questa nuova<br />
dimensione umana. Proprio la speculazione di Heidegger appare a Valentini<br />
alcunché di poco chiaro. Ecco perché egli giudica fumosa anche<br />
l’interpretazione hyppolitiana, incapace, a suo dire, di restituire con<br />
precisione la struttura del rapporto tra senso e storia: “Questo essere che si<br />
rivela o piuttosto si mostra alla coscienza umana, onde il linguaggio<br />
dell’uomo è il linguaggio stesso dell’essere, sembra essere inteso sia come<br />
la totalità concreta, sia come il fondamento di questa totalità, l’Essere di<br />
cui la totalità è manifestazione [...].E’ dunque l’Essere heideggeriano quello<br />
di cui parla qui Hyppolite? Ma l’Essere di Heidegger è in sostanza il dio<br />
56 Ibidem. Corsivo mio.<br />
57 Ricoeur 1955, pp. 1388 e 1389.<br />
58 Valentini 1958, p. 295.<br />
153
ascoso, come risulta chiaro dalle variazioni su di esso, che non riescono a<br />
dire nulla di questo essere, il che accade sempre delle nozioni misteriose e<br />
precluse ai non iniziati” 59 . Una simile stroncatura del pensiero<br />
heideggeriano non potrebbe non ripercuotersi in un giudizio altrettanto<br />
negativo sull’utilizzo hyppolitiano di esso: “la conclusione del processo<br />
fenomenologico, non essendo intesa come un fatto storico, ma come<br />
qualcosa di ``straordinario``, diventa mito: [...] contemplazione della Verità<br />
dell’Essere” 60 .<br />
Ciò che conta ritenere di questa critica è che essa, insieme a<br />
quelle di Ricoeur e Deleuze, legge, nell’operazione interpretativa<br />
hyppolitiana, un fallimento dovuto all’incapacità della filosofia di Heidegger<br />
di porsi come autenticamente chiarificatrice rispetto al problema hegeliano<br />
del sapere assoluto.<br />
Che cosa si può dire di questa critica? Di sicuro che essa centra<br />
una questione essenziale: se l’interpretazione hyppolitiana si è affidata a<br />
procedimenti di pensiero caratteristici della speculazione di Heidegger è<br />
ben vero che essa sta o cade con essi. Per la precisione, le possibili<br />
difficoltà di questa operazione sarebbero due: da un lato si potrebbe<br />
dubitare della congruità, della adattabilità, della accostabilità del discorso<br />
heideggeriano alla problematica hegeliana; dall’altro, ammessa questa, è<br />
possibile giudicare, come fanno i nostri critici, che, essendo già Hegel<br />
sibillino nel delineare la storicità del sapere assoluto, il ricorso a Heidegger<br />
non faccia che aggiungere oscurità su oscurità.<br />
Ma vediamo meglio questo secondo problema. Se Deleuze è<br />
maggiormente possibilista (“La conclusione di Hyppolite resta aperta; essa<br />
crea il cammino di una ontologia”), Ricoeur e Valentini sono molto<br />
diffidenti. Essi, lo abbiamo veduto, non credono alla bontà del tentativo<br />
hyppolitiano. Ma perché? E’ interessante scoprirlo.<br />
59 Ivi, pp. 295-6.<br />
60 Ivi, p. 297.<br />
154
Ricoeur, da parte sua, non ritiene che ci si possa efficacemente<br />
servire di Heidegger per spiegare il senso della “elevazione della storia alla<br />
Logica” nel sapere assoluto hegeliano; ma questo non perché Heidegger sia<br />
più oscuro di Hegel, bensì perché in entrambi i pensatori tedeschi vige la<br />
medesima difficoltà. Ricoeur la esprime riguardo a Hegel: “Non sarà sempre<br />
attraverso una sorta di forzatura che lo hegeliano farà sembrare come<br />
impotenza speculativa, indigenza della ragione, ricaduta all’umano troppo<br />
umano, la prudenza trascendentale di Kant, prudenza che per lui era<br />
riconoscimento del limite, coraggio del limite contro le pretese<br />
dell’intelletto?” 61 . Per Ricoeur, dunque, non si tratta tanto di un problema<br />
nella strumentazione ermeneutica, quanto piuttosto nell’interpretandum<br />
stesso: è la stessa pretesa hegeliana di accedere a un sapere assoluto che<br />
viene dichiarata ineffettuale, è lo stesso sforzo di sorpassare Kant che è<br />
giudicato “una forzatura” dal punto di vista teoretico. Da questa posizione,<br />
come poteva Ricoeur dare una valutazione diversa della lettura<br />
hyppolitiana? Qualsiasi interpretazione volta a rendere ragione del sapere<br />
assoluto hegeliano, anche se non avesse fatto ricorso ad Heidegger, sarebbe<br />
stata giudicata allo stesso modo...<br />
Analogo ragionamento può essere svolto per la critica di Valentini.<br />
Il rimprovero che egli muove allo Hyppolite che si serve di moduli teoretici<br />
heideggeriani per interpretare il sapere assoluto è quello di essere caduto in<br />
tal modo nel mito di una presunta Verità dell’Essere che verrebbe alla luce<br />
nel linguaggio. Valentini giudica poco più che fantasticheria il pensiero di<br />
Heidegger, ma l’errore che egli imputa a Hyppolite non è semplicemente<br />
quello di aver preso sul serio quanto a suo parere non ne era meritevole,<br />
bensì quello di non essersi deciso “a storicizzare il sapere assoluto e il Logo<br />
che esso fonda, a vedervi cioè una conquista critica della storia del<br />
pensiero” 62 . Detto in altre parole, l’aver fatto riferimento a Heidegger è<br />
ritenuto fallimentare perché un tale pensiero non conduce che “a qualcosa<br />
61 Ricoeur 1955, p. 1386.<br />
62 Valentini 1958, p. 294.<br />
155
di soprastorico, di non superabile sul piano della storia appunto perché è<br />
base della storia” 63 . Ma perché Valentini ci tiene tanto a che ci si decida a<br />
storicizzare il sapere assoluto? Perché vuole salvaguardare le esigenze<br />
“delle critiche di Marx a Hegel [...], il marxismo, infatti, essendo un radicale<br />
storicismo” 64 .<br />
Ancora una volta, allora, si prende posizione contro Hyppolite a<br />
partire da una posizione filosofica (nel caso di Ricoeur l’atteggiamento<br />
kantiano, per Valentini la critica marxiana) da difendere pregiudizialmente.<br />
A me non interessa prendere le difese di Kant o di Marx; mi sta a cuore<br />
piuttosto ricostruire l’interpretazione hyppolitiana di Hegel in base alle sue<br />
proprie intrinseche tendenze.<br />
Certo, la critica di un Ricoeur o di un Valentini è di enorme<br />
importanza giacché sprona a problematizzare sia l’utilità sia la pertinenza<br />
del ricorrere a Heidegger per acquisire i mezzi concettuali atti alla migliore<br />
comprensione del sapere assoluto hegeliano. Perché, infatti, Hyppolite si<br />
rifa’ proprio a Heidegger? Che cosa c’è in gioco nell’interpretazione del<br />
sapere assoluto in senso ontologistico? Sono domande che mi condurranno<br />
allo studio dei successivi scritti hyppolitiani. Non prima, però, di aver<br />
fermato la nostra attenzione sul lavoro di M. Roth.<br />
Costui, difatti, è, fra i critici di Hyppolite, quello che con più<br />
larghezza si è diffuso sulle tematiche di cui mi sto occupando, e che vi ha<br />
apportato il contributo più originale. E’ allora necessario soffermarsi sulla<br />
sua ricostruzione per affrontare con la maggior cautela critica possibile<br />
l’esame dell’interpretazione hyppolitiana.<br />
Il libro di M. Roth, in linea assai generale, si propone di<br />
dimostrare che la cultura e la filosofia francesi subirono, tra la fine degli<br />
anni `40 e l’inizio degli anni `50, uno slittamento dall’interesse per<br />
questioni di significato a quello per questioni di uso o funzione. In altre<br />
63 Ivi, p. 299.<br />
64 Ivi, pp. 297-8.<br />
156
parole, che nella Francia del secondo dopoguerra si passò da un impegno<br />
volto quasi esclusivamente alla delineazione di una filosofia della storia<br />
capace di restituire un senso accettabile allo svolgersi degli eventi, a un<br />
interesse altrettanto totalizzante per una filosofia del linguaggio attenta<br />
soprattutto a questioni di logica e di sintassi 65 .<br />
Se questa è la tesi di fondo del lavoro di Roth, l’idea di una<br />
scissione, intervenuta all’interno dell’opera hyppolitiana di studioso e di<br />
interprete della filosofia in particolare hegeliana, pesa con forza anche<br />
nell’interpretazione del ruolo che Hyppolite svolse nel panorama filosofico<br />
francese di quegli anni.<br />
65 Così si esprime nella Prefazione (pp. IX-X) al suo libro: “Ho scelto di studiare perché [...] nello sviluppo delle loro filosofie, noi possiamo vedere una delle<br />
trasformazioni cruciali nella moderna storia intellettuale: lo slittamento dall’interesse per<br />
questioni di significato a quello per questioni d’uso o funzione, da ``Che cosa significa la nostra<br />
storia?`` o ``Come possiamo rendere sensato il nostro passato?`` a ``Come funziona la nostra<br />
storia?`` o ``Come il nostro passato è compaginato?``” (Vale riportare l’originale inglese: I have<br />
chosen to study the Hegelians because [...] in the development of their philosophies, we can see one<br />
of the crucial transformations in modern intellectual history: the shift from a concern with questions<br />
of significance to a concern with questions of use or function, from ``What does our history mean?``<br />
or ``How can we make sense of our past?`` to ``How does our history work?`` or ``How is our past<br />
put together?``).<br />
Roth dà pure una giustificazione storico-sociologica della sua tesi: “In una Europa ghiacciata nella<br />
guerra fredda, ogni volontà di giustificare un progresso dotato di significato e una razionalità della<br />
storia era mortificata sul nascere. A partire dagli anni `50, la Francia si era quasi completamente<br />
rivotata a una struttura politica repubblicana dominata dai partiti. Eran trascorsi i gravi giorni<br />
quando la Liberazione aveva voluto dire non solo scacciare i tedeschi, ma anche la possibilità di<br />
creare una nuova forma di società. Al contrario, la Quarta Repubblica era impegnata in una<br />
politica di generale difesa: i suoi obiettivi avevano qualcosa a che fare con lo sforzo di ristabilire la<br />
dignità e l’onore della Francia, ma concretamente consistevano nell’impiantare una moderna<br />
economia capitalistica che avrebbe permesso alla nazione di mantenere una sostanziale<br />
autonomia politica in un mondo dominato dalle superpotenze. Più ancora, la Francia negli anni<br />
`50 stava entrando in un lungo periodo di decolonizzazione. Non solo avrebbe perduto i territori<br />
oltremare, ma da essi sarebbe stata dilacerata, lentamente e dolorosamente [...].Quello del Fronte<br />
Popolare e della lotta contro i fascisti fu un periodo di grande crisi, certo, ma fu anche un tempo<br />
di grande speranza che la soluzione della crisi avrebbe significato l’inaugurazione di un mondo<br />
fondamentalmente migliore. A partire dai primi anni `50 l’insoddisfazione era legata a un nuovo<br />
sentimento di crisi, ma tale stavolta da non lasciare spazio alla speranza di una fine - non un<br />
conflitto drammatico che, attraverso l’opera del negativo, avrebbe condotto a un cambiamento e a<br />
una riconciliazione, ma problemi pervasivi e sistemici che non ammettevano alcuna definitiva<br />
soluzione [...]. Si passò da una teoria della storia come progresso a una prospettiva che valutava<br />
la storia come una costante ripetizione dell’Identico” (Roth 1988, pp. 76-7).<br />
Anticipando fin d’ora il mio disaccordo con questo modo di vedere, riporto un passo da un testo<br />
hyppolitiano molto tardo (che, quindi si dovrebbe, secondo Roth, collocare al di qua dello shifting<br />
verso questioni di analisi sintattica). Si tratta, tra l’altro, di un testo “programmatico”, la Leçon<br />
inaugurale che Hyppolite tenne al Collège de France il 19 dicembre 1963. Dopo aver affermato che<br />
consacrerà parte del suo corso a “esplorare la nozione di senso nel pensiero contemporaneo”, egli<br />
afferma: “Questa esplorazione si impone tanto più giacché c’è, nel pensiero contemporaneo, un<br />
tentativo di ridurre il senso, di sostituire una analisi sintattica a una semantica” (Hyppolite 1963,<br />
p. 1025). Dire, allora, che nell’Hyppolite degli anni `50 e `60 non è presente un interesse per le<br />
questioni di senso...<br />
157
Nello specifico l’argomentazione di Roth si basa principalmente su<br />
tre convinzioni. La prima è che Hyppolite, ricorrendo a Heidegger per<br />
l’interpretazione di Hegel, abbia con ciò compiuto una svolta, abbia fatto<br />
intervenire un fattore qualitativamente nuovo che sposta essenzialmente la<br />
direzione del suo progetto speculativo. La seconda è che il suo interesse per<br />
Hegel fino all’immediato dopoguerra (compresa, perciò, Genesi e struttura)<br />
sia consistito in un sostanziale storicismo che, trovando in Hegel gli<br />
strumenti per una integrazione del singolo individuo nel grande processo di<br />
una teodicea, abbia voluto contribuire, col fornire al dibattito filosofico delle<br />
categorie di pensiero atte a pensare la storia, alla soluzione dei gravi<br />
problemi politici e spirituali che pesavano sulla Francia che usciva<br />
stremata dal conflitto. La terza che Heidegger, consistendo la sua opera<br />
filosofica sostanzialmente in una rivendicazione del primato della<br />
speculazione (cioè dell’esercizio del puro pensiero) di contro a qualsiasi<br />
teoria che, come ogni umanismo, difende la necessità della connessione del<br />
pensiero con la prassi storica e politica, abbia contribuito essenzialmente<br />
alla fine dello hegelismo (inteso, appunto, come storicismo) francese.<br />
Incominciamo ad esaminare quest’ultimo aspetto. Cercando di<br />
decifrare la peculiarità della concezione heideggeriana del pensare, Roth<br />
scrive: “Il pensiero non è connesso all’azione come la teoria lo è alla pratica,<br />
ma è esso stesso la più alta forma di realizzazione. Mentre pensiamo, in<br />
altre parole, stiamo esistendo ai limiti delle nostre possibilità [...]. Essendo<br />
la più alta e la più semplice forma di azione, il pensiero è passivo: esso ``si<br />
lascia reclamare`` e ``porta a compimento questo lasciare``. Il contrasto con<br />
la comprensione hegeliana dell’azione storica non potrebbe essere più<br />
spiccato. Per lo hegeliano l’azione è negativa; cioè, essa altera o manipola<br />
alcunché nel mondo così da farlo diventare ciò che ancora non era. L’azione<br />
è il prodotto del desiderio dell’uomo; noi modifichiamo il mondo - lavoriamo<br />
in esso - per raggiungere una maggiore soddisfazione. Heidegger, al<br />
contrario, propone una comprensione dell’azione che la mostri come un<br />
``lasciar essere`` o ``preservare qualcosa nella sua propria essenza in vista<br />
158
di custodirla nel proprio elemento``” 66 . Da una parte, quindi, abbiamo<br />
disegnato Heidegger e la passività del pensiero; dall’altra Hegel e la<br />
dinamicità dell’azione. Essendosi accorto di aver usato tinte un po’ troppo<br />
accese e contrastanti, lo studioso americano aggiunge in nota: “Allo stesso<br />
modo in cui Heidegger concepì il pensare come la più alta forma di azione,<br />
è appropriato confrontare la sua concezione con la comprensione hegeliana<br />
dell’azione. Ovviamente, un confronto tra Heidegger e Hegel a proposito del<br />
pensare [...] dovrebbe sottolineare i modi in cui il pensiero hegeliano - la<br />
nottola di Minerva, e la Logica - non mira a modificare il mondo ma ad<br />
essere riconciliato con esso”. Ma lo stesso i conti non tornano. Qual è il<br />
vero Hegel? Quello dell’azione modificatrice o quello del pensiero<br />
riconciliativo? Bisogna supporre che per Roth ci sia uno scarto tra lo Hegel<br />
“integrale”, quello che, in fin dei conti, ci parla della nottola di Minerva e<br />
l’immagine che di lui ha lo hegeliano francese (cioè: Hyppolite),<br />
un’immagine molto deformata da uno storicismo di matrice marxista (si è<br />
certamente notata l’insistenza della descrizione di Roth sulle nozioni di<br />
“azione negativa”, “alterazione”, “manipolazione”, “soddisfazione del<br />
desiderio”, “lavoro”, tutti termini di una lettura marxistizzante di Hegel,<br />
caratteristici, ad esempio, dell’interpretazione di Kojève). Bisogna tenere<br />
ben presente che tutta la critica di Roth ha come suo caposaldo<br />
fondamentale la netta distinzione tra uno Hegel che, al limite, può essere<br />
anche avvicinato alla speculazione di Heidegger e un altro Hegel (quello di<br />
Hyppolite) che, invece, pensa in contrasto con l’autore della Lettera<br />
sull’Umanismo: “Il significato è<br />
chiaro: se lo hegelismo è un umanismo esso vede ogni verità come il<br />
prodotto dell’azione umana, o della storia; se è un misticismo, esso tien<br />
conto di un criterio o di criteri che non dipendono dalla nostra azione [...].<br />
A partire dai primi anni `50, comunque, gli interessi di Hyppolite si<br />
spostarono dal voler dare un senso all’umano divenire al voler conservare e<br />
66 Roth 1988, p. 62.<br />
159
ipetere l’essenziale espressione dell’Essere. Questa svolta gli permise di<br />
avere a che fare più esplicitamente con la dimensione soprastorica che nei<br />
suoi studi sullo hegelismo era stata lasciata come l’aperta possibilità del<br />
misticismo. Ma mentre nella prospettiva hegeliana egli aveva discusso<br />
questa dimensione nei termini di qualche finale organizzazione socio-<br />
politica, dopo la sua svolta heideggeriana Hyppolite imboccò la via nella<br />
quale questa dimensione è rivelata nel linguaggio” 67<br />
E’ chiaro ormai il modo in cui ragiona il critico americano:<br />
Hyppolite si è servito di Hegel per trarne indicazioni utili alla strutturazione<br />
di uno storicismo; se in Hegel potevano essere rintracciati stimoli verso una<br />
riconsiderazione della tesi per cui il pensiero filosofico è funzionale<br />
all’azione storico-politica (stimoli, cioè, antiumanistici), senz’altro essi non<br />
sono entrati a definire l’immagine hyppolitiana di Hegel; il dubbio, presente<br />
solo come tale (come “possibilità aperta” dice Roth) in Genesi e struttura,<br />
sul misticismo hegeliano diventa, a partire dalla “svolta heideggeriana”<br />
valorizzazione della “dimensione soprastorica” fino ad allora negletta.<br />
In base allo studio condotto sui testi hyppolitiani mi sento di<br />
controbattere a ciascuna di queste affermazioni.<br />
Anzitutto a quella per cui l’immagine hyppolitiana di Hegel esclude<br />
che al vertice delle possibilità umane ci sia qualcos’altro che l’azione.<br />
Proprio in Genesi e struttura, essendo giunto a porre il problema di come<br />
concepire il sapere assoluto, Hyppolite nota: “Il sapere assoluto appare<br />
come il sapere sé da parte dell’Umanità, e tale sapere deve avere a oggetto -<br />
come coscienza - la storia effettuale. Nella comunità religiosa [...] manca<br />
ancora un ultimo passo avanti. Nella filosofia quel sapere sé si identifica col<br />
nostro operare” 68 . A questo proposito egli, subito dopo, richiama la formula<br />
marxiana “I filosofi hanno solo diversamente interpretato il mondo; si tratta<br />
peraltro di cambiarlo”; si rende conto, infatti, che l’impostazione hegeliana<br />
67 Ivi, pp. 66-7. Altrettanto categoricamente a p. 72: “Il compito di legittimare l’azione, di situare la<br />
lotta e il lavoro all’interno di una logica della storia dilegua per lasciare posto alla (ri)-espressione<br />
del poema dell’Essere”.<br />
68 Hyppolite 1989 (= 1946), p. 703, nota 102.<br />
160
sul sapere assoluto pone effettivamente il problema dei rapporti fra filosofia<br />
e azione. Ma conclude, riportando un passo delle hegeliane Lezioni sulla<br />
filosofia della storia: “La filosofia ha a che fare solo con lo splendore<br />
dell’idea, che si riflette sulla storia del mondo. Dal fastidio per i moti delle<br />
passioni immediate nella realtà, la filosofia si eleva alla contemplazione”.<br />
Consapevolmente, quindi, Hyppolite confronta Marx e Hegel circa le<br />
rispettive posizioni sul rapporto azione-contemplazione. Coscientemente<br />
non le confonde e, anzi, ha ben presente la rilevanza, proprio a livello di<br />
interpretazione del sapere assoluto, che per Hegel ha il tenere ben ferma la<br />
specificità dell’operare proprio della filosofia, la contemplazione, e non la<br />
trasformazione, di un mondo.<br />
Come può reggersi allora la lettura di Roth? In nessun modo. Ma<br />
come può, altrettanto, stare in piedi la valutazione per cui l’immagine<br />
hyppolitiana di Hegel si forma a partire dalla sistematica esclusione della<br />
considerazione degli spunti antiumanistici reperibili nel filosofo tedesco?<br />
Nelle pagine che precedono, che cos’altro, infatti, ho messo in evidenza, se<br />
non la costante polemica da parte di Hyppolite contro una lettura<br />
umanistica di Hegel?<br />
E, da ultimo, come si può dire che il ricorso a Heidegger abbia<br />
portato a pieno sviluppo la “possibilità aperta” della lettura di Hegel in<br />
chiave di misticismo che era rimasta come “congelata” in Genesi e<br />
struttura? Affermare una cosa del genere significa disconoscere sia che<br />
Hyppolite là esclude una simile lettura, sia che tale esclusione ha una<br />
specifica connotazione antiwahliana e non è una generica presa di<br />
posizione contro un generico tendere a rivalutare una “dimensione<br />
sovrastorica” esclusa dalla lettura umanistica. Roth cade in questo<br />
disconoscimento perché giudica il ricorso a Heidegger come una svolta<br />
speculativa. In verità, come ho ripetutamente richiamato all’attenzione,<br />
l’operazione hyppolitiana avviene nell’alveo del medesimo interrogativo<br />
fondamentale volto a determinare con la maggiore precisione possibile il<br />
161
senso del sapere assoluto quale matura nella Fenomenologia di Hegel.<br />
Consideriamo la cosa più nel dettaglio.<br />
Quando vuole documentare la “svolta” heideggeriana di Hyppolite,<br />
svolta che condurrebbe da un “radicale umanismo” a un interesse per il<br />
“Sistema di Hegel”, lo studioso americano, cita dal saggio sulla Logica del<br />
1952. Si tratta di un passo che ho già considerato 69 . Qui Hyppolite<br />
dichiara che “il risultato di una Fenomenologia che si rifiuta di diventare<br />
sapere assoluto, logica hegeliana, è una sorta di filosofia della cultura la<br />
quale certamente fa l’inventario di tutta la ricchezza dell’esperienza, ma<br />
non sorpassa l’umanismo, cioè l’interpretazione dell’Essere ad opera<br />
dell’uomo” 70 . Di fronte a questa “professione” di antiumanismo, che cosa<br />
commenta Roth? Che “da questo punto di vista, la Fenomenologia appare<br />
ora come meramente storica, tutta troppo umana giacché non descrive<br />
(dice, recita il poema del) l’Essere e presenta solo una storia degli enti” 71 .<br />
Evidentemente per Roth “Fenomenologia” e “Fenomenologia che si rifiuta di<br />
diventare sapere assoluto” sono la stessa cosa! E’ proprio contro questa<br />
identificazione, guarda caso, che è orientato tutto lo sforzo speculativo di<br />
Hyppolite... Non è forse questo il senso della precisa presa di posizione<br />
dello studioso francese contro le letture umanistiche di Hegel, le quali,<br />
appunto, a suo modo di giudicare, non prendono abbastanza sul serio il<br />
fatto che la Fenomenologia culmina nel sapere assoluto? Non aver<br />
approfondito il fatto che la presunta “svolta” heideggeriana non è altro che<br />
l’approfondimento di un tentativo, imposto dalla Fenomenologia stessa, di<br />
pensare in modo nuovo la trascendenza, è, a mio modo di vedere, ciò che<br />
ha impedito a Roth di comprendere Hyppolite e il suo progetto teoretico. Ad<br />
un certo punto, è vero, Roth sembra avere un ripensamento; dice, infatti:<br />
“Si può leggere Hyppolite giudicando che egli abbia cambiato dentro la<br />
tradizione hegeliana piuttosto che vedendolo svoltare verso Heidegger. Nel<br />
far questo, comunque, si ridimensiona il significato del suo lavoro e si<br />
69 V. supra, p. 135.<br />
70 Hyppolite 1952, p. 164; cit. In Roth 1988, p. 70.<br />
71 Roth 1988, pp. 69-70.<br />
162
oscura il suo posto all’interno della storia intellettuale francese” 72 . Egli<br />
dunque riconosce che una lettura, come la mia, la quale riconosce la<br />
continuità di ispirazione dell’opera hyppolitiana, è possibile. Ma poi la<br />
esclude ricorrendo all’ (indimostrato) argomento per cui così si<br />
appannerebbe il significato autentico della sua operazione culturale. Molto<br />
più semplicemente, a me sembra che a Hyppolite non si possa riuscire a far<br />
indossare la camicia che invece Roth vorrebbe: soltanto, il pregio di<br />
Hyppolite non è quello di rientrare nello schemino (passaggio da questioni<br />
di significato a questioni di uso o funzione) che Roth vorrebbe verificare per<br />
ogni esponente della cultura francese del secondo dopoguerra...<br />
Il valore di un’impresa intellettuale come quella hyppolitiana<br />
risiede - l’ho già messo in evidenza - nella serietà con cui procede,<br />
coerentemente coi suoi intendimenti iniziali, in uno scavo sempre più<br />
profondo alla ricerca di far zampillare dal giacimento dell’opera hegeliana<br />
un insieme di elementi utili per pensare, dopo la “morte di Dio”, uno spazio<br />
per l’uomo di assolutezza e di trascendenza.<br />
Per completare, quindi, e per meglio comprendere il disegno di<br />
questa fatica filosofica, rimane da esaminare la restante produzione<br />
hyppolitiana, fino alla metà degli anni `60.<br />
72 Ivi, p. 72. Corsivo mio.<br />
163
Capitolo quinto<br />
Nel 1957 Hyppolite, a Bruxelles, tiene una conferenza sul tema “La<br />
``Phénoménologie`` de Hegel et la pensée française contemporaine”. Si tratta<br />
di un intervento assai notevole per comprendere l’autocomprensione<br />
hyppolitiana rispetto alla propria lettura di Hegel. Oltre, infatti, a situare la<br />
propria interpretazione nell’insieme delle letture hegeliane compiute fino ad<br />
allora in Francia, in questa occasione egli fa il punto anche dell’evoluzione<br />
“interiore” alla propria opera ermeneutica. Scrive: “Il saper assoluto non è,<br />
per Hegel, una teologia, ma nemmeno è un’antropologia. Esso è la scoperta<br />
dello speculativo, di un pensiero dell’essere che si manifesta attraverso<br />
l’uomo e la storia, la rivelazione assoluta [...]. Ma qui comincia un altro<br />
sviluppo della filosofia contemporanea in Francia. Non siamo più ai grandi<br />
slanci dell’esistenzialismo e del marxismo. Li superiamo per riflettere su di<br />
loro, nel senso della Aufhebung hegeliana. Si tratta per noi di riprendere i<br />
164
problemi della storia e della storicità così come il problema del senso del<br />
pensiero speculativo” 249.<br />
Ribadito il rigetto sia dell’interpretazione in chiave wahliana (teologia<br />
mistica), sia di quella di maniera kojèviana (antropologismo, umanismo),<br />
Hyppolite rileva il nuovo compito che gli si è presentato: interpretare il<br />
sapere assoluto per risolvere il problema della storia e del senso che in essa<br />
può presentarsi. E questo al di là, ormai, di preoccupazioni legate al<br />
distinguere la propria lettura e la propria posizione filosofica da quelle del<br />
marxismo e dell’esistenzialismo.<br />
Da questo momento in poi, infatti, gli scritti hegeliani di<br />
Hyppolite si caratterizzano per il fatto di porsi come approfondimento<br />
teoretico all’interno della problematica del sapere assoluto, in modo tale da<br />
sviluppare il più soddisfacentemente possibile e senza distrazioni le<br />
indicazioni essenziali trovate, come si è visto, in Heidegger.<br />
1. L’ultimo Hyppolite<br />
L’esistenza dell’uomo, il suo porsi necessariamente nell’elemento<br />
dell’intersoggettività che costituisce il terreno di svolgimento della storia, il<br />
nascere su questo terreno di una prospettiva di senso 250, tutto ciò, come<br />
sappiamo, concorre a costituire, nell’interpretazione di Hegel che Hyppolite<br />
ha intrapreso sulla scia delle suggestioni heideggeriane, la questione aperta<br />
dal dischiudersi del sapere assoluto.<br />
249Hyppolite 1957A, p. 241. Corsivo mio.<br />
250E’ anche di questo periodo l’insistenza di Hyppolite sul proporsi della verità nella storicità<br />
dell’esperienza e dell’esistenza umana quale asse centrale della speculazione di Hegel: “Noi<br />
crediamo che la tesi fondamentale della Fenomenologia di Hegel sia che l’emergere del noi<br />
filosofico nell’esperienza è possibile attraverso l’intersoggettività, la relazione reciproca delle<br />
autocoscienze e per l’affrontarsi delle prospettive dei singoli [...]. Se l’esperienza è dialettica,<br />
promozione di una verità dell’esperienza, è perché questa dialettica è un dialogo, un rapporto di<br />
autocoscienze [...]. La dialettica allora è il dialogo delle autocoscienze, del padrone e del servo,<br />
dell’individuo e del suo altro nel mondo sociale, della coscienza nobile e della coscienza vile, della<br />
coscienza giudicante e della coscienza agente (riassumendo quest’ultimo dialogo in sé tutti gli altri<br />
ed evidenziando la dialettica della storia dell’uomo)”(Hyppolite 1957, pp. 211-2. Corsivo mio). E<br />
ancora: “Per Hegel è solo nel gioco dell’intercomunicazione delle coscienze, nel linguaggio, che si<br />
elabora l’autocoscienza universale e si svela la verità” (Ivi, p. 215).<br />
165
L’episodio più rilevante, quello che meglio mi consente di<br />
mostrare la direzione intrapresa dal nostro nel delineare definitivamente,<br />
negli ultimi suoi studi, la propria interpretazione di Hegel, è quella Etude<br />
che egli consacra all’analisi dello heideggeriano Hegels Begriff der<br />
Erfahrung 251. La cosa si segnala particolarmente perché qui lo studioso<br />
francese entra in contatto con un testo direttamente dedicato da Heidegger<br />
a Hegel (è noto, infatti, che il saggio di Heidegger si propone come un<br />
commento, paragrafo per paragrafo, della introduzione che Hegel premette<br />
alla Fenomenologia dello spirito), un testo, perciò, che ben si presta ad<br />
occasionare in Hyppolite una riflessione critica del proprio utilizzo di<br />
Heidegger nell’interpretazione del sapere assoluto hegeliano. Mi soffermerò,<br />
quindi, anche se brevemente, su questo testo, allo scopo di trarne gli<br />
orientamenti necessari alla comprensione dell’ultima fase della stagione<br />
ermeneutica hyppolitiana.<br />
Hyppolite confessa che mai come in questo lavoro heideggeriano<br />
“l’intenzione di Hegel è stata meglio esposta e compresa” 252, e che esso è<br />
“l’occasione difficile” per cogliere “le strane rassomiglianze” e, nello stesso<br />
tempo, “le differenze” che intercorrono “tra il pensiero di Heidegger e quello<br />
di Hegel” 253.<br />
Presentando questo testo, lo studioso francese individua uno dei<br />
suoi contributi ermeneutici più validi nel rilievo dato a quell’inciso in cui<br />
251Il saggio di Heidegger era apparso nel 1950 in Holzwege. Quello di Hyppolite, intitolato Etude<br />
du commentaire de l’introduction à la “Phénoménologie” par Heidegger (Hegels Begriff der<br />
Erfahrung), è un testo, risalente al 1959 o al 1960, pubblicato postumo dai curatori della raccolta<br />
Hyppolite 1971. Trattandosi di uno scritto di datazione incerta, nelle citazioni mi riferirò<br />
direttamente alla raccolta in cui è edito (pp. 625-42).<br />
252Hyppolite 1971, p. 628.<br />
253Ivi, p. 627. Una prima, significativa, differenza è schizzata da Hyppolite a proposito del metodo<br />
seguito dai due filosofi: “Heidegger è il filosofo che ha preso sul serio la storia della metafisica [...].<br />
La metafisica occidentale è per lui una storia dell’Essere che, rivelandosi nelle epoche della sua<br />
storia, nello stesso tempo si nasconde. L’essere [...] ciò che dona senso a tutto ciò che è, è epocale,<br />
nel senso in cui si parla di epoché con Husserl; esso non si rivela che nascondendosi [...], di modo<br />
che ogni rivelazione dell’essere ammessa dalla metafisica è nello stesso tempo una erranza [...].<br />
Purtuttavia, queste rivelazioni si susseguono un po' come le categorie dell’assoluto in Hegel; ma la<br />
metafisica si è sviluppata meno attraverso una Aufhebung che è una ascensione, un superamento<br />
progressivo, che attraverso un occultamento del proprio originario, della propria problematica<br />
prima; così che il metodo di Heidegger è piuttosto una marcia all’indietro, un Tritt zurück, che un<br />
superamento, una Aufhebung” (Ivi, p. 627).<br />
166
Hegel scrive che l’assoluto non potrebbe mai essere attinto “qualora esso<br />
non fosse e non volesse essere in sé e per sé già fin dall’inizio presso di<br />
noi” 254. Sottolinea Hyppolite: “Heidegger va fino al senso ultimo di questo<br />
testo. L’assoluto è volontà. E’ lui che, nella sua violenza, vuole manifestarsi<br />
e si manifesta. L’esperienza è giustamente questa manifestazione, questa<br />
parousia dell’assoluto [...]. La Fenomenologia coinciderà con questa volontà,<br />
e pure con questa violenza dell’assoluto di essere presso di noi - meglio, in<br />
noi - in sé e per sé” 255. Da ciò - prosegue lo studioso francese - Heidegger<br />
ricava, proseguendo nella sua esposizione/interpretazione del testo<br />
hegeliano, che “il sapere naturale e il sapere assoluto non sono l’uno fuori<br />
dall’altro, ma è il loro dialogo che è la parousia dell’assoluto. E’ nell’essere<br />
stesso della coscienza che questo dialogo si fa, e la presentazione del<br />
sapere fenomenico non può essere altro che il coglimento di questo dialogo,<br />
l’immanenza del sapere assoluto al cuore del sapere naturale. E’ questa<br />
immanenza la quale fa sì che la coscienza sia divenire, storia, esperienza (e,<br />
come tale, dialettica)” 256.<br />
Sapere assoluto, coscienza, storia: ancora una volta sono<br />
affiancati i termini-chiave, quelli che da sempre, lo abbiamo visto, tengono<br />
desta l’attenzione critica hyppolitiana. Heidegger, qui, ha tematizzato la<br />
problematica che più sta a cuore a Hyppolite chiarire. Subito, quindi, lo<br />
studioso francese sente il bisogno di interrompere l’esposizione del saggio<br />
heideggeriano e di mettere a fuoco con precisione consonanze e distanze<br />
nella speculazione dei due pensatori tedeschi: “Prima di spingere oltre<br />
questa relazione tra sapere naturale e sapere reale, non è inutile mostrare<br />
in che cosa Heidegger si ritrovi qui in Hegel e in che cosa se ne distingua<br />
profondamente. Egli vi si ritrova per la distinzione del sapere ontico (il<br />
sapere dell’ente, la doxa) e del sapere ontologico (il sapere dell’essenzialità,<br />
dell’essere dell’ente); ancora, vi si ritrova per l’inseparabilità dei due saperi,<br />
giacché il sapere ontico, lo svelamento dell’ente, non è possibile senza il<br />
254Hegel 1973 (= 1807), vol. I, p. 66.<br />
255Hyppolite 1971, p. 631.<br />
256Ivi, p. 634. Corsivo mio.<br />
167
sapere ontologico, il quale è lo svelamento stesso, il raccoglimento e la luce<br />
dell’ente [...]. Ma, a dispetto di queste somiglianze così stupefacenti, la<br />
differenza non si presenta meno radicale. Ci si chiederà perché Heidegger<br />
faccia parlare a Hegel un linguaggio che non è il suo; perché opponga<br />
l’essere e l’ente quando Hegel oppone lo spirito che sa se stesso in tutta la<br />
sua ricerca, l’effettualità, l’atto, l’autocoscienza, allo spirito immediato che<br />
s’è perso nel suo proprio oggetto. In effetti Hegel - a propria insaputa stessa<br />
- non può evitare il linguaggio dell’essere: non dice forse ``il sapere assoluto<br />
solo è``? Ma che significa questa parola, essere, se questo non è un enigma<br />
non veramente risolto, un ritorno a una differenza che è solamente stata<br />
dimenticata? Hegel, in effetti, ha colto l’essere dell’ente come l’assoluto<br />
nella sua soggettività (l’assoluto è soggetto); con ciò egli indica un’epoca<br />
della metafisica, quella in cui l’essere è approfondito e rivelato come il<br />
soggetto assoluto: ma dimentica la finitezza essenziale del Dasein;<br />
dimentica che questa rivelazione è nello stesso tempo una dissimulazione<br />
[...]. In effetti, questo assoluto è un oblio della finitezza di ogni<br />
svelamento” 257.<br />
Dal confronto Heidegger-Hegel nasce, dunque, una critica al<br />
sapere assoluto hegeliano: in quest’ultimo sembra andare perduta<br />
“l’essenziale finitezza del Dasein”, dell’esistenza umana, e la luce di senso<br />
che in esso si accende sembra a sua volta volersi estendere oltre i limiti di<br />
un ineludibile chiaroscuro. Hyppolite si è rivolto a Heidegger per “leggere” il<br />
sapere assoluto hegeliano. La scienza che in esso trova il suo principio è<br />
interpretata, da questo punto di vista, come il dipanarsi del discorso<br />
dell’Essere attraverso l’uomo nella sua storia. La verità dell’Essere trova<br />
espressione nel linguaggio della Logica, sviluppo della dimensione aperta<br />
dal sapere assoluto. In questa apertura riluce la luminosità del senso: la<br />
libertà dell’uomo trova un suo posto nel produrre storicamente questa<br />
apertura, lasciando che l’Essere si dica. Questo il singolare connubio<br />
tentato da Hyppolite interpretando Hegel con Heidegger. Ma ora<br />
257Ivi, p. 635.<br />
168
l’uniformità di quest’orizzonte ermeneutico sembra spezzarsi: il sapere<br />
assoluto appare contenere quell’oblio della finitezza che non gli consente<br />
affatto di porsi come l’originaria apertura della verità dell’essere 258.<br />
A partire da questo momento la ricerca hyppolitiana subisce una<br />
particolare duplice “torsione” speculativa. Da un lato, in un primo<br />
momento, sulla scia dell’esempio heideggeriano, essa viene orientandosi<br />
verso un atteggiamento di critica del sapere assoluto hegeliano; e questo la<br />
conduce a considerare con interesse il sapere assoluto quale si configura<br />
nella filosofia di Fichte. Dall’altro, conclusivamente, si rivolge nuovamente<br />
a Hegel e alla sua caratterizzazione del sapere assoluto, con l’intento, però,<br />
di approfondire il significato per esso della finitezza. Ne emergerà<br />
un’immagine di assolutezza e, insieme, di “esistenzialità” che, concludendo<br />
il lungo itinerario teoretico hyppolitiano, ne consegnerà anche l’esito più<br />
significativo.<br />
2. Assoluto e limite<br />
Abbiamo visto che l’indicazione heideggeriana che più interessa a<br />
Hyppolite è quella per cui il cammino fenomenologico come “presentazione<br />
del sapere fenomenico” è colto non come un itinerario che, da un momento<br />
all’altro, quasi per miracolo, si compia nel sapere assoluto, ma, al<br />
contrario, è fissato in modo tale che sia avvertita ”l’immanenza del sapere<br />
258”Hegel, dice Heidegger, crede di superare Cartesio [...]. Tuttavia, aggiunge, è forse rimasto più<br />
fedele a Cartesio di quanto non creda, poiché ha mantenuto un soggetto, un upokeimenon, come<br />
soggetto assoluto. Questa soggettività, che è l’apparire di tutto ciò che appare, è ancora<br />
l’ontoteologia della metafisica [...]. Hegel continua dunque la metafisica e quest’epoca della<br />
metafisica che riduce ogni ente a un oggetto per un soggetto, ogni spettacolo a ciò che si offre per<br />
uno spettatore” (Ivi, p. 641). Hegel, dunque, detto in termini che ci sono qui più familiari, sarebbe<br />
vittima, per Hyppolite, proprio all’altezza del sapere assoluto, di una sorta di “umanismo”,<br />
riducendo ciò che è a oggetto per un soggetto (sia pur qualificandolo “assoluto”), sottoponendolo<br />
nuovamente, anche se in maniera più raffinata, alla volontà di potenza della soggettività.<br />
Che cosa è da pensare? Accetta qui Hyppolite integralmente la critica heideggeriana? Io direi di<br />
no. Piuttosto, accettando il richiamo all’essenzialità della finitezza come dimensione costitutiva<br />
della rivelazione dell’essere, egli cercherà, come vedremo, di ritrovare questa dimensione<br />
all’interno del sapere assoluto stesso, inaugurando, con ciò un’interpretazione, a mio avviso,<br />
davvero stimolante.<br />
169
assoluto al cuore del sapere naturale [...] immanenza la quale fa sì che la<br />
coscienza sia divenire, storia, esperienza (e, come tale, dialettica)” 259.<br />
Questo testo risale al 1960. L’anno precedente Hyppolite aveva pubblicato<br />
il suo primo saggio dedicato allo studio di Fichte.<br />
In esso notava: “Il metodo della Fenomenologia di Hegel si trova<br />
già schizzato da Fichte: la coscienza filosofica e la coscienza comune<br />
devono ricongiungersi. La coscienza filosofica riflette sulla coscienza<br />
comune, ma la sua riflessione non vale che nella misura in cui la coscienza<br />
comune può comprendersi essa stessa nella coscienza filosofica” 260.<br />
Detto in altro modo, è lo stesso problema che l’anno successivo,<br />
nello scritto sul saggio di Heidegger, avrebbe descritto come quello<br />
“dell’immanenza del sapere assoluto al sapere naturale”. Ma qui è posto,<br />
per la prima volta, appunto, in relazione a Fichte. E per alcuni anni (fino al<br />
1964 circa) è documentabile la permanenza, negli scritti hyppolitiani, di un<br />
tentativo volto a cercare, proprio nel sapere assoluto quale lo concepisce<br />
Fichte (e non più come lo pensa Hegel), quelle caratteristiche essenziali<br />
venute alla luce in seguito al confronto con la critica heideggeriana.<br />
“La filosofia [...] come tale dev’essere sapere assoluto [...]. Ma una<br />
simile pretesa non va forse contro il senso dell’esperienza che è sempre<br />
inconclusa, che sempre implica nuovi incontri [...]? Fichte vuole<br />
salvaguardare sia il sapere assoluto, apodittico, che è l’esigenza stessa<br />
della scienza, sia, insieme, il carattere aperto di un’esperienza per essenza<br />
inconclusa; egli vuole fondare questa apertura dell’esperienza che è<br />
incontro, nel sapere assoluto stesso. La critica hegeliana del falso infinito in<br />
Fichte ci sembra misconoscere la portata feconda dell’intenzione fichtiana.<br />
Il sapere assoluto non sarebbe così la fine storica del sapere, ma la<br />
giustificazione della sua apertura” 261.<br />
259Hyppolite 1971, p. 634; l’ho citato sopra a p. 154.<br />
260Hyppolite 1959, p. 29.<br />
261Ivi, pp. 25-6. Poco più avanti Hyppolite ribadisce: “Il sapere assoluto, il sapere nell’immanenza,<br />
non si oppone alla ricchezza indefinita dell’esperienza, ma mostra come questa ricchezza è<br />
possibile; la chiusura del sapere assoluto non esclude l’apertura dell’esperienza. Questa<br />
concezione fichtiana ci pare particolarmente degna di attenzione” (Ivi, p. 26).<br />
170
E’ interessante notare come in questo passo Hyppolite 1) sia<br />
soprattutto interessato a trovare una figura teoretica - che qui individua<br />
nel sapere assoluto fichtiano - che mantenga inalterato il carattere di<br />
“apertura” o “incompiutezza” dell’esperienza storica; 2) in contrapposizione<br />
a questo, giudichi “fine storica del sapere” il sapere assoluto hegeliano.<br />
L’esigenza, sentita come prioritaria, dell’ouverture storica collide<br />
qui con una struttura speculativa - il sapere assoluto hegeliano - avvertita<br />
come non rispondente a questa esigenza stessa.<br />
Molto più recisamente Hyppolite si esprime nel 1963: “Noi<br />
crediamo oggi che Fichte abbia aperto, rispetto a Hegel, delle prospettive<br />
più vaste e più feconde [...]. E’ Fichte che ha veramente posto il problema<br />
della filosofia della filosofia che è il nostro. E’ lui che ha tentato, nella<br />
Dottrina della scienza del 1804, di caratterizzare il logos filosofico. La<br />
riflessione si fa comprensione dell’essere, non riducendolo, come ha fatto<br />
Hegel, al concetto, ma esprimendolo. Questa espressione non sopprime<br />
l’opacità dell’incontro, l’apertura indefinita dell’esperienza, ma ne svela il<br />
senso; essa ricollega la fenomenologia, la luce dell’apparire, all’ontologia<br />
che ne è la condizione 262. Questa ontologia non è una teologia, una<br />
E, più avanti (p. 30), Hyppolite precisa che cosa intenda quando parla di una “apertura<br />
dell’esperienza che è incontro”: “La direzione verso l’Altro, questa apertura per un incontro, che si<br />
potrebbe ancora chiamare intenzionalità: ecco per Fichte ciò che occorre spiegare. Egli, dunque,<br />
non ha ignorato questa intenzionalità che ha chiamata direzione oggettiva della coscienza, ha<br />
voluto spiegarla nella sua genesi. Se l’io deve anche riflettersi, lo può fare solo aprendosi per un<br />
incontro; l’incontro e la riflessione si condizionano reciprocamente. L’esperienza tutta intera è<br />
questo incontro con l’Altro che è nello stesso tempo scoperta di sé; non si comprende che<br />
incontrando; non si incontra che comprendendo. La riflessione nell’immanenza non è possibile<br />
che tramite l’apertura indefinita di un campo trascendentale”. Analogo approfondimento si legge<br />
anche in Hyppolite 1964A, p. 44: “Ciò che fa l’originalità di Fichte è l’aver sempre voluto<br />
soddisfare a due esigenze: la prima, di riconoscere la specificità dell’esperienza, questo incontro e<br />
questo affrontamento dell’Altro, che presuppone il legame originario dei due termini, che non è<br />
solo la rappresentazione, ma anche la produzione di un mondo umano e l’azione; la seconda, di<br />
chiarire questa vita e questa esperienza, di renderla trasparente a se stessa, di comprenderla fino<br />
in fondo”.<br />
In Fichte, quindi, Hyppolite sembra trovare affermata l’esigenza del non-superamento dell’alterità,<br />
dell’oggettività, quale condizione di possibilità di una indefinita apertura dell’esperienza.<br />
L’opposizione chiusura/apertura mi richiama la più volte citata (cfr. per es. supra p. 150)<br />
affermazione hyppolitiana per cui il problema del sapere assoluto è nell’ “aprire la storia [ora, nel<br />
`59, si dice ``l’esperienza``, ma il campo semantico è evidentemente lo stesso] e sempre<br />
giustificarla nello stesso tempo” (Hyppolite 1946A, p. 144). Siamo, come si vede, nel cuore della<br />
problematica hyppolitiana.<br />
262Una caratterizzazione più approfondita della fichtiana Wissenschaftlehre del 1804 si trova in<br />
Hyppolite 1964A, pp. 48-52. Qui mi piace riportare la seguente considerazione di Hyppolite: “
garanzia suprema del senso scoperto, della relazione dell’esistenza e della<br />
verità, del per-noi e dell’in-sé, della libertà dell’atto filosofico e della<br />
necessità del vero [...]. Questo incontro non può essere risolto, come ha<br />
creduto Hegel, attraverso una identificazione completa, l’essere facendosi<br />
lui stesso pensiero di sé in uno sviluppo dialettico. La fenomenologia non<br />
può essere conclusa” 263.<br />
Accanto a una critica del saper assoluto hegeliano, quindi, che<br />
spinge Hyppolite ad avvicinarsi all’ “indefinito” fichtiano, c’è una sorta di<br />
“assolutizzazione” della dimensione fenomenologica. Scrive, infatti, lo<br />
studioso francese: “Ciò che ci sedotto nella Fenomenologia di Hegel non è il<br />
posto che essa occupa in un sistema che finisce per chiudersi su se stesso<br />
e ignorare la sua propria situazione storica; piuttosto, è il rapporto<br />
concreto, esistenziale, che essa stabilisce tra la diversità delle esperienze<br />
vissute, morali, estetiche, religiose, politiche e la riflessione filosofica. Il<br />
filosofo, secondo la Fenomenologia, non deve sostituirsi alle esperienze<br />
dell’uomo. Non ha che da raccoglierle e decifrarle così come la storia ce le<br />
dialettica sviluppata da Fichte nella Dottrina della scienza> corrisponde esattamente alla dialettica<br />
dell’essenza e della riflessione in Hegel, che si trova sia nella Scienza della logica, sia nella<br />
Fenomenologia. Ma la grandezza di Fichte consiste nel non aver superato questa dialettica,<br />
nell’aver descritto la relazione ontologica tale quale può manifestarsi nel filosofo che vuol portare<br />
alla luce del sapere l’essenza di ogni comportamento umano” (p. 49). E’ proprio il sapere assoluto<br />
come compimento di questa dialettica ad essere respinto! “Il sapere assoluto di Fichte - invece - è<br />
un’esperienza ontologica che resta nella finitezza, che fonda l’esistenza senza superare la<br />
strettezza della sua apertura, e accede a una espressione che è comprensione dell’essere e di sé,<br />
della presenza all’essere e della presenza di sé” (p. 52).<br />
263Hyppolite 1963, pp. 1025-6. Una considerazione parallela si può leggere in Hyppolite 1964A,<br />
pp. 34-5: “C’è in Fichte una esigenza di rigore, un riconoscere le difficoltà della riflessione a<br />
superare se medesima, difficoltà che contrastano con la fusione dialettica portata a compimento<br />
da Hegel. Certo, il genio di Hegel si mostra tanto nella sua logica speculativa, questa dialettica<br />
interna dell’Assoluto, quanto nella sua filosofia della storia o nella sua fenomenologia, questo<br />
divenire dello spirito fenomenico, ma l’unità del sistema, il sapere assoluto realizzato e inglobante<br />
in sé la fenomenologia, ci pare riposare su una fusione che è una confusione [...]. Il superamento<br />
della morte, che è uno dei grandi momenti della Fenomenologia e che genera la storia, e il<br />
passaggio al pensiero puro al livello del sapere assoluto, hanno senza dubbio un tono insieme<br />
astratto e concreto e una sublimità ai quali non si può restare insensibili; ma, ``la filosofia deve<br />
guardarsi dal voler essere edificante``, e noi ci sentiamo oggi più vicini alla dialettica di Fichte, la<br />
quale rimane prigioniera della finitezza, e non perviene ad altro che a una espressione dell’Essere<br />
nella finitezza dell’autocoscienza. Il progetto di una filosofia come epistemologia o scienza della<br />
scienza, sapere di sé del sapere, progetto liberamente intrapreso (è la libertà che ha l’iniziativa, e<br />
la necessità è il suo oggetto), l’evoluzione del senso di questo progetto in funzione degli ostacoli<br />
incontrati e della propria interpretazione di sé, i limiti confessati di un sapere assoluto (teoria<br />
della verità) l’espressione del quale è sempre solidale con una insuperabile fenomenologia, tutto<br />
questo dibattito dell’autocoscienza col proprio essere nel mondo e la propria essenza, ci sembra<br />
vicino a noi più che l’epopea hegeliana”.<br />
172
consegna. Questo pensiero potrebbe essere di Fichte che scriveva: ``Noi non<br />
siamo i legislatori, ma gli storiografi dello spirito umano`` [...]. Più<br />
precisamente, diceva Merleau-Ponty, c’è un esistenzialismo di Hegel nel<br />
senso che, per lui, l’uomo non è subito una coscienza che possiede nella<br />
chiarezza i propri pensieri, ma una vita consegnata a se stessa che cerca di<br />
comprendersi. Così, non possiamo rinunciare né al radicamento<br />
esistenziale, ed anche vitale, né all’esigenza di una verità universale. Verità<br />
ed esistenza è il titolo di un’opera il cui progetto ci fu comune, a Merleau-<br />
Ponty e a me” 264.<br />
La sezione più interessante di questo testo del 1963, però, è quella<br />
che mette esplicitamente a tema la connessione speculativa, operata da<br />
Hegel nella Fenomenologia, tra “sapere assoluto” e “limite”.<br />
Sarà proprio a tale altezza, come avrò agio di mostrare, che<br />
l’approfondimento teoretico condurrà Hyppolite ad allontanarsi da questa<br />
264Ivi, p. 1014. Il riferimento è palesemente a Merleau-Ponty 1946: la citazione è infatti letterale da<br />
p. 1314 di questo saggio. E’ da notare che gli unici tre studi dedicati da Hyppolite direttamente a<br />
Merleau-Ponty risalgono proprio a questo periodo: il primo è Existence et dialectique dans la<br />
philosophie de Merleau-Ponty, in “TM”, (17), n. 184-5, 1961; il secondo è una conferenza, intitolata<br />
L’évolution de la pensée de Merleau-Ponty, tenuta a Bruxelles nel novembre 1961; il terzo è Sens et<br />
existence dans la philosophie de Maurice Merleau-Ponty, in The Zaharoff Lecture, Oxford, 1963.<br />
Particolarmente interessante l’esordio di quest’ultimo scritto (tutti e tre questi testi sono stati<br />
ripubblicati in Hyppolite 1971, e da qui traggo la citazione): “I popoli felici, diceva Hegel, non<br />
hanno storia, ma noi, noi abbiamo incontrato la storia, con l’occupazione tedesca, la liberazione, e<br />
più di recente col dramma algerino. Tutti questi avvenimenti ci hanno segnato e ci aiutano a<br />
comprendere il movimento filosofico, conosciuto sotto il nome di esistenzialismo, al quale noi<br />
abbiamo partecipato, Sartre, Merleau-Ponty ed io. Questo movimento non può essere separato<br />
dalla nostra storia, individuale e collettiva; è nato da una presa di coscienza acuta delle condizioni<br />
reali del pensiero. L’idea non è niente senza la sua incarnazione, senza la sua esistenza hic et<br />
nunc, ma questa esistenza a sua volta, opaca e resistente, ha bisogno di chiarirsi, di<br />
comprendersi, ha bisogno di cercare il proprio senso [...]. La filosofia di Merleau-Ponty è una<br />
meditazione su questa connessione intima dell’esistenza e del suo senso” (Hyppolite 1971, p. 732).<br />
Riferendosi, se non a questo testo, all’atmosfera che esso evoca, nel suo omaggio in memoriam, J.<br />
d’Hondt scrive: “In una fraterna intimità con Sartre e Merleau-Ponty, Hyppolite ha vissuto<br />
l’avventura esistenzialista” (d’Hondt 1969, p. 90). Sarà chiaro più avanti in qual senso possa<br />
essere esatto questo giudizio.<br />
Senso ed esistenza, verità ed esistenza: il problema della conciliazione di questa dicotomia,<br />
conciliazione cui Hyppolite ha sempre aspirato partendo dalla meditazione sul sapere assoluto<br />
hegeliano, sembra ora venire impostato non più a partire da Hegel (anzi, attraverso un ripudio<br />
della problematica hegeliana), ma, piuttosto, a partire da posizioni prossime alla filosofia<br />
dell’esistenza (le quali, al massimo, possono “recuperare” Hegel attraverso una lettura<br />
“umanistica”, valorizzando, cioè, la démarche fenomenologica a discapito dell’ ”irrigidimento” della<br />
dialettica sistematica). Lo stesso significato ha l’essersi rivolto a una speculazione come quella di<br />
Fichte, da questo punto di vista certamente più avvicinabile all’esistenzialismo di quella hegeliana.<br />
Il problema è capire come interpretare questo che appare senz’altro come un “voltafaccia” di<br />
Hyppolite rispetto a tutta una lunga serie di indicazioni che indirizzavano la mia ricostruzione<br />
proprio nella direzione opposta a quella che lo studioso francese sembra ora offrirci.<br />
173
posizione (che, allora, da questo punto di vista, si rivelerà non più che una<br />
tappa destinata a essere percorsa ma superata) di critica negativa nei<br />
riguardi del sapere assoluto hegeliano, e a veder soddisfatte proprio in esso<br />
le esigenze di conciliazione e, nello stesso tempo, di finitezza, emerse dal<br />
confronto (fondamentale, da questo punto di vista, per l’interpretazione di<br />
Hegel) con la filosofia di Heidegger. Ma torniamo a noi.<br />
Il problema hyppolitiano è sempre stato quello di comprendere,<br />
attraverso Hegel, la possibilità di rapporto fra assolutezza ed esistenza<br />
storica. A questo livello l’incontro con Heidegger ha fatto balzare in primo<br />
piano la irrinunciabilità della categoria della finitezza in ordine alla<br />
caratterizzazione dell’esistenza storica dell’uomo. Ciò, lo stiamo vedendo,<br />
ha portato l’attenzione di Hyppolite su una filosofia, quella di Fichte, che, a<br />
prima vista, pone, in maniera più autentica che Hegel, l’accento su questa<br />
categoria. Ma il nostro, da profondo conoscitore dell’opera hegeliana, non<br />
può evitare di soffermarsi sul testo che forse più emblematicamente<br />
tematizza il rapporto tra assolutezza e finitezza.<br />
Per il momento, siamo nel 1963, egli scrive: “A proposito del<br />
sapere assoluto, Hegel dice anche: ``Il sapere non conosce soltanto sé, ma<br />
anche il negativo di se stesso o il suo limite. Sapere il suo limite vuol dire<br />
sapersi sacrificare``. Egli prosegue mostrando che ``questo sacrificio del<br />
sapere di sé è il divenire eterno della natura o il divenire temporale della<br />
storia umana nel quale lo spirito alienato da sé aliena la sua alienazione e<br />
si ritrova presso di sé``. E’ per questo, a dispetto delle affinità con Fichte,<br />
che la risonanza di questi testi evoca già il trionfo del sapere sul non-<br />
sapere, e la vittoria del concetto, fino a dentro la sua alienazione, natura o<br />
storia; ciò che fa per noi il valore del pensiero di Fichte è, al contrario, la<br />
sua ontologia che riposa sulla finitezza riconosciuta dell’espressione<br />
filosofica. Essa apre indefinitamente l’esperienza approfondendo il<br />
174
fondamentale dell’incontro, tematizzando il senso per noi della luce della<br />
comprensione” 265.<br />
Come si vede, anche qui, permane il giudizio negativo nei riguardi<br />
di Hegel che sposta l’attenzione su Fichte.<br />
Credo opportuno, a questo punto, intraprendere un’analisi di<br />
alcuni particolari termini utilizzati da Hyppolite; una analisi, quindi,<br />
insieme lessicale e concettuale, attraverso la quale mi sarà agevole<br />
mostrare la suaccennata evoluzione hyppolitiana da una posizione<br />
momentaneamente “antihegeliana” a un definitivo positivo apprezzamento<br />
della speculazione del filosofo di Stoccarda: evoluzione che porrà nella sua<br />
autentica luce sia l’interessamento di Hyppolite per Fichte, sia il risultato<br />
finale del suo trentennale confronto speculativo con Hegel.<br />
Contemporaneamente al considerato essersi rivolto a Fichte, si<br />
sviluppa, in Hyppolite, negli stessi anni, un altro ordine di considerazioni,<br />
disposte a precisare il concetto di “totalizzazione”; questo concetto, come<br />
vedremo, occuperà sempre più spazio nella meditazione dello studioso<br />
francese e diverrà assolutamente centrale nell’ultima fase del suo percorso<br />
teoretico.<br />
A documentazione di ciò è possibile portare un testo del 1962, nel<br />
quale si intrecciano significativamente vecchi e nuovi orientamenti della<br />
speculazione di Hyppolite. Si tratta di uno scritto redatto in preparazione<br />
all’insegnamento alla cattedra di Storia del Pensiero Filosofico che di lì a<br />
poco, l’anno seguente, egli avrebbe incominciato a tenere al Collège de<br />
France. Vi sono tracciate, quindi, le linee programmatiche della teoresi<br />
hyppolitiana nel suo periodo finale.<br />
La prima importante precisazione di questo (breve) saggio è che la<br />
ricerca filosofica deve “determinare una dimensione nuova, un dominio di<br />
ricerca che, alla luce della storia del pensiero filosofico, permetta di<br />
esplorare le interpretazioni dell’essere soggiacenti sia alla nostra vita<br />
265Hyppolite 1963, pp. 1026-7. Le due citazioni (la prima letterale, la seconda a senso) da Hegel<br />
sono entrambe da Hegel 1973 (= 1807), vol. II, p. 304.<br />
175
quotidiana, sia alle scienze positive”; questo indirizzo costitutivamente<br />
“ontologico” della filosofia, però, non deve trascurare l’essenzialità del<br />
“limite”; esso, infatti, è ciò per cui “la problematica filosofica deve provare il<br />
senso della propria impotenza a tematizzare completamente il suo<br />
progetto” 266.<br />
L’accenno al limite in cui si muove la filosofia porta lo studioso francese a<br />
istituire il confronto fra Hegel e Fichte, sviluppandolo nei termini che ormai<br />
conosciamo. Ma, oltre ad una allusione - “il sistema hegeliano ci sembra<br />
superato tanto quanto quello fichtiano” 267 - che può farci solo presagire<br />
alcunché di diverso, il discorso si sviluppa in un senso nuovo, che anticipa<br />
quello che Hyppolite percorrerà a conclusione e a coronamento della sua<br />
interpretazione hegeliana. Scrive, infatti: “Il pensiero, nella nostra epoca in<br />
cui gli incontri storici del pensiero selvaggio e del pensiero scientifico vanno<br />
compiendosi (relazioni dei popoli sottosviluppati e dei popoli civilizzati), in<br />
cui le scienze dell’uomo diventano capaci di elaborare modelli di strutture<br />
che dominano l’esistenza, permette di riflettere sul senso dell’essere e della<br />
verità, così come sull’essere del senso, sui rapporti della verità e<br />
dell’esistenza. La genesi e la struttura del pensiero filosofico conducono alla<br />
problematica della logica e dell’esistenza [...]. Il concetto di orizzonte si<br />
sostituisce progressivamente a quello di struttura e di essenza; occorre una<br />
storicità per comprendere la nozione di senso, e la totalizzazione, senza la<br />
quale le analisi della scienza positiva si dissolverebbero in una molteplicità<br />
dispersa” 268. Troviamo qui icasticamente riassunto il percorso teoretico che<br />
Hyppolite ha compiuto in una vita di studi: la riflessione sulla dimensione<br />
“genetica” del pensiero, sul momento, cioè, del “farsi”, del “generarsi”<br />
266Hyppolite 1962, p. 998. Dopo questo richiamo alla limitatezza della comprensione filosofica,<br />
Hyppolite non tralascia, comunque, di ribadirne e precisarne il compito: “La filosofia deve aprire<br />
una dimensione originale di ricerca [...], una dimensione che faccia apparire il senso delle<br />
strutture e il senso stesso dell’essere” (Ivi, p. 999). E, confermando una tendenza che sempre<br />
abbiamo visto operante in Hyppolite, questo orientamento ontologico non è disgiunto da una<br />
riflessione sulla storia: “Questo dominio originale di ricerca filosofica [...] deve, per costituirsi,<br />
ripensare la storia del pensiero filosofico e tener conto del senso - nascosto forse anche ad esso<br />
stesso - di questa storia” (Ivi, p. 1001).<br />
267Ivi, p. 1000.<br />
268Hyppolite 1962, pp. 1001-2. Corsivo mio.<br />
176
storico della filosofia (momento che Hyppolite ha studiato concentrandosi<br />
soprattutto sulla Fenomenologia dello spirito, quest’opera in cui il nascere<br />
del sapere filosofico è più che mai altrove contemplato) conduce ad<br />
interrogarsi sui rapporti sussistenti fra logica ed esistenza, ossia, in altri<br />
termini, sul modo possibile di intersecarsi, nel sapere della filosofia (il<br />
sapere assoluto), che è sapere di per sé totale, di sensatezza e di storicità<br />
dell’esistenza umana.<br />
L’elemento nuovo che si evidenzia in questo scritto, dunque, è la messa a<br />
tema del concetto di totalizzazione, e, per questo, l’introduzione di una<br />
nuova categoria per pensare e “ per comprendere la nozione di senso” 269.<br />
A questo punto è d’uopo ch’io mi avvii alla conclusione e prenda, perciò, a<br />
considerare gli ultimissimi saggi hegeliani del nostro, nei quali è contenuta<br />
la definitiva (e risolutiva) parola sull’interpretazione del sapere assoluto,<br />
alla luce del concetto di totalizzazione.<br />
Il primo spunto che lasci intravedere le primizie di un discorso diverso da<br />
quello portato avanti sull’onda di quella che mi permetto di chiamare<br />
“infatuazione” fichtiana, è rinvenibile in un saggio del 1964, nel quale<br />
Hyppolite ritorna a riflettere sull’impostazione glockneriana<br />
dell’interpretazione di Hegel: quali i rapporti fra tragico e razionale nella<br />
filosofia di Hegel?<br />
Hyppolite rileva qui che, nella concezione hegeliana dell’assoluto, come<br />
viene in luce soprattutto nella Fenomenologia, non è possibile prescindere<br />
269A dire il vero, il primo accenno (e, forse, anche il più significativo) alla problematica della<br />
totalizzazione si legge in un testo del 1960: “E’ uno dei meriti del pensiero esistenziale del nostro<br />
tempo aver saputo riconoscere la condizione della comprensione storica nell’esistenza umana,<br />
nell’opacità stessa di questa esistenza, rifiutando di lasciarsi integrare al sistema. Tuttavia, lo<br />
sforzo verso la totalizzazione, verso l’unità della storia non dev’essere abbandonato come credeva<br />
Kierkegaard nella sua solitudine. Fu il merito di Hegel, dello Hegel della Fenomenologia, aver colto<br />
insieme questa marcia verso un unico senso e questa realtà concreta dell’esistenza” (Hyppolite<br />
1960A, p. 994). Alcune pagine prima aveva scritto: “Se noi rigettiamo la riduzione della storia a<br />
una filosofia della storia, hegeliana, comtiana o marxista, non possiamo trascurare questo<br />
carattere del progetto umano del singolo di rinviare all’orizzonte dei suoi possibili, a una<br />
totalizzazione, cioè a una unificazione degli esistenti, a un riconoscimento universale degli uomini”<br />
(ivi, p. 991, corsivo mio). Faccio notare che permane qui una certa critica nei confronti del sistema<br />
hegeliano. Ritornerò subito su questa questione, ma rimando anche a quanto ho già detto sopra;<br />
v. cap. II, p. 53, nota 59 e cap. III, p. 111, nota 116.<br />
177
dalla immanenza in esso della negazione, la quale “implica la permanenza<br />
del tragico all’interno delle realizzazioni più ragionevoli e sagge della storia”.<br />
Ma ciò che è più importante è che, sebbene “questa visione tragica del<br />
mondo sembri offuscarsi in un sistema di concetti”, per cui “prima la<br />
Scienza della logica, poi l’Enciclopedia delle scienze filosofiche e infine la<br />
Filosofia del diritto [...] appaiono sostituire una dialettica logica alla<br />
dialettica esistenziale caratteristica degli Scritti giovanili ed anche della<br />
Fenomenologia dello spirito”, in realtà “ciò non è affatto vero” 270. Anche negli<br />
scritti sistematici, quindi, non è trascurabile la componente di “tragicità”,<br />
così evidente negli scritti giovanili e così cara alla sensibilità ermeneutica<br />
hyppolitiana.<br />
In questo saggio, è vero, lo studioso francese, confrontando la propria<br />
situazione storica con quella di Hegel, non manca di avanzare delle riserve:<br />
“Hegel indicava nello Stato che descriveva una opposizione grandissima tra<br />
le condizioni della vita sociale ed economica, e la libertà che ciascun uomo<br />
reclama - una libertà che non è solamente quella del liberalismo<br />
economico; per lui, la storia non era ancora finita [...]. Per noi il problema è<br />
altro, gli incontri umani dei popoli sviluppati e sottosviluppati si compiono;<br />
le questioni dell’economia si pongono su una scala talmente vasta e<br />
complessa che né l’economia pianificata, né l’economia liberale bastano più<br />
a sé stesse. I conflitti hanno una dimensione planetaria, e la tecnica dei<br />
mezzi di produzione o di distruzione ha sconvolto il campo dell’esperienza.<br />
In questo nuovo mondo umano però il tragico non saprebbe scomparire. Lo<br />
percepiamo bene in ciò che minaccia l’esistenza dell’uomo nella sua<br />
precarietà, ma non siamo affatto sicuri, come Hegel, che esso coincida col<br />
razionale. Questa coincidenza è ancora una forma di ottimismo che non<br />
possiamo più postulare” 271.<br />
270Hyppolite 1964, pp. 255-6.<br />
271Ivi, p. 261. Corsivo mio. Il lettore avrà già notato l’insistenza, in questi ultimi scritti<br />
hyppolitiani, sul riferimento al contesto storico degli anni `60, con le paure e le trepidazioni<br />
generate dalla guerra fredda. Non insisto su questo terreno, storico-sociologico, che non è il mio;<br />
ma è innegabile che tutto il discorso, che documenterò nelle prossime pagine, su totalità e<br />
totalizzazione, su sapere assoluto e limite, il quale costituisce l’estremo sviluppo<br />
dell’interpretazione hegeliana di Hyppolite, è frutto anche del proprio tempo.<br />
178
Ma quando, due anni dopo, ritorna sull’argomento, scrive: “Ma l’ottimismo<br />
hegeliano conserva la serietà, il dolore, la pazienza e il travaglio del<br />
negativo? Crediamo di sì, se si tiene conto, nella natura e nella storia, dei<br />
limiti del senso. C’è una finitezza irrecuperabile” 272.<br />
Che cosa ricavare da tutte queste indicazioni? Credo di poter dire che<br />
Hyppolite incomincia in questi testi a far trasparire il proprio giudizio finale<br />
sulla filosofia hegeliana, giudizio che egli è andato maturando nel corso<br />
degli anni e che ha ricevuto una fondamentale impronta dal contributo<br />
dell’interpretazione heideggeriana. Dopo i considerevoli tentennamenti che<br />
ho documentato, i quali testimoniano piuttosto l’approfondirsi della ricerca<br />
e lo sforzo per la definizione di una concezione coerente, egli giunge a<br />
rileggere il sapere assoluto alla luce della categoria di finitezza e a pensare,<br />
così, la struttura di una totalità compiuta e, insieme, compientesi,<br />
restituendo al sistema hegeliano un originale ruolo anche per il pensiero<br />
contemporaneo. Vediamo da vicino.<br />
Come punto di partenza per questo esame conclusivo scelgo il luogo nel<br />
quale Hyppolite rimette in questione il passo hegeliano nel quale il filosofo<br />
tedesco, nel finale della Fenomenologia, parla di “limite” e di “sacrificio” a<br />
proposito del sapere assoluto 273. Scrive: “Se la logica hegeliana è spesso<br />
apparsa come il regno delle ombre nel quale in effetti si dice tutto, tuttavia<br />
c’è la natura e c’è la storia. Il sapere assoluto si presenta come un sistema<br />
chiuso, suggellato, ma la grandezza del sapere assoluto, dice Hegel, è<br />
quella di sapere i suoi limiti. Sapere i suoi limiti, è sapersi sacrificare, è<br />
sapere che l’idea assoluta accetta d’essere sacrificata, accetta la natura e la<br />
272G.W.F. Hegel, Préface de la Phénoménologie de l’esprit, cur. J. Hyppolite, Paris, 1966, p. 183.<br />
Cito dalle note di commento apposte in appendice da Hyppolite a questa sua rinnovata traduzione<br />
della prefazione alla Fenomenologia.<br />
Hyppolite dice proprio: “Il y a une finitude irrécupérable”. Credo che questa singolare<br />
aggettivazione vada intesa nel senso che la finitezza non può essere trascesa, superata, assorbita,<br />
“recuperata” in un sistema concettuale irrigidito che mette in primo piano esclusivamente le<br />
esigenze della conciliazione. Vale un po' come “imprescindibile”.<br />
273Come ho messo in evidenza (v. supra, p. 180), un primo accostamento a questo testo aveva<br />
condotto Hyppolite a ribadire la sua critica negativa al sapere assoluto hegeliano e a manifestare<br />
di nuovo il suo preferire l’approccio fichtiano.<br />
179
storia, cioè, in fin dei conti, accetta di poter fallire. Questo pensiero dà un<br />
rilievo particolare al testo della Prefazione della Fenomenologia nel quale<br />
Hegel dice: ``La vita di Dio e il conoscere divino potranno bene venire<br />
espressi come un gioco dell’amore con se stesso; questa idea degrada fino<br />
all’edificazione e a dirittura all’insipidezza quando mancano la serietà, il<br />
dolore, la pazienza e il travaglio del negativo``. Quale sarebbe il senso di<br />
una storia che realizzerebbe sempre provvidenzialmente l’idea? Non<br />
cadrebbe Hegel stesso nella medesima insipidezza? Ma nella storia ci sono i<br />
fallimenti, c’è lo scacco, c’è un limite, il quale non è d’altronde riducibile<br />
teologicamente, il quale, cioè, non è suscettibile d’essere superato da Dio,<br />
ma che è un termine assoluto, vale a dire il momento in cui l’idea è altro<br />
che se stessa in questa alterità nella quale incontra la possibilità di<br />
perdersi e di salvarsi. Il destino è presente nel sapere assoluto hegeliano,<br />
c’è un ritorno, alla fine della Fenomenologia, ai suoi limiti” 274.<br />
L’assolutezza del sapere è vista qui come riconoscimento dell’invalicabilità<br />
del limite che gli è proprio, che esso si assegna consegnandosi alla<br />
accidentalità della natura e della storia. L’assolutezza risiede quindi<br />
nell’accettazione del limite, ossia, in altre parole, nell’assolvimento dalla<br />
pretesa di tenere chiuso in sé il senso di se stesso, senza consegnarlo al<br />
sacrificio dell’irrimediabile contingenza. E’ quanto Hyppolite esprime,<br />
ancora una volta, tornando sulla celebre frase della Prefazione alla<br />
274Hyppolite 1967, p.330. La citazione è da Hegel 1973 (= 1807), vol. I, p. 14. Un passo “parallelo”<br />
si legge in Hyppolite 1966, p. 287; ripresentando l’accostamento fra capitolo finale (là dove si<br />
parla di sapere assoluto e limite) e Prefazione (quando parla del “travaglio del negativo) della<br />
Fenomenologia, lo studioso francese scrive: “Il capitolo sul sapere assoluto ci mostrerà che questo<br />
dolore e questo travaglio non possono scomparire, giacché se il sapere appare a se stesso in una<br />
fenomenologia così come si pensa in una logica, e se la connessione di queste due forme<br />
garantisce la libertà del soggetto, il quale può così alienarsi nel fenomeno senza perdersi, c’è<br />
ancora di più, c’è un irrecuperabile, una perdita più radicale come contingenza della natura e<br />
della storia legata agli avvenimenti accidentali. ``Il sapere non sa solo se stesso, ma anche il suo<br />
limite``”. V. anche Hyppolite 1967A, pp. 351-2: “Il sapere universale sa dunque anche il suo<br />
limite, esso misura i limiti del significato o del senso, la parte di nonsenso che investe ancora il<br />
significato, ciò che Hegel vedeva come il rapporto del Logos e della natura, il gioco della loro<br />
identità e differenza. Per Hegel non si trattava là di una teologia negativa, di un senso, per così<br />
dire, al di là del senso, ma di una finitezza irrimediabile, di un senso perduto e che non è mai del<br />
tutto ricuperabile”.<br />
Richiamerei l’attenzione sull’insistenza di Hyppolite a proposito di quell’aggettivo: irrecuperabile.<br />
E’ lo stesso che usa quando, a partire da una posizione “fichtiana”, prova a introdurre una<br />
“riabilitazione” del sistema hegeliano (v. supra, p. 185 e nota 24).<br />
180
Fenomenologia: “L’assoluto è soggetto”. Scrive: “Ciò che Hegel intende in<br />
effetti per soggetto, non è un supporto fisso, una base irremovibile o un<br />
preliminare alla propria storia, ciò che conterrebbe in sé i predicati:<br />
predicatum inest subjecto. Dove sarebbe allora la sua originalità? Egli, in<br />
effetti, non ripete né Leibniz né Fichte. Al contrario, li esclude [...].<br />
L’effettualità vivente suppone in se stessa una perdita e una alterazione<br />
radicale di sé, un ``consegnarsi alla differenza assoluta``, di modo che ciò<br />
sia ``la riflessione in se stesso nell’esser altro`` che solo dà il vero” 275.<br />
A partire da quest’ordine di considerazioni lo studioso francese introduce<br />
un fondamentale approfondimento: “La conseguenza di ``L’assoluto è<br />
soggetto``, è che il sapere non è effettuale che come Scienza o come<br />
Sistema, ma questo sistema non saprebbe essere un sistema nel senso<br />
abituale del termine, un sistema chiuso” 276.<br />
275Hyppolite 1967B, p. 336 [Ritengo opportuno ricordare che il titolo di questo saggio è: Note sur la<br />
Préface de la “Phénoménologie de l’esprit” et le thème: l’absolu est sujet. Hyppolite ritorna quindi<br />
espressamente su questo tema della soggettività dell’assoluto. Non manca, però, la<br />
caratterizzazione heideggeriana di questa tematica, l’acquisto fatto sulla scorta della speculazione<br />
di questo pensatore essendo ormai imprescindibile: “Se il vero è soggetto, questo non vuol dire che<br />
esso sia la soggettività umana, quella di un individuo singolo [...]. Certamente c’è un pensiero<br />
rappresentativo, un pensiero soggettivo, ma [...] il senso della Fenomenologia è di ricondurre [...] al<br />
sapere assoluto, il quale è la dialettica delle cose, non quella di un sapere che ne sarebbe<br />
separabile” (Hyppolite 1967A, p. 349). Da rimarcare anche che l’ultima produzione hyppolitiana è<br />
quasi esclusivamente dedicata allo scavo teoretico intorno alla Prefazione della Fenomenologia: lo<br />
studioso francese ne prepara una rinnovata traduzione, un succinto commento e vari saggi sono<br />
consacrati all’elucidazione di alcuni suoi aspetti. Davvero questo testo hegeliano, sovente, come<br />
abbiamo già avuto modo di constatare, accostato al capitolo sul sapere assoluto, contiene le<br />
indicazioni sulle quali Hyppolite si è basato per la strutturazione finale della sua lettura<br />
hegeliana]. Si noti qui la sconfessione esplicita di Fichte. Se ne può avere una conferma (meno<br />
immediata) anche attraverso una breve analisi lessicale. Hyppolite usa qui il termine “alterazione”<br />
[altération, nell’originale francese] riferito all’assoluto hegeliano. In Hyppolite 1963, cioè nel testo<br />
dove più recisa è la presa di posizione contro Hegel a favore di Fichte, questo stesso termine è<br />
usato ad indicare il ruolo del negativo quale è inteso non da Hegel, ma piuttosto dal pensiero<br />
contemporaneo sulla scorta di Fichte: “Il pensiero di Fichte ci rivelerà questa negatività, questa<br />
differenza, che Hegel ha messo in opera nella sua dialettica, ma che resta una alterità o piuttosto<br />
una alterazione insormontabile nel pensiero filosofico autentico del nostro tempo” (Hyppolite 1963,<br />
p. 1027). Di nuovo questo termine è utilizzato in Hyppolite 1967B, p. 333: “L’assoluto [hegeliano]<br />
è sempre in corso di alterazione, è sempre una partenza, una avventura, ciò che etimologicamente<br />
significa l’eventualità dell’avvenire, allo stesso modo in cui esso è nello stesso tempo una ripresa<br />
di sé, un ritorno in se stesso, ``l’essere ritornato nella semplicità``”. Lo stesso termine passa in<br />
contesti diversi, addirittura opposti: una prova in più che Hyppolite ha voluto ritrovare in Hegel<br />
ciò che aveva per un momento cercato in Fichte.<br />
276Hyppolite 1966, p. 288. Anche in Hyppolite 1967B, dopo aver parlato, nei termini che ho<br />
riportato nella nota precedente, della soggettività dell’assoluto, il discorso continua con la<br />
conclusione: “Da questa concezione [quella, appunto, della soggettività dell’assoluto] deriva - non<br />
lo si è forse mai abbastanza rimarcato - il sapere come sistema. A prima vista c’è un paradosso:<br />
far dipendere l’esigenza del sistema da una obbligatoria apertura su un di fuori, cioè su una<br />
alterità [...] mentre il sistema parrebbe piuttosto legato a una coerenza interna. Ma [...] il Sistema<br />
181
Infatti, nota egli, prendendo risolutamente posizione contro qualsiasi<br />
incertezza che lui stesso possa aver patito al riguardo, bisogna “che ci<br />
mettiamo in guardia contro una interpretazione frettolosa. Hegel non è il<br />
logico che ha formalizzato il concreto, l’esistenza [...]. Hegel è stato<br />
stigmatizzato come un essenzialista, un professore che ha costruito un<br />
sistema senza relazione con l’esistenza reale. Gli attacchi di Kierkegaard<br />
non riposano su una lettura autentica di Hegel, ma del vecchio Schelling<br />
che aveva sviluppato un profondo risentimento allorché la fama di Hegel<br />
ebbe eclissato per un momento la sua” 277. Una lettura attenta di Hegel - ci<br />
dice qui Hyppolite - ce ne restituisce un’immagine diversa da quella che ne<br />
può aver dipinto chi si è attardato eccessivamente sulle critiche degli<br />
esistenzialisti: e qui credo che lo studioso francese parli soprattutto di sé e<br />
della sua volontà di prendere le distanze da quella che è stata anche la sua<br />
accusa di “logicismo” e di “chiusura” riferiti al sistema hegeliano: “Niente<br />
forse è più opposto a un sistema chiuso che il pensiero hegeliano. Io mi<br />
sono sempre rifiutato di scrivere un sistema hegeliano perché, sebbene<br />
Hegel abbia detto che “la filosofia deve essere sistema”, non sono mai<br />
potuto riuscire a chiudere questo sistema, ho trovato più sistemi, in modo<br />
tale che questo pensiero sfugge sempre ad ogni chiusura” 278. Non si tratta<br />
di una affermazione isolata, ma, nell’ultima produzione hyppolitiana,<br />
ricorrente: “Il sistema è la coesione vivente, il senso, di ciò che sempre si<br />
aliena o si smarrisce fuori da sé. Dire che c’è un sistema, dunque, non è<br />
dire che c’è una architettura formale, una totalità chiusa, ma che il Tutto<br />
stesso è aperto pur rimanendo Totalità” 279. E ancora : “Totalizzare non è<br />
incasellare in un sistema [...]. Molte grandi filosofie sono state credute dei<br />
sistemi, cioè hanno creduto a un ordine prestabilito, mentre erano delle<br />
è sistema perché non c’è una affermazione prima, originaria, un assoluto posto preliminarmente. I<br />
filosofi prima e dopo Hegel hanno cercato un fondamento [...]. Per Hegel l’assoluto è<br />
essenzialmente risultato di un divenire. L’esigenza sistematica non è più, allora una esigenza<br />
formale, ma nasce da questo appello del risultato sul punto di partenza (presupposto), da una<br />
diversità che riposa sul proprio avvenire e non sul proprio passato; il sistema non è costituito in<br />
anticipo, ma si costituisce, si istituisce” (Hyppolite 1967B, pp. 336-7).<br />
277Hyppolite 1966, p. 294.<br />
278Hyppolite 1967, pp. 311-2.<br />
279Hyppolite 1967B, p. 337.<br />
182
totalizzazioni, ossia costituivano quell’ordine” 280. Si tratta, come si vede, di<br />
passi molto significativi, istituendo l’accostamento fra le nozioni di “sistema<br />
(hegeliano)” e di “totalità/totalizzazione”. E’ proprio a questo livello che può<br />
essere compreso l’esito definitivo del percorso teoretico ed ermeneutico di<br />
Hyppolite. Come ho già ricordato, nel 1966 Hyppolite pubblica<br />
separatamente, come testo autonomo, la Prefazione della Fenomenologia.<br />
Nell’avertissement introduttivo spiega la sua scelta. Dopo aver richiamato<br />
la posizione di “cerniera” di questo scritto, il quale viene a porsi a legame<br />
tra Fenomenologia e Logica speculativa, le quali sono certamente “due<br />
presentazioni autentiche del pensiero filosofico”, scrive: “A dispetto<br />
dell’ammirazione che proviamo per queste due opere, noi oggi siamo scettici<br />
su questa espressione possibile della Totalità. Al contrario il progetto<br />
hegeliano di totalizzazione rimane oggi all’orizzonte di una riflessione<br />
filosofica, noi riconosciamo insieme la finitezza insuperabile e l’esigenza di<br />
una tale presentazione filosofica” 281.<br />
E’ chiaro che Hyppolite, permanendo un certo margine di oscillazione, per<br />
cui il giudizio sul sistema - a volte qualificato come “ciò che più lontano ci<br />
possa essere da un sistema chiuso”, altre volte come “espressione possibile<br />
della Totalità di cui dubitare” - non si assesta mai in un apprezzamento<br />
positivo completo 282, vede - e questo sì è certo! - nella filosofia hegeliana in<br />
tutto il suo sviluppo un’impresa speculativa formidabilmente valida per chi<br />
vuole continuare a fare filosofia, rifiutando di farsi trascinare dal flusso<br />
disordinato dei pensieri: “La filosofia [...] non sarà più l’ontologia dei<br />
metafisici del passato, non sarà più la totalità, ma lo sforzo di totalizzazione<br />
indispensabile se il pensiero umano non si vuole abbandonare alla<br />
280Hyppolite 1966, p. 308. Non si tratta di un testo hyppolitiano, ma di una citazione (tratta da un<br />
saggio di D. Dreyfus pubblicato in “TM”, dicembre, 1965) che lo studioso francese pone in nota al<br />
suo lavoro.<br />
281Hyppolite, Avertissement du traducteur, in G.W.F. Hegel, Préface de la Phénoménologie de<br />
l’esprit, Paris, 1966, p. 9.<br />
282Il giudizio più chiaro e, insieme, mi pare, più equilibrato e persuasivo, si legge in Hyppolite<br />
1967A, p. 345: “La Fenomenologia [...] e la Logica [...] valgono per noi come degli esempi di una<br />
presentazione filosofica; non crediamo, come Hegel, che esse abbraccino la totalità; ma il progetto<br />
che le anima e che è un progetto di totalizzazione, è anche il nostro”.<br />
183
dispersione, ma invece raccogliersi sulla sua problematica e sulla sua<br />
storia” 283.<br />
Credo di averlo mostrato persuasivamente: il concetto di “totalizzazione”, il<br />
quale è strettamente legato a quello di “sistema aperto” è quello che ha<br />
polarizzato intorno a sé, in modo conclusivo, l’interpretazione hegeliana di<br />
Hyppolite. Per capire, però, fino in fondo che cosa lo studioso francese<br />
abbia voluto esprimere in questo modo, bisogna aver presente un<br />
fondamentale collegamento operato dal nostro. Una tematica, infatti, che<br />
percorre questi ultimi scritti che sto considerando e che, certamente, dà la<br />
chiave di intonazione di tutto il discorso, è quella del rapporto, nella<br />
Fenomenologia dello spirito, fra totalizzazione e cultura (Bildung). Ci si<br />
riallaccia, così, quasi inaspettatamente, ma con una coerenza che si scopre<br />
formidabile, a un tema già venuto in luce e analizzato da Hyppolite ai tempi<br />
di Genesi e struttura della “Fenomenologia dello spirito” 284.<br />
La nozione di Bildung, lo si è veduto, serviva a Hyppolite per mostrare la<br />
saldatura - essenziale per la sensatezza del discorso intorno al sapere<br />
assoluto - tra Fenomenologia e storia. Ora la medesima nozione viene<br />
utilizzata dal nostro per chiarire il progetto di totalizzazione che la sua<br />
interpretazione ha mostrato essere l’anima del filosofare hegeliano.<br />
Subito dopo aver sottolineato che il sistema hegeliano, sotto questa luce,<br />
non può essere guardato come fosse una totalità chiusa, ma che, anzi, è lo<br />
strutturarsi stesso di un tutto che è aperto pur restando - anzi, per meglio<br />
dire, proprio essendo - totalità, nota: “Che questo pensiero [quello,<br />
appunto, di una totalità aperta] sia stato modulato ad opera dell’esperienza<br />
della storia e per l’esigenza di una cultura che non è uno sviluppo<br />
armonioso e spontaneo [...] ma una aberrazione, un oblio di sé e una<br />
riconquista riflessiva, ciò è fuor di dubbio. L’apertura su di sé passa<br />
attraverso l’incontro dell’Altro; la cultura non è una evoluzione spontanea<br />
283Hyppolite 1965, p. 1037. Mi sembra possibile richiamare quanto dicevo sopra (v. p. 151): la<br />
ricerca intorno al significato filosofico del sapere assoluto si muove in una dimensione che non è<br />
quella che riposa sull’ammissione di una trascendenza nei termini tradizionali (metafisici): “La<br />
filosofia non sarà più l’ontologia dei metafisici del passato”.<br />
284Cfr. supra, cap. III, pp. 107-12, specialmente p. 110.<br />
184
[...]; essa suppone che lo spirito si faccia estraneo a se medesimo, che il<br />
suo passato gli appaia come una natura fuori di sé, di cui occorre<br />
appropriarsi” 285. Il pensiero di una totalità sistematica che va facendosi e<br />
strutturandosi, la concezione di un sistema aperto all’accoglienza di ogni<br />
novità che si faccia incontro nell’esperienza storica, in cui, anzi,<br />
quest’ultima trova il suo senso giungendosi a collocare dentro<br />
un’articolazione ordinata di significati, tutto ciò è, per Hyppolite, la<br />
conseguenza di quanto esige un concetto di Bildung quale quello che è<br />
pensato da Hegel. E’ il suo modo di concepire la Bildung (ossia il modello di<br />
uno sviluppo che procede attraverso “la riconquista riflessiva” di ogni<br />
aspetto della vita dello spirito - cioè: del bagaglio spirituale dell’umanità -<br />
che si presenta inizialmente come alcunché di estraneo e bisognoso di<br />
essere assimilato tramite un processo di appropriazione), è questo carattere<br />
di perpetuo “farsi” o “maturarsi” proprio della vita spirituale, ciò che<br />
costituisce, nella lettura hyppolitiana l’archetipo della nozione di<br />
totalizzazione.<br />
Interpretando il sapere assoluto 286 attraverso la nozione di totalizzazione “si<br />
comprende allora, io credo, tutto ciò che la fenomenologia dello spirito è.<br />
Essa non è una filosofia della storia del mondo, ma una filosofia della<br />
cultura, cioè una filosofia in cui ogni dato d’esperienza già assimilato<br />
dall’umanità ha bisogno d’essere rianimato. Ma questa esperienza non<br />
cessa di crescere” 287.<br />
285Hyppolite 1967B, pp. 337-8. Si noti, a conferma a conferma della mia tesi sulla “infatuazione”<br />
fichtiana, come ritorni qui, a proposito della filosofia hegeliana, quel modulo lessicale - “incontro<br />
dell’Altro” - che aveva caratterizzato il discorso su Fichte.<br />
286Che sia proprio sempre all’interno della problematica ermeneutica del sapere assoluto che<br />
Hyppolite situa il suo ragionare intorno a Bildung e totalizzazione, ne fornisce prova testuale<br />
Hyppolite 1966, p. 295. Qui, dopo aver citato le ultimissime parole del capitolo sul sapere<br />
assoluto della Fenomenologia, quelle tormentate frasi in cui Hegel istituisce la relazione fra storia,<br />
fenomenologia e storia concepita, scrive: “Questa distinzione finale di storia contingente,<br />
Fenomenologia e storia concepita, delimita maggiormente il senso di questa Fenomenologia -<br />
cammino di cultura dello spirito”.<br />
287Hyppolite 1967, p. 328. Divertente il prosieguo del passo: “Hegel diceva che la sua croce era la<br />
logica, la maniera in cui era cosificato e ossificato il pensiero scritto. Ma cosa direbbe oggi? Io<br />
sono spaventato da tutti i libri che ricevo, spaventato da tutte le tesi che occorre leggere,<br />
spaventato da tutto ciò che l’umanità ha esperito e che bisogna venga di nuovo, se possibile, reso<br />
vivo dalle generazioni future. Potranno esse portare il peso delle biblioteche? Ebbene sì, non<br />
185
L’apertura del sistema, il suo essere totalità che si va creando sul modello<br />
di un processo di crescita in corso di strutturazione, il leggere il sapere<br />
assoluto come totalizzazione, sono - io credo - il debito che l’interpretazione<br />
di Hyppolite paga a Heidegger e al suo aver posto in primissimo piano le<br />
esigenze della finitezza e del limite; ma, nel contempo, sono anche la<br />
presentazione di una originale e stimolante lettura hegeliana.<br />
vedendo in essa una filosofia della storia del mondo, ma una filosofia della cultura dello spirito e<br />
della sua riattivazione, si comprende la Fenomenologia”.<br />
186
Conclusione<br />
1. Il Malheur di Jean Wahl aveva avuto il merito di inaugurare<br />
in Francia una lettura che dell’opera hegeliana metteva soprattutto in<br />
risalto la dimensione “coscienziale”: il reperimento di ciò che, a partire da<br />
Hegel, poteva servire alla strutturazione di un riflettere che vertesse intorno<br />
alla “infelicità della coscienza”, all’aspetto, cioè, per cui la condizione<br />
umana può essere osservata nei suoi risvolti più dolenti e incompleti, era -<br />
in Wahl - solo l’aspetto più appariscente di una impostazione critica che<br />
vedeva nella “coscienza” e non già nella “scienza” (nelle loro accezioni<br />
hegeliane) l’elemento valorizzabile all’interno dell’opus del filosofo di<br />
Stoccarda. Coscienza e scienza venivano contrapposte - così come,<br />
specularmente, erano preferiti gli scritti giovanili di contro alle opere<br />
sistematiche - in nome di una valutazione radicata nel privilegiamento del<br />
concreto, dell’empirico, dell’immediato, dell’esistenziale; se la scienza e il<br />
sistema apparivano alcunché di astratto e lontano dalla vita reale<br />
dell’uomo, la coscienza presentava invece le credenziali giuste per entrare<br />
nella sfera d’interesse di chi - come Wahl - giudicava degne di<br />
considerazione filosofica le sole categorie in qualche modo classificabili e<br />
utilizzabili in funzione di una teoresi “concreta”.<br />
Ne risultava l’immagine di uno Hegel filosofo fondamentalmente<br />
attento alle dimensioni dell’affettività, del sentimento in generale e del<br />
sentimento religioso in particolare, proteso nel tentativo di indicare una<br />
187
“via mistica” per la conciliazione delle scissioni e delle contraddizioni della<br />
vita dell’uomo.<br />
Si trattava, però, di un’immagine incapace di definirsi e di<br />
rimanere fissata, problematica anche per lo stesso Wahl, il quale presto<br />
aveva finito per rivolgersi a Kierkegaard come al pensatore che meglio<br />
poteva dargli soddisfazione nel rispettare i contorni di quell’immagine.<br />
Ma, intanto, un seme era stato gettato. Nonostante il suo esito<br />
problematico, la lettura hegeliana di Jean Wahl aveva non solo messo in<br />
atto un graduale ingresso di Hegel nella cittadella degli studi francese, ma<br />
anche predefinito il particolare carattere, la peculiare “impronta” che questi<br />
studi avrebbero avuto: l’attenzione privilegiata riguardo a quell’opera di<br />
Hegel, la Fenomenologia dello spirito, nella quale meglio il filosofo tedesco<br />
aveva messo a fuoco il ruolo della coscienza nell’economia del suo sistema.<br />
Anzi, il fatto che l’interpretazione wahliana fosse terminata nell’incertezza<br />
di un’ambiguità, che non avesse saputo dire una parola decisa su quella<br />
figura di Hegel “mistico” e “romantico” che proponeva, costituiva proprio il<br />
contrario di un ostacolo allo svilupparsi della ricerca e<br />
dell’approfondimento. C’era - ed era avvertito - il bisogno di ricominciare e<br />
di nuovamente interpretare il senso del pensiero hegeliano. Di qui la<br />
fioritura di studi che prende il via negli anni ′30.<br />
2. Jean Hyppolite può certo dirsi uno dei maggiori protagonisti<br />
di questa stagione filosofica che ha fissato l’attenzione principalmente sulla<br />
Fenomenologia.<br />
Certamente può essere visto come il continuatore dell’opera<br />
wahliana; nel preciso senso, però, che egli ha impostato il proprio lavoro<br />
sul problema lasciato aperto da Wahl ed ha rivisitato, in modo originale, la<br />
produzione hegeliana, con l’intento di chiarirne il senso generale prendendo<br />
le mosse dal nodo speculativo posto in primo piano (ma poi lasciato<br />
nell’ambiguità) dal suo predecessore: la coscienza.<br />
188
Se, infatti, lo Hegel disegnato da Wahl era risultato, alla fine, a<br />
lui stesso insoddisfacente nel suo dare risposta alle esigenze avanzate di<br />
“concretezza”, ciò era dovuto, in ultima analisi, al fatto che la wahliana,<br />
rigida, dicotomia instaurata fra scienza e coscienza non poteva né reggersi<br />
né giustificarsi. Ed è chiaro il motivo: come è concepita da Hegel, la<br />
coscienza ha in sé imprescindibile la tensione alla scienza, per cui,<br />
parlando della prima, non si può rinunciare a porre a tema anche la<br />
seconda. E’ per questo, allora, che l’operazione condotta da Wahl non<br />
poteva che dar adito ad equivoci: non si può rivestire la coscienza col<br />
manto della concretezza e, conseguentemente, concepirla come la<br />
dimensione del misticismo hegeliano e, insieme, doverla vedere nel suo<br />
intimo, essenziale legame con la scienza e lo sviluppo sistematico di essa.<br />
Hyppolite ha studiato la Fenomenologia, luogo emblematico<br />
dello svilupparsi della problematica coscienziale, proprio perché ha avuto la<br />
consapevolezza che era a questo livello che si giocava la partita, sia per<br />
uscire dall’ambiguità wahliana, sia per iniziare a definire più precisamente<br />
l’autentica immagine di Hegel.<br />
Nella Fenomenologia Hyppolite ha visto la questione “coscienza”<br />
in strettissima connessione con la storia. Attraverso la presa di coscienza,<br />
in un processo di progressiva formazione culturale, la Fenomenologia<br />
mostra la nascita e lo sviluppo della dimensione storica: il singolo, via via<br />
che passa attraverso sempre nuove esperienze, si innalza all’universale e si<br />
forma alla libertà che solo nell’interazione spirituale dei soggetti (nella<br />
storia concepita come terreno di manifestazione dello spirito) è effettuale.<br />
Coscienza, storia, libertà: è intorno alla composizione di queste<br />
tre realtà che la riflessione hyppolitiana si è fin da subito orientata. E<br />
siccome Hegel ne parla propriamente nel capitolo finale della<br />
Fenomenologia, quello su il sapere assoluto, Hyppolite ha focalizzato il suo<br />
impegno interpretativo soprattutto su queste pagine hegeliane.<br />
189
L’unità di ispirazione che cementa l’intera opera hyppolitiana<br />
può individuarsi proprio qui: a partire dal senso da attribuire al sapere<br />
assoluto, fin dagli anni ´30, lo studioso francese ha cercato in Hegel, e<br />
ostinatamente si è mantenuto fino alla fine in questa ricerca, un aiuto per<br />
districarsi nell’aggrovigliata selva dei problemi sollevati dal pensare il<br />
rapporto tra libertà umana, che si illumina alla luce di un possibile senso<br />
della storia, e opacità dell’esperienza della coscienza, immancabilmente<br />
caricata di travaglio e di dolore.<br />
Impostata così, in Genesi e struttura, la questione, subito dopo,<br />
a metà, quindi, del suo percorso di studi, Hyppolite ha innestato nel tronco<br />
della problematica hegeliana il contributo di Heidegger.<br />
Ne ho evidenziato le ragioni: l’incentrarsi dello sforzo<br />
ermeneutico sul sapere assoluto (giacché è qui che Hegel tira le fila del suo<br />
discorso sulla coscienza) aveva determinato l’esigenza di comprendere il<br />
senso della conciliazione che lì si compie tra particolarità della storia e<br />
universalità della libertà, storicità dell’esperienza della coscienza e<br />
assolutezza della libertà dello spirito. Se la prima riflessione, quella fino a<br />
Genesi e struttura, poneva la necessità di individuare il significato della<br />
Aufhebung della coscienza (e della relativa dimensione storica) nel sapere<br />
assoluto come emergere della piena libertà dello spirito, è chiaro che il<br />
compito hyppolitiano non poteva non risultare quello di esplicitare la reale<br />
consistenza di tale Aufhebung, di tale trascendimento: si supera l’ambito<br />
dell’umano (identificato così col coscienziale) per adire ad una trascendenza<br />
di tipo teista? Oppure il senso dell’esperienza storica rifiuta qualsiasi<br />
proiezione di tal sorta?<br />
A Heidegger Hyppolite ha chiesto questo: l’aiuto per pensare la<br />
trascendenza, l’Aufhebung che Hegel ha teorizzato nel capitolo sul sapere<br />
assoluto a suggello della sua opera del 1807, distanziandosi ugualmente<br />
dalle ipotesi estreme del teismo e dell’antropologismo, entrambe<br />
insostenibili da parte di una interpretazione che voglia essere imparziale.<br />
190
Il ricorso a Heidegger in funzione di un’ermeneutica hegeliana<br />
sfugge, in tal modo, al pericolo di risultare incongruente: Hegel,<br />
impostando il problema di pensare l’Aufhebung della coscienza, tende a<br />
rivelare l’opera dell’assoluto; Heidegger, volendo prendere le distanze<br />
dall’umanismo, propone una ontologia che sia il superamento di ogni<br />
pensare metafisico. Entrambi sono occupati a concepire la trascendenza in<br />
modo nuovo; per cui non è un abbaglio teoretico il voler incrociare le due<br />
speculazioni su questo punto, ma, al contrario, un confronto di grande<br />
interesse. Da questo punto di vista, Hyppolite si dimostra interprete acuto<br />
e coraggioso, per nulla spaventato dall’idea di istituire accostamenti validi<br />
unicamente per il loro peso teoretico, senza agganci possibili con una<br />
giustificazione storiografica.<br />
3. L’approfondimento che Hyppolite ha condotto sul senso del<br />
sapere assoluto, facendo uso dei concetti desunti da Heidegger, si è svolto<br />
in due tappe.<br />
Dapprima - nei lavori dei primi anni ´50 - il sapere assoluto è<br />
stato interpretato come la “radura” aperta nella quale si dà e si dice<br />
l’Essere, lo spazio del liberarsi storico della libertà umana in vista del<br />
lasciar essere ciò che è in quanto tale. Il momento culminante della<br />
Fenomenologia, da questo punto di vista, è giudicato valere come un<br />
trascendimento della coscienza che apre l’ambito di una trascendenza<br />
“orizzontale”, ossia non concepibile secondo moduli di pensiero teisti 288.<br />
Alla luce di Heidegger, l’ “orizzontalità” della trascendenza trova la sua<br />
possibilità nel fatto che la libertà umana (come senso della storia) ha un<br />
compito storico, da giocare nella particolarità dell’esperienza: il compito del<br />
sein lassen, del lasciar essere ciò che è. D’altra parte, l’esito “assoluto” di<br />
288 Certamente Hyppolite deve rimanere fedele all’impostazione hegeliana, che su questo punto<br />
non ammette concessioni di sorta: agisce qui la persuasione di Hegel per cui la religione non può<br />
essere letta che come una forma spirituale imperfetta e, in ogni caso, ineffettuale; per cui Dio non<br />
può essere che un padrone nei confronti dell’uomo.<br />
191
questa trascendenza ha la sua condizione d’esistenza nell’essere, la libertà<br />
(come senso della storia), assoluta in quanto autoassolventesi per questo<br />
compito storico: il lasciar essere assolve/assolutizza la libertà che rinuncia<br />
ad essere solo umana, che accetta di divenire il tramite per il darsi e il dirsi<br />
dell’Essere.<br />
La seconda fase della ricezione heideggeriana - quella<br />
documentata dai saggi degli anni ´60 - si innesta sulla prima e ne esplicita<br />
le implicazioni.<br />
Si gioca, in questi scritti conclusivi della parabola interpretativa<br />
di Hyppolite, il valore dell’intera impostazione critica del suo annoso<br />
impegno di studioso. E’ qui, infatti, che lo scavo speculativo intorno al<br />
sapere assoluto hegeliano, riletto alla luce del pensiero di Heidegger, riceve<br />
una calibratura decisiva.<br />
Concepire l’assolutezza della libertà pensandola come un senso<br />
dell’avventura storica, il quale si configura secondo le modalità del lasciar<br />
essere; vedere in quest’ultimo lo spazio di attuazione di una rinuncia (da<br />
parte della libertà stessa dell’uomo) attraverso la quale avviene il darsi<br />
dell’Essere; questi guadagni speculativi raggiunti nei lavori dei primi anni<br />
´50 potevano apparire applicazioni operate estrinsecamente al discorso di<br />
Hegel, partendo da suggestioni heideggeriane.<br />
Occorreva trovare, nella Fenomenologia, una conferma testuale<br />
che avallasse la congruità dell’accostamento fra i due filosofi tedeschi.<br />
Soprattutto, occorreva provare la verità di una interpretazione che in una<br />
rinuncia faceva poggiare la possibilità dell’apertura alla trascendenza, sia<br />
pure alla trascendenza sui generis quale quella che genera e mantiene<br />
aperta la manifestatività dell’Essere.<br />
Gli ultimissimi scritti hyppolitiani vogliono mostrare, appunto,<br />
la presenza di questo tema nell’opera di Hegel. L’ho documentato<br />
nell’ultimo capitolo del mio lavoro: la dimensione dell’ ”assolversi-per”,<br />
propria della libertà dell’uomo nel momento culminante delle sue<br />
192
possibilità, quella dimensione che Hyppolite aveva individuato nella<br />
proposta heideggeriana del sein lassen, per cui l’uomo liberamente rinuncia<br />
a manipolare e trasformare gli enti, curandosi del loro manifestarsi<br />
essenziale, è ritrovata dallo studioso francese nel sapere assoluto hegeliano<br />
stesso, nella configurazione del “sacrificarsi” sapendo il proprio limite.<br />
Il fatto che, nel sapere assoluto quale Hegel lo concepisce, il<br />
sapere non conosca soltanto se stesso ma anche il negativo di se stesso,<br />
ovvero il suo limite, e che tale sapere del proprio limite significhi sapersi<br />
sacrificare, tutto ciò è interpretato da Hyppolite nel senso di una libera<br />
rinuncia dell’uomo: riconoscendo il proprio limite, la propria finitezza<br />
essenziale, egli abbandona la pretesa di rimanere fermo a se stesso ma,<br />
proprio nel riconoscimento del limite, procede oltre verso la comprensione<br />
di una trascendenza necessaria.<br />
4. Trascendenza e finitezza. La tournure finale del discorso<br />
hyppolitiano si incentra attorno all’andare insieme di queste due<br />
caratteristiche dell’esperienza umana.<br />
A partire dall’aver riconosciuto la propria finitudine,<br />
l’impossibilità di mantenersi in un soggettivismo assoluto (il quale - come<br />
direbbe Hegel - non fa i conti col negativo di sé, col proprio limite), l’uomo,<br />
in un movimento che può allora diventare storico, è in grado di cominciare<br />
quel cammino di formazione nell’orizzonte del quale viene alla luce un<br />
senso totale.<br />
La rinuncia all’assoluto soggettivismo apre un percorso di<br />
continua trascendenza; attraverso di esso si conquista una nuova<br />
configurazione di assolutezza, una nuova possibilità di pensare l’assoluto<br />
per e nell’uomo storico.<br />
L’aver coniugato Hegel e Heidegger ha permesso a Hyppolite di<br />
mostrare l’unità di trascendenza e finitezza, così da vedere nell’assoluto<br />
quel movimento di trascendenza che, mantenendosi nel riconoscimento, da<br />
parte dell’uomo, della propria finitezza, conduce alla progressiva<br />
193
integrazione delle esperienze storiche e, quindi, alla strutturazione<br />
(totalizzazione) di un senso globale di esse.<br />
Questo cammino di formazione, questa progressiva integrazione<br />
delle esperienze è quella Bildung fenomenologica che Hyppolite interpreta<br />
come la conclusiva chiave di lettura dell’assoluto hegeliano 289.<br />
L’assoluto è un farsi/formarsi continuamente in atto: di<br />
continuo il senso della storia è manifestato; di continuo là dove la libertà<br />
dell’uomo mette in moto quella rinuncia, quell’abbandono al sacrificio nel<br />
limite, che apre la dimensione della trascendenza verso la totalizzazione.<br />
Non a caso “totalizzazione” è una delle parole che di più pesano<br />
- come abbiamo veduto - nell’ultimissimo Hyppolite. Totalizzazione è<br />
assolutezza ed è finitezza: è formarsi progressivo di un senso globale; è<br />
apertura al darsi di un significato dell’esperienza umana che, poiché legato<br />
ad un libero atto di rinuncia, non può mai considerarsi concluso, ma<br />
sempre in movimento di oltrepassamento, di trascendenza.<br />
Nel cammino della Bildung dell’uomo, l’assoluto si dà e si dice,<br />
si mantiene nell’apertura della libertà e si struttura come ordine<br />
autogenerantesi.<br />
L’idea di un assoluto che si genera nella libertà dell’iniziativa<br />
umana e ordina sensatamente le esperienze storiche è la conclusione di<br />
un’operazione ermeneutica che ha voluto fortemente essere fedele (ma di<br />
una fedeltà che non si immiserisce alla ripetitività, bensì opera in maniera<br />
creativa, ripensando ciò a partire da cui muove i suoi passi) a Hegel e a<br />
quella sua idea di sistema che si inaugura a partire dalla Fenomenologia. Il<br />
289 Bisogna fare attenzione a non trarre conclusioni sbagliate: dal fatto che Hyppolite abbia<br />
intrecciato così strettamente Bildung fenomenologica e assoluto non si può correttamente<br />
concludere che, allora, l’interpretazione hyppolitiana complessivamente ci restituisce uno Hegel<br />
“fenomenologico” nel senso deteriore del termine, uno Hegel, cioè, che si ferma al cammino di<br />
formazione e lascia fuori l’esito assoluto di tale cammino.<br />
Se Hyppolite, sulla scorta di Heidegger, interpreta l’assoluto come processo di assoluzione, è<br />
chiaro che cerchi anche di dare una forma teoretica congruente a tale processo e la trovi nella<br />
Bildung, nel trascendimento verso un senso universale.<br />
194
contributo di Heidegger - nell’intendimento di Hyppolite - va nel senso di<br />
questa fedeltà.<br />
Un’immagine di sistema aperto, di totalità di senso che è<br />
totalizzazione, di ordine che si va facendo: questo il frutto più maturo del<br />
confronto instaurato con Hegel da Hyppolite, uno studioso soprattutto<br />
onesto, che ci ha lasciato, in tal modo, da pensare.<br />
195
Abbreviazioni<br />
Bibliografia<br />
BSFP “Bulletin de la société française de philosophie”<br />
DV “Dieu Vivant”<br />
EP “Les études philosophiques”<br />
NRF “Nouvelle revue française”<br />
PPR “Philosophy and phenomenological research”<br />
RF “Ricerche filosofiche”<br />
RHP “Revue d’histoire de la philosophie”<br />
RMM “Revue de métaphysique et de morale”<br />
RP “Recherches philosophiques”<br />
RPFE “Revue philosophique de la France et de l’étranger”<br />
RS “Revue de Synthèse”<br />
RSPT “Revue de sciences philosophiques et théologiques”<br />
TM “Les temps moderns”<br />
N.B.<br />
La cifra fra parentesi quadre [...] indica l’anno di pubblicazione del testo in<br />
questione. Si è usato indicare un testo riportando il nome dell’autore seguito<br />
dall’anno di edizione. Ad es. Hyppolite 1935 indica il saggio indicato in<br />
bibliografia tra gli scritti di Jean Hyppolite preceduto da [1935].<br />
Nel solo caso di Hyppolite 1939, le pagine indicate nelle note al testo non si<br />
riferiscono all’originale francese, ma alla traduzione italiana contenuta in<br />
Hyppolite 1955.<br />
196
A. Traduzioni francesi delle opere di Hegel pubblicate fino al 1968<br />
Esthétique, trad. di Ch. Bénard, Paris, 1840-52, 5 voll.<br />
La logique subjective, trad. di Slomann e Wallon, Paris, 1854.<br />
Logique trad. di A. Vera, Paris, 1859 (1874 2 , Bruxelles 1969 3 ) 2 voll.<br />
Philosophie de la nature, trad. di A. Vera, Paris, 1863-66 (Bruxelles 1969 2 ) 3 voll.<br />
Philosophie de l’esprit, trad. di A. Vera, Paris, 1867-69 (Bruxelles 1969 2 ) 2 voll.<br />
Philosophie de la religion, trad. di A. Vera, Paris, 1876-78, 2 voll.<br />
Vie de Jésus, trad. di D. Rosca, Paris, 1928.<br />
Leçons sur la philosophie de l’histoire, trad. di J. Gibelin, Paris, 1937 (1946 2 ), 2<br />
voll.<br />
Morceaux choisis, trad. di H. Lefebvre e N. Guterman, Paris, 1939.<br />
Phénoménologie de l’esprit, trad. di J Hyppolite, Paris, 1939-41, 2 voll.<br />
Principes de la philosophie du droit, trad. di A. Kaan, Paris, 1940.<br />
Leçons d’esthéthique, trad. di S. Jankélévitch, Paris, 1944, 4 voll.<br />
Les preuves de l’existence de Dieu, trad. di H. Niel, Paris, 1947.<br />
L’esprit du christianisme et son destin, trad. di J. Martin, Paris, 1948.<br />
Hamann jugé par Hegel, in Klossowski, Les méditations bibliques de Hamann,<br />
Paris, 1948, pp. 65-117.<br />
Science de la logique, trad. di S. Jankélévitch, Paris, 1949, 2 voll.<br />
Précis de l’Encyclopédie des sciences philosophiques, trad. di J. Gibelin, Paris,<br />
1952.<br />
Premières publications: Différence des systèmes philosophiques de Fichte et de<br />
Schelling; Foi et savoir, trad. di M. Méry, Paris, 1952.<br />
Introduction aux Leçons sur l’histoire de la philosophie, trad. di J. Gibelin, Paris,<br />
1954.<br />
Leçons sur la philosophie de la religion, trad. di J. Gibelin, Paris, 1954-59, 4 voll.<br />
Correspondance, trad. di J. Carrière, Paris, 1962-67, 3 voll.<br />
Propédeutique philosophique, trad. di M. de Gandillac, Paris, 1963.<br />
Préface de la Phénoménologie de l’esprit, trad. e note a cura di J. Hyppolite, Paris,<br />
1966.<br />
197
La première philosophie de l’esprit (Iéna 1803-04), trad. di G. Planty-Bonjour,<br />
Paris, 1969.<br />
B. Scritti di Jean Hyppolite<br />
1. [1935] Les travaux de jeunesse de Hegel d’après des ouvrages récents,<br />
in”RMM”, (42), 1935, I, pp. 399-426; II, pp. 549-78.<br />
2. [1938] Vie et prise de conscience de la vie dans la philosophie hégélienne d’Iéna,<br />
in “RMM”, (45), 1938, pp. 45-61.<br />
3. [1939] La signification de la Révolution française dans la Phénoménologie de<br />
Hegel, in “RPFE”, n. 9-12, 1939.<br />
4. [1940] Notice a: G.W.F. Hegel, Principes de philosophie du droit, Paris, 1940.<br />
5. Débat sur le péché, in “DV”, n. 4, 1945, pp. 83-136. (dibattito con Bataille e<br />
Sartre); trad. it. BS, 1980.<br />
6. [1945A] L’aliénation hégélienne et la critique (1945), in “Atti del Congresso<br />
internazionale di filosofia”, MI, 1947, vol. I, pp. 53-5.<br />
7. [1945] Jaspers, in “DV”, n. 3, 1945, pp. 61-80.<br />
8. Note sur Paul Valéry et la crise de la conscience, in “La vie intellectuelle”, (14),<br />
n. 3, 1946, pp. 121-6.<br />
9. Marxisme et philosophie, in “La Revue socialiste”, n. 5, 1946.<br />
10.[1946B] L’existence dans la Phénoménologie de Hegel, in “Etudes<br />
germaniques”, n. 2, 1946.<br />
11.recens. a: P. Burgelin, L’homme et le temps, in “DV”, n. 5, 1946.<br />
12.[1946A] recens. a: H. Niel, De la médiation dans la philosophie de Hegel, in<br />
“DV”, n. 6, 1946.<br />
13.[1989 (=1946)] Genèse et structure de la “Phénoménologie de l’esprit” de Hegel,<br />
Paris, 1946; trad. it. FI, 1972, 1989 2 .La conception hégélienne de l’Etat et sa<br />
critique par Karl Marx, in “Cahiers internationaux de sociologie” (2), 1947, pp.<br />
142-61.<br />
14.[1947A] Situation de l’homme dans la Phénoménologie hégélienne, in “TM”, (2),<br />
1947, pp. 1276-89.<br />
198
15.interv. in: La théorie physique et ses principes fondamentaux, “BSFP”, (42), n.<br />
1-2, 1948.<br />
16.De la structure du Capital et de quelques présuppositions philosophiques de<br />
l’oeuvre de Marx, in “BSFP”, (42), n. 6, 1948.<br />
17.[1948A] Introduction a: G.W.F. Hegel, L’esprit du christianisme et son destin,<br />
trad fr. Paris, 1948.<br />
18.[1980 (=1948)] Introduction à la philosophie de l’histoire de Hegel, Paris, 1948;<br />
trad. it. in: R. Salvadori (cur.), Interpretazioni hegeliane, FI, 1980, pp. 331-93.<br />
19.Situation de Jaspers, in “Esprit”, (16), 1948, pp. 482-96.<br />
20.De bergsonnisme à l’existentialisme, in “Mercure de France”, n. 1031, 1949.<br />
21.Vie et philosophie de l’histoire chez Bergson, in “Actes du I er Congrès inter. de<br />
philosophie”, Mendoza, Argentina (aprile 1949); poi in “Mercure de France”, n.<br />
1031, 1949.<br />
22.Note sur Amos, in “DV”, n. 13, 1949.<br />
23.recens. a: J. Daniélou, Le mystère de l’Avent, in “DV”, n. 13, 1949.<br />
24.Aspects divers de la mémoire chez Bergson, in “Revue internationale de<br />
philosophie”, (3), 1949, pp. 373-91; trad. it. in “Aut Aut”, n. 204, 1984, pp. 27-<br />
41.<br />
25.L’existence, l’imaginaire et la valeur chez Alain, in “Mercure de France”, n.<br />
1034, 1949.<br />
26.Préface a: M. Deschoux, La philosophie de L. Brunschvicg, Paris, 1949.<br />
27.[1949] Humanisme et hégélianisme, (1949), in “Umanesimo e scienza politica.<br />
Atti del I Congresso internazionale di studi umanistici”, MI, 1952.<br />
28.Le peintre et le philosophe, in “Mercure de France”, n. 1042, 1950.<br />
29.La liberté chez Jean-Paul Sartre, in “Mercure de France”, n. 1055, 1951.<br />
30.Alain et les dieux, in “Mercure de France”, n. 1060, 1951.<br />
31.Paul Valéry et la conscience de la vie, in “Anhembi”, n. 7, 1951.<br />
32.Aliénation et objectivation: à propos du livre de Lukács sur “La jeunesse de<br />
Hegel”, in “Etudes germaniques”, n. 2, 1951.<br />
33.[1952A] Ruse de la raison et histoire chez Hegel, (1952), in “Cristianesimo e<br />
ragion di stato. Atti del II Congresso internazionale di studi umanistici”, RM-<br />
MI, 1953, pp. 87-91.<br />
34.[1952] Essai sur la logique de Hegel, in “Revue internationale de philosophie”,<br />
(6), n. 19, 1952, pp. 35-49.<br />
199
35.Note en manière d’introduction à “Que signifie penser?”, in “Mercure de<br />
France”, n. 1075, 1953, pp. 385 sgg..<br />
36.[1953] Logique et existence. Essai sur la logique de Hegel, Paris, 1953.<br />
37.[1953-54] La critique hégélienne de la réflexion kantienne, in “Kant-Studien”,<br />
(45), n. 1-4, 1953-54, pp. 83-95.<br />
38.Ontologie et phénoménologie chez Martin Heidegger, in “EP”, (9), n. 3, 1954, pp.<br />
307-14.<br />
39.Gaston Bachelard ou le romantisme de l’intelligence, in “RPFE”, (79), n. 1-3, pp.<br />
85-96.<br />
40.Commentaire parlé sur la “Verneinung” de Freud, (1954), in J. Lacan, Ecrits,<br />
Paris, 1966; trad. it. in “Nuova corrente” (Milano), n. 61-62, 1973, pp. 128-38.<br />
41.interv. in: Brunschvicg et l’histoire de la philosophie, “BSFP”, (48), n. 1, 1954.<br />
42.Préface a: R. Lapoujade, Les mécanismes de fascination, Paris, 1955.<br />
43.interv. in: Signification de a priori, “BSFP”, (49), n. 3, 1955.<br />
44.Dialectique et dialogue dans la Phénoménologie de l’esprit de Hegel, in<br />
“Entretiens philosophiques d’Athènes (2-6 aprile 1955)”, s.d., Institut<br />
international de philosophie, pp. 184-6.<br />
45.[1955] Etudes sur Marx et Hegel, Paris, 1955; trad. it. MI, 1963, 1965 2<br />
(Comprende i nn. 2, 3, 9, 10, 14, 15, 17, 33, 35).<br />
46.A chronology of french existentialism, in Foray though existentialism “Yale<br />
french studies”, n. 16, 1955-56.<br />
47.et alii, L’histoire: connaissance ou mystère?, in “Recherches et débats”, n. 15,<br />
1956, pp. 159-76.<br />
48.[1957] “Phénoménologie” de Hegel et psychanalyse, in “Psychanalyse”, n. 3,<br />
1957.<br />
49.interv. in Behaviorisme et dualisme, “BSFP”, (51), n. 1, 1957.<br />
50.interv. in: La psychanalyse et son enseignement, “BSFP”, (51), n. 2, 1957.<br />
51.Du sens de la géométrie de Descartes dans son oeuvre, in “Cahiers de<br />
Royaumont”, n. 2, 1957.<br />
52.Le coup de dés de Stéphane Mallarmé et le message, in “EP”, (13), n. 4, 1958,<br />
pp. 463-8; e in “Atti del XII Congresso internazionale di Filosofia, IV (Venezia<br />
12-18 settembre 1958)”, FI, 1960, pp. 131-7.<br />
53.[1959] L’idée fichtéenne de la doctrine de la science et le projet husserlien, in<br />
AA.VV., Husserl et la pensée moderne, Le Haye, 1959, pp. 173-82.<br />
200
54.interv. in: Hommage solennel à Henri Bergson, “BSFP”, (54), n. 1, 1960; poi in:<br />
AA.VV., Bergson et nous II, Paris, 1960, pp. 281-302.<br />
55.interv. in: La conception de la conscience chez Kant et chez Husserl, “BSFP”,<br />
(54), n. 2, 1960.<br />
56.interv. in: La volonté dans la philosophie de Malebranche, “BSFP”, (54), n. 3,<br />
1960.<br />
57.Existence et dialectique dans la philosophie de Merleau-Ponty, in “TM”, (17), n.<br />
184-85, 1961, pp. 228-44.<br />
58.et alii, Entretiens d’Oberhofen. Limites et critères de la connaissance, Paris,<br />
1961; v. anche “Dialectica”, (15), n. 1-2 (fasc. 57-58), pp. 25-51; 209-27; 263-<br />
96.<br />
59.L’épistémologie de Gaston Bachelard, in “Revue d’histoire des sciences”,<br />
dicembre, 1962; poi in “Revue d’histoire des sciences et de leurs applications”,<br />
(17), 1964, pp. 1-11.<br />
60.Marxisme et existentialisme, controverse sur la dialectique, Paris, 1962.<br />
61.Sens et existence dans la philosophie de M. Merleau-Ponty, in “The Zaharoff<br />
Lecture”, Oxford-London, 1963.<br />
62.interv. in: La notion d’archaïsme en philosophie, “BSFP”, (57), n. 1, 1963.<br />
63.[1963] Leçon inaugurale faite le 19 décembre 1963 (Collège de France), Nogent-<br />
le-Rotrou, 1964.<br />
64.[1964A] L’idée de la doctrine de la science et le sens de son évolution chez<br />
Fichte, in AA.VV., Hommage à M. Gueroult. L’histoire de la philosophie, ses<br />
problèmes, ses méthodes, Paris, 1964, pp. 93-108.<br />
65.Discours d’introduction allo “Hegel-Tage Royaumont”, (1964), in “Hegel-<br />
Studien”, n. 3, 1966.<br />
66.L’état du droit (la condition juridique), (1964), in “Hegel-Studien”, n. 3, 1966.<br />
67.[1964] Le tragique et le rationnel dans la philosophie de Hegel, in “Hegel-<br />
Jahrbuch”, 1964, pp. 9-15.<br />
68.interv. in: Le possible, “BSFP”, (58), n. 4, 1964.<br />
69.interv. in: AA.VV., Hommage à Gaston Berger, Gap. Edit. Ophyris (Publ. de la<br />
fac. de Lettres de Aix en Provence), 1964, pp. 119-31 (Messages de France).<br />
70.intervv. in: AA.VV., Le concept d’information dans la science contemporaine,<br />
Paris, 1965, cfr. pp. 28-46; 58-77; 106-32; 153-72; 296-310; 327-36; 359-74.<br />
201
71.Le mythe et l’origine. A propos d’un texte de Platon, in “Archivio di filosofia”,<br />
1965; anche in AA.VV., Demitizzazione e morale, PD, 1965, pp. 21-4; cfr. qui<br />
anche pp. 35-48; 67-75; 143-54; 165-8; 227-32 (discussione).<br />
72.Préface a: Fichte, La destination de l’homme, trad. fr. Paris, 1965.<br />
73.interv. in: Le language et l’immanence, “BSFP”, (59), n. 1, 1965.<br />
74.interv. in: Philosophie et religion, “BSFP”, (59), n.2, 1965.<br />
75.Langage et être. Langage et pensée, in “Actes du XIII ème Congrès des sociétés<br />
de philosophie de langue française”, Genève, 1966.<br />
76.Le phénomène de la “Reconnaissance universelle” dans l’expérience humaine,<br />
in AA.VV., Le fondement des droits de l’homme, FI, 1966, pp. 122-5. V. anche<br />
pp. 167-90; 208-28; 246-69; 310-50 (discussione).<br />
77.interv. in AA.VV., L’inconscient, Paris, 1966, pp. 236-53 e 335-43.<br />
78.interv. in: Le climat de la découverte en biologie, “BSFP”, (60), n. 4, 1966.<br />
79.introd. e note a: G.W.F. Hegel, Préface de la Phénoménologie de l’esprit, Paris,<br />
1966.<br />
80.Remarque a: AA.VV., Démonstration, vérification, justification. Entretien de<br />
l’inst. intern. philos. Liège 1967, Louvain-Paris, 1968, pp. 67-92; cfr. anche pp.<br />
165-79 (discussione).<br />
81.Le “scientifique” et l’ “idéologique” dans une perspective marxiste, in “Diogène”,<br />
n. 64, 1968; anche in “Akten XIV. Intern. Kongr. Philos.”, Wien, 1968, pp. 53-<br />
61. Trad. it. in AA.VV., Marx vivo, VR, 1969, vol. I, pp. 300-9.<br />
82.La compréhension de l’histoire vécue chez Marx (à propos du 18 Brumaire), in<br />
AA.VV., La compréhension de l’histoire, Jérusalem, 1968, pp. 159-81.<br />
83.Résumé des cours et travaux de l’année scolaire 1967-68 au Collège de France.<br />
Histoire de la pensée philosophique, in “Annuaire du Collège de France”<br />
(68),1968, pp. 279-83.<br />
84.Une perspective nouvelle sur Marx et le marxisme, in AA.VV. cur. R. Klibansky,<br />
Contemporary Philosophy IV, FI, 1971, pp. 339-57.<br />
85.[1971] Figures de la pensée philosophique. Ecrits (1931-1968), 2 voll., Paris,<br />
1971 (Comprende i nn. 4, 7, 10, 15, 20, 21, 22, 25, 26, 28, 29, 30, 31, 32, 33,<br />
34, 35, 36, 38, 39, 40, 41, 43, 49, 52, 53, 54, 58, 60, 62, 64, 65, 67, 68, 72,<br />
73, 76, 77, 82, 83. Oltre a ciò comprende anche i seguenti inediti:<br />
• L’esthétique de Paul Claudel (1931).<br />
• Vie et existence d’après Bergson (1950).<br />
202
• Hegel et Kierkegaard dans la pensée française contemporaine (1955).<br />
• Pathologie mentale et organisation (1955).<br />
• Histoire et existence (1955).<br />
• Psychanalyse et philosophie (forse 1955).<br />
• Dialectique et dialogue dans la “Phénoménologie de l’esprit” (1956 o<br />
1957).<br />
• [1957A] La “Phénoménologie” de Hegel et la pensée française<br />
contemporaine (1957).<br />
• L’existence humaine et la psychanalyse (1959).<br />
• Philosophie et psychanalyse (1959).<br />
• Etude du commentaire de l’introduction à la “Phénoménologie” par<br />
Heidegger (1959 o 1960).<br />
• [1960A] Nécessité et liberté dans l’histoire et la connaissance<br />
historique (1960).<br />
• La machine et la pensée (1961).<br />
• L’évolution de la pensée de Merleau-Ponty (1961).<br />
• [1962] Projet d’enseignement d’histoire de la pensée philosophique<br />
(1962).<br />
• L’imaginaire et la science chez Gaston Bachelard (1963).<br />
• Sur “Les Mots” de Jean-Paul Sartre (forse 1964).<br />
• [1965] La situation de la philosophie dans le monde contemporaine<br />
(1965).<br />
• Hegel à l’Ouest (1965).<br />
• [1966] Essai d’interprétation de la préface de la “Phénoménologie”<br />
(1966).<br />
• [1967] La première philosophie de l’esprit de Hegel (1967).<br />
• [1967B] Note sur la Préface de la “Phénoménologie de l’esprit” et le<br />
thème: l’absolu est sujet (forse 1967).<br />
• Information et communication (forse 1967).<br />
• [1967A] Structure du langage philosophique d’après la préface de la<br />
“Phénoménologie de l’esprit” (forse 1967).<br />
• L’intersubjectivité chez Husserl (s.d.).<br />
• La psychanalyse existentielle chez Jean-Paul Sartre (s.d.).<br />
203
C. Saggi critici citati. Altri testi consultati<br />
Alquié F., recens. a: J. Hyppolite, Genèse et structure de la Phénoménologie de<br />
l’esprit de Hegel, in “RPFE”, n. 4-6, 1950.<br />
[1954] Alquié F., Jean Wahl et la philosophie, in “Critique”, (10), n. 85, 1954, pp.<br />
518-38.<br />
[1975] Alquié F., Jean Wahl, in “EP”, n. 1, 1975, pp. 79-88.<br />
Anonimo, Soutenance de thèse, in “RMM”, n. 2, 1947, pp. 188-9.<br />
Bauer I, Einige Bemerkungen zur Geschichte der Hegel-Beschäftigung in<br />
Frankreich, in “Deutsche Zeitschrift für philosophie”, n. 7, 1970.<br />
[1967] Bedeschi G., Appunti per una storia delle interpretazioni della<br />
Fenomenologia dello spirito, in “Giornale critico della filosofia italiana”, (46),<br />
1967, pp. 561-617.<br />
[1973] Bedeschi G., Politica e storia in Hegel, RM-BA, 1973.<br />
Beyer W.R., Hommage à J. Hyppolite et introduction au VII e Congrès intern. Hegel,<br />
in “Hegel-Jahrbuch”, 1968-9, pp. 1-7.<br />
[1946] Blin G., La non-philosophie de Jean Wahl, in “Fontaine”, (5), 1946, n. 51,<br />
pp. 632-48 e n. 52.<br />
[1965 (= 1950)] Bobbio N., Studi hegeliani, in: Id., Da Hobbes a Marx, NA, 1965,<br />
pp. 165-238; prima in “Belfagor”, (5), 1950.<br />
[1991] Bonacina G., Note su Jean Hyppolite e Alexandre Kojève interpreti della<br />
Fenomenologia dello spirito, in “Pensiero”, (31), 1991, pp. 73-99.<br />
Bourgeois B., Alain, lecteur de Hegel, in “RMM”, (92), 1987, pp. 238-56.<br />
Bréhier E., recens. a: J. Hyppolite, Introduction à la philosophie de l’histoire de<br />
Hegel, in “RPFE”, n. 4-6, 1950.<br />
[1927] Brunschvicg L., Le progrès de la conscience dans la philosophie occidentale,<br />
Paris, 1927, 1953 2 .<br />
[1948] Caillois R., “Genèse et structure de la ``Phénoménologie de l’esprit`` de<br />
Hegel” par Jean Hyppolite, in “TM”, n. 31, 1948, pp. 1898-904.<br />
Calvez J.Y., Marxisme, idéologie et philosophie, in “Critique”, n. 111-2, 1956.<br />
204
[1948-49] Canguilhem G., Hegel en France, in “Revue d’histoire et de philosophie<br />
religieuse”, n. 4, 1948-49.<br />
Canguilhem G., Jean Hyppolite (1907-1968), in “RMM”, (74), 1969, pp. 129-30 e<br />
in “Revue Internationale de Philosophie”, 1969, pp. 548-50.<br />
[1958] Chaix-Ruy J., France, in AA.VV., Les grands courants de la pensée<br />
mondiale contemporaine, Mi, 1958, vol. I, pp. 535-71.<br />
Cranaki M., Jean Hyppolite: “Logique et existence”, in “RMM” n. 2, 1954, pp. 202-<br />
5.<br />
Croce B., L’odierno “Rinascimento esistenzialistico” di Hegel, in “Quaderni della<br />
critica”, n. 15, 1949, pp. 14-20.<br />
Dagognet F., Vie et théorie de la vie selon J. Hyppolite, in AA.VV., Hommage à<br />
Jean Hyppolite, Paris, 1971, pp. 181-94.<br />
[1989] Dal Pra M., Presentazione a: J. Hyppolite, Genesi e struttura della<br />
“Fenomenologia dello spirito” di Hegel, trad. it. FI, 1989 2 ,1972 1 , pp. V-XVIII.<br />
[1948] De Gandillac M., Ambiguïté hégélienne, in “DV”, 1948, pp. 125-44.<br />
[1954] Deleuze G., Logique et existence, in “RPFE”, n. 79, 1954, pp. 457-60.<br />
Derins F., Etudes hégéliennes, in “La Nef”, (4), 1947, pp. 137-9.<br />
De Waelhens A., recens. a: J. Hyppolite, Etudes sur Marx et Hegel, in “Revue<br />
philosophique de Louvain”, n. 42, 1956, pp. 310-15.<br />
[1969] D’Hondt J., In memoriam. Jean Hyppolite, in “EP”, n. 1, 1969, pp. 87-92.<br />
[1947] Dufrenne M., A propos de la thèse de Jean Hyppolite, in “Fontaine”, n. 61,<br />
1947 pp. 461-70.<br />
Dufrenne M., Actualité de Hegel, in “Esprit”, (16), 1948, pp. 396-408. Poi in: Id.,<br />
Jalons, Le Haye, 1966, pp. 70-83.<br />
Feraud H., Un commentaire de la “Phénoménologie de l’esprit” de Hegel, in “La<br />
revue internationale”, n. 17, 1947.<br />
Fessard G., Deux interprètes de la phénoménologie de Hegel: Jean Hyppolite et<br />
Alexandre Kojève, in “EP”, (255), 1947, pp. 368-75.<br />
[1932] Forest A., L’hégélianisme in France, in AA.VV., Hegel nel centenario della<br />
morte, MI, 1932, pp. 53-117.<br />
Forest A., Etudes sur Hegel, in “Revue thomiste”, (47), n. 2, 1947, pp. 372-6.<br />
[1969] Foucault M., Jean Hyppolite (1907-1968), in “RMM”, (74), 1969, pp. 131-6.<br />
[1950] Gardeil H.D., Hégélianisme, in “Revue des sciences philosophiques et<br />
théologiques”, n. 4, 1950, pp. 589-94.<br />
205
[1931] Hartmann N., Hegel et le problème de la dialectique du réel, in “RMM”, n. 3,<br />
1931, pp. 285-316.<br />
[1973 (= 1807)] Hegel G.W.F., Fenomenologia dello spirito, trad. it. FI, 1973 (=<br />
1960).<br />
Heidegger M., Brief ueber den Humanismus, trad. it., MI, 1995.<br />
Heidegger M., Hegels Begriff der Erfahrung , in “Holzwege”, trad. it. FI, 1962.<br />
Heckman J., Hyppolite and the Hegel revival in France, in “Telos”, n. 16, 1973.<br />
[1953] Jankélévitch V., Mystique et dialectique chez Jean Wahl, in “RMM”, (58),<br />
1953, pp. 423-31. Poi in “EP”, n. 1, 1975, pp. 89-98.<br />
Kopper J., Die Negativität des Denkens. In Memoriam Jean Hyppolite, in “Kant-<br />
Studien”, (60), 1969, pp. 397-403.<br />
[1980 (= 1931)] Koyré A., Rapport sur l’état des études hégéliennes en France, in<br />
AA.VV., Verhandlungen des ersten Hegelkongresses von 22 bis 25 April im Haag,<br />
Mohr-Tübingen, 1931; poi in; A. Koyré, Etudes d’histoire de la pensée<br />
philosophique, Paris, 1961. Trad. it. in: R. Salvadori (cur.), Interpretazioni<br />
hegeliane, FI, 1980, pp. 3-27.<br />
[1980 (= 1934)] Koyré A., Hegel à Iéna (A propos de publications récents), in<br />
“RPFE”, I, 1934, pp. 274-83; II, 1935, pp. 420-58. poi in; A. Koyré, Etudes<br />
d’histoire de la pensée philosophique, Paris, 1961. Trad. it. in: R. Salvadori (cur.),<br />
Interpretazioni hegeliane, FI, 1980, pp. 133-67.<br />
[1956] Lacorte C., Studi sugli scritti giovanili di Hegel, in “Rassegna di Filosofia”,<br />
(5), 1956, I, pp. 5-25; II, pp. 117-35; III, pp. 227-51.<br />
[1966] Lacroix J., L’expérience métaphysique de Jean Wahl, in: Id. Panorama de la<br />
philosophie française contemporaine, Paris, 1966, pp. 171-6.<br />
Lacroix J., Hyppolite et Hegel, “Le Monde”, 21-22 maggio 1972.<br />
Lavelle L., Panorama des doctrines philosophiques, Paris 1967.<br />
[1976 (= 1955)] Lévinas E., Jean Wahl et le sentiment, in “Cahiers du Sud”, n.<br />
331, 1955; poi in: Id., Noms Propres, Paris, 1976.<br />
[1954] Mancini I., La metafisica “sentimentale” di Jean Wahl, in “Rivista di<br />
filosofia neoscolastica”, (46), 1954, pp. 505-32.<br />
[1948-49] Marcoux C., Genèse et structure de la “Phénoménologie de l’esprit” de<br />
Hegel par Jean Hyppolite, in “EP”, 1948-49, pp. 49-62.<br />
Marini G., Dilthey e il giovane Hegel, in AA.VV., Incidenza di Hegel, NA, 1970, pp.<br />
783-841.<br />
206
Mehl R., recens. a: J. Hyppolite, Introduction à la philosophie de l’histoire de<br />
Hegel, in “Revue d’histoire et de philosophie religieuse”, n. 4, 1948-49, pp. 351-<br />
4.<br />
[1946] Merleau-Ponty M., L’existentialisme chez Hegel. Une conférence de J.<br />
Hyppolite, in “TM”, (1), 1946, pp. 1311-9. Trad it. in: Id., Senso e non senso, MI,<br />
1962.<br />
Mimoune Rabia, La philosophie comme système de l’idéalisme absolu dans<br />
l’oeuvre de Jean Wahl, in “Hegel-Jahrbuch”, 1990, pp. 47-54.<br />
Nadeau M., Histoire du Surréalisme. Suivi de Documents surréalistes, Paris, 1964.<br />
Trad it. col titolo Storia e antologia del surrealismo, MI, 1972.<br />
[1966] Negri A., Gli studi hegeliani in Francia, in “Cultura e scuola”, n. 18, 1966,<br />
pp. 157-64.<br />
[1953] Ouy A., Connaissance de Hegel, in “Mercure de France”, n. 1078, 1953,<br />
pp. 365-8.<br />
Pachet P., recens. a: J. Hyppolite, Figures de la pensée philosophique, in “La<br />
quinzaine littéraire”, n. 136, 1972.<br />
[1990] Pieri S., La vocazione del concreto. Saggio su Jean Wahl, MI, 1990.<br />
[1972] Pompeo Faracovi Ornella, Il marxismo francese contemporaneo, MI, 1972.<br />
In particolare le pp. 9-87.<br />
[1955] Ricoeur P., Philosophie et ontologie. I. Retour à Hegel, in “Esprit”, (23), n.<br />
229, 1955, pp. 1378-91.<br />
Queneau R., Premières confrontations avec Hegel, in “Critique”, (19), n. 195-96,<br />
1963, pp. 694-700.<br />
[1960] Rossi M., Marx e la dialettica hegeliana, I, Hegel e lo stato, Roma, 1960.<br />
[1988] Roth M., Knowing and history. Appropriations of Hegel in 20 th century<br />
France, Ithaca (N.Y.), 1988.<br />
[1974] Salvadori R., Hegel in Francia. Filosofia e politica nella cultura francese del<br />
`900, BA, 1974.<br />
[1980] Salvadori R., (Cur.) Interpretazioni hegeliane, FI, 1980.<br />
Schuhl P.M., A la mémoire de Jean Hyppolite (1907-1968), in “RPFE”, (93), 1968,<br />
pp. 425-6.<br />
[1954] Stallknecht N.P., Beyond the concrete: Wahl’s dialectical existentialism, in<br />
“Review of Metaphysics”, (8), 1954, pp. 144-55.<br />
207
[1954] Valentini F., Studi hegeliani in Francia, in “Rassegna di filosofia”, (3), 1954,<br />
pp. 5-36.<br />
[1958] Valentini F., La filosofia francese contemporanea, MI, 1958.<br />
[1961] Vasoli C., Opinioni sul “giovane Hegel”, in “Inventario”, nn. 1-6, 1955; poi<br />
in: Id., Tra cultura e ideologia, MI, 1961.<br />
[1950] Vuillemin J., Etudes hégéliennes, in “RFFE”, n. 4-6, 1950, pp. 191-200.<br />
D. Scritti di Jean Wahl<br />
1. Du rôle de l’idée de l’instant dans la philosophie de Descartes, Paris, 1920,<br />
1953 2 .<br />
2. [1920] Les philosophies pluralistes d’Angleterre et d’Amérique, Paris, 1920.<br />
3. [1922] William James d’après sa corrispondance, in “RPFE”, maggio e luglio-<br />
dicembre 1922.<br />
4. Néo-Réalistes d’Angleterre et d’Amérique, in “RPFE”, n. 7-8, 1923.<br />
5. Etude sur le “Parménide” de Platon, Paris, 1926, 1951 2 .<br />
6. Note sur les démarches de la pensée de Hegel, in “RPFE”, n. 1, 1926.<br />
7. La place de l’idée de malheur de la conscience dans la formation des théories de<br />
Hegel, in “RPFE”, nn. 11-12, 1926, e 7-8, 1927.<br />
8. Commentaire d’un passage de la “Phénoménologie de l’esprit” de Hegel, in<br />
“RMM”, n. 4, 1927.<br />
9. Sur la formation de la théorie hégélienne du Begriff, in “RHP”, n. 4, 1927 e n. 1,<br />
1928.<br />
10.[1972 (= 1929)] Le malheur de la conscience dans la philosophie de Hegel,<br />
Paris, 1929, 1951 2 ; trad. it. MI, 1972.<br />
11.Le mysticisme de Kierkegaard, in “Hermès”, n. 1, 1930.<br />
12.Recens. a A. Koyré, La philosophie de Jacob Boehme, in “RPFE”, n. 3-4, 1930.<br />
13.Le Journal métaphysique de Gabriel Marcel, in “RMM”, n. 1, 1930.<br />
14.La philosophie spéculative de Whitehead, in “RPFE”, nn. 5-6 e 7-8, 1931.<br />
15.[1980 (= 1931)] Hegel et Kierkegaard, in “RPFE”, n. 11-12, 1931; trad. it. in<br />
AA.VV. cur. R. Salvadori, Interpretazioni hegeliane, FI, 1980, pp. 55-117.<br />
208
16.Les revues philosophiques allemandes et le centenaire de Hegel, in “RPFE”, n.<br />
11-12, 1931.<br />
17.Recens. a Moog, Hegel und die Hegelsche Philosophie; Häring, Hegel, sein<br />
Wollen und sein Werk; Della Volpe, Hegel romantico e mistico; Foster, Die<br />
Geschichte als Schicksal des Geistes; Wolny, Hegel’s Wissenschaft von der<br />
Wirklichkeit; Verhandlungen des ersten Hegelkongresses; Levy, Die Hegel-<br />
Renaissance in der Deutschen Philosophie, in “RPFE”, n. 11-12, 1931.<br />
18.Recens. a E. Lévinas, La théorie de l’intuition dans la phénoméologie de<br />
Husserl, in “NRF”, ottobre 1931.<br />
19.Kierkegaard: l’angoisse et l’instant, in “NRF”, aprile 1932.<br />
20.[1931-32] Vers le concret, in “RP”, I, 1931-32.<br />
21.Vers le concret. Etudes d’histoire de philosophie contemporaine, Paris, 1932<br />
(Comprende i nn. 3, 4, 13, 14, 20).<br />
22.Heidegger et Kierkegaard. Recherche des éléments originaux de la philosophie<br />
de Heidegger, in “RP”, II, 1932-33.<br />
23.Heidegger et Kierkegaard, in: Verhandlungen des Dritten Hegelkongresses, cur.<br />
B. Wigersma, Tübingen - Haarlem, 1934; trad it. in AA.VV. cur. R. Salvadori,<br />
Interpretazioni hegeliane, FI, 1980, pp. 119-32.<br />
24.Sur quelques categories kierkegaardiennes: l’existence, l’individu isolé, la<br />
pensée subjective, in “RP”, (3), 1933-34.<br />
25.La théorie de la croyance chez Kierkegaard, in “Foi et Vie”, n. 64, 1934.<br />
26.Le problème du choix, l’existence et la transcendance dans la philosophie de<br />
Jaspers (étude critique), in “RMM”, (41), 1934.<br />
27.Sur l’absolu, in “Idealismus”, (Zürich), I, 1934.<br />
28.Poèmes commentés, in “Hermès”, maggio, 1934.<br />
29.Poèmes de circonstance, Lyon, 1934.<br />
30.Notes sur l’idée d’être, in “RP”, (4), 1934-35.<br />
31.S. Kierkegaard. Le paradoxe, in “RSPT”, (24),n. 2, 1935.<br />
32.Introduction a S. Kierkegaard, Le concept de l’angoisse, Paris, 1935.<br />
33.Introduction a S. Kierkegaard, Crainte et tremblement, Paris, 1935.<br />
34.Risposta al Referendum, in “RF”, n. 1, 1935.<br />
35.Le Nietzsche de Jaspers, in “RP”, (6), 1935-36.<br />
36.Sur la notion d’histoire de la philosophie, in “BSFP”, (36), n. 1, 1936.<br />
37.Gesellschaftskritik und Skeptizismus bei Rosa Macaulay, Tübingen, 1936.<br />
209
38.Philosophie moderne, in “RP”, (6), 1936-37, pp. 441-53.<br />
39.e Kojève A., Phénoménologie, in “RP”, (6), 1936-7.<br />
40.Nietzsche et la mort de Dieu, in “Acéphale”, (Paris), 1937. Num. speciale.<br />
41.Subjectivité et transcendance, in “BSFP”, (37), 1937.<br />
42.Sur l’idée de transcendance, in AA.VV. Congrès Descartes VIII, Paris, 1937.<br />
43.Novalis et le principe de contradiction, in “Cahiers du Sud”, (Paris), n. 194, (16),<br />
1937.<br />
44.Notes sur Descartes, in “RPFE”, nn. 5-6 e 7-8, 1937.<br />
45.Le “psicologique” et le “vital”, in “BSFP”, n.1, 1938.<br />
46.La formation de l’esprit scientifique, par Gaston Bachelard, in “NRF”, n. 299,<br />
1938.<br />
47.Au collège de sociologie, in “NRF”, febbraio, 1938.<br />
48.Une discussion sur la profondeur, in “NRF”, marzo, 1938.<br />
49.Satire, in “NRF”, giugno, 1938.<br />
50.Etudes kierkegaardiennes, Paris, 1938 (Comprende, fra l’altro, i nn. 15, 23,<br />
24, 25, 26, 31).<br />
51.Connaître sans connaître, Paris, 1938.<br />
52.Note sur l’espace et remarque sur le temps, in “RMM”, (46), 1939.<br />
53.Un défenseur de la vie sensuelle, J. C. Powys, in “RMM”, (46), n. 2, 1939.<br />
54.Henri Bergson, in “NRF”, dicembre, 1939.<br />
55.Cheminements et carrefours, par Rachel Bespaloff, in “RPFE”, 1940.<br />
56.La poésie comme exercise spirituel, in “Fontaine”, 1942.<br />
57.Kafka et Kierkegaard, in “L’Arbalète”, 1942.<br />
58.Realism. Dialectic and the transcendent, in “PPR”, 1943.<br />
59.Le destin dans Homère, pref. a R. Bespaloff, Iliade, New York, 1943.<br />
60.Poèmes, Montréal, 1944.<br />
61.Existence humaine et transcendence, Neuchâtel, 1944.<br />
62.On poetry, in “The Chimera”, n. 3, 1944.<br />
63.Concerning Bergson’s relation to the catholic church, in “The Review of<br />
Religion”, 1945.<br />
64.Summula contra Aquinatem, in “New Republic”, 21 maggio 1945.<br />
65.Essai sur le néant d’un problème (sur les pages 37-84 de “L’Etre et le néant” de<br />
J.P. Sartre), in “Deucalion”, n. 1, 1946.<br />
66.La vogue de l’existentialisme, in “Labyrinthe”, n. 17, 1946.<br />
210
67.A propos d’une conférence de Maurice Merleau-Ponty sur les aspects politiques<br />
et sociaux de l’existentialisme, in “Fontaine”, (5), n. 51, 1946.<br />
68.Marxisme et existentialisme, par Jean Beaufret, in “Fontaine” (5), n. 52, 1946.<br />
69.A question: on the Impossibility of Possibility; on the Unnecessariness of<br />
Necessity, and on the Unreality of Reality, in “PPR”, (7), 1946.<br />
70.Les rencontres internationales de Genève, in “Fontaine”, n. 56, 1946.<br />
71.Conclusion aux rencontres internationales de Genève, in “La Nef”, n. 24, 1946.<br />
72.Vie et raison, in “La Nef”, 1946.<br />
73.Sur un poème inédit de Rainer Maria Rilke, in “Deucalion”, (1), 1946.<br />
74.[1965 (= 1946)] Tableau de la philosophie française, Paris, 1946 (trad. it. col<br />
titolo Il pensiero moderno in Francia, FI, 1965).<br />
75.intervento sul referendum Occidente e oriente russo, in “Humanitas” (Brescia),<br />
1947, (2), pp. 785-899.<br />
76.Les philosophies dans le monde d’aujourd’hui, in AA.VV., Le choix, le monde,<br />
l’existence, Grenoble, 1947.<br />
77.Note sur la métaphysique, in “RMM”, (52), 1947.<br />
78.Note sur la possibilité d’une théorie des valeurs, in “Actes du III ème Congrès des<br />
Sociétés de philosophie”, Paris, 1947, pp. 29-34.<br />
79.Petite histoire de l’existentialisme, Paris, 1947, 1949 2 (La riedizione porta il<br />
titolo Esquisse pour une histoire de l’existentialisme).<br />
80.Poésie, pensée, perception, Paris, 1948 (Comprende, fra l’altro, i nn. 28, 35,<br />
51, 52, 53, 54, 57, 62, 64, 71).<br />
81.Introduction a: J. Lequier, Morceaux choisis, Genève, 1948.<br />
82.Introduction a L. Brunschvicg, Agenda retrouvé (1892-1942), Paris, 1948.<br />
83.The philosopher’s Way, Oxford, 1948.<br />
84.Freedom and existence in some recent philosophies, in “PPR”, (8), 1948.<br />
85.Karl Jaspers et la France, recens. a M. Dufrenne - P. Ricoeur, Karl Jaspers et<br />
la philosophie de l’existence, Paris, 1947, in “Critique”, (4), n. 25, 1948.<br />
86.Some brief reflections about the definition of metaphysics in the Congress on the<br />
philosophy of science, in “PPR”, (8), 1948.<br />
87.Quelques remarques sur l’homme, in “Proceedings of the tenth international<br />
Congress of philosophy”, Amsterdam, 1949, vol. I, pp. 177-9.<br />
88.A Genève, in “TM”, (4), n. 40, 1949.<br />
211
89.Le problème de la liberté à partir des philosophies de l’existence, in “Actes du<br />
IV e Congrès des Sociétés de philosophie de langue française”, Neuchâtel, 13-16<br />
settembre 1949, pp. 97-102.<br />
90.e V. Jankélévitch, Les philosophes et l’angoisse, in “RS”, (66), 1949.<br />
91.Prefaz. a: K. Jaspers, Nietzsche, Introdution à sa philosophie, Paris, 1950,<br />
1978 2 .<br />
92.Sur l’introduction à “L’Etre et le néant” in “Deucalion”, n. 3, 1950.<br />
93.Emmanuel Mounier (1905-1950), in “RMM”, (55), 1950.<br />
94.La situation présente de la philosophie française, in M. Farber, L’activité<br />
philosophique contemporaine en France et aux Etats-Unis, Paris, 1950, vol. II.<br />
95.Sur les philosophies de l’existence, in “L’éducation nationale”, n. 33, 1950.<br />
96.La philosophie, in :”Cinquante années de découvertes. Bilan 1900-1950”,<br />
Paris, 1950, pp. 85-107.<br />
97.Cent années de l’histoire de l’idée d’ existence. Heidegger, Paris, 1950.<br />
98.Notes sur la première partie de “Erfahrung und Urteil” de Husserl, in “RMM”,<br />
(56), n. 1, 1951.<br />
99.Louis Lavelle, in “RMM”, (56), n. 4, 1951.<br />
100.A letter to M. Farber, in “PPR”, (11), 1951.<br />
101.La pensée de l’existence (Kierkergaard-Jaspers), Paris, 1951.<br />
102.L’idée d’être chez Heidegger (C. Sorbonne) Paris, 1951.<br />
103.Réflextions sur la philosophie de Jules Lequier, in “Deucalion”, n. 4, ottobre<br />
1952.<br />
104.Notes sur quelques aspects empiristes de la pensée de Husserl, in “RMM”, n.<br />
1, 1952.<br />
105.La pierre et le feu. La poésie de Pierre Jean Jouve, in “Critique”, n. 59, 1952.<br />
106.Leçons de méthaphysique. I Relations, idées négatives; II Des choses à l’âme:<br />
les choses, les êtres vivants, les personnes; III Dieu (C. Sorbonne), Paris, 1952.<br />
107.Introduz. a: AA.VV., Ordre. Désordre. Lumière, Paris, 1952.<br />
108.et alii, Problèmes actuels de la phénoménologie, in “Actes du Colloque<br />
international de Phénoménologie”, cur. H.L. Van Breda, Bruxelles, aprile, 1951,<br />
Paris, 1952.<br />
109.La pensée philosophique en Europe, Nancy, Centre européen universitaire,<br />
1952.<br />
212
110.Interv. in Structures logiques et structures mentales en histoire de la<br />
philosophie, in “BSFP”, (46-47), n.3, 1952-53.<br />
111.Interv. in La physique quantique restera-t-elle indéterministe?, in “BSFP” (46-<br />
47), n. 3, 1952-53.<br />
112.Les divers accès à la réalité philosophique, in :”Actes du XI e Congrès<br />
international de philosophie I, Amsterdam-Louvain, 1953, pp.135-41.<br />
113.[1953] Traité de métaphysique, Paris, 1953.<br />
114.Esquisse pour un tableau des catégories de la philosophie de l’existence (C.<br />
Sorbonne), Paris, 1953.<br />
115.Révolution et philosophie, in “Comprendre” n. 7-8, 1953.<br />
116.Une interprétation de la logique de Hegel, in “Critique”, (9), n. 79, 1953.<br />
117.Sur l’interprétation de l’histoire de la métaphysique d’après Heidegger<br />
(C.Sorbonne), Paris, 1953.<br />
118.La théorie de la verité dans la philosophie de Jaspers (C. Sorbonne), Paris,<br />
1953.<br />
119.La structure du mond réel d’après N. Hartmann (C. Sorbonne), Paris, 1953.<br />
120.La pensée de Heidegger et la poésie de Hoelderlin (C. Sorbonne), Paris, 1953.<br />
121.Notes sur la première partie de “Erfahrung und Urteil” de Husserl, in<br />
“Phénoménologie-Existence”, Paris, 1953, pp. 77-105.<br />
122.Les philosophies de l’existence, Paris, 1954.<br />
123.La théorie des catégories fondamentales dans N. Hartmann (C.Sorbonne),<br />
Paris, 1954.<br />
124.Interv. in Brunschwicg et l’histoire de la philosophie, in “BSFP”, (48), n. 1,<br />
1954.<br />
125.Un renouvellement de la métaphysique est-il possible?, in “BSFP”, (48), n.2,<br />
1954. Trad. it. in “RF”, (47), 1956.<br />
126.et alii, Crise totalitaire et politique de la culture, in “Comprendre”, n. 7-8,<br />
1954.<br />
127.Dominique Parodi. In memoriam, in “RMM”, (60), n. 4, 1955.<br />
128.A propos de l’Introduction à la Phénoménologie de Hegel par A. Kojève, in<br />
“Deucalion”, c. n. 5, 1955; trad. it. in AA.VV. cur. F. Di Stefano - A. Ciampa,<br />
Sulla fine della storia, NA, 1985, pp. 47-69.<br />
129.recens. a: N. Berdiajev, Selbsterkenntnis. Versuch e. philosoph.<br />
Autobiographie, trad. ted. Darmstadt - Genf, 1953, in “EP”, (8), 1955.<br />
213
130.Les aspects qualitatifs du réel. I Introduction, la philosophie de l’existence; II<br />
Début d’une étude sur Husserl; III La philosophie de la nature de N. Hartmann<br />
(C. Sorbonne), Paris, 1955.<br />
131.La philosophie première de V. Jankélévitch, in “RMM”, (60), 1955.<br />
132.prefaz. a: G. Deledalle Histoire de la philosophie américaine de la guerre de<br />
sécession à la seconde guerre mondiale, Paris, 1955.<br />
133.Kierkegaard et le romantisme, in “Orbis litterarum”, (10), n. 1-2, 1955.<br />
134.L’octave de la création, in AA.VV., Hommage à Paul Claudel, Paris, 1955.<br />
135.En familiarité avec le haut (Hoelderlin et Heidegger), Bruxelles, 1956.<br />
136.L’ ”Introduction à la métaphysique” de M. Heidegger, in “RMM”, (61), 1956.<br />
137.Vers la fin de l’ontologie. Etude sur l’introduction dans la métaphisique par<br />
Heidegger, Paris, 1956; trad. it. di G. Masi, MI, 1971.<br />
138.interv. in: La mémoire, “BSFP”, (50), n. 4, 1956.<br />
139.Poésie et philosophie, in “Riv. Estet.”, (1), n. 3, 1956; poi in: “Atti del III<br />
congresso internazionale di estetica”, TO, 1957, pp. 583-6.<br />
140.recens. a: Heidegger M., Einführung in die Metaphysik, Tübingen, 1953, in<br />
“Critique”, n. 106, 1956.<br />
141.Heidegger, Parménide, Sophocle, in “Monde Nouveau”, nn. 99 e 100, 1956.<br />
142.Le sentiment fondamental chez Rosmini, in “Atti del convegno internazionale<br />
di filosofia Antonio Rosmini”, FI, 1957, vol. II, pp. 1155-8.<br />
143.articolo in: Marietti Angèle, Hegel, Paris, 1957.<br />
144.Ein Beitrag zum Thema Jaspers und Kierkegaard, in: P.A. Schlipp, Karl<br />
Jaspers, Stuttgart, 1957.<br />
145.Rimbaud, la sauvagerie, le silence, in “RMM”, n. 3, 1957; ripubbl. in “RMM”<br />
(62), n. 3, 1967.<br />
146.E’ possibile oggi una metafisica? Come si pone oggi il problema della<br />
metafisica?, in “Giornale di metafisica”, (11), n. 4-6, 1956; anche in AA.VV., id.,<br />
TO, 1956, pp. 419-758.<br />
147.L’Humanisme aujourd’hui, in “Comprendre”, n. 15, 1956; anche in AA.VV.,<br />
id., VE, 1956.<br />
148.recens. a: Les philosophes célèbres, in “RMM”, (62), 1957.<br />
149.Exemple d’une règle inconnue: le verbe “être” chez Descartes, in: AA.VV.,<br />
Descartes, Paris, 1957, pp. 360-6; 367-75.<br />
150.Entrtiens avec Whitehead, in “Etudes anglaises”, (10), n. 3, 1957.<br />
214
151.Brève introduction aux philosophies françaises de l’existence; Expérience et<br />
transcendance; Philosophie et poésie, in “Encyclopédie française”, Paris, 1957,<br />
vol. XIX.<br />
152.Au sujet des jugement de Husserl sur Descartes et sur Locke (1957), in<br />
AA.VV., Husserl, Paris, 1959, pp. 119-31; 132-42.<br />
153.recens. a: K. Loewith, Nietzsches Philosophie der ewigen Widerkehr des<br />
Gleichen, Stuttgart, 1956, in “Critique”, n. 121, 1957.<br />
154.A propos de l’article de Ch. Gillespie sur l’oeuvre de Elie Haléry, in “RMM”,<br />
(62), 1957.<br />
155.interv. in: Behaviorisme et dualisme, “BSFP”, (51), n. 1, 1957.<br />
156.interv. in: La psychanalise et son enseignement, “BSFP”, (51), n. 2, 1957.<br />
157.contrib. in: AA.VV. Chacun peut - il philosopher?, Paris, 1957.<br />
158.interv. in: Le problème du temps vu par un psycopatologue, “BSFP”, (51), n. 4,<br />
1957.<br />
159.interv. in: Problème du rêve, “BSFP”, (51), n. 3, 1957.<br />
160.A tout prendre, in “TM”, n. 143-144, 1958.<br />
161.Fragments d’un journal, in “TM”, (13), n. 145, 1958.<br />
162.Autres pages de journal, in “TM”, n. 152, 1958.<br />
163.Essence et phénomènes. La poésie comme source de philosophie, Paris, 1958.<br />
164.Sur des écrits récents de Heidegger et de Fink, in “RMM”, (63), n. 4, 1958.<br />
165.Ontologie; Philosophie existentielle, in: AA.VV., “La philosophie au milieu du<br />
vingtième siècle, II, FI, 1958, pp. 36-52; 71-84.<br />
166.Hedwig conrad-Martius et l’ontologie, in “Philos. Jahrb.”, (66), 1958.<br />
167.prefaz. a: Ch. Lapicque, Essais sur l’espace, l’art et la destinée, Paris, 1958.<br />
168.prefaz. a: M. Chapiro, La révolution originelle, Paris, 1958.<br />
169.Défense et élargissement de la philosophie. Le recours aux poètes: Claudel,<br />
Paris, 1958.<br />
170.L’ouvrage posthume de Husserl: la Krisis. La crise des sciences européennes et<br />
la phénoménologie transcendante (C. Sorbonne), Paris, 1958.<br />
171.recens. a: Th. W. Adorno, Zur Metakritik der Erkenntnistheorie, Stuttgart,<br />
1956, in “EP”, (11), 1958.<br />
172.A filosofia francesa contemporânea, in “Rev. portug. Filos.”, (14), n. 3-4, 1958.<br />
173.Husserl, 2 voll., Paris, Centre de documentation universitaire, 1958.<br />
174.interv in: L’être devant la pensée interrogative, “BSFP”, (52), n. 1, 1958.<br />
215
175.L’homme et le jeu, in “Deucalion”, n. 6, 1958.<br />
176.L’homme et la nature (1958), in “Atti del congresso internazionale di filosofia<br />
(Venezia, 12-18 settembre 1958)”, vol. II, L’uomo e la natura, FI, 1960, pp. 457-<br />
62.<br />
177.La pensée philosophique de Nietzsche des années 1885-1888 (C. Sorbonne),<br />
Paris, 1959.<br />
178.La logique de Hegel comme phénoménologie (C.Sorbonne), Paris, 1959.<br />
179.Clôture du Colloque phénoménologique, in: AA.VV., Edmund Husserl 1859-<br />
1959, La Haye, 1959, pp. 428-32.<br />
180.recens. a: E. Gilson, Peinture et realité, in “Critique”, (15), n. 147-148, 1959.<br />
181.Simultanéité. Peinture et nature, in Cahiers Paul Claudel I, Paris, 1959.<br />
182.Philosophie et poésie, in: AA.VV., La giovane poesia italiana e straniera,<br />
Roma, 1959, pp. 35-43.<br />
183.Le monde, in “Atti del XIV Convegno del centro di studi filosofici di Gallarate”,<br />
BS, 1960, pp. 186-9.<br />
184.Le Platon de L. Stefanini, in AA.VV., “Scritti in onore di Luigi Stefanini”, PD,<br />
1960, pp. 45-51.<br />
185.Non ut poesis pictura, in “Critique”, n. 155, 1960.<br />
186.interv. in: Hommage solennel à Henri Bergson, “BSFP”, (54), n. 1, 1960;<br />
anche in AA.VV., Bergson et nous, II, Paris, 1960, pp. 145-64; 121-142.<br />
187.interv. in La volonté dans la philosophie de Malebranche, “BSFP”, (54), n. 3,<br />
1960.<br />
188.Récents dévéloppements de la philosophie de l’existence, in “Theorein”, (1),<br />
1960.<br />
189.recens. a: C. Ramnoux, Vocabulaire et structures de pensée archaïque chez<br />
Héraclite, Paris, 1959, in “RMM”, (65), n. 1, 1960.<br />
190.recens. a: E. Fink, Sein, Wahrheit, Welt. Vor-fragen zum Problem des<br />
Phaenomen-Begriff, Den Haag, 1958, in “RMM”, (65), n. 2, 1960.<br />
191.recenss. a: E. Fink, Alles und Nicht. Ein Umweg zur Philosophie, Den Haag,<br />
1959; K. Loewith, Gesammelte Abhandlungen, Stuttgart, 1960; AA.VV., Husserl<br />
et la pensée moderne, La Haye, 1959; AA.VV., Edmund Husserl 1859-1959, La<br />
Haye, 1959, in “RMM”, (65), n. 3, 1960.<br />
216
192.Quelques aspects de la problématique de l’autorité et de la liberté en<br />
philosophie, (1960), in “Autorité et liberté. Actes de la IV ème Rencontre<br />
internationale de la culture européenne”, Bolzano, 1961, pp. 225-30.<br />
193.recenss. a: K. Schlechta, Le cas Nietzsche, trad. fr. Paris, 1960; W.<br />
Heisenberg, Physique et philosophie. La science moderne en révolution, trad. fr.<br />
Paris, 1961, in “RMM”, (66), n. 3,1961.<br />
194.recens. a: J. Stambaugh, Untersuchungen zum Problem der Zeit bei Nietzsche,<br />
Den Haag, 1959, in “RMM”, (66), n. 4, 1961.<br />
195.interv. in: Temps, tragique et liberté, “BSFP”, (55), n. 3, 1961.<br />
196.interv. in: La dilemme objectivité-subjectivité de la mécanique statistique et<br />
l’équivalence cybernétique entre information et entropie, “BSFP”, (55), n. 4,<br />
1961.<br />
197.Husserl, la “Philosophie première”, erste Philosophie (C. Sorbonne), Paris,<br />
1961.<br />
198.L’ouvrage postume de Husserl, la Krisis, la crise des sciences européennes et<br />
la phénoménologie trascendentale (C. Sorbonne), Paris, 1961.<br />
199.Mots, mythes et réalité dans la philosophie de Heidegger (C. Sorbonne), Paris,<br />
1961.<br />
200.L’avant-dernière pensée de Nietzsche (C. Sorbonne), Paris, 1961.<br />
201.Cette pensée..., in “TM”, (17), n. 184-85, 1961.<br />
202.Lettre in appendice a: R. Garaudy, Dieu est mort. Etude sur Hegel, Paris,<br />
1962.<br />
203.Sur un livre de Lovejoy, in “RMM”, (67), n. 1, 1962.<br />
204.recenss. a: N. Bohr, Physique atomique et connaissance humaine, trad. fr.<br />
Paris, 1961; W. Heisenberg, La nature dans la physique contemporaine, Paris,<br />
1961, in “RMM”, (67), n. 2, 1962.<br />
205.Le Nietzsche de Fink, in “RMM”, (67), n. 4, 1962.<br />
206.introd. e interv. in: AA.VV., La philosophie analitique, Paris, 1962, pp. 9-10,<br />
23-39, 58-64, 85-104, 119-38, 282-304, 320-80,<br />
207.En relisant les “Pensées”, in “Giornale di Metafisica”, (17), 1962.<br />
208.contrib. in: AA.VV., The bergsonian heritage, New York, 1962.<br />
209.Transcendance et hauteur, in “BSFP”, (56), n. 3, 1962.<br />
210.interv. in: L’histoire de la philosophie et son enseignement, “BSFP”, (56), n. 2,<br />
1962.<br />
217
211.interv. in: Structure, rationalité et signification, “BSFP”, (56), n. 4, 1962.<br />
212.L’expérience métaphysique, in “RS”, n. 29-31, 1963.<br />
213.Limitations on Freedom of expression, in AA.VV., Tolerance, Stockton, 1963.<br />
214.Quelques réflexions sur: M.H. Askari, Orient et occident: Ibn `Arabi et<br />
Kierkegaard, in “RMM”, (68), n. 1, 1963.<br />
215.recens. a: W. Marx, Heidegger und die Tradition, Stuttgart, 1961, in “RMM”,<br />
(68), n. 2, 1963.<br />
216.recens. a: G. Deleuze, Nietzsche et la philosophie, Paris, 1962, in “RMM”, (68),<br />
n. 3, 1963.<br />
217.Universalità e poesia, in “Sapienza”, (16), 1963.<br />
218.Le pouvoir et le non-pouvoir, in “Critique”, (19), n. 195-6, 1963.<br />
219.Time in Claudel, in “International philosophical Quarterly”, (3), 1963.<br />
220.La notion d’archaïsme en philosophie, in “BSFP”, (57), n. 1, 1963.<br />
221.Correspondance complète de Vincent Van Gogh, in “RMM”, (68), 1963.<br />
222.present. a: Nietzsche, trad. e scelta di H. Albert, Paris, 1963.<br />
223.Existence et pensée. Entretiens sur les philosophies et sur quelques poétes de<br />
l’existence, Montréal, 1963.<br />
224.recens. a: G. Poulet, Métamorphoses du cercle, Paris, 1961, in “RMM”, (63),<br />
1963.<br />
225.Histoire de l’argomentation philosophique, in “Symposium sobre la<br />
argumentación filosófica (XIII Congr. Intern. de Filosofía)”, México, 1963, pp. 7-<br />
17.<br />
226.Itinéraire ontologique, in AA.VV., Les philosophes français d’aujourd’hui par<br />
eux-mêmes, Paris, 1963, pp. 52-66.<br />
227.recens. a: AA.VV., Philosophy in the mid-century I, FI, 1958, in “RMM”, (68),<br />
1963.<br />
228.interv. in: Philosophie et réalité, “BSFP”, (57), n. 4, 1963.<br />
229.interv. in: Commemoration du cinquantenaire de la publication des “Etapes de<br />
la philosophie mathématique” de L. Brunschvicg, “BSFP”, (57), n. 2, 1963.<br />
230.Les personnes et l’impersonel, in AA.VV., Jorge Luis Borges, Paris, 1964.<br />
231.Sugli orientamenti metafisici del secolo XX, in AA.VV., Il mondo di domani,<br />
Roma, 1964.<br />
232.L’amitié de Jean-Marie Carré, in: AA.VV., Connaissance de l’étranger, Paris,<br />
1964.<br />
218
233.Notre monde fermé c’est un monde infini, in: AA.VV., Mélanges A. Koyré II,<br />
Paris, 1964, pp. 527-55.<br />
234.A propos de Saint-Cyran, in: AA.VV., L’homme devant Dieu II, Paris, 1964, pp.<br />
249-66.<br />
235.recens. a: S. Zac, L’idée de vie dans la philosophie de Spinoza, Paris, 1963, in<br />
“RMM”, (69), n. 1, 1964.<br />
236.present. a: Dom Deschamps, Lettres et fragments inédits de Dom Deschamps<br />
et de quelques corresponants, in “RMM”, (69), 1964.<br />
237.interv. in: Sens et structure de la métaphysique aristotélicienne, “BSFP”, (58),<br />
n. 1, 1964.<br />
238.interv. in: Commémoration du deuxième centenaire de la naissance de Fichte,<br />
“BSFP”, (58), n. 2, 1964.<br />
239.recens. a: A. Galimberti, Etica e morale, FI, 1962, in “Filosofia”, (15), 1964.<br />
240.prefaz. a: L. Wittgenstein, Le cahier bleu et le cahier brun, Paris, 1965.<br />
241.L’expérience métaphysique, Paris, 1965.<br />
242.Bergson, Paris, 1965.<br />
243.recenss. a: P. Friedlaender, Plato, trad. ingl., New York 1964; Ulmann, La<br />
nature et l’éducation, Paris, 1964; E. Weil, Problèmes kantiens, Paris, 1963;<br />
W.J. Richardson, Heidegger: through phenomenology to thought, The Hague,<br />
1963; E. Husserl, L’origine de la géométrie, Paris, 1962; G. Marcel, La dignité<br />
humaine, Paris, 1964, in “RMM” (70), n. 1, 1965.<br />
244.recenss. a: Starobinski, L’invention de la liberté, Paris, 1964; D. Runes,<br />
Pictorial history of philosophy, New York, 1959; Argan, L’Europe des capitales,<br />
Paris, 1963, in “RMM” (70), n. 2, 1965.<br />
245.recens. a: J.D. Wild, Existence and the world of freedom, Englewood Cliffs,<br />
1963, in “RMM”, (70), n. 3, 1965.<br />
246.Les problèmes modernes de la philosophie, in “Annales de l’université de<br />
Paris”, (35), 1965.<br />
247.interv. in: Le langage et l’immanence, “BSFP”, (59), n. 1, 1965.<br />
248.interv. in: Philosophie et religion, “BSFP”, (59), n. 2, 1965.<br />
249.interv. in: La pensée d’André Lalande, “BSFP”, (59), n. 3, 1965.<br />
250.interv. in: L’activité mathémathique et son rôle dans notre conception du<br />
monde, “BSFP”, (59), n. 4, 1965.<br />
251.Alexandre Koyré (1892 - 1964), in “RMM”, (70), 1965.<br />
219
252.Le rôle de A. Koyré dans le développement des études hégéliennes en France,<br />
in “Archive de Philosophie”, (28), 1965; poi in “Hegel-Studien”, n. 3, 1966.<br />
253.recens. a: C. Bruaire, L’affirmation de Dieu, in “RMM”, (71), n. 1, 1966.<br />
254.Dom Deschamps et l’idée de Dieu, in “Acta VI Congressus thomistici<br />
internationali”, Roma, 1966, vol. II, pp. 351-2.<br />
255.contrib. al “Colloque organisé par l’Unesco (Paris, 21-23 aprile 1964), in<br />
AA.VV., Kierkegaard vivant, Paris, 1966, pp. 205-12.<br />
256.interv. in: Actualité de Nicolas de Cues?, “BSFP”, (60), n. 1, 1966.<br />
257.Massolo, in “Studi Urbinati”, n. 1-2, 1967; e in AA.VV., Studi in onore di<br />
Arturo Massolo, Urbino, 1967.<br />
258.Cours sur l’athéisme éclairé de Dom Deschamps, Genève, 1967.<br />
259.Martin Buber and the philosophies of existence, in AA.VV., The philosophy of<br />
Martin Buber, La Salle - London, 1967.<br />
260.recenss. a: W. Jaeger, Paideia. La formation de l’homme grec, trad. fr. Paris,<br />
1965; Cajetan, Commentary on being and essence, trad. ingl. Milwaukee, 1964;<br />
Steinkraus, New studies in Berkeley’s philosophy, New York, 1966; G.W.F.<br />
Hegel, Préface de la “Phénoménologie de l’esprit”, trad. fr. Paris, 1966; S.<br />
Kierkegaard, Oeuvres complétes XIII et XVII, Paris, 1966; Dommeyer, Current<br />
philosophical issues. Essays in honor of C.J. Ducasse, Springfield (Ill.), 1966, in<br />
“RMM”, (72), n. 3, 1967.<br />
261.Les hommages à Henri Bergson (11 mai 1967), in “Annales de l’université de<br />
Paris, (37), 1967.<br />
262.interv. in: Note sur la pensée à l’état brut, “BSFP”, (61), n. 1, 1967.<br />
263.interv. in: L’interprétation philosophique de la théorie de la relativité, “BSFP”,<br />
(61), n. 2, 1967.<br />
264.interv. in: La méthode de dramatisation, “BSFP”, (61), n. 3, 1967.<br />
265.interv. in: La logique mathématique et l’axiomatisation des théories, “BSFP”,<br />
(61), n. 4, 1967.<br />
266.recenss. a: E. Husserl, Analysen zur passiven Synthesis, Den Haag, 1966; H.<br />
Rombach, Substanz, System, Struktur, Freiburg-München, 1966; Shuzo, Le<br />
problème de la contingence, Paris, 1967, T.D. Langan, Merleau-Ponty’s “Critique<br />
of reason”, New Haven, 1966, in “RMM” (68), n. 1, 1968.<br />
267.interv. in: Le mélange dans le Philèbe, “BSFP”, (62), n. 1, 1968.<br />
268.interv. in: Le messager, “BSFP”, (62), n. 2, 1968.<br />
220
269.interv. in: La “Différance”, “BSFP”, (62), n. 3, 1968.<br />
270.interv. in: Lénine et la philosophie, “BSFP”, (62), n. 4, 1968.<br />
271.Le surréel, in AA.VV., Le surréalisme, Paris-Le Haye, 1968.<br />
272.recens. a: AA.VV., cur. H.G. Gadamer, Hegel-Tage Royaumont 1964. Beiträge<br />
zur Deutung der Phaenomenologie des Geistes, Bonn, 1966, in “RMM”, (74),<br />
1969.<br />
273.interv. in: Commemoration du centenaire de X. Léon, “BSFP”, (63), n. 1, 1969.<br />
274.interv. in: Hegel critique de Kant, “BSFP”, (63), n. 2, 1969.<br />
275.interv. in: Qu’est-ce qu’un auteur?, “BSFP”, (63), n. 3, 1969.<br />
276.interv. in: Nietzsche et ses interprètes. Le jeu des formes en philosophie,<br />
“BSFP”, (63), n. 4, 1969.<br />
277.recens. a: M. Foucault, Le mots et les choses, in “RMM”, n. 2, 1969.<br />
278.recens. a: P. Schaeffer, Traité des objects musicaux, in “RMM”, n. 3, 1969.<br />
279.recenss. a: Kung, Ontology and logistic analysis of language; A. Guzzo,<br />
Giordano Bruno; Parkinson, Logic and reality in Leibniz’s metaphysics; “Hegel-<br />
Studien”; Franchini, La teoria della storia di B. Croce; Charlesworth, Philosophy<br />
and linguistic analysis, in “RMM”, n. 4, 1969.<br />
280.Platon, in AA.VV., Histoire de la philosophie, Paris, 1969, vol. I, pp. 464-607.<br />
281.recens. a: E. Gilson, Matières et formes, Paris, 1964, in “RMM”, (75), 1970.<br />
282.prefaz. a: C. Ramnoux, Etudes présocratiques, Paris, 1970.<br />
283.Dom Deschaps et Diderot, in “RMM”, (75), 1970.<br />
284.recens. a: K. Loewith, Gott, Mensch und Welt in die Metaphysik von Descartes<br />
bis zu Nietzsche, Goettingen, 1967, in “RMM”, (75), 1970.<br />
285.interv. in: Commemoration du centenaire de l. Brunschvicg, “BSFP”, (64), n. 1,<br />
1970.<br />
286.interv. in: Machines à communiquer, “BSFP”, (64), n. 2, 1970.<br />
287.interv. in: Pensée dialectique et sujet transindividuel, “BSFP”, (64), n. 3, 1970.<br />
288.interv. in: Thèmes et antinomies du bonheur dans la pensée du XVII e siècle,<br />
“BSFP”, (64), n. 4, 1970.<br />
289.interv. in: Pour le centenaire de E. Halévy, “BSFP”, (65), n. 1, 1971.<br />
290.interv. in: D’ou vient l’ambiguité de la phénoménologie?, “BSFP”, (65), n. 2,<br />
1971.<br />
291.interv. in: Musique et an-archie, “BSFP”, (65), n. 3, 1971.<br />
221
292.interv. in: Harmonie et contradiction à travers la pensée chinoise depuis un<br />
siècle, “BSFP”, (65), n. 4, 1971.<br />
293.interv. in: Réflexions sur le concept de mathesis, “BSFP”, (66), n. 1, 1972.<br />
294.interv. in: Voix et musique, “BSFP”, (66), n. 2, 1972.<br />
295.interv. in: Les théories psycologiques de l’Inde, “BSFP”, (66), n. 3, 1972.<br />
296.Poèmes, in “RMM”, (80), 1975.<br />
222