Prati, pascoli e paesaggio alpino - SoZooAlp
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213 PRATI, PASCOLI E PAESAGGIO ALPINO di sodio e stimolano la diffusione nelle cenosi di specie indesiderate (ombrellifere). Nei prati intensivi e più produttivi gli apporti per i tre principali nutrienti possono arrivare, come limite massimo, a 200, 150 e 300 kg ad ettaro nell’ordine per N, P205 e K20. Circa i formulati, per gli azotati va preferito il nitrato ammonico o eventualmente il solfato ammonico nei substrati alcalini; il nitrato di calcio è adatto solo in matrici acide, mentre l’urea andrebbe esclusa, per le perdite di volatilizzazione cui è soggetta. Tra i fosfatici, le preferenze vanno ai composti ricchi di calcio in substrati acidi, a quelli più solubili in substrati alcalini (superfosfati). In caso di carenze di magnesio si possono impiegare concimi azotati contenenti l’elemento o, laddove si pratichi la calcitazione, prodotti calcio-magnesiaci. In merito all’epoca di somministrazione, per fosforo e potassio è la fine dell’inverno; l’azoto (eventualmente in combinazione con il magnesio, anch’esso facilmente dilavabile) va invece frazionato sui tagli, come per gli organici liquidi e con le stesse precauzioni. L’azione dei concimi azotati, infatti, è immediata, ciò che li espone ad alti rischi di perdite (volatilizzazione in condizioni di tempo caldo, secco e ventoso; denitrificazione, lisciviazione e ruscellamento con ristagni idrici, pioggia, neve o gelo). Buona regola è distribuirli quando l’altezza dell’erba ha raggiunto i 10 cm. Per quanto concerne la calcitazione, la pratica ha senso quando il pH del terreno scende al di sotto della soglia di 5 in terreni leggeri e 6 nei pesanti 17 e il manto è degradato nello spettro floristico (assenza o scarsità di leguminose in particolare). La correzione va commisurata alla capacita di scambio cationico del suolo: indicativamente, per innalzare di un punto il pH si devono apportare da 1 a 2 t ad ettaro in ossido di calcio sotto forma di carbonato, in funzione essenzialmente della tessitura e del livello di acidità del terreno (dosi maggiori in matrici pesanti e acide). La calcitazione si effettua durante il riposo vegetativo, evitando contatti con i fertilizzanti organici che porterebbero alla formazione di ammoniaca e a perdite per volatilizzazione, e con interventi ripetuti se la dose da somministrare è elevata (superiore a 2,5-3 t ad ettaro di carbonato). 12.4. Controllo delle avversità e cura del cotico Nel prato, la lotta alle avversità riguarda le malerbe e i piccoli animali (roditori, lumache, limacee e insetti). Salvo situazioni particolari, ha invece scarso interesse la difesa dalle fitopatie, in quanto i fattori di regolazione naturale, qui assai meno disturbati che non nelle colture agrarie, limitano molto la diffusione degli agenti patogeni e la ricchezza di specie ne attenua i danni. Il controllo delle infestanti, come del resto la conservazione di un cotico integro ed efficiente, si realizza in via preventiva con una corretta gestione dei ritmi e modalità di taglio e delle fertilizzazioni. Le buone foraggere, soprattutto graminacee, ne traggono grande giovamento, contrastando l’insediamento e la propagazione delle specie meno pregiate. Solamente dove queste prendono il sopravvento e le eventuali correzioni nelle pratiche colturali non sortiscono effetti apprezzabili in tempi ragionevoli si può procedere a specifici interventi di contenimento, escludendo però in linea di principio il diserbo 17 L’acidità deprime lo sviluppo delle piante a causa di fenomeni di tossicità radicale, immobilizzazione dei nutrienti, fosforo in particolare, e rallentamento del biochimismo e del turnover della sostanza organica.
Fausto Gusmeroli selettivo con mezzi chimici, controindicato dal polifitismo e dall’elevato impatto ambientale. Gli interventi possibili e ammissibili si riducono pertanto al pascolamento, alla trasemina o al reimpianto del cotico. Il pascolamento può agire sulle specie non graminacee prive di rizomi, come le ombrellifere, tipiche del prato e sensibili al calpestio degli animali. La gestione a pratopascolo è naturalmente più incisiva, ma anche un pascolamento saltuario può sortire esiti positivi. La trasemina è consigliabile dove le infestanti sono di altro tipo e i cotici sono diradati e impoveriti, ma ancora provvisti di un significativo contingente di buone foraggere (almeno 20-25%). Si effettua in fase di ripresa vegetativa o dopo gli sfalci, su terreno sufficientemente umido preventivamente pareggiato con un passaggio di erpice snodato, a dosi di 15-20 kg ad ettaro di seme di specie a rapido insediamento adatte all’ambiente, mescolati con sabbia o segatura e distribuiti a spaglio. Seguono una rullatura, utile per favorire il contatto del seme con la terra, e, a distanza di tre-cinque settimane, un taglio, necessario ad allentare la competizione delle piante pre-esistenti. A questo scopo va anche sospeso ogni apporto azotato. Maggiore efficacia si ha frazionando la trasemina in più interventi, attuati immediatamente dopo ogni sfalcio o anche in annate successive. In ogni caso, la riuscita dell’operazione non è mai sicura, sottoposta com’è ai rischi climatici, agli attacchi di animali, a fenomeni allelopatici, alla concorrenze della flora avventizia e soprattutto di quella pre-esistente. Vista anche l’onerosità, occorre pertanto molta prudenza nell’intraprendere l’intervento. Il reimpianto del prato si giustifica invece quando le buone foraggere sono ridotte ai minimi termini o il manto è fortemente diradato, impoverito o infeltrito. Alla rottura del cotico si provvede con l’aratura o ripetute fresature, facendo se possibile seguire due-tre anni di colture annuali prima del reimpianto. Se si ricorre al diserbo chimico totale è necessario limitare, per ragioni ecologiche, le superfici di intervento ed eliminare i residui vegetali morti. La successiva lavorazione meccanica (erpicatura) deve essere poco profonda, in maniera da contenere i semi portati in superficie. Se il diserbo è effettuato in autunno si può sfruttare l’azione dei lombrichi durante l’inverno, una sorta di lavorazione superficiale del suolo che facilità la preparazione del letto di semina. Un’alternativa adatta a terreni in accentuato declivio, superficiali o grossolani è la semina diretta su sodo, comoda e poco dispendiosa. Per i materiali sono preferibili miscugli graminacee-leguminose. Le consociazioni, infatti, sono più longeve, si infestano meno, stabilizzano meglio il terreno, danno una produzione più elevata, più sicura, più uniformemente distribuita nella stagione, qualitativamente più equilibrata e più appetita al bestiame. Non è necessario adottare formule molto complesse, ma conviene puntare sulle tre-quattro specie più adatte all’ambiente pedoclimatico o anche ad una semplice consociazione binaria. In linea generale il prato polifita è consigliabile nelle situazioni estreme; l’oligofita nelle situazioni intermedie. Le graminacee vanno scelte principalmente in base al clima; le leguminose in base alla natura del terreno. Anche la scelta varietale va soppesata con cura. La semina si può eseguire in unico intervento primaverile o in due tempi, autunnale per le graminacee e primaverile per le leguminose. Nelle consociazioni bifite i risultati migliori si ottengono con semina a file alternate semplici o doppie, distanti 15-20 cm. Con miscugli polifiti è possibile sia la semina a spaglio su terreno smosso, sia la semina a righe distanti 10-12 cm, sia la formula mista (a file per le leguminose e a spaglio per le graminacee). Le dosi di seme sono di 30-40 kg ad ettaro, di cui 2/3 circa di graminacee e 1/3 di leguminose; 214
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selettivo con mezzi chimici, controindicato dal polifitismo e dall’elevato impatto ambientale.<br />
Gli interventi possibili e ammissibili si riducono pertanto al pascolamento, alla<br />
trasemina o al reimpianto del cotico.<br />
Il pascolamento può agire sulle specie non graminacee prive di rizomi, come le ombrellifere,<br />
tipiche del prato e sensibili al calpestio degli animali. La gestione a pratopascolo<br />
è naturalmente più incisiva, ma anche un pascolamento saltuario può sortire<br />
esiti positivi. La trasemina è consigliabile dove le infestanti sono di altro tipo e i cotici<br />
sono diradati e impoveriti, ma ancora provvisti di un significativo contingente di buone<br />
foraggere (almeno 20-25%). Si effettua in fase di ripresa vegetativa o dopo gli sfalci, su<br />
terreno sufficientemente umido preventivamente pareggiato con un passaggio di erpice<br />
snodato, a dosi di 15-20 kg ad ettaro di seme di specie a rapido insediamento adatte<br />
all’ambiente, mescolati con sabbia o segatura e distribuiti a spaglio. Seguono una rullatura,<br />
utile per favorire il contatto del seme con la terra, e, a distanza di tre-cinque settimane,<br />
un taglio, necessario ad allentare la competizione delle piante pre-esistenti. A questo<br />
scopo va anche sospeso ogni apporto azotato. Maggiore efficacia si ha frazionando la<br />
trasemina in più interventi, attuati immediatamente dopo ogni sfalcio o anche in annate<br />
successive. In ogni caso, la riuscita dell’operazione non è mai sicura, sottoposta com’è<br />
ai rischi climatici, agli attacchi di animali, a fenomeni allelopatici, alla concorrenze della<br />
flora avventizia e soprattutto di quella pre-esistente. Vista anche l’onerosità, occorre pertanto<br />
molta prudenza nell’intraprendere l’intervento.<br />
Il reimpianto del prato si giustifica invece quando le buone foraggere sono ridotte<br />
ai minimi termini o il manto è fortemente diradato, impoverito o infeltrito. Alla rottura<br />
del cotico si provvede con l’aratura o ripetute fresature, facendo se possibile seguire<br />
due-tre anni di colture annuali prima del reimpianto. Se si ricorre al diserbo chimico<br />
totale è necessario limitare, per ragioni ecologiche, le superfici di intervento ed eliminare<br />
i residui vegetali morti. La successiva lavorazione meccanica (erpicatura) deve<br />
essere poco profonda, in maniera da contenere i semi portati in superficie. Se il diserbo<br />
è effettuato in autunno si può sfruttare l’azione dei lombrichi durante l’inverno, una<br />
sorta di lavorazione superficiale del suolo che facilità la preparazione del letto di semina.<br />
Un’alternativa adatta a terreni in accentuato declivio, superficiali o grossolani è<br />
la semina diretta su sodo, comoda e poco dispendiosa. Per i materiali sono preferibili<br />
miscugli graminacee-leguminose. Le consociazioni, infatti, sono più longeve, si infestano<br />
meno, stabilizzano meglio il terreno, danno una produzione più elevata, più<br />
sicura, più uniformemente distribuita nella stagione, qualitativamente più equilibrata e<br />
più appetita al bestiame. Non è necessario adottare formule molto complesse, ma conviene<br />
puntare sulle tre-quattro specie più adatte all’ambiente pedoclimatico o anche ad<br />
una semplice consociazione binaria. In linea generale il prato polifita è consigliabile<br />
nelle situazioni estreme; l’oligofita nelle situazioni intermedie. Le graminacee vanno<br />
scelte principalmente in base al clima; le leguminose in base alla natura del terreno.<br />
Anche la scelta varietale va soppesata con cura. La semina si può eseguire in unico<br />
intervento primaverile o in due tempi, autunnale per le graminacee e primaverile per<br />
le leguminose. Nelle consociazioni bifite i risultati migliori si ottengono con semina<br />
a file alternate semplici o doppie, distanti 15-20 cm. Con miscugli polifiti è possibile<br />
sia la semina a spaglio su terreno smosso, sia la semina a righe distanti 10-12 cm, sia<br />
la formula mista (a file per le leguminose e a spaglio per le graminacee). Le dosi di<br />
seme sono di 30-40 kg ad ettaro, di cui 2/3 circa di graminacee e 1/3 di leguminose;<br />
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