Prati, pascoli e paesaggio alpino - SoZooAlp

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29.05.2013 Views

191 PRATI, PASCOLI E PAESAGGIO ALPINO grazie alla frequenza e abbondanza, determinano, in funzione del tipo di suolo, del clima e delle modalità di gestione, la fisionomia e i caratteri produttivi delle cenosi. Diversamente da quelle utilizzate per le coltura agrarie e gli erbai artificiali, sono specie perenni, seppur non sono escluse forme annuali autoriseminanti (es. Bromus mollis, Trifolium dubium), in cui però la facilità e abbondanza della disseminazione determina un comportamento da longeve. Vi sono poi anche elementi particolari, come quelli che comprendendono sia forme annuali sia biennali (es. Lolium multiflorum, Melilotus spp.) e anche perenni (es. Anthoxanthum odoratum, Anthyllis vulneraria), o biennali e poliennali (es. Trifolium pratense). La ricchezza di specie comporta in ogni caso un ampio ventaglio di caratteristiche morfologiche e fisiologiche, come del resto di attitudini agronomiche e produttive. Le componenti più importanti per frequenza e biomassa appartengono alla famiglia delle graminacee. Vi si ritrovano elementi adatti a vivere nei più disparati ambienti. Numerosi sono quelli di elevato valore produttivo, caratterizzati da notevoli contenuti energetici e, in determinate circostanze (terreni fertili e concimazioni azotate abbondanti), anche proteici. Si tratta principalmente di membri dei generi Agrostis, Dactylis, Festuca, Lolium, Phleum e Poa. Molteplici sono per altro anche le specie infestanti o di scarso significato foraggero che, in situazioni particolari, possono arrivare a dominare le cenosi: si possono ricordare soprattutto Deschampsia caespitosa e Nardus stricta. Le graminacee sopportano di norma utilizzazioni anche molto intensive e tendono a differenziarsi secondo il tipo di gestione. Nel prato, come già detto, prevalgono le specie cespitosa a foglie culinari superiori e di taglia elevata; nel pascolo le cespitosa a foglie caulinari inferiori e le stolonifere, di bassa taglia e habitus prostrato. Una seconda famiglia importante è quella delle leguminose, anche se nei cotici alpini annovera pochi elementi, presenti oltretutto in quantità normalmente modesta. Nonostante abbiano un più elevato tenore in ADL e un peggiore rapporto foglie/steli rispetto alla graminacee, specialmente nelle specie a portamento eretto, le leguminose sono rinomate per la qualità del foraggio (elevato tenore proteico, bassa concentrazione in NDF, elevata appetibilità). Sono inoltre in grado di catturare l’azoto atmosferico attraverso la simbiosi radicale con batteri azoto-fissatori, ciò che le rende poco esigenti nei confronti dell’elemento, ma incapaci di sopportare elevate somministrazioni, malgrado molte di esse siano adatte a utilizzazioni intensive. L’apparato radicale fittonante conferisce loro resistenza alla siccità e adattabilità alla vita in ambienti aridi. I generi più pregiati sotto il profilo foraggero sono Lotus, Medicago e Trifolium. Altra famiglia consistente, almeno per numero di specie, è quella delle composite, che riveste tuttavia una funzione più estetica che produttiva, grazie alle vistose fioriture, apprezzate soprattutto nei pascoli. Gran parte di esse è rizomatosa, per cui le foglie, quasi tutte in rosette basali, sfuggono facilmente allo sfalcio e allo stesso prelievo degli animali. Nonostante molte specie siano ben appetite (part. Achillea millefolim, Leontodon spp e Taraxacum officinale), una loro forte presenza è dunque sempre indesiderabile. Ancor più sgraditi sono gli esponenti della famiglia delle ranuncolacee, spesso velenosi allo stato verde, e gran parte di quelli delle poligonacee e plantaginacee, poco appetiti ed espressione di degrado, rispettivamente, per abnorme carico azotato e forte compattazione del suolo. Fanno eccezione alcuni elementi, propri però di cotici in buono stato: Polygonum bistorta, P. viviparum e Rumex acetosa tra le poligonacee (anche se per Rumex, un’eccessiva presenza comporta rischi per la salute del bestiame per colpa

Fausto Gusmeroli dell’elevato tenore in acido ossalico), Plantago lanceolata tra le plantaginacee. Interessante invece dal punto di vista foraggero è la famiglia delle ombrellifere, che comprende specie molto aromatiche in grado, laddove non troppo abbondanti, di migliorare sensibilmente l’appetibilità del foraggio. È il caso, in particolare, di Carum carvi, Ligusticum mutellina e Pimpinella major. Altre componenti, quali Anthriscus silvestris, Chaerophyllum hirsutum e Herachleum sphondylium, sono invece molto avidi di azoto e ad elevato vigore vegetativo, ciò che li porta ad esercitare un’eccessiva competizione nei confronti delle migliori foraggere. Diverse altre famiglie completano i profili floristici dei cotici alpini. Si possono ricordare le boraginacee, le ciperacee, le campanulacee, le cariofillacee, genzianacee, labiate, liliacee, juncacee, rosacee, rubiacee, scrofulariacee e altre ancora. Normalmente hanno scarso o nullo significato foraggero, salvo taluni esponenti, ben appetiti, del genere Phyteuma tra le campanulacee, Alchemilla, Sanguisorba e Potentilla tra le rosacee. Talvolta sono tossiche, come l’equisetacea Equisetum palustre, l’euforbiacea Euphorbia cyparissias, l’hypolepidacea Pteridium aquilinum, la labiata Colchicum autunnale e le scrofulariacee dei generi Euphrasia, Pedicularis e Rhinanthus. Molte si fanno notare per le belle e vistose fioriture, soprattutto le campanulacee, le genzianacee e le liliacee. 11. ProDUzIoNE 11.1. variabilità La produzione di foraggio dei prati e dei pascoli, sia in termini di quantità (resa o biomassa aerea asportabile), sia di qualità (valore nutritivo), è sottoposta al controllo incrociato di fattori naturali e antropici che, ripercuotendosi sui profili floristici e sui ritmi vegetativi del cotico, determinano un variabilità davvero ragguardevole e non sempre facilmente decifrabile. Per la biomassa, i valori possono oscillare da meno di 1 t ad ettaro di sostanza secca nei siti più marginali, abitualmente riservati al pascolamento, fin oltre le 15 nei prati migliori a più sfalci. Per la qualità, gli estremi di variazione possono essere altrettanto distanti, andando per i tenori proteici dal 5 a oltre il 20% della sostanza secca, per le UFL da meno di 0,5 fino ad 1 unità per kg di sostanza secca, per la fibra grezza dal 20 al 45% della sostanza secca, per NDF dal 40 al 70% della fibra, per ADF dal 20 al 50%, per ADL dal 3 al 9 e analogamente per altri parametri nutrizionali 7 . Il potenziale produttivo dipende anzitutto dalle condizioni ambientali, specialmente dal regime termo-pluviometrico, dalla fertilità del suolo e dal suo stato idrico, che fissano la lunghezza del ciclo vegetativo e l’intensità dell’attività assimilatoria. Le situazioni più favorevoli si hanno con climi relativamente temperati, precipitazioni regolari e ab- 7 Le UFL (Unità Foraggere Latte) sono un’unità di misura del valore energetico netto degli alimenti zootecnici riferita alla produzione del latte. La fibra grezza è l’insieme dei carboidrati strutturali e delle altre sostanze che costituiscono le pareti delle cellule vegetali, ossia principalmente cellulosa, emicellulosa, pectine e lignina e silice. NDF, ADF e ADL sono frazione della fibra secondo il metodo Van Soest: NDF (Fibra Neutro Detersa) è la fibra al netto delle pectine; ADF (Fibra Acido Detersa) è NDF al netto delle emicellulose; ADL (Lignina Acido Detersa) è ADF al netto della cellulosa e della silice (solo lignina). NDF è altamente correlato al volume di ingombro dell’alimento e dunque alla sua ingestibilità, ADF alla digeribilità; ADL è la componente fibrosa indigeribile anche ai ruminanti. 192

Fausto Gusmeroli<br />

dell’elevato tenore in acido ossalico), Plantago lanceolata tra le plantaginacee. Interessante<br />

invece dal punto di vista foraggero è la famiglia delle ombrellifere, che comprende<br />

specie molto aromatiche in grado, laddove non troppo abbondanti, di migliorare sensibilmente<br />

l’appetibilità del foraggio. È il caso, in particolare, di Carum carvi, Ligusticum<br />

mutellina e Pimpinella major. Altre componenti, quali Anthriscus silvestris, Chaerophyllum<br />

hirsutum e Herachleum sphondylium, sono invece molto avidi di azoto e ad<br />

elevato vigore vegetativo, ciò che li porta ad esercitare un’eccessiva competizione nei<br />

confronti delle migliori foraggere.<br />

Diverse altre famiglie completano i profili floristici dei cotici alpini. Si possono ricordare<br />

le boraginacee, le ciperacee, le campanulacee, le cariofillacee, genzianacee, labiate,<br />

liliacee, juncacee, rosacee, rubiacee, scrofulariacee e altre ancora. Normalmente<br />

hanno scarso o nullo significato foraggero, salvo taluni esponenti, ben appetiti, del genere<br />

Phyteuma tra le campanulacee, Alchemilla, Sanguisorba e Potentilla tra le rosacee.<br />

Talvolta sono tossiche, come l’equisetacea Equisetum palustre, l’euforbiacea Euphorbia<br />

cyparissias, l’hypolepidacea Pteridium aquilinum, la labiata Colchicum autunnale e le<br />

scrofulariacee dei generi Euphrasia, Pedicularis e Rhinanthus. Molte si fanno notare<br />

per le belle e vistose fioriture, soprattutto le campanulacee, le genzianacee e le liliacee.<br />

11. ProDUzIoNE<br />

11.1. variabilità<br />

La produzione di foraggio dei prati e dei <strong>pascoli</strong>, sia in termini di quantità (resa o<br />

biomassa aerea asportabile), sia di qualità (valore nutritivo), è sottoposta al controllo incrociato<br />

di fattori naturali e antropici che, ripercuotendosi sui profili floristici e sui ritmi<br />

vegetativi del cotico, determinano un variabilità davvero ragguardevole e non sempre<br />

facilmente decifrabile. Per la biomassa, i valori possono oscillare da meno di 1 t ad ettaro<br />

di sostanza secca nei siti più marginali, abitualmente riservati al pascolamento, fin oltre<br />

le 15 nei prati migliori a più sfalci. Per la qualità, gli estremi di variazione possono essere<br />

altrettanto distanti, andando per i tenori proteici dal 5 a oltre il 20% della sostanza secca,<br />

per le UFL da meno di 0,5 fino ad 1 unità per kg di sostanza secca, per la fibra grezza<br />

dal 20 al 45% della sostanza secca, per NDF dal 40 al 70% della fibra, per ADF dal 20 al<br />

50%, per ADL dal 3 al 9 e analogamente per altri parametri nutrizionali 7 .<br />

Il potenziale produttivo dipende anzitutto dalle condizioni ambientali, specialmente<br />

dal regime termo-pluviometrico, dalla fertilità del suolo e dal suo stato idrico, che fissano<br />

la lunghezza del ciclo vegetativo e l’intensità dell’attività assimilatoria. Le situazioni<br />

più favorevoli si hanno con climi relativamente temperati, precipitazioni regolari e ab-<br />

7 Le UFL (Unità Foraggere Latte) sono un’unità di misura del valore energetico netto degli alimenti zootecnici<br />

riferita alla produzione del latte. La fibra grezza è l’insieme dei carboidrati strutturali e delle altre sostanze che<br />

costituiscono le pareti delle cellule vegetali, ossia principalmente cellulosa, emicellulosa, pectine e lignina e silice.<br />

NDF, ADF e ADL sono frazione della fibra secondo il metodo Van Soest: NDF (Fibra Neutro Detersa) è la fibra al<br />

netto delle pectine; ADF (Fibra Acido Detersa) è NDF al netto delle emicellulose; ADL (Lignina Acido Detersa)<br />

è ADF al netto della cellulosa e della silice (solo lignina). NDF è altamente correlato al volume di ingombro<br />

dell’alimento e dunque alla sua ingestibilità, ADF alla digeribilità; ADL è la componente fibrosa indigeribile anche<br />

ai ruminanti.<br />

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