Prati, pascoli e paesaggio alpino - SoZooAlp
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Fausto Gusmeroli<br />
necessità: per le feci è di 650-850 kg ad ettaro, per le urine 350-450. Qui si ha perciò un<br />
effetto ustionante sulla vegetazione, che può interessare un 5-20% della superficie e che<br />
si somma al possibile insediamento di specie nitrofile nell’intorno e alla scarsa appetibilità<br />
dell’erba imbrattata. Nelle aree di ricaccio la dispersione delle mete va effettuata<br />
solo dopo il secondo pascolamento, per non aumentare la superficie imbrattata, sgradita<br />
al bestiame, completando eventualmente l’intervento con lo sfalcio delle specie indesiderate<br />
cresciute attorno alle vecchie fatte.<br />
Laddove la mandria viene stabulata per la mungitura e il pernottamento, le restituzioni<br />
dirette sono fortemente ridotte (40-60%). Occorrerà allora provvedere allo spargimento<br />
del letame o del liquame, rispettando i criteri illustrati a proposito del prato.<br />
Molta cautela deve essere posta con il liquame, sia perché riduce per un certo tempo<br />
l’appetibilità del pascolo (caso di utilizzo dei ricacci), ma soprattutto perché rimangono<br />
a lungo vitali le uova dei parassiti dell’intestino e dello stomaco. Anche nel caso di mandratura<br />
o stabbiatura una parte delle diezioni è sottratta ai <strong>pascoli</strong>, ma qui si può ovviare<br />
al problema limitando la sosta degli animali in queste aree a pochi giorni e dislocandole<br />
nei siti magri, dove i maggiori apporti organici possono migliorare la fertilità.<br />
Concimazione minerale<br />
Nei <strong>pascoli</strong> alpini la concimazione minerale rappresenta una pratica del tutto eccezionale.<br />
L’elevato valore ecologico dell’ambiente, le difficoltà logistiche, la ridotta stagione<br />
vegetativa, il modesto potenziale produttivo sono tutti fattori che suggeriscono da un lato<br />
di limitare gli interventi alle aree che effettivamente possono rispondere alle applicazioni<br />
e nelle quali la fertilizzazione organica è deficiente, dall’altro di moderare i dosaggi. La<br />
pratica riguarda di norma solo azoto e fosforo; il potassio si giustifica solo nelle situazioni,<br />
molto rare, di evidente carenza.<br />
Per la concimazione azotata si utilizzano i normali formulati semplici adatti alle colture<br />
foraggere, intervenendo immediatamente dopo lo scioglimento della neve, con dosaggi<br />
non superiori ai 50 kg ad ettaro, riducendo i quantitativi all’aumentare delle restituzioni<br />
animali e negli ambienti meno favorevoli (acclività e altimetria elevate, scarsità<br />
di umidità). Per la concimazione fosfatica, come nel prato, si deve intervenire solo in<br />
caso di reale bisogno (dotazione del suolo inferiore alle 25-30 ppm di anidride fosforica<br />
assimilabile), preferibilmente in autunno, oppure immediatamente dopo lo scioglimento<br />
della neve, non oltrepassando la dose di 50-60 kg ad ettaro di anidride fosforica.<br />
Le applicazioni azotate e fosfatiche risultano inutili o poco efficaci in terreni molto<br />
acidi, tipici delle matrici silicatiche, dove si selezionano cattive foraggere, in particolare<br />
Nardus stricta. La correzione del difetto è dunque essenziale per il recupero delle praterie<br />
dominate da questa specie e per non rendere vane le fertilizzazioni. L’intervento si<br />
esegue con una calcitazione in fase di riposo vegetativo, preferibilmente in autunno, con<br />
formulati in polvere a base di carbonato di calcio, facendo seguire se possibile un’erpicatura<br />
che favorisca l’approfondimento dell’ammendante nel profilo del terreno. Le dosi<br />
sono le medesime del prato, ossia 1,5-2 t ad ettaro di CaO, sotto forma di carbonato, per<br />
alzare di un punto il pH.<br />
Lotta alle infestanti<br />
Motivi ecologici limitano oggi la lotta alla flora indesiderata dei <strong>pascoli</strong> ai soli mezzi<br />
meccanici e agronomici.<br />
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