IL TEATRO, DOPO - Boggio, Maricla
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50 ALESSANDRO FERSEN<br />
l’ufficio canonico. La comunità dei fedeli comincia a trasformarsi in<br />
pubblico di spettatori: è un teatro che emerge lentamente dal rito e ne<br />
eredita i comportamenti di gruppo. Nella «lauda drammatica», prima<br />
forma teatrale postliturgica, c’è aderenza perfetta fra officianti e fedeli.<br />
Nelle processioni fuori chiesa si abbozzano azioni drammatiche in cui<br />
i partecipanti si travestono, diventano attori provvisori. Uno stadio,<br />
della vita teatrale, in cui l’identità di comportamenti è esemplare 14 .<br />
Quando questo teatro embrionale si amplia nella «sacra rappresentazione»,<br />
comincia a profilarsi una diversità di atteggiamenti individuali,<br />
in rapporto al crescente e conflittuale articolarsi della compagine<br />
sociale. Tuttavia clero, nobili, mercanti, artigiani si riconoscono in una<br />
celebrazione che è insieme religiosa e civile. Li unisce la memoria di<br />
un passato di convivenza e crescita comune. Quando quest’unità s’incrina,<br />
ha inizio la parabola discendente del teatro sacro 15 .<br />
duato, com’è noto, il germe del dramma liturgico medievale. Ma il tropo è in origine<br />
una semplice interpolazione esornativa nel tessuto del rito. «La trascrizione del Quem<br />
quaeritis – nota W. Lipphardt (Der Dramatische Tropus, in AA.VV., Dimensioni drammaturgiche<br />
della liturgia medievale, Roma, 1977) – è senz’altro preceduta da secoli di<br />
tradizione orale, ciò che spiegherebbe la ricchezza di varianti riscontrata soprattutto in<br />
Italia». Si tratta dunque di un rito che coinvolge l’intera comunità partecipante e che<br />
evolve in rappresentazione teatrale. Sul tropo e sulle origini del teatro sacro, cfr. A.<br />
D’Ancona, Le origini del teatro italiano, Torino 1891, pp. 27-32 e V. De Bartholomaeis,<br />
Le origini della poesia drammatica italiana, Bologna, 1924, pp. 116-35.<br />
14 «La drammaturgia latina della Chiesa medievale è composta per un pubblico<br />
determinato, che conosce il contenuto di ogni scena della composizione drammatica.<br />
Non si tratta di fornire i contenuti: poiché i contenuti erano noti, nella rappresentazione<br />
si doveva rendere conto del significato attuale di questo contenuto. […] Il valore catechetico<br />
di tali rappresentazioni può essere paragonato ai cicli di affreschi che mettono<br />
di fronte episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento. […] Chi guarda le pareti della<br />
chiesa deve già conoscere gli episodi […] altrimenti non capisce cosa vi è rappresentato.<br />
[…] Il nuovo dramma è in primo luogo autorappresentazione del gruppo che si rappresenta»<br />
(J. Drumble, Questioni metodologiche e problematiche del gruppo destinatario,<br />
in «Biblioteca teatrale», 15-16, 1976, pp. 7-9).<br />
15 Sul nuovo pubblico teatrale, cfr. J. Duvignaud: «Questo brulicame di uomini<br />
disparati non costituisce un pubblico cosciente dei suoi valori, delle sue credenze, della<br />
sua attesa. Questi assembramenti non possono essere definiti: costituiscono una massa<br />
il cui grado di partecipazione comune è mediocre: accumulazione passiva di spettatori<br />
che si formano in ogni luogo nel corso dei secoli, che cercano, pretendono un legame<br />
diverso da quello che li unisce. […] Il teatro è cosa urbana come la storia» (Le ombre<br />
collettive, Roma, 1974, pp. 140-1).