Prati, pascoli e paesaggio alpino - SoZooAlp

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29.05.2013 Views

155 PRATI, PASCOLI E PAESAGGIO ALPINO valli. Un tempo assai diffusi, ora, con l’abbandono dei maggenghi, sono molto frammentari. Le colture agrarie si concentrano sulle conoidi e sulle sponde, preferibilmente in quelle solatie. In epoca rurale erano comuni i cereali, il lino, la canapa, gli ortaggi e la patata (dalla seconda metà del XVIII secolo), che contribuivano però unicamente al sostentamento delle popolazioni; oggi rimangono le colture specializzate della vite e del melo che, nelle vallate più meridionali a clima più favorevole, rivestono un importante significato economico. L’esposizione geografica rappresenta per esse un fattore decisivo, giacché le migliori condizioni per la loro coltivazione si vengono a creare a meridione, dunque sui fianchi illuminati delle vallate ad andamento trasversale. Negli ultimi decenni, lungo i fondovalle più ampi e di bassa quota hanno avuto una certa diffusione anche i seminativi foraggeri (mais, erbai). La fascia boreale inferiore si presta ancora alla coltivazione di cereali (soprattutto segale, orzo e grano saraceno in secondo raccolto 15 ), patate e ortaggi, ma le condizioni climatiche cominciano a farsi critiche 16 . I prati s’intersecano ai pascoli e non di rado sono utilizzati nella duplice modalità (taglio estivo seguito da pascolamento autunnale). Essi permangono in forma del tutto residuale anche nella fascia superiore, per scomparire definitivamente più in alto. Da qui la vegetazione antropogena si riduce ai pascoli, che possono protrarsi sino ai limiti della vegetazione naturale continua. Nella progressione altimetrica è facile scorgere un gradiente inverso di impatto sugli ecosistemi o, se si vuole, di intensificazione colturale. Come ampiamente illustrato nel paragrafo 3.2, le coltura agrarie, richiedendo la lavorazione principale del suolo, alterano profondamente gli ecosistemi, più alle quote inferiori, dove gli apporti energetici esterni sono elevati (concimazioni, irrigazioni, trattamenti diserbanti e antiparassitari etc.), meno in quota, dove i vincoli pedoclimatici e logistici impongono restrizioni alle immissioni esterne, in favore dell’energia biologica (lavoro dell’uomo e degli animali). Meno distruttive sono le foraggere permanenti, affrancate dalla lavorazione del suolo. La situazione muta per altro passando dai prati di fondovalle, a quelli di versante e ai pascoli. Nei prati di fondovalle si praticano anche quattro sfalci l’anno e le fertilizzazioni possono raggiungere dosaggi ragguardevoli 17 , modificando più pesantemente i caratteri del sistema; nei prati in quota i tagli scendono a uno o due, con restituzioni organiche decisamente più blande; nei pascoli, infine, l’utilizzazione avviene direttamente con gli animali, quindi con un bassissimo investimento di lavoro e materiali 18 . All’interno degli stessi pascoli si può poi stabilire un’ulteriore discriminante tra i pascoli ricavati nel 15 A differenza degli altri cereali, il grano saraceno non è una graminacea, ma una Polygonacea del genere Fagopyrum. 16 Le popolazioni Walser e altri popoli minori seppero mettere a punto sistemi ingegnosi per coltivare i campi a quote estreme. Un esempio è l’allungamento della stagione vegetativa nei cereali, realizzato attraverso lo spargimento primaverile di cenere o terra sulla coltre nevosa (viene accelerato lo scioglimento della neve, anticipando così la ripresa vegetativa) e/o il completamento della maturazione delle piante su strutture di legno disposte in luoghi protetti e soleggiati. 17 Ciò è il risultato da un lato della contrazione delle superfici produttive determinata dall’espansione urbanistica e dall’abbandono dei pascoli e dei prati in quota, dall’altro del massiccio incremento delle importazioni di alimenti (concentrati ed anche foraggi) da territori extra-alpini che permettono di mantenere carichi animali decisamente superiori a quanto sarebbe consentito dalle sempre più ridotte risorse autoctone. Si pone dunque con urgenza il problema di un riequilibrio e riordino del sistema e di una salvaguardia delle superfici foraggere. 18 Questo non significa che i sistemi intensivi siano automaticamente meno sostenibili di quelli estensivi. Molto è subordinato alle modalità di utilizzazione delle risorse. Una coltivazione biologica, ad esempio, può essere più compatibile e stabile di un pascolo mal condotto.

Fausto Gusmeroli dominio della vegetazione legnosa, attraverso cioè la destrutturazione della vegetazione originaria, e quelli nel dominio delle praterie naturali, derivati da semplice modificazione della composizione floristica del manto erboso. In termini di superficie, le foraggere permanenti prevalgono largamente sulle colture, come i pascoli sui prati. Questo consente di qualificare il sistema agricolo alpino come globalmente estensivo, nonostante la riconversione in senso industriale della zootecnia verificatasi degli ultimi decenni e l’abbandono della pratica alpestre. Inoltre, la massiccia diffusione in tutta l’area di potenziale pertinenza della vegetazione naturale di tipo continuo, unitamente alla presenza di formazioni forestali artificiali o quantomeno alterate dalle pratiche selvilcoturali o altri disturbi, giustifica l’appellativo “agro-silvo-pastorale” attribuito al paesaggio alpino. Si tratta, in effetti, di un paesaggio che, con l’eccezione della porzione sommitale, appare profondamente trasformato dall’uomo, diversificato e reso più bello, attraente e ospitale. Un paesaggio che a ragion veduta può definirsi culturale, frutto del lavoro di generazioni di contadini montanari e testimonianza della loro capacità di relazionarsi in maniera intelligente alla natura, utilizzandone con equilibrio e consapevolezza le risorse 19 . Le colture agrarie, erbacee e legnose, essendo formazioni monospecifiche, possono essere trattate dal punto di vista fitosociologico solo in riferimento agli aggruppamenti di piante spontanee infestanti. Essendo però queste oggetto di interventi di lotta e contenimento, assumono aspetti piuttosto mutevoli e aleatori, pur in un invitabile legame con le condizioni pedoclimatiche dei luoghi. I castagneti, anche quelli puri, conservano invece sostanzialmente nel sottobosco gli esponenti propri delle comunità originarie, che consentono di ricondurli entro gli schemi già visti per la vegetazione forestale di latifoglie. Non così i prati e pascoli che, se si eccettuano le comunità naturali della fascia alpica, sono fitocenosi in tutto diverse dalle originarie ed esigono pertanto un’analisi separata. 8.2. origine dei prati e dei pascoli In figura 8.1 sono delineati i processi di trasformazione degli ecosistemi naturali che hanno portato alla costituzione dei prati e dei pascoli alpini. Sono rappresentati quattro percorsi. Il primo consiste nel semplice pascolamento diretto delle praterie naturali, che va a modificare la composizione floristica e l’habitus del manto erboso, sostituendo le specie originarie con elementi pastorali. I pascoli derivati sono definiti subnaturali o spontanei, poiché non alterano la struttura della vegetazione. Questo tipo di antropizzazione è stato in assoluto il primo realizzato dall’uomo, agli albori della colonizzazione delle Alpi, quando i primi pastori transumanti penetravano nelle montagne per sfruttare le ampie praterie naturali della fascia alpica. Il secondo percorso avviene entro il dominio della vegetazione legnosa e prevede pertanto a monte la destrutturazione degli ecosistemi attraverso l’eliminazione della co- 19 Non si deve mai dimenticare che il paesaggio culturale alpino nasconde, dietro la sua armonia, una particolare fragilità. Senza assidui interventi di stabilizzazione il suo destino è il degrado, che porta con sé rischi di catastrofi per gli stessi territori sottostanti. Lo spopolamento della montagna, come la pretesa di trasformare le Alpi in spazi di wilderness preclusi ad una presenza stabile dell’uomo, sono pertanto fenomeni molto pericolosi, sui quali occorrerebbe riflettere con attenzione. 156

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PRATI, PASCOLI E PAESAGGIO ALPINO<br />

valli. Un tempo assai diffusi, ora, con l’abbandono dei maggenghi, sono molto frammentari.<br />

Le colture agrarie si concentrano sulle conoidi e sulle sponde, preferibilmente<br />

in quelle solatie. In epoca rurale erano comuni i cereali, il lino, la canapa, gli ortaggi e<br />

la patata (dalla seconda metà del XVIII secolo), che contribuivano però unicamente al<br />

sostentamento delle popolazioni; oggi rimangono le colture specializzate della vite e del<br />

melo che, nelle vallate più meridionali a clima più favorevole, rivestono un importante<br />

significato economico. L’esposizione geografica rappresenta per esse un fattore decisivo,<br />

giacché le migliori condizioni per la loro coltivazione si vengono a creare a meridione,<br />

dunque sui fianchi illuminati delle vallate ad andamento trasversale. Negli ultimi decenni,<br />

lungo i fondovalle più ampi e di bassa quota hanno avuto una certa diffusione anche<br />

i seminativi foraggeri (mais, erbai).<br />

La fascia boreale inferiore si presta ancora alla coltivazione di cereali (soprattutto<br />

segale, orzo e grano saraceno in secondo raccolto 15 ), patate e ortaggi, ma le condizioni<br />

climatiche cominciano a farsi critiche 16 . I prati s’intersecano ai <strong>pascoli</strong> e non di rado sono<br />

utilizzati nella duplice modalità (taglio estivo seguito da pascolamento autunnale). Essi<br />

permangono in forma del tutto residuale anche nella fascia superiore, per scomparire<br />

definitivamente più in alto. Da qui la vegetazione antropogena si riduce ai <strong>pascoli</strong>, che<br />

possono protrarsi sino ai limiti della vegetazione naturale continua.<br />

Nella progressione altimetrica è facile scorgere un gradiente inverso di impatto sugli<br />

ecosistemi o, se si vuole, di intensificazione colturale. Come ampiamente illustrato nel<br />

paragrafo 3.2, le coltura agrarie, richiedendo la lavorazione principale del suolo, alterano<br />

profondamente gli ecosistemi, più alle quote inferiori, dove gli apporti energetici<br />

esterni sono elevati (concimazioni, irrigazioni, trattamenti diserbanti e antiparassitari<br />

etc.), meno in quota, dove i vincoli pedoclimatici e logistici impongono restrizioni alle<br />

immissioni esterne, in favore dell’energia biologica (lavoro dell’uomo e degli animali).<br />

Meno distruttive sono le foraggere permanenti, affrancate dalla lavorazione del suolo.<br />

La situazione muta per altro passando dai prati di fondovalle, a quelli di versante e ai<br />

<strong>pascoli</strong>. Nei prati di fondovalle si praticano anche quattro sfalci l’anno e le fertilizzazioni<br />

possono raggiungere dosaggi ragguardevoli 17 , modificando più pesantemente i caratteri<br />

del sistema; nei prati in quota i tagli scendono a uno o due, con restituzioni organiche<br />

decisamente più blande; nei <strong>pascoli</strong>, infine, l’utilizzazione avviene direttamente con gli<br />

animali, quindi con un bassissimo investimento di lavoro e materiali 18 . All’interno degli<br />

stessi <strong>pascoli</strong> si può poi stabilire un’ulteriore discriminante tra i <strong>pascoli</strong> ricavati nel<br />

15 A differenza degli altri cereali, il grano saraceno non è una graminacea, ma una Polygonacea del genere<br />

Fagopyrum.<br />

16 Le popolazioni Walser e altri popoli minori seppero mettere a punto sistemi ingegnosi per coltivare i campi a<br />

quote estreme. Un esempio è l’allungamento della stagione vegetativa nei cereali, realizzato attraverso lo spargimento<br />

primaverile di cenere o terra sulla coltre nevosa (viene accelerato lo scioglimento della neve, anticipando così la<br />

ripresa vegetativa) e/o il completamento della maturazione delle piante su strutture di legno disposte in luoghi<br />

protetti e soleggiati.<br />

17 Ciò è il risultato da un lato della contrazione delle superfici produttive determinata dall’espansione urbanistica<br />

e dall’abbandono dei <strong>pascoli</strong> e dei prati in quota, dall’altro del massiccio incremento delle importazioni di alimenti<br />

(concentrati ed anche foraggi) da territori extra-alpini che permettono di mantenere carichi animali decisamente<br />

superiori a quanto sarebbe consentito dalle sempre più ridotte risorse autoctone. Si pone dunque con urgenza il<br />

problema di un riequilibrio e riordino del sistema e di una salvaguardia delle superfici foraggere.<br />

18 Questo non significa che i sistemi intensivi siano automaticamente meno sostenibili di quelli estensivi. Molto<br />

è subordinato alle modalità di utilizzazione delle risorse. Una coltivazione biologica, ad esempio, può essere più<br />

compatibile e stabile di un pascolo mal condotto.

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