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l’artista nel riproporre il lessico schedoniano, magari variandolo con citazioni dal Cinquecento e dai bolognesi, si era rivelata un’operazione poco proficua e forse gravata dal confronto con la qualità superiore del modenese. La conferma a corte del Malosso, il rientro del Badalocchio e gli arrivi di Fra Semplice e soprattutto dello Spada dovevano aver convinto il pittore che gli spazi erano ormai troppo limitati: è significativo del resto che egli non partecipasse al grande cantiere del teatro Farnese, assieme agli altri parmigiani, ai bolognesi e ai cremonesi. Il soggiorno milanese dell’Amidani apre un orizzonte del tutto nuovo e ci consegna un importantissimo gruppo di dipinti riferibili a quel periodo. Tra questi è davvero sorprendente il San Carlo della Pinacoteca del Castello Sforzesco (cat. 31), eseguito per la Cappella del Tribunale di Provvisione 93 , sulla cui autografia non credo vi possano essere discussioni: basti osservare nella parte alta il profilo del Santo e la tipologia degli angioletti, letteralmente ricopiati dalle glorie angeliche nelle tele di Casalmaggiore. Se guardiamo però al manto vescovile comprendiamo perchè fin dal Seicento il dipinto fosse attribuito al Cerano o alla sua scuola 94 . Per quanto sia difficile immaginare una così repentina conversione stilistica tutto lascia pensare che l’opera sia stata eseguita nel 1620 o poco oltre. Proprio in quell’anno infatti Giulio Cesare Procaccini siglava un altro importante quadro di quella Cappella, il Costantino che riceve i resti degli strumenti della Passione oggi al Castello Sforzesco. Ricordando che tre anni prima lo stesso Procaccini aveva dipinto lo Sposalizio della Vergine per la chiesa parmense della Steccata, è possibile immaginare che un primo contatto con l’Amidani si verificasse in quell’occasione. Se questa è evidentemente solo un’ipotesi di lavoro, pare fuori discussione che il pittore parmense fosse in stretto contatto con artisti o personaggi influenti della Milano del tempo: diversamente non avrebbe ottenuto l’importante commissione per la Cappella, uno dei principali cantieri artistici aperti in città agli inizi del Seicento. È sulla base di queste relazioni lombarde che possiamo finalmente intendere un dipinto da sempre considerato un unicum nella pro- 93 Il dipinto è stato restituito al pittore da Giuseppe Cirillo (com. orale) e, indipendentemente, da chi scrive. 94 Per il dibattito critico si rimanda alla scheda relativa. 28
duzione dell’artista 95 ; parlo della Sant’Agnese della Galleria Nazionale di Parma (cat. 32), i cui panneggi sottili e frastagliati, sensibili alle minime vibrazioni luminose, sembrano in effetti quanto di più lontano dai modi finora noti del pittore. Il confronto con il San Carlo e soprattutto con la maniera del Cerano e di Giulio Cesare Procaccini dà ragione però di quelle difformità, permettendoci di confermare la tela all’Amidani e di situarla in prossimità del soggiorno milanese. Gli stessi caratteri troviamo del resto nella Sacra Famiglia e nel Diana e Atteone dell’Hermitage (cat. 33-34), in cui ancora riaffiorano memorie badalocchiesche. Non è facile ricostruire questo periodo milanese e nemmeno precisarne la durata. Tutto però lascia pensare che si protraesse per diversi anni, fin verso la metà del decennio, come sembrano confermare il rilevante numero di opere dal carattere lombardo e il probabile arrivo a Milano del padre. Se infatti un atto del 5 ottobre 1626 96 , rogato dal notaio Francesco Forni, accenna alla scomparsa di Amidano, le ricerche condotte da Corradi Cervi 97 nei registri della parrocchia della Santissima Trinità non hanno portato al rinvenimento del suo atto di morte, facendo ipotizzare allo studioso che lo stesso fosse emigrato da Parma. Pur non potendo escludere il trasferimento in un’altra vicinia, pare dunque verosimile che Amidano raggiungesse il figlio a Milano e rimanesse con lui fino alla morte, sopraggiunta di lì a poco. Alla fase di cui stiamo trattando dovrebbe appartenere anche il Caino e Abele passato da Christie’s come Savonanzi 98 (cat. 35), che rivela tipiche sigle amidaniane, come il profilo di Caino con le grandi palpebre socchiuse, ma anche una tensione prima sconosciuta, drammaticamente accentuata dalla torsione dei corpi e dalla scansione del chiaroscuro. Sono caratteri che ritroviamo nello straordinario Martirio di San Bartolomeo della Galleria Sabauda (cat. 36), un’opera a lungo discussa e sempre riferita ad artisti lombardi 99 . La mano di Luigi Amidani è però immediatamente 95 Si comprendono dunque i dubbi sull’autografia avanzati da Quintavalle 1939, p. 279. 96 Il documento è trascritto alla nota 44. 97 Corradi Cervi 1962, p. 128. 98 La tela era stata riconosciuta al nostro artista da Daniele Benati quando ancora si trovava in una collezione privata di Anversa. 99 Cfr. la scheda relativa. 29
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l’artista nel riproporre <strong>il</strong> lessico schedoniano, magari variandolo<br />
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Il soggiorno m<strong>il</strong>anese dell’Amidani apre un orizzonte del tutto<br />
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Cappella del Tribunale di Provvisione 93 , sulla cui autografia non<br />
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Per quanto sia diffic<strong>il</strong>e immag<strong>in</strong>are una così repent<strong>in</strong>a conversione<br />
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che <strong>il</strong> pittore parmense fosse <strong>in</strong> stretto contatto con artisti o <strong>per</strong>sonaggi<br />
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