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Prati, pascoli e paesaggio alpino - SoZooAlp

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PRATI, PASCOLI E PAESAGGIO ALPINO<br />

arriverà, nelle sue ultime espressioni, fino al XX secolo e che orienterà tutta la storia, la<br />

cultura e l’uso del territorio dell’ultimo millennio.<br />

In realtà, il processo di colonizzazione non si dispiegò omogeneamente in tutto il vasto<br />

e variegato ambiente <strong>alpino</strong>. Dapprima interessò il versante meridionale prospiciente<br />

il Mediterraneo e le vallate asciutte entroalpine, più accessibili e con clima più adatto alla<br />

coltivazione dei cereali. Il versante nord e il settore est delle Alpi Orientali, più piovosi,<br />

freddi e a breve stagione vegetativa, dunque meno vocati per colture che provenendo<br />

dalle terre calde e assolate dell’Asia sud-occidentale necessitavano di una stagione estiva<br />

lunga e asciutta, rimasero per diversi millenni ai margini del processo di colonizzazione.<br />

Solo nel medioevo, sotto la spinta del feudalesimo, videro una forte espansione insediativa<br />

che, tuttavia, non confortata da un’apprezzabile attività agricola, non condusse né<br />

allora, né nei secoli successivi, alle densità abitative delle Alpi meridionali e occidentali.<br />

La diversità geografica e storica tra le due macro-aree ebbe naturalmente notevoli<br />

riflessi sulle strutture economiche, oltre che su quelle sociali. Nelle zone d’antica colonizzazione,<br />

di matrice culturale latina, la coltivazione dei campi conservò sempre una<br />

certa importanza, forzando il sistema verso l’autarchia e confinando gli insediamenti<br />

stanziali sotto il limite di coltivazione dei cereali. In quelle di più recente colonizzazione,<br />

di tradizione germanica, ebbe invece un ruolo del tutto marginale rispetto all’allevamento,<br />

imponendo una maggiore dipendenza alimentare dai mercati esterni, ma lasciando la<br />

possibilità di insediamenti diffusi, anche a quote elevate (i masi) 1 . Casi a sé sono rappresentati<br />

dalle popolazioni Walser e altri popoli minori, che seppero costruire società<br />

autarchiche a quote estreme, coltivando i campi e allevando il bestiame in condizioni<br />

proibitive, grazie ad un notevole ingegno pratico e un forte senso comunitario.<br />

Entrambi i modelli produttivi mostravano un’articolazione in senso verticale. Il modello<br />

latino era più complesso, strutturato su tre livelli ben distinti (Fig. 1). Un primo livello,<br />

comprendente i fondovalle e i versanti ad altimetria inferiore, era il luogo degli insediamenti<br />

permanenti, delle colture agrarie e dei prati da fieno. Qui la famiglia risiedeva<br />

dall’autunno alla primavera, lavorando i campi e accudendo al bestiame nella stalla. Un<br />

secondo livello, il maggengo, soprastante il primo, era caratterizzato da insediamenti<br />

temporanei, prati e prati-<strong>pascoli</strong>. La famiglia vi sostava con il bestiame in primavera e<br />

in autunno, per il tempo necessario alle operazioni di fienagione e di pascolamento e al<br />

consumo delle scorte di foraggio accumulate nell’anno precedente. Il terzo livello, infine,<br />

alle quote estreme, era l’alpeggio o malga, dove il bestiame veniva condotto nella<br />

stagione estiva per utilizzare i <strong>pascoli</strong>. Ogni livello era provvisto di strutture e infrastrutture<br />

per la dimora dell’uomo, il governo degli animali e la lavorazione del latte. Mentre<br />

nell’abitazione del fondovalle il nucleo familiare restava unito, sul maggengo e in malga<br />

si divideva, per provvedere alle diverse incombenze legate alla coltivazione dei campi,<br />

alla lavorazione dei prati e alla custodia degli animali. Nella montagna di cultura germanica,<br />

il sistema, essendo svincolato dall’agricoltura, era più semplice e meno improntato<br />

1 La distinzione tra montagna di cultura latina e montagna di cultura germanica è contestata da alcuni<br />

studiosi, che vi vedono un’interpretazione artificiosa della storia. La distinzione ha senz’altro fondamento in termini<br />

linguistici, ma è indubbio che tra le due realtà esistessero maggiori analogie che non con le rispettive culture madri.<br />

L’adattamento alla vita in montagna comportava, infatti, l’implementazione di innovazioni tecniche e sociali che,<br />

pur differenziando talvolta anche popoli tra loro confinanti, costituivano per molti aspetti un denominatore comune<br />

per le comunità montane. La distinzione è qui mantenuta perché non del tutto priva di ragioni e utile in chiave<br />

didattica.

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