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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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64 ALESSANDRO FERSEN<br />

gio fa male al sistema nervoso. La passione comincia ad abituarsi a se<br />

stessa: ai propri gesti, alle proprie intonazioni. La passione partorisce<br />

l’abitudine alla passione. L’attore impara ad amministrarsi: diventa<br />

avaro. La generosità scenica è uno spreco. E lui impara a salvaguardarsi<br />

dagli sprechi dell’immedesimazione: questa salvaguardia è il<br />

mestiere. La provvidenza del mestiere, la noia del mestiere. Il mestiere<br />

che copre le intermittenze del sentimento, che salva le serate in cui<br />

l’attore «non se la sente». Da artista a mestierante il passo non è lungo.<br />

Immedesimarsi stanca. Stanca anche straniarsi. Questa impassibilità,<br />

questo sforzo (forse impraticabile) di dissociazione fra le reazioni<br />

emotive e la loro naturale espressione richiede una continua lucidità<br />

introspettiva. Prima che dal personaggio l’attore deve estraniarsi da se<br />

stesso. L’idea di straniamento comporta un’astensione emotiva che<br />

deve raffrenare – nell’attore come nello spettatore – lo slittamento<br />

involontario nell’immedesimazione. Per sterilizzare intonazioni e gesti<br />

occorre un autocontrollo insonne. L’impegno mentale che pilota, in<br />

questo caso, i comportamenti del personaggio esige uno stoicismo<br />

quotidiano. Così, anche la pratica dello straniamento genera inclinazione<br />

all’abitudine: più insidiosa dell’abitudine agli impeti della passione.<br />

L’impassibilità diventa l’alibi per un’esibizione tecnica.<br />

Allora dal fondo scena avanza un fantasma familiare: Diderot. Un<br />

Diderot malinteso, nume tutelare dei professionisti della scena. La<br />

simulazione si riscatta dal suo marchio infame e diventa un credo estetico<br />

o il segno del mestiere. Imperversa sulle scene un Diderot malgré<br />

lui.<br />

Il mestiere affastella in quinta ideologie sceniche, fa giustizia di<br />

tutte le utopie, trascura gli imperativi del regista. Mima i momenti<br />

intensi delle «prove», nascondendo le pecche delle immedesimazioni<br />

eluse, delle impassibilità disattente.<br />

Si installa in palcoscenico un cinismo tecnico che garantisce un’aurea<br />

mediocrità allo spettacolo.<br />

Crisi della presenza<br />

Nel trauma che lo affligge da quando i linguaggi tecnologici gli<br />

hanno usurpato la primogenitura dello spettacolo, il teatro si è messo<br />

alla ricerca di un suo «specifico» insurrogabile. Lo «specifico teatrale» è

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