Prati, pascoli e paesaggio alpino - SoZooAlp
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Fausto Gusmeroli<br />
4. La vEgEtazIoNE E La sUa ossErvazIoNE<br />
4.1. Le comunità biotiche<br />
Lo studio degli ecosistemi si prefigge di norma un triplice obiettivo (Fig. 4.1). Il<br />
primo è la descrizione delle comunità biotiche componenti (biocenosi), realizzata attraverso<br />
quella che comunemente è chiamata analisi taxometrica. Il secondo obiettivo è la<br />
comprensione della struttura della variabilità e delle relazioni con l’ambiente, ciò che<br />
costituisce la cosiddetta analisi ecologica o di gradiente o del determinismo ecologico.<br />
Il terzo obiettivo, più applicativo, è fornire informazioni per la predizione dei fenomeni<br />
e la gestione dell’ecosistema.<br />
La comunità è dunque l’elemento cardine nell’esplorazione dell’ecosistema. In campo<br />
vegetale essa non ha, tuttavia, una definizione univoca. Nei paesi di lingua inglese,<br />
dove la vegetazione è vista essenzialmente come un continuum, la comunità è intesa in<br />
modo flessibile e pragmatico come l’insieme degli organismi viventi in una determinata<br />
unità spaziale e temporale di qualsivoglia dimensione (una semplice parcella, un appezzamento,<br />
una vallata, un’intera regione e così via). Negli altri paesi europei, dove prevale<br />
invece la visione della vegetazione come entità a variabilità discreta, la comunità è concepita,<br />
più rigidamente, come oggetto reale identificato dalla combinazione di specie caratteristiche:<br />
questo spiega perché la fitosociologia, ossia la branca della geobotanica che<br />
si occupa espressamente dello studio delle comunità vegetali, si sia sviluppata soprattutto<br />
in Europa 1 . Vi è poi un terzo approccio, quello fitopastorale, che si può considerare a<br />
cavallo tra i due precedenti. Elaborato nell’ambito del pastoralismo, in particolare dalla<br />
scuola fitoecologica francese del CNRS-CEPE di Montpellier (Centre National de la<br />
Recherche Scientifique - Centre d’Etudes Phytosociologiques et Ecologiques Louis Emberger)<br />
e metodologicamente perfezionato dall’INERM di Grenoble (Institut National<br />
d’Etudes Rurales Montagnardes), si presta in generale per l’indagine dei sistemi agroforaggeri,<br />
nei quali la classificazione fitosociologica è disturbata dalle interferenze delle<br />
pratiche gestionali sui profili floristici. Il concetto di comunità, essendo qui collegato non<br />
a specie caratteristiche, ma agli elementi più abbondanti, che condizionano in maniera<br />
determinante il potenziale foraggero della cenosi, è flessibile e pragmatico come nella<br />
scuola anglofona. La vegetazione è però considerata discontinua come nella scuola fitosociologica<br />
e le unità biotiche, chiamate ecofacies o facies pastorali, sono identificate<br />
da poche specie (3-5) che rappresentano nell’insieme il 30-50% della fitomassa epigea.<br />
In quest’opera è privilegiato l’approccio fitosociologico, che si può ritenere comprensivo<br />
anche del più semplice metodo fitopastorale. Esso si collega storicamente all’approccio<br />
formazionistico, il primo procedimento di indagine vegetazionale che ha come<br />
capostipite Alexander von Humbold, in cui le comunità sono identificate su base fisionomica,<br />
in ordine cioè all’aspetto complessivo della copertura vegetale dato dall’altezza,<br />
dalla densità, dal portamento, dal colore, forma e dimensioni delle foglie delle specie<br />
1 Come spesso succede, entrambe le posizioni hanno fondamento: come è vero che nella vegetazione si<br />
riconoscono comunità ben distinte (fisicamente ed ecologicamente), che lasciano intendere un’organizzazione di<br />
tipo discreto, è altrettanto vero che tra una comunità e l’altra si osservano spesso espressioni intermedie (ecotoni),<br />
indice di variabilità di tipo continuo. Nel primo caso le specie manifestano la tendenza a variare lungo un gradiente<br />
ambientale in modo coordinato, nel secondo in maniera indipendente.<br />
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