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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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72 ALESSANDRO FERSEN<br />

a freccia, si susseguono per culminare nel superobiettivo cui tende<br />

tutta la vicenda drammaturgica. Poi, facendo ricorso alla propria<br />

memoria affettiva, l’attore ritaglia le sue emozioni-ricordo sulle misure<br />

del personaggio e ne riveste il manichino. Così abbigliato con una<br />

minuta opera di sartoria psico-teatrale, il personaggio-attore è pronto<br />

per entrare in scena.<br />

Da una reviviscenza all’altra, in un inanellarsi di stati d’animo e<br />

volizioni, l’attore immette la propria vita emotiva in quell’entità puramente<br />

nominale. Si opera una traslazione d’identità. L’attore «vive» una<br />

vita altrui. Il suo «io» ha subito un’eclisse: nella sua coscienza abita un<br />

altro essere dotato di una sua (prestabilita) autonomia 10 .<br />

E il pubblico? Di fronte a questa vita che vive se stessa e non si rappresenta<br />

(la contrapposizione stanislavskijana fra perezˇivanie e predstavlenie)<br />

11 , il pubblico rischia di diventare una presenza intrusa. La<br />

vita non ha bisogno di pubblico per viversi: Stanislavskij teorizza la<br />

«solitudine in pubblico» dell’attore che una «quarta parete» di sapore<br />

naturalistico isola ormai dalla platea 12 . Nello stesso momento, annien-<br />

10 Sul «metodo» di Stanislavskij, cfr. A. Fersen, L’ultimo Stanislavskij, in «Sipario», 75,<br />

1952 e Id., Il Metodo di Stanislavskij, ivi, 78, 1952.<br />

11 Esplode qui la contraddizione più grave del «sistema» di Stanislavskij: nelle immaginarie<br />

lezioni che Torzov-Stanislavskij impartisce ai suoi allievi, il metodo dell’immedesimazione<br />

viene contrapposto al «metodo rappresentativo» in questi termini: «Si può<br />

rivivere una parte ogni volta, come si fa nel nostro sistema, oppure una volta sola, o<br />

qualche volta, per individuare la forma esteriore della manifestazione naturale del sentimento<br />

e, una volta individuata, imparare a ripetere questa forma meccanicamente abituando<br />

i muscoli a farlo automaticamente. Ecco, questa è la rappresentazione (predstavlenie)<br />

di una parte» (K. Stanislavskij, Il lavoro dell’attore, Bari, 1968, p. 29). Senonché<br />

questo metodo rappresentativo postula ovviamente la presenza dello spettatore<br />

per il quale si rappresenta: il metodo dell’immedesimazione, invece, ignora volutamente<br />

lo sguardo estraneo. Stanislavskij fa nelle sue «lezioni» ripetuti riferimenti allo<br />

spettatore e alle sue reazioni: egli cerca di esorcizzare così i pericoli di un solipsismo<br />

scenico implicito nelle sue impostazioni. In realtà, le critiche e le accuse mosse ai suoi<br />

spettacoli si appuntarono proprio sulla non-comunicazione scenica, dovuta alla stretta<br />

applicazione dei principi del metodo.<br />

12 Un’ottima descrizione della «quarta parete» è contenuta in E. Piscator, Il teatro<br />

politico, Torino, 1976, p. 137: «Fatta eccezione della scena girevole e della luce elettrica,<br />

introdotte al principio del XX secolo, il palcoscenico si trovava nelle stesse condizioni<br />

in cui l’aveva lasciato Shakespeare: un’apertura quadrata, attraverso la quale lo<br />

spettatore poteva gettare uno “sguardo proibito” in un altro mondo. Questa mancanza<br />

di comunicazione diretta, questo muro di vetro fra il palcoscenico e la sala degli spet-

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