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Prati, pascoli e paesaggio alpino - SoZooAlp

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Fausto Gusmeroli<br />

e altro), con l’acqua che inonda le depressioni. Lo sfalcio, tradizionalmente eseguito per<br />

la produzione di lettiera, contribuisce al suo mantenimento. Stadi successivi, meno igrofili<br />

e ormai del tutto dipendenti dalle pratiche antropiche, sono le formazioni a molinia<br />

(Molinia coerulea e M. arundinacea) e a Caltha palustris. Dotate ormai di manto erboso<br />

continuo e ricco di specie, spesso molto rare, prediligono substrati carbonatici, più magri<br />

nel caso del molinieto, più fertili nelle comunità a Caltha. Nelle paludi più elevate la<br />

successione naturale parte dalle formazioni ad erioforo dei siti ancora significativamente<br />

sommersi, passa ai cariceti di piccole carici (part. Carex. canescens, C. fusca, C. irrigua,<br />

C. panicea, C. stellulata su matrici acide; C. davalliana, C. flava e C. panicea in matrici<br />

basiche), ai tricoforeti dominati da Trichophorum caespitosum, per arrivare alle prime<br />

formazioni di prateria (principalmente igronardeti), affrancate ormai dall’acqua e facilmente<br />

trasformabili in pascolo.<br />

La discriminante tra prati e <strong>pascoli</strong> è rappresentata dalle pratiche di gestione. Nel<br />

prato il fattore stabilizzante è il taglio, con il quale si elimina contemporanea tutta la<br />

fitomassa aerea al di sopra di una certa altezza; nel pascolo è il pascolamento, con la<br />

sua triplice azione di asportazione diretta della massa da parte degli animali, calpestio<br />

e fertilizzazione organica. 21 Mentre la copertura prativa, riducendosi in certi momenti<br />

alla sola parte basale degli steli, risulta maggiormente vulnerabile agli stress, soprattutto<br />

di carattere idrico, ed ha attività vegetativa molto variabile, quella <strong>pascoli</strong>va ostenta un<br />

aspetto più complesso, fatto di massa allettata dal calpestamento e piante recise a diversa<br />

altezza, che assicurano maggiore stabilità e un’attività assimilatoria più costante. Poiché<br />

anche dal punto di vista economico e dell’efficienza energetica il pascolo è superiore al<br />

prato, esso va di regola preferito. Ciò vale in particolare per le regioni a clima oceanico,<br />

dove la buona ripartizione delle precipitazioni atmosferiche e l’elevata umidità relativa<br />

permettono di praticarlo tutto l’anno o quasi. Non così per i distretti a clima continentale,<br />

come le Alpi, caratterizzati da estati calde, bassa umidità atmosferica e inverni lunghi e<br />

freddi, dove è praticabile solo per un tempo limitato: qui il prato è imposto dalla necessità<br />

di provvedere all’accumulo di scorte di foraggio per l’inverno. L’utilizzazione prativa<br />

può essere indotta anche dalla necessità di evitare lunghi e complicati spostamenti<br />

al bestiame, o dalla presenza di terreni frequentemente inondati, dove il pascolamento<br />

arrecherebbe danni ai cotici e vi è il pericolo di infestazioni parassitarie per gli animali.<br />

Taglio e pascolamento esercitano entrambi una forte pressione selettiva sulle specie<br />

vegetali, escludente per tutte le legnose e stimolante per le erbacee capaci di riprodursi<br />

vegetativamente mediante stoloni, rizomi o germogli secondari. Interventi coadiuvanti,<br />

che concorrono però più all’espletamento delle potenzialità produttive che non di per sé<br />

al mantenimento del sistema, sono le fertilizzazioni, l’irrigazione e le operazioni di cura<br />

e ringiovanimento del cotico (rullature, erpicature, trasemine, lotta alle infestanti e alle<br />

altre avversità di tipo biotico). La composizione floristica delle cenosi prato-<strong>pascoli</strong>ve e<br />

gli altri caratteri ad essa collegati sono dunque fissati dall’interazione tra variabili gestionali<br />

e variabili ambientali di tipo climatico, edafico e topografico (Fig. 8.2). Il complesso<br />

dei fattori antropici tende a mascherare l’effetto dell’ambiente, per cui comunità dislo-<br />

21 Con il termine pascolamento si intende un utilizzo sistematico del cotico, quale si ha con i bovini, gli<br />

ovini e gli equini. Nel caso dei caprini è più corretto parlare di brucatura, dato che il prelievo si limita agli organi<br />

delle piante (apici, foglie, germogli), più frequentemente legnose, lungo percorsi specifici. Solo il pascolamento<br />

garantisce un’efficace stabilizzazione dei cotici.<br />

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