Prati, pascoli e paesaggio alpino - SoZooAlp
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203 PRATI, PASCOLI E PAESAGGIO ALPINO reagiscono riducendo la biomassa e la longevità, mentre Trifolim repens ha un elevato adattamento, superiore alle stesse graminacee. Particolarmente sensibile è Medicago sativa, a motivo non solo degli scarsi residui lasciati dopo lo sfalcio, ma anche della spiccata specializzazione nell’impiego degli assimilati, volti essenzialmente nelle prime fasi di ricrescita (prime trenta giorni dal taglio) a ricostituire la struttura epigea della pianta e solo successivamente l’apparato radicale e le riserve. L’altezza di taglio interferisce essenzialmente con l’entità dei residui. Un taglio basso (inferiore ai 5 cm) è ovviamente sfavorevole, in particolare per le graminacee, che si vedono asportare la maggior parte delle guaine fogliari, organi principali di accumulo delle scorte. Il taglio profondo tende anche ad alterare la fisiologia della pianta e a limitarne lo sviluppo radicale, ripercuotendosi da un lato sugli ormoni della crescita e l’assimilazione degli zuccheri, dall’altro sull’approvvigionamento di acqua ed elementi nutritivi. Un taglio alto, lasciando maggiori riserve, risulta vantaggiose per il ricaccio, ma se esagerato comporta un forte accumulo di tessuti morti sul suolo che, unitamente all’incompleta asportazione delle guaine delle foglie basali, influenzerà negativamente lo sviluppo di nuovi culmi e inibirà l’attività fotosintetica delle guaine più giovani. Si deve poi ancora considerare che le foglie residuali, essendosi sviluppate alla base dei culmi, cioè in condizioni di ombreggiamento, non hanno la stessa efficienza fotosintetica di quelle nate in condizioni di forte illuminazione. L’altezza ideale di taglio si viene a collocare attorno ai 5 cm, con possibilità di maggiore approfondimento per le leguminose che, grazie ad organi di accumulo più bassi, reagiscono meglio ad utilizzazioni severe, in modo particolare Trifolium repens. Un problema potrebbe però essere l’imbrattamento dell’erba con la terra. Sul ricaccio possono agire infine anche la nettezza e l’uniformità del taglio. Di norma, lo sfalcio ottenuto con le lame oscillanti è migliore di quello fornito dai sistemi rotativi, più propensi a lacerare gli steli. Importante è mantenere ben affilata la lama e adottare una velocità di avanzamento della macchina non troppo blanda, così da evitare recisioni multiple, altrettanto negative per la ricrescita. L’uniformità di taglio è influenzata essenzialmente dallo stato di pareggiamento della superficie. La rullatura di fine inverno, compattando le zolle sollevate dal gelo, si rivela in proposito molto utile. 12.2. taglio e produzione Frequenza e altezza di taglio risultano ancor più determinanti ai fini produttivi. Dato l’opposto andamento tra biomassa e qualità e la maggior incidenza di guaine, culmi e steli nella porzione del cotico più prossima al terreno, sfalci frequenti e alti tendono a privilegiare la qualità del raccolto, mentre cicli lunghi e defogliazione profonde favoriscono la quantità. Ciò però è vero entro margini di variabilità ragionevoli, oltre i quali le condizioni divengono tali da risultare in ogni caso penalizzanti per la produttività e, come detto, per l’integrità stessa dei cotici. Per l’altezza di taglio non si hanno problemi particolari. L’altezza di 5 cm, ottimale per la conservazione del cotico, rappresenta anche un buon compromesso tra resa e qualità. Una prova sperimentale realizzata su un arrenatereto di fondovalle ha dimostrato come un taglio alto, eseguito a 10 cm, abbia ridotto significativamente le rese annuali senza migliorare la qualità dei raccolti (Tab. 12.1), nonostante un certo effetto positivo
Fausto Gusmeroli Tab. 12.1 Tab. Confronto 12.1 tra due diverse altezze di taglio in un prato di fondovalle alpino: i dati qualitativi Confronto sono riferiti tra alla due sostanza diverse altezze secca di (rielaborazione taglio in un prato da di Gusmeroli fondovalle et alpino: al., 2006) i dati qualitativi sono riferiti alla sostanza secca (rielaborazione da Gusmeroli et al., 2006) t/ha s.s. UFL/ha % PG UFL/kg % Cen % FG % NDF % ADF H=5cm 10.24 1570 13.53 0.75 9.04 32.65 55.67 34.46 H=10cm 7.86 1212 13.25 0.76 9.31 33.53 56.93 34.78 sulla composizione floristica dela fitomassa, consistito in un aumento della presenza del gruppo delle migliori graminacee (Dactylis glomerata, Festuca pratensis e Lolium spp.), a scapito delle meno pregiate (Holcus lanatus e Setaria viridis). Molto più complesso è il problema delle frequenze delle utilizzazioni, che s’interseca con quello dell’epoca del primo taglio. Nelle condizioni climatiche alpine, il primo raccolto è il più abbondante, potendo rappresentare dal 40% al 70% della produzione, rispettivamente in regime di quattro e due tagli l’anno. È anche il ciclo nel quale le graminacee vanno in fase riproduttiva 11 , peggiorando molto il rapporto foglie/culmi e quindi accelerando il decadimento qualitativo. Per le principali specie prative la digeribilità passa da 80-85% di inizio levata a 50-60% alla fioritura, con ritmi di variazione giornaliera abbastanza contenuti fino agli stadi di spigatura e poi molto intensi, dell’ordine di 0,5-0,7 punti per giorno: il declino è più marcato in Dactylis glomerata, meno in Lolium perenne e Phleum pratense, ancora meno in Lolium multiflorum. Benché la massima resa in termini di sostanza secca si ottenga attendendo la fase di fioritura, è dunque consigliabile intervenire anticipatamente, in modo non solo da mantenere su livelli accettabili tenori in nutrienti e digeribilità, ma da massimizzare anche la resa in termini di energia netta, che è ciò che in definitiva interessa maggiormente ai fini produttivi. Questa circostanza si verifica all’incirca ad inizio spigatura, mentre nelle leguminose è posticipata ad inizio fioritura: poiché nel primo ciclo produttivo tendono a prevalere decisamente le graminacee, è ad esse che occorre riferirsi. Anticipando la prima defogliazione si potenzia anche la produzione nei cicli successivi, la cui qualità è superiore, essenzialmente per la maggior proporzione di foglie, ma anche perché nella stagione estiva aumenta la partecipazione delle leguminose e, successivamente, con il calo delle temperature, il contenuto cellulare a scapito delle componenti strutturali. I ritmi di utilizzazione non dovranno essere troppo intensi, così da non compromettere il ripristino delle scorte, ma neppure dovranno essere troppo blandi, per evitare l’accumulo di foglie invecchiate e indurite, facile soprattutto alle alte temperature estive. Si dovrà anche avere cura di non procrastinare troppo l’ultima defogliazione, per non pregiudicare la ricostituzione delle riserve prima dell’arrivo dei freddi invernali. Cicli di cinque-sei settimane, secondo i profili floristici e la stagione, sono ritenuti ottimali. Il regime dei prelievi è subordinato anche alla forma di utilizzazione del foraggio. Se il prodotto è somministrato allo stato verde non vi sono quelle rigidità imposte dai processi di conservazione, per cui è più agevole, almeno in linea teorica, governare a proprio piacimento i ritmi di taglio ed essere tempestivi negli interventi. Si ha anche il vantaggio di un maggior valore organolettico e nutrizionale dei prodotti lattiero-caseari (aumento 11 La quasi totalità delle graminacee differenzia gli organi riproduttivi solo una volta all’anno. 204
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PRATI, PASCOLI E PAESAGGIO ALPINO<br />
reagiscono riducendo la biomassa e la longevità, mentre Trifolim repens ha un elevato<br />
adattamento, superiore alle stesse graminacee. Particolarmente sensibile è Medicago sativa,<br />
a motivo non solo degli scarsi residui lasciati dopo lo sfalcio, ma anche della spiccata<br />
specializzazione nell’impiego degli assimilati, volti essenzialmente nelle prime fasi<br />
di ricrescita (prime trenta giorni dal taglio) a ricostituire la struttura epigea della pianta e<br />
solo successivamente l’apparato radicale e le riserve.<br />
L’altezza di taglio interferisce essenzialmente con l’entità dei residui. Un taglio basso<br />
(inferiore ai 5 cm) è ovviamente sfavorevole, in particolare per le graminacee, che si vedono<br />
asportare la maggior parte delle guaine fogliari, organi principali di accumulo delle<br />
scorte. Il taglio profondo tende anche ad alterare la fisiologia della pianta e a limitarne lo<br />
sviluppo radicale, ripercuotendosi da un lato sugli ormoni della crescita e l’assimilazione<br />
degli zuccheri, dall’altro sull’approvvigionamento di acqua ed elementi nutritivi. Un taglio<br />
alto, lasciando maggiori riserve, risulta vantaggiose per il ricaccio, ma se esagerato<br />
comporta un forte accumulo di tessuti morti sul suolo che, unitamente all’incompleta<br />
asportazione delle guaine delle foglie basali, influenzerà negativamente lo sviluppo di<br />
nuovi culmi e inibirà l’attività fotosintetica delle guaine più giovani. Si deve poi ancora<br />
considerare che le foglie residuali, essendosi sviluppate alla base dei culmi, cioè in condizioni<br />
di ombreggiamento, non hanno la stessa efficienza fotosintetica di quelle nate in<br />
condizioni di forte illuminazione. L’altezza ideale di taglio si viene a collocare attorno<br />
ai 5 cm, con possibilità di maggiore approfondimento per le leguminose che, grazie ad<br />
organi di accumulo più bassi, reagiscono meglio ad utilizzazioni severe, in modo particolare<br />
Trifolium repens. Un problema potrebbe però essere l’imbrattamento dell’erba<br />
con la terra.<br />
Sul ricaccio possono agire infine anche la nettezza e l’uniformità del taglio. Di norma,<br />
lo sfalcio ottenuto con le lame oscillanti è migliore di quello fornito dai sistemi<br />
rotativi, più propensi a lacerare gli steli. Importante è mantenere ben affilata la lama e<br />
adottare una velocità di avanzamento della macchina non troppo blanda, così da evitare<br />
recisioni multiple, altrettanto negative per la ricrescita. L’uniformità di taglio è influenzata<br />
essenzialmente dallo stato di pareggiamento della superficie. La rullatura di fine<br />
inverno, compattando le zolle sollevate dal gelo, si rivela in proposito molto utile.<br />
12.2. taglio e produzione<br />
Frequenza e altezza di taglio risultano ancor più determinanti ai fini produttivi. Dato<br />
l’opposto andamento tra biomassa e qualità e la maggior incidenza di guaine, culmi e<br />
steli nella porzione del cotico più prossima al terreno, sfalci frequenti e alti tendono a<br />
privilegiare la qualità del raccolto, mentre cicli lunghi e defogliazione profonde favoriscono<br />
la quantità. Ciò però è vero entro margini di variabilità ragionevoli, oltre i quali<br />
le condizioni divengono tali da risultare in ogni caso penalizzanti per la produttività e,<br />
come detto, per l’integrità stessa dei cotici.<br />
Per l’altezza di taglio non si hanno problemi particolari. L’altezza di 5 cm, ottimale<br />
per la conservazione del cotico, rappresenta anche un buon compromesso tra resa e qualità.<br />
Una prova sperimentale realizzata su un arrenatereto di fondovalle ha dimostrato<br />
come un taglio alto, eseguito a 10 cm, abbia ridotto significativamente le rese annuali<br />
senza migliorare la qualità dei raccolti (Tab. 12.1), nonostante un certo effetto positivo