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IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla

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56 ALESSANDRO FERSEN<br />

tornano qui in mente come possibili metafore a chi ascolta la dissonanza<br />

di timbri che si diffonde da questo palcoscenico. Al di là delle<br />

battute tenere, infiammate, gelide, strazianti, ruggenti, sussurrate sembra<br />

avvertire una zona di mutismo reciproco, dove ogni attore recita<br />

un suo «a parte» inascoltato dagli altri. Sembra che sotto il fitto tessuto<br />

dialogico del testo si prosegua un monologo, cui fa eco un altro monologo<br />

e un altro ancora, quante sono le dramatis personae. E che ogni<br />

monologo si ispiri a un’estetica privata, consolidata in anni di mestiere,<br />

in esperienze sceniche diverse, in vezzi e vizi consapevoli e no.<br />

Come nella convenzione drammaturgica del teatro classico, si<br />

direbbe che, in tutt’altro modo, anche qui si vadano snodando due<br />

identità contemporanee sul filo unico del tempo scenico. Un io filologico<br />

che lancia al partner le sue battute secondo la coerenza epidermica<br />

del testo e un io nascosto che è un «fra sé» tetragono alla<br />

comunicazione. Un modo di stare in scena eterogeneo a quello degli<br />

attori colleghi. Come l’«a parte» di Mirandolina, anche questo, pur<br />

inconfessato, si rivolge alla platea, ma seleziona fra gli spettatori un<br />

proprio pubblico (naïf o bizantino o impegnato o gaudente) e con<br />

esso intrattiene una conversazione che è estranea agli altri spettatori 2 .<br />

Il palcoscenico sembra una palestra di soliloqui che mimano un<br />

colloquio inesistente.<br />

2 Szondi, nel quadro delle sue tesi sul graduale passaggio dal «dramma assoluto» al<br />

teatro epico, vede nel «monologo» moderno (a partire da Hebbel) una frattura nel dialogo,<br />

un «resoconto psicologico» dell’io straniato, epico, che si ripiega su di sé e si racconta:<br />

l’«a parte» del teatro classico è invece ancora una componente del gioco dialogico<br />

e non costituisce un inizio di distacco del personaggio dalla sua realtà scenica (op.<br />

cit., p. 116). Ma già nel teatro classico esiste accanto all’«a parte», il monologo in cui il<br />

personaggio commenta se stesso per il pubblico: così Mirandolina nel monologo del<br />

Primo Atto (scena IX); così Arnolfo, all’inizio del Secondo Atto della Scuola delle mogli;<br />

così Jago, che nei suoi frequenti monologhi presenta l’immagine veridica di sé, con una<br />

lucidità che travalica la verità scenica del personaggio. Questi monologhi sembrano<br />

delle premesse ideali per gli «a parte» nel corso dell’azione: quasi delle didascalie psicologiche<br />

destinate alla comprensione del personaggio da parte del pubblico, ma valide<br />

anche come indicazioni per l’interpretazione del personaggio da parte dell’attore.<br />

L’«a parte» è invece un espediente scenico, in cui il personaggio espone la sua vera<br />

identità (di personaggio) con la complicità del pubblico: e rientra così nell’ambito di<br />

quel «teatro nel teatro» che esiste da sempre nella commedia e che non contrassegna<br />

alcun inizio di distacco di tipo epico.

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